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martedì 29 Luglio 2025
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Lavoratori in Azienda: Cosa cambia con la Legge 76/2025 su utili, governance e partecipazione

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Group of business partners interacting while planning work at meeting

La Legge n. 76/2025, recentemente approvata, apre una nuova era per il mondo del lavoro e per le imprese italiane, introducendo importanti novità in tema di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili delle imprese. Una riforma che, oltre a promuovere l’inclusione economica e gestionale dei dipendenti, si propone come uno strumento strategico per aumentare la produttività aziendale e incentivare un clima di maggiore coesione interna. Il cuore della legge è proprio l’articolo 46 della Costituzione italiana, che da anni attendeva un’applicazione concreta e sistemica.

Il nuovo impianto normativo non è solo un aggiornamento teorico, ma un vero e proprio cambio di paradigma, che mira a consolidare la partecipazione dei lavoratori anche nella governance aziendale, riconoscendone il ruolo centrale all’interno dell’organizzazione produttiva. Le imprese, da parte loro, potranno godere di incentivi fiscali e contributivi, rafforzando così la propria competitività.

Ma cosa prevede nel dettaglio questa nuova legge? Come cambia il rapporto tra lavoratore e impresa? E quali sono i vantaggi, sia per i dipendenti che per i datori di lavoro? In questo articolo analizzeremo tutti i punti salienti della Legge 76/2025, soffermandoci su strumenti attuativi, benefici economici e scenari futuri, con un occhio particolare alla sostenibilità fiscale e all’ottimizzazione dei costi aziendali.

Partecipazione

La Legge 76/2025 ridefinisce il concetto di partecipazione dei lavoratori in azienda attraverso quattro modalità distinte, ognuna delle quali offre nuove possibilità di coinvolgimento diretto nella vita dell’impresa. Questo approccio multidimensionale si propone non solo di aumentare il senso di appartenenza dei dipendenti, ma anche di migliorare il rendimento complessivo del sistema produttivo.

1. Partecipazione gestionale:

È forse la più innovativa tra le forme introdotte. Prevede il coinvolgimento dei lavoratori nei consigli di amministrazione o di sorveglianza, a seconda della struttura societaria (sia monistica che dualistica), tramite rappresentanti nominati secondo le disposizioni dei contratti collettivi e degli statuti aziendali (artt. 3-4). Un cambio di passo significativo per un Paese storicamente restio ad accogliere modelli di cogestione simili a quelli tedeschi.

2. Partecipazione economica e finanziaria:

Consente ai lavoratori di beneficiare direttamente degli utili aziendali. Le imprese che destinano almeno il 10% degli utili ai dipendenti attraverso contrattazione collettiva possono accedere, per il 2025, a una tassazione agevolata su importi fino a 5.000 euro per lavoratore (art. 5). Inoltre, i dividendi derivanti da azioni attribuite al posto dei premi di risultato godono di una esenzione fiscale del 50% fino a 1.500 euro (art. 6), favorendo la diffusione dell’azionariato dei dipendenti.

3. Partecipazione organizzativa:

Si traduce nell’istituzione di commissioni paritetiche con compiti consultivi su innovazione, welfare, inclusione e qualità del lavoro (art. 7). Questa modalità promuove un dialogo costante tra impresa e lavoratori, incentivando anche la creazione di figure aziendali dedicate alla formazione e alla conciliazione vita-lavoro (art. 8). Un’attenzione particolare è riservata alle PMI con meno di 35 dipendenti, che potranno avvalersi degli enti bilaterali per attuare forme partecipative efficaci.

4. Partecipazione consultiva:

Valorizza il ruolo delle rappresentanze sindacali o dei lavoratori tramite la consultazione preventiva su decisioni aziendali strategiche (artt. 9-10). Le decisioni dovranno essere accompagnate da un parere scritto, obbligatoriamente allegato al verbale. Questo strumento aumenta la trasparenza del processo decisionale e rafforza la voce dei lavoratori su temi cruciali come ristrutturazioni, investimenti e piani industriali.

Incentivi fiscali e vantaggi

Uno dei punti di forza della Legge 76/2025 è la creazione di una cornice di vantaggi fiscali tangibili per le imprese che adottano modelli di partecipazione attiva dei lavoratori. L’obiettivo è duplice: da un lato, promuovere una governance più inclusiva; dall’altro, sostenere concretamente chi investe nel benessere e nella motivazione del personale.

Tra i principali incentivi previsti:

  • Imposta sostitutiva agevolata sui premi di partecipazione agli utili: per tutto il 2025, le imprese che riconoscono ai dipendenti una quota pari almeno al 10% degli utili, possono applicare un’imposta sostitutiva agevolata fino a un massimo di 5.000 euro annui per lavoratore (art. 5). Si tratta di un beneficio fiscale non trascurabile, in grado di ridurre il costo del lavoro e migliorare la fidelizzazione del personale.

  • Esenzione IRPEF del 50% sui dividendi derivanti da azioni assegnate in sostituzione dei premi di risultato: l’agevolazione, fino a 1.500 euro annui, rende l’azionariato dei dipendenti ancora più interessante (art. 6). Questa misura avvicina l’Italia a modelli europei consolidati, incentivando una partecipazione anche finanziaria alla vita aziendale.

  • Detrazioni e contributi per l’implementazione delle commissioni paritetiche e per l’introduzione di figure interne legate a formazione, inclusione e welfare (artt. 7-8). Tali spese potranno essere dedotte fiscalmente in base a specifici parametri, che verranno stabiliti con decreto attuativo.

Questi strumenti possono rappresentare una leva strategica anche per le PMI e le startup, che spesso dispongono di budget limitati ma puntano su team motivati e flessibili. La possibilità di offrire ai dipendenti partecipazioni agli utili, benefici fiscali e coinvolgimento decisionale può diventare un vantaggio competitivo, oltre che un modo per attrarre talenti e ridurre il turnover.

Come attuare la partecipazione

Attuare i meccanismi di partecipazione dei lavoratori previsti dalla Legge 76/2025 richiede un’attenta pianificazione da parte delle imprese, sia sotto il profilo giuridico che organizzativo. Fortunatamente, la legge fornisce strumenti flessibili e adattabili a diverse tipologie aziendali, con particolare attenzione alle PMI.

Le fasi operative principali includono:

  1. Revisione dello statuto e/o regolamenti aziendali: per introdurre formalmente i meccanismi partecipativi, è spesso necessario aggiornare gli atti societari, inserendo riferimenti a consigli con rappresentanza dei lavoratori o a sistemi di distribuzione degli utili.

  2. Contrattazione collettiva: molte delle forme di partecipazione, soprattutto economica e gestionale, devono essere regolate attraverso accordi collettivi aziendali o territoriali, in collaborazione con le RSU o i sindacati di riferimento.

  3. Creazione di commissioni paritetiche: l’art. 7 prevede l’istituzione di questi organismi, composti in modo bilanciato da rappresentanti dell’azienda e dei lavoratori. Possono occuparsi di innovazione, benessere organizzativo, inclusione e formazione continua.

  4. Implementazione dei piani di azionariato o premi di risultato: con l’ausilio di consulenti del lavoro e fiscalisti, è possibile strutturare piani di incentivazione legati agli utili, beneficiando delle agevolazioni fiscali previste.

Esempio pratico:

Immaginiamo una PMI manifatturiera con 50 dipendenti, che nel 2025 decide di destinare il 12% del proprio utile netto (pari a 500.000 euro) ai lavoratori. Vengono così distribuiti 60.000 euro in forma di premi individuali (1.200 euro a lavoratore), godendo dell’imposta sostitutiva agevolata prevista dall’art. 5. Parallelamente, l’impresa istituisce una commissione paritetica sulla sicurezza e il benessere, ottenendo detrazioni sulle spese di formazione sostenute.

Risultato? Maggiore coinvolgimento dei dipendenti, clima aziendale più sereno, miglioramento della produttività e risparmio fiscale netto stimato del 18% rispetto al regime ordinario. Un circolo virtuoso, sostenuto da norme chiare e vantaggiose.

Criticità, rischi e best practice

Sebbene la Legge 76/2025 offra grandi potenzialità in termini di efficienza, coesione e vantaggi fiscali, la sua applicazione non è priva di sfide. Alcune criticità possono derivare da resistenze culturali, altre da complicazioni operative e contrattuali. Vediamo quindi quali sono i principali rischi da monitorare e le strategie più efficaci per superarli.

Principali criticità:

  • Rigidità contrattuali: la necessità di regolamentare la partecipazione tramite contratti collettivi può allungare i tempi e complicare il processo, specialmente in assenza di rappresentanze sindacali strutturate.

  • Assenza di cultura partecipativa: molte imprese italiane, soprattutto le PMI, non hanno una tradizione di coinvolgimento attivo dei lavoratori. L’introduzione di questi meccanismi può essere vista come una perdita di controllo da parte della direzione.

  • Costi organizzativi iniziali: istituire commissioni, formare rappresentanti, aggiornare statuti e definire piani di premi può comportare costi e carichi gestionali aggiuntivi, almeno nella fase iniziale.

  • Rischio di conflittualità: se non ben gestita, la partecipazione potrebbe creare sovrapposizioni di ruoli o conflitti tra management e rappresentanti dei lavoratori, specie in contesti poco abituati al dialogo strutturato.

Best practice consigliate:

  1. Pianificazione integrata: prima di introdurre qualsiasi meccanismo partecipativo, è essenziale elaborare un piano strategico interno con il supporto di consulenti del lavoro, fiscalisti e legali.

  2. Formazione congiunta: avviare percorsi di formazione specifica sia per i lavoratori che per i dirigenti aziendali. Capire le finalità della legge e i benefici reciproci è il primo passo per un’applicazione efficace.

  3. Comunicazione trasparente: ogni fase del processo partecipativo dovrebbe essere accompagnata da una comunicazione chiara e strutturata, per evitare fraintendimenti e garantire coerenza tra le intenzioni della direzione e le aspettative dei dipendenti.

  4. Adozione progressiva: per le imprese meno strutturate è consigliabile partire da una singola forma di partecipazione, ad esempio quella economica, e poi estendere gradualmente gli strumenti partecipativi.

  5. Monitoraggio continuo: l’introduzione di un sistema di valutazione dei risultati e di feedback continuo aiuta a correggere eventuali disfunzioni e migliora il clima organizzativo nel medio-lungo termine.

Partecipazione in Europa

L’Italia, con l’introduzione della Legge 76/2025, compie un importante passo in avanti nel panorama europeo, colmando un ritardo storico rispetto a Paesi come la Germania e la Francia, dove la partecipazione dei lavoratori è ormai parte integrante della cultura d’impresa. Confrontare i modelli può offrire spunti utili per migliorare l’applicazione italiana e comprenderne le potenzialità evolutive.

Il modello tedesco: la Mitbestimmung

La Mitbestimmung, ovvero la cogestione tedesca, è uno dei sistemi più evoluti al mondo. Nelle grandi imprese tedesche (oltre 2.000 dipendenti), i rappresentanti dei lavoratori occupano la metà dei seggi nel consiglio di sorveglianza. Anche nelle aziende più piccole, esistono forme istituzionalizzate di partecipazione che includono comitati aziendali, consultazioni obbligatorie e diritto di veto su alcune decisioni.

Il vantaggio di questo modello è l’equilibrio tra capitale e lavoro, che ha contribuito alla solidità del sistema industriale tedesco. Tuttavia, la sua rigidità può essere un limite per le PMI o per settori in forte innovazione.

Il sistema francese: consultazione obbligatoria e azionariato diffuso

In Francia, la partecipazione è incentivata sia sotto forma consultiva che economico-finanziaria. Le aziende sopra una certa soglia dimensionale devono costituire comitati aziendali, obbligati ad essere consultati su numerose decisioni strategiche. Inoltre, lo Stato francese ha promosso l’azionariato dei dipendenti attraverso fondi specifici e incentivi fiscali.

Il sistema francese si distingue per un’elevata flessibilità e per il forte ruolo dello Stato come facilitatore, una lezione utile per l’Italia, che ora dovrà tradurre la Legge 76/2025 in pratiche concrete e sostenibili anche per le imprese più piccole.

E l’Italia?

Con questa riforma, l’Italia tenta di sintetizzare i punti di forza dei due modelli: dalla Germania trae ispirazione per il coinvolgimento nella governance, mentre dalla Francia eredita l’attenzione per la partecipazione economica e il ruolo delle commissioni. Tuttavia, molto dipenderà dai decreti attuativi, dalla contrattazione collettiva e dalla volontà concreta delle aziende di investire in questa trasformazione.

Formazione, controllo e sostegno

Affinché la partecipazione dei lavoratori diventi un elemento strutturale e non solo simbolico, la Legge 76/2025 prevede specifici strumenti di supporto istituzionale e finanziario, nonché un forte investimento nella formazione e nella governance condivisa. Questi elementi rappresentano la base operativa su cui potrà svilupparsi un nuovo equilibrio tra lavoratori, imprese e rappresentanze.

Formazione dei rappresentanti: competenze al centro

Uno dei pilastri della riforma è l’obbligo di formazione annuale per i membri delle commissioni paritetiche e per gli amministratori nominati dai lavoratori. L’art. 12 stabilisce un minimo di 10 ore l’anno, che possono essere finanziate tramite strumenti già esistenti come:

  • Fondo Nuove Competenze (per aggiornare le professionalità interne),

  • Enti bilaterali,

  • Fondi interprofessionali.

Questa previsione mira a professionalizzare il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori, superando l’improvvisazione e garantendo un dialogo realmente competente con la direzione aziendale. È anche un modo per rafforzare la qualità delle decisioni condivise.

Commissione nazionale permanente: vigilanza e sviluppo

L’art. 13 istituisce presso il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) una Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori, con tre funzioni chiave:

  1. Risoluzione di controversie interpretative sulla legge e sugli accordi collettivi;

  2. Supporto agli organismi paritetici aziendali, con proposte correttive o orientative;

  3. Monitoraggio e diffusione delle buone pratiche, tramite la redazione di relazioni biennali.

Questa struttura di governance istituzionale rafforza la coerenza e l’efficacia della riforma su scala nazionale.

Un fondo da 70 milioni e l’inclusione delle cooperative

Infine, l’art. 15 prevede la creazione di un fondo da 70 milioni di euro per l’anno 2025, destinato al finanziamento delle misure legate alla partecipazione, comprese la formazione e le agevolazioni fiscali. Un investimento significativo che dimostra l’impegno dello Stato nel sostenere l’attuazione concreta della legge.

Va segnalato anche che l’art. 14 estende, seppur con i necessari adattamenti, l’applicazione della legge alle società cooperative, un passo importante per integrare il tessuto economico italiano in modo più inclusivo e moderno.

PMI

La Legge 76/2025 non si rivolge soltanto alle grandi imprese strutturate, ma presta particolare attenzione anche alle PMI e microimprese, riconoscendo la loro centralità nel sistema produttivo nazionale. Per queste realtà, la partecipazione dei lavoratori può trasformarsi in una leva di innovazione, fidelizzazione e competitività, soprattutto se supportata da strumenti semplici, flessibili e finanziabili.

Un approccio adattabile

A differenza di quanto avviene nei grandi gruppi industriali, dove i modelli di cogestione e governance partecipativa sono più facili da istituzionalizzare, le PMI necessitano di modelli agili e calibrati sulle proprie dimensioni. La legge prevede infatti:

  • La possibilità di coinvolgere enti bilaterali di settore per favorire la partecipazione organizzativa (art. 8);

  • Forme di rappresentanza semplificate e meno burocratiche, con commissioni interne anche informali ma regolamentate;

  • Incentivi economici pensati anche per chi ha meno di 35 lavoratori, proprio per abbattere il primo scoglio organizzativo e finanziario.

I vantaggi per le PMI

Per una PMI, attivare un sistema di partecipazione può generare diversi vantaggi strategici:

  • Riduzione del turnover e maggiore fidelizzazione dei collaboratori;

  • Clima aziendale più sereno, con minori conflitti e migliore gestione dei processi interni;

  • Accesso ad agevolazioni fiscali concrete, come l’imposta sostitutiva agevolata e le esenzioni IRPEF su dividendi;

  • Miglioramento della reputazione aziendale, anche in ottica ESG (ambientale, sociale e di governance), fattore sempre più determinante per attrarre investitori e nuovi clienti.

Un’occasione per crescere insieme

Spesso le PMI italiane faticano ad attrarre risorse umane qualificate a causa della concorrenza delle grandi aziende. L’introduzione di strumenti partecipativi, con il supporto degli incentivi previsti dalla Legge 76/2025, può rappresentare una svolta culturale e gestionale, che permette di costruire un ambiente di lavoro più attrattivo, moderno e orientato alla crescita condivisa.

Conclusioni

La Legge 76/2025 rappresenta molto più di una semplice riforma normativa: è una trasformazione strutturale del modello di impresa italiana, che introduce un meccanismo organico e incentivato di partecipazione dei lavoratori alla vita economica e gestionale delle aziende. Non si tratta di un obbligo, ma di una grande opportunità, che le imprese lungimiranti sapranno cogliere.

Per i lavoratori, il nuovo scenario significa valorizzazione, ascolto, coinvolgimento reale e redistribuzione degli utili. Non solo una retribuzione più equa, ma anche la possibilità di essere parte attiva nelle decisioni strategiche che orientano il futuro dell’azienda.

Per le imprese, in particolare per le PMI, la partecipazione diventa una leva competitiva, utile per:

  • Migliorare il clima interno e ridurre il turnover;

  • Rafforzare la reputazione aziendale;

  • Accedere a vantaggi fiscali e contributivi immediati;

  • Innescare un ciclo virtuoso di produttività, innovazione e sostenibilità.

Tutto ciò è reso possibile grazie a una struttura normativa flessibile ma solida, sostenuta da fondi dedicati, formazione obbligatoria e un sistema di monitoraggio nazionale. Resta ora alle imprese e alle rappresentanze dei lavoratori il compito di attuare la legge in modo concreto, intelligente e adattato alle specificità del proprio contesto produttivo.

Chi saprà muoversi per primo potrà anticipare il cambiamento, trasformando la partecipazione in un vantaggio strategico e fiscale misurabile.

IVA 5% sui DPI: quando si applica l’agevolazione e come evitare errori fiscali

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Covid-19, coronavirus disease, healthcare workers concept. Close-up of confident, professional female doctor put on personal protective equipment and rubber gloves to examine patient.

Mascherine, guanti, tute e visiere: simboli della pandemia, ma anche strumenti oggi più che mai indispensabili in molti settori lavorativi. A distanza di anni dall’emergenza sanitaria da COVID-19, una domanda resta aperta: è ancora possibile applicare l’aliquota IVA agevolata del 5% ai dispositivi di protezione individuale (DPI) ceduti alle aziende? E soprattutto, a quali condizioni?

Una recente risposta dell’Agenzia delle Entrate rilancia il tema e scioglie ogni dubbio: sì, l’agevolazione è ancora valida, ma solo se i DPI vengono impiegati per finalità sanitarie e preventive, in coerenza con la normativa sulla sicurezza sul lavoro. Un chiarimento importante, che coinvolge migliaia di imprese attive nel commercio e nella distribuzione di articoli antinfortunistici e che apre le porte a nuove strategie di risparmio fiscale perfettamente legali.

