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Affitti brevi 2026: nuove tasse al 26% nella Legge di Bilancio

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Il 2026 si preannuncia come un anno di svolta per chi affitta immobili a breve termine in Italia. Il Disegno di Legge di Bilancio, approvato in bozza dal Consiglio dei Ministri il 17 ottobre 2025, introduce importanti modifiche fiscali per i cosiddetti “affitti brevi”, un settore in costante crescita e spesso oggetto di dibattiti, controlli e nuove regolamentazioni.

Al centro delle novità c’è la cedolare secca, regime fiscale agevolato finora molto utilizzato da chi affitta case o appartamenti per periodi inferiori ai 30 giorni. Ma ora il governo punta a ridefinirne i confini e l’aliquota per limitare l’utilizzo abusivo di questo strumento e favorire una maggiore equità fiscale.

Chi opera nel settore dell’extra-alberghiero si troverà a dover affrontare nuove regole, nuove soglie e più controlli. Un tema caldo, che tocca non solo la fiscalità ma anche le politiche abitative delle grandi città, i rapporti con le piattaforme come Airbnb e Booking, e la concorrenza con il settore alberghiero tradizionale.

Ma cosa prevede davvero il nuovo testo? Quali saranno le ripercussioni fiscali per chi affitta una o più case per periodi brevi? E soprattutto: come è possibile risparmiare sulle tasse in modo legale anche nel nuovo scenario normativo del 2026?

Scopriamolo in dettaglio, analizzando la norma in bozza, le prospettive per l’approvazione finale e le strategie per adattarsi dei cambiamenti in arrivo.

Tassazione affitti brevi 2026

Il Disegno di Legge di Bilancio 2026, attualmente in fase di approvazione parlamentare, introduce un cambiamento importante per la tassazione degli affitti brevi: l’aliquota della cedolare secca passa dal 21% al 26%. Si tratta di un aumento significativo, che impatterà sia i proprietari privati che affittano immobili per periodi inferiori ai 30 giorni, sia gli intermediari immobiliari e le piattaforme digitali come Airbnb, Booking e simili.

Le modifiche sono contenute nell’articolo 7 del DDL, che interviene sull’articolo 4 del DL 50/2017. Oltre all’innalzamento dell’aliquota, viene anche abrogata la riduzione al 21% prevista nel 2023 per un solo immobile locato con finalità turistiche. Questo vuol dire che, dal 2026, la tassazione sarà uniforme al 26% su tutti gli affitti brevi, senza distinzione tra prima e successive unità.

Ulteriore novità riguarda la ritenuta d’acconto applicata dagli intermediari che gestiscono i pagamenti: anch’essa sarà pari al 26%, allineandosi alla nuova aliquota della cedolare. Questa ritenuta sarà versata al Fisco a titolo di acconto, salvo che il locatore opti esplicitamente per la cedolare secca.

Resta fermo che la cedolare secca è un regime facoltativo, sostitutivo di Irpef e relative addizionali per i redditi da locazione, e consente anche l’esenzione da imposta di registro e bollo per i contratti. Tuttavia, scegliere questo regime significa rinunciare all’aggiornamento Istat del canone, anche se previsto nel contratto.

Questo pacchetto di modifiche mira chiaramente a ridurre l’attrattività fiscale degli affitti brevi e a contrastare l’uso distorto di un regime pensato inizialmente per i piccoli locatori.

Affitti brevi e impatto fiscale

L’aumento della cedolare secca al 26% rappresenta un cambio di scenario che avrà conseguenze concrete sulla redditività degli affitti brevi, soprattutto per i piccoli proprietari che fino ad oggi hanno potuto beneficiare di un’imposizione agevolata. Un esempio pratico rende evidente l’effetto della riforma: su un affitto breve da 10.000 euro lordi l’anno, la tassazione passerà da 2.100 euro (21%) a 2.600 euro, con un aggravio di 500 euro che può incidere sensibilmente sul margine netto.

Chi gestisce più immobili, in particolare nelle città turistiche, dovrà rivedere le proprie strategie di pricing o valutare il passaggio a regimi diversi, come la tassazione ordinaria IRPEF o il regime d’impresa. Quest’ultimo, peraltro, comporta obblighi contabili e fiscali ben più complessi, oltre al pagamento dell’IVA e alla tenuta della contabilità.

Anche le piattaforme online e gli intermediari dovranno adattarsi, modificando le ritenute applicate sui compensi e aggiornando i sistemi informatici per allinearsi al nuovo quadro normativo. La nuova aliquota del 26% a titolo di acconto rischia di generare crediti d’imposta in eccesso nei casi in cui il reddito complessivo del contribuente sia inferiore, creando squilibri nei flussi di cassa.

Per chi affitta occasionalmente una seconda casa o un immobile ereditato, la nuova tassazione potrebbe rendere meno conveniente la locazione breve rispetto ad altre forme di utilizzo, come l’affitto a medio termine o la vendita.

Senza una corretta pianificazione fiscale, molti rischiano di incorrere in sanzioni, maggiori imposte e perdita di benefici precedentemente acquisiti. Diventa quindi essenziale, per chi opera in questo settore, farsi assistere da un professionista per valutare il miglior regime fiscale da adottare in base al proprio caso specifico.

Cedolare secca o regime ordinario

Quando si affitta un immobile per brevi periodi, come nel caso degli affitti turistici inferiori ai 30 giorni, è possibile scegliere tra due modalità di tassazione: il regime della cedolare secca oppure il regime ordinario IRPEF. La scelta non è banale e può avere un impatto significativo sul guadagno netto dell’attività.

La cedolare secca è un regime facoltativo e consiste nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF, delle relative addizionali (comunale e regionale) e delle imposte di registro e di bollo sui contratti di locazione. Fino al 2025, l’aliquota era del 21%, ma con la Legge di Bilancio 2026 salirà al 26%. Questa modalità è più semplice, non richiede contabilità, ed è spesso scelta da chi affitta saltuariamente o non supera determinati limiti di reddito.

Il regime ordinario IRPEF, invece, prevede la tassazione secondo le aliquote progressive (23%, 25%, 35%, 43%) e permette di dedurre le spese sostenute, come quelle per manutenzione, arredamento, provvigioni all’agenzia e spese condominiali. È più conveniente per chi ha molti costi da scaricare o un reddito imponibile basso.

