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venerdì 11 Luglio 2025
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CPB 2025–2026: esclusi i professionisti in STP? Le nuove regole del Decreto Correttivo spiegate nel dettaglio

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Business contracts on the desk with two male colleagues sitting on background

Il nuovo Decreto Legislativo Correttivo sul Concordato Preventivo Biennale (CPB), attualmente in fase di valutazione presso le Commissioni parlamentari, introduce una novità dirompente: l’esclusione dei professionisti che aderiscono a una STP – Società tra Professionisti – dalla possibilità di accedere a questo importante strumento di compliance fiscale. Una decisione che potrebbe ridisegnare gli equilibri tra lavoro autonomo tradizionale e forme associate di esercizio della professione.

Il CPB, lo ricordiamo, è uno degli strumenti chiave introdotti dal legislatore per offrire ai contribuenti la possibilità di concordare in anticipo il reddito imponibile per due anni, assicurandosi stabilità, certezza fiscale e un rapporto più disteso con l’amministrazione finanziaria.

Tuttavia, con questa nuova causa di esclusione, i professionisti che operano all’interno di una STP – una forma giuridica sempre più diffusa e incentivata per la gestione associata delle attività professionali – rischiano di perdere un’opportunità strategica per pianificare in modo efficiente la propria fiscalità.

Perché il legislatore ha deciso questa esclusione? Quali sono le conseguenze per i professionisti coinvolti? E soprattutto: ci sono soluzioni o strategie alternative per mitigare gli effetti negativi di questa novità normativa? In questo articolo analizzeremo tutti i dettagli della proposta, i possibili scenari futuri e le implicazioni fiscali, economiche e organizzative per i professionisti italiani.

CPB e D.Lgs Correttivo

Con il nuovo Decreto Legislativo Correttivo al Concordato Preventivo Biennale (CPB), attualmente ancora in fase di bozza, il legislatore introduce modifiche sostanziali alle cause di esclusione e cessazione dal regime agevolato.

Le novità principali sono contenute negli articoli 8 e 9 del testo normativo, i quali delineano due aspetti fondamentali: da un lato l’aggiunta di nuove cause di esclusione e cessazione dal concordato, dall’altro una interpretazione autentica di quanto già previsto dalla normativa istitutiva del CPB.

L’intervento si concentra soprattutto sui lavoratori autonomi, in particolare quelli che dichiarano redditi ai sensi dell’art. 54, comma 1 del TUIR (D.P.R. 917/1986), ma che partecipano anche a forme associate di esercizio della professione: associazioni professionali, STP (Società tra Professionisti) ex art. 10 della Legge 183/2011, oppure società tra avvocati ex art. 4-bis della Legge 247/2012.

In tali casi, non sarà più sufficiente che il singolo professionista presenti domanda per il concordato preventivo: l’adesione dovrà essere congiunta, estesa cioè anche alle società o associazioni a cui partecipa.

In assenza di tale adesione congiunta, scatterà automaticamente l’esclusione dal CPB, tanto per il singolo professionista quanto per l’associazione o la STP, se non tutti i soci decidono di aderire al concordato per gli stessi periodi d’imposta. Questa regola rafforza il principio di coerenza e trasparenza fiscale tra le parti associate, ma solleva anche numerosi interrogativi pratici sull’effettiva applicabilità della norma e sulla libertà individuale di adesione.

Nuove cause di cessazione

Oltre all’introduzione di nuove cause di esclusione dall’accesso al Concordato Preventivo Biennale (CPB), il D.Lgs Correttivo interviene anche sulle cause di cessazione dal regime per i soggetti già ammessi. L’obiettivo è mantenere un criterio di uniformità e coerenza tra i soci e le strutture a cui partecipano, evitando che l’adesione al CPB diventi una scelta individuale slegata dal contesto professionale complessivo.

In particolare, viene stabilito che le associazioni e le società tra professionisti o tra avvocati cessano dal concordato nel momento in cui anche uno solo dei soci o associati – che dichiarano individualmente redditi da lavoro autonomo ai sensi dell’art. 54, comma 1, TUIR – non è più in condizione di determinare il proprio reddito attraverso il concordato, indipendentemente dalla causa che determina tale cessazione. Questa previsione opera in senso speculare: anche il singolo professionista decade dal regime concordatario nel caso in cui la STP o l’associazione cui partecipa non possa più aderire per i medesimi periodi d’imposta.

Questa dinamica, fortemente interdipendente, accentua la responsabilità collettiva all’interno delle forme associative. La norma si applica con riferimento agli articoli 11, comma 1, lett. b-quater) e 21, comma 1, lett. b-ter) del D.Lgs 12 febbraio 2024, n. 13, e viene arricchita da un chiarimento importante: per operazioni di conferimento, che possono incidere sulla cessazione, si intendono unicamente quelle relative al conferimento di azienda o ramo d’azienda. Restano dunque escluse operazioni più semplici, come il conferimento in denaro da parte dei soci, che non impattano sulla permanenza nel regime CPB.

STP e CPB

L’articolo 8 del D.Lgs Correttivo – ancora in bozza – introduce una delle novità più discusse e controverse: l’esclusione dal Concordato Preventivo Biennale (CPB) per i professionisti che aderiscono a Società tra Professionisti (STP), qualora non vi sia un’adesione collettiva e coordinata al regime per il biennio 2025-2026.

Nella logica della norma, infatti, l’accesso al CPB da parte del lavoratore autonomo è subordinato alla condizione che anche la società o associazione professionale cui partecipa opti per il concordato, e ciò deve avvenire per i medesimi periodi d’imposta.

L’effetto è duplice: da un lato, se la STP non aderisce, il singolo professionista non potrà entrare nel CPB; dall’altro, anche la società sarà esclusa qualora non tutti i soci dichiaranti reddito autonomo aderiscano alla proposta.

Questo vincolo “a cascata” solleva interrogativi importanti: cosa succede se uno dei soggetti non può aderire per una delle cause già previste dall’art. 11 del D.Lgs 13/2024? In base all’attuale formulazione, l’adesione sembra essere ammessa solo in presenza di unanimità, ma si attendono chiarimenti nel testo definitivo.

A complicare ulteriormente il quadro, interviene la questione degli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità): una STP che calcola il reddito secondo le regole d’impresa non può applicare gli ISA, che sono invece tarati su redditi di lavoro autonomo.

Per alcune attività – come studi legali (DK04U), di commercialisti (DK05U), ingegneria (DK02U), architettura (DK18U) e veterinaria (DK22U) – è previsto per il 2024 solo l’obbligo statistico, in vista della piena applicazione ISA nel 2025. Questo significa che per il biennio 2025–2026 le STP restano escluse dal CPB, e con esse anche i soci, creando una penalizzazione importante per le strutture professionali associate.

STP escluse dal CPB

Le limitazioni introdotte dalla bozza dell’art. 8 del Decreto Correttivo al CPB avranno un impatto tangibile sulla pianificazione fiscale di molti studi professionali associati. Le STP escluse dalla possibilità di aderire al concordato si troveranno di fatto impossibilitate a offrire ai propri soci professionisti i benefici del CPB, anche qualora questi ultimi operino con partita IVA individuale. La conseguenza più evidente è la perdita di certezza e prevedibilità sul reddito imponibile per il biennio 2025–2026, in un contesto normativo e fiscale già complesso.

Per i professionisti, l’adesione al CPB rappresentava un’opportunità strategica: garantiva due anni di stabilità sul reddito concordato, proteggendoli da contestazioni future e consentendo una programmazione fiscale più efficiente. Con l’esclusione delle STP, però, questi vantaggi vengono meno proprio per chi ha scelto un modello organizzativo moderno e collaborativo, spinto anche da precedenti politiche di incentivo alla costituzione di STP.

In questo scenario, le strategie da adottare devono tenere conto della struttura societaria e del regime fiscale applicato. I professionisti potrebbero valutare, ad esempio, un ritorno alla partita IVA individuale per accedere al CPB, oppure una riorganizzazione interna che consenta alla STP di essere strutturata in modo compatibile con i nuovi ISA e, successivamente, con il concordato. Tuttavia, queste operazioni comportano costi, oneri burocratici e rischi operativi.

Un altro aspetto critico è la gestione della comunicazione tra soci: poiché l’adesione al CPB è condizionata dall’unanimità tra i partecipanti, sarà necessario un coordinamento attento per valutare congiuntamente vantaggi, svantaggi e tempistiche. In assenza di una visione comune, l’intero studio rischia di essere tagliato fuori dal regime.

Possibili correttivi e chiarimenti

L’iter parlamentare del Decreto Correttivo al CPB è ancora in corso e, proprio per questo, cresce l’attesa da parte di professionisti, associazioni di categoria e consulenti fiscali per una versione definitiva che possa chiarire i dubbi interpretativi emersi in questa fase iniziale. Le disposizioni contenute nella bozza, infatti, sollevano diverse criticità, soprattutto per quanto riguarda l’obbligo di adesione “collettiva” da parte delle STP e dei relativi soci.

Uno dei punti più delicati riguarda la mancanza di flessibilità nella norma. Il fatto che l’intera STP venga esclusa dal CPB se anche solo un socio non può o non vuole aderire, potrebbe produrre effetti sproporzionati rispetto agli obiettivi dichiarati del legislatore. Ad esempio, un professionista potrebbe essere escluso per motivi estranei alla volontà del gruppo (cause oggettive di inammissibilità previste all’art. 11 del D.Lgs 13/2024), determinando l’esclusione anche degli altri colleghi associati.

Molti operatori del settore auspicano che, nella versione definitiva del provvedimento, venga inserita una deroga o una clausola di salvaguardia, tale da consentire l’adesione individuale al CPB anche in presenza di vincoli temporanei o di esclusioni non imputabili alla volontà del socio o della società.

Inoltre, si attende una precisazione ufficiale sull’applicabilità retroattiva o meno della norma. Per ora è chiaro che le nuove regole riguarderanno le adesioni per il biennio 2025–2026, ma restano dubbi sul coordinamento con gli ISA, ancora non operativi per le STP nell’anno di riferimento (2024). Il rischio è che, in assenza di un intervento normativo puntuale, si crei una distorsione applicativa che penalizza proprio chi ha scelto strutture professionali moderne e strutturate.

Semplificazione fiscale vs rigidità normativa

L’introduzione del Concordato Preventivo Biennale era stata salutata come un passo importante verso una razionalizzazione del rapporto fisco-contribuente, con l’obiettivo di promuovere una maggiore collaborazione e trasparenza. Tuttavia, l’estensione automatica della responsabilità fiscale tra soci e società, come prospettata dalla bozza del Decreto Correttivo, rischia di tradursi in una rigidità normativa eccessiva che va a colpire proprio quei soggetti che operano in forme organizzative più strutturate.

Le STP, per loro natura, rappresentano un modello evoluto di esercizio dell’attività professionale: uniscono competenze, ottimizzano costi e migliorano i servizi offerti alla clientela. Ma il nuovo impianto del CPB – così come previsto dalla norma in bozza – non distingue tra responsabilità individuale e collettiva, né contempla casi di impossibilità oggettiva all’adesione. In sostanza, se uno dei soci viene escluso, l’intera struttura ne subisce le conseguenze, anche se ha rispettato gli obblighi fiscali in modo corretto e coerente.

Questo approccio potrebbe avere un effetto disincentivante sull’adozione di forme aggregate come le STP, riportando di fatto i professionisti verso la gestione individuale delle attività, pur in contrasto con le politiche pubbliche che hanno finora sostenuto l’integrazione e la collaborazione professionale. Una norma più flessibile, capace di differenziare le responsabilità e mantenere la stabilità del CPB anche in caso di singole esclusioni motivate, sarebbe in linea con i principi di equità, proporzionalità e buon senso amministrativo.

Conclusioni

Il Concordato Preventivo Biennale rappresenta un’importante opportunità per professionisti e imprese in ottica di pianificazione fiscale e certezza nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria.

Tuttavia, le nuove cause di esclusione e cessazione introdotte nella bozza del Decreto Correttivo, in particolare per i professionisti che partecipano a STP o associazioni professionali, sollevano criticità di natura tecnica, operativa e interpretativa.

Se la norma sarà approvata nella sua attuale formulazione, molti studi professionali strutturati in forma associata o societaria rischiano di rimanere esclusi dal CPB per il biennio 2025-2026, senza colpe effettive e con gravi limitazioni in termini di competitività fiscale. L’obbligo di adesione collettiva e la mancata applicazione degli ISA sul 2024 per le STP appaiono come vincoli troppo stringenti, soprattutto in un contesto di progressiva evoluzione e aggregazione delle professioni.

In attesa della versione definitiva del testo, è fondamentale che i professionisti inizino sin da ora a valutare attentamente la propria posizione fiscale e societaria. È il momento di fare squadra con consulenti esperti, analizzare l’impatto delle nuove regole e, dove necessario, riorganizzare la propria struttura per non perdere le opportunità offerte dal CPB.

Il legislatore ha ancora il tempo per introdurre aggiustamenti equilibrati, capaci di tutelare sia le esigenze di controllo e affidabilità del sistema tributario, sia la libertà organizzativa delle professioni. Fino ad allora, attenzione, prudenza e pianificazione restano le parole chiave per chi lavora in STP e intende prepararsi al meglio al biennio fiscale 2025–2026.

Socio di Società di Persone e ravvedimento operoso

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Handshake Business Men Concept

Nel sistema fiscale italiano, le società di persone seguono il principio della trasparenza fiscale, disciplinato dall’art. 5 del TUIR: è la società che determina il reddito e lo attribuisce pro quota ai soci, i quali lo riportano nel proprio modello Redditi PF, nel quadro RH. In teoria, ogni socio dovrebbe limitarsi a recepire fedelmente quanto trasmesso dalla società, senza possibilità di modifica o rettifica autonoma. Ma cosa accade se il socio si accorge che la società ha dichiarato un reddito inferiore a quello effettivamente maturato?

In questi casi, nasce un dubbio delicato e tutt’altro che teorico: il socio può ricorrere al ravvedimento operoso in autonomia, anche se la società non ha sanato l’irregolarità? La risposta non è semplice e varia a seconda del tipo di tributo coinvolto (IRPEF, IVA, IRAP), del ruolo del socio (accomandante o accomandatario), della struttura della dichiarazione e dei tempi di intervento.

Questo articolo analizza in modo chiaro e approfondito le condizioni, i limiti e le opportunità che il socio ha per sanare errori dichiarativi tramite il ravvedimento operoso, con riferimenti normativi, sentenze della Cassazione e casi pratici. Un tema strategico per chi vuole tutelarsi legalmente e prevenire accertamenti futuri, agendo in modo tempestivo e consapevole.

Ravvedimento operoso del socio

Nonostante la prassi amministrativa non abbia ancora fornito indicazioni univoche sul tema, la possibilità per un socio di procedere autonomamente al ravvedimento operoso non può essere esclusa a priori. A supporto di questa tesi, vi è un principio fondamentale del sistema tributario italiano: la responsabilità per le imposte dirette è personale. In sostanza, ciascun contribuente – anche se socio in una società di persone – risponde delle irregolarità fiscali che lo riguardano direttamente.

Questa impostazione trova conferma nella giurisprudenza di legittimità. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4712 del 22 febbraio 2024 e la sentenza n. 20099 del 30 luglio 2018, ha chiarito che anche il socio accomandante, generalmente più “passivo” nella gestione della società, può essere ritenuto personalmente responsabile per sanzioni derivanti da una dichiarazione infedele.

Il ravvedimento operoso, quindi, diventa uno strumento potenzialmente attivabile individualmente dal socio, soprattutto nei casi in cui questi ritenga che il reddito dichiarato dalla società sia stato sottostimato rispetto a quello realmente prodotto. Tuttavia, tale scelta deve essere presa con estrema cautela, anche a causa delle limitazioni informative cui il socio può andare incontro, non avendo accesso diretto e completo a tutti i dati contabili della società.

La questione si complica ulteriormente quando il quadro RH (dove viene imputato il reddito per trasparenza) è l’unico contenuto della dichiarazione del socio: in tal caso, l’omessa presentazione del Modello Redditi PF può configurare una dichiarazione omessa, con tutte le conseguenze del caso. Qui il termine per il ravvedimento è ristretto a 90 giorni dalla scadenza originaria, secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 472/1997.

Tuttavia, l’art. 1, comma 1-bis del D.Lgs. 471/1997, applicabile alle violazioni commesse dal 1° settembre 2024, introduce una disciplina più favorevole: in presenza di una dichiarazione presentata oltre i 90 giorni ma entro il termine di decadenza per l’accertamento e prima di accessi o verifiche, la sanzione scende al 25% (triplicata), in luogo del 120% previsto per l’omessa dichiarazione.

Nei casi in cui il socio abbia anche altri redditi (lavoro dipendente, autonomo, capitale ecc.), la mancata compilazione del solo quadro RH non comporta la nullità della dichiarazione, che rimane valida ma infedele. In questi casi, il ravvedimento può essere effettuato anche oltre i 90 giorni, entro i termini ordinari di accertamento.

Effetti e rischi

La scelta del socio di procedere autonomamente con un ravvedimento operoso individuale non è priva di conseguenze, soprattutto se la società non adotta analoga iniziativa. Infatti, in un contesto dove la trasparenza fiscale impone che il reddito sia imputato “a monte” dalla società e poi trasferito “a valle” ai soci, la correzione unilaterale di un dato fiscale può generare disallineamenti rilevanti.

In particolare, se il socio corregge in aumento la propria quota di reddito – magari perché a conoscenza di proventi non dichiarati – ma la società non modifica la dichiarazione originaria, si crea un mismatch tra la dichiarazione del socio e quella societaria. Questo squilibrio può diventare un campanello d’allarme per l’Agenzia delle Entrate, con il rischio di accertamenti incrociati.

Un ulteriore profilo critico riguarda la possibile estensione delle conseguenze a livello societario. Infatti, se il ravvedimento del socio fa emergere errori che coinvolgono anche l’IVA o l’IRAP, sarà la società, in qualità di soggetto passivo di questi tributi, a dover rispondere dell’irregolarità. In assenza di un ravvedimento da parte della società, l’Amministrazione finanziaria potrebbe avviare un accertamento parziale nei suoi confronti, con impatti anche sugli altri soci, se questi non hanno proceduto in modo conforme.

L’asimmetria tra dichiarazioni può inoltre complicare eventuali controlli formali (art. 36-ter del DPR 600/1973) o accertamenti sostanziali, che potrebbero colpire più soggetti, anche non direttamente responsabili della correzione. Ecco perché la decisione di procedere al ravvedimento dovrebbe essere sempre coordinata con la società e possibilmente con gli altri soci, evitando correzioni isolate che rischiano di compromettere l’intera posizione fiscale del gruppo societario.

In conclusione, se è vero che il socio può agire autonomamente, è altrettanto vero che un ravvedimento individuale richiede valutazioni complesse e un approccio prudente, soprattutto per evitare conflitti dichiarativi e responsabilità estese.

Aspetti operativi

Quando un socio decide di procedere in autonomia con il ravvedimento operoso, è fondamentale che lo faccia rispettando rigorosamente le regole tecniche e formali previste dalla normativa tributaria. In primo luogo, l’operazione va eseguita tramite la presentazione di una dichiarazione integrativa del Modello Redditi Persone Fisiche (PF), nella quale andrà modificato, principalmente, il quadro RH – ovvero quello destinato alla dichiarazione del reddito imputato per trasparenza dalle società di persone.

1. Compilazione della dichiarazione integrativa

Nel nuovo modello Redditi PF, il socio deve:

  • indicare la quota corretta di reddito della società trasparente nel quadro RH;

  • compilare il quadro RN per rideterminare l’imposta dovuta;

  • compilare il quadro RX per calcolare gli importi da versare o da recuperare.

Attenzione: la modifica deve basarsi su elementi certi e documentabili, e dovrebbe essere supportata da documentazione extracontabile (email, report interni, delibere, ecc.), qualora la società non abbia formalizzato una rettifica propria.

2. Calcolo delle sanzioni ridotte e interessi

Ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 472/1997, il ravvedimento prevede la riduzione delle sanzioni in funzione del tempo trascorso dalla scadenza originaria. Il contribuente deve calcolare:

  • l’imposta aggiuntiva dovuta in base al nuovo reddito;

  • gli interessi legali (dal giorno successivo alla scadenza originaria al giorno del versamento);

  • la sanzione ridotta, calcolata in base alla tipologia di violazione (infedele dichiarazione o omessa dichiarazione, come visto nei paragrafi precedenti).

Il pagamento va effettuato tramite modello F24, utilizzando i codici tributo specifici (ad esempio 8911 per le sanzioni).

3. Tempistiche

Se si tratta di infedele dichiarazione (cioè il socio ha altri redditi), il termine per il ravvedimento è esteso fino a quando l’Agenzia delle Entrate non perda il potere di accertamento (generalmente 31 dicembre del quinto anno successivo). Se invece si tratta di dichiarazione omessa, come già visto, il termine si restringe a 90 giorni, salvo il nuovo regime “intermedio” previsto dal D.Lgs. 471/1997 post 1° settembre 2024.