In questo articolo analizzeremo la normativa di riferimento, i chiarimenti ufficiali, le implicazioni pratiche e i rischi legati a una gestione errata dell’aliquota. Esamineremo anche esempi reali di applicazione corretta e un confronto con quanto avviene nel resto d’Europa.

IVA agevolata al 5% sui DPI

Nel panorama fiscale italiano, l’aliquota IVA ridotta al 5% sui dispositivi di protezione individuale (DPI) si conferma una misura di grande rilevanza, soprattutto per le aziende impegnate nella tutela della salute dei propri lavoratori. Inizialmente introdotta in via temporanea per far fronte all’emergenza sanitaria da COVID-19, questa agevolazione è oggi oggetto di ulteriori chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, che ne estende l’applicabilità anche in situazioni lavorative ordinarie.

Il tema è tornato d’attualità grazie alla risposta a interpello n. 197 del 2024, con cui l’Agenzia delle Entrate ribadisce che l’IVA al 5% resta applicabile anche dopo la pandemia, a patto che i DPI siano ceduti con la finalità di garantire la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 81/2008. Mascherine, guanti, visiere protettive e altri strumenti, se distribuiti ai dipendenti per adempiere agli obblighi di sicurezza sul lavoro, beneficiano quindi ancora di questa aliquota ridotta.

Questa conferma risponde a un’esigenza pratica delle imprese: avere certezza sull’inquadramento fiscale delle forniture di DPI, non solo in contesto sanitario, ma anche industriale, commerciale e logistico. Un punto cruciale, soprattutto per i datori di lavoro che affrontano costi ricorrenti legati alla protezione del personale, e che ora possono continuare a pianificare l’approvvigionamento di questi materiali beneficiando di un trattamento fiscale favorevole.

Normativa e chiarimenti

Il cuore della questione nasce dal Decreto Rilancio (DL 34/2020), che ha inserito una misura fiscale straordinaria nella Tabella A, Parte II-bis, del DPR 633/72, prevedendo l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta al 5% per una serie di beni destinati al contenimento dell’emergenza sanitaria da COVID-19. Tra questi rientrano dispositivi di protezione individuale (DPI) e dispositivi medici (DM) come guanti, tute protettive, mascherine, calzari, visiere e simili, a patto che siano provvisti di marcatura CE e rispondano alle caratteristiche previste dalle normative di settore.

A sollevare il quesito all’Agenzia delle Entrate è una società che opera nel commercio all’ingrosso di articoli antinfortunistici, la quale distribuisce DPI a una platea molto ampia: aziende della grande distribuzione, rivenditori e clienti di diversi settori. Il dubbio nasce dal fatto che l’agevolazione era stata introdotta in un contesto emergenziale — ormai superato — e che i chiarimenti ufficiali erano stati rilasciati proprio durante la fase critica della pandemia.

La domanda principale è se l’aliquota del 5% sia ancora applicabile anche dopo la fine dell’emergenza, specie in casi in cui i DPI vengano ceduti non esclusivamente per uso sanitario, ma anche per finalità operative o preventive nei luoghi di lavoro. Un ulteriore interrogativo riguarda la possibilità che la destinazione sanitaria possa essere attestata da una dichiarazione dell’acquirente, al fine di legittimare l’uso dell’aliquota ridotta.

Agenzia delle Entrate

Nella risposta all’interpello n. 197/2024, l’Agenzia delle Entrate chiarisce in modo puntuale che l’aliquota IVA del 5% è tuttora applicabile anche in assenza di un’emergenza sanitaria formale, purché siano soddisfatti precisi requisiti oggettivi e funzionali. Il principio guida è che i beni interessati — come mascherine, guanti, tute, visiere — devono avere le caratteristiche tecniche per essere considerati DPI o DM, ed essere utilizzati con una finalità sanitaria, cioè per la prevenzione del contagio da virus o agenti patogeni.

In questo contesto, l’Agenzia ribadisce che non è rilevante il soggetto che cede o acquista i beni, né lo stadio della filiera (dal produttore al dettagliante). Ciò che conta è l’idoneità oggettiva del bene a svolgere una funzione protettiva, finalizzata alla tutela della salute. Questo approccio consente di mantenere l’agevolazione anche nelle cessioni alle aziende della GDO, ai grossisti e ad altri soggetti operanti in ambiti non sanitari, ma comunque potenzialmente esposti a rischi biologici o impegnati nella protezione dei propri dipendenti.

Importante anche il riferimento alla circolare n. 26/E del 2020, che stabilisce che i beni agevolabili devono rientrare nell’elenco tassativo dei codici doganali individuati dall’ADM (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), specificati e aggiornati da documenti successivi, come la circolare n. 5/D del 2023. Se un bene è incluso in questi elenchi ed è impiegato per finalità protettive, l’aliquota agevolata è applicabile per tutta la filiera commerciale.

Finalità sanitaria

Uno degli aspetti più rilevanti per gli operatori economici che commercializzano DPI è come dimostrare la finalità sanitaria dell’impiego dei beni, soprattutto quando i clienti finali potrebbero utilizzarli sia per esigenze di sicurezza sul lavoro sia per altri fini. Su questo punto, la società istante ha chiesto chiaramente se fosse sufficiente una dichiarazione dell’acquirente, con la quale si attesta che i prodotti acquistati saranno destinati alla protezione sanitaria dei dipendenti.

L’Agenzia delle Entrate, pur non escludendo la possibilità di ricorrere a una dichiarazione come elemento probatorio, ha precisato che la finalità sanitaria non è un requisito soggettivo, bensì oggettivo: conta l’idoneità tecnica del bene a prevenire la diffusione di virus, come previsto dalla normativa sui DPI e dai codici doganali aggiornati. In altre parole, non serve che vi sia un utilizzo effettivo in ambito sanitario, ma che il bene abbia le caratteristiche tecniche per essere utilizzato a tal fine.

Tuttavia, in caso di controlli, la dichiarazione dell’acquirente può costituire un utile supporto documentale per confermare che la cessione è avvenuta con l’intento di rispettare le normative di sicurezza e prevenzione. Le Entrate fanno anche riferimento al principio già espresso nella circolare ADM n. 45/2020: salvo prova contraria, si può ritenere soddisfatto il requisito della destinazione sanitaria quando non emerga in modo chiaro e univoco il contrario. Questa interpretazione garantisce una certa flessibilità operativa e tutela i fornitori da contestazioni ingiustificate.

Agevolazione IVA

Uno dei dubbi più diffusi tra le aziende è se l’agevolazione IVA del 5% sui DPI, prevista inizialmente per il contenimento del COVID-19, sia ancora applicabile in un contesto in cui l’emergenza sanitaria è ufficialmente terminata. L’Agenzia delle Entrate, nella sua risposta all’interpello, risponde in modo chiaro: l’aliquota ridotta continua ad applicarsi, in quanto nessuna disposizione normativa ha abrogato o modificato l’articolo 124 del DL 34/2020.

Nonostante la pandemia sia stata declassata e molte delle misure straordinarie siano cessate, né il legislatore nazionale né quello europeo hanno introdotto modifiche alla norma che disciplina l’IVA agevolata per i beni “sanitari”. Al contrario, la circolare ADM n. 5/D del 14 febbraio 2023 ha aggiornato l’elenco dei prodotti agevolabili e i relativi codici doganali, confermando l’intento di mantenere l’efficacia dell’agevolazione anche in un contesto post-emergenziale.

Questo orientamento rispecchia un mutamento culturale nelle prassi aziendali: la tutela della salute nei luoghi di lavoro è diventata una priorità trasversale, non più limitata a situazioni di emergenza. Le imprese continuano a dotarsi volontariamente di DPI per proteggere il personale, non solo da agenti patogeni, ma anche da contaminazioni e rischi ambientali.

Di conseguenza, l’aliquota agevolata si configura non come una deroga temporanea, ma come una misura strutturale, in linea con l’evoluzione delle normative sulla sicurezza e la prevenzione. Ciò rappresenta un vantaggio economico non trascurabile per le aziende, che possono pianificare approvvigionamenti e budget in modo più efficiente, godendo di un regime IVA più favorevole.

Vantaggi fiscali

Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate ha un impatto diretto e concreto sulla gestione fiscale e operativa delle aziende che producono, distribuiscono o acquistano dispositivi di protezione individuale. In particolare, la conferma della validità dell’aliquota IVA del 5% per i DPI utilizzati a scopo sanitario rappresenta un’opportunità da sfruttare con attenzione.

Per le aziende fornitrici, significa poter continuare a offrire prodotti essenziali alla sicurezza sul lavoro con un trattamento fiscale agevolato lungo tutta la filiera, dal produttore al consumatore finale. Questo può tradursi in prezzi più competitivi, maggiore appetibilità commerciale e un vantaggio fiscale diretto per gli acquirenti. Dal punto di vista operativo, è fondamentale che i fornitori conservino adeguata documentazione, come la marcatura CE dei prodotti e, se disponibile, la dichiarazione dell’acquirente che attesti la destinazione sanitaria dei beni.

Per le aziende acquirenti, invece, il vantaggio consiste nella possibilità di contenere i costi per l’acquisto di dispositivi obbligatori o fortemente consigliati per la tutela della salute dei dipendenti. Tale risparmio, unito al rispetto delle normative previste dal Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), contribuisce al miglioramento dell’ambiente di lavoro e alla riduzione del rischio di sanzioni per mancata protezione del personale.

Infine, a livello di compliance fiscale, le imprese devono prestare attenzione alla corretta classificazione doganale dei beni e alla loro riconducibilità all’elenco aggiornato delle voci agevolate, al fine di evitare contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria. La strategia ideale consiste in un’accurata verifica della documentazione tecnica e fiscale, oltre che nella formazione continua del personale contabile su questi aspetti.

Esempi pratici

Per comprendere concretamente come applicare l’aliquota IVA del 5% in modo conforme, è utile esaminare alcuni casi aziendali reali o esemplificativi che mostrano le buone pratiche adottate da imprese operanti nella distribuzione e fornitura di dispositivi di protezione individuale.

Un primo esempio riguarda un grossista di abbigliamento tecnico e antinfortunistico che fornisce tute protettive e guanti in nitrile a catene della GDO. L’azienda, in fase di cessione, allega alla fattura copia delle schede tecniche con riferimenti ai codici doganali riconosciuti dalla circolare ADM 5/D del 2023. Inoltre, per i clienti più strutturati, raccoglie una dichiarazione scritta sulla destinazione sanitaria del prodotto (es. “utilizzo interno per la protezione del personale addetto alla logistica”). Questo permette di dimostrare la congruità della scelta fiscale in caso di verifica.

Un altro caso riguarda un’azienda manifatturiera che acquista mascherine FFP2 da un fornitore nazionale. Queste mascherine sono impiegate nei reparti produttivi a contatto con sostanze volatili e polveri sottili, ma anche per la prevenzione sanitaria. In sede di controllo, l’impresa dimostra la corretta applicazione dell’IVA agevolata allegando il DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) che prevede l’uso obbligatorio di DPI certificati CE, nonché l’elenco degli articoli ordinati con codice TARIC e la relativa marcatura.

Infine, un distributore online di DPI ha predisposto un sistema di etichettatura interna per distinguere i prodotti agevolabili da quelli con aliquota ordinaria, evitando errori automatici nel calcolo dell’IVA durante la fatturazione. Questo sistema informatizzato riduce notevolmente il rischio di contestazioni e rende il processo più trasparente.

IVA sui DPI in Europa

La disciplina IVA applicata ai dispositivi di protezione individuale ha subito, in tutta l’Unione Europea, significative modifiche durante la pandemia da COVID-19. Tuttavia, l’evoluzione normativa nei vari Paesi è stata disomogenea, con approcci differenti tra chi ha mantenuto aliquote agevolate e chi le ha revocate al termine dell’emergenza sanitaria. In questo contesto, l’Italia si distingue per aver mantenuto in vigore l’aliquota ridotta del 5%, confermandola anche dopo la fine dell’emergenza.

In Germania, ad esempio, nel 2020 era stata prevista l’esenzione temporanea dall’IVA per dispositivi medici e DPI, ma tale misura è stata interrotta nel 2021, con il ritorno all’aliquota ordinaria (attualmente al 19%). Una dinamica simile si è verificata in Francia, dove l’aliquota era stata ridotta al 5,5% per le mascherine e i gel igienizzanti, ma oggi molte tipologie di DPI sono nuovamente soggette all’aliquota normale del 20%.

In Spagna, invece, è stata prorogata più volte l’aliquota ridotta al 4% per mascherine chirurgiche, ma la misura si è limitata a pochi prodotti sanitari ben definiti e con durata temporanea. Anche in Paesi Bassi e Belgio, le agevolazioni hanno avuto carattere eccezionale e sono state ritirate una volta superato il picco pandemico.

L’Italia, mantenendo l’agevolazione al 5% sui DPI anche post-Covid, adotta un approccio più stabile e strutturale, basato sull’idoneità tecnica dei prodotti e sull’oggettiva finalità sanitaria. Questo offre certezza normativa agli operatori economici, favorendo anche la competitività delle imprese italiane nel commercio intra-UE. Tuttavia, impone al tempo stesso un rigoroso rispetto delle regole documentali e doganali.

Conclusione 

L’applicazione dell’aliquota IVA al 5% sui DPI rappresenta una delle agevolazioni fiscali più significative ancora in vigore nel contesto post-pandemico. La recente conferma dell’Agenzia delle Entrate ribadisce l’intento del legislatore di promuovere la sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso un beneficio fiscale tangibile, esteso non solo al settore sanitario ma anche a tutte quelle aziende che, con responsabilità, adottano misure di prevenzione.

Tuttavia, questa opportunità non è priva di insidie. È fondamentale conoscere con precisione i requisiti tecnici, doganali e documentali dei beni coinvolti, per evitare errori che potrebbero tradursi in sanzioni economiche rilevanti. Non basta che il prodotto “assomigli” a un DPI: deve essere certificato, marcato CE e destinato a finalità sanitarie, anche solo potenziali.

Per imprenditori, responsabili acquisti, uffici fiscali e commercialisti, si tratta di una tematica da gestire con approccio tecnico e strategico, supportati da consulenze professionali e aggiornamento costante. Un’agevolazione così concreta, se sfruttata correttamente, può fare la differenza nella pianificazione fiscale e nella competitività dell’impresa, sia sul mercato italiano che in ambito europeo.

Se operi nel commercio, nella distribuzione o nell’acquisto di DPI, questo è il momento giusto per verificare la corretta applicazione dell’IVA agevolata, aggiornare le procedure interne e proteggere i tuoi margini. Noi di Commercialista.it siamo al tuo fianco per aiutarti a farlo in modo sicuro, conforme e vantaggioso.

Contributi Agricoli e Contratto di Soccida: le nuove istruzioni INPS 2025

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Agriculturist utilize the core data network in the Internet from the mobile to validate, test, and select the new crop method. Young farmers and tobacco farming

Nel mondo agricolo, il contratto di soccida rappresenta una forma tradizionale di collaborazione, in particolare nel settore zootecnico. Tuttavia, la sua applicazione ha spesso generato dubbi e contenziosi in ambito fiscale e previdenziale. Con la circolare n. 94 del 24 maggio 2025, l’INPS introduce un vero e proprio giro di vite, chiarendo requisiti, controlli e criteri per accedere alle agevolazioni contributive agricole.

La nuova disciplina punta a distinguere le realtà agricole autentiche da quelle che utilizzano impropriamente la soccida come strumento elusivo, soprattutto nei casi di “soccida monetizzata” o di conferimenti privi di sostanza economica. Tra i principali obiettivi c’è quello di garantire un trattamento equo e trasparente per chi opera in buona fede e secondo le regole, premiando la tracciabilità, l’autoproduzione e l’effettiva mutualità tra le parti contrattuali.

In questo articolo troverai un’analisi approfondita delle novità INPS 2025, le implicazioni per imprese e cooperative, le istruzioni pratiche per evitare rischi, e un confronto con altri modelli contrattuali nel settore agricolo. Un contenuto indispensabile per chi vuole mantenere i benefici contributivi e operare in sicurezza, senza incorrere in riclassificazioni o sanzioni.

Inquadramento previdenziale

Uno dei punti chiave introdotti dalla circolare INPS n. 94/2025 riguarda la corretta qualificazione previdenziale delle imprese che impiegano il contratto di soccida, in particolare nell’ambito dell’allevamento zootecnico. Il tema centrale è la distinzione tra attività agricola in senso proprio – che consente l’inquadramento nella Gestione Contributiva Agricola – e attività commerciale, che comporta invece l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti (ex Gestione DM). Tale distinzione non è meramente formale, ma ha impatti significativi in termini di aliquote contributive, accesso alle agevolazioni per zone montane o svantaggiate e controlli ispettivi.

La circolare richiama espressamente l’art. 2135 del Codice Civile e il D.Lgs. n. 228/2001, che definiscono l’imprenditore agricolo come colui che esercita attività dirette alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento di animali o attività connesse, purché si tratti di autoproduzione. In tal senso, la condizione di “prevalenza” dei prodotti derivanti dall’attività aziendale rispetto a quelli acquistati da terzi diventa determinante. L’INPS ha rilevato – in occasione di controlli e ispezioni – situazioni in cui il contratto di soccida veniva utilizzato strumentalmente per celare operazioni di compravendita di animali, facendo quindi decadere il requisito dell’autoproduzione.

La circolare chiarisce inoltre che, qualora gli accordi rispettino fedelmente quanto previsto dagli articoli 2178, 2181 e 2184 del Codice Civile – che regolano i diritti e i doveri delle parti nella soccida – la produzione risultante non può essere considerata come “acquisita dal mercato”. In tal caso, si mantiene l’inquadramento agricolo e si evitano rischi di riclassificazione. Si tratta di un passaggio cruciale per tutelare il diritto alle agevolazioni e prevenire contenziosi con l’ente previdenziale.

Agevolazioni

Un altro ambito rilevante interessato dalle istruzioni INPS riguarda le cooperative agricole e i loro consorzi, che da sempre rappresentano una parte fondamentale della filiera agroalimentare italiana, soprattutto nelle aree rurali e montane. La circolare n. 94/2025 interviene chiarendo l’applicazione concreta di norme pregresse, in particolare l’art. 2 della Legge n. 240/1984 e l’art. 9, comma 5, della Legge n. 67/1988, che prevedono agevolazioni contributive per le cooperative che trasformano prodotti agricoli conferiti da soci attivi in zone svantaggiate.

Secondo la nuova interpretazione, per accedere a tali benefici è imprescindibile che i prodotti provengano da un’attività agricola autentica e documentabile del socio conferente. La circolare specifica che anche nel caso di utilizzo del contratto di soccida – purché non si tratti di una “soccida monetizzata” con finalità meramente commerciali – si può conservare il diritto alle riduzioni contributive. Il requisito fondamentale è che la produzione avvenga nell’ambito di un ciclo associato e non mediante un semplice acquisto di bestiame o materie prime.