In sintesi:

  • La cedolare secca conviene per chi ha pochi costi da dedurre, affitti limitati e vuole semplicità.

  • Il regime ordinario IRPEF conviene se si hanno molte spese documentate, si gestiscono più immobili o si svolge attività in modo continuativo.

Con l’aumento dell’aliquota al 26%, sarà fondamentale rivalutare caso per caso quale regime sia più vantaggioso: una scelta sbagliata potrebbe ridurre la redditività dell’investimento.

Simulazioni pratiche

Per comprendere a fondo l’impatto della nuova tassazione al 26% sugli affitti brevi introdotta dalla Legge di Bilancio 2026, è utile osservare alcuni casi concreti. Le simulazioni qui sotto mostrano la differenza tra la tassazione al 21% (in vigore fino al 2025) e quella al 26% prevista per il 2026.

Caso 1: Proprietario con 1 appartamento affittato saltuariamente

  • Introiti annui: €10.000

  • Cedolare secca al 21% (fino al 2025): €2.100 di imposte

  • Cedolare secca al 26% (dal 2026): €2.600

  • Differenza: +€500 (pari al +23,8%)

Caso 2: Proprietario con 2 immobili affittati in località turistica

  • Introiti annui totali: €30.000

  • Imposta al 21%: €6.300

  • Imposta al 26%: €7.800

  • Differenza: +€1.500 (pari al +23,8%)

Caso 3: Proprietario con reddito basso (sotto €15.000 annui)

In questo caso, se si optasse per il regime ordinario IRPEF, le aliquote applicabili sarebbero al 23%. Tuttavia, con le detrazioni e la no tax area, il contribuente potrebbe pagare meno rispetto al 26% della cedolare secca.
Risultato: il regime ordinario potrebbe diventare più conveniente.

Caso 4: Gestione tramite piattaforma (Airbnb)

  • L’intermediario applicherà la ritenuta del 26% sul corrispettivo incassato

  • Se il proprietario non ha optato per la cedolare secca, la ritenuta sarà considerata acconto IRPEF, con possibile saldo o conguaglio a fine anno

  • In caso di redditi bassi, si genera credito IRPEF che potrà essere usato l’anno successivo o rimborsato

Come si evince dalle simulazioni, l’aumento dell’aliquota pesa soprattutto su chi affitta occasionale ma con buoni introiti.

Per molti sarà il momento di valutare:

  • La convenienza del regime ordinario

  • La possibilità di trasformare l’attività in impresa vera e propria

  • O la riduzione del numero di immobili destinati all’affitto breve

Strategie legali

Con l’entrata in vigore della nuova aliquota del 26% sulla cedolare secca per gli affitti brevi, molti proprietari e host si chiedono come difendere la redditività dell’attività. La buona notizia è che esistono diverse strategie perfettamente legali per ottimizzare il carico fiscale, senza rischiare sanzioni o errori.

Ecco alcune delle principali:

1. Valutare il regime ordinario IRPEF se si hanno spese da dedurre

Se l’attività comporta costi rilevanti (spese di ristrutturazione, arredo, utenze, provvigioni ad agenzie o piattaforme, manutenzione, spese condominiali ecc.), il regime ordinario IRPEF potrebbe risultare più vantaggioso della cedolare secca, soprattutto con redditi medio-bassi.

2. Affitto in forma imprenditoriale: aprire partita IVA per dedurre tutto

Chi affitta più immobili in modo organizzato e continuativo dovrebbe valutare l’apertura di partita IVA con regime semplificato o forfettario. In questo modo, potrà dedurre tutte le spese legate all’attività e beneficiare anche di un regime fiscale agevolato (15% o 5% per le startup, nel forfettario).

3. Affidarsi a un property manager con ritenuta d’acconto

Delegare la gestione a un intermediario (come un property manager) consente di applicare la ritenuta d’acconto e ridurre il rischio di sanzioni per errori fiscali. Inoltre, l’intermediario può occuparsi della contabilità e della corretta dichiarazione dei redditi.

4. Registrare sempre il contratto e conservare la documentazione

Anche se gli affitti brevi non richiedono registrazione obbligatoria del contratto, è sempre consigliabile produrre un contratto scritto, conservarlo e tener traccia dei pagamenti, in modo da poter giustificare il reddito in caso di controlli dell’Agenzia delle Entrate.

5. Attenzione alla soglia dei 4 appartamenti

Ricorda che, secondo le normative attuali (art. 4 DL 50/2017), se si affittano più di 4 appartamenti per brevi periodi, si è considerati locatori imprenditoriali. In questo caso è obbligatoria la partita IVA e l’applicazione del regime d’impresa.

In definitiva, per ridurre le tasse in modo legale nel 2026 è fondamentale:

  • Conoscere bene la propria situazione reddituale

  • Analizzare costi e ricavi

  • Farsi seguire da un commercialista esperto in fiscalità immobiliare e locazioni brevi

Affitti brevi 2026

Con l’inasprimento fiscale previsto nella Legge di Bilancio 2026, aumentano anche i controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate e il rischio di sanzioni per chi gestisce affitti brevi in modo non conforme. L’obiettivo del Governo è duplice: contrastare l’evasione fiscale e regolare un mercato sempre più esteso, che spesso sfugge ai radar del Fisco.

Piattaforme obbligate a comunicare dati e trattenere imposte

Dal 2024, con l’introduzione del Registro nazionale delle locazioni brevi e la piena applicazione delle norme europee (DAC7), le piattaforme digitali come Airbnb, Booking, Vrbo e simili sono obbligate a comunicare al Fisco italiano:

  • l’identità del locatore

  • l’ubicazione dell’immobile

  • il numero di notti prenotate

  • il corrispettivo incassato

Nel 2026, con la nuova aliquota al 26%, queste piattaforme saranno inoltre tenute ad applicare la ritenuta d’acconto sul compenso versato al proprietario, se quest’ultimo non comunica l’opzione per la cedolare secca. In caso di omissioni, le piattaforme stesse rischiano sanzioni pecuniarie.