In ogni caso, si consiglia di accompagnare il ravvedimento con una relazione tecnica (non obbligatoria ma prudente), che spieghi la motivazione della rettifica e la documentazione a supporto.

Responsabilità sanzionatoria

Uno dei motivi principali per cui un socio dovrebbe valutare attentamente la possibilità di effettuare un ravvedimento operoso autonomo è legato alla responsabilità personale per sanzioni tributarie.

Come chiarito anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, il socio può essere chiamato a rispondere in prima persona per le irregolarità commesse nella propria dichiarazione, anche se queste derivano da errori a monte compiuti dalla società.

In altre parole, l’eventuale sotto dichiarazione del reddito imputato per trasparenza, se non corretta in tempo utile, può comportare:

  • una maggior imposta dovuta;

  • l’applicazione di sanzioni fino al 90% o 120% dell’imposta evasa, a seconda della natura della violazione (infedele o omessa dichiarazione);

  • l’addebito di interessi legali;

  • e soprattutto, l’apertura di un procedimento sanzionatorio autonomo a carico del socio, indipendentemente dalla posizione della società.

Effettuare un ravvedimento tempestivo consente al contrario di contenere i danni fiscali. Infatti, grazie all’art. 13 del D.Lgs. 472/1997, le sanzioni vengono drasticamente ridotte in funzione del tempo trascorso dalla violazione:

  • entro 90 giorni → sanzione 1/9 del minimo;

  • un anno → 1/8 del minimo;

  • entro due anni → 1/7 del minimo;

  • oltre due anni e fino alla notifica di accertamento → 1/6 del minimo.

La possibilità di beneficiare di queste riduzioni è una leva strategica fondamentale per il contribuente. In più, il ravvedimento operoso rappresenta anche un segnale positivo di collaborazione con l’Amministrazione finanziaria, utile in eventuali contenziosi o per ottenere il riconoscimento di una minor gravità della condotta.

Infine, nei casi più complessi – ad esempio se sono coinvolti anche altri soci o profili IVA/IRAP – la tempestività del ravvedimento può mitigare il rischio di estensione dei controlli, evitando che un errore individuale si trasformi in un problema sistemico per l’intera società.

Criticità operative

Una delle maggiori difficoltà che un socio di società di persone può incontrare nel tentativo di effettuare un ravvedimento operoso autonomo è rappresentata dal limitato accesso alle informazioni contabili e fiscali della società. Infatti, a meno che il socio non ricopra anche un ruolo gestionale o amministrativo, difficilmente disporrà di tutti gli elementi utili per effettuare una correzione attendibile e completa del proprio reddito imputato per trasparenza.

Questa asimmetria informativa pone due ordini di problemi:

  • Problema sostanziale

Come può il socio correggere un errore se non ha piena contezza dei dati che lo riguardano? Il reddito da imputare nel quadro RH deriva dalla contabilità della società e solo quest’ultima dispone della documentazione completa (fatture attive e passive, scritture contabili, bilanci provvisori, ecc.). Procedere senza queste basi può portare a una dichiarazione “corretta” solo in apparenza, ma di fatto imprecisa e suscettibile di ulteriori rilievi.

  • Problema formale

Anche qualora il socio sia a conoscenza di irregolarità (ad esempio per informazioni ricevute informalmente), la prova documentale dell’errore è essenziale. In assenza di documenti ufficiali – come una rettifica societaria, una delibera dei soci o un verbale dell’assemblea – diventa difficile giustificare la variazione unilaterale di quanto comunicato dalla società.

Inoltre, il socio non ha accesso autonomo a strumenti come il cassetto fiscale della società, né può modificare i quadri della dichiarazione dei redditi dell’ente partecipato. Il rischio, quindi, è che un ravvedimento “fai da te” si trasformi in un’operazione maldestra e inefficace, con scarsi benefici e rischi elevati.

In queste situazioni, è consigliabile che il socio coinvolga un consulente fiscale esperto, al fine di valutare l’effettiva possibilità di intervento e, se del caso, tentare di concordare un’azione coordinata con la società e gli altri soci. Solo in questo modo è possibile ottenere un risultato fiscalmente efficace, coerente e difendibile anche in sede di eventuali controlli.

Esempi pratici

er comprendere meglio l’impatto operativo del ravvedimento individuale da parte del socio di una società di persone, è utile esaminare alcuni casi concreti, che evidenziano le diverse sfaccettature e problematiche che possono emergere nella prassi quotidiana.

Caso 1 – Società sottodichiara per errore, il socio se ne accorge

Un socio accomandante riceve copia del modello Redditi SP della società e nota che la quota di reddito imputata risulta visibilmente inferiore a quanto realmente guadagnato (ad esempio, mancano alcune fatture emesse). La società non ha ancora rettificato la propria posizione. Il socio, per evitare rischi futuri, decide di correggere autonomamente la propria dichiarazione.

Valutazione: il ravvedimento è possibile, ma deve essere sorretto da documenti a supporto (es. copia delle fatture mancanti, corrispondenza con l’amministratore). Senza un intervento parallelo della società, però, rischia di generarsi un disallineamento tra quadro RH e quadro RF della società.

Caso 2 – Società non presenta la dichiarazione entro 90 giorni

Il socio riceve comunicazione che la società non ha presentato la dichiarazione entro i 90 giorni dalla scadenza. Nella propria dichiarazione PF ha indicato solo il quadro RH e nessun altro reddito.

Valutazione: in questo caso, il quadro RH rappresenta l’unico contenuto della dichiarazione del socio. Quindi l’omessa dichiarazione è penalizzata severamente e il ravvedimento entro 90 giorni è fondamentale per evitare le sanzioni più gravi. Superato questo limite, si può solo sperare di rientrare nella nuova disciplina “intermedia” prevista dal D.Lgs. 471/1997 post settembre 2024.

Caso 3 – Il socio ha altri redditi e omette il quadro RH

Un contribuente presenta regolarmente la propria dichiarazione dei redditi, includendo redditi da lavoro dipendente e capitale, ma omette erroneamente il quadro RH relativo alla partecipazione in una società di persone.

Valutazione: trattandosi di dichiarazione infedele, non omessa, il contribuente può effettuare il ravvedimento anche oltre i 90 giorni, ma prima dell’intervento dell’Agenzia delle Entrate. In questo caso, il ravvedimento è meno rischioso e più agevole, ma va comunque gestito con attenzione per evitare aggravamenti.

Questi esempi dimostrano come, anche a parità di violazione (es. errata imputazione del reddito), la strategia fiscale da seguire cambia radicalmente in base alla posizione soggettiva del socio, al tipo di redditi posseduti e al comportamento della società.

Tributi

La possibilità per un socio di una società di persone di avvalersi del ravvedimento operoso non è uniforme per tutte le tipologie di tributi. È fondamentale distinguere tra l’ambito dell’IRPEF, dove il principio di trasparenza fiscale assegna al socio una responsabilità diretta e personale, e quello dei tributi c.d. “sociali”, come IVA e IRAP, in cui il titolare dell’obbligazione fiscale è esclusivamente la società.

Ambito IRPEF: responsabilità personale e margine di autonomia

Nel campo dell’IRPEF, come abbiamo visto, il reddito prodotto dalla società viene imputato per trasparenza ai soci, i quali devono dichiararlo nel proprio modello PF. Se il socio ritiene errata la quota ricevuta, ha la facoltà e la responsabilità di correggerla autonomamente, assumendosene gli effetti. Questo diritto-dovere si fonda sulla responsabilità personale, ribadita dalla Cassazione (sent. 4712/2024 e 20099/2018), anche per i soci accomandanti.

IVA e IRAP: limiti oggettivi e ruolo della società

Diverso è il discorso per IVA e IRAP, tributi che fanno capo direttamente alla società in quanto soggetto passivo. Anche se l’art. 13 del D.Lgs. 472/1997 prevede che anche il coobbligato possa avvalersi del ravvedimento, nel caso delle società di persone tale facoltà non si estende automaticamente al socio. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (es. sent. 6617/2021, 14570/2021, 13565/2021) ha più volte ribadito che, per IVA e IRAP, i soci non possono presentare dichiarazioni integrative né sanare direttamente errori in quanto non titolari dell’obbligazione tributaria.

Questo limite è ancor più evidente nelle società in accomandita semplice, dove il socio accomandante gode di responsabilità limitata, confinata al capitale conferito. Di conseguenza, non può essere chiamato a rispondere di debiti IVA o IRAP della società, né può procedere ad alcuna forma di ravvedimento su questi tributi, come confermato anche dalle sentenze n. 13565/2021 e n. 9429/2020.

Conclusione: tra autonomia e prudenza

La trasparenza fiscale non deve essere interpretata come un vincolo assoluto, ma nemmeno come una licenza di agire senza coordinamento. Il socio ha certamente una autonomia dichiarativa quando si tratta della propria IRPEF, ma deve esercitarla con prudenza, coerenza documentale e visione d’insieme. L’assenza di circolari o chiarimenti ufficiali non esonera dal rispetto della normativa e, anzi, rafforza l’esigenza di un approccio consapevole e collaborativo verso l’Amministrazione finanziaria.

In un sistema fiscale sempre più orientato alla compliance preventiva, il ravvedimento operoso si conferma uno strumento prezioso per ridurre rischi, contenere sanzioni e rafforzare la credibilità fiscale del contribuente. Ma nel caso del socio di società di persone, va maneggiato con perizia, conoscenza delle norme e possibilmente con il supporto di un commercialista esperto.

Considerazioni finali

Il ravvedimento operoso, nel contesto delle società di persone, rappresenta un terreno tecnico e insidioso, dove il confine tra autonomia del socio e rigidità del sistema fiscale è sottile. Da un lato, vi è la legittima esigenza del singolo contribuente di tutelarsi da eventuali irregolarità o sottodichiarazioni, evitando così sanzioni severe e responsabilità personali; dall’altro, vi è la necessità di rispettare la struttura trasparente del reddito societario, che impone coerenza e sinergia tra la dichiarazione della società e quella dei suoi soci.

Come abbiamo visto, non tutti i tributi sono trattati allo stesso modo: se in ambito IRPEF la responsabilità del socio è diretta e consente margini di intervento, in ambito IVA e IRAP è la società l’unico soggetto legittimato a sanare le violazioni, escludendo ogni iniziativa personale.

Il consiglio per chi si trova in una posizione simile è chiaro: non improvvisare. Il ravvedimento è un’opportunità concreta per mettersi in regola a costi contenuti, ma va pianificato con attenzione. Serve analizzare la propria posizione complessiva, confrontarsi con la società, verificare la documentazione a supporto e, soprattutto, affidarsi a un professionista qualificato.

In un panorama tributario che premia sempre di più la compliance preventiva e la collaborazione con l’Amministrazione finanziaria, essere proattivi e trasparenti non è solo una strategia difensiva: è anche un segno di maturità fiscale e imprenditoriale.

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Investire in pubblicità oggi non è solo una scelta strategica, ma anche una mossa fiscalmente vantaggiosa. Con il Bonus pubblicità 2025, imprese, lavoratori autonomi ed enti non commerciali possono ottenere un credito d’imposta pari al 75% del valore incrementale degli investimenti pubblicitari effettuati sulla stampa quotidiana e periodica, anche online. Un’opportunità concreta per chi vuole potenziare la propria visibilità aziendale, risparmiando legalmente sulle tasse.

Il 5 maggio 2025 è stato pubblicato l’elenco ufficiale dei beneficiari per l’anno precedente, confermando l’ampio interesse per questo strumento agevolativo.

In questo articolo troverai una guida completa e aggiornata: come funziona il bonus, a chi spetta, le scadenze da rispettare, come fare domanda e – soprattutto – come sfruttarlo al meglio per ottimizzare le risorse investite in comunicazione.

Che tu sia un imprenditore, un libero professionista o un responsabile marketing, qui troverai tutte le risposte pratiche per trasformare la pubblicità in un vantaggio fiscale reale.

Cos’è e a chi spetta

Nel panorama degli incentivi fiscali destinati a imprese e professionisti, il Bonus investimenti pubblicitari 2025 rappresenta un’importante opportunità per ottenere un credito d’imposta significativo. Con il provvedimento del 5 maggio 2025, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria ha ufficializzato l’elenco dei beneficiari che hanno diritto al bonus per gli investimenti effettuati nel 2024, consolidando così uno strumento fiscale che, anno dopo anno, si conferma essenziale per chi vuole investire in visibilità e comunicazione.

Istituito con l’articolo 57-bis del Decreto Legge n. 50/2017 (convertito nella Legge n. 96/2017), il bonus pubblicitario premia coloro che incrementano la propria spesa pubblicitaria almeno dell’1% rispetto all’anno precedente. È rivolto a imprese, lavoratori autonomi ed enti non commerciali che promuovono la propria attività attraverso giornali quotidiani e periodici, locali o nazionali, nonché emittenti radio-televisive locali.

Tuttavia, è bene sottolineare che, a partire dal 2023, il perimetro di applicazione è stato ristretto: in base all’articolo 25-bis del DL 17/2022, il credito d’imposta è ora limitato alla stampa (cartacea o digitale), escludendo quindi le radio e TV, e viene riconosciuto in misura fissa al 75% del valore incrementale dell’investimento, nel limite massimo complessivo di 30 milioni di euro di spesa statale.

Questa evoluzione normativa rende il bonus particolarmente vantaggioso per chi intende consolidare la propria presenza su quotidiani e riviste, anche online, offrendo un risparmio fiscale diretto su una delle leve strategiche più importanti: la pubblicità.

Tutte le regole

Accedere al Bonus pubblicità 2025 richiede il rispetto di una procedura ben definita, scandita da due fasi distinte e obbligatorie. La gestione operativa del bonus è affidata all’Agenzia delle Entrate, e l’intero iter si svolge tramite i servizi telematici presenti nell’area riservata del sito dell’Agenzia, alla voce “Comunicare”, sezione “Servizi per”. Per entrare, è necessario autenticarsi con uno dei seguenti strumenti di identità digitale: SPID, CNS o CIE.

1. Comunicazione per l’accesso al credito d’imposta

Dal 1° al 31 marzo 2025, i soggetti interessati devono trasmettere la “Comunicazione per l’accesso al credito d’imposta”, che rappresenta una sorta di prenotazione delle risorse disponibili. Il modulo deve contenere i dati relativi:

  • Agli investimenti pubblicitari già effettuati nel 2024,

  • A quelli programmati per il 2025.

Questa comunicazione non garantisce automaticamente il credito, ma è condizione indispensabile per accedere al beneficio.

2. Dichiarazione sostitutiva sugli investimenti effettuati

In seguito, dal 9 gennaio al 9 febbraio 2026, i soggetti che avevano inviato la comunicazione devono presentare una dichiarazione sostitutiva, secondo l’articolo 47 del DPR 445/2000. Con questa dichiarazione, devono attestare di aver effettivamente realizzato gli investimenti pubblicitari dichiarati, indicando con precisione le somme spese.

Solo chi completa correttamente entrambe le fasi potrà accedere al credito d’imposta del 75% calcolato sull’incremento pubblicitario.

Soggetti ammessi e requisiti

Il Bonus investimenti pubblicitari 2025 è destinato a una platea ampia ma ben definita di soggetti, accomunati dall’interesse a potenziare la propria visibilità tramite campagne pubblicitarie su canali riconosciuti e certificati. Possono accedere al credito d’imposta:

  • Imprese di qualsiasi dimensione,

  • Lavoratori autonomi,

  • Enti non commerciali, come associazioni e fondazioni.

La condizione essenziale per ottenere l’agevolazione è che gli investimenti pubblicitari effettuati nel 2024 risultino superiori almeno dell’1% rispetto agli analoghi investimenti sostenuti nel 2023, e che siano stati realizzati sui medesimi mezzi di informazione.

Gli investimenti devono essere veicolati attraverso:

  • Giornali quotidiani e periodici, pubblicati in edizione cartacea o digitale, purché registrati presso il Tribunale o presso il Registro degli Operatori della Comunicazione (ROC), e dotati di un Direttore Responsabile.

  • Emittenti televisive e radiofoniche locali, sia analogiche che digitali, anch’esse regolarmente iscritte al ROC.

Questo vincolo garantisce che i fondi pubblici vengano destinati solo a realtà editoriali regolari, registrate e trasparenti, promuovendo una comunicazione istituzionale affidabile e contrastando forme di pubblicità poco tracciabili o non qualificate.

Modalità di fruizione

Una volta ottenuto il riconoscimento del Bonus pubblicità 2025, i soggetti beneficiari potranno utilizzarlo attraverso un meccanismo fiscale semplice e tracciabile: la compensazione tramite modello F24, da presentare esclusivamente attraverso i canali telematici dell’Agenzia delle Entrate.

Per la maggioranza dei soggetti ammessi, il credito d’imposta sarà fruibile a partire dal quinto giorno lavorativo successivo alla pubblicazione del provvedimento ufficiale – comprensivo dell’elenco dei beneficiari – sul sito del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri (www.informazioneeditoria.gov.it).

Casi speciali: crediti superiori a 150.000 euro

Per i soggetti che risultano ammessi a un credito superiore a 150.000 euro, sono previste ulteriori verifiche antimafia. In particolare:

  • L’utilizzo del credito potrà avvenire solo dopo il rilascio di un’apposita autorizzazione, trasmessa individualmente dal Dipartimento competente.

  • Questa autorizzazione sarà rilasciata successivamente alla consultazione della Banca Dati Nazionale Antimafia.

  • Solo in assenza di elementi ostativi – oppure dopo il rilascio dell’informazione antimafia liberatoria o il decorso dei termini previsti per il rilascio (ai sensi dell’art. 92, comma 3 del D.lgs. n. 159/2011) – il credito potrà essere effettivamente compensato tramite F24.

L’obiettivo di questa doppia modalità è garantire che fondi pubblici rilevanti siano destinati a soggetti in piena trasparenza e legalità, tutelando così l’integrità del sistema di incentivi pubblici.

Elenco dei beneficiari

Il 5 maggio 2025, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria ha reso pubblico l’elenco ufficiale dei beneficiari del Bonus investimenti pubblicitari per l’anno 2024. Questo documento, attesissimo da imprese e consulenti fiscali, certifica quali soggetti abbiano effettivamente rispettato i requisiti normativi e completato le due fasi della domanda, ottenendo così l’accesso al credito d’imposta.

L’elenco è disponibile in formato scaricabile sul portale, con dettaglio per ciascun contribuente ammesso, incluso l’importo riconosciuto.

Dall’analisi delle tendenze emerge un quadro molto interessante:

  • La prevalenza di piccole e medie imprese tra i beneficiari conferma l’efficacia dello strumento come leva accessibile e concreta anche per realtà imprenditoriali con budget contenuti.

  • Si osserva un aumento degli investimenti nella stampa digitale, a dimostrazione di come il settore dell’informazione online sia diventato strategico per la comunicazione aziendale.

  • Diverse aziende risultano beneficiarie per crediti superiori ai 150.000 euro, il che testimonia un utilizzo intensivo e ben pianificato del bonus anche da parte di grandi gruppi editoriali, agenzie pubblicitarie e realtà corporate strutturate.

L’elenco funziona quindi non solo come documento tecnico, ma anche come termometro del mercato pubblicitario nazionale, evidenziando quali settori e categorie di contribuenti abbiano puntato di più sulla visibilità come chiave di crescita economica.

Vantaggi fiscali

Il Bonus pubblicità 2025 non è soltanto un incentivo fiscale, ma rappresenta anche un vero e proprio strumento strategico per imprese, professionisti e enti non commerciali. Il vantaggio più evidente è, naturalmente, quello economico: il credito d’imposta pari al 75% del valore incrementale degli investimenti sulla stampa consente un risparmio diretto e immediato sulle imposte da versare, che può essere utilizzato per potenziare ulteriormente le attività di marketing o per altre esigenze aziendali.

Vantaggi fiscali:

  • Compensazione immediata tramite F24, quindi impatto diretto sulla liquidità.

  • Beneficio fiscalmente neutro: il credito non concorre alla formazione del reddito né dell’IRAP.

  • Possibilità di pianificare l’investimento pubblicitario in modo da ottimizzare la tassazione dell’anno successivo.

Vantaggi strategici:

  • Incentiva le imprese a puntare sulla comunicazione, migliorando la visibilità del brand.

  • Stimola una maggiore presenza sui media affidabili e regolamentati, contribuendo alla trasparenza dell’informazione.

  • Aiuta i piccoli operatori a competere sul mercato, offrendo loro una leva per emergere a costi contenuti.

In un contesto di mercato sempre più competitivo, investire in pubblicità mirata e intelligente non è più un optional, ma una necessità. Il Bonus agisce quindi come acceleratore di crescita, promuovendo l’adozione di strategie comunicative più ambiziose e strutturate.