Inoltre, la trasformazione deve essere materialmente svolta dalla cooperativa: non è sufficiente la provenienza da zona svantaggiata. Questo passaggio evita che vengano indebitamente richieste agevolazioni su prodotti di terzi o non effettivamente lavorati dal soggetto beneficiario. L’INPS, infine, ha incaricato le proprie sedi territoriali di riesaminare i contenziosi già in atto, al fine di valutare, alla luce dei nuovi chiarimenti, eventuali annullamenti in autotutela di provvedimenti di riclassificazione o richieste di contributi non coerenti con la normativa.

Requisiti e agevolazioni

Per agevolare la comprensione e l’applicazione delle nuove istruzioni INPS, è fondamentale ricorrere a una sintesi operativa che aiuti imprese, cooperative e professionisti a identificare rapidamente il corretto inquadramento previdenziale e la possibilità di beneficiare delle agevolazioni contributive. La circolare INPS n. 94/2025 fornisce infatti un vero e proprio schema di interpretazione che ruota attorno a due concetti chiave: prevalenza dell’attività agricola effettiva e comportamento conforme al contratto di soccida.

1. Imprese agricole (soccida semplice o parziaria)

Le imprese che adottano contratti di soccida devono dimostrare che la produzione proviene da cicli aziendali interni, e che il bestiame non è stato acquistato da terzi ma deriva da un’attività associata. Il rispetto degli articoli 2178, 2181 e 2184 del Codice Civile garantisce la qualifica agricola e l’inquadramento nella Gestione Contributiva Agricola, evitando il passaggio alla più onerosa Gestione Commercianti (DM).

2. Cooperative agricole

Le cooperative possono beneficiare delle riduzioni contributive se i prodotti lavorati provengono prevalentemente dai soci attivi e sono trasformati direttamente. Anche in caso di soccida monetizzata, la condizione essenziale è che il conferimento sia reale e derivante da attività agricola svolta dal socio in zone montane o svantaggiate.

3. Soccida monetizzata

In questo caso non vi è scambio in natura ma solo liquidazione in denaro. Se il contratto è rispettato correttamente, non si configura un acquisto di mercato e non si perde la qualifica agricola, né si incide negativamente sulle agevolazioni.

4. Soccida con conferimento di pascolo

Trattandosi di un rapporto più simile a uno scambio commerciale che associativo, questa forma contrattuale può portare alla perdita del requisito di prevalenza, compromettendo le agevolazioni per le zone svantaggiate.

Verifiche e rischi

Uno dei temi più rilevanti introdotti dalla circolare INPS n. 94/2025 è il rafforzamento delle attività di controllo e la maggiore attenzione alla coerenza sostanziale tra forma contrattuale dichiarata e comportamento effettivo delle parti.

L’Istituto sottolinea infatti che la sola esistenza formale di un contratto di soccida non è sufficiente per ottenere o mantenere i benefici contributivi previsti dalla normativa agricola.

È necessario che la collaborazione tra soccidante e soccidario sia concretamente attuata secondo le previsioni civilistiche, e che l’attività agricola venga documentata con precisione.

Nel dettaglio, le sedi territoriali INPS sono tenute a verificare:

  • La tracciabilità del bestiame, inclusa l’origine e la gestione zootecnica interna all’azienda;

  • La presenza di scritture private regolarmente sottoscritte e datate, coerenti con le pratiche aziendali;

  • La congruenza tra i movimenti economici e i dati dichiarati nei registri contabili e zootecnici;

  • La documentazione comprovante l’effettiva trasformazione dei prodotti, in caso di cooperative.

Nel caso in cui emergano discrepanze sostanziali, l’INPS può procedere a:

  • Riclassificazione dell’impresa con passaggio forzato alla Gestione Commercianti (con aliquote più elevate);

  • Recupero dei contributi non versati, anche per annualità precedenti, con applicazione di sanzioni e interessi;

  • Revoca delle agevolazioni per le zone montane o svantaggiate.

Tali rischi impongono un’attenta revisione delle pratiche contrattuali in essere e una puntuale predisposizione della documentazione a supporto dell’attività agricola svolta. In questa fase, il ruolo del commercialista e del consulente del lavoro è cruciale per prevenire contestazioni e tutelare la posizione previdenziale dell’azienda.

Strategie di adeguamento

Le nuove istruzioni dell’INPS non vanno lette solo in chiave sanzionatoria, ma anche come un’occasione per le imprese agricole e le cooperative di rivedere i propri processi, contratti e sistemi documentali in modo da consolidare la propria posizione previdenziale e usufruire in sicurezza delle agevolazioni previste. In questo senso, è fondamentale adottare un approccio preventivo, strutturato e consapevole.

La prima azione da intraprendere è una revisione completa dei contratti di soccida attivi, con l’assistenza di un commercialista esperto in diritto agrario.

Occorre verificare che:

  • il contratto sia redatto in modo conforme agli articoli del Codice Civile;

  • vi sia una chiara divisione dei compiti tra soccidante e soccidario;

  • il bestiame oggetto del contratto sia effettivamente gestito in forma associata e non acquistato da terzi.

Successivamente, bisogna rafforzare la documentazione di supporto, predisponendo:

  • registri zootecnici aggiornati (movimentazioni, nascite, vendite);

  • documenti fiscali coerenti con le attività agricole (fatture, quietanze, schede di stalla);

  • dichiarazioni e scritture private firmate da entrambe le parti.

Per le cooperative, è altrettanto importante mantenere tracciabilità dell’intero ciclo di trasformazione, dimostrando che il prodotto è effettivamente conferito da soci attivi, coltivato o allevato in zone svantaggiate e non semplicemente acquistato da operatori terzi.

Infine, è utile formare il personale amministrativo e attivare audit interni periodici, soprattutto in vista di eventuali ispezioni INPS. Questo approccio consente non solo di evitare errori, ma anche di ottimizzare la posizione fiscale e previdenziale dell’impresa, nel pieno rispetto della legalità.

Soccida semplice vs parziaria

Nel panorama normativo agricolo italiano, la soccida rappresenta un istituto contrattuale ancora oggi molto diffuso, soprattutto in ambito zootecnico. Tuttavia, la distinzione tra soccida semplice e soccida parziaria ha rilevanza non solo civilistica, ma anche previdenziale. Comprenderne le differenze è fondamentale per applicare correttamente le istruzioni INPS 2025 e non incorrere in errori che potrebbero costare caro all’impresa.

Soccida semplice

Regolata dall’art. 2170 del Codice Civile, prevede che il soccidante (di norma il proprietario del bestiame) affidi gli animali al soccidario, che provvede alla cura e alla gestione. Il soccidario riceve una parte dei prodotti (come latte o lana) o degli utili derivanti dalla vendita del bestiame. In questo schema, i beni restano formalmente di proprietà del soccidante, e non vi è una vera e propria comunione di mezzi.

Dal punto di vista previdenziale, questa forma è spesso utilizzata per mascherare un’attività commerciale travestita da agricola. Ed è proprio in questi casi che l’INPS ha effettuato controlli serrati, riclassificando l’impresa nella Gestione DM.

Soccida parziaria

È una forma più “forte” di associazione (art. 2172 c.c.), in cui entrambi i soggetti apportano beni o lavoro e condividono utili e rischi. Si tratta di una collaborazione più autentica e bilanciata, spesso considerata più coerente con la qualifica di impresa agricola, anche ai fini dell’inquadramento contributivo.

Secondo la circolare INPS 94/2025, se il contratto è rispettato nella sostanza e nella forma, la soccida parziaria può continuare a beneficiare delle agevolazioni contributive agricole, essendo considerata parte integrante dell’autoproduzione aziendale.

Giurisprudenza e casi concreti

La corretta applicazione del contratto di soccida è stata oggetto, nel corso degli anni, di numerosi contenziosi tra aziende agricole e INPS. La casistica è ampia e spesso la differenza tra inquadramento agricolo o commerciale si è giocata sulla prova sostanziale del comportamento effettivo delle parti, come richiamato anche dalla circolare INPS n. 94/2025. In tale contesto, la giurisprudenza ha avuto un ruolo determinante nel fissare alcuni principi consolidati.

Uno dei temi più dibattuti riguarda il carattere associativo del contratto: quando mancano la comunione d’intenti e la condivisione effettiva dei rischi e degli utili, molti giudici hanno ritenuto invalida la qualificazione agricola. In particolare, si ricordano diverse pronunce in cui la soccida veniva usata formalmente, ma il bestiame era acquistato da terzi e il soccidario si comportava come un dipendente mascherato. In tali casi, i giudici hanno dato ragione all’INPS, confermando la riclassificazione nella Gestione Commercianti.

Interessante è anche la posizione della Cassazione, che ha chiarito (es. sentenza n. 23504/2017) che “l’onere della prova del carattere agricolo dell’attività grava sul contribuente”. In assenza di documentazione e dimostrazione di un’autentica attività mutualistica, le agevolazioni decadono.

Al contrario, sono state confermate in alcuni casi le agevolazioni per cooperative o aziende che dimostravano:

  • tracciabilità del bestiame;

  • esecuzione del contratto secondo le regole codicistiche;

  • conferimento effettivo dei prodotti da parte di soci attivi.

Questi precedenti confermano quanto sia importante una documentazione solida, coerente e verificabile. Non basta dichiarare, occorre provare.

Quale contratto scegliere?

Nel contesto dell’attività agricola, soprattutto nel settore zootecnico, la scelta della forma contrattuale può incidere profondamente non solo sull’operatività aziendale, ma anche sull’accesso alle agevolazioni previdenziali e fiscali. La soccida è solo una delle molte opzioni a disposizione degli imprenditori agricoli, e va valutata attentamente rispetto ad alternative come il comodato, l’affitto agrario o l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro o capitali.

Soccida

È un contratto associativo, disciplinato dal Codice Civile, in cui due soggetti collaborano per l’allevamento di animali, condividendo utili e rischi. È indicata nei casi in cui si voglia instaurare una relazione mutualistica, ma richiede un’attenta gestione documentale e contrattuale per non perdere la qualifica agricola.

Affitto agrario

Regolato dalla Legge n. 203/1982, è molto usato per la conduzione di fondi rustici. L’affittuario paga un canone, assume i rischi e gestisce autonomamente l’azienda. È un contratto più semplice da gestire rispetto alla soccida, ma non consente di “spartire” gli utili con il concedente.

Comodato d’uso gratuito

Spesso usato tra familiari o tra soci di cooperative. Consente di cedere gratuitamente l’uso di terreni o strutture. Attenzione: se utilizzato impropriamente per mascherare attività commerciali, può essere contestato dall’INPS o dall’Agenzia delle Entrate.

Associazione in partecipazione

Prevista dall’art. 2549 c.c., può essere utilizzata anche in agricoltura, ma è vista con cautela dagli enti ispettivi. Il rischio è che venga assimilata a rapporti di lavoro subordinato, con conseguenti obblighi contributivi.

Conclusione operativa

La soccida resta una soluzione valida, soprattutto in zootecnia, ma solo se gestita in modo trasparente, documentato e in linea con la prassi agricola. In alternativa, è fondamentale valutare attentamente i benefici e i rischi degli altri modelli contrattuali, anche con il supporto di un commercialista esperto in fiscalità agricola.

Checklist operativa

A seguito della pubblicazione della circolare n. 94/2025, è fondamentale che le imprese agricole, le cooperative e i professionisti del settore si dotino di strumenti concreti per assicurare la piena conformità alle nuove regole INPS e mantenere i vantaggi contributivi previsti. Di seguito, una checklist operativa utile per verificare il rispetto delle condizioni chiave:

Contratto di soccida

  • È redatto in forma scritta e registrata?

  • Rispettano entrambi i soggetti le disposizioni degli articoli 2178, 2181 e 2184 c.c.?

  • È chiara la suddivisione di utili, prodotti e rischi?

Bestiame e produzione

  • Il bestiame è effettivamente allevato in azienda e non acquistato da terzi?

  • È tracciabile l’origine degli animali nel registro zootecnico?

  • I prodotti derivano da attività interna e non da acquisti esterni?

Documentazione e registri

  • Esiste corrispondenza tra movimenti zootecnici e contabili?

  • Sono presenti le fatture, ricevute e scritture giustificative coerenti con l’attività agricola?

  • Le scritture private sono firmate da entrambe le parti e aggiornate?

Cooperative e consorzi

  • I prodotti sono effettivamente conferiti da soci attivi?

  • La trasformazione è realizzata internamente alla cooperativa?

  • La zona di provenienza rientra tra quelle montane o svantaggiate secondo la normativa?

Aspetti fiscali e previdenziali

  • L’impresa è correttamente inquadrata nella Gestione Contributiva Agricola?

  • Sono state effettuate verifiche ispettive negli ultimi 5 anni?

  • Esiste un piano di audit interno o un controllo periodico dei contratti attivi?

Questa lista, se accompagnata da una consulenza qualificata, consente di prevenire errori, evitare riclassificazioni dannose e difendere in modo solido l’accesso ai benefici INPS. In un contesto normativo in continuo cambiamento, la prevenzione è la vera forma di risparmio fiscale.

Conclusione

Le istruzioni fornite dall’INPS con la circolare n. 94/2025 rappresentano un momento di svolta per le imprese zootecniche e le cooperative agricole che fanno uso del contratto di soccida. L’obiettivo dell’Istituto è duplice: da un lato, prevenire abusi nell’uso di uno strumento contrattuale storicamente diffuso, dall’altro, garantire equità nell’accesso alle agevolazioni contributive, riservate a chi opera in modo trasparente, tracciabile e conforme alla normativa.

Per le aziende corrette e strutturate, si aprono nuove opportunità: mantenere l’inquadramento nella Gestione Agricola, ottenere riduzioni per le zone svantaggiate, evitare riclassificazioni e contenziosi. Tuttavia, il rischio di perdere questi benefici è concreto per chi opera senza una documentazione adeguata o con contratti di facciata.

La parola d’ordine è prevenzione: dotarsi di consulenza esperta, redigere i contratti in modo corretto, mantenere i registri aggiornati e rispondere con prontezza a eventuali ispezioni. In un sistema agricolo sempre più complesso e controllato, affidarsi a professionisti specializzati in fiscalità agricola è la strategia vincente per trasformare un obbligo in un vantaggio competitivo.

Estromissione agevolata immobili: scadenza al 31 maggio 2025

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Il 31 maggio 2025 rappresenta una data cruciale per gli imprenditori individuali: scade infatti il termine per beneficiare dell’estromissione agevolata degli immobili strumentali. Parliamo di una misura prevista dalla Legge di Bilancio 2024, che consente di trasferire beni immobili strumentali dal patrimonio dell’impresa a quello personale dell’imprenditore, a condizioni fiscali fortemente vantaggiose.

L’estromissione riguarda sia gli immobili strumentali per natura (come magazzini, laboratori, opifici), sia quelli per destinazione, cioè utilizzati nell’attività d’impresa pur non essendo qualificati formalmente come tali. Il vantaggio? Poter “togliere” l’immobile dalla sfera aziendale senza subire l’ordinaria tassazione sulle plusvalenze realizzate in sede di fuoriuscita dal patrimonio dell’impresa. In pratica, un’uscita agevolata con imposte sostitutive ridotte.

Questa opzione è rivolta esclusivamente alle imprese individuali in attività al 31 ottobre 2023, che risultino titolari degli immobili al 1° gennaio 2024. Il termine del 31 maggio 2025 segna la scadenza per effettuare l’estromissione con comportamento concludente, ad esempio attraverso l’annotazione in contabilità o l’utilizzo privato del bene, purché in modo coerente e documentato.

Ma cosa significa concretamente estromettere un immobile? Quali sono le imposte da pagare? E soprattutto, quali benefici fiscali si possono ottenere rispetto a una normale cessione o dismissione? In questo articolo analizzeremo nel dettaglio i vantaggi, gli adempimenti, le condizioni di accesso e i casi dubbi.

Cos’è

L’estromissione è un’operazione contabile e fiscale che consiste nel trasferimento di un bene (nel nostro caso un immobile) dal patrimonio dell’impresa individuale a quello personale dell’imprenditore. Questo accade, ad esempio, quando un immobile che era stato acquistato e utilizzato per l’attività produttiva non viene più impiegato per tale scopo e l’imprenditore decide di “privatizzarlo”.

Normalmente, questa operazione comporta delle conseguenze fiscali rilevanti: l’estromissione è equiparata a una cessione a titolo oneroso, per cui viene calcolata l’eventuale plusvalenza tra il valore normale del bene e il suo valore contabile. Tale plusvalenza è soggetta alla tassazione IRPEF ordinaria, oltre a IVA e imposte indirette dove applicabili. In pratica, in assenza di regimi agevolati, estromettere un immobile può essere molto costoso.

La legge di Bilancio 2024, tuttavia, ha riproposto un regime di estromissione agevolata, già utilizzato in passato, che permette di effettuare tale operazione con il pagamento di un’imposta sostitutiva ridotta dell’8% (che può salire al 10,5% per soggetti con ricavi superiori a 5 milioni di euro). Non si applica l’IRPEF ordinaria, e sono previste anche semplificazioni ai fini IVA e imposte di registro.

Questo meccanismo consente quindi di trasferire l’immobile nella sfera privata dell’imprenditore con un carico fiscale limitato, liberandosi dell’obbligo di gestirlo come bene d’impresa e migliorando la propria pianificazione patrimoniale e fiscale. È una strategia molto apprezzata, soprattutto in vista di una cessazione o riorganizzazione dell’attività.

Modalità operative e scadenze

Per esercitare correttamente l’estromissione agevolata, l’imprenditore individuale deve agire entro una scadenza improrogabile: il 31 maggio 2025.

Non si tratta di una semplice dichiarazione d’intenti, ma di un vero e proprio comportamento concludente, che deve emergere da un’annotazione contabile.

Più precisamente:

  • per i soggetti in contabilità ordinaria, l’estromissione deve risultare annotata nel libro giornale;

  • per coloro in contabilità semplificata, l’annotazione va fatta nel registro dei beni ammortizzabili.

Con questa semplice registrazione contabile, l’imprenditore segnala che l’immobile è uscito dal patrimonio aziendale ed è passato nella sfera privata. È importante sottolineare che non è necessario alcun atto notarile, in quanto l’immobile resta intestato allo stesso soggetto (l’imprenditore), e non cambia la titolarità civilistica, ma solo la qualificazione fiscale del bene.

L’opzione ha effetto retroattivo al 1° gennaio 2025, anche se esercitata entro il 31 maggio. Questo significa che, dal punto di vista fiscale, l’immobile viene considerato privato per tutto l’anno 2025, e quindi il relativo reddito dovrà essere dichiarato nel quadro RB del modello Redditi PF o nel quadro B del modello 730, come per qualunque altro immobile personale.

Tuttavia, affinché l’estromissione sia considerata effettiva e completata, è necessario indicarla nella dichiarazione dei redditi 2025, specificamente nel quadro RQ del modello Redditi, indicando il valore del bene e calcolando l’imposta sostitutiva. Il versamento non è immediatamente vincolante, ma se non eseguito nei termini, l’imposta sarà comunque iscritta a ruolo, con tutte le conseguenze del caso.