Le sanzioni per il locatore: cosa si rischia?

Chi non dichiara correttamente i redditi da affitto breve rischia:

  • Sanzioni amministrative fino al 240% dell’imposta evasa

  • Accertamento sintetico del reddito da parte dell’Agenzia delle Entrate

  • Esclusione retroattiva dalla cedolare secca e tassazione ordinaria più interessi e sanzioni

  • Problemi con il Comune per mancate comunicazioni o assenza del Codice Identificativo Nazionale (CIN)

Pagamenti tracciabili e contratti: serve la massima precisione

Dal 2026 sarà ancora più importante:

  • Incassare i canoni solo con mezzi tracciabili (bonifici, carte, PayPal, ecc.)

  • Conservare copia del contratto scritto (anche se non registrato) e delle ricevute di pagamento

  • Verificare l’invio corretto dei dati da parte degli intermediari

  • Tenere sotto controllo le dichiarazioni dei redditi, con l’aiuto di un professionista

In conclusione, il nuovo assetto normativo richiede maggiore attenzione e precisione. Gestire affitti brevi “alla leggera” non è più sostenibile: è il momento di professionalizzare l’attività o rivedere il proprio modello di business.

Conclusione

La Legge di Bilancio 2026 introduce un cambiamento significativo nella tassazione degli affitti brevi, con l’innalzamento dell’aliquota della cedolare secca al 26% e l’abolizione dell’agevolazione al 21% per il primo immobile. Un passaggio che avrà effetti concreti sulla redditività di chi affitta case o appartamenti per periodi inferiori ai 30 giorni, sia occasionalmente che in modo professionale.

Oltre all’aumento del carico fiscale, si intensificano i controlli dell’Agenzia delle Entrate, la tracciabilità delle operazioni tramite piattaforme digitali e le sanzioni in caso di irregolarità. Questo nuovo scenario impone una pianificazione fiscale più attenta, in grado di evitare errori e ottimizzare la gestione del patrimonio immobiliare.

Che tu gestisca un solo appartamento o un portafoglio più ampio di immobili, il 2026 rappresenta un punto di svolta. È il momento giusto per rivedere il proprio regime fiscale, valutare la convenienza tra cedolare secca e tassazione ordinaria, strutturare correttamente l’attività se ricorrono i presupposti dell’impresa e farsi affiancare da un commercialista esperto in locazioni brevi per non farsi trovare impreparati

Chi agisce oggi ha più possibilità di adattarsi senza traumi alla nuova normativa e continuare a guadagnare in modo legale e sostenibile.

Rottamazione Quinquies 2026: come funziona, a chi spetta e come prepararsi

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La rottamazione delle cartelle esattoriali torna protagonista con la nuova Rottamazione Quinquies, che sarà ufficialmente inserita nella Legge di Bilancio 2026. Dopo il successo delle edizioni precedenti, il Governo lavora a una misura rinnovata, più equa e sostenibile per i contribuenti. L’obiettivo? Consentire a chi è davvero interessato di mettersi in regola col Fisco senza subire penalizzazioni eccessive nelle fasi iniziali del percorso.

Si tratta di una misura attesa da migliaia di cittadini e imprese, che sperano in un nuovo strumento di pace fiscale, soprattutto dopo l’annuncio contenuto nel Decreto Milleproroghe dello scorso febbraio. Tuttavia, il messaggio è chiaro: stop agli abusi da parte degli “utilizzatori seriali” delle rottamazioni. La nuova versione sarà più selettiva e penalizzerà chi, nel tempo, ha approfittato della misura senza mai onorare i versamenti.

In questo articolo analizzeremo tutte le novità in arrivo con la rottamazione quinquies: le modifiche previste, le agevolazioni confermate, i nuovi meccanismi di pagamento e le sanzioni per chi ha fatto un uso distorto delle precedenti definizioni agevolate.

Le novità previste 

La Rottamazione Quinquies sarà una delle misure fiscali cardine della Legge di Bilancio 2026, e a confermarlo è stato il Presidente della Commissione Finanze del Senato, Massimo Garavaglia. Durante la discussione sul disegno di legge di proroga della riforma fiscale, Garavaglia ha dichiarato che la discussione è ormai conclusa e che il testo definitivo sarà pronto per settembre, in tempo per essere inserito nella manovra. Il messaggio è chiaro: il Governo intende offrire un nuovo strumento di regolarizzazione fiscale, ma con criteri più selettivi e sostenibili rispetto al passato.

Parallelamente si parla anche di un taglio dell’IRPEF per il ceto medio, che potrebbe essere inserito nella stessa manovra. Tuttavia, come dichiarato dal Viceministro all’Economia Maurizio Leo, le due misure dovranno confrontarsi con il limite delle risorse disponibili, vero nodo da sciogliere per l’approvazione definitiva. Mentre il MEF è già al lavoro sulla stesura dei documenti ufficiali da portare al prossimo Consiglio dei Ministri, continuano a emergere dettagli sulla nuova definizione agevolata, che promette di rivoluzionare l’approccio alle cartelle esattoriali.

Tra le principali modifiche attese c’è la ridefinizione del piano rateale, che dovrebbe estendersi fino a 96 rate mensili, pari a otto anni. Una durata estesa che permetterà ai contribuenti di pianificare in modo più sostenibile i pagamenti. Rispetto all’ipotesi iniziale di 120 rate, il compromesso trovato sembra offrire comunque maggiore flessibilità rispetto al passato. Inoltre, si lavora a un meccanismo che differenzi la durata del piano di pagamento in base all’importo del debito, garantendo un percorso più breve per i debiti minori.

Rate più leggere e sostenibili

Uno dei principali problemi emersi nelle precedenti edizioni della rottamazione è stato il peso eccessivo delle prime due rate, che concentravano ben il 20% dell’intero debito da pagare. Questa formula, sebbene pensata per garantire una rapida entrata di liquidità nelle casse dello Stato, ha avuto l’effetto collaterale di scoraggiare l’adesione da parte di chi avrebbe potuto realmente beneficiare della misura, ma non era in grado di sostenere un esborso così significativo in tempi brevi.