Esempio pratico

Per comprendere l’effettivo vantaggio del Bonus pubblicità, è utile esaminare un esempio pratico, con numeri realistici e riferimenti diretti al meccanismo del credito d’imposta.

Immaginiamo un’impresa che nel 2023 abbia investito 10.000 euro in pubblicità su giornali digitali. Nel 2024, la stessa impresa aumenta il budget portandolo a 15.000 euro, esclusivamente sulla stampa online registrata (come previsto dalla normativa attuale).

Il requisito di base – incremento di almeno l’1% – è ampiamente soddisfatto. L’incremento effettivo è infatti pari a 5.000 euro (15.000 – 10.000). Il credito d’imposta spettante sarà pari al:

75% di 5.000 euro = 3.750 euro di credito fiscale.

Questa somma potrà essere compensata con modello F24, andando a ridurre imposte o contributi da versare (es. IVA, INPS, IRAP, IRES, ecc.). Va evidenziato che non si calcola il 75% sull’intero investimento, ma solo sulla parte incrementale, ossia sulla differenza positiva tra gli investimenti dell’anno agevolato e quelli dell’anno precedente.

Il meccanismo premia quindi chi investe di più rispetto all’anno prima, incentivando un approccio crescente e strutturato alla comunicazione aziendale. Da qui l’importanza di una pianificazione pluriennale degli investimenti pubblicitari.

Normativa

Il Bonus investimenti pubblicitari è stato introdotto dall’art. 57-bis del DL 50/2017, convertito dalla Legge 96/2017, con decorrenza dal 2018. L’obiettivo originario era quello di incentivare la ripresa del settore editoriale e pubblicitario, duramente colpito dalla crisi economica post-2008 e dai cambiamenti digitali.

Nel corso degli anni, la disciplina ha subito importanti modifiche, soprattutto con l’art. 25-bis del DL 17/2022 (convertito dalla Legge 34/2022), che ha ridefinito i criteri di ammissibilità e le modalità di calcolo:

  • L’incentivo è ora limitato esclusivamente alla stampa (cartacea o digitale),

  • È stato eliminato il doppio regime (90% per stampa, 75% per TV) e sostituito da un’unica aliquota del 75% del valore incrementale,

  • È stato introdotto un tetto di spesa annuale di 30 milioni di euro.

Inoltre, è stata confermata l’obbligatorietà delle procedure telematiche con l’Agenzia delle Entrate e il monitoraggio antimafia per crediti superiori a 150.000 euro, in applicazione della Legge 190/2012 e del D.Lgs. 159/2011.

Queste modifiche rendono oggi il bonus più selettivo ma più stabile, destinato a soggetti seri e investitori costanti, scoraggiando operazioni spot o speculative.

Evoluzione del Bonus

Dal 2018 a oggi, il Bonus pubblicità ha subito un’evoluzione profonda, non solo nella normativa ma anche nell’impatto reale sul tessuto economico. Analizzare questo sviluppo permette di cogliere le logiche dietro alle modifiche legislative.

Bonus 2018-2021:

  • Riconosciuto anche su emittenti radiotelevisive locali,

  • Aliquote differenziate: 75% per TV/radio, 90% per stampa,

  • Era più ampio ma meno selettivo,

  • Il criterio “incrementale” era già presente (minimo +1%).

Bonus 2022-2023:

  • La platea si restringe con l’introduzione del DL 17/2022,

  • Scompare l’agevolazione per radio/TV,

  • L’aliquota si uniforma al 75% per tutti,

  • Si inserisce un tetto massimo nazionale (30 milioni),

  • Il meccanismo viene semplificato ma reso più rigoroso.

Bonus 2024-2025:

  • Conferma del modello 2023,

  • Maggiore attenzione al rispetto delle tempistiche e requisiti documentali,

  • Consolidamento della trasparenza e della qualità dei mezzi di comunicazione su cui si può investire.

In sintesi, il bonus si è trasformato da incentivo “ampio e sperimentale” a strumento mirato e strutturato, oggi più che mai pensato per chi fa comunicazione in maniera professionale e continuativa. Questo rafforza la necessità di affiancamento tecnico e una visione strategica pluriennale.

Considerazioni finali

Il Bonus investimenti pubblicitari 2025 rappresenta una leva fiscale strategica per tutte le realtà che intendono aumentare la propria visibilità, rafforzare la presenza sui media autorevoli e ottenere un risparmio concreto in termini di imposte da versare. Con una copertura del 75% sul valore incrementale degli investimenti pubblicitari sulla stampa – anche online – questa agevolazione si distingue per impatto economico immediato e semplicità operativa, purché si rispettino scrupolosamente le regole stabilite.

Tuttavia, è proprio nella gestione pratica delle scadenze, requisiti documentali e condizioni antimafia che spesso si annidano errori o omissioni che compromettono l’accesso al beneficio. Una pianificazione superficiale o una comunicazione incompleta può significare la perdita del credito, e quindi di una parte rilevante dell’investimento sostenuto.

Per questo motivo, la vera opportunità del Bonus pubblicità non risiede solo nell’incentivo in sé, ma nella capacità di pianificarlo, documentarlo e gestirlo in modo corretto e professionale. Affidarsi a un consulente esperto, capace di orientare imprese, liberi professionisti o enti nel complesso iter di presentazione e rendicontazione, fa la differenza tra usufruire del bonus o perderlo del tutto.

In un contesto economico dove ogni euro investito in comunicazione deve generare ritorni misurabili, il bonus pubblicitario è uno strumento chiave per trasformare un costo in un’opportunità fiscale, rafforzando al tempo stesso la propria immagine pubblica. È il momento di pensare strategicamente, e questo incentivo può essere il primo passo verso un marketing più efficace e fiscalmente intelligente.

Agevolazione Prima Casa 2025: Requisiti, novità fiscali e come risparmiare legalmente

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Acquistare la prima casa è uno dei passi più importanti nella vita di una persona o di una giovane coppia. Il 2025 porta con sé importanti conferme e qualche novità per chi vuole beneficiare dell’agevolazione fiscale per l’acquisto della prima casa. Si tratta di un’agevolazione che consente di risparmiare migliaia di euro in termini di imposte, ma che può essere fruita solo se vengono rispettati precisi requisiti normativi. Nella nuova Legge di Bilancio 2025, il Governo ha confermato le principali regole in vigore ma ha introdotto una modifica importante che riguarda le soglie minime da versare.

In questo articolo analizzeremo tutte le regole dell’agevolazione prima casa 2025, come funziona, chi può beneficiarne, quali sono i vincoli da rispettare e quali sono i casi in cui si decade dal beneficio.

Cos’è

L’agevolazione prima casa è un beneficio fiscale riconosciuto dallo Stato italiano che consente di pagare imposte ridotte al momento dell’acquisto di un’abitazione da destinare a residenza principale. Lo scopo è favorire l’accesso alla casa, soprattutto per giovani coppie, famiglie e cittadini che acquistano la loro prima abitazione. Ma per accedervi è necessario rispettare condizioni precise legate all’immobile e all’acquirente.

Nel 2025, le condizioni fiscali agevolate variano a seconda del tipo di venditore:

  • Acquisto da privato o da impresa esente IVA: si paga un’imposta di registro del 2% (invece del 9%) calcolata sul valore catastale dell’immobile. Le imposte ipotecaria e catastale sono entrambe fisse a 50 euro.

  • Acquisto da impresa soggetta a IVA: in questo caso, si applica un’IVA ridotta al 4% (anziché al 10%) sul prezzo di vendita. Le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono fisse e ammontano a 200 euro ciascuna.

Un elemento importante introdotto o confermato nella Legge di Bilancio 2025 è che l’imposta di registro non può essere inferiore a 1.000 euro, anche se il 2% sul valore catastale risultasse in un importo più basso.

Tuttavia, l’importo da versare potrebbe essere ridotto in presenza di due elementi:

  • la caparra già registrata nel contratto preliminare, su cui è stata pagata un’imposta;

  • un eventuale credito d’imposta maturato da un precedente acquisto agevolato.

Questi meccanismi permettono di ridurre ulteriormente il carico fiscale, offrendo un risparmio tangibile a chi si muove con consapevolezza.

Requisiti

Per usufruire dell’agevolazione prima casa nel 2025, non basta acquistare un’abitazione: è fondamentale rispettare precisi requisiti soggettivi e oggettivi. La normativa vigente, confermata e in parte aggiornata dalla Legge di Bilancio 2025, stabilisce condizioni chiare che riguardano sia l’acquirente sia l’immobile oggetto della compravendita.

Requisiti dell’acquirente

L’acquirente deve soddisfare le seguenti condizioni:

  • Non deve possedere altre abitazioni acquistate con agevolazioni prima casa su tutto il territorio nazionale. Se ne è titolare, deve vendere o donare l’immobile entro un anno dalla data del nuovo acquisto per mantenere il beneficio.

  • Non deve essere titolare, neanche per quote, di diritti reali di proprietà, usufrutto, uso o abitazione su altra casa situata nello stesso comune in cui si trova l’immobile che intende acquistare con le agevolazioni.

  • Deve trasferire la residenza nel comune in cui è situato l’immobile entro 18 mesi dall’atto di acquisto. In alternativa, l’immobile deve trovarsi nel comune in cui l’acquirente già risiede o lavora.

Requisiti dell’immobile

Anche l’immobile deve rispondere a determinati criteri:

  • Deve essere classificato come abitazione, ovvero appartenere a una delle categorie catastali A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7 (sono escluse le categorie di lusso come A/1, A/8 e A/9).

  • Non deve essere un immobile di lusso, secondo i criteri stabiliti dal Decreto Ministeriale 2 agosto 1969.

La mancanza di uno di questi requisiti può comportare la decadenza dal beneficio, con il conseguente obbligo di versare tutte le imposte nella misura ordinaria, oltre a sanzioni e interessi. È quindi essenziale valutare attentamente la propria situazione prima di procedere all’acquisto.

Decadenza e sanzioni fiscali

Beneficiare dell’agevolazione prima casa è certamente un’opportunità vantaggiosa, ma è fondamentale non sottovalutare i vincoli imposti dalla normativa. La perdita dell’agevolazione, o meglio la decadenza dal beneficio, può avvenire anche dopo l’acquisto, se non si rispettano alcune condizioni nel tempo. La Legge di Bilancio 2025 conferma l’impianto normativo e ribadisce le conseguenze fiscali per chi viola gli obblighi previsti.

Principali cause di decadenza

Le principali cause che portano alla decadenza sono:

  • Non trasferire la residenza nel comune dell’immobile entro 18 mesi dall’acquisto, come previsto dalla legge.

  • Vendere o donare l’immobile entro 5 anni dall’acquisto, senza riacquistare entro un anno un’altra abitazione da adibire a prima casa.

  • Dichiarazioni false nell’atto notarile, come ad esempio l’occultamento del possesso di altri immobili che impediscono l’accesso all’agevolazione.

Sanzioni previste

In caso di decadenza, l’acquirente è tenuto a:

  • versare le imposte nella misura ordinaria (es. imposta di registro al 9% anziché al 2%);

  • pagare una sanzione del 30% sulle imposte non versate più gli interessi di mora, calcolati per ogni giorno di ritardo.

L’Agenzia delle Entrate dispone di tempi lunghi per i controlli (fino a 10 anni) e ha poteri d’indagine approfonditi, anche attraverso l’incrocio dei dati catastali, anagrafici e reddituali. È quindi fondamentale agire in modo conforme, informato e – quando necessario – con il supporto di un consulente esperto.

Limite minimo di imposta

Tra le modifiche più rilevanti introdotte dalla Legge di Bilancio 2025 in materia di agevolazione prima casa, spicca l’introduzione di un limite minimo all’imposta di registro, che si applica quando l’acquisto è effettuato da un privato o da un’impresa che vende in esenzione IVA. La norma stabilisce che l’imposta di registro agevolata del 2% non potrà mai essere inferiore a 1.000 euro, anche se il 2% calcolato sul valore catastale dell’immobile fosse inferiore.

Perché è importante questa novità

In passato, per immobili con valore catastale molto basso – spesso nel caso di piccoli immobili in zone periferiche o case in comuni con bassi valori catastali – il 2% poteva tradursi in importi anche inferiori a 800 euro. Con la nuova norma, invece, chi rientra nell’agevolazione dovrà comunque versare almeno 1.000 euro di imposta di registro.

Questa misura ha l’obiettivo dichiarato di:

  • contrastare possibili abusi del meccanismo agevolato;

  • aumentare le entrate fiscali senza modificare l’impianto complessivo dell’agevolazione;

  • mantenere l’agevolazione efficace per la maggioranza degli acquirenti, ma con una soglia minima “di equità fiscale”.

Impatti sul contribuente

Per la maggior parte dei contribuenti, questo nuovo minimo non comporta variazioni rilevanti. Tuttavia, per chi acquista immobili molto economici, il vantaggio fiscale si riduce sensibilmente. In questi casi è utile valutare la strategia fiscale complessiva, tenendo conto anche di eventuali crediti d’imposta residui o dell’uso della caparra come scomputo.

Immobili ammissibili

Un aspetto fondamentale da valutare prima di acquistare un immobile con l’obiettivo di accedere all’agevolazione prima casa è la categoria catastale dell’immobile. La normativa fiscale, infatti, non estende il beneficio a tutte le abitazioni, ma solo a quelle rientranti in precise categorie che rappresentano, di fatto, le case “non di lusso”.

Categorie catastali ammesse

L’agevolazione si applica esclusivamente alle abitazioni classificate come:

  • A/2 – Abitazioni di tipo civile;

  • A/3 – Abitazioni di tipo economico;

  • A/4 – Abitazioni di tipo popolare;

  • A/5 – Abitazioni di tipo ultrapopolare;

  • A/6 – Abitazioni di tipo rurale;

  • A/7 – Villini;

  • A/11 – Alloggi tipici dei luoghi.

Inoltre, il beneficio è esteso anche alle pertinenze dell’abitazione principale, ma con delle limitazioni:

  • Le pertinenze devono rientrare in una delle seguenti categorie catastali: C/2 (magazzini e locali di deposito), C/6 (autorimesse o rimesse) e C/7 (tettoie chiuse o aperte);

  • Si può beneficiare dell’agevolazione per una sola pertinenza per ciascuna categoria;

  • Le pertinenze devono essere destinate in modo durevole a servizio dell’abitazione principale e acquistate congiuntamente o successivamente a essa.

Categorie escluse

Sono espressamente escluse dall’agevolazione le seguenti categorie catastali, in quanto considerate immobili di lusso o di pregio:

  • A/1 – Abitazioni signorili;

  • A/8 – Ville;

  • A/9 – Castelli e palazzi con rilevante valore storico-artistico.

Tentare di forzare il riconoscimento dell’agevolazione su immobili non idonei può comportare la perdita del beneficio e sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, soprattutto in fase di controlli incrociati tra visure catastali e atti notarili.

Novità 2025

La Legge di Bilancio 2025, entrata in vigore dal 1° gennaio, ha introdotto alcune modifiche significative alle condizioni per beneficiare dell’agevolazione prima casa. Si tratta di novità pratiche e rilevanti, pensate per ampliare la platea dei beneficiari e adattare le norme alle esigenze attuali, soprattutto in un contesto economico e lavorativo in continua evoluzione.

Estensione del termine per vendere la precedente prima casa

Una delle principali novità riguarda la tempistica per la vendita dell’immobile precedentemente acquistato con le agevolazioni prima casa. Fino al 31 dicembre 2024, chi possedeva già un’abitazione acquistata con il beneficio doveva venderla entro 1 anno dal nuovo acquisto per non perdere le agevolazioni. Dal 2025, invece, il termine è stato esteso a 2 anni, offrendo così maggiore flessibilità agli acquirenti. Questa modifica consente di gestire con più calma il processo di vendita della casa precedente, evitando di subire svantaggi economici legati a vendite affrettate.

Nuovi criteri di localizzazione dell’immobile

La regola base resta invariata: l’immobile deve trovarsi nel Comune in cui l’acquirente ha la residenza o vi trasferisca la propria residenza entro 18 mesi. Tuttavia, il legislatore ha confermato anche tre eccezioni importanti:

  • L’acquirente ha diritto all’agevolazione se l’immobile si trova nel Comune in cui svolge attività (anche non retribuita, come volontariato, studio o sport).

  • Il beneficio si mantiene anche se l’immobile è situato nel Comune in cui ha sede il datore di lavoro, a condizione che l’acquirente sia stato trasferito all’estero per ragioni professionali.

  • I cittadini italiani emigrati all’estero possono acquistare con l’agevolazione prima casa in qualsiasi parte del territorio nazionale, purché dichiarino l’intenzione di usare l’immobile come prima casa in Italia.

Queste modifiche ampliano le opportunità per lavoratori in mobilità, studenti fuori sede e italiani residenti all’estero, rafforzando il carattere sociale della norma.

Caparra e contratto preliminare

Un aspetto spesso sottovalutato, ma di grande rilevanza fiscale, riguarda il momento in cui viene stipulato e registrato il contratto preliminare di compravendita (il cosiddetto “compromesso”), soprattutto quando è accompagnato dal versamento di una caparra confirmatoria. In presenza di un contratto registrato e di un acconto versato, è possibile ottenere uno sconto sull’imposta di registro dovuta al momento dell’atto definitivo di compravendita.

Scomputo dell’imposta già versata

Nel momento in cui si stipula un contratto preliminare registrato, si è tenuti a pagare:

  • lo 0,5% sulla caparra confirmatoria;

  • o il 3% sull’acconto prezzo, se versato in quel momento.

Tali somme vengono considerate anticipazioni sull’imposta di registro e vengono scomputate dall’imposta dovuta all’atto definitivo. Questo significa che, se al momento del rogito notarile si deve pagare l’imposta agevolata del 2% (con un minimo di 1.000 euro nel 2025), quanto già versato in fase preliminare sarà scalato dall’importo complessivo.

Importanza della registrazione

La registrazione del preliminare non è obbligatoria ai fini civilistici, ma diventa fondamentale ai fini fiscali se si vuole beneficiare dello scomputo. Inoltre, fornisce una tutela giuridica aggiuntiva all’acquirente, che può trascrivere il preliminare nei registri immobiliari per rendere opponibile a terzi l’accordo preso con il venditore.

Questa strategia è particolarmente utile nei casi in cui l’immobile sia in costruzione o si voglia bloccare il prezzo di vendita prima del rogito. È quindi consigliabile affidarsi a un notaio o a un commercialista esperto che possa valutare ogni dettaglio dell’operazione e garantire il massimo vantaggio fiscale.

Credito d’imposta

Una delle opportunità fiscali più interessanti riconosciute dalla normativa italiana in materia di prima casa è rappresentata dal credito d’imposta per chi vende un’abitazione acquistata con le agevolazioni e, entro un anno, ne acquista un’altra da destinare a propria abitazione principale. Questo meccanismo consente di recuperare parte dell’imposta già versata in precedenza e utilizzarla per abbattere il carico fiscale della nuova operazione.

In cosa consiste il credito

Il credito d’imposta corrisponde all’imposta di registro o all’IVA pagata sul primo acquisto agevolato. Può essere utilizzato in diversi modi:

  • in detrazione dall’imposta di registro dovuta per il nuovo acquisto;

  • in diminuzione dell’IRPEF in sede di dichiarazione dei redditi (modello 730 o Redditi PF);

  • per compensare tributi e contributi dovuti tramite modello F24.

Attenzione però: il credito non dà mai diritto a rimborsi in denaro. Se l’importo del credito eccede le imposte da pagare, la parte residua può essere utilizzata in compensazione, ma non può essere chiesta a rimborso.

Condizioni da rispettare

Per usufruire del credito d’imposta occorre che:

  • l’abitazione ceduta e quella acquistata siano entrambe state oggetto di agevolazione prima casa;

  • la vendita della prima casa e l’acquisto della seconda avvengano entro 1 anno l’una dall’altra (la norma è rimasta invariata nella Legge di Bilancio 2025);

  • l’acquirente mantenga la residenza o vi si trasferisca entro 18 mesi nel comune della nuova abitazione.

Questo strumento è particolarmente vantaggioso per chi decide di cambiare abitazione restando all’interno del regime agevolato, permettendo un concreto risparmio fiscale e una gestione efficiente del patrimonio immobiliare.

Istruzioni pratiche

Accedere all’agevolazione prima casa nel 2025 è un processo che richiede attenzione, precisione formale e il rispetto di determinati requisiti, sia soggettivi che oggettivi. Tuttavia, non è necessaria una domanda preventiva all’Agenzia delle Entrate: l’accesso avviene direttamente in sede di rogito notarile, al momento dell’acquisto dell’immobile.