Immobili ammessi

L’estromissione agevolata riguarda esclusivamente gli immobili strumentali dell’imprenditore individuale, distinguibili in due macro-categorie: strumentali per natura e strumentali per destinazione.

Ma cosa significa in pratica?

  • Gli immobili strumentali per natura sono quelli che, per caratteristiche oggettive, non possono avere altro uso se non quello produttivo, come capannoni, laboratori, stabilimenti industriali o uffici accatastati in categoria A/10, C/1, C/3, D/1 ecc.

  • Gli immobili strumentali per destinazione sono invece quelli che, pur non essendo strutturalmente “aziendali”, vengono effettivamente utilizzati per l’attività d’impresa, come ad esempio un appartamento adibito a studio professionale o sede amministrativa.

Rientrano nell’agevolazione anche:

  • gli immobili nei quali l’attività dell’impresa è esercitata direttamente;

  • quelli acquistati per l’attività e successivamente non più utilizzati, per esempio in seguito a trasferimento della sede o cessazione dell’attività;

  • eventualmente, anche immobili acquistati a scopo d’investimento, se la loro destinazione risulta coerente con l’attività dell’impresa al momento dell’acquisto.

È importante ricordare che non sono ammessi all’estromissione agevolata gli immobili merce, ossia quelli costruiti o acquistati per la rivendita, e nemmeno quelli posseduti da società di persone o di capitali. Per queste ultime esiste un regime distinto, ovvero l’assegnazione agevolata ai soci, che ha regole simili ma include anche gli immobili merce, escludendo invece quelli strumentali per destinazione.

Questa distinzione è fondamentale per evitare errori nell’applicazione del beneficio, soprattutto nei casi più complessi, come nel caso di imprenditori che svolgono l’attività in forma ibrida o mista.

Imposte ridotte e semplificazioni

L’estromissione agevolata offre importanti benefici fiscali, che la rendono una delle operazioni più convenienti per l’imprenditore individuale che desidera trasferire immobili nel proprio patrimonio personale senza incorrere nella piena tassazione ordinaria. La disciplina è sostanzialmente parallela a quella prevista per l’assegnazione agevolata dei beni ai soci nelle società, e si traduce in una serie di agevolazioni fiscali specifiche:

  1. Imposta sostitutiva ridotta: l’eventuale plusvalenza realizzata (cioè la differenza tra il valore normale dell’immobile e il suo valore contabile) non è tassata con le normali aliquote IRPEF, ma con un’imposta sostitutiva dell’8%. Se però l’impresa ha realizzato ricavi superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente, l’aliquota sale al 10,5%.

  2. Valore catastale in luogo del valore normale: per determinare la base imponibile della plusvalenza su cui applicare l’imposta sostitutiva, è possibile utilizzare il valore catastale dell’immobile anziché il valore di mercato. Questo è un vantaggio non da poco, perché il valore catastale è generalmente inferiore al valore normale, riducendo così la tassazione. La facoltà è prevista dall’art. 9, comma 3, del TUIR.

  3. Registro dimezzato: l’imposta di registro, normalmente dovuta in misura proporzionale, viene ridotta della metà. Questa agevolazione si applica solo se l’estromissione comporta atti che la rendono soggetta a registrazione.

  4. Imposte ipotecaria e catastale fisse: indipendentemente dal valore dell’immobile o dalla tipologia catastale, le imposte ipotecaria e catastale sono applicate in misura fissa, e non proporzionale. Questo rappresenta un ulteriore risparmio, specialmente per immobili di valore elevato.

Nel complesso, l’estromissione agevolata consente all’imprenditore di “privatizzare” l’immobile aziendale a costi fiscali contenuti, evitando un’esposizione fiscale ordinaria che in alcuni casi potrebbe essere anche molto penalizzante. È una strategia utile anche per anticipare una futura cessione o successione.

Scadenze e versamenti

Per beneficiare in pieno dell’estromissione agevolata degli immobili strumentali, è fondamentale rispettare puntualmente le scadenze previste dalla norma. Le date da segnare in agenda sono tre e ognuna ha una funzione chiave nel perfezionamento dell’operazione.

  • 31 ottobre 2024Termine di riferimento per la titolarità dell’immobile: alla data del 31 ottobre 2024, l’immobile deve già far parte del patrimonio dell’impresa. Questo significa che deve risultare annotato in inventario (per le imprese in contabilità ordinaria) o nel registro dei beni ammortizzabili (per quelle in contabilità semplificata). Se l’immobile è stato acquisito successivamente, l’estromissione agevolata non sarà possibile.

  • 1° gennaio 2025Decorrenza degli effetti fiscali: da questa data è possibile effettuare l’estromissione, e gli effetti sono retroattivi all’intero anno 2025. Tuttavia, è indispensabile che l’imprenditore sia ancora titolare dell’attività al 1° gennaio 2025, condizione necessaria per accedere all’agevolazione.

  • 31 maggio 2025Scadenza ultima per eseguire l’estromissione: entro questa data, l’imprenditore deve adottare un comportamento concludente, annotando l’operazione nei registri contabili e perfezionando successivamente l’opzione in dichiarazione.

Quanto al pagamento dell’imposta sostitutiva, la norma prevede una dilazione su due rate:

  • il 60% dell’importo dovuto deve essere versato entro il 30 novembre 2025, termine che coincide con il versamento del saldo delle imposte sui redditi;

  • il 40% residuo deve essere saldato entro il 30 giugno 2026.

Il rispetto di queste scadenze è essenziale per non decadere dall’agevolazione. In caso di mancato pagamento, l’importo sarà iscritto a ruolo, con possibile aggravio di interessi e sanzioni.

Vantaggi

L’estromissione agevolata offre agli imprenditori individuali una via fiscalmente efficiente per riorganizzare il proprio patrimonio immobiliare, soprattutto in vista di una cessazione d’attività, una trasformazione societaria o un passaggio generazionale.

Tra i benefici principali, possiamo evidenziare:

  • Tassazione agevolata con imposta sostitutiva dell’8% (o 10,5% se i ricavi superano i 5 milioni di euro), molto inferiore all’aliquota IRPEF ordinaria;

  • Possibilità di calcolare la plusvalenza non sul valore di mercato, ma sul valore catastale (art. 9, comma 3, TUIR), che è solitamente inferiore e quindi riduce ulteriormente l’imposizione;

  • Imposta di registro dimezzata, che si applica se l’operazione richiede una registrazione formale;

  • Imposte ipotecarie e catastali in misura fissa, indipendentemente dal valore dell’immobile;

  • Nessun obbligo di stipulare un atto notarile, poiché non cambia l’intestazione civilistica del bene, ma solo la sua qualificazione fiscale;

  • Retroattività degli effetti al 1° gennaio 2025, che consente di anticipare la gestione privatistica del bene su tutto l’anno.

Inoltre, estromettere un immobile significa semplificare la contabilità, ridurre il rischio di futuri contenziosi fiscali e rendere l’attività più flessibile dal punto di vista patrimoniale. In un’ottica strategica, è una mossa di grande valore anche per proteggere il patrimonio personale da eventuali rischi aziendali futuri.

Conclusione

L’estromissione agevolata degli immobili strumentali è una misura fiscale temporanea e vantaggiosa, che consente agli imprenditori individuali di ottimizzare il carico tributario e allo stesso tempo di riorganizzare il proprio patrimonio immobiliare. È una finestra strategica che permette di ridurre le imposte, liberare l’azienda da beni non più funzionali e pianificare il futuro con maggiore serenità, anche in vista di una successione, una chiusura o una ristrutturazione dell’attività.

Il termine del 31 maggio 2025 si avvicina rapidamente e, come spesso accade con le misure agevolative, chi si muove per tempo ha più possibilità di trarne beneficio pieno. Le condizioni sono chiare: l’immobile deve risultare d’impresa al 31 ottobre 2024, l’estromissione deve avvenire con comportamento concludente a partire dal 1° gennaio 2025, e l’imposta sostitutiva va versata tra novembre 2025 e giugno 2026.

Rivolgersi al proprio commercialista o consulente fiscale è fondamentale per verificare la documentazione, valutare la convenienza dell’operazione e rispettare tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa.

In un periodo in cui ogni euro risparmiato può fare la differenza, l’estromissione agevolata rappresenta un’opportunità concreta di alleggerimento fiscale e razionalizzazione patrimoniale. Ignorarla potrebbe significare rinunciare a un importante vantaggio economico.

Cagliari vince l’Oscar della Salute: arte, cibo e comunità per curare l’anima e la mente

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A woman stands in profile as a serene tree melds with her silhouette against a vivid sunset, embodying a connection to nature and tranquility.

Cosa accade quando la creatività incontra la salute pubblica? E se a curare l’anima non fossero solo le terapie tradizionali, ma anche il potere trasformativo dell’arte, dell’ascolto e della comunità? A dare una risposta concreta è Cagliari, che ha conquistato la scena nazionale ricevendo una menzione speciale all’Oscar della Salute 2025 per il progetto innovativo “ArteS – Arte e Salute”.

Nel cuore del capoluogo sardo, un centro polivalente trasforma da anni l’arte in strumento terapeutico per persone con fragilità psichiche, dando voce, dignità e possibilità di rinascita attraverso pittura, teatro, scrittura e dialogo. Un modello vincente che ha colpito anche la giuria del XXII Meeting Nazionale “Città per la Salute”, portando Cagliari tra le eccellenze italiane in ambito socio-sanitario.

Ma l’arte, in Sardegna, non è sola. A contribuire a questo ecosistema del benessere c’è anche il patrimonio culturale, alimentare e identitario dell’isola, valorizzato da realtà come Tutela Sarda, che promuove la dieta locale, il km zero e uno stile di vita che protegge corpo e mente.

L’esperienza cagliaritana racconta allora molto più di un singolo progetto: è la prova tangibile che cura e cultura possono camminare insieme, migliorando la qualità della vita, rafforzando la comunità e costruendo una sanità più empatica e sostenibile.

Introduzione

Cagliari conquista la scena nazionale aggiudicandosi un prestigioso riconoscimento nel campo della salute pubblica e del benessere mentale. Si tratta dell’Oscar della Salute 2025, conferito nell’ambito del XXII Meeting Nazionale “Città per la Salute” svoltosi a Bergamo. Tra oltre un centinaio di iniziative valutate da una commissione scientifica, spicca “ArteS – Arte e Salute Spazio polivalente di ascolto e creatività”, un progetto che unisce la potenza trasformativa dell’arte con le esigenze della salute mentale e dell’inclusione sociale.

A ricevere la menzione speciale per Originalità e Innovazione, è stato il Comune di Cagliari in collaborazione con la cooperativa sociale Panta Rei Sardegna, che da anni gestisce il centro ArteS, uno spazio dedicato alla creatività, all’ascolto e all’accoglienza. Un progetto nato con l’obiettivo di offrire percorsi espressivi e terapeutici, capaci di rompere l’isolamento, rafforzare il senso di comunità e promuovere la salute mentale attraverso linguaggi alternativi: pittura, teatro, musica e narrazione.

Questo riconoscimento nazionale testimonia come l’arte, se ben inserita in un contesto terapeutico e sociale, può diventare strumento di rigenerazione personale e collettiva, superando il semplice concetto di attività ricreativa. L’esperienza di Cagliari dimostra che l’innovazione nel settore socio-sanitario non passa solo per la tecnologia, ma anche attraverso modelli relazionali nuovi, basati sull’ascolto, sull’inclusività e sul rispetto dei tempi e delle fragilità di ciascuno.

ArteS

Nel cuore di Cagliari, il centro ArteS rappresenta molto più di un semplice laboratorio creativo: è un luogo di rinascita, consapevolezza e inclusione, operativo da anni grazie alla collaborazione tra il Comune e la cooperativa sociale Panta Rei Sardegna. Qui, persone affette da disagio psichico possono intraprendere un percorso di espressione, crescita e reinserimento sociale attraverso linguaggi artistici diversificati: pittura, teatro, scrittura, musica. L’arte si trasforma in strumento di ascolto e guarigione, capace di abbattere i muri dell’isolamento e dello stigma.

Il progetto ha come obiettivo la riconquista dell’autonomia personale, il recupero della dignità sociale e la creazione di legami comunitari forti. Gli utenti del centro non sono semplici beneficiari, ma veri protagonisti del cambiamento, autori di opere e iniziative che hanno ricadute positive sull’intero tessuto urbano. L’approccio di ArteS si distingue per la capacità di mettere al centro la persona, con i suoi tempi, bisogni e potenzialità, in un clima di accoglienza e valorizzazione.

A sottolineare l’importanza di questo risultato è intervenuta anche l’assessora alla Salute del Comune di Cagliari, Anna Puddu, che ha dichiarato:

“Un riconoscimento importante non solo per l’Amministrazione, che crede e investe nel progetto, ma soprattutto per le tante persone che ogni giorno animano il centro. La menzione della Rete Città Sane ci stimola a continuare su questa strada, rafforzando la sinergia tra pubblico e privato che ha dato prova di essere vincente”

Questa sinergia tra istituzioni pubbliche e realtà del terzo settore si conferma un modello virtuoso per affrontare la fragilità psichica con strumenti innovativi, umani e sostenibili.

L’Oscar della Salute

Il prestigioso riconoscimento conferito ad ArteS nell’ambito dell’Oscar della Salute 2025 non è frutto del caso. Il progetto cagliaritano è stato selezionato tra oltre un centinaio di iniziative presentate da comuni di tutta Italia durante il XXII Meeting Nazionale “Città per la Salute”, tenutosi a Bergamo. La commissione scientifica ha valutato i progetti in base a criteri di originalità, impatto sociale, sostenibilità e innovazione nelle politiche urbane per la salute pubblica.

Tra i 12 progetti più meritevoli a livello nazionale, ArteS si è distinto proprio per il suo approccio multidimensionale alla salute mentale, che non si limita a fornire assistenza, ma promuove attivamente il benessere psicosociale attraverso strumenti non convenzionali. L’arte, in questo contesto, non è solo decorazione o intrattenimento: diventa terapia, dialogo, partecipazione, e agisce su più livelli—individuale, relazionale e comunitario.

L’Oscar della Salute assume un significato ancora più profondo se inserito in un’epoca storica in cui la salute mentale è diventata una priorità sociale ed economica, soprattutto dopo le fragilità emerse con la pandemia. In questo scenario, progetti come ArteS mostrano come sia possibile passare dalla logica emergenziale a quella preventiva e inclusiva, valorizzando le potenzialità del capitale umano e culturale dei territori.

Il premio non celebra solo un progetto, ma una visione di salute pubblica avanzata, dove arte, cittadinanza attiva, servizi sociali e comunità si intrecciano per costruire modelli di cura più umani, partecipati e sostenibili.

Tutela Sarda

L’arte che cura l’anima, come nel caso del progetto ArteS, non si esprime solo nei linguaggi visivi o performativi, ma è anche profondamente legata al modo in cui viviamo, ci nutriamo, ci riconosciamo nel territorio e nella nostra identità collettiva. In questo senso, la valorizzazione dei prodotti tipici locali e la promozione dello stile di vita sardo, portati avanti da realtà come Tutela Sarda, assumono un ruolo chiave nella promozione della salute, anche mentale.

La Sardegna è terra di longevità, e non a caso è una delle celebri “Blue Zones” del pianeta: qui, fattori come alimentazione genuina, legame con la terra, relazioni comunitarie forti e vita all’aria aperta si fondono in uno stile di vita che protegge corpo e mente. Tutela Sarda, con la sua attività di difesa e promozione dei prodotti sardi di qualità, non si limita a fare marketing territoriale: diffonde una cultura del benessere profondo, dove ciò che mangiamo e ciò che scegliamo di sostenere economicamente diventa parte di una scelta consapevole per vivere meglio.

Integrare questi principi con progetti come ArteS significa chiudere il cerchio del benessere integrato: arte per l’anima, cibo per il corpo, identità per la mente. Un modello di sviluppo umano e sostenibile che parte dalla cultura, passa per la comunità, e arriva alla salute.

Cagliari come modello

Il successo del progetto ArteS e il riconoscimento ricevuto all’Oscar della Salute 2025 mostrano con chiarezza che un’altra sanità è possibile, più umana, più creativa, più vicina alle persone. Il valore dell’iniziativa cagliaritana va ben oltre il confine cittadino o regionale: rappresenta un modello replicabile per tutte le amministrazioni italiane che vogliono affrontare in modo nuovo le sfide legate alla salute mentale e al benessere psicosociale.

ArteS dimostra che con modesti investimenti, ma una visione chiara, è possibile trasformare spazi urbani in luoghi di cura non convenzionali, dove arte, ascolto e partecipazione si fondono in percorsi terapeutici efficaci e coinvolgenti. Il progetto ha inoltre dimostrato quanto sia strategico coinvolgere il terzo settore, come la cooperativa Panta Rei, per attivare reti territoriali capaci di durare nel tempo e di adattarsi alle esigenze locali.

In un’epoca in cui il disagio psicologico è in forte crescita, soprattutto tra i giovani, le politiche pubbliche devono andare oltre la semplice assistenza medica e puntare su interventi culturali, educativi e relazionali. Progetti come ArteS offrono una via concreta per integrare i servizi sanitari tradizionali con esperienze artistiche e comunitarie, contribuendo a costruire città più sane, inclusive e creative.

Se Cagliari è riuscita a distinguersi a livello nazionale, è anche grazie a un’amministrazione che ha saputo credere nel valore della cultura e nella forza dei linguaggi non verbali per prendersi cura delle persone. Un esempio che potrebbe e dovrebbe ispirare molte altre realtà italiane.

Arte, stile di vita e salute globale

L’esperienza di Cagliari con il progetto ArteS si inserisce in una tendenza sempre più riconosciuta a livello internazionale: la salute non è solo assenza di malattia, ma uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, come ribadisce da anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). In quest’ottica, la promozione della salute richiede approcci interdisciplinari e centrati sulla persona, che integrino medicina, cultura, educazione e partecipazione comunitaria.

Negli ultimi anni, l’OMS ha pubblicato studi e linee guida che evidenziano il ruolo dell’arte e delle attività culturali nella prevenzione e nel trattamento dei disturbi mentali. In particolare, è stato riconosciuto il valore di pratiche come il teatro, la musica, la danza, la narrazione e le arti visive come strumenti efficaci per ridurre l’ansia, combattere la depressione, migliorare le capacità cognitive e sociali, e rafforzare il senso di appartenenza. Il progetto ArteS incarna perfettamente questa visione: mette al centro l’individuo, non come paziente da curare, ma come soggetto da ascoltare, esprimere e valorizzare.

Accanto all’espressione artistica, la qualità dello stile di vita è un altro pilastro della salute globale. La Sardegna, con la sua dieta tradizionale, le relazioni comunitarie forti e il legame con la terra, offre un modello concreto di “salute integrata”. Il lavoro di valorizzazione portato avanti da Tutela Sarda si intreccia quindi con queste dinamiche: promuovere una cultura del cibo locale e genuino non è solo un atto economico o turistico, ma anche un investimento in salute pubblica.

Cultura, arte, alimentazione, ambiente e partecipazione non sono settori isolati, ma assi di una stessa strategia per il benessere individuale e collettivo. Ed è proprio su questa connessione che l’Italia – e non solo – dovrebbe investire nei prossimi anni.