Per evitare che lo stesso scenario si ripeta, il Viceministro all’Economia ha chiarito che il Governo sta lavorando per rivedere radicalmente il piano di versamento. L’obiettivo è costruire un sistema più lineare, dove tutte le rate abbiano un peso uguale, senza picchi iniziali penalizzanti. In questo modo, il contribuente potrà affrontare l’intero percorso di regolarizzazione con maggiore serenità e sostenibilità.

Tra le ipotesi più accreditate c’è anche l’introduzione di un sistema di tolleranza più ampia per i ritardi nei pagamenti: si pensa alla possibilità di saltare fino a otto rate non consecutive prima della decadenza definitiva dal beneficio. Una modifica che, se confermata, rappresenterebbe una vera rivoluzione rispetto al passato, dove il mancato pagamento anche di una sola rata entro i termini comportava la perdita immediata di tutti i vantaggi.

Stop ai “rottamatori seriali”

Una delle novità più significative della Rottamazione Quinquies riguarda l’introduzione di criteri più rigidi per l’accesso alla misura, con l’obiettivo di escludere i contribuenti non meritevoli, in particolare coloro che negli anni hanno aderito a più rottamazioni senza però completare mai i pagamenti.

Si tratta dei cosiddetti “rottamatori seriali”, che secondo il Governo hanno utilizzato queste definizioni agevolate unicamente per sospendere provvedimenti esecutivi, come pignoramenti o fermi amministrativi, senza alcuna reale intenzione di saldare il debito con il Fisco.

Il Viceministro ha evidenziato che uno degli obiettivi principali è proprio quello di circoscrivere la platea dei beneficiari, limitandola a chi si trova in difficoltà economiche reali e dimostrabili, escludendo chi ha abusato della misura in passato. Questo servirà non solo a ridurre i costi complessivi dell’operazione, ma anche ad aumentare l’efficacia complessiva dello strumento.

È allo studio anche un meccanismo di anticipo obbligatorio per i debiti più consistenti: ad esempio, per importi superiori ai 50.000 euro, si valuta l’obbligo di versare un acconto pari al 5% del totale per poter accedere alla rottamazione. Una misura che ha una doppia funzione: da un lato dimostrare la buona fede del contribuente, dall’altro generare subito entrate certe per lo Stato.

Si tratta di un cambio di rotta importante rispetto al passato, che potrebbe finalmente portare a un uso più razionale e corretto delle definizioni agevolate, premiando chi intende realmente mettersi in regola con il Fisco in modo definitivo e responsabile.

Piani su misura e saldo automatico 

Un’altra importante novità allo studio del Governo riguarda la possibilità di diversificare i piani di pagamento in base alla dimensione del debito fiscale. L’idea è semplice: evitare che chi ha importi modesti da sanare venga costretto a sottostare a un piano lungo e complesso, pensato per debiti molto più rilevanti. Questo approccio “personalizzato” potrebbe rendere la Rottamazione Quinquies molto più equa ed efficace, evitando che un’unica struttura rateale venga applicata indistintamente a situazioni molto diverse tra loro.

Per i debiti di importo ridotto, sotto una soglia ancora da definire (ma che potrebbe aggirarsi tra i 1.000 e i 2.500 euro), si ipotizza addirittura una cancellazione automatica: una sorta di saldo e stralcio “semplificato”, che andrebbe a chiudere definitivamente migliaia di micro-posizioni debitorie che spesso risultano antieconomiche da riscuotere per lo Stato. È una misura che, se approvata, potrebbe alleggerire in modo significativo il carico degli archivi dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione e liberare i contribuenti da situazioni pendenti ormai datate.

Per i debiti più consistenti, invece, come già anticipato, il piano dovrebbe prevedere fino a 96 rate mensili e, nei casi di importi superiori ai 50.000 euro, un anticipo obbligatorio del 5%. Questo sistema “a soglie” sarebbe una delle vere novità della nuova definizione agevolata e riflette la volontà del Governo di adottare un approccio più razionale, sostenibile e calibrato sulle reali possibilità dei cittadini e delle imprese.

 

Aspetti fiscali, tecnici ed economici

La Rottamazione Quinquies nasce come risposta concreta a due esigenze fondamentali del sistema fiscale italiano: da un lato, alleggerire il carico tributario e sanzionatorio che grava su cittadini e imprese in difficoltà; dall’altro, snellire le attività di riscossione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, che si trova a gestire milioni di cartelle, molte delle quali non più realisticamente esigibili.

Grazie alla definizione agevolata, i contribuenti potranno regolarizzare le proprie posizioni debitorie pagando solo le somme dovute a titolo di imposta, senza interessi di mora e sanzioni, con un piano di pagamento più lungo, sostenibile e personalizzato. Per il Fisco, ciò rappresenta una forma di incasso certo e accelerato di crediti che, altrimenti, resterebbero spesso inesigibili o finirebbero in contenzioso.

In parallelo, il sistema di rateazione fino a 96 mesi e la possibilità di differenziare le condizioni in base all’entità del debito permetteranno un approccio più razionale: chi ha debiti rilevanti contribuirà in misura proporzionata, mentre i piccoli debiti potranno essere definiti con formule più semplici o addirittura cancellati automaticamente, se antieconomici da riscuotere.

In questo senso, la Rottamazione Quinquies può rappresentare una leva fiscale intelligente, che semplifica, razionalizza e rende più efficiente la macchina della riscossione, migliorando il rapporto tra contribuente e Amministrazione finanziaria in un’ottica di maggiore equità e funzionalità.

Tempistiche, iter normativo e fasi operative

La Rottamazione Quinquies, come anticipato durante le ultime sedute della Commissione Finanze del Senato, sarà ufficialmente inserita nella Legge di Bilancio 2026. I lavori sono già in fase avanzata: la discussione generale sul testo è stata chiusa e la scadenza per la presentazione degli emendamenti è fissata per settembre, subito dopo la pausa estiva. Questo significa che il provvedimento sarà pronto per essere approvato entro la fine dell’anno, così da entrare in vigore nei primi mesi del 2026.