Cosa fare in concreto

Per beneficiare delle imposte ridotte, è necessario:

  1. Dichiarare espressamente nell’atto notarile di acquisto che:

    • si possiedono i requisiti soggettivi (es. non si è proprietari di altri immobili con agevolazioni prima casa, oppure si provvederà alla vendita entro 2 anni);

    • si trasferirà la residenza nel comune in cui è situato l’immobile entro 18 mesi;

    • l’immobile rientra tra quelli agevolabili (non di lusso, in categoria catastale ammessa).

  2. Conservare la documentazione utile a dimostrare la veridicità delle dichiarazioni rese, come certificati di residenza, visure catastali di altri immobili, e contratti preliminari registrati.

  3. Farsi assistere da un notaio o da un professionista fiscale che possa verificare che tutte le condizioni siano rispettate e che le clausole dell’atto siano redatte in modo conforme alla normativa.

Attenzione ai controlli successivi

L’Agenzia delle Entrate può effettuare controlli anche a distanza di anni, verificando l’effettivo trasferimento di residenza, la presenza di altri immobili o la destinazione d’uso delle pertinenze. È quindi fondamentale non solo accedere correttamente all’agevolazione, ma anche mantenere i requisiti nel tempo.

Chi non rispetta i requisiti o rende dichiarazioni false rischia la decadenza dal beneficio, con recupero dell’imposta ordinaria, sanzioni e interessi.

Considerazioni finali

L’acquisto della prima casa rappresenta uno degli investimenti più significativi nella vita di una persona o di una famiglia. Grazie all’agevolazione prima casa 2025, è possibile ottenere un concreto risparmio fiscale, che può arrivare a migliaia di euro, se si rispettano attentamente tutti i requisiti e si pianifica l’operazione in modo strategico.

I principali vantaggi fiscali

  • Imposte ridotte (registro al 2% o IVA al 4%);

  • Imposte fisse su ipotecaria e catastale;

  • Credito d’imposta per chi riacquista un nuovo immobile agevolato;

  • Scomputo delle imposte già versate su caparra o acconti.

I consigli del commercialista per risparmiare

  1. Verifica preliminare: controlla con attenzione la categoria catastale dell’immobile, la tua situazione patrimoniale e residenziale. Se hai dubbi, chiedi una consulenza.

  2. Pianifica la vendita del vecchio immobile: se possiedi già una prima casa agevolata, ricorda che ora hai 2 anni di tempo per venderla, ma non perdere di vista la scadenza.

  3. Registrazione del preliminare: se versi una caparra, registrare il compromesso ti consente di anticipare parte dell’imposta e abbattere il carico fiscale finale.

  4. Documenta tutto: mantieni copie di tutte le dichiarazioni, atti notarili, registrazioni e comunicazioni per essere sempre pronto in caso di controlli.

  5. Non improvvisare: ogni caso ha le sue particolarità. Affidarsi a un commercialista esperto in materia immobiliare e fiscale è la strategia migliore per evitare errori costosi.

Conoscere bene la normativa e affidarsi a professionisti aggiornati consente non solo di risparmiare legalmente sulle imposte, ma anche di affrontare l’acquisto della casa con maggiore sicurezza, evitando spiacevoli sorprese in futuro.

Cassa Forense 2025: guida completa ai 19 bandi di assistenza per avvocati, praticanti e famiglie

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Il 2025 si apre con un’importante novità per gli iscritti alla Cassa Forense: la pubblicazione di ben 19 bandi di assistenza economica e sociale destinati a supportare la professione forense e le famiglie degli avvocati.

In un momento storico di grande trasformazione e pressione economica, l’iniziativa rappresenta un impegno concreto verso la tutela del benessere degli avvocati italiani, con particolare attenzione ai giovani, ai genitori e alle situazioni di fragilità sociale.

Dai prestiti agevolati per gli under 35 ai contributi per le vittime di violenza domestica, passando per borse di studio dedicate ai figli e incentivi per la genitorialità, il piano di sostegni mira ad accompagnare i professionisti nel loro percorso di vita, dentro e fuori dallo studio legale. Con scadenze che partono dal 15 luglio 2025 è essenziale conoscere nel dettaglio le opportunità offerte e le modalità di accesso.

Questo articolo guiderà passo dopo passo tra i contenuti principali dei bandi, aiutando i professionisti a cogliere ogni beneficio disponibile.

19 bandi

Con l’approvazione ufficiale di 19 bandi di assistenza per l’anno 2025, la Cassa Forense riafferma il proprio ruolo strategico come ente di previdenza e assistenza capace di affiancare concretamente gli iscritti in ogni fase della loro carriera e vita familiare. L’architettura degli interventi si sviluppa secondo un criterio di coerenza con il passato ma anche di evoluzione rispetto ai nuovi bisogni emergenti. In particolare, 16 bandi ripropongono misure già note — tra cui il supporto alla genitorialità, i contributi per spese sanitarie e scolastiche e i prestiti agevolati — mentre 3 iniziative rappresentano una significativa innovazione in chiave sociale e formativa.

Nel dettaglio, tra le nuove misure troviamo: un contributo specifico destinato alle avvocate e praticanti vittime di violenza domestica, un sostegno economico per i praticanti avvocati nella fase di preparazione all’esame di abilitazione, e un aiuto per coprire i costi di alloggio in residenze universitarie dei figli degli iscritti. Questi interventi rispondono alla crescente attenzione verso temi di equità di genere, diritto allo studio e sostegno alla formazione, e segnano un passo avanti verso un sistema di welfare professionale inclusivo e moderno.

Tutti i bandi si articolano secondo i tre pilastri fondamentali previsti dal Regolamento dell’Assistenza: professione, famiglia e salute. La prima scadenza utile per la presentazione delle domande è fissata al 15 luglio 2025, con riferimento ai contributi per strumenti informatici e per i nuovi nati nel 2024.

Sostegni alla professione

Tra i principali assi di intervento previsti dai bandi Cassa Forense 2025, un ruolo centrale è riservato alle misure dedicate al rafforzamento della professione forense. In un’epoca in cui la competitività e l’innovazione sono fattori determinanti anche nell’ambito legale, l’ente previdenziale mette a disposizione oltre 8 milioni di euro per sostenere giovani avvocati, promuovere l’adeguamento tecnologico degli studi e incentivare la formazione di alto livello.

Tra i bandi più significativi spicca quello dedicato ai prestiti agevolati per under 35, con uno stanziamento di 2,5 milioni di euro e domande aperte dal 15 aprile al 31 ottobre 2025. È un’opportunità importante per i giovani professionisti che necessitano di liquidità per avviare o rafforzare la propria attività. Sempre in ambito tecnologico, torna il contributo per l’acquisto di strumenti informatici, aperto dal 15 aprile al 15 luglio, con una dotazione di 1,8 milioni di euro.

A sostegno dell’organizzazione degli studi legali, sono previsti fondi sia per persone fisiche che per persone giuridiche, entrambi con scadenza 30 settembre e uno stanziamento pari a 150.000 euro ciascuno. Per migliorare la qualità delle relazioni a distanza, è previsto anche un bando specifico per l’attrezzatura delle sale videoconferenze, con 300.000 euro di fondi disponibili.

Tra le novità più rilevanti si evidenzia il contributo per avvocate e praticanti vittime di violenza, con un budget di 500.000 euro, e il nuovo bando a favore dei praticanti che affrontano l’esame di abilitazione, dotato di 1 milione di euro. Entrambi hanno la stessa finestra temporale: 16 luglio – 30 settembre 2025.

Completano l’offerta professionale:

  • Contributi per avvocati con disabilità (150.000 euro);

  • Alta formazione professionale (1,5 milioni di euro, domande dal 4 novembre 2025 al 20 gennaio 2026);

  • Borse per acquisire il titolo di cassazionista (400.000 euro, stessa scadenza);

  • Premio Marco Ubertini per neoiscritti con alti voti, con 200.000 euro di dotazione e data di apertura domande ancora da definire.

Famiglia e figli

La famiglia rappresenta uno dei pilastri dell’assistenza messa in campo da Cassa Forense per il 2025. Con uno stanziamento complessivo superiore a 10 milioni di euro, i bandi dedicati al welfare familiare si propongono di alleggerire le spese connesse alla genitorialità, all’istruzione e alla cura dei familiari, offrendo un supporto concreto ai professionisti iscritti.

Particolarmente generoso il bando destinato ai contributi per figli nati, adottati o affidati nel 2024, con 3 milioni di euro disponibili e domande aperte dal 15 aprile al 15 luglio 2025. È uno dei bandi più attesi, in quanto mira a sostenere direttamente i costi iniziali legati all’arrivo di un nuovo membro in famiglia.

Per la fascia scolare e universitaria, sono previste diverse forme di aiuto: le borse di studio per figli universitari di iscritti (dal 10 giugno al 1 dicembre, con 700.000 euro), le borse per orfani di iscritti (350.000 euro) e i contributi per spese di alloggio universitario (2 milioni di euro, dal 16 ottobre al 31 dicembre). Queste misure intendono garantire il diritto allo studio anche in condizioni economiche difficili, agevolando l’autonomia dei giovani.

Alle famiglie numerose è destinato un fondo specifico da 2 milioni di euro (domande dal 16 luglio al 15 ottobre), mentre quelle mono genitoriali possono contare su 800.000 euro, da richiedere nel periodo 16 ottobre – 31 dicembre. Non manca l’attenzione alla gestione quotidiana, con 1,8 milioni di euro per sostenere la frequenza dei figli minori nei centri estivi (domande dal 1 al 31 ottobre).

Infine, un ulteriore aiuto arriva per chi deve affrontare spese legate alla ospitalità in case di riposo o istituti per familiari, con 200.000 euro di fondi e una finestra di domanda che si estende dal 10 giugno 2025 al 20 gennaio 2026.

Tutela della salute

Oltre al sostegno alla professione e alla famiglia, la salute è il terzo pilastro del sistema assistenziale della Cassa Forense, e anche per il 2025 si conferma un’area di intervento strategica. L’obiettivo è duplice: da un lato, garantire accesso a cure e prestazioni sanitarie in caso di difficoltà economiche, dall’altro, promuovere la prevenzione e il benessere psico-fisico degli iscritti, favorendo una condizione di equilibrio tra vita privata e attività professionale.

Sebbene i bandi dedicati alla salute non siano tra i più numerosi in termini quantitativi, la loro portata è significativa. In particolare, rientrano in quest’ambito le misure per avvocati con disabilità (già citate anche nella sezione professionale), che offrono un sostegno concreto per fronteggiare spese straordinarie, con un plafond dedicato di 150.000 euro. L’accesso a questo contributo è previsto dal 16 luglio al 30 settembre 2025.

Un ruolo importante è svolto anche dalle spese sanitarie e assistenziali, che spesso rappresentano una voce rilevante nel bilancio personale e familiare. Le domande per il contributo a copertura delle spese per ospitalità in case di riposo o istituti specializzati — in parte riconducibili alla sfera sanitaria — potranno essere presentate dal 10 giugno 2025 fino al 20 gennaio 2026, con uno stanziamento di 200.000 euro.

In prospettiva futura, si auspica un rafforzamento delle politiche di prevenzione sanitaria e di supporto psicologico, ambiti oggi sempre più centrali nella gestione della vita professionale, soprattutto in un contesto di crescente carico lavorativo e stress correlato alla prestazione.

Requisiti, limiti e procedura

Per poter accedere ai contributi previsti dai 19 bandi assistenziali della Cassa Forense 2025, è fondamentale soddisfare alcuni requisiti di regolarità amministrativa e contributiva, che rappresentano condizioni imprescindibili. In particolare, gli iscritti dovranno essere in regola con la presentazione del Modello 5, ovvero la dichiarazione reddituale annuale, per l’intero periodo di iscrizione alla Cassa. Allo stesso modo, è richiesta la regolarità nei versamenti dei contributi previdenziali, siano essi in gestione diretta o in riscossione mediante ruolo.

Un aspetto cruciale da sottolineare è che la verifica della posizione contributiva avviene al momento della presentazione della domanda. Eventuali irregolarità non possono essere sanate successivamente: chi risulterà non in regola sarà escluso in automatico dalla procedura di assegnazione.

Ogni professionista ha la possibilità di ottenere un solo contributo per ciascuna delle tre aree tematiche previste dal regolamento dell’assistenza (professione, famiglia, salute). Questo significa che, ad esempio, si può partecipare sia a un bando per l’acquisto di strumenti informatici (ambito professionale) che a uno per la nascita di un figlio (ambito familiare), ma non a due bandi appartenenti alla stessa categoria.

I bandi sono pubblicati in modo scaglionato sul sito ufficiale della Cassa Forense, dove è disponibile anche una piattaforma dedicata per l’inoltro delle domande. Il portale offre inoltre una funzione utile per verificare preventivamente la propria posizione contributiva, così da evitare brutte sorprese al momento della domanda.

Modalità di accesso

Prima di inoltrare la propria candidatura a uno dei bandi di assistenza promossi dalla Cassa Forense per il 2025, è essenziale assicurarsi di rispettare tutte le condizioni di ammissibilità previste. In particolare, gli iscritti devono risultare in regola con la presentazione del Modello 5, ovvero la comunicazione reddituale obbligatoria per tutti i periodi di iscrizione alla Cassa. Oltre a ciò, è necessario essere in regola con il pagamento dei contributi previdenziali, sia se gestiti tramite ruolo esattoriale che con riscossione diretta.

Un aspetto di rilievo è che la regolarità contributiva e dichiarativa viene verificata al momento esatto della presentazione della domanda: eventuali irregolarità non possono essere sanate in un secondo momento. Questa condizione rappresenta un filtro rigoroso ma fondamentale per assicurare equità e trasparenza nell’assegnazione delle risorse.

Ogni iscritto può beneficiare di un solo contributo per ciascuna delle tre macro-aree di intervento: professione, famiglia e salute. Ciò implica la possibilità di richiedere, ad esempio, un contributo per strumenti informatici (ambito professionale) e un altro per la nascita di un figlio (ambito familiare), ma non due nello stesso ambito.

Tutti i bandi vengono pubblicati progressivamente sul sito ufficiale della Cassa Forense, dove sono disponibili sia i testi completi dei bandi che una piattaforma digitale per la presentazione delle domande. Tra gli strumenti messi a disposizione, si segnala anche una comoda funzione per verificare preventivamente la propria posizione contributiva, fondamentale per evitare esclusioni dovute a irregolarità non conosciute.

Come scegliere il bando

Con 19 bandi attivi, diverse finestre temporali e requisiti specifici, la gestione del calendario e la pianificazione delle domande diventano elementi fondamentali per non perdere occasioni preziose. Un errore comune, infatti, è sottovalutare la varietà delle misure e i tempi diversi di apertura e chiusura delle domande, che si estendono da aprile 2025 fino a gennaio 2026, con bandi pubblicati in maniera scaglionata.

Il primo passo è analizzare la propria situazione personale e professionale: giovani under 35, genitori di figli nati nel 2024, praticanti avvocati o studi legali che vogliono innovare hanno ciascuno bandi specifici pensati per le loro esigenze. È importante inoltre tenere presente che ogni iscritto può beneficiare di un solo contributo per ambito, pertanto è strategico individuare quale area – professione, famiglia o salute – rappresenti in quel momento la priorità.

Per orientarsi al meglio, si consiglia di:

  • Scaricare il calendario completo delle scadenze dal sito della Cassa Forense;

  • Leggere con attenzione i requisiti di ogni bando, per evitare esclusioni formali;

  • Verificare la propria posizione contributiva in anticipo tramite la piattaforma online;

  • Predisporre la documentazione per tempo, soprattutto per i bandi con maggiore affluenza, come quelli per i figli o per i contributi informatici.

Pianificare con metodo, tenere traccia delle date chiave e puntare sulle misure più coerenti con il proprio percorso professionale o familiare è il modo più efficace per sfruttare appieno le opportunità del pacchetto assistenziale 2025.

Chi può partecipare ai bandi

I bandi di assistenza della Cassa Forense 2025 sono destinati a un pubblico ben definito: si rivolgono esclusivamente agli avvocati e praticanti avvocati iscritti alla Cassa Forense, in possesso dei requisiti stabiliti dal Regolamento dell’Assistenza. Questo significa che non tutti i professionisti dell’area legale possono accedervi, ma solo coloro che sono iscritti alla Cassa e che hanno adempiuto correttamente agli obblighi previdenziali e dichiarativi.

Più nello specifico, possono partecipare:

  • Avvocati iscritti all’Albo che versano regolarmente i contributi previdenziali alla Cassa Forense;

  • Praticanti avvocati con iscrizione alla Cassa, in particolare per i bandi che li riguardano direttamente (es. contributo per l’esame di abilitazione);

  • Gli iscritti sospesi, ma in regola con gli obblighi contributivi e comunicativi (in base al bando specifico);

  • In alcuni casi, anche gli eredi o i familiari degli iscritti, per bandi destinati a borse di studio per orfani o spese sanitarie per familiari a carico.

È fondamentale ricordare che non è sufficiente essere iscritti all’Albo degli Avvocati: è obbligatoria anche l’iscrizione alla Cassa Forense e la piena regolarità contributiva, verificata al momento della domanda. Chi risulta irregolare o con omissioni pregresse non potrà accedere al beneficio, anche se rientra anagraficamente tra i destinatari.

Vantaggi dei bandi

I 19 bandi di assistenza 2025 della Cassa Forense non sono semplici misure economiche temporanee, ma rappresentano strumenti strategici di welfare professionale, capaci di incidere concretamente sulla qualità della vita e sull’equilibrio economico degli avvocati italiani. I vantaggi per i destinatari sono molteplici e diversificati, a seconda delle fasce di età, della situazione familiare e delle condizioni lavorative.

Per i giovani professionisti, i prestiti agevolati e i contributi per strumenti tecnologici rappresentano una leva per avviare lo studio legale, digitalizzarlo o affrontare le spese della formazione iniziale. I praticanti avvocati, spesso privi di un reddito stabile, possono invece contare su sussidi mirati per preparare l’esame di abilitazione, contribuendo così a colmare il divario tra formazione e inserimento nel mercato del lavoro.

Le famiglie degli iscritti trovano nei bandi un concreto supporto alla natalità, all’educazione dei figli e alla gestione del quotidiano: dai contributi per i nuovi nati ai fondi per le spese universitarie o i centri estivi, ogni misura mira a ridurre il peso economico della genitorialità e favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia. Anche le situazioni più delicate, come quelle di disabilità o violenza domestica, trovano spazio in un sistema che punta all’inclusione e al sostegno delle fragilità.

In sintesi, i bandi offrono vantaggi sia tangibili (risorse economiche) che intangibili (serenità, inclusione, pari opportunità), rafforzando il senso di appartenenza alla comunità forense e valorizzando il ruolo sociale dell’avvocato.

Conclusione

I bandi di assistenza 2025 promossi dalla Cassa Forense non sono solo una risposta puntuale a bisogni economici momentanei, ma rappresentano un modello evoluto di welfare professionale integrato, costruito su misura per gli avvocati italiani. In un periodo storico in cui la professione legale è chiamata ad affrontare sfide strutturali – tra pressione fiscale, digitalizzazione e nuovi equilibri familiari – questi strumenti offrono supporto concreto, mirato e differenziato, rendendo la tutela previdenziale più vicina alla realtà quotidiana degli iscritti.

Con una distribuzione intelligente delle risorse, la Cassa Forense è riuscita a valorizzare contemporaneamente i giovani, le famiglie, la salute e la formazione, garantendo pari opportunità e riducendo le disuguaglianze all’interno della categoria. Il vero vantaggio, tuttavia, non risiede solo nei contributi economici, ma nella visione strategica che mette al centro la dignità e la sostenibilità del lavoro forense.

È ora compito degli iscritti informarsi, valutare e agire con tempestività, sfruttando le opportunità messe a disposizione. Il sito della Cassa Forense è il punto di partenza per accedere a bandi, scadenze e verifiche preliminari. Perché scegliere il bando giusto oggi, può fare la differenza nella professione di domani.

Campagna Bilanci 2025: scadenze, novità OIC e guida al deposito telematico

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Il 2025 si apre con importanti aggiornamenti in materia di bilancio d’esercizio per le società italiane. Le novità introdotte quest’anno da OIC, dalle nuove indicazioni del CNDCEC e dai provvedimenti di proroga contenuti nel decreto Milleproroghe, hanno modificato in parte il tradizionale calendario e i criteri da seguire per la redazione del bilancio. Dalla rivalutazione delle immobilizzazioni materiali alle nuove soglie per la nomina dell’organo di controllo, passando per le scadenze aggiornate per l’approvazione dell’assemblea, il quadro normativo richiede attenzione e aggiornamento.

In questo articolo analizzeremo in dettaglio tutte le scadenze da rispettare, le nuove regole contabili applicabili già ai bilanci chiusi al 31 dicembre 2024 e da approvare nel 2025, e vedremo anche quali sono le opportunità per ottimizzare il proprio assetto contabile e amministrativo. Vedremo, inoltre, quali strumenti digitali possono semplificare l’attività dei professionisti e delle imprese, e quali sanzioni si rischiano in caso di ritardi o errori nella convocazione delle assemblee o nel deposito dei bilanci.