Conclusioni

Il successo del progetto ArteS non è solo un traguardo per la città di Cagliari, ma un esempio concreto di come la cultura possa trasformarsi in cura e generare un impatto positivo e duraturo sulla società. Questo riconoscimento, simbolicamente potente, mette in luce un’idea evoluta di salute: una condizione che nasce dalla connessione armonica tra corpo, mente, territorio e relazioni umane.

In un tempo in cui i sistemi sanitari sono sempre più sotto pressione e le fragilità psichiche emergono con forza, serve una nuova visione del benessere, capace di coniugare prevenzione, inclusione e partecipazione. ArteS, con la sua formula innovativa basata sull’espressione artistica e sull’ascolto, rappresenta una risposta efficace e replicabile a queste sfide. Allo stesso tempo, l’impegno di realtà come Tutela Sarda, che difendono e promuovono un’identità culturale e alimentare fondata sulla qualità, la sostenibilità e la relazione con il territorio, arricchisce questo ecosistema di salute con valori concreti e quotidiani.

In sintesi, l’Oscar della Salute assegnato a Cagliari ci ricorda che prendersi cura delle persone significa anche prendersi cura dei contesti in cui vivono, offrendo loro strumenti per esprimersi, nutrirsi bene, sentirsi parte di una comunità. Ed è proprio su queste basi – arte, territorio, ascolto e tradizione – che si costruisce un futuro più sano, solidale e umano per tutti.

Bonus ZES Unica 2025: come funziona, a chi spetta e come richiederlo entro il 30 maggio

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Se sei un imprenditore, un agricoltore o un professionista che opera o intende investire nel Mezzogiorno, c’è una scadenza che non puoi permetterti di ignorare: il 30 maggio 2025. Entro questa data, infatti, è possibile presentare domanda per accedere al Bonus Zes Unica 2025, un incentivo fiscale tra i più rilevanti dell’anno, pensato per sostenere la crescita economica delle regioni del Sud attraverso un credito d’imposta sugli investimenti produttivi.

Parliamo di un’occasione reale per ottenere un rimborso parziale — ma sostanzioso — delle spese sostenute per impianti, macchinari, attrezzature, fabbricati e beni strumentali destinati ad attività economiche in specifiche aree geografiche chiamate Zone Economiche Speciali (ZES). Per il 2025 il Governo ha messo a disposizione 2,2 miliardi di euro per la ZES Unica e 50 milioni per il settore agricolo, risorse che verranno assegnate alle imprese che presenteranno una domanda conforme e completa.

Ma chi può richiederlo? Quali sono le condizioni da rispettare?  In questo articolo ti spieghiamo tutto, con esempi pratici, casi reali e indicazioni operative per accedere all’agevolazione in modo semplice, sicuro e vantaggioso.

Introduzione

Fino al 30 maggio 2025, le imprese che operano all’interno delle aree Zes (Zone Economiche Speciali) possono presentare domanda per accedere al Bonus Zes Unica e al Bonus Zes Agricoltura. Si tratta di un’importante misura fiscale sotto forma di credito d’imposta, pensata per incentivare nuovi investimenti produttivi nel Sud Italia. L’agevolazione è destinata a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica e dal regime contabile adottato, che realizzano investimenti in beni strumentali nuovi tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2025, purché questi impianti siano situati all’interno dell’area Zes Unica.

Questo bonus è uno strumento centrale della politica industriale e fiscale del Governo per favorire la crescita economica, ridurre il divario Nord-Sud e attrarre capitali privati. In particolare, rientra nella strategia della nuova Zes Unica per il Mezzogiorno, introdotta a partire dal 1° gennaio 2024, che unifica e semplifica il funzionamento delle precedenti otto Zes regionali. L’obiettivo è rendere l’intero territorio del Sud una piattaforma attrattiva per investimenti nazionali ed esteri, attraverso benefici fiscali concreti, semplificazioni amministrative e incentivi mirati.

Chi può richiedere il bonus

Il Bonus Zes Unica 2025 è un incentivo fiscale sotto forma di credito d’imposta destinato alle imprese che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi, da destinare a strutture produttive localizzate all’interno della Zes Unica per il Mezzogiorno. Questa grande area speciale comprende sette regioni italiane: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. L’incentivo è applicabile anche al Bonus Zes Agricoltura, pensato appositamente per il settore agricolo e con un fondo dedicato di 50 milioni di euro.

La misura è stata confermata dalla legge di bilancio 2025, che ha fissato un budget complessivo di 2,2 miliardi di euro per il credito Zes Unica. Possono accedere tutte le imprese – senza distinzione di settore, dimensione o forma giuridica – che effettuano investimenti tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2025, purché gli stessi abbiano un costo minimo di 200.000 euro. Il tetto massimo agevolabile è fissato invece a 100 milioni di euro per ciascun progetto.

Per poter beneficiare del bonus, le imprese devono comunicare all’Agenzia delle Entrate l’ammontare delle spese effettivamente sostenute o previste, entro e non oltre il 30 maggio 2025. Questa comunicazione rappresenta il primo passo indispensabile per accedere all’agevolazione e deve essere trasmessa in modalità telematica. È essenziale che i beni oggetto dell’investimento siano nuovi e strettamente collegati all’attività produttiva dell’impresa, pena la decadenza dal beneficio.

Investimenti ammessi

Il Bonus Zes Unica 2025 è pensato per sostenere in maniera concreta le imprese che desiderano rafforzare o avviare nuove attività produttive nel Mezzogiorno. Il credito d’imposta può essere richiesto per acquisti di beni strumentali nuovi, come macchinari, impianti, attrezzature, fabbricati strumentali, oppure per interventi su immobili già esistenti destinati all’attività industriale, artigianale, agricola o di servizi. L’incentivo si applica sia alle strutture già operative, sia a quelle in fase di realizzazione o progettazione, purché situate nei territori inclusi nella Zes Unica.

Questo elemento è centrale: l’investimento, per essere agevolabile, deve essere collocato fisicamente nell’area Zes e destinato all’attività produttiva. Non è quindi sufficiente che l’impresa abbia la sede legale in una delle regioni del Sud, ma è essenziale che l’impianto produttivo oggetto dell’investimento sia localizzato nella Zes.

Tuttavia, non tutte le imprese possono accedere al bonus. L’Agenzia delle Entrate, nelle sue istruzioni operative, ha chiarito che restano escluse le attività rientranti nei seguenti settori:

  • industria siderurgica,

  • industria carbonifera e della lignite,

  • trasporti (con l’eccezione dei settori di magazzinaggio e supporto ai trasporti),

  • produzione e distribuzione di energia e delle infrastrutture energetiche,

  • banda larga,

  • settori finanziari, creditizi e assicurativi.

Queste limitazioni sono state introdotte per rispettare le normative europee in materia di concorrenza e aiuti di Stato. Si tratta quindi di una misura mirata, che punta a sostenere gli investimenti realmente produttivi e innovativi, capaci di generare occupazione e sviluppo nei territori del Sud.

Come presentare domanda

Per accedere al Bonus Zes Unica 2025, le imprese interessate devono presentare una specifica comunicazione all’Agenzia delle Entrate entro il termine improrogabile del 30 maggio 2025. Tale comunicazione deve contenere l’elenco dettagliato delle spese già sostenute dall’inizio dell’anno, nonché una previsione degli investimenti che si intendono effettuare fino al 15 novembre 2025. È importante che l’intero processo venga eseguito esclusivamente in via telematica, utilizzando gli strumenti messi a disposizione dal Fisco.

A tale scopo, l’Agenzia ha predisposto il software ZES UNICA2025, disponibile sul proprio sito ufficiale, che guida passo dopo passo l’impresa (o il soggetto intermediario) nella compilazione della domanda.

All’interno del modulo elettronico devono essere inseriti con precisione:

  • i dati identificativi dell’impresa,

  • l’ubicazione degli impianti,

  • l’elenco dei beni strumentali acquistati o da acquistare,

  • gli importi delle spese sostenute o previste,

  • e l’indicazione del credito d’imposta richiesto.

La domanda può essere inviata direttamente dall’impresa oppure tramite un intermediario abilitato (commercialista, consulente fiscale o CAF).

Il corretto e tempestivo invio della comunicazione rappresenta una condizione indispensabile per l’ottenimento dell’agevolazione: in assenza di essa, il credito non sarà riconosciuto. Una volta esaurito il plafond disponibile, l’Agenzia delle Entrate provvederà a ripartire le risorse tra i richiedenti, eventualmente in misura proporzionale.

Compensazione e vincoli

Una volta che l’Agenzia delle Entrate ha validato la domanda e assegnato l’importo del credito d’imposta Zes Unica 2025, l’impresa beneficiaria può iniziare a utilizzarlo secondo le regole ordinarie previste dall’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/1997, ossia tramite il modello F24, in compensazione con altri tributi o contributi dovuti. Il credito potrà essere portato in compensazione a partire dal giorno lavorativo successivo a quello di ricezione della comunicazione di riconoscimento del credito.

Non sono previsti limiti annui alla compensazione del credito, ma è fondamentale che:

  • il credito sia indicato nel quadro RU della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è stato riconosciuto;

  • siano rispettati gli obblighi di tracciabilità delle spese sostenute, che dovranno essere adeguatamente documentate;

  • le attività produttive e i beni agevolati siano mantenuti per almeno cinque anni, o tre anni in caso di piccole imprese, pena la revoca del beneficio.

Il credito d’imposta non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile IRAP, e non incide ai fini del calcolo del rapporto di deducibilità degli interessi passivi e dei componenti negativi ai sensi degli articoli 61 e 109 del TUIR. È inoltre cumulabile con altri incentivi, a condizione che tale cumulo non comporti il superamento del costo complessivo sostenuto per l’investimento.

Questo meccanismo di fruizione semplice e trasparente permette alle imprese di ridurre in tempi rapidi il carico fiscale, liberando risorse da reinvestire in crescita, innovazione e nuova occupazione, contribuendo così all’effettiva rinascita industriale delle aree meridionali.

Vantaggi

Il Bonus Zes Unica 2025 rappresenta un’occasione strategica per le imprese che intendono espandere la propria capacità produttiva o trasferire parte delle attività nel Mezzogiorno, beneficiando di un supporto fiscale significativo. Per comprendere meglio l’impatto concreto di questo incentivo, vediamo alcuni casi pratici di applicazione.

Immaginiamo un’impresa manifatturiera con sede legale a Milano che decide di aprire un nuovo impianto produttivo a Bari. L’investimento complessivo previsto per l’acquisto di macchinari industriali, attrezzature, e la ristrutturazione di un capannone esistente ammonta a 1,5 milioni di euro.

Presentando domanda entro il 30 maggio e localizzando l’intervento nell’area Zes Unica, l’azienda potrà beneficiare di un credito d’imposta pari a una percentuale rilevante di tale somma (la percentuale esatta sarà definita con decreto attuativo). Questo si traduce in centinaia di migliaia di euro di tasse risparmiate, utilizzabili in compensazione su imposte e contributi nei mesi successivi.

Un secondo esempio riguarda una cooperativa agricola in Sicilia, che decide di ammodernare i propri impianti di trasformazione dei prodotti locali. Con un investimento di 600.000 euro in nuovi macchinari per la lavorazione e il confezionamento, e grazie all’accesso al Bonus Zes Agricoltura, la cooperativa potrà coprire una parte importante della spesa sostenuta, liberando così risorse da reinvestire in marketing, personale e innovazione di prodotto.

Questi esempi dimostrano come l’incentivo fiscale non solo riduce il carico tributario, ma diventa uno strumento di crescita competitiva, incoraggiando lo sviluppo industriale in aree storicamente svantaggiate, innescando processi virtuosi di occupazione, formazione e internazionalizzazione.

Bonus Zes Agricoltura

Accanto al più ampio Bonus Zes Unica, la Legge di Bilancio 2025 ha introdotto un’ulteriore misura dedicata al comparto agroalimentare: il Bonus Zes Agricoltura. Questo incentivo è pensato per sostenere le imprese del settore primario e della trasformazione alimentare che operano nelle regioni del Sud, fornendo un credito d’imposta ad hoc, con un fondo separato da 50 milioni di euro.

Le modalità di accesso, scadenze e vincoli sono analoghi a quelli previsti per il bonus principale: anche qui occorre trasmettere la comunicazione telematica entro il 30 maggio 2025, utilizzando il software “ZES UNICA2025” e inserendo con precisione le voci di investimento e gli importi. Tuttavia, la differenza principale sta nella destinazione degli investimenti, che in questo caso devono riguardare beni e strutture esclusivamente dedicate all’attività agricola, zootecnica o di trasformazione dei prodotti agricoli.

Rientrano tra le spese agevolabili:

  • l’acquisto di trattrici, mietitrebbie, impianti di irrigazione e serre automatizzate,

  • l’ammodernamento di stalle, magazzini, silos e impianti di trasformazione,

  • le tecnologie per il risparmio energetico e la digitalizzazione delle attività agricole.

Questa misura rappresenta un’opportunità rilevante per aziende agricole di ogni dimensione, cooperative e consorzi del Sud che vogliono innovare, aumentare la produttività e migliorare la sostenibilità ambientale delle proprie attività.

Il Bonus Zes Agricoltura, dunque, si configura non solo come una leva fiscale, ma anche come strumento di modernizzazione dell’agricoltura meridionale, in linea con gli obiettivi europei del Green Deal e della transizione ecologica.

Controlli e cause di decadenza

Come ogni agevolazione fiscale di rilievo, anche il Bonus Zes Unica 2025 è soggetto a controlli rigorosi da parte dell’Agenzia delle Entrate, con l’obiettivo di prevenire abusi e garantire che il credito venga fruito correttamente e solo da chi ne ha effettivamente diritto. L’impresa beneficiaria deve rispettare una serie di obblighi documentali e sostanziali, il cui mancato adempimento può comportare la decadenza totale o parziale del beneficio ottenuto.

Tra i principali vincoli da rispettare:

  • Conservazione della documentazione: l’impresa deve mantenere tutta la documentazione relativa agli investimenti (fatture, contratti, pagamenti tracciabili) per almeno 5 anni.

  • Mantenimento dell’investimento: i beni acquistati devono rimanere nell’unità produttiva per almeno 5 anni (ridotti a 3 per le piccole imprese), altrimenti il credito sarà revocato e dovrà essere restituito con interessi.

  • Divieto di cessione o dismissione dei beni agevolati prima del periodo minimo previsto.

  • Utilizzo reale e coerente: i beni devono essere effettivamente destinati all’attività produttiva dichiarata e non semplicemente acquistati a fini speculativi.

L’Agenzia può procedere a verifiche documentali o ispezioni presso l’impianto, anche successivamente all’erogazione del credito, e in caso di anomalie può revocare l’incentivo e avviare un procedimento di recupero con applicazione di sanzioni amministrative.

Inoltre, se viene accertato che i dati forniti nella comunicazione telematica non corrispondono alla realtà, il credito non sarà riconosciuto, anche se l’investimento è stato effettivamente realizzato.

Queste regole anti-abuso, pur rigide, servono a garantire la serietà degli investimenti e a tutelare le risorse pubbliche, assicurando che il Bonus Zes venga destinato esclusivamente a progetti concreti, tracciabili e di impatto territoriale.

Zone ZES

La ZES Unica è stata introdotta a partire dal 1° gennaio 2024 e ha sostituito le precedenti otto Zone Economiche Speciali regionali, unificandole in un’unica grande area agevolata che copre l’intero territorio del Mezzogiorno italiano. Questa nuova configurazione punta a semplificare le procedure e a rendere più accessibili i benefici fiscali, ampliando il potenziale bacino di imprese coinvolgibili.

Le regioni che fanno parte della ZES Unica e nelle quali devono essere localizzati gli investimenti per poter accedere al credito d’imposta sono:

  • Abruzzo (solo alcuni comuni specifici)

  • Basilicata

  • Calabria

  • Campania

  • Molise

  • Puglia

  • Sardegna

  • Sicilia

Attenzione: non tutte le aree all’interno di queste regioni sono automaticamente incluse. È fondamentale verificare se il comune o l’area produttiva interessata dall’investimento rientra nella perimetrazione ufficiale della ZES, consultando la mappa aggiornata disponibile sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche di Coesione o sul portale ZES.

Questa estensione territoriale ampia consente di attivare progetti di investimento anche nei comuni più piccoli o marginali, incentivando la decentralizzazione industriale e lo sviluppo economico su scala regionale.

Esempi pratici

Il credito d’imposta ZES Unica può essere utilizzato in modo estremamente flessibile, adattandosi a diverse strategie aziendali. Ecco alcuni scenari pratici per comprendere meglio come le imprese possono massimizzare il beneficio.

1. PMI manifatturiera che amplia il proprio stabilimento

Un’impresa campana che produce componenti meccanici decide di ampliare il proprio capannone industriale in provincia di Avellino. Investe 800.000 euro in attrezzature CNC, nuove linee di montaggio e un sistema di automazione. Richiedendo il credito ZES, potrà compensare in pochi mesi circa il 40-50% dell’importo investito sotto forma di imposte non dovute.

2. Azienda agricola che investe in innovazione tecnologica

Una cooperativa agricola in Puglia acquista nuovi impianti di irrigazione smart, un essiccatoio solare per i prodotti agricoli e attrezzi connessi a sistemi IoT. Il costo totale è di 500.000 euro. Grazie al Bonus ZES Agricoltura, potrà recuperare parte dell’investimento e rendere più sostenibile ed efficiente l’intera filiera.

3. Impresa del Nord che apre una sede produttiva al Sud

Un’azienda lombarda decide di decentralizzare la produzione per avvicinarsi ai porti del Sud Italia e ridurre i costi logistici. Costruisce un nuovo impianto in Sicilia e investe 2 milioni di euro. Oltre al beneficio fiscale diretto, l’impresa diventa più competitiva nella logistica internazionale, con un risparmio fiscale di centinaia di migliaia di euro.

4. Startup tecnologica che investe in un incubatore ZES

Una startup calabrese nel settore della biochimica applicata all’agricoltura avvia un laboratorio in un incubatore autorizzato ZES. Acquista strumentazione scientifica e ristruttura una struttura già esistente con un budget di 300.000 euro. Senza il bonus, non avrebbe avuto liquidità per partire. Il credito d’imposta consente di alleggerire il carico iniziale, attrarre investitori e creare posti di lavoro.

5. Artigiano che modernizza l’officina con tecnologia 4.0

Un piccolo artigiano molisano decide di acquistare macchinari compatibili con i sistemi Industria 4.0, per automatizzare la produzione. L’investimento di 250.000 euro è coperto in parte dal Bonus ZES, con l’ulteriore vantaggio della cumulabilità con altri incentivi 4.0.

Questi casi dimostrano che il credito ZES non è solo per le grandi imprese, ma può diventare una leva formidabile anche per realtà più piccole, innovative o legate al territorio. A patto, ovviamente, di rispettare i requisiti e presentare domanda nei tempi previsti.