Nel frattempo, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) è al lavoro per predisporre i documenti tecnici da presentare al Consiglio dei Ministri, inclusi gli allegati finanziari e le simulazioni di impatto sul gettito. Tra gli aspetti in valutazione c’è anche la compatibilità della misura con le risorse disponibili, in particolare per quanto riguarda le eventuali perdite da mancata riscossione di sanzioni e interessi, che saranno oggetto di compensazione o rimodulazione all’interno del bilancio statale.

È attesa anche una circolare attuativa da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, che conterrà le istruzioni operative per aderire alla nuova rottamazione, i moduli da compilare, i termini di presentazione della domanda e le modalità di pagamento. Una volta approvata la norma, è verosimile che l’Agenzia metta a disposizione un portale dedicato per la gestione delle istanze, come già avvenuto nelle precedenti edizioni.

I contribuenti interessati avranno così modo di valutare con attenzione la propria posizione debitoria e decidere se accedere alla nuova agevolazione. I tempi stringono, ma tutto lascia presagire che la Rottamazione Quinquies sarà una realtà operativa già nel primo trimestre del 2026.

Come prepararsi 

In attesa che la Rottamazione Quinquies diventi ufficiale con la Legge di Bilancio 2026, è fondamentale che i contribuenti interessati inizino fin da ora a prepararsi all’adesione, così da non trovarsi impreparati quando verranno aperti i termini per presentare la domanda. Anche se mancano ancora alcuni dettagli operativi, ci sono diverse azioni utili che possono essere messe in atto già da subito.

Il primo passo è richiedere un estratto di ruolo aggiornato all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, verificando con attenzione quali cartelle esattoriali risultano attive, i relativi importi, e se rientrano nei periodi che saranno coperti dalla definizione agevolata. In genere, le rottamazioni precedenti hanno incluso debiti affidati alla riscossione entro una determinata data (ad esempio, giugno o dicembre dell’anno precedente all’approvazione), quindi conoscere l’esatto “perimetro” temporale è essenziale.

Un secondo passaggio fondamentale è distinguere i debiti che possono rientrare nella nuova rottamazione da quelli che invece ne sono esclusi per legge, come ad esempio le sanzioni penali tributarie o le somme derivanti da condanne passate in giudicato. In questa fase, il supporto di un consulente fiscale è spesso determinante per non commettere errori o perdere opportunità di risparmio.

Infine, è utile iniziare a valutare la propria capacità di sostenere un piano di rientro, anche ipotetico, simulando rate mensili su base 96 rate o con l’acconto richiesto per i debiti oltre i 50.000 euro. Questo consente di capire se e come sarà possibile aderire, senza rischiare di decadere dal beneficio per mancanza di liquidità nei mesi successivi.

Agire ora significa arrivare pronti, sfruttando al massimo una misura che può rappresentare una concreta occasione di alleggerimento del carico fiscale.

Conclusione

La Rottamazione Quinquies rappresenta una nuova possibilità concreta per migliaia di contribuenti, persone fisiche e imprese, di regolarizzare la propria posizione fiscale in modo agevolato, sostenibile e finalmente più equo. Con una struttura di rate più lunga, criteri di accesso più selettivi e la possibilità di evitare penalizzazioni eccessive nelle fasi iniziali, questa edizione si candida a essere la più equilibrata tra tutte quelle finora proposte.

Tuttavia, non si tratta di una misura per tutti: chi ha abusato delle rottamazioni precedenti o non ha rispettato gli impegni assunti rischia di restare escluso. Il focus è quindi sul contribuente “meritevole”, quello che ha subito difficoltà oggettive e vuole mettersi in regola una volta per tutte, sfruttando una finestra che non è detto si ripeta in futuro.

Per questo motivo, è fondamentale prepararsi per tempo, fare le opportune verifiche, controllare la propria situazione debitoria e valutare con attenzione se rientrare nei criteri previsti. Una pianificazione accurata oggi può tradursi in un notevole risparmio domani, sia in termini economici che nella tranquillità di aver finalmente risolto una pendenza con il Fisco.

Con l’approvazione attesa nella Legge di Bilancio 2026, e l’entrata in vigore nei primi mesi del nuovo anno, i tempi sono maturi per iniziare a muoversi.

L’occasione è importante: coglierla o meno farà la differenza.

ZES UNICA: proroga al 2028 e nuove regole per il credito d’imposta alle imprese del Sud

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Le Zone Economiche Speciali (ZES) tornano protagoniste nella bozza della Legge di Bilancio 2026 con importanti novità per le imprese del Mezzogiorno. Il credito d’imposta previsto per chi investe in queste aree strategiche viene prorogato fino al 31 dicembre 2028, estendendo così una delle misure più incisive di politica industriale a sostegno dello sviluppo economico nel Sud Italia.

Non solo: l’articolo 96 del disegno di legge introduce una ridefinizione delle modalità di comunicazione per accedere al beneficio, puntando a maggiore semplificazione e tracciabilità. In un momento storico in cui le imprese cercano certezze e strumenti concreti per crescere, la proroga della ZES UNICA rappresenta un’opportunità da conoscere e sfruttare appieno.

In questo articolo vedremo nel dettaglio cosa prevede la proroga fino al 2028 per la ZES UNICA, le nuove modalità di invio delle comunicazioni per ottenere il credito d’imposta, le aree geografiche coinvolte, le tipologie di investimenti ammessi e i massimali, le differenze rispetto alla normativa precedente, i benefici fiscali ed economici per le imprese e infine, le criticità da evitare e le opportunità da cogliere.

ZES Unica

Con l’articolo 96 della bozza della Legge di Bilancio 2026, il Governo interviene in modo diretto e strutturato sulla disciplina delle Zone Economiche Speciali (ZES UNICA) del Mezzogiorno. La principale novità è la proroga del credito d’imposta fino al 31 dicembre 2028, modificando l’articolo 16 del Decreto-legge 124/2023. Si tratta di un’estensione significativa che consente alle imprese operanti nelle regioni del Sud di programmare investimenti a medio-lungo termine con una copertura fiscale garantita.

Nello specifico:

  • Il credito, inizialmente previsto solo per il 2024 e 2025, viene esteso anche agli anni 2026, 2027 e 2028.