Guida Unioncamere 2025

Con l’avvio ufficiale della campagna bilanci 2025, uno degli strumenti fondamentali messi a disposizione dei professionisti e delle imprese è la nuova Guida Unioncamere sul deposito dei bilanci. Questo documento, pubblicato come ogni anno da Unioncamere, fornisce istruzioni pratiche dettagliate su come redigere, firmare digitalmente e trasmettere in via telematica il bilancio d’esercizio e, ove richiesto, l’elenco soci. La guida è diventata negli anni un punto di riferimento imprescindibile per rispettare correttamente le modalità previste dalla normativa vigente, anche in virtù delle continue evoluzioni dei sistemi telematici e delle specifiche tecniche adottate.

Secondo quanto ribadito nella guida 2025, il deposito del bilancio non può essere effettuato attraverso la Comunicazione Unica, ma deve avvenire esclusivamente tramite la piattaforma dedicata del Registro Imprese. L’adempimento riguarda tutte le società di capitali (SRL, SPA, SAPA, SCpA) e deve essere svolto per ogni esercizio sociale, a pena di sanzioni e di conseguenze giuridiche rilevanti. In particolare, la mancata approvazione e il mancato deposito del bilancio possono rappresentare una causa legale di scioglimento della società, ai sensi dell’articolo 2484, comma 1, n. 3) del Codice Civile, configurandosi come “impossibilità di funzionamento” o “prolungata inattività dell’assemblea”.

Dal punto di vista operativo, il deposito deve includere la modulistica elettronica corretta e firmata digitalmente, ed è fondamentale evitare errori formali che potrebbero portare a rigetti o richieste di integrazione da parte della Camera di Commercio. La guida Unioncamere aggiornata fornisce anche esempi pratici e chiarimenti interpretativi, utili per affrontare con precisione l’adempimento.

Approvazione del bilancio

Uno degli aspetti più rilevanti della campagna bilanci 2025 riguarda la scadenza per l’approvazione in assemblea del bilancio relativo all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2024. Secondo quanto stabilito dal Codice Civile (art. 2364, comma 2 per le S.p.A. e art. 2478-bis per le S.r.l.), l’approvazione del bilancio deve avvenire entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, dunque entro il 29 aprile 2025 per la maggior parte delle società.

Tuttavia, la normativa consente alle società di estendere il termine fino a 180 giorni (quindi entro il 28 giugno 2025) in presenza di particolari esigenze, che devono essere specificamente indicate nella relazione sulla gestione o, in assenza, nella nota integrativa. Le ragioni comunemente accettate per tale proroga comprendono, ad esempio, la necessità di consolidare il bilancio con quello di altre società del gruppo, oppure la complessità strutturale dell’attività aziendale o la presenza di filiali estere.

L’estensione a 180 giorni non è automatica: è fondamentale che l’organo amministrativo valuti e motivi correttamente tale scelta, altrimenti il bilancio approvato oltre i 120 giorni potrebbe essere considerato invalido. Inoltre, la convocazione dell’assemblea deve avvenire nel rispetto dei termini previsti dallo statuto e con le modalità telematiche o cartacee previste per legge.

Nel 2025 non sono attualmente previste proroghe generalizzate legate a eventi emergenziali (come avvenuto durante la pandemia), ma è importante monitorare eventuali aggiornamenti normativi o interventi governativi (es. Decreto Milleproroghe) che potrebbero modificare i termini o introdurre deroghe temporanee.

Novità contabili

Il 2025 segna un punto di svolta nella redazione dei bilanci, con importanti novità contabili e normative che interessano i documenti riferiti all’esercizio chiuso il 31 dicembre 2024. La più rilevante è certamente l’entrata in vigore del principio contabile OIC 34, che introduce regole specifiche per il trattamento dei cosiddetti ricavi misti, ossia quelli derivanti da contratti che prevedono la vendita di beni congiuntamente alla fornitura di servizi. Fino ad oggi, queste operazioni erano gestite in modo frammentario, ma con l’OIC 34 viene finalmente tracciata una linea guida chiara e uniforme.

Oltre a ciò, lo stesso principio fornisce criteri aggiornati sull’imputazione temporale dei ricavi da prestazioni di servizi, consentendo – in presenza di condizioni ben definite – il ricorso al metodo dello stato di avanzamento per rilevarli nel tempo, in modo coerente con la loro effettiva maturazione economica.

Parallelamente, la Fondazione OIC ha rilasciato emendamenti a diversi altri principi contabili, al fine di allineare la normativa tecnica all’introduzione dell’OIC 34. I documenti aggiornati includono gli OIC 11 (finalità del bilancio), 12 (composizione e schemi del bilancio), 13 (rimanenze), 15 (crediti), 16 (immobilizzazioni materiali), 19 (debiti), 23 (lavori in corso su ordinazione), 31 (fondi rischi e oneri) e 33 (interessi passivi). Questa revisione ha lo scopo di eliminare incoerenze interpretative e facilitare una visione unitaria del bilancio.

Tra le altre novità, si segnalano quelle derivanti dal DLgs. 125/2024, che ha modificato i limiti dimensionali per la redazione semplificata del bilancio, ampliando il numero di imprese che possono redigere il bilancio in forma abbreviata o micro. Questo cambiamento avrà un impatto significativo soprattutto per le PMI e le microimprese, che beneficeranno di oneri contabili ridotti.

Non meno rilevanti sono gli effetti del DLgs. 192/2024, parte della riforma del sistema fiscale, che mira a ridurre il disallineamento tra valori contabili e fiscali, semplificando così la determinazione del reddito d’impresa.

Infine, entra in vigore anche un primo pacchetto di norme previste dal DLgs. 125/2024 in materia di rendicontazione di sostenibilità, che richiede l’inserimento, nella relazione sulla gestione, di informazioni ambientali, sociali e di governance (ESG), almeno per le imprese di dimensioni maggiori o con obbligo specifico. È l’inizio dell’adeguamento graduale alla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) europea.

Come effettuare il deposito telematico

Il deposito telematico del bilancio rappresenta un passaggio cruciale e obbligatorio per tutte le società di capitali italiane, e deve essere effettuato ogni anno al termine dell’iter di approvazione assembleare. Anche per il 2025, la modalità esclusiva di trasmissione resta quella via Registro Imprese, attraverso la piattaforma ufficiale, utilizzando la modulistica elettronica messa a disposizione da Infocamere.

È fondamentale ricordare che il deposito del bilancio non rientra nella Comunicazione Unica: si tratta di un adempimento autonomo, da effettuarsi separatamente rispetto alle comunicazioni obbligatorie al Registro Imprese, Agenzia delle Entrate e INPS. Questa distinzione spesso viene trascurata, generando errori procedurali che possono comportare rigetti da parte della Camera di Commercio o addirittura sanzioni.

Tra gli errori più frequenti vi sono:

  • moduli firmati in modo errato o incompleto (es. mancanza della firma digitale dell’amministratore);

  • file non conformi alle specifiche richieste (es. PDF/A non validato);

  • assenza della nota integrativa o della relazione sulla gestione dove obbligatoria;

  • uso di modulistica obsoleta, non aggiornata con le nuove versioni del software Fedra o DIRE.

La Guida Unioncamere 2025, disponibile presso i siti camerali, fornisce tutte le istruzioni per una corretta compilazione del modello B, del bilancio XBRL e dei documenti da allegare, oltre agli schemi aggiornati per l’elenco soci (obbligatorio per le S.p.A., S.a.p.a. e S.c.p.A.).

Una particolare attenzione va dedicata anche alla corretta indicazione dei dati societari e alla verifica dei poteri di firma. È responsabilità dell’amministratore delegato o del presidente del CDA assicurarsi che tutte le informazioni siano complete, veritiere e trasmesse entro i termini di legge.

Sanzioni e rischi

Il mancato deposito del bilancio entro i termini stabiliti dalla legge rappresenta un’infrazione grave, che comporta conseguenze rilevanti sia sotto il profilo amministrativo che civilistico. Le Camere di Commercio hanno l’obbligo di vigilanza e procedono con controlli formali e sostanziali sulla documentazione depositata. In caso di irregolarità, l’ufficio competente può rigettare il deposito, richiedere integrazioni o, in caso di mancata risposta, applicare sanzioni pecuniarie.

Secondo l’art. 2630 c.c., l’omissione o l’incompleto deposito di atti societari è punita con una sanzione amministrativa da 103 a 1.032 euro per ciascun amministratore responsabile, riducibile a un terzo in caso di pagamento entro 60 giorni. Tuttavia, le conseguenze non si limitano a una semplice multa: l’assenza di un bilancio depositato può comportare la perdita di affidabilità fiscale e commerciale per la società, limitandone la possibilità di accedere al credito, partecipare a bandi o operare con partner istituzionali.

Ma l’aspetto più critico riguarda il profilo civilistico. La giurisprudenza più recente ha stabilito che il mancato deposito del bilancio rappresenta un indice di inattività dell’assemblea e può configurare una causa di scioglimento della società, ai sensi dell’art. 2484, comma 1, n. 3) c.c. La norma prevede infatti che una società debba considerarsi sciolta per “l’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea”.

In casi estremi, la Camera di Commercio può trasmettere gli atti al Tribunale competente per l’apertura della procedura di scioglimento e cancellazione d’ufficio. Per evitare tali rischi, è essenziale rispettare le scadenze, assicurarsi della completezza dei documenti e avvalersi di professionisti abilitati per la trasmissione telematica.

Strategie operative e strumenti digitali

In un contesto normativo sempre più complesso, affrontare la campagna bilanci 2025 in modo organizzato ed efficiente richiede una pianificazione operativa precisa e il ricorso a strumenti digitali affidabili. Le scadenze serrate, le novità normative (OIC 34, DLgs. 125/2024 e 192/2024) e le implicazioni civilistiche del mancato adempimento impongono un approccio metodico, che consenta di prevenire errori e ottimizzare i tempi.

Una prima strategia vincente consiste nell’elaborare una checklist delle attività da svolgere, suddivisa per fasi: predisposizione della bozza di bilancio, raccolta della documentazione accessoria (relazione sulla gestione, relazione dei sindaci, nota integrativa), approvazione assembleare, redazione della modulistica elettronica e infine il deposito telematico. Questa lista deve essere aggiornata annualmente secondo le indicazioni di Unioncamere e degli OIC.

Sul fronte operativo, molte imprese e studi stanno adottando software di contabilità integrata che includono funzionalità per la generazione automatica dei bilanci in formato XBRL, la validazione dei file secondo le regole tecniche delle Camere di Commercio e l’invio telematico direttamente dal gestionale. Strumenti come Telemaco, Fedra Plus, DIRE e le piattaforme cloud offrono oggi funzionalità avanzate anche per il monitoraggio delle scadenze, l’invio di notifiche automatiche e il controllo documentale con firma digitale integrata.

Infine, è fondamentale coinvolgere fin da subito il proprio consulente fiscale o commercialista, per risolvere dubbi interpretativi, inquadrare correttamente i ricavi misti secondo l’OIC 34 e predisporre la rendicontazione ESG dove prevista. Un lavoro sinergico tra l’ufficio amministrativo interno e i professionisti esterni rappresenta la miglior garanzia di correttezza e rispetto delle scadenze.

Considerazioni finali

La campagna bilanci 2025 si presenta ricca di sfide ma anche di opportunità per le imprese italiane. Le novità normative introdotte con l’OIC 34, gli aggiornamenti ai principi contabili esistenti, i nuovi criteri di imputazione dei ricavi e l’allargamento dei limiti dimensionali per la redazione semplificata del bilancio, rappresentano un’occasione concreta per ripensare l’approccio contabile e amministrativo con maggiore attenzione alla qualità, alla trasparenza e all’efficienza.

Non meno importante è il rispetto puntuale delle scadenze, con la consapevolezza che ogni ritardo, omissione o errore può trasformarsi in sanzioni economiche, perdita di affidabilità e, nei casi più estremi, rischi di scioglimento d’ufficio della società. Gli strumenti digitali oggi disponibili e le indicazioni operative fornite dalla guida Unioncamere costituiscono un supporto indispensabile per ridurre i margini di errore.

Per le imprese, è essenziale non ridurre la redazione del bilancio a un mero adempimento, ma considerarlo uno strumento strategico di pianificazione e comunicazione. Per i professionisti, è invece il momento di consolidare il proprio ruolo di consulenti affidabili e aggiornati, in grado di guidare i clienti nell’applicazione corretta delle nuove disposizioni.

In un’epoca in cui anche la rendicontazione di sostenibilità si affaccia nel bilancio d’esercizio, chi saprà muoversi in anticipo e con metodo potrà non solo evitare sanzioni ma anche creare valore aggiunto per il proprio business.

Referendum 2025: Guida ai 5 quesiti su lavoro e cittadinanza

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L’8 e il 9 giugno 2025 l’Italia sarà chiamata a un importante appuntamento con la democrazia diretta. Cinque quesiti referendari su lavoro e cittadinanza arriveranno alle urne, dando la possibilità ai cittadini di esprimersi su alcuni dei temi più caldi e dibattuti degli ultimi anni. In un periodo storico segnato da trasformazioni economiche, precarizzazione del lavoro e dibattiti sull’integrazione, questi referendum rappresentano uno snodo fondamentale per ridefinire diritti e tutele.

La posta in gioco non è banale: si tratta di referendum abrogativi, strumenti previsti dalla Costituzione italiana che consentono di cancellare – totalmente o parzialmente – leggi già in vigore. Quattro dei cinque quesiti sono stati promossi dalla CGIL, il maggiore sindacato italiano, in collaborazione con movimenti della società civile. Il quinto, invece, porta la firma del partito +Europa e vede il sostegno di Possibile, PSI, Radicali Italiani e Rifondazione Comunista. Tutte le proposte hanno superato con ampio margine il quorum delle 500.000 firme, sintomo evidente di un interesse popolare crescente verso questi temi.

Nel cuore delle consultazioni troviamo questioni legate ai licenziamenti illegittimi, contratti a termine, tutele negli appalti e un potenziale cambio epocale nelle regole per ottenere la cittadinanza italiana.

In questo articolo vedremo nel dettaglio ognuno dei cinque quesiti, fornendo un’analisi giuridica e sociale, e spiegheremo anche come si vota dall’estero, per chi vive fuori dai confini nazionali ma non vuole rinunciare al proprio diritto democratico.

Cosa cambia con un sì al Referendum

Tra i quesiti più rilevanti del Referendum 2025 vi è quello che punta a cancellare il contratto a tutele crescenti introdotto dal Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23, uno dei pilastri del Jobs Act. Questa normativa si applica ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 in aziende con più di 15 dipendenti, limitando significativamente la possibilità di reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento giudicato illegittimo.

Votare “Sì” significherebbe tornare alla versione originale dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che consentiva – a discrezione del giudice – il reintegro del lavoratore licenziato ingiustamente. La modifica è stata più volte oggetto di richiami da parte della Corte Costituzionale e di numerose sentenze della Corte di Cassazione, che hanno messo in luce come le attuali norme possano compromettere il diritto alla tutela effettiva.

Un secondo quesito interviene sulle indennità di licenziamento nelle piccole imprese (fino a 15 dipendenti), dove oggi il risarcimento massimo previsto è di sei mensilità, anche in caso di licenziamento privo di giustificato motivo. Votando “Sì”, il tetto verrebbe abolito, lasciando al giudice la libertà di quantificare l’indennizzo in base alla gravità del caso concreto. Questo cambiamento interesserebbe un bacino di circa 3,7 milioni di lavoratori, secondo i dati della CGIL. Pur non prevedendo la reintegra, il quesito mira a garantire una giustizia più equa e proporzionata per chi subisce un licenziamento ingiusto in aziende di piccole dimensioni.

Come si vota dall’estero

Anche chi vive oltre i confini italiani potrà esercitare il proprio diritto di voto nei referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025, grazie al voto per corrispondenza, disciplinato dalla Legge 27 dicembre 2001, n. 459. Gli italiani iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) riceveranno automaticamente, senza necessità di richiesta, un plico elettorale al proprio indirizzo estero entro il 21 maggio 2025. Una volta espresso il voto, l’elettore dovrà inviare la scheda al consolato di riferimento, che dovrà riceverla entro le ore 16:00 locali di giovedì 5 giugno 2025, pena l’annullamento del voto.

Per chi invece preferisce votare in Italia, era possibile esprimere questa opzione comunicandolo al proprio Ufficio consolare entro il 10 aprile 2025. Questa possibilità è particolarmente utile per chi prevede di trovarsi temporaneamente in Italia in occasione delle votazioni.

C’è inoltre una terza categoria di votanti: i cittadini temporaneamente all’estero (per lavoro, studio o motivi medici) per un periodo di almeno tre mesi che comprenda la data del referendum. Questi soggetti, così come i familiari conviventi, hanno la facoltà di votare per corrispondenza previa richiesta al proprio Comune di iscrizione elettorale entro il 7 maggio 2025. La domanda può essere inviata via posta, email o PEC, allegando copia del documento di identità.

Per dettagli aggiornati e per scaricare i moduli ufficiali, è sempre consigliabile consultare il sito del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale o rivolgersi al consolato competente.

Come e quando si vota

Il voto per i referendum abrogativi del 2025 si svolgerà in due giornate: domenica 8 giugno dalle ore 7:00 alle 23:00 e lunedì 9 giugno dalle ore 7:00 alle 15:00. Gli elettori italiani riceveranno cinque schede, una per ciascun quesito referendario, ognuna di colore diverso per facilitare la distinzione. Su ogni scheda, l’elettore potrà esprimere la propria volontà barrando “Sì” per abrogare la norma in oggetto oppure “No” per mantenerla in vigore.

Un elemento fondamentale per l’efficacia di ciascun referendum è il quorum: la votazione sarà valida solo se partecipa almeno il 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Questo significa che anche l’astensione diventa una scelta politica, in quanto contribuisce indirettamente all’invalidazione del referendum, impedendo così l’abrogazione della norma. La storia recente italiana ci ha insegnato quanto questo elemento sia decisivo: numerosi referendum sono stati invalidati proprio per la mancata affluenza.

È dunque importante che ogni cittadino rifletta non solo sul contenuto dei quesiti, ma anche sull’importanza della partecipazione attiva alla vita democratica del Paese. I referendum del 2025, per la natura e la sensibilità dei temi trattati – come lavoro, tutele contrattuali e cittadinanza – toccano la quotidianità di milioni di persone. Informarsi e votare consapevolmente è un gesto che va ben oltre la semplice espressione di un parere.

Contratti a termine

Uno dei cinque quesiti referendari previsti per giugno 2025 interviene su un punto centrale della regolazione del lavoro precario: i contratti a tempo determinato. La proposta, se approvata, abrogherebbe parte del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, che ha riformato in senso più flessibile l’uso del lavoro a termine, eliminando in molti casi l’obbligo di specificare la causale nei contratti inferiori ai 12 mesi.

Attualmente, infatti, un datore di lavoro può assumere a tempo determinato fino a 12 mesi senza dover giustificare il motivo dell’assunzione. Solo superata tale soglia temporale, scatta l’obbligo di indicare una “causale”, ossia una motivazione oggettiva che giustifichi l’uso di un contratto a termine anziché uno a tempo indeterminato. Il quesito referendario mira a reintrodurre l’obbligo di causale anche per i contratti brevi, ripristinando una norma che garantiva maggiore trasparenza e tutela per i lavoratori.

Secondo i promotori del referendum, l’attuale disciplina favorisce un uso eccessivo e spesso arbitrario del lavoro precario, compromettendo la stabilità occupazionale e rendendo difficile per molti lavoratori – soprattutto giovani – pianificare il proprio futuro professionale e personale. Il ritorno all’obbligo della causale rappresenterebbe, nelle loro intenzioni, un argine alla precarietà sistemica, costringendo le aziende a motivare ogni scelta che deroghi alla stabilità del contratto.

D’altro canto, le imprese temono che l’abrogazione possa rallentare le assunzioni flessibili in settori stagionali o con picchi produttivi improvvisi. La scelta di votare “Sì” o “No” riflette quindi visioni opposte su come bilanciare flessibilità e diritti nel mercato del lavoro.

Responsabilità solidale negli appalti

Un altro quesito del Referendum 2025 riguarda un tema spesso sottovalutato ma molto rilevante per la sicurezza e i diritti nel mondo del lavoro: la responsabilità solidale negli appalti. Il quesito propone l’abrogazione di una norma che attualmente esclude la responsabilità solidale del committente nei confronti degli infortuni sul lavoro derivanti da rischi specifici delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. In pratica, se oggi si verifica un infortunio in un contesto di appalto, il committente non è sempre chiamato a rispondere insieme all’appaltatore o subappaltatore.