Conclusione

Il Bonus Zes Unica 2025, insieme al Bonus Zes Agricoltura, rappresenta una delle misure fiscali più importanti dell’anno per chi opera o vuole operare nel Mezzogiorno d’Italia. Grazie a un credito d’imposta strutturato, modulabile e accessibile, le imprese possono abbattere il peso fiscale su investimenti anche rilevanti, accelerare l’innovazione, modernizzare impianti produttivi e creare nuova occupazione. Il tutto in territori dove la crescita è una priorità nazionale e strategica.

La domanda va presentata entro e non oltre il 30 maggio 2025. Dopo questa scadenza, non sarà più possibile accedere alle risorse stanziate per quest’anno.

È quindi fondamentale che le imprese:

  • verifichino la localizzazione del proprio impianto all’interno della ZES,

  • quantifichino correttamente gli investimenti sostenuti o pianificati,

  • e si avvalgano, se necessario, di consulenti fiscali e commercialisti esperti per trasmettere in modo corretto la richiesta.

Il Bonus Zes è più di una detrazione: è un’opportunità concreta per ridisegnare il futuro produttivo del Sud, valorizzando le imprese che scelgono di credere nel rilancio del territorio.

Agire per tempo, con competenza e visione, può fare la differenza tra restare fermi e diventare protagonisti della rinascita economica meridionale.

Decreto Infrastrutture 2025: incentivi, fondi e semplificazioni per imprese, trasporti e fonti rinnovabili

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Nel 2025 il Governo accelera sulla modernizzazione del Paese con un provvedimento strategico: il Decreto Infrastrutture (DL 73/2025). Questo nuovo decreto non è solo un atto normativo, ma un vero e proprio pacchetto di misure concrete per rilanciare investimenti, efficienza e sostenibilità nei settori chiave della nostra economia: autotrasporti, appalti pubblici e fonti rinnovabili.

Tra gli strumenti introdotti, spiccano fondi per il rinnovo dei veicoli aziendali, semplificazioni per l’affidamento diretto di lavori pubblici, mappature accelerate delle zone idonee per impianti FER, e indennizzi automatici per le imprese danneggiate da ritardi operativi. Un vero e proprio cambio di passo a beneficio di PMI, imprese energetiche e operatori infrastrutturali, che ora potranno contare su iter più snelli, risparmi fiscali e nuove tutele contrattuali.

Il DL 73/2025 si inserisce perfettamente nella logica del PNRR e del PNIEC 2030, tracciando un percorso chiaro per raggiungere gli obiettivi europei in materia di clima, competitività e sostenibilità. In questo articolo analizziamo tutte le misure, i vantaggi fiscali ed economici, e le prospettive future per chi vuole cogliere al volo queste opportunità.

Trasporto merci

Il Decreto Infrastrutture 2025 (DL 73/2025) interviene con decisione a favore delle imprese di autotrasporto, un settore strategico per l’economia nazionale ma storicamente afflitto da criticità legate ai tempi di pagamento e alla vetustà del parco veicoli. Due le novità principali introdotte dall’articolo 4 del decreto.

1. Indennizzo automatico per i ritardi nel carico e scarico

Una misura di grande impatto è l’introduzione di un indennizzo automatico di 100 euro per ogni ora (o frazione di ora) di ritardo nelle operazioni di carico e scarico oltre i 90 minuti di franchigia. Questa indennità sarà dovuta in solido dal committente e dal caricatore, alleggerendo l’onere della prova per l’impresa di autotrasporto e rendendo automatico il diritto al risarcimento. L’importo sarà inoltre rivalutato annualmente secondo l’indice ISTAT FOI, assicurando un adeguamento all’inflazione. Si tratta di una misura storica che tutela le imprese da lunghe attese non retribuite e aumenta la certezza nei rapporti contrattuali.

2. Sanzioni per ritardi nei pagamenti

Viene inoltre inserito un nuovo comma 15-bis all’art. 83-bis del DL 112/2008, che consente all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) di sanzionare i ritardi nei pagamenti da parte dei committenti, su iniziativa del creditore o del Comitato centrale per l’Albo degli autotrasportatori. Una stretta che mira a ridurre i fenomeni di insolvenza e le pratiche scorrette nei rapporti commerciali.

3. 12 milioni per il rinnovo dei veicoli

Infine, il decreto stanzia 6 milioni di euro annui per il 2025 e il 2026 per favorire l’ammodernamento del parco veicolare delle imprese del trasporto merci. Le modalità operative saranno dettagliate in un successivo decreto del Ministero delle Infrastrutture, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

L’obiettivo è promuovere la sostituzione di veicoli obsoleti con mezzi più sicuri, efficienti e meno inquinanti, anche in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione.

Appalti pubblici

Un’altra importante area d’intervento del DL 73/2025 riguarda le semplificazioni normative negli appalti pubblici, con l’obiettivo di accelerare gli interventi in situazioni di emergenza e garantire una maggiore tempestività da parte della Pubblica Amministrazione. L’articolo 2 del decreto prevede deroghe specifiche al Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 36/2023), attivabili in presenza di eventi eccezionali come alluvioni, terremoti, frane o altri disastri naturali.

Affidamento diretto sopra soglia in casi eccezionali

Tra le novità più significative vi è la possibilità di affidamento diretto anche per appalti sopra soglia, bypassando così le ordinarie procedure di gara. Questo strumento, seppur temporaneo e vincolato alla sussistenza di condizioni emergenziali, rappresenta una semplificazione radicale che potrebbe ridurre i tempi di avvio dei cantieri da mesi a settimane, a beneficio soprattutto delle imprese di costruzione, manutenzione e fornitura impegnate nei territori colpiti.

Esclusione automatica delle offerte anomale

Un’altra misura rilevante riguarda le gare con meno di cinque partecipanti: in questi casi, il decreto consente l’esclusione automatica delle offerte anomale, rafforzando la tutela della concorrenza e impedendo che gare scarsamente partecipate vengano viziate da ribassi eccessivi o sospetti. La norma mira a tutelare l’equità e la qualità degli interventi, oltre a garantire maggiore certezza e trasparenza nell’affidamento degli appalti pubblici in situazioni critiche.

Queste disposizioni, benché temporanee, possono tradursi in opportunità concrete per le imprese, riducendo la burocrazia e offrendo percorsi più rapidi per partecipare a progetti infrastrutturali di rilievo.

Fonti rinnovabili

Il DL 73/2025 punta anche ad accelerare in modo significativo la realizzazione degli impianti da fonti di energia rinnovabile (FER), un obiettivo strategico per rispettare le scadenze del PNIEC 2030 e del PNRR. Con l’articolo 13 del decreto, viene modificato l’art. 12 del D.lgs. 190/2024, introducendo una vera e propria rivoluzione in termini di identificazione e gestione delle aree idonee per la costruzione di impianti rinnovabili.

Zone industriali come aree di accelerazione

La novità principale consiste nel fatto che le aree industriali, così come definite dagli strumenti urbanistici a livello comunale, sovracomunale o regionale, sono automaticamente riconosciute come zone di accelerazione per l’autorizzazione e la costruzione degli impianti. Ciò elimina uno dei principali ostacoli procedurali che, fino ad oggi, rallentava i progetti: l’attesa delle delibere regionali per definire le aree idonee.

Mappatura ufficiale pubblicata dal GSE

Inoltre, il decreto attribuisce al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) il compito di pubblicare, entro 10 giorni dalla promulgazione del decreto (cioè entro il 31 maggio 2025), una mappatura cartografica ufficiale e digitale delle aree idonee. Questa rappresentazione sarà consultabile online e avrà valore legale, permettendo alle imprese di avviare i progetti con iter semplificato e tempi certi, senza più dover attendere decisioni a livello regionale.

Un cambiamento epocale per il settore energetico

Queste modifiche introducono una vera e propria semplificazione strutturale che potrà facilitare l’accesso a incentivi pubblici, accelerare l’ottenimento delle autorizzazioni ambientali e promuovere una maggiore attrattività per gli investimenti nel settore delle energie pulite. Il risultato atteso è una crescita più rapida e diffusa degli impianti solari, eolici e di altre tecnologie green, in coerenza con gli impegni europei sul clima.

Vantaggi fiscali

Le misure contenute nel DL 73/2025 non si limitano a semplificare i procedimenti o ad assegnare risorse: hanno anche un impatto diretto e significativo sul piano fiscale ed economico per le imprese, sia nel breve che nel medio periodo. I risparmi indiretti, le maggiori tutele contrattuali e i fondi mirati offrono un terreno fertile per investimenti, efficienza e competitività.

Riduzione degli oneri improduttivi nel settore trasporti

Per le imprese dell’autotrasporto, la monetizzazione dei tempi di attesa con l’indennizzo automatico da 100 euro/ora rappresenta un vantaggio economico concreto: riduce le perdite causate dalle soste non retribuite e migliora la gestione della liquidità aziendale. Allo stesso modo, l’introduzione delle sanzioni per ritardi nei pagamenti potenzia la certezza dei flussi di cassa, rafforzando il potere contrattuale delle PMI e dei piccoli operatori.

Incentivi al rinnovo dei mezzi e risparmio energetico

I fondi stanziati per il rinnovo del parco veicolare (12 milioni complessivi tra 2025 e 2026) permetteranno di acquistare veicoli più moderni ed efficienti, con consumi ridotti, minori emissioni e costi di manutenzione più bassi. Questa transizione favorisce il rispetto delle normative ambientali europee e può contribuire ad accedere a ulteriori crediti d’imposta ambientali o strumenti di finanza agevolata.

Accesso semplificato a fondi e iter più veloci

Le deroghe negli appalti pubblici permettono alle imprese di partecipare più facilmente a gare, riducendo i tempi e i costi di partecipazione. In parallelo, la mappatura immediata delle aree idonee per le rinnovabili consente alle imprese del settore energia e impiantistica di avviare nuovi progetti senza attese burocratiche. Questo genera una riduzione dei costi di progettazione e una velocizzazione del ritorno sugli investimenti.

In sintesi, il decreto crea un contesto favorevole in cui le imprese possono programmare lo sviluppo con maggiore sicurezza, sfruttando opportunità reali di risparmio fiscale, maggiore efficienza operativa e minore esposizione al rischio regolatorio.

Impatto macroeconomico

Il Decreto Infrastrutture 2025, pur essendo una misura tecnica, avrà effetti rilevanti anche su scala macroeconomica, configurandosi come uno degli strumenti più efficaci per stimolare investimenti e modernizzazione in settori chiave della produttività italiana. I comparti dell’autotrasporto, della logistica, dell’edilizia pubblica e dell’energia rinnovabile sono tutti asset strategici per il rilancio del PIL e la sostenibilità del sistema economico.

Stimolo agli investimenti e moltiplicatore economico

I fondi per il rinnovo veicoli e le semplificazioni autorizzative per gli impianti FER hanno un effetto moltiplicatore sull’economia: ogni euro investito in questi ambiti attiva catene di fornitura che coinvolgono manifattura, installazione, tecnologia e servizi professionali. Allo stesso modo, la velocizzazione delle procedure di gara pubblica genera cantieri più rapidi, contratti attivi e circolazione di capitale in ambito edilizio e infrastrutturale.

Aumento dell’attrattività per capitali privati

La chiarezza normativa, la riduzione dei tempi autorizzativi e la definizione certa delle aree idonee migliorano la reputazione del sistema Italia agli occhi degli investitori. Ciò è particolarmente importante nel contesto della transizione energetica, dove operatori internazionali cercano contesti regolatori affidabili per localizzare impianti e filiere.

Competitività e resilienza delle PMI

Infine, il decreto fornisce leve concrete per rafforzare la resilienza delle piccole e medie imprese italiane, spesso penalizzate da burocrazia, ritardi nei pagamenti e accesso limitato ai fondi pubblici. Grazie al DL 73/2025, possono invece contare su tempi più certi, incentivi dedicati e procedure alleggerite, elementi fondamentali per pianificare la crescita in modo strutturale.

Nuove opportunità settoriali

L’efficacia del DL 73/2025 dipenderà ora dalla prontezza nell’emanazione dei decreti attuativi, che dovranno definire in dettaglio criteri, procedure e soggetti abilitati a beneficiare delle nuove misure. Alcuni provvedimenti sono attesi già entro l’estate 2025 e riguarderanno:

  • Le modalità di erogazione dei fondi per il rinnovo veicoli (Ministero Infrastrutture e MEF).

  • La mappatura digitale delle aree idonee FER, a cura del GSE.

  • I protocolli operativi per gli appalti pubblici in emergenza, validi anche per eventi climatici estremi sempre più frequenti.

Evoluzione normativa e PNRR

Molte delle disposizioni si intrecciano con le scadenze e gli obiettivi del PNRR e del PNIEC 2030, quindi potrebbero essere estese o stabilizzate nei prossimi mesi, anche alla luce delle interlocuzioni con la Commissione Europea. L’eventuale inserimento delle misure nei prossimi collegi pluriennali di bilancio garantirebbe stabilità normativa e amplierebbe la platea dei beneficiari.

Settori coinvolti nei prossimi aggiornamenti

I settori che dovranno monitorare con maggiore attenzione l’evoluzione saranno:

  • Autotrasporto e logistica urbana, per gli incentivi ambientali e le deroghe contrattuali.

  • Edilizia pubblica e green building, in vista dell’accelerazione dei cantieri.

  • Energia, agrivoltaico e impianti industriali, che potranno sfruttare le nuove aree FER “pre-identificate”.

Conclusione

Il Decreto Infrastrutture 2025 si configura come uno strumento normativo orientato all’operatività immediata, capace di fornire risposte concrete alle imprese in tre ambiti fondamentali: mobilità, appalti e transizione energetica. Le misure adottate non solo facilitano la gestione quotidiana delle aziende, ma offrono anche prospettive strategiche per programmare crescita e investimenti, soprattutto per chi saprà cogliere per tempo le opportunità legate ai fondi pubblici e alle semplificazioni procedurali.

La capacità del Governo di tradurre rapidamente queste norme in azioni attuative sarà determinante per trasformare il decreto in un volano di rilancio economico e di innovazione.

In un’epoca di transizione ecologica e digitale, le imprese italiane hanno ora strumenti concreti per essere protagoniste di un cambiamento reale.

IVA e Fotografia d’Autore: Regole, aliquote e strategie per le cessioni da parte di terzi

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Quando si parla di fotografia d’autore, si entra in un mondo fatto di creatività, visione, unicità. Ma quando la fotografia diventa anche oggetto di commercio, è inevitabile che incontri il rigore della normativa fiscale. Uno dei temi più delicati in questo ambito riguarda proprio l’applicazione dell’IVA alle cessioni di fotografie artistiche, soprattutto quando a vendere non è direttamente l’autore, ma una galleria, una società o un altro soggetto terzo.

Molti operatori del settore si domandano: È possibile applicare l’aliquota ridotta del 10% anche se a cedere l’opera è una società? Cosa cambia se l’autore è un dipendente? E se la fotografia è stampata su supporti diversi dalla carta? A queste domande ha recentemente risposto anche l’Agenzia delle Entrate, confermando un quadro normativo tutt’altro che semplice, ma che è fondamentale conoscere per evitare errori e ottimizzare la fiscalità delle vendite.

In questo articolo, approfondiremo le norme IVA applicabili alle fotografie d’autore, analizzeremo casi reali, pronunce ufficiali, strategie legittime per operare in sicurezza, e rifletteremo su come il futuro della normativa europea e italiana possa influenzare il lavoro di fotografi, galleristi e imprese creative.

Cessioni di fotografie

Il caso esaminato trae origine da un interpello presentato da un’impresa operante nel settore della produzione e commercializzazione di opere d’arte – in particolare fotografie d’autore, uniche o in serie limitata. L’artista, autore delle immagini, è lavoratore dipendente della società, e le opere vengono realizzate con tecniche professionali sotto la sua diretta supervisione. Le fotografie, una volta prodotte, sono stampate in formati personalizzati e accompagnate da un certificato di autenticità, spesso numerate e in tiratura limitata (mai superiore a 30 copie).

L’impresa chiede se possa applicare l’aliquota IVA ridotta al 10% sulle cessioni delle suddette fotografie, anche se formalmente a cederle è la società e non l’autore in persona. Il riferimento normativo chiave in questo contesto è il n. 127-septiesdecies della Tabella A, Parte III allegata al DPR 633/1972, secondo cui godono dell’aliquota agevolata le cessioni di “fotografie d’autore” se tirate dallo stesso autore o sotto la sua direzione, firmate e numerate, e in non più di 30 esemplari complessivi, come previsto anche dall’art. 39 del DL 41/1995.

Un punto di snodo fondamentale è che, pur essendo la società il soggetto giuridico che cede l’opera, la produzione delle fotografie avviene sotto la direzione effettiva dell’autore-dipendente, e le immagini sono firmate, numerate e certificate, conformemente a quanto prescritto dalla legge per l’applicazione dell’aliquota agevolata.

L’interpretazione dell’ADE

L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti molto precisi sul regime IVA applicabile alle cessioni di fotografie d’autore, soprattutto quando effettuate da soggetti diversi dall’artista. Nel caso esaminato, come anticipato, la cessione è operata da una società che impiega l’autore in qualità di dipendente. Nonostante l’opera venga effettivamente realizzata sotto la supervisione dell’artista, firmata, numerata e certificata – come richiesto dalla normativa – il soggetto cedente rimane la società. E qui si apre la questione centrale.

Secondo quanto chiarito dall’Agenzia nella risposta n. 188 del 2022 e ribadito in altri documenti ufficiali, il numero 127-septiesdecies della Tabella A, Parte III del DPR 633/1972, così come l’art. 39 del DL 41/1995, stabiliscono chiaramente che l’aliquota IVA del 10% si applica esclusivamente alle cessioni effettuate dagli autori, dai loro eredi o dai legatari. Questo principio è coerente con la normativa europea, in particolare con l’articolo 311 della Direttiva IVA e l’Allegato IX, parte A, punto 7), che ammette l’aliquota ridotta solo per opere realizzate dall’artista stesso o sotto il suo controllo, firmate e numerate, entro il limite di 30 esemplari, ma cedute da lui stesso o da chi ne ha titolo diretto (eredi o legatari).

Anche se le fotografie realizzate dalla società rispettano tutti i requisiti formali (unicità, tiratura limitata, firma e numerazione), manca il presupposto soggettivo richiesto dalla legge: il cedente non è l’autore, né un suo erede o legatario. Di conseguenza, l’aliquota IVA applicabile è quella ordinaria del 22%. L’intento agevolativo del legislatore è, quindi, limitato a specifici soggetti e non può essere esteso per analogia ad altri operatori, come le società datrici di lavoro.

Il formato incide sull’aliquota IVA?

Un aspetto molto interessante – e innovativo – sollevato dal caso in esame riguarda la stampa delle fotografie su supporti diversi dalla carta, come vetro, metallo o tessuto. L’istante, infatti, intende ampliare l’offerta commerciale della società introducendo formati artistici moderni e compatibili con le tendenze contemporanee di interior design e collezionismo. Ma questa scelta può influire sull’applicazione dell’aliquota IVA?