  • I fondi stanziati aumentano progressivamente: 2,300 milioni di euro per il 2026, 1,000 milioni per il 2027 e 750 milioni per il 2028. Ciò rappresenta un chiaro segnale di fiducia verso il potenziale economico del Sud Italia.

  • L’obiettivo della misura è stimolare nuovi investimenti produttivi, favorire l’ammodernamento aziendale e potenziare la competitività delle imprese meridionali.

La ZES UNICA, operativa dal 1° gennaio 2024, copre tutte le otto regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) e si conferma come strumento strategico per l’attrazione di capitali e la crescita del tessuto produttivo locale.

Questa proroga offre alle imprese non solo un orizzonte temporale più ampio, ma anche una maggiore certezza normativa e finanziaria. Resta però fondamentale rispettare gli adempimenti previsti per non perdere il beneficio.

Le nuove modalità di comunicazione 

Accedere al credito d’imposta per investimenti nella ZES UNICA richiederà, a partire dal 2026, il rispetto di nuove tempistiche e procedure di comunicazione, più articolate ma orientate a garantire maggiore controllo e trasparenza. Le novità introdotte nella bozza della Legge di Bilancio 2026 riguardano due fasi obbligatorie: una comunicazione iniziale e una comunicazione integrativa, entrambe gestite telematicamente con modelli che saranno approvati dall’Agenzia delle Entrate.

Comunicazione iniziale (previsionale)

Gli operatori economici dovranno trasmettere all’Agenzia delle Entrate, dal 31 marzo al 30 maggio di ciascun anno (2026, 2027 e 2028), una comunicazione che riporti:

  • le spese ammissibili sostenute a partire dal 1° gennaio dell’anno in corso;

  • le spese che prevedono di sostenere fino al 31 dicembre dello stesso anno.

Questa fase è fondamentale perché consente di prenotare virtualmente le risorse, in base ai fondi disponibili annualmente.

Comunicazione integrativa (a consuntivo)

Per non decadere dall’agevolazione, sarà obbligatorio inviare una seconda comunicazione, dal 3 al 17 gennaio dell’anno successivo, attestante:

  • la realizzazione effettiva degli investimenti dichiarati;

  • l’ammontare del credito d’imposta maturato;

  • gli estremi delle fatture elettroniche relative agli investimenti;

  • la certificazione prevista dal decreto del 17 maggio 2024 del Ministero per gli Affari Europei e il PNRR.

Attenzione: l’importo degli investimenti effettivamente realizzati non può superare quello indicato nella prima comunicazione, pena il rigetto.

Il meccanismo si fonda quindi su una doppia verifica per garantire la serietà degli investimenti e l’uso corretto delle risorse pubbliche, rendendo più rigorosa ma anche più efficace l’erogazione del credito d’imposta.

Come funziona la percentuale di fruizione

Una delle novità più rilevanti introdotte dalla bozza della Legge di Bilancio 2026 riguarda il metodo di calcolo effettivo del credito d’imposta spettante alle imprese beneficiarie che investono nelle ZES UNICA. Il principio è semplice: l’ammontare richiesto viene sottoposto a una verifica basata sui limiti di spesa annuali previsti per il triennio 2026-2028. Per evitare il superamento di questi limiti, l’importo finale fruibile da ciascun beneficiario sarà determinato moltiplicando il credito maturato per una percentuale di fruizione, calcolata annualmente dall’Agenzia delle Entrate.

Vediamo come funziona in pratica:

  1. La comunicazione integrativa indica l’ammontare del credito maturato in base agli investimenti realmente effettuati.

  2. Dopo la scadenza dei termini per l’invio delle comunicazioni integrative (17 gennaio di ogni anno), l’Agenzia delle Entrate calcolerà la percentuale di fruizione.

  3. Questa percentuale è ottenuta rapportando il limite di spesa disponibile all’ammontare complessivo dei crediti richiesti in tutte le comunicazioni integrative valide.

  4. Il credito d’imposta realmente fruibile è quindi pari a:

    Credito maturato x Percentuale di fruizione

Esempio: se un’impresa ha diritto a un credito di 500.000 euro, ma la percentuale di fruizione determinata dall’Agenzia è del 70%, potrà effettivamente utilizzare solo 350.000 euro.

Questo meccanismo introduce una logica di equa ripartizione delle risorse, evitando sovraccarichi e garantendo un accesso proporzionato in base alla disponibilità del fondo. Tuttavia, impone alle imprese di prestare massima attenzione nella fase di pianificazione degli investimenti, per evitare squilibri tra aspettative e realtà fiscale.

Investimenti agevolabili 

Per poter accedere al credito d’imposta ZES UNICA, è essenziale che le imprese realizzino investimenti in beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive già esistenti o di nuova apertura situate nelle regioni del Mezzogiorno. La normativa conferma il perimetro degli investimenti agevolabili, già definito nelle precedenti misure, ma in un quadro ora più stabile e prorogato fino al 2028.

Le spese ammissibili includono principalmente:

  • Macchinari, impianti e attrezzature varie, strettamente funzionali all’attività produttiva;

  • Immobili strumentali nuovi o realizzati ex novo, purché rientrino in un progetto coerente con l’attività economica svolta;

  • Acquisto di terreni e immobili, nei limiti del 50% del valore complessivo dell’investimento agevolato;

  • Ristrutturazioni e miglioramenti edilizi, se funzionali alla produzione.

Non sono invece agevolabili:

  • i beni usati,

  • i veicoli,

  • i fabbricati residenziali,

  • le spese in leasing operativo o finanziario,

  • gli investimenti meramente sostitutivi (cioè non incrementali rispetto alla dotazione aziendale).

Un altro aspetto chiave è la localizzazione dell’investimento: le agevolazioni sono concesse solo se gli investimenti vengono effettuati in unità produttive situate all’interno del territorio ZES UNICA, che comprende tutte le regioni del Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia).

Inoltre, per ciascun investimento, l’impresa deve essere in grado di fornire documentazione certa: fatture elettroniche, prove di pagamento, titoli di proprietà o concessione, nonché certificazioni previste dalla normativa di riferimento.

Questa struttura di spese ammissibili premia le imprese che fanno investimenti reali, misurabili e tracciabili, e penalizza invece operazioni speculative o poco trasparenti.