Votare “Sì” significherebbe ripristinare una responsabilità condivisa tra committente, appaltatore e subappaltatore. In altre parole, tutti i soggetti coinvolti nella filiera dell’appalto – inclusa l’impresa che commissiona il lavoro – sarebbero potenzialmente responsabili in caso di infortuni sul lavoro. Secondo i promotori del referendum, ciò garantirebbe una maggiore tutela per i lavoratori, incentivando una più attenta selezione dei fornitori e un controllo più rigoroso sulle condizioni di lavoro.

Dal punto di vista delle imprese, invece, l’abrogazione potrebbe rappresentare un aggravio di responsabilità e un aumento del contenzioso legale, in quanto il committente potrebbe essere coinvolto in situazioni gestite da aziende terze. I sostenitori del “No” ritengono che la norma attuale serva a limitare la responsabilità solo a chi ha un controllo diretto sull’attività lavorativa, evitando così ricadute ingiustificate su chi ha solo affidato l’opera.

Il quesito tocca quindi un equilibrio delicato tra garanzia della sicurezza sul lavoro e ripartizione delle responsabilità nelle catene produttive complesse, molto diffuse in settori come l’edilizia, la logistica e i servizi ambientali.

Cittadinanza Italiana

Il quinto quesito referendario in programma per l’8 e 9 giugno 2025 interviene su un tema che da anni alimenta un ampio dibattito pubblico: l’accesso alla cittadinanza italiana per cittadini stranieri extracomunitari. In particolare, il referendum propone di dimezzare il requisito di residenza legale, riducendolo da 10 a 5 anni, per poter presentare domanda di cittadinanza. La norma attuale è contenuta nella Legge n. 91 del 1992, che stabilisce, tra gli altri criteri, un periodo minimo di dieci anni di residenza continuativa e legale per i maggiorenni non comunitari.

L’obiettivo della proposta è quello di snellire e rendere più accessibile l’iter per ottenere la cittadinanza, specialmente in un contesto in cui molte persone, pur vivendo da anni in Italia, integrandosi nel tessuto sociale e contribuendo all’economia, rimangono prive dei diritti civili e politici garantiti ai cittadini italiani. Secondo i promotori, un abbassamento del limite a 5 anni rappresenterebbe un passo verso una maggiore inclusione, in linea con quanto avviene in diversi Paesi europei.

D’altra parte, i contrari alla proposta temono che una simile modifica possa portare a una “corsa alla cittadinanza” priva di sufficienti garanzie di integrazione, alimentando tensioni sociali e criticità amministrative. La questione tocca corde profonde: identità nazionale, coesione sociale, politiche migratorie. E il voto referendario rappresenta, in questo senso, un’opportunità per definire una visione collettiva su che cosa significhi essere cittadini in Italia oggi.

Ruolo e limiti

Il referendum abrogativo è uno degli strumenti principali di democrazia diretta previsti dalla Costituzione italiana, precisamente all’articolo 75. Esso consente ai cittadini di proporre l’eliminazione, totale o parziale, di una legge già approvata dal Parlamento. Non si tratta dunque di un referendum “propositivo” (come avviene in altri ordinamenti), ma esclusivamente abrogativo: l’obiettivo è cancellare norme in vigore.

Per essere valido, un referendum abrogativo deve rispettare alcuni requisiti fondamentali:

  • Deve raccogliere almeno 500.000 firme di elettori oppure essere promosso da cinque consigli regionali.

  • Non può riguardare leggi tributarie o di bilancio, di amnistia e indulto, o di ratifica di trattati internazionali.

  • La proposta viene valutata preliminarmente dalla Corte di Cassazione, che verifica la regolarità della raccolta firme, e dalla Corte Costituzionale, che ne valuta l’ammissibilità sul piano giuridico.

Una volta approvato, il referendum viene indetto ufficialmente con decreto del Presidente della Repubblica. Per essere efficace, deve raggiungere il quorum: almeno il 50% + 1 degli aventi diritto al voto devono recarsi alle urne. Se il quorum non viene raggiunto, il referendum non ha effetto, indipendentemente dal numero dei “Sì”.

Questo strumento ha avuto un ruolo cruciale in molte decisioni storiche italiane: dal divorzio nel 1974, al nucleare nel 1987, fino ai servizi pubblici e all’acqua nel 2011. Il Referendum 2025 si inserisce in questa lunga tradizione di partecipazione popolare alle scelte legislative.

L’iter tecnico e legislativo

Arrivare al voto referendario non è un processo immediato: è il risultato di un percorso complesso e articolato, che garantisce il rispetto dei criteri costituzionali e delle norme di legge. L’intero iter inizia con la raccolta delle firme, che per i referendum abrogativi deve raggiungere almeno 500.000 sottoscrizioni autenticate di elettori. In alternativa, cinque Consigli regionali possono proporre direttamente il referendum.

Una volta raccolte le firme, esse vengono depositate presso la Corte di Cassazione, che ne verifica l’autenticità e la validità formale. Se tutto è in regola, la Corte procede a trasmettere il quesito alla Corte Costituzionale, che ha il compito di valutare l’ammissibilità del quesito. Non tutti i quesiti referendari infatti possono essere ammessi: la Corte deve assicurarsi che il quesito sia chiaro, omogeneo e conforme ai limiti stabiliti dalla Costituzione (ad esempio non può riguardare leggi tributarie o trattati internazionali).

Se anche la Corte Costituzionale dà parere favorevole, il referendum può essere indetto con decreto del Presidente della Repubblica, che stabilisce la data della consultazione. Di norma, i referendum si svolgono tra il 15 aprile e il 15 giugno, come nel caso del Referendum 2025, fissato per l’8 e 9 giugno.

Da quel momento si apre ufficialmente il periodo di campagna referendaria, in cui i promotori e i contrari alla proposta possono intervenire nel dibattito pubblico, attraverso i mezzi di comunicazione e strumenti informativi, in base a regole di par condicio stabilite dall’AGCOM.

L’impatto potenziale sulle imprese

I quesiti referendari del 2025 non riguardano solo i lavoratori, ma hanno ripercussioni dirette anche sul mondo imprenditoriale. Se approvati, i cambiamenti proposti toccherebbero diversi aspetti della gestione del personale, con potenziali effetti su flessibilità contrattuale, costi del lavoro, rischio legale e organizzazione aziendale.

Nel caso dell’abrogazione del contratto a tutele crescenti, le aziende con oltre 15 dipendenti si troverebbero di fronte a un rischio maggiore di reintegra del dipendente licenziato, in caso di giudizio sfavorevole. Questo potrebbe incentivare una maggiore cautela nelle assunzioni a tempo indeterminato e una revisione delle politiche HR. Allo stesso modo, l’eliminazione del tetto alle indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese potrebbe aumentare la variabilità economica delle vertenze, incidendo sulla pianificazione finanziaria, in particolare per micro e piccole imprese.

L’eventuale reintroduzione dell’obbligo di “causale” nei contratti a termine, anche sotto i 12 mesi, viene interpretata da molti imprenditori come un rallentamento nell’attivazione di rapporti di lavoro flessibili, particolarmente utilizzati nei settori con forte stagionalità (turismo, agricoltura, logistica). Alcuni osservatori sostengono che questo potrebbe generare un aumento del lavoro nero o dell’uso di forme contrattuali atipiche.

Sul fronte degli appalti, la responsabilità solidale estesa ai committenti in caso di infortuni potrebbe comportare un aumento dei controlli e dei costi assicurativi, oltre a una selezione più rigida delle imprese subappaltatrici.

Pur non essendo misure direttamente rivolte alle imprese, gli effetti dei quesiti toccano l’equilibrio tra diritti del lavoro e sostenibilità imprenditoriale, un nodo centrale nel dibattito economico italiano.

Come informarsi e partecipare in modo consapevole

Uno dei presupposti essenziali per il buon funzionamento della democrazia è che i cittadini abbiano accesso a informazioni corrette, complete e imparziali. Questo vale in modo particolare per i referendum, dove non si elegge una persona o un partito, ma si è chiamati a decidere sul contenuto tecnico di una legge. Nel caso del Referendum 2025, i cinque quesiti trattano tematiche complesse come diritto del lavoro, responsabilità giuridica e cittadinanza, rendendo ancora più importante l’approfondimento preventivo.

Per orientarsi in modo consapevole, il primo punto di riferimento è il sito del Ministero dell’Interno, che pubblicherà le informazioni ufficiali sui quesiti, la scheda elettorale, le modalità di voto, il quorum e i risultati. Anche il Ministero degli Affari Esteri, per chi vota dall’estero, fornisce aggiornamenti e moduli utili.

Un ruolo centrale è affidato alla comunicazione istituzionale e ai media pubblici: la RAI e altre emittenti dovranno garantire uno spazio equo ai comitati favorevoli e contrari, nel rispetto della normativa sulla par condicio. A questi si aggiungono i comitati promotori, che hanno siti dedicati con argomentazioni, documenti e FAQ, e i principali quotidiani e portali giuridici, che offrono analisi e confronti.

È importante anche leggere i testi delle norme che si intendono abrogare, per valutare cosa effettivamente cambia in caso di vittoria del “Sì”. Il dibattito può essere vivace e polarizzato, ma un elettore informato deve sapere distinguere tra slogan e contenuto normativo.

Partecipare al referendum è un diritto, ma anche una responsabilità. Informarsi in modo accurato è il primo passo per esercitarlo con consapevolezza.

Considerazioni finali

Il Referendum 2025 non è solo un momento elettorale: è un’occasione di riflessione collettiva sul modello di società e di lavoro che vogliamo costruire nei prossimi anni. I cinque quesiti toccano ambiti chiave della convivenza civile: le tutele contro i licenziamenti illegittimi, le garanzie nei contratti precari, la sicurezza nei cantieri e l’accesso alla cittadinanza per chi vive in Italia da anni senza pieni diritti.

Al di là delle opinioni personali, ciò che conta è la partecipazione consapevole: capire cosa si vota, cosa comporta un “Sì” o un “No”, e quali effetti concreti potrebbero scaturirne sul piano giuridico, economico e sociale. Anche chi decide di non votare assume, di fatto, una posizione: contribuisce a far mancare il quorum, lasciando in vigore le leggi attuali.

Il voto del 8 e 9 giugno 2025 rappresenta un banco di prova per la democrazia diretta, per il coinvolgimento popolare nei processi legislativi e per la capacità del Paese di affrontare con maturità temi delicati e divisivi. L’invito è quello di informarsi, confrontarsi e scegliere in modo libero, rispettando il pluralismo e il diritto di ogni cittadino di esprimere – o meno – la propria voce alle urne.

CPB 2025: Come aderire o revocare il Concordato Preventivo Biennale – Regole, scadenze e vantaggi fiscali

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Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 13/2024, il Concordato Preventivo Biennale (CPB) si afferma come uno degli strumenti più innovativi e rilevanti della riforma fiscale italiana. Rivolto ai contribuenti dotati di profilo fiscale affidabile, il CPB consente di concordare preventivamente con l’Agenzia delle Entrate il reddito imponibile per due anni, offrendo stabilità tributaria, semplificazione degli adempimenti e protezione dai controlli fiscali.

Grazie al Provvedimento del 24 aprile 2025, sono state finalmente definite in modo chiaro le regole per l’adesione e per la revoca del CPB, con una novità importante: per la prima volta sarà possibile aderire anche in via autonoma rispetto alla dichiarazione dei redditi. Una doppia modalità che richiede però attenzione ai dettagli tecnici e ai tempi di invio, pena la perdita del beneficio o la decadenza dall’accordo.

In questo articolo analizziamo chi può aderire e chi è escluso, le modalità operative di adesione e revoca, le scadenze da rispettare, i vantaggi fiscali e strategici del CPB e infine, gli errori da evitare per non compromettere l’accordo.

Una guida completa, pensata per professionisti, imprenditori e consulenti fiscali, che vogliono comprendere come utilizzare correttamente uno strumento che può fare la differenza nella pianificazione tributaria dei prossimi anni.

Introduzione

Nel panorama fiscale italiano, il Concordato Preventivo Biennale (CPB) rappresenta una delle più recenti innovazioni introdotte dal Decreto Legislativo n. 13/2024, in attuazione della riforma fiscale prevista dalla Legge Delega n. 111/2023. L’obiettivo del CPB è ambizioso ma chiaro: offrire maggiore certezza ai contribuenti in merito al proprio carico fiscale, riducendo l’incertezza derivante da controlli futuri, ed evitando il contenzioso con l’amministrazione finanziaria. In cambio, viene richiesto un impegno formale da parte del contribuente ad accettare il reddito proposto dall’Agenzia delle Entrate per due anni consecutivi, calcolato sulla base degli ISA (Indicatori Sintetici di Affidabilità).

La grande novità è che il CPB non è rivolto a tutti, ma esclusivamente a soggetti che applicano gli ISA, restando quindi esclusi i forfettari, i minimi, e coloro che svolgono attività d’impresa o lavoro autonomo fuori da questo perimetro.

Due sono le modalità previste per aderire:

  1. Con la dichiarazione dei redditi entro il 31 ottobre, utilizzando i modelli Redditi PF, SP o SC.

  2. In via autonoma entro il 31 luglio, accedendo al proprio cassetto fiscale per prendere visione della proposta e comunicare l’accettazione secondo le modalità previste.

Questa doppia modalità consente flessibilità, ma richiede anche attenzione ai termini e alle procedure: la mancata adesione nei tempi previsti equivale a rinuncia tacita all’agevolazione.

Le due vie per aderire al CPB

Con il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 24 aprile 2025, sono state ufficialmente approvate tutte le regole di adesione e revoca del Concordato Preventivo Biennale (CPB) per il biennio 2025-2026. Per quest’anno, il contribuente ha due modalità di adesione al concordato, che rappresentano un cambiamento significativo rispetto al passato.

La prima opzione è quella congiunta alla dichiarazione dei redditi. In questo caso, il contribuente invia il modello Redditi 2025 completo, unitamente al modello ISA e al modello CPB 2025/2026, con l’indicazione:

  • del reddito riferibile all’anno 2024,

  • del reddito e valore della produzione netta IRAP proposti per il biennio 2025-2026.

Tuttavia, è importante notare che per utilizzare questa modalità il contribuente dovrà anticipare la trasmissione rispetto alla scadenza ordinaria del 31 ottobre 2025. Infatti, l’adesione è prevista tra il 31 luglio e il 30 settembre, scadenza che potrebbe essere definitivamente confermata dal Decreto Correttivo in corso di approvazione parlamentare.

La seconda opzione è la vera novità del 2025: l’adesione autonoma, indipendente dalla presentazione della dichiarazione. In questo caso, si trasmette solo il frontespizio del modello Redditi 2025 e il modello CPB 2025/2026 compilato e firmato. Successivamente, il contribuente dovrà trasmettere la dichiarazione completa (compresa del modello ISA) entro il termine ordinario del 31 ottobre, facendo attenzione a mantenere coerenza tra i dati inseriti nel modello CPB e quelli presenti nella dichiarazione, pena la decadenza dal concordato secondo l’art. 22 del D.lgs. n. 13/2024.

Queste due modalità richiedono una pianificazione attenta e una gestione precisa dei dati dichiarati, soprattutto per evitare errori o incongruenze che possano compromettere l’accordo raggiunto con l’Agenzia.

Revoca dell’adesione

Una volta effettuata l’adesione al Concordato Preventivo Biennale, il contribuente si impegna ad accettare i redditi proposti dall’Agenzia delle Entrate per un biennio, rinunciando implicitamente alla possibilità di contestare le posizioni fiscali concordate. Tuttavia, il sistema prevede una possibilità di revoca dell’adesione, che va esercitata entro il 31 luglio 2025, data entro cui è anche possibile comunicare l’adesione iniziale.

Il Provvedimento del 24 aprile stabilisce che la revoca avvenga con le stesse modalità previste per l’adesione, ovvero attraverso la trasmissione telematica del modello CPB 2025/2026, compilato in modo da indicare l’intenzione di rinunciare all’accordo precedentemente accettato. In caso di mancato rispetto dei termini, la revoca non sarà più consentita e il contribuente sarà vincolato al concordato per i due anni fiscali successivi, salvo decadenza.

Oltre alla revoca volontaria, esistono diverse cause di decadenza automatica dal CPB, disciplinate dall’art. 22 del D.lgs. 13/2024.

Le principali sono:

  • Discordanza tra i dati indicati nel modello CPB e quelli riportati nella dichiarazione dei redditi o nel modello ISA;

  • Omesso versamento di imposte, contributi o acconti dovuti in relazione agli importi concordati;

  • Svolgimento di attività non dichiarate, o l’emersione di elementi reddituali non coerenti con la proposta concordata;

  • Mancato rispetto dei requisiti soggettivi, ad esempio in caso di cessazione dell’attività o modifica del regime fiscale (passaggio al forfettario).

La decadenza comporta l’annullamento retroattivo degli effetti del concordato, con conseguente ricalcolo dell’imposta dovuta e l’applicazione di sanzioni e interessi. È quindi fondamentale assicurare un monitoraggio costante della propria posizione fiscale durante il biennio e una scrupolosa coerenza tra quanto dichiarato e quanto concordato.

Vantaggi fiscali

L’adesione al Concordato Preventivo Biennale non rappresenta soltanto un adempimento burocratico, ma una vera e propria strategia di gestione fiscale con numerosi vantaggi, soprattutto per i soggetti che operano in contesti economici stabili o prevedibili. In primo luogo, il principale beneficio è la certezza del carico fiscale: il contribuente accetta una proposta di reddito definita in base ai dati storici e agli ISA, ed evita così il rischio di accertamenti, verifiche e rettifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate per i due anni successivi.

Dal punto di vista finanziario, questa stabilità consente una pianificazione più efficace della tesoreria aziendale, con la possibilità di prevedere con esattezza imposte e acconti da versare, migliorando la gestione del cash flow. Inoltre, si evitano i costi connessi a contenziosi e difese tributarie, spesso onerosi sia in termini economici che di tempo.

Un altro aspetto importante è che l’adesione al CPB può comportare un miglioramento del rating fiscale del contribuente, elemento che può rivelarsi utile nei rapporti con il sistema bancario e nella partecipazione a bandi pubblici. Anche per i professionisti e le imprese che vogliono attrarre investitori o dimostrare solidità fiscale, il CPB rappresenta un marchio di affidabilità nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

Infine, aderire al CPB consente di congelare gli effetti di eventuali variazioni economiche negative nei periodi concordati. Se un’impresa subisce una flessione del fatturato, resterà comunque tassata sul reddito concordato (più alto), ma eviterà contestazioni sul minor reddito dichiarato, beneficiando così di una protezione da accertamenti in situazioni di crisi temporanea.

Soggetti ammessi ed esclusioni

Il Concordato Preventivo Biennale non è uno strumento universale. Al contrario, la sua applicazione è limitata a una platea ben definita di contribuenti, in possesso di precisi requisiti soggettivi e oggettivi. La finalità è quella di rivolgersi a soggetti fiscalmente affidabili e strutturati, in grado di garantire una certa stabilità nel tempo, in linea con le logiche del concordato.

In particolare, possono aderire al CPB i contribuenti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo che:

  • applicano gli ISA (Indicatori Sintetici di Affidabilità fiscale);

  • non sono soggetti a cause di esclusione dalla determinazione del reddito con criteri ordinari (es. regimi forfettari, minimi, etc.);

  • sono in regola con gli obblighi dichiarativi e di versamento al momento dell’adesione;

  • non hanno debiti fiscali iscritti a ruolo superiori a 5.000 euro, salvo se oggetto di rateizzazione regolare.

Sono esclusi dal CPB:

  • i soggetti che applicano il regime forfettario (legge 190/2014);

  • i contribuenti che svolgono attività non soggette agli ISA (ad esempio alcune attività agricole, occasionali o marginali);

  • coloro che hanno subito condanne per reati tributari o che sono stati oggetto di procedimenti penali rilevanti in materia fiscale;

  • chi ha situazioni pendenti di liquidazione, fallimento o procedure concorsuali.

Inoltre, è fondamentale che l’attività del contribuente sia svolta in modo continuativo nel biennio, poiché l’interruzione (es. cessazione, cambio di regime, inattività) determina la decadenza automatica dal concordato. L’Agenzia delle Entrate potrà anche escludere i soggetti che, pur formalmente ammessi, presentino anomalie nei dati storici o incoerenze nei profili ISA rilevati.

La corretta verifica dei requisiti è quindi il primo passo fondamentale per decidere consapevolmente se aderire al CPB, evitando errori che potrebbero compromettere l’efficacia del beneficio e generare contestazioni future.

Guida pratica e operativa

L’adesione al Concordato Preventivo Biennale si concretizza attraverso la compilazione e la trasmissione del modello CPB 2025/2026, un documento strutturato che consente al contribuente di formalizzare l’accettazione della proposta di reddito e di valore della produzione netta IRAP per il biennio fiscale concordato. A seconda della modalità scelta (congiunta alla dichiarazione o autonoma), i passaggi operativi presentano alcune differenze, ma vi sono elementi comuni obbligatori.