In linea teorica, la Direttiva 2006/112/CE (art. 311, Allegato IX, parte A, punto 7) e la relativa normativa italiana (art. 39 del DL 41/1995) non limitano il supporto fisico delle fotografie d’autore oggetto di aliquota agevolata. Anzi, si fa esplicitamente riferimento a “qualsiasi formato e supporto”: la fotografia può quindi essere stampata non solo su carta, ma anche su altri materiali, purché siano rispettati i requisiti fondamentali: realizzazione diretta dell’autore o sotto il suo controllo, firma, numerazione, e limite massimo di 30 esemplari.

Tuttavia, come già evidenziato nei paragrafi precedenti, la questione non è tanto il supporto fisico quanto il soggetto cedente. Anche qualora l’opera venga stampata su vetro o metallo, e mantenga le caratteristiche tipiche dell’opera d’arte, se la cessione non è effettuata dall’autore, da un erede o da un legatario, non si può applicare l’aliquota del 10%. È irrilevante, dunque, che la fotografia sia artistica, personalizzata o innovativa nel supporto: ciò che conta è il legame giuridico e fiscale tra l’autore e il soggetto che vende.

In sintesi, l’innovazione tecnologica e artistica non modifica il trattamento fiscale previsto dalla legge. Fino a eventuali modifiche legislative o all’attuazione della delega prevista dalla Legge n. 111/2023, le fotografie artistiche stampate su materiali diversi dalla carta continuano a essere soggette all’aliquota IVA ordinaria del 22%, se cedute da società o soggetti diversi da autore, erede o legatario.

Autore persona fisica e società

Nel sistema fiscale italiano – come anche nella disciplina IVA europea – il soggetto che effettua la cessione di un bene o di un’opera d’arte è un elemento fondamentale per determinare l’aliquota IVA applicabile. Nel caso delle fotografie artistiche, l’aliquota agevolata del 10% è concessa esclusivamente quando il cedente è l’autore, oppure un suo erede o legatario. Ma cosa cambia, quindi, se a vendere è una società, anche se l’opera è realizzata dal suo dipendente artista?

Il problema nasce dal fatto che la normativa non premia soltanto l’aspetto artistico o qualitativo dell’opera, bensì tutela il rapporto diretto tra autore e acquirente. Secondo la Corte di Giustizia dell’UE, infatti, il criterio determinante per l’applicazione dell’IVA ridotta non è il valore artistico, bensì la paternità e la titolarità giuridica dell’opera al momento della cessione. L’opera deve essere ceduta da chi ha creato, o ha ereditato il diritto d’autore sull’opera stessa.

Nel caso di una società, per quanto l’autore sia un dipendente e quindi la creazione avvenga sotto la sua supervisione, la titolarità dell’opera – ai fini fiscali – è dell’impresa, che risulta quindi soggetto cedente. Ed è proprio questo a impedire l’applicazione dell’aliquota ridotta. Non è sufficiente, quindi, che la fotografia sia firmata, numerata o certificata; ciò che conta è la qualifica soggettiva di chi effettua la cessione, che deve rientrare tra quelli tassativamente indicati dalla normativa: autore, erede o legatario.

Questo limite, sebbene possa sembrare penalizzante per le aziende creative, è coerente con l’impianto generale della normativa IVA, che mira a evitare distorsioni concorrenziali e a preservare la tracciabilità artistica e fiscale dell’opera d’arte.

Aliquota agevolata

Se la legge stabilisce in modo rigido che l’aliquota IVA ridotta si applica solo alle cessioni effettuate dall’autore, dagli eredi o dai legatari, viene naturale chiedersi: esistono modalità legittime per far sì che anche altri soggetti possano beneficiare dell’agevolazione? È possibile, ad esempio, che una società agisca per conto dell’artista mantenendo intatta la titolarità soggettiva della cessione?

Una prima ipotesi – teoricamente praticabile – è quella della mediazione o commissione in nome e per conto dell’autore. In questo schema, l’opera non viene venduta direttamente dalla società, ma dall’autore stesso, che può avvalersi della società come mandataria o agente. La fattura viene così emessa dall’autore, e l’aliquota IVA applicabile può legittimamente essere quella agevolata del 10%, sempre che siano rispettate le condizioni formali: tiratura massima di 30 copie, firma, numerazione e stampa diretta o sotto il controllo dell’artista.

Un’altra possibilità è la cessione preliminare del diritto d’autore all’artista, che a sua volta effettua la cessione finale al cliente. Tuttavia, queste operazioni devono essere perfettamente documentate e non apparire come mere simulazioni, pena il rischio di contestazioni fiscali. L’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza tributaria sono infatti molto attente a evitare elusioni, soprattutto nel settore artistico, dove il confine tra operazione reale e operazione artificiosa può diventare sottile.

In alternativa, alcune società valutano la creazione di una figura fiscale autonoma per l’artista, ad esempio con partita IVA individuale, separando le attività dell’autore da quelle della società. Anche questa strategia va ponderata con cura, tenendo conto degli obblighi contributivi, del regime fiscale adottato (forfettario o ordinario) e dell’impatto gestionale.

In sintesi, strategie per beneficiare dell’aliquota ridotta esistono, ma devono essere costruite su basi contrattuali solide, con una consulenza fiscale qualificata e nel pieno rispetto della normativa IVA.

Mercato dell’arte

La rigidità della normativa IVA italiana, che limita l’aliquota agevolata del 10% alle sole cessioni effettuate dagli autori, eredi o legatari, ha un impatto concreto non solo sul piano fiscale, ma anche sull’economia culturale del Paese. Le prime a subirne le conseguenze sono le gallerie d’arte e le società che operano nella promozione degli artisti, che si trovano costrette ad applicare l’IVA ordinaria del 22%, rendendo le opere fotografiche meno competitive sul mercato.

Questa distorsione fiscale ha un effetto a catena: i prezzi finali al pubblico aumentano, il margine commerciale si riduce, e l’interesse degli acquirenti – soprattutto internazionali – si affievolisce. In un contesto globale in cui molti paesi europei applicano regimi IVA più favorevoli, l’Italia rischia di diventare meno attrattiva per collezionisti, investitori e galleristi stranieri.

Le gallerie che rappresentano artisti emergenti, per esempio, faticano a valorizzare economicamente le opere se non possono usufruire dell’aliquota ridotta. La situazione si aggrava nel caso delle fotografie contemporanee, dove il valore aggiunto è spesso dato dalla presentazione, dalla stampa su materiali innovativi e dalla curatela professionale, tutti elementi forniti proprio da soggetti terzi (come le società d’arte), che però non rientrano tra i soggetti agevolati.

Inoltre, la disparità di trattamento tra un’opera ceduta dall’autore e la stessa opera ceduta dalla società che l’ha commissionata rischia di scoraggiare l’organizzazione professionale dell’arte. È un freno allo sviluppo del settore creativo, che ha bisogno di essere competitivo non solo artisticamente, ma anche sul piano fiscale.

Alla luce di tutto ciò, appare sempre più urgente una revisione normativa, capace di coniugare esigenze di gettito fiscale con la necessità di sostenere il sistema artistico nazionale, aprendo l’aliquota ridotta anche ad altri soggetti professionalmente coinvolti nella diffusione culturale.

Esempi pratici

Per fotografi, galleristi e società che operano nella produzione o vendita di opere fotografiche, la scelta del modello operativo può determinare notevoli differenze fiscali.

Vediamo alcuni esempi pratici e come impostare correttamente l’attività:

Esempio 1 – Autore persona fisica che vende direttamente

Un fotografo professionista, con partita IVA, realizza un’opera numerata (es. 1/10), la firma e la vende direttamente al cliente. In questo caso:

  • Se rispetta i requisiti (tiratura ≤ 30, firma, controllo diretto), può applicare IVA al 10%.

  • L’opera va accompagnata da certificato di autenticità e indicazione del numero della tiratura.

Vantaggio: competitività sul prezzo finale e maggiore margine operativo.

Esempio 2 – Società che vende opere del proprio dipendente

Una SRL impiega un fotografo dipendente che produce opere artistiche secondo i requisiti di legge. Tuttavia, la cessione al cliente finale avviene tramite la società stessa.

  • Anche se l’opera è numerata e firmata, la società non è l’autore, né erede o legatario.

  • Deve applicare IVA ordinaria al 22%.

Svantaggio: minore competitività sul mercato e rischio di erosione dei margini.

Esempio 3 – Vendita tramite mandato con rappresentanza

Il fotografo incarica la galleria (o la società) di vendere “in nome e per conto” proprio. La vendita avviene quindi formalmente a nome dell’autore.

  • Se i requisiti dell’opera sono rispettati, si applica l’aliquota agevolata del 10%.

  • La galleria riceve una provvigione (con IVA al 22%) e l’artista emette la fattura.

Soluzione efficace, ma richiede accordi contrattuali chiari e tracciabilità fiscale.

Checklist operativa per il 2025:

Con l’entrata in vigore della legge delega (L. 111/2023), è possibile che l’IVA agevolata venga estesa. Nell’attesa:

  • Documentare accuratamente ogni opera: tiratura, supporto, firma, certificazione.

  • Valutare un modello di vendita in nome dell’artista.

  • Tenere aggiornati i contratti e le clausole sui diritti d’autore.

  • Monitorare il recepimento della Direttiva UE 2022/542, che potrebbe ampliare l’ambito soggettivo.

Questi esempi aiutano a comprendere che la stessa fotografia può subire un trattamento fiscale molto diverso a seconda di chi la vende e come viene venduta. Per questo motivo, il supporto di un commercialista esperto in arte e fiscalità è fondamentale per massimizzare i benefici e prevenire errori sanzionabili.

Conclusione

Il mondo della fotografia d’autore si trova oggi in una posizione complessa, stretto tra l’evoluzione tecnologica e artistica del settore e una normativa fiscale che, pur volendo tutelare l’originalità e il valore dell’opera, non sempre riesce a stare al passo con le nuove modalità di produzione e vendita.

Come abbiamo visto, l’aliquota IVA agevolata del 10% resta prerogativa esclusiva degli autori, degli eredi o dei legatari, e non può essere applicata da società o gallerie che, pur contribuendo in modo sostanziale alla valorizzazione e alla diffusione dell’opera, non rientrano nella categoria dei soggetti legittimati dalla normativa. L’opera può essere artistica, numerata, firmata e stampata su materiali di pregio – ma se la cede una società, l’IVA è al 22%.

Tuttavia, strumenti giuridici legittimi esistono, e con una buona pianificazione fiscale è possibile impostare modelli di business compatibili con il regime agevolato, evitando errori formali e contenziosi. Allo stesso tempo, il settore resta in attesa dell’attuazione della legge delega IVA (Legge 111/2023), che potrebbe aprire nuovi orizzonti a livello normativo e consentire una maggiore inclusione fiscale degli operatori professionali dell’arte.

In un contesto globale dove la competitività fiscale è determinante anche per il mondo culturale, è fondamentale che artisti, gallerie, società e consulenti fiscali agiscano in sinergia per costruire modelli virtuosi, che valorizzino il patrimonio creativo italiano senza incorrere in sanzioni.

La fotografia è arte, è cultura, è economia. E merita una fiscalità che ne riconosca la complessità.

Proroga scadenze fiscali: slittano gli adempimenti dal 16 al 30 maggio 2025

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Il mondo fiscale italiano è spesso oggetto di modifiche dell’ultimo minuto, capaci di incidere significativamente sulla pianificazione delle attività di professionisti e imprese. È proprio ciò che è accaduto con la proroga degli adempimenti fiscali e contributivi inizialmente previsti per il 16 maggio 2025, che, grazie all’intervento dell’Agenzia delle Entrate, sono stati ufficialmente rinviati al 30 maggio 2025. Una misura di sollievo temporaneo, ma fondamentale per una platea estesa di contribuenti, in particolare nei comuni colpiti da eventi meteorologici straordinari.

Il rinvio si applica a una gamma ampia di adempimenti, tra cui comunicazioni, versamenti, liquidazioni periodiche IVA e presentazione del modello 730, e rappresenta una risposta concreta a esigenze emergenziali di carattere ambientale e amministrativo.

Questo articolo approfondisce tutte le implicazioni della proroga: chi riguarda, quali obblighi sono sospesi, cosa bisogna fare entro il 30 maggio, e come approfittarne senza incorrere in sanzioni.

Le ragioni della proroga

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la proroga degli adempimenti fiscali dal 16 al 30 maggio 2025 non è legata a eventi meteorologici eccezionali o calamità naturali, ma a un problema tecnico di accessibilità ai servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate. Il 15 maggio, giornata immediatamente precedente alla scadenza originaria, numerosi professionisti hanno riscontrato gravi rallentamenti e blocchi nei servizi dell’Agenzia, che hanno reso impossibile trasmettere le comunicazioni previste.

Le segnalazioni sono state raccolte e inoltrate tempestivamente dalle principali sigle di categoria – come il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) e le associazioni di categoria – che hanno chiesto ufficialmente una proroga generalizzata degli adempimenti in scadenza il 16 maggio. L’Agenzia ha recepito la richiesta con una nota pubblicata il 17 maggio 2025, comunicando che i versamenti e gli adempimenti fiscali possono essere effettuati entro il 30 maggio senza applicazione di sanzioni.

È importante sottolineare che la proroga non deriva da un provvedimento normativo formale, ma da un comunicato dell’Agenzia delle Entrate, che ha valore interpretativo e operativo nel contesto della gestione emergenziale. La base giuridica implicita di tale decisione si fonda sull’articolo 6, comma 11, dello Statuto del Contribuente, che consente di evitare sanzioni in presenza di “oggettive condizioni di incertezza” imputabili alla pubblica amministrazione.

Adempimenti

La proroga comunicata dall’Agenzia delle Entrate si applica a tutti gli adempimenti fiscali e ai versamenti che scadevano il 16 maggio 2025, posticipandoli al 30 maggio 2025, senza aggravio di sanzioni o interessi. La misura non è limitata a specifiche categorie di contribuenti o aree territoriali, bensì ha valenza generale, risultando quindi applicabile a imprese, professionisti e privati cittadini indistintamente.

Tra gli adempimenti prorogati rientrano:

  • la trasmissione telematica del modello 730 precompilato da parte di CAF e professionisti;

  • le comunicazioni IVA legate alla liquidazione periodica del primo trimestre 2025 (LIPE);

  • eventuali ravvedimenti operosi per tributi già scaduti, se programmati per quella data;

  • versamenti contributivi e ritenute d’acconto (ove non già effettuati tramite F24);

  • presentazione o integrazione di dichiarazioni e comunicazioni obbligatorie all’Agenzia.

Questo slittamento di due settimane consente a commercialisti e operatori fiscali di recuperare le operazioni non trasmesse a causa dei disservizi del 15 maggio, garantendo continuità operativa e tutela del contribuente. Tuttavia, è fondamentale comprendere che la proroga non estende i termini ordinari per adempimenti futuri, né può essere invocata per scadenze diverse da quelle espressamente citate nel comunicato dell’Agenzia.

Istruzioni operative

Chi rientra nella proroga ha ora tempo fino al 30 maggio 2025 per completare gli adempimenti fiscali sospesi, ma è fondamentale agire con metodo e precisione. Sebbene l’Agenzia delle Entrate abbia garantito l’assenza di sanzioni, il mancato rispetto del nuovo termine può comunque comportare l’applicazione delle sanzioni ordinarie e degli interessi.

Ecco cosa conviene fare subito:

  1. Verificare l’elenco degli adempimenti non trasmessi il 16 maggio a causa dei disservizi, anche tramite i software di invio utilizzati (es. Desktop Telematico, Entratel, software CAF);

  2. Riprogrammare con urgenza l’invio delle LIPE del primo trimestre, i modelli 730 precompilati e le comunicazioni IVA mancanti;

  3. Effettuare i versamenti sospesi tramite modello F24, tenendo conto che la proroga non modifica i codici tributo da utilizzare;

  4. Monitorare eventuali nuovi aggiornamenti o provvedimenti dell’Agenzia, che potrebbero normare formalmente la proroga (es. con provvedimenti del Direttore o circolari esplicative);

  5. In caso di dubbi, conservare la documentazione che dimostra l’impossibilità tecnica del 15 maggio, utile in caso di eventuale accertamento.

È consigliabile per i professionisti inviare ai clienti una comunicazione ufficiale con l’elenco degli adempimenti sospesi e la nuova data di scadenza. Questo riduce il rischio di errori e migliora la compliance complessiva. Ricordiamo che, pur trattandosi di una misura d’urgenza, il principio di diligenza rimane in capo al contribuente e al suo intermediario.

Quadro normativo

Sebbene non sia stato emanato un provvedimento normativo formale, la proroga dal 16 al 30 maggio trova legittimazione nell’art. 6, comma 11, della Legge n. 212 del 2000, meglio conosciuta come Statuto del Contribuente. Questa norma stabilisce che il contribuente non può essere sanzionato quando si trova in una condizione di oggettiva incertezza normativa o procedurale generata da disfunzioni dell’amministrazione finanziaria.

In questo caso specifico, i disservizi tecnici del 15 maggio hanno creato una condizione tale da giustificare, secondo il comunicato dell’Agenzia delle Entrate del 17 maggio 2025, la non applicazione delle sanzioni per ritardi negli adempimenti e versamenti previsti per il giorno successivo. Non si tratta dunque di una proroga “classica”, regolata da un decreto o da un provvedimento formale, bensì di una proroga interpretativa e temporanea concessa tramite comunicazione pubblica.

È utile ricordare che lo Statuto del Contribuente ha natura di legge ordinaria, ma con un forte valore di indirizzo anche nei confronti dell’attività amministrativa. Tuttavia, l’assenza di una base normativa secondaria (es. decreto del MEF) può generare incertezza, soprattutto per quanto riguarda l’eventuale contenzioso. In questi casi, diventa fondamentale conservare la documentazione probatoria del disservizio, come screenshot, errori di sistema, ricevute di mancato invio.

Infine, si segnala che nessuna modifica è intervenuta sui termini di decadenza e prescrizione per gli accertamenti fiscali, né è stata prevista la possibilità di ulteriore rinvio: la proroga si esaurisce con la nuova scadenza del 30 maggio 2025.

Rischi da evitare

La proroga concessa dall’Agenzia delle Entrate, pur essendo una misura di “tregua fiscale”, non deve indurre a sottovalutare l’importanza del rispetto del nuovo termine del 30 maggio. Chi non effettuerà gli adempimenti previsti entro questa data potrà incorrere in sanzioni piene, come se non avesse rispettato la scadenza del 16 maggio, dato che non vi è stata alcuna modifica formale dei termini prevista da legge o decreto.

Uno dei principali rischi è quello di ritenere la proroga automatica e consolidata, quando in realtà si tratta di un intervento interpretativo che lascia margini di incertezza. Per questo motivo è raccomandabile:

  • Effettuare tutte le operazioni entro il 30 maggio senza ulteriore rinvio, anche se non vi è stato un decreto;

  • Evitare di attendere gli ultimi giorni, in quanto i sistemi telematici potrebbero tornare sotto stress per l’afflusso massivo;

  • Tenere traccia dei protocolli di invio, ricevute e report generati dai sistemi Entratel e Fisconline, come prova di adempimento corretto;

  • Non posticipare versamenti F24 già predisposti, poiché eventuali ritardi anche di un giorno potrebbero generare interessi o perdita di benefici fiscali collegati (es. compensazioni);

  • Per gli studi professionali, verificare cliente per cliente gli invii mancati del 16 maggio, utilizzando check-list e sistemi di controllo interno.