Le regioni coinvolte

Con l’entrata in vigore della ZES UNICA dal 1° gennaio 2024, l’Italia ha unificato in un’unica zona economica speciale tutte le precedenti ZES regionali del Mezzogiorno. Questo ha comportato una semplificazione normativa e gestionale, ma soprattutto ha ampliato la platea delle aree in cui è possibile realizzare investimenti agevolati con il credito d’imposta.

Le otto regioni italiane comprese nella ZES UNICA sono:

  • Abruzzo (solo nelle aree riconosciute come “in transizione”);

  • Basilicata;

  • Calabria;

  • Campania;

  • Molise;

  • Puglia;

  • Sardegna;

  • Sicilia.

Tutti gli investimenti effettuati in queste regioni – purché localizzati in unità produttive attive o in fase di attivazione – possono beneficiare del credito d’imposta secondo i criteri stabiliti dalla normativa. È tuttavia importante precisare che non tutto il territorio regionale può essere considerato automaticamente ZES: occorre verificare la corrispondenza dell’area con i criteri di ammissibilità stabiliti dal Piano Strategico della ZES UNICA, pubblicato sul sito del Governo e delle Agenzie regionali.

Questa mappa strategica, redatta in sinergia con il Dipartimento per le Politiche di Coesione e il Ministero per il Sud, mira a potenziare aree ad alta potenzialità industriale, portuale, logistica e manifatturiera, incoraggiando gli investimenti in zone spesso penalizzate da deficit infrastrutturali o occupazionali.

Per le imprese che intendono investire, è quindi fondamentale verificare preventivamente la localizzazione geografica dell’intervento, magari con il supporto di un consulente fiscale o di un professionista abilitato, per evitare errori che potrebbero compromettere l’accesso al beneficio.

Cosa cambia rispetto al passato 

Prima della riforma introdotta con il DL 124/2023 e poi ulteriormente rafforzata dalla Legge di Bilancio 2026, il panorama delle Zone Economiche Speciali italiane era frammentato: ogni regione del Mezzogiorno aveva una sua ZES, con un proprio piano strategico, una struttura commissariale autonoma e modalità operative differenti. Questo ha generato, nel tempo, disparità di accesso alle agevolazioni, burocrazia complessa e tempistiche variabili da territorio a territorio.

Con l’introduzione della ZES UNICA, si è passati a un modello centralizzato e coordinato a livello nazionale, gestito da una struttura unica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con competenze attribuite all’Agenzia per la Coesione Territoriale. Questo ha comportato una serie di semplificazioni operative molto rilevanti per le imprese:

  • Sportello unico digitale per tutte le autorizzazioni e comunicazioni necessarie;

  • Uniformità normativa su tutto il territorio del Mezzogiorno;

  • Tempi più certi e standardizzati per l’ottenimento del credito d’imposta;

  • Maggiore tracciabilità delle domande e degli investimenti;

  • Eliminazione della molteplicità di canali regionali, che spesso generavano confusione.

Inoltre, le nuove modalità di comunicazione introdotte dal 2026 (comunicazione previsionale + integrativa) permettono all’amministrazione fiscale di monitorare in tempo reale l’andamento degli investimenti e di evitare sprechi o abusi, migliorando l’efficienza del sistema.

Il passaggio da una pluralità di ZES a un’unica grande area agevolata rappresenta quindi una svolta strategica: meno burocrazia, più coordinamento e maggiore attrattività per investitori italiani ed esteri.

Vantaggi fiscali, economici e finanziari 

Investire nella ZES UNICA non significa soltanto beneficiare di un credito d’imposta: l’incentivo è infatti parte di una strategia più ampia che unisce vantaggi fiscali, opportunità economiche e leve finanziarie pensate per rilanciare lo sviluppo produttivo del Sud Italia. Con la proroga al 2028, le imprese avranno più tempo e più risorse per pianificare investimenti strutturati e duraturi.

1. Vantaggi fiscali

Il credito d’imposta ZES UNICA è immediato, compensabile in F24, e consente un abbattimento significativo dei costi fiscali. A seconda della dimensione dell’impresa e della regione, la percentuale dell’agevolazione può arrivare fino al 45% del valore dell’investimento, secondo la mappa degli aiuti di Stato approvata dalla Commissione Europea.

Inoltre, il credito è cumulabile con altri incentivi, purché non si superi il costo complessivo dell’investimento (es. Nuova Sabatini, crediti d’imposta 4.0, incentivi regionali).

2. Vantaggi economici

Le imprese che investono in ZES accedono a un contesto operativo più favorevole:

  • localizzazioni strategiche (vicinanza a porti, zone logistiche, snodi industriali),

  • infrastrutture in fase di potenziamento,

  • politiche pubbliche dedicate allo sviluppo locale.

Tutto ciò contribuisce a migliorare la competitività e a ridurre i costi operativi.

3. Vantaggi finanziari

Il credito d’imposta può essere utilizzato per:

  • ridurre il carico fiscale complessivo (IRES, IRAP, contributi),

  • compensare debiti tributari o previdenziali,

  • migliorare l’accesso al credito bancario, grazie a una migliore posizione patrimoniale.

Inoltre, il meccanismo della ZES UNICA stimola investimenti produttivi veri, capaci di generare occupazione, innovazione e sviluppo territoriale.

Criticità 

Sebbene la ZES UNICA rappresenti una delle misure più importanti degli ultimi anni per il rilancio economico del Sud, il suo utilizzo richiede attenzione, competenza e pianificazione. Non tutte le imprese, infatti, riescono a ottenere il beneficio: molti errori derivano da superficialità nella documentazione, scarsa conoscenza della normativa o mancanza di visione strategica.

Le principali criticità

  1. Errori nelle comunicazioni: inviare la documentazione fuori tempo, incompleta o con dati non coerenti (es. fatture mancanti o investimenti non localizzati nelle aree ZES) comporta decadenza dal beneficio, senza possibilità di sanatoria.

  2. Superamento dei massimali: il credito d’imposta, anche se teoricamente molto generoso, è soggetto a limiti annuali e alla percentuale di fruizione. Le imprese devono evitare di fare affidamento su importi che potrebbero essere ridotti.