Il modello CPB si compone di:

  • un frontespizio che riporta i dati identificativi del contribuente (codice fiscale, partita IVA, ecc.);

  • un quadro specifico dove inserire i redditi accettati (per il 2025 e il 2026) e il valore della produzione netta IRAP;

  • una dichiarazione di impegno alla coerenza tra quanto indicato nel modello CPB e quanto sarà successivamente dichiarato nei modelli Redditi e ISA;

  • la firma del contribuente o dell’intermediario abilitato.

Nel caso di invio in via autonoma, sarà sufficiente trasmettere il solo frontespizio del modello Redditi 2025 assieme al modello CPB, utilizzando i canali Entratel o Fisconline, esattamente come avviene per l’ordinaria dichiarazione annuale. Successivamente, entro il 31 ottobre 2025, si dovrà trasmettere la dichiarazione completa, prestando massima attenzione alla coerenza dei dati.

L’Agenzia delle Entrate ha aggiornato le specifiche tecniche e le istruzioni per la compilazione del modello, anche al fine di semplificare i controlli automatici e prevenire errori materiali. Particolare attenzione deve essere posta nella corretta indicazione degli ISA e del periodo d’imposta di riferimento (2024), che costituisce la base per la proposta concordata. Errori o incongruenze, come visto, possono determinare la decadenza automatica dal CPB.

Per i soggetti che si avvalgono di un intermediario (commercialista, CAF, ecc.), sarà questo a occuparsi della trasmissione, ma la responsabilità dei dati rimane in capo al contribuente. È dunque essenziale lavorare in sinergia per garantire un invio corretto, puntuale e coerente con i dati dichiarativi ufficiali.

Criticità e errori da evitare

L’adesione al CPB richiede precisione, coerenza e rispetto delle scadenze. Tuttavia, la natura tecnica del procedimento può portare a errori comuni, soprattutto nei casi in cui il contribuente affronta autonomamente la procedura senza un supporto professionale. Questi errori, apparentemente formali, possono comportare gravi conseguenze, tra cui la perdita dell’accordo e l’applicazione di imposte, sanzioni e interessi ordinari.

Le criticità più frequenti sono:

  1. Mancanza di coerenza tra modelli: come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, i dati indicati nel modello CPB devono coincidere perfettamente con quelli riportati nei modelli Redditi e ISA. Differenze nei valori, anche minime, possono essere interpretate come tentativo di alterazione del quadro dichiarativo.

  2. Invio fuori termine: aderire oltre la data limite del 31 luglio, o trasmettere la dichiarazione Redditi successiva oltre il 31 ottobre, significa perdere il diritto al CPB. In assenza di proroghe formali (come quella ipotizzata al 30 settembre), è bene non rischiare.

  3. Utilizzo errato del canale telematico: in particolare per l’adesione autonoma, è fondamentale utilizzare correttamente il solo frontespizio del modello Redditi, non l’intero modello, altrimenti l’Agenzia potrebbe considerare l’adesione come non valida.

  4. Dati ISA incoerenti o errati: gli ISA sono la base su cui si costruisce la proposta CPB. Se i dati dichiarati sono poco affidabili o manipolati, si può incorrere in un rifiuto della proposta o in una successiva decadenza.

  5. Omissioni o errori nella firma del modello CPB: la mancanza della firma digitale o di un intermediario autorizzato rende la trasmissione giuridicamente inefficace, anche se corretta nei dati.

  6. Omesso versamento di imposte dovute: non basta accettare la proposta. È indispensabile versare correttamente e puntualmente tutte le imposte risultanti dai redditi concordati. In caso contrario, la decadenza è automatica.

  7. Modifica del regime fiscale: chi aderisce al CPB deve mantenere la continuità dell’attività e del regime contabile. Il passaggio a un regime forfettario, la cessazione o un cambio radicale dell’attività fanno decadere i benefici.

In sintesi, aderire al CPB non è complicato, ma nemmeno banale: è necessario un approccio metodico e attento, soprattutto se si vuole ottenere stabilità fiscale senza correre rischi. Affidarsi a un professionista esperto in materia tributaria può fare la differenza tra un’adesione efficace e un errore costoso.

Comunicazione di revoca

Oltre all’adesione, il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 24 aprile 2025 prevede anche la possibilità di esercitare il diritto di revoca del Concordato Preventivo Biennale (CPB) per i periodi d’imposta 2025 e 2026. Tale facoltà deve essere esercitata entro il medesimo periodo previsto per l’adesione: dal 31 luglio al 30 settembre 2025. È importante sottolineare che la comunicazione di revoca può essere effettuata esclusivamente in via autonoma, e non contestualmente alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

La trasmissione avviene utilizzando la medesima casella e modalità previste per l’adesione, ma indicando il codice “2 – Revoca” nel campo dedicato. In questo caso, il frontespizio del modello Redditi 2025 deve contenere unicamente le seguenti informazioni:

  • Dati anagrafici del contribuente;

  • Dati del soggetto firmatario della comunicazione;

  • Informazioni relative all’intermediario incaricato della trasmissione telematica, se presente.

Tutti gli altri campi del modello Redditi, se compilati, sono inibiti o privi di efficacia giuridica: devono essere lasciati vuoti per non compromettere la validità della comunicazione.

Il modello CPB 2025/2026 da allegare alla comunicazione di revoca deve invece contenere solo:

  • il codice ISA del contribuente;

  • il codice attività economica;

  • la tipologia di reddito (1 = impresa, 2 = lavoro autonomo).

Queste informazioni devono riferirsi alla proposta di concordato a cui si era precedentemente aderito e che ora si intende revocare. La corretta indicazione di questi elementi consente all’Agenzia delle Entrate di riconoscere e annullare l’adesione precedentemente comunicata, riportando il contribuente nel regime ordinario di determinazione del reddito.

È fondamentale seguire scrupolosamente queste indicazioni tecniche per evitare che la revoca venga considerata inefficace o non ricevuta. La revoca, una volta trasmessa correttamente entro i termini, è definitiva e non può essere ritirata.

Conclusione

Il Concordato Preventivo Biennale (CPB) rappresenta uno strumento innovativo e strategico nella gestione del carico fiscale, offrendo certezza tributaria, stabilità finanziaria e minori rischi di contenzioso per due anni. L’introduzione della doppia modalità di adesione – congiunta alla dichiarazione o autonoma – estende la flessibilità operativa, ma impone anche una maggiore attenzione ai dettagli tecnici e procedurali.

Le scadenze differenziate, la necessità di coerenza tra modelli dichiarativi e dati concordati, e la possibilità di revoca (solo in via autonoma) rendono fondamentale un approccio professionale e ben pianificato. Errori di compilazione, trasmissione o mancata corrispondenza tra dati possono invalidare l’intera operazione, con ricadute economiche significative.

Per le imprese e i professionisti in possesso dei requisiti richiesti, il CPB può rappresentare una leva concreta di ottimizzazione fiscale, utile non solo a semplificare la gestione tributaria, ma anche a rafforzare il rapporto con l’amministrazione finanziaria in un’ottica di affidabilità e trasparenza. Tuttavia, per coglierne pienamente i benefici, è consigliabile affidarsi a consulenti esperti, capaci di guidare il contribuente attraverso le molteplici fasi del processo, dalla valutazione iniziale alla corretta trasmissione e gestione del biennio.

In un contesto fiscale sempre più orientato alla compliance e alla digitalizzazione, il CPB si presenta come una scelta strategica e volontaria, da valutare con consapevolezza e visione di lungo periodo.

Regime Forfettario 2025: guida completa con requisiti, vantaggi, esempi e novità

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Il regime forfettario 2025 è una delle soluzioni fiscali più interessanti per professionisti, freelance e titolari di partita IVA individuale. Grazie a una tassazione agevolata e a numerosi vantaggi amministrativi, rappresenta lo strumento ideale per chi desidera semplificare la gestione contabile e ridurre il carico fiscale. Tuttavia, per poter accedere e rimanere nel regime, è necessario conoscere bene tutte le regole aggiornate, i limiti di reddito e le nuove cause di esclusione introdotte dalla Legge di Bilancio 2025.

In questa guida completa scoprirai come accedere al regime e quali requisiti rispettare, i vantaggi fiscali più rilevanti (tra cui l’imposta sostitutiva al 15% o al 5%), le soglie da non superare per evitare la decadenza, le principali novità normative in vigore dal 2025 e infine, esempi pratici per capire quanto si paga davvero.

Che tu stia valutando di aprire una nuova partita IVA o voglia solo verificare se puoi continuare a beneficiare di questo regime, qui troverai tutte le informazioni utili per risparmiare sulle tasse in modo legale e sicuro.

Requisiti di accesso

La Legge di Bilancio 2025 ha confermato e ridefinito alcuni requisiti fondamentali per accedere al regime forfettario, introducendo elementi che è importante tenere a mente per non incorrere in esclusioni o errori fiscali. Questo regime, ricordiamo, è riservato alle persone fisiche titolari di partita IVA che esercitano attività d’impresa, arti o professioni in forma individuale.

Per beneficiare dell’aliquota agevolata e della semplificazione contabile, nel 2025 bisogna rispettare contemporaneamente due soglie:

  1. Limite di ricavi o compensi:
    Nell’anno precedente, i ricavi o compensi percepiti – ragguagliati ad annonon devono superare gli 85.000 euro. Questo nuovo tetto, in vigore dal 2023, è stato confermato anche per il 2025. È importante ricordare che se si esercitano più attività con codici ATECO diversi, occorre sommare i ricavi di tutte le attività svolte.

  2. Limite di spese per personale e collaborazioni:
    Le spese sostenute per lavoro accessorio, dipendenti, collaboratori (compresi collaboratori a progetto), utili da partecipazione agli associati con apporto di solo lavoro e compensi a familiari non devono superare 20.000 euro lordi annuali.

Anche i nuovi titolari di partita IVA possono accedere al forfettario, purché nella dichiarazione iniziale ai fini IVA dichiarino di presumere di rientrare nei requisiti. Questo apre la strada anche alle startup individuali e ai liberi professionisti che iniziano l’attività nel corso del 2025, rendendo il regime forfettario un interessante incentivo all’avvio d’impresa.

Le cause di esclusione

Nonostante il regime forfettario sia pensato per agevolare la fiscalità delle partite IVA individuali, la Legge di Bilancio 2025 ha confermato ed esteso alcune importanti cause di esclusione, per evitare abusi e garantire che il regime sia realmente destinato a piccoli contribuenti.

Ecco chi non può accedere o perde il diritto a restare nel forfettario nel 2025:

  • Chi utilizza regimi speciali IVA (ad esempio agricoltura, editoria, agenzie di viaggio) o altri regimi forfettari di determinazione del reddito, incompatibili con il regime agevolato.

  • I non residenti, tranne coloro che risiedono in Stati UE o SEE con adeguato scambio di informazioni e producono almeno il 75% del reddito in Italia.

  • I soggetti che svolgono cessioni prevalenti di fabbricati, terreni edificabili o mezzi di trasporto nuovi, attività considerate non idonee per la semplificazione del regime.

  • Chi partecipa a società di persone, associazioni o imprese familiari, o controlla Srl o associazioni in partecipazione che svolgono attività simili alla propria.

  • Le persone fisiche che lavorano prevalentemente per ex datori di lavoro degli ultimi due anni, o soggetti ad essi collegati, con l’unica eccezione per chi ha terminato il praticantato obbligatorio.

  • Chi ha percepito nel 2024 redditi da lavoro dipendente o assimilato superiori a 35.000 euro (limite aumentato dai precedenti 30.000 euro). Fa eccezione chi ha cessato il lavoro dipendente nel 2024 senza ricevere pensione o nuovo impiego.

Queste regole, oltre a essere vincolanti, saranno oggetto di maggiori controlli automatici da parte dell’Agenzia delle Entrate, anche grazie all’incrocio dei dati reddituali.

Imposta sostitutiva e reddito imponibile

Uno dei principali motivi per cui tanti professionisti e piccoli imprenditori scelgono il regime forfettario è la sua tassazione semplificata e vantaggiosa, che sostituisce l’IRPEF ordinaria e le relative addizionali. Nel 2025, anche con le nuove regole, il sistema di tassazione resta invariato nei principi di base.

Il contribuente forfettario determina il reddito imponibile applicando un coefficiente di redditività ai ricavi o compensi percepiti. Questo coefficiente varia in base al codice ATECO dell’attività esercitata (ad esempio, 78% per i liberi professionisti, 40% per i commercianti). Non è possibile dedurre le spese effettive sostenute, poiché la redditività viene calcolata in modo forfettario.

Dal reddito così calcolato si possono però dedurre i contributi previdenziali obbligatori versati, anche quelli riferiti ai collaboratori dell’impresa familiare, purché a carico del titolare. Se non fiscalmente a carico, il titolare può comunque dedurli se non ha esercitato il diritto di rivalsa.

Una volta determinata la base imponibile, si applica un’imposta sostitutiva del 15%, che sostituisce:

  • IRPEF

  • Addizionale regionale

  • Addizionale comunale

Per i nuovi titolari di partita IVA può essere prevista un’aliquota ridotta al 5% per i primi 5 anni, se sussistono determinate condizioni (le tratteremo nel paragrafo successivo).

Attenzione: nelle imprese familiari, l’imposta è calcolata sul reddito al lordo dei compensi dovuti a coniuge e familiari, e comunque resta a carico del titolare.

Importante notare che il reddito forfettario concorre al calcolo per le soglie reddituali previste da altre norme (detrazioni, bonus sociali, ecc.), anche se tassato separatamente.

Vantaggi fiscali

Oltre alla tassazione ridotta con imposta sostitutiva del 15%, il regime forfettario nel 2025 presenta numerosi vantaggi di natura fiscale, economica e amministrativa. Questi benefici ne fanno una scelta particolarmente attraente per professionisti, freelance e microimprese che vogliono semplificare la gestione fiscale e ridurre il carico tributario.

Aliquota agevolata del 5% per i nuovi contribuenti

Chi avvia una nuova attività e possiede determinati requisiti (nessuna attività negli ultimi tre anni, non prosecuzione di attività familiare, nuova attività rispetto a quanto svolto in precedenza) può beneficiare di un’aliquota ridotta del 5% per i primi 5 anni di attività. Questo rappresenta un risparmio fiscale significativo nella fase iniziale del business.

Esenzione IVA e semplificazioni contabili

Uno dei capisaldi del regime forfettario è la totale esenzione dagli obblighi IVA. Ciò significa:

  • Niente addebito dell’IVA in fattura

  • Nessuna liquidazione o versamento dell’IVA

  • Esenzione dalla dichiarazione IVA

  • Nessun obbligo di registri IVA (acquisti, vendite, corrispettivi)

Inoltre, il contribuente forfettario non è soggetto a ritenute d’acconto, né come sostituto né come soggetto passivo. Questo semplifica la relazione con fornitori e clienti, riducendo le complessità contabili e amministrative.

Regole contabili estremamente semplificate

Non è obbligatoria la tenuta delle scritture contabili ordinarie, bilancio o libro giornale. L’unico adempimento è la fatturazione elettronica (obbligatoria per tutti dal 2024) e la conservazione delle fatture.

In sintesi, i vantaggi del regime forfettario non si limitano alla tassazione agevolata, ma includono una riduzione notevole del tempo e dei costi di gestione amministrativa, rendendolo uno strumento fiscale molto vantaggioso e perfettamente legale per ottimizzare il proprio reddito.

Esenzioni, limiti e obblighi

Uno degli elementi più vantaggiosi del regime forfettario 2025 è l’esonero generalizzato dagli adempimenti IVA, come chiarito dalla Circolare n. 32/E del 5 dicembre 2023 dell’Agenzia delle Entrate. Chi adotta il forfettario è infatti escluso sia dall’applicazione dell’imposta sulle vendite sia dalla detrazione dell’IVA sugli acquisti. In particolare:

Esclusioni previste:

  • Nessuna rivalsa IVA: il forfettario non addebita IVA al cliente né sui corrispettivi né sui compensi.

  • Nessuna detrazione IVA: non può detrarre l’imposta assolta su acquisti nazionali, intra-UE o importazioni.

Esonero dagli adempimenti IVA:

Il soggetto in regime forfettario non è tenuto a:

  • Effettuare liquidazioni periodiche o versamenti IVA, tranne in caso di acquisti dall’estero o operazioni in reverse charge.

  • Registrare le fatture emesse o ricevute, né i corrispettivi.

  • Tenere e conservare registri IVA e altra documentazione fiscale, salvo per fatture di acquisto e bollette doganali.

  • Presentare la dichiarazione IVA annuale.

Fatturazione elettronica: obbligo generalizzato dal 2024

L’obbligo di fatturazione elettronica, inizialmente escluso per i forfettari, è diventato totale a partire dal 1° gennaio 2024, a seguito dell’abrogazione dell’esonero (art. 18, commi 2 e 3, DL 36/2022, convertito in Legge 79/2022). In sintesi:

  • Dal 1° luglio 2022, era obbligatoria per chi superava 25.000 euro di compensi l’anno precedente.

  • Dal 1° gennaio 2024, tutti i forfettari sono tenuti all’emissione della fattura elettronica tramite SDI.

Questa modifica ha uniformato il sistema, aumentando la trasparenza fiscale e l’automazione nei controlli, ma ha anche introdotto un adempimento tecnico importante da non sottovalutare.

Cause di decadenza

Restare nel regime forfettario non è automatico: occorre monitorare costantemente il rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dalla normativa. La decadenza dal regime può avvenire sia per superamento dei limiti economici, sia per violazioni oggettive delle cause di esclusione, anche involontarie. Nel 2025, l’Agenzia delle Entrate intensificherà i controlli attraverso l’incrocio automatizzato dei dati fiscali e previdenziali.

Ecco le principali cause di decadenza:

  • Superamento della soglia di ricavi o compensi di 100.000 euro: in questo caso la decadenza è immediata e retroattiva all’anno in corso, con obbligo di fatturazione IVA sin dalla fattura successiva e passaggio immediato al regime ordinario.

  • Superamento della soglia di 85.000 euro ma non oltre i 100.000 euro: si decade dal regime dall’anno successivo.

  • Spese per lavoro dipendente, accessorio o collaborazioni superiori a 20.000 euro annui.

  • Perdita dei requisiti soggettivi: ad esempio, inizio di un rapporto di lavoro dipendente oltre i 35.000 euro di reddito, o acquisizione di partecipazioni in società.

Nel caso di decadenza, il soggetto passa automaticamente al regime ordinario a partire dall’anno successivo (salvo i casi di superamento dei 100.000 euro, dove il passaggio è immediato). Ciò comporta:

  • Addebito e versamento IVA

  • Tenuta della contabilità ordinaria o semplificata

  • Applicazione delle aliquote IRPEF progressive

  • Adempimenti dichiarativi e fiscali più complessi

È quindi fondamentale verificare con cadenza regolare il rispetto di tutti i parametri, per non incorrere in errori costosi o, peggio, in accertamenti retroattivi con sanzioni.

Consigli pratici e strategie fiscali

Il regime forfettario, se correttamente gestito, rappresenta nel 2025 una leva potente per ottimizzare il carico fiscale e semplificare la vita amministrativa del contribuente. Tuttavia, per ottenere il massimo da questo strumento, non basta accedervi: è necessario adottare un approccio strategico, basato su consapevolezza normativa, pianificazione e strumenti adeguati.

Pianificazione reddituale e controllo periodico

Monitora mensilmente ricavi e compensi per evitare il superamento del limite di 85.000 euro. Usa software di gestione o un semplice foglio Excel, ma non trascurare il controllo preventivo. Il superamento può far decadere dal regime, con obblighi IVA e IRPEF ordinari.

Ottimizzazione dei contributi previdenziali

Ricorda che i contributi INPS sono deducibili dal reddito imponibile: verifica con il tuo consulente se puoi ridurre l’imponibile attraverso versamenti volontari o ravvedimenti. Questo incide direttamente sulla base per il calcolo dell’imposta sostitutiva.

Strategia per la nuova attività: aliquota al 5%

Se hai appena aperto la partita IVA, verifica di possedere i requisiti per applicare l’aliquota ridotta al 5% per cinque anni. Questo vantaggio iniziale può rappresentare un risparmio fiscale enorme, utile per reinvestire nella crescita dell’attività.

Attenzione alle collaborazioni e ai vecchi datori di lavoro

Evita di lavorare in modo prevalente con ex datori di lavoro: l’Agenzia delle Entrate verifica questi rapporti per prevenire false partite IVA. Se necessario, diversifica i clienti o attendi due periodi d’imposta prima di fatturare agli ex datori.

Utilizza strumenti digitali adeguati

Fatturazione elettronica, archiviazione digitale e gestione semplificata della contabilità sono indispensabili. Investire in un buon gestionale o affidarsi a un commercialista esperto in forfettari fa risparmiare tempo e riduce il rischio di errori o sanzioni.