Un ulteriore punto di attenzione riguarda i contribuenti minori o le partite IVA in regime forfettario, che spesso gestiscono direttamente gli adempimenti senza intermediari: anche per loro, il termine del 30 maggio resta tassativo e la buona fede non basterà a evitare conseguenze se non supportata da prove concrete di errore tecnico.

Vantaggi e opportunità fiscali

Sebbene la proroga dal 16 al 30 maggio sia nata come misura emergenziale, essa può trasformarsi in un’occasione concreta per ottimizzare la gestione fiscale e, in alcuni casi, anche per risparmiare legalmente sulle imposte.

In particolare, la finestra temporale concessa può essere sfruttata per:

  • Correggere errori o omissioni in adempimenti già predisposti, evitando sanzioni amministrative per invii errati o incompleti;

  • Effettuare ravvedimenti operosi in tempo utile, potendo beneficiare della riduzione delle sanzioni previste in misura minima (1/10 o 1/9 del minimo, in base ai giorni trascorsi);

  • Utilizzare al meglio i crediti d’imposta in compensazione tramite F24, dopo aver verificato con maggiore calma la correttezza degli importi e delle causali;

  • Coordinare con maggiore accuratezza la trasmissione del modello 730 precompilato, specie per i CAF e gli studi associati, che ora dispongono di due settimane aggiuntive per il controllo documentale;

  • Riprogrammare le scadenze con i clienti, favorendo una gestione più fluida dei flussi informativi e degli appuntamenti fiscali di maggio.

Dal punto di vista operativo, questo rinvio permette anche di gestire con minore urgenza le scadenze ravvicinate come le liquidazioni IVA periodiche e i primi versamenti delle imposte 2025, evitando sovrapposizioni e riducendo il rischio di incorrere in sanzioni multiple per inadempimenti simultanei.

In sintesi, per chi saprà approfittarne, questa proroga non rappresenta solo una dilazione tecnica ma un’opportunità di riorganizzazione fiscale intelligente e perfettamente legale.

Conclusioni

La proroga degli adempimenti fiscali dal 16 al 30 maggio 2025 rappresenta una boccata d’ossigeno per contribuenti e professionisti, ma non deve essere vissuta come un invito al rinvio. Al contrario, si tratta di una misura di emergenza finalizzata a risolvere i disservizi tecnici che hanno reso impossibile il corretto invio delle comunicazioni e dei versamenti in prossimità della scadenza originaria.

L’Agenzia delle Entrate ha dimostrato una certa apertura interpretativa, richiamandosi ai principi dello Statuto del Contribuente, ma l’assenza di una norma secondaria ufficiale richiede comunque massima attenzione e rigore documentale. Ogni contribuente e ogni studio deve adottare comportamenti proattivi, completando gli adempimenti sospesi entro il nuovo termine e conservando tutte le prove di corretto invio.

Non ci sono bandi o incentivi fiscali prorogati con questa misura: il rinvio riguarda esclusivamente obblighi ordinari, come LIPE, modelli 730, versamenti F24 e simili. Tuttavia, il tempo guadagnato può essere sfruttato strategicamente per ottimizzare la posizione fiscale del contribuente, correggere errori e riorganizzare il calendario fiscale dei mesi successivi.

La lezione che emerge da questo episodio è chiara: in un sistema complesso come quello fiscale italiano, preparazione, prontezza operativa e aggiornamento costante sono gli unici strumenti in grado di garantire protezione da sanzioni e perdite economiche.

Bando ISI INAIL 2024: guida completa ai finanziamenti per la sicurezza sul lavoro

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Il Bando ISI INAIL 2024 rappresenta una delle principali opportunità di finanziamento per le imprese italiane che intendono investire nella sicurezza e nella salute dei lavoratori. Con uno stanziamento record di 508 milioni di euro a fondo perduto, l’INAIL rinnova il proprio impegno nella prevenzione degli infortuni sul lavoro, promuovendo interventi strutturali, tecnologici e organizzativi all’interno delle aziende. Un’opportunità da cogliere al volo per chi desidera migliorare le proprie condizioni lavorative senza dover sostenere interamente l’onere economico degli interventi.

Dal 15 aprile al 30 maggio 2025, sarà attiva la procedura informatica per la compilazione e la presentazione delle domande, secondo modalità dettagliatamente disciplinate dall’Istituto. L’incentivo non solo premia le imprese virtuose, ma si inserisce anche in un contesto di rafforzamento delle politiche pubbliche in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, anche alla luce delle più recenti novità legislative.

Ma quali sono le regole tecniche per accedere al bando? Come si può massimizzare la possibilità di ottenere i fondi? In questo articolo analizzeremo in modo chiaro e dettagliato tutte le fasi del bando ISI 2024: dai requisiti di accesso, alla compilazione della domanda, fino al click day e alla pubblicazione delle graduatorie. Scopriremo inoltre quali spese sono ammissibili, come presentare progetti coerenti, e quali sono gli errori da evitare.

Chi può accedere

Il Bando ISI INAIL 2024 si rivolge a una platea molto ampia di soggetti, confermando la sua funzione strategica a supporto della prevenzione e riduzione dei rischi nei luoghi di lavoro.

I destinatari principali del bando sono le imprese, anche individuali, regolarmente iscritte alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (CCIAA), per le iniziative previste nei cinque distinti Assi di finanziamento. In aggiunta, gli Enti del Terzo Settore, come definiti dal decreto legislativo n. 117/2017, modificato dal d.lgs. n. 105/2018, possono accedere ai contributi limitatamente agli interventi previsti per la riduzione del rischio da movimentazione manuale di persone, ossia quelli relativi all’Asse 2 – Tipologia d).

Le tipologie di progetto finanziabili sono articolate in cinque Assi di intervento, ognuno dei quali mira a obiettivi specifici in materia di sicurezza e salute sul lavoro:

  • Asse 1: comprende progetti per la riduzione dei rischi tecnopatici (malattie professionali) e l’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale;

  • Asse 2: è dedicato alla riduzione dei rischi infortunistici, inclusi quelli connessi alla movimentazione manuale di carichi o persone;

  • Asse 3: finanzia interventi di bonifica da materiali contenenti amianto, una delle principali priorità sanitarie;

  • Asse 4: riservato a micro e piccole imprese che operano in settori di attività specifici (secondo Allegato 4 del bando);

  • Asse 5: destinato a micro e piccole imprese agricole attive nella produzione primaria di prodotti agricoli, con particolare attenzione alla meccanizzazione e alla sicurezza delle attrezzature.

Questa articolazione consente di coprire una vasta gamma di interventi migliorativi, promuovendo una cultura della prevenzione integrata e sostenibile. I progetti devono essere coerenti con gli allegati tecnici del bando, pena l’inammissibilità della domanda.

Misura dei finanziamenti

Per il Bando ISI INAIL 2024, l’Istituto ha stanziato complessivamente 600 milioni di euro, cifra mai così alta nella storia del bando. Di questi, 510 milioni sono destinati alla linea ordinaria (ISI), mentre 90 milioni sono riservati al settore agricolo, nell’ambito del sotto-bando ISI Agricoltura.

Le risorse vengono ripartite tra i vari Assi di finanziamento secondo una precisa suddivisione:

  • Asse 1.1 – Rischi tecnopatici: € 93.000.000

  • Asse 1.2 – Modelli organizzativi e responsabilità sociale: € 12.000.000

  • Asse 2 – Rischi infortunistici: € 165.000.000

  • Asse 3 – Bonifica amianto: € 150.000.000

  • Asse 4 – Settori specifici: € 90.000.000

  • Asse 5.1 – Agricoltura: € 70.000.000

  • Asse 5.2 – Agricoltura giovani: € 20.000.000

La ripartizione territoriale delle risorse per regione e provincia autonoma viene definita da INAIL in base a criteri tecnici elaborati dalla propria Consulenza Statistico Attuariale. Questi criteri considerano da un lato la propensione storica delle imprese a partecipare al bando, e dall’altro l’incidenza e la gravità degli infortuni registrati sul territorio.

Il finanziamento è a fondo perduto, calcolato sulle spese ammissibili al netto dell’IVA, con percentuali variabili in base all’Asse di intervento:

  • 65% per gli Assi 1.1, 2, 3, 4;

  • 80% per l’Asse 1.2, dedicato ai modelli organizzativi (solo per imprese con meno di 50 dipendenti non è previsto un minimo);

  • fino al 65% per le imprese agricole (Asse 5.1);

  • fino all’80% per i giovani agricoltori (Asse 5.2).

Gli importi concedibili vanno da un minimo di 5.000 euro a un massimo di 130.000 euro, tranne che per le piccole imprese con meno di 50 addetti, che per l’adozione di modelli organizzativi non sono soggette al limite minimo.

Come presentare la domanda

La domanda di partecipazione al Bando ISI INAIL 2024 deve essere presentata esclusivamente in modalità telematica, attraverso l’apposita procedura disponibile sul portale ufficiale dell’INAIL (www.inail.it). Il processo è strutturato in più fasi, tra cui la compilazione guidata, il salvataggio, la validazione, e infine il caricamento della documentazione richiesta, secondo quanto previsto dagli avvisi regionali o provinciali, che stabiliscono eventuali ulteriori specificità locali.

L’accesso al sistema si effettua tramite l’area “Accedi ai Servizi Online” del sito INAIL, dove sarà disponibile una procedura informatica user-friendly che guida l’impresa passo dopo passo nella preparazione della domanda. Ogni utente deve essere in possesso delle credenziali di accesso (SPID, CIE o CNS), e l’intera procedura è vincolata alle date che saranno pubblicate nel “Calendario scadenze ISI 2024”, entro il 26 febbraio 2025. Questo calendario rappresenterà un riferimento fondamentale per non perdere le tempistiche ufficiali.

Per evitare errori, è fondamentale leggere attentamente la documentazione di riferimento e seguire le istruzioni presenti negli Avvisi pubblicati da INAIL.

In caso di dubbi o difficoltà, sono disponibili due canali di assistenza:

  • Il Contact Center INAIL, attivo al numero 06.6001;

  • Il servizio “Inail Risponde”, accessibile nella sezione Supporto del sito istituzionale.

È importante ricordare che le richieste di assistenza devono pervenire almeno 10 giorni prima della chiusura della procedura informatica, altrimenti non saranno garantiti tempi utili per una risposta.

Click day

Una delle fasi più delicate e attese del Bando ISI INAIL 2024 è senza dubbio il cosiddetto click day, ovvero il momento in cui le imprese che hanno completato correttamente la fase di compilazione e validazione della domanda devono inviare telematicamente la propria richiesta di finanziamento. Questa fase è gestita tramite un sistema a sportello, in cui la tempestività dell’invio rappresenta un fattore determinante per accedere al contributo.

Dopo la chiusura della fase preliminare, INAIL assegnerà a ciascuna domanda un codice identificativo univoco. Successivamente, verrà comunicata alle imprese la data ufficiale del click day, insieme alle istruzioni tecniche per l’inoltro della domanda definitiva. Il sistema di invio è progettato per garantire trasparenza e tracciabilità, ma è fondamentale prepararsi con largo anticipo, anche effettuando simulazioni e test tecnici previsti dalla piattaforma.

La selezione delle domande avviene secondo il principio cronologico dell’invio: verrà stilata una graduatoria basata sull’ordine di arrivo delle richieste che abbiano superato i controlli formali e rispettino i requisiti di ammissibilità. Tuttavia, non basta inviare la domanda per ottenere il finanziamento: INAIL procederà alla verifica tecnica e amministrativa dei progetti, valutandone la coerenza con gli obiettivi del bando e la congruità delle spese.

Al termine della procedura, saranno pubblicate le graduatorie regionali e provinciali sul sito ufficiale, suddivise per Asse e linea di intervento. Le imprese ammesse riceveranno comunicazione formale e dovranno rispettare i tempi previsti per la realizzazione del progetto e la rendicontazione delle spese, pena la revoca del contributo.

Vantaggi per le imprese

Aderire al Bando ISI INAIL 2024 è una scelta altamente vantaggiosa, sia dal punto di vista economico, sia in termini strategici e reputazionali. Innanzitutto, il bando consente alle imprese di accedere a contributi a fondo perduto fino all’80%, un’opportunità concreta per finanziare interventi spesso costosi come la sostituzione di macchinari obsoleti, la bonifica di materiali pericolosi (come l’amianto) o l’implementazione di sistemi avanzati di sicurezza.

Oltre al beneficio diretto sul cash flow aziendale, gli interventi finanziati migliorano sensibilmente il livello di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, riducendo così i costi legati all’assenteismo e agli indennizzi. Ma c’è di più: chi investe in sicurezza può ottenere sconti sul premio assicurativo INAIL attraverso il modello OT23, generando un risparmio fiscale strutturale negli anni successivi.

Da non trascurare, infine, l’effetto sulla reputazione aziendale: l’adozione di modelli organizzativi certificati e l’impegno documentato nella tutela dei lavoratori rappresentano un vantaggio competitivo nelle gare d’appalto pubbliche e nelle relazioni con fornitori e stakeholder. Partecipare al bando significa quindi costruire un’impresa più sicura, efficiente e credibile, pronta a cogliere anche le sfide della sostenibilità.

Caso pratico

Immaginiamo una piccola azienda agricola familiare situata in Emilia-Romagna, con meno di 10 dipendenti e attiva nella produzione di frutta e ortaggi. L’impresa possiede un parco macchine datato, non più conforme agli standard di sicurezza attuali, e desidera sostituire un vecchio trattore privo di cabina antiribaltamento con un modello più sicuro, dotato di protezione ROPS/FOPS e sistemi ergonomici per ridurre la fatica dell’operatore.

Grazie all’Asse 5.1 del Bando ISI INAIL 2024, l’azienda può accedere a un finanziamento a fondo perduto fino al 65% delle spese ammissibili. Dopo aver effettuato una verifica preliminare dei requisiti e consultato gli allegati tecnici del bando, il titolare accede al portale INAIL e, tramite la sezione “Servizi online”, compila la domanda. Vengono allegati preventivi e schede tecniche del nuovo mezzo agricolo, che rientra tra le attrezzature ammesse al finanziamento.

L’importo totale dell’investimento è di 40.000 euro (IVA esclusa): INAIL può concedere un contributo fino a 26.000 euro a fondo perduto. Superata la fase di validazione e partecipando con successo al click day, l’azienda viene inserita in graduatoria e riceve l’approvazione del finanziamento. Dopo l’acquisto del nuovo trattore e l’invio della rendicontazione finale, INAIL eroga il contributo pattuito.

Il risultato? L’impresa ottiene un mezzo più sicuro ed efficiente, migliora le condizioni di lavoro, riduce il rischio di infortuni e potenzialmente abbatte i costi assicurativi futuri. Un caso esemplare di come il bando possa tradursi in vantaggi economici e operativi reali, anche per realtà aziendali di piccole dimensioni.

Costi evitabili

Omettere di investire nella sicurezza dei luoghi di lavoro non è solo un rischio per la salute dei dipendenti, ma comporta anche sanzioni economiche e penali per l’imprenditore. Secondo il Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a garantire la tutela di lavoratori e collaboratori. La mancata osservanza di tali obblighi può dar luogo a ammende che partono da centinaia di euro fino a superare i 15.000 euro, oltre a arresto da 3 a 6 mesi in caso di violazioni gravi.

Inoltre, un infortunio sul lavoro in un contesto privo di adeguate misure di prevenzione può comportare il riconoscimento di responsabilità civile e penale, con pesanti conseguenze economiche e reputazionali. INAIL, in caso di incidente, può rivalsa sul datore di lavoro per ottenere il rimborso delle spese sostenute, qualora venga accertata una condotta omissiva o negligente.

Ecco perché il Bando ISI INAIL 2024 assume un valore ancora più rilevante: consente alle imprese di prevenire queste sanzioni, intervenendo con largo anticipo e a costi contenuti grazie ai contributi a fondo perduto. Investire in sicurezza con il supporto pubblico è oggi la strada più efficace per evitare conseguenze legali e finanziarie potenzialmente devastanti. Inoltre, l’adeguamento alle normative vigenti migliora l’immagine aziendale agli occhi di clienti, partner e autorità, rafforzando la posizione dell’impresa nel mercato.

Checklist operativa

Partecipare con successo al Bando ISI INAIL 2024 richiede pianificazione, precisione e tempestività. Le risorse sono importanti, ma anche limitate e assegnate in ordine cronologico: per questo motivo, un approccio improvvisato può tradursi nella perdita del contributo. Una preparazione strutturata, invece, può fare la differenza.

Di seguito una checklist operativa pensata per imprese, consulenti e studi professionali:

  1. Analisi dei bisogni aziendali: Individuare gli ambiti critici di rischio (es. amianto, movimentazione manuale, macchinari non sicuri).

  2. Verifica dei requisiti di accesso: Controllare l’iscrizione alla CCIAA, la regolarità contributiva (DURC) e la posizione INAIL.

  3. Scelta dell’Asse di finanziamento più idoneo: Consultare gli allegati tecnici per comprendere in quale Asse rientra il progetto previsto.

  4. Raccolta dei preventivi e documentazione tecnica: È fondamentale predisporre tutto il materiale in anticipo (schede tecniche, certificazioni, computi).

  5. Compilazione della domanda sul portale INAIL: Accedere ai servizi online con SPID, CIE o CNS e seguire la procedura guidata.

  6. Validazione e salvataggio della domanda: Solo le domande validate riceveranno il codice identificativo necessario per il click day.

  7. Simulazione del click day: INAIL fornisce una piattaforma di test per esercitarsi all’invio della domanda in tempo reale.

  8. Monitoraggio delle scadenze ufficiali: Consultare il calendario ISI 2024 pubblicato entro il 26 febbraio 2025.

  9. Assistenza da parte di un consulente specializzato: Avere un commercialista o consulente del lavoro esperto può semplificare tutto il processo ed evitare errori.

Seguire questa checklist non solo aumenta le possibilità di ottenere il finanziamento, ma riduce anche i tempi e lo stress legati alla partecipazione. Una buona preparazione equivale a un vantaggio competitivo.

Considerazioni finali

Il Bando ISI INAIL 2024 rappresenta molto più di un semplice incentivo economico: è uno strumento strategico per la crescita responsabile delle imprese italiane. Con una dotazione finanziaria mai vista prima, modalità di accesso chiare e una suddivisione per Assi che copre tutti i principali ambiti della sicurezza, il bando si conferma come uno dei pilastri della prevenzione aziendale.

Le imprese hanno oggi l’occasione di ottenere risorse preziose per rendere più sicuro e moderno il proprio ambiente di lavoro, riducendo al contempo i costi futuri derivanti da infortuni e malattie professionali. In un momento in cui l’attenzione alla salute sul lavoro è al centro delle politiche pubbliche e della responsabilità d’impresa, non cogliere questa opportunità significherebbe rinunciare a un vantaggio competitivo reale e misurabile.

Prepararsi per tempo, seguire attentamente le scadenze e farsi assistere da professionisti esperti può fare la differenza tra ottenere il contributo o restarne esclusi.

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