  3. Investimenti non ammissibili: spesso si tende a includere spese che non rientrano nelle categorie agevolate, come beni usati, immobili non strumentali o costi generici.

  4. Assenza di supporto tecnico: affidarsi a consulenti non specializzati o procedere in autonomia può compromettere l’intero iter.

Le opportunità

Dall’altro lato, le imprese che pianificano correttamente possono trasformare la ZES UNICA in una leva competitiva reale, soprattutto se:

  • integrano gli investimenti con altre misure (Transizione 5.0, PNRR, bandi regionali);

  • scelgono aree strategiche (interporti, distretti industriali, porti);

  • adottano strumenti digitali per monitorare spese, rendicontazioni e scadenze;

  • si dotano di una consulenza professionale che accompagni l’intero percorso.

In definitiva, la ZES UNICA non è un incentivo “automatico”, ma uno strumento potente per chi vuole fare impresa in modo serio, strutturato e orientato alla crescita, sfruttando le agevolazioni fiscali in maniera pienamente legale e trasparente.

Conclusione

La proroga del credito d’imposta ZES UNICA fino al 2028 rappresenta una scelta politica ed economica di grande rilievo, che offre alle imprese del Mezzogiorno un quadro stabile, chiaro e incentivante per investire e crescere. La combinazione tra vantaggi fiscali, semplificazioni amministrative e possibilità di pianificazione pluriennale rende questa misura uno strumento fondamentale di sviluppo territoriale, a patto che venga utilizzato in modo corretto e strategico.

In un contesto economico in continua evoluzione, segnato da inflazione, instabilità internazionale e transizione digitale, la possibilità di ridurre il carico fiscale e migliorare la competitività diventa cruciale. Ecco perché le imprese che operano nel Sud Italia dovrebbero valutare con attenzione l’opportunità offerta dalla ZES UNICA, affidandosi a professionisti esperti in fiscalità d’impresa e pianificazione degli incentivi.

Come sempre, per massimizzare i benefici e non perdere opportunità a causa di errori formali o strategici, è essenziale muoversi per tempo, conoscere le regole e strutturare bene gli investimenti. Il tempo c’è: la scadenza è fissata al 2028. Ma chi parte prima, raccoglie di più.

Credito d’imposta per imprese montane giovanili: tutte le novità della Legge 131/2025

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Miniature people standing on coin,Business concept

Le aree montane italiane rappresentano un patrimonio naturale, culturale ed economico spesso dimenticato. Eppure, proprio in questi territori si stanno facendo largo nuove iniziative imprenditoriali guidate da giovani under 41, determinati a innovare e valorizzare zone storicamente marginalizzate. La Legge 131/2025 arriva come risposta concreta a questa esigenza: un intervento normativo ambizioso che introduce un credito d’imposta per sostenere le imprese montane giovanili, e che punta anche a rafforzare il ruolo degli enti locali nella rigenerazione economica e sociale dei territori.

Nel contesto del PNRR e delle politiche per la coesione territoriale, questa misura si inserisce con forza, proponendosi come uno strumento di riequilibrio e sviluppo, capace di arginare lo spopolamento e rilanciare l’occupazione in alta quota. Ma in cosa consiste esattamente questo credito d’imposta? Chi potrà beneficiarne e con quali requisiti? Quali saranno i vantaggi fiscali ed economici per chi investe in montagna?

Scopriamolo insieme, analizzando punto per punto le novità introdotte dalla Legge 131/2025, i criteri di accesso, le agevolazioni previste e le implicazioni per il tessuto produttivo locale.

Chi può accedere al credito d’imposta 

L’articolo 25 della Legge 131/2025 rappresenta una svolta concreta nel panorama degli incentivi rivolti ai giovani imprenditori. Il legislatore ha voluto puntare in particolare sulle piccole e microimprese, secondo la definizione della Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea, offrendo un credito d’imposta triennale a chi avvia nuove attività nei territori montani.

I beneficiari devono rispettare due criteri fondamentali:

  1. Territoriale: l’attività deve essere avviata nei comuni montani indicati all’articolo 2, comma 2, della legge, spesso aree soggette a spopolamento e fragilità socioeconomica.

  2. Anagrafico: il titolare (per ditte individuali) o la maggioranza dei soci/capitale sociale (per società e cooperative) deve essere composto da giovani under 41 al momento dell’avvio dell’attività.

Non basta però costituire l’impresa: per accedere effettivamente all’agevolazione, l’attività deve essere operativa per almeno otto mesi all’anno, anche non continuativi, dimostrando una reale volontà di insediamento e sviluppo nel territorio.

Questa impostazione premia chi investe davvero nel territorio montano, con un approccio orientato alla continuità e non a operazioni speculative o temporanee.

Il credito sarà utilizzabile esclusivamente in compensazione, come previsto dall’art. 17 del D.Lgs. 241/1997, rendendolo uno strumento immediatamente fruibile sul piano fiscale.

Come funziona

Il cuore dell’incentivo introdotto dalla Legge 131/2025 è rappresentato da un credito d’imposta calcolato sulla differenza tra due regimi di tassazione: quello ordinario e quello agevolato. Questo meccanismo premia concretamente le imprese giovanili che scelgono di insediarsi in aree montane, garantendo un risparmio fiscale reale e quantificabile.

Esempio pratico del beneficio:

Il credito è pari alla differenza tra l’imposta calcolata con le aliquote ordinarie sul reddito prodotto dall’attività nei comuni montani, e l’imposta calcolata applicando un’aliquota agevolata del 15%, fino a un massimo di:

  • 100.000 euro per imprese ubicate nei comuni montani ordinari;

  • 150.000 euro nei comuni montani con popolazione fino a 5.000 abitanti in cui è presente una minoranza linguistica storica, riconosciuta dalla Legge 482/1999 e rappresentata da almeno il 15% dei residenti.

Questo significa, ad esempio, che un’impresa che genera 80.000 euro di reddito imponibile e che normalmente avrebbe pagato circa il 27% di tasse (pari a 21.600 euro), potrà beneficiare di un’imposta ridotta a 12.000 euro (15% di 80.000), ottenendo un