Accesso, permanenza e uscita dal Regime

Per poter accedere o permanere nel regime forfettario, è indispensabile rispettare in modo rigoroso tutte le condizioni previste dalla legge. La normativa prevede meccanismi ben precisi per stabilire quando si può entrare, restare o uscire dal regime agevolato. Non basta avere una partita IVA attiva: il rispetto dei limiti, soprattutto quelli legati ai ricavi e alle cause di esclusione, è fondamentale.

Quando si perde il regime

Se nel corso dell’anno si verifica anche solo una delle cause di esclusione (ad esempio, superamento dei 20.000 euro di spese per collaboratori, partecipazione in una Srl, o redditi da lavoro dipendente superiori a 35.000 euro), il regime forfettario cessa a partire dall’anno successivo.

C’è però un’eccezione molto importante:

Se si superano i 100.000 euro di ricavi o compensi, la perdita del regime forfettario è immediata.

In questo caso, il contribuente dovrà:

  • Applicare l’IVA a partire dalla fattura che determina il superamento;

  • Adeguarsi fin da subito al regime ordinario, con tutte le relative complicazioni contabili e fiscali;

  • Fare attenzione alla corretta gestione della transizione, per evitare sanzioni.

Tabella riepilogativa – Limiti di ricavi e applicazione del regime (verifica sui dati del 2024)

Questa tabella è un utile strumento per chi sta valutando se può rientrare nel forfettario nel 2025, basandosi sull’andamento dei ricavi 2024. È essenziale tenere d’occhio questi numeri e confrontarsi con il proprio commercialista per verificare l’effettiva posizione fiscale.

Esempi pratici

Per comprendere in modo chiaro e operativo il funzionamento del regime forfettario, è utile analizzare alcuni esempi pratici applicati a differenti profili professionali. I casi riportati di seguito evidenziano come si determina il reddito imponibile e quale impatto hanno i coefficienti di redditività, i contributi previdenziali e l’aliquota sostitutiva sull’imposizione fiscale complessiva.

Esempio 1: libero professionista (consulente marketing – ATECO 70.22.09)

  • Compensi percepiti nel 2024: 50.000 €

  • Coefficiente di redditività: 78%

  • Contributi INPS versati (Gestione Separata): 9.000 €

Calcolo:

  • Reddito imponibile lordo: 50.000 € × 78% = 39.000 €

  • Reddito imponibile netto: 39.000 € – 9.000 € = 30.000 €

  • Imposta sostitutiva (15%): 30.000 € × 15% = 4.500 €

Esempio 2: commerciante al dettaglio (negozio abbigliamento – ATECO 47.71.10)

  • Ricavi percepiti: 70.000 €

  • Coefficiente di redditività: 40%

  • Contributi INPS versati (Commercianti): 4.200 €

Calcolo:

  • Reddito imponibile lordo: 70.000 € × 40% = 28.000 €

  • Reddito imponibile netto: 28.000 € – 4.200 € = 23.800 €

  • Imposta sostitutiva (15%): 23.800 € × 15% = 3.570 €

Esempio 3: nuovo professionista (avvocato al primo anno – ATECO 69.10.10)

  • Compensi: 30.000 €

  • Coefficiente di redditività: 78%

  • Contributi versati (Cassa Forense): 3.000 €

  • Aliquota agevolata 5% (perché è il primo anno)

Calcolo:

  • Reddito imponibile lordo: 30.000 € × 78% = 23.400 €

  • Reddito imponibile netto: 23.400 € – 3.000 € = 20.400 €

  • Imposta sostitutiva (5%): 20.400 € × 5% = 1.020 €

Questi esempi dimostrano come, anche con fatturati elevati, il risparmio fiscale nel regime forfettario può essere molto significativo, soprattutto se confrontato con l’IRPEF a scaglioni e le addizionali del regime ordinario. Inoltre, la deducibilità dei contributi rende il carico fiscale ancora più leggero rispetto a quanto si possa pensare inizialmente.

Considerazioni finali

Il regime forfettario 2025 si conferma una delle forme più interessanti di tassazione agevolata per professionisti e piccoli imprenditori. L’insieme di vantaggi fiscali concreti – come l’imposta sostitutiva ridotta, l’esonero IVA, e la semplificazione degli adempimenti – lo rende uno strumento prezioso per chi desidera ottimizzare i costi fiscali senza rinunciare alla legalità e alla trasparenza.

Tuttavia, le regole stringenti sull’accesso, sulla permanenza e sulle cause di esclusione impongono una gestione consapevole e attenta della propria attività. Basta infatti una piccola distrazione – come il superamento delle soglie o una collaborazione mal pianificata – per perdere i benefici e trovarsi improvvisamente soggetti al regime ordinario.

Per questo, oggi più che mai, è fondamentale pianificare con precisione i propri ricavi e le proprie spese, affidarsi a strumenti digitali e consulenze professionali e tenersi aggiornati sulle novità normative e interpretative, come quelle introdotte dalla Legge di Bilancio 2025.

Chi saprà gestire correttamente il proprio regime forfettario potrà non solo risparmiare sulle tasse, ma anche costruire basi solide per una crescita professionale sostenibile, semplificata e fiscalmente vantaggiosa.

Detrazione spese sportive ragazzi 2025: regole, limiti e istruzioni per il 730

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Nel 2025, le famiglie italiane potranno continuare a beneficiare di un’importante agevolazione fiscale: la detrazione IRPEF per le spese sportive sostenute per i figli. Un’opportunità non solo per promuovere uno stile di vita sano tra i più giovani, ma anche per alleggerire il peso economico delle attività sportive. Tra palestre, corsi di nuoto, karate, calcio e ginnastica, le spese annuali possono incidere notevolmente sul bilancio familiare. Fortunatamente, la normativa fiscale consente di recuperare parte di questi costi attraverso una detrazione del 19% su un massimo di 210 euro per figlio.

Ma attenzione: non tutte le spese sono detraibili, e le regole per il 2025 presentano alcune novità e chiarimenti fondamentali che è importante conoscere per evitare errori nella dichiarazione dei redditi.

In questo articolo approfondiremo quali spese sono ammesse, come documentarle correttamente, i limiti previsti per età e importi, e soprattutto vedremo quali accorgimenti adottare per non perdere questa opportunità di risparmio fiscale.

Spese sportive ragazzi 2025

Nel 2025, per le spese sostenute nel corso del 2024, sarà possibile beneficiare di una detrazione IRPEF del 19% nei modelli 730 o Redditi PF, relativa ai costi sostenuti per l’attività sportiva praticata da ragazzi di età compresa tra i 5 e i 18 anni. La detrazione riguarda le spese per corsi, abbonamenti e iscrizioni svolti in associazioni sportive dilettantistiche, palestre, piscine e impianti sportivi, purché regolarmente riconosciuti.

Il limite massimo di spesa detraibile è pari a 210 euro per ciascun figlio, il che significa un risparmio fiscale potenziale massimo di 39,90 euro (ossia il 19% di 210 euro) per ragazzo. L’importo può essere ripartito tra entrambi i genitori, a condizione che abbiano entrambi sostenuto parte della spesa e che la quota di ciascuno sia chiaramente indicata nei documenti fiscali.

La normativa prevede inoltre un meccanismo di progressiva riduzione della detrazione in base al reddito complessivo familiare. La detrazione spetta per intero a chi ha un reddito fino a 120.000 euro annui. Oltre questa soglia, l’agevolazione si riduce gradualmente fino a azzerarsi al raggiungimento dei 240.000 euro di reddito complessivo. È importante ricordare che nel calcolo del reddito si includono anche i redditi soggetti a cedolare secca, come quelli derivanti da locazione di immobili abitativi.

Questo significa che chi ha redditi elevati dovrà valutare con attenzione la convenienza della detrazione, mentre per la maggior parte delle famiglie italiane rappresenta ancora un’occasione concreta per risparmiare legalmente sulle tasse sostenendo lo sport giovanile.

Strutture idonee alla detrazione

Un aspetto fondamentale per accedere alla detrazione del 19% è che l’attività sportiva sia svolta in una struttura riconosciuta e conforme ai requisiti di legge. Infatti, non tutte le palestre o associazioni che offrono corsi sportivi danno diritto alla detrazione.

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che possono essere portate in detrazione solo le spese sostenute presso:

  • Associazioni e società sportive dilettantistiche, come definite dall’art. 90, commi 17 e seguenti della Legge 27 dicembre 2002, n. 289, che riportino nella denominazione l’esplicita finalità sportiva e la natura dilettantistica;

  • Palestre, piscine e impianti sportivi (anche polisportivi), purché destinati all’esercizio di attività sportiva non professionistica, agonistica e non agonistica;

  • Impianti gestiti da soggetti giuridici anche diversi dalle ASD/SSD, come enti pubblici, società o imprese individuali.

La normativa di riferimento è il Decreto Ministeriale del 28 marzo 2007, che ha fissato le modalità attuative della detrazione, specificando che le strutture devono essere comunque organizzate e destinate alla pratica sportiva dilettantistica.

Attenzione però agli esclusi: non si possono detrarre le spese sostenute presso enti o associazioni che non hanno finalità sportive dilettantistiche, né sono riconosciuti dal CONI o dalle Federazioni di riferimento.

Escluse anche:

  • Le associazioni culturali che organizzano corsi motori non in palestre certificate;

  • Le società di capitali regolate dalla legge sullo sport professionistico (Legge 91/1981).

Dunque, per non perdere la detrazione, è fondamentale verificare lo status giuridico della struttura e conservarne documentazione conforme.

Documentazione

Per usufruire in modo corretto della detrazione IRPEF del 19% sulle spese sportive dei figli, è indispensabile conservare una documentazione fiscale idonea, da esibire in caso di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate. Le spese, infatti, vanno tracciate e documentate in modo preciso, pena la perdita del beneficio fiscale.

La ricevuta di pagamento o fattura rilasciata dalla struttura deve contenere i seguenti elementi essenziali:

  • Denominazione della struttura (con riferimento al tipo di ente: ASD, SSD, palestra, impianto sportivo ecc.);

  • Codice fiscale del soggetto che ha emesso il documento;

  • Cognome e nome del ragazzo che ha svolto l’attività sportiva;

  • Importo pagato e data del versamento;

  • Indicazione del tipo di attività sportiva praticata;

  • Dicitura che conferma che la struttura è destinata alla pratica sportiva dilettantistica, in linea con quanto previsto dalla normativa.

Inoltre, è obbligatorio che il pagamento della spesa avvenga con strumenti tracciabili (bancomat, carta di credito, bonifico, ecc.). I pagamenti in contanti non danno diritto alla detrazione, come stabilito a partire dal 2020 per tutte le detrazioni fiscali “ordinarie”.

Consiglio pratico: quando si iscrive il proprio figlio a un corso sportivo, è buona norma richiedere esplicitamente la ricevuta completa di tutti gli elementi richiesti dalla normativa, per evitare problemi futuri. In caso di dubbi, è utile chiedere alla struttura di fornire un modello conforme alle indicazioni dell’Agenzia delle Entrate.

Quando spetta la detrazione

Uno degli aspetti fondamentali per accedere alla detrazione fiscale del 19% sulle spese sportive è il requisito anagrafico del ragazzo beneficiario, che deve avere un’età compresa tra i 5 e i 18 anni. Tuttavia, questo limite non deve essere inteso in modo rigido giorno per giorno, ma viene valutato sull’intero periodo d’imposta (cioè l’intero anno fiscale).

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la detrazione spetta anche se l’età compresa tra i 5 e i 18 anni si verifica solo per una parte dell’anno. In altre parole, è possibile detrarre le spese sportive sostenute:

  • Durante l’anno in cui il bambino compie 5 anni, anche se la spesa è sostenuta prima del compleanno;

  • Durante l’anno in cui il ragazzo compie 18 anni, anche se l’importo è pagato dopo il compimento della maggiore età.

Questo significa, ad esempio, che per un bambino nato nel dicembre 2019, le spese sportive sostenute già da gennaio 2024 possono essere interamente detratte nel 730/2025, anche se il compimento del quinto anno avviene solo alla fine dell’anno. Lo stesso vale per un ragazzo che compie 18 anni a febbraio 2024: anche le spese sostenute a novembre rientrano tra quelle ammesse.

Questo approccio interpretativo consente ai genitori di usufruire pienamente del beneficio fiscale per tutto l’anno in cui ricorre l’età minima o massima prevista, evitando complicazioni burocratiche e favorendo una maggiore inclusività della misura.

Limite massimo di spesa

Nel 2025, la detrazione per le spese sportive sostenute nel 2024 potrà essere applicata su un massimale di 210 euro per ciascun ragazzo, ma con alcune precisazioni fondamentali. Questo limite rappresenta la soglia massima su cui calcolare la detrazione del 19%, e non l’importo effettivamente recuperabile. Il beneficio massimo ottenibile, quindi, è pari a 39,90 euro per ogni figlio.

Il limite dei 210 euro si applica in due diverse casistiche:

  • Per ciascun figlio fiscalmente a carico, anche se la spesa è stata sostenuta da entrambi i genitori: in questo caso il tetto complessivo è comunque 210 euro per figlio e può essere ripartito in base alle quote pagate;

  • Per il contribuente stesso, se minorenne emancipato o percettore di redditi non soggetti a usufrutto legale da parte dei genitori. Questo vale, ad esempio, nei rari casi in cui un minore abbia redditi propri o gestisca autonomamente determinate entrate.

Nel calcolo del limite devono essere incluse anche le spese sportive comunicate dal datore di lavoro tramite la Certificazione Unica (CU 2025), nei punti da 341 a 352 con codice 16. In altre parole, eventuali rimborsi o importi erogati nell’ambito di fringe benefit e welfare aziendale per attività sportive dei figli fanno cumulo con il limite di 210 euro, riducendo di fatto lo spazio disponibile per ulteriori detrazioni da parte dei genitori.

È quindi importante che il contribuente verifichi se e quante spese sportive siano già state indicate nella CU, così da evitare il rischio di superare i limiti e incorrere in errori nella dichiarazione.

Come indicare le spese sportive

Una volta verificati i requisiti e raccolta la documentazione necessaria, il passo successivo per ottenere il beneficio fiscale è compilare correttamente la dichiarazione dei redditi. La spesa sostenuta per l’attività sportiva dei figli deve essere riportata nei modelli fiscali 2025 relativi all’anno d’imposta 2024, nel rispetto del limite di 210 euro per ciascun ragazzo.

A seconda del modello utilizzato, la detrazione va indicata in:

  • Righi E8-E10 del modello 730/2025, utilizzando il codice 16;

  • Righi RP8-RP13 del modello Redditi Persone Fisiche 2025, sempre con codice 16.

Se il contribuente ha sostenuto spese per più figli, è necessario compilare un rigo distinto per ciascun ragazzo, indicando ogni volta il codice 16 e riportando l’importo relativo solo a quel figlio. In questo modo, si permette all’Agenzia delle Entrate di verificare facilmente il rispetto del limite individuale di 210 euro per ragazzo e l’eventuale ripartizione tra i genitori.

Questa modalità di compilazione è fondamentale per evitare errori che potrebbero comportare il disconoscimento della detrazione o l’attivazione di controlli fiscali. Inoltre, nel caso in cui la spesa sia stata rimborsata dal datore di lavoro e risulti nella Certificazione Unica (CU), è necessario detrarre tale importo dal valore riportato nei righi del 730 o Redditi PF.

Un’attenzione particolare in fase di dichiarazione consente di massimizzare il risparmio fiscale senza rischiare sanzioni, garantendo il corretto utilizzo del beneficio previsto dalla legge.

Esempi pratici

Per comprendere meglio il funzionamento della detrazione IRPEF del 19% sulle spese sportive dei ragazzi, è utile vedere alcuni esempi pratici, considerando situazioni comuni a molte famiglie italiane. Questo aiuta a valutare correttamente l’effettivo risparmio fiscale e a evitare errori in fase di dichiarazione.

Esempio 1: Spesa per un solo figlio

Mario ha un figlio di 10 anni iscritto a un corso di nuoto. Nel 2024 ha sostenuto una spesa totale di 180 euro, pagata con bonifico. Non ha superato i 120.000 euro di reddito annuo.

In questo caso, può detrarre il 19% di 180 euro, pari a 34,20 euro.

Esempio 2: Spesa per due figli e ripartizione tra genitori

Luca e Chiara hanno due figli, di 8 e 15 anni, che praticano rispettivamente ginnastica artistica e calcio. Hanno speso 210 euro per ciascun figlio, per un totale di 420 euro, divisi equamente tra i due genitori (210 euro ciascuno).

Ognuno di loro può detrarre il 19% della quota pagata, ossia 39,90 euro ciascuno. Il totale del beneficio fiscale per la famiglia è di 79,80 euro.

Esempio 3: Figlio che compie 5 o 18 anni nel 2024

Lucia ha un figlio che compirà 5 anni a dicembre 2024. Durante l’anno ha pagato 200 euro per corsi di ginnastica.

Anche se il bambino compie 5 anni a fine anno, la detrazione spetta per tutto il periodo d’imposta, quindi può detrarre il 19% di 200 euro, pari a 38 euro.

Esempio 4: CU con importo già incluso

Francesco ha un reddito da lavoro dipendente e ha ricevuto dalla sua azienda un rimborso welfare di 150 euro per le attività sportive dei figli, indicato nella CU (codice 16). Ha comunque sostenuto 210 euro per il secondo figlio.

Dovrà sottrarre i 150 euro rimborsati e potrà indicare solo 60 euro come spesa detraibile. La detrazione sarà quindi 11,40 euro (19% di 60 euro).

Questi esempi mostrano come, pur trattandosi di un’agevolazione modesta in valore assoluto, la corretta gestione e documentazione delle spese sportive permetta comunque un recupero fiscale utile e legittimo.

Altri bonus per le famiglie

La detrazione del 19% sulle spese sportive dei figli non è l’unico strumento a disposizione delle famiglie italiane per alleggerire il carico fiscale legato alla crescita dei figli. Esistono infatti altre agevolazioni cumulative, a patto che si rispettino i requisiti specifici di ciascuna misura e si eviti il doppio utilizzo della stessa spesa.

Bonus figli a carico

Il primo beneficio da tenere in considerazione è la detrazione per figli a carico, prevista dall’art. 12 del TUIR. Questa detrazione si applica indipendentemente dalle spese sportive e si calcola in base al reddito complessivo e al numero dei figli. È importante ricordare che le spese sportive sono un’agevolazione aggiuntiva, non sostitutiva.

Assegno unico e universale

Dal 2022, l’assegno unico universale ha sostituito molte delle precedenti detrazioni e bonus legati ai figli. Tuttavia, non ha alcuna incidenza sulla detrazione delle spese sportive, che resta pienamente valida anche per chi percepisce l’assegno unico. I due benefici possono coesistere senza limitazioni, poiché si riferiscono a ambiti diversi (trasferimenti diretti vs detrazioni fiscali).

Altre spese detraibili per i figli

Oltre a quelle per lo sport, i genitori possono detrarre anche:

  • Spese scolastiche (fino a 800 euro annui per figlio);

  • Spese mediche e sanitarie (per visite, farmaci, dispositivi);

  • Spese per abbonamenti ai mezzi pubblici;

  • Spese universitarie (anche per corsi di laurea all’estero).

In tutti questi casi, è fondamentale non duplicare l’indicazione della stessa spesa in più sezioni della dichiarazione e conservare le ricevute separate e complete.

In sintesi, le spese sportive rappresentano una delle tante voci di spesa detraibili collegate ai figli. Un approccio integrato e consapevole alla dichiarazione dei redditi permette di massimizzare i benefici fiscali complessivi e ottenere un risparmio concreto e legalmente valido.

Conclusioni

La detrazione del 19% per le spese sportive sostenute per i ragazzi tra i 5 e i 18 anni si conferma anche per l’anno d’imposta 2024 come un’agevolazione fiscale utile, seppur contenuta nei limiti di spesa. Pur trattandosi di un beneficio economicamente limitato, è importante conoscerne le regole, per evitare errori e poter usufruire correttamente di quanto previsto dalla normativa.

L’Agenzia delle Entrate ha fornito indicazioni puntuali su quali strutture sono ammesse, quali documenti è necessario conservare, quali modalità di pagamento sono accettate e dove inserire correttamente l’importo nella dichiarazione dei redditi. Inoltre, la possibilità di detrarre la spesa anche nell’anno in cui il ragazzo compie 5 o 18 anni amplia l’efficacia della misura.

Rispettare le condizioni richieste e prestare attenzione a ogni passaggio – dalla documentazione alla compilazione dei modelli fiscali – permette di utilizzare in modo corretto questa opportunità prevista dalla legge, contribuendo a sostenere l’attività sportiva giovanile anche da un punto di vista fiscale.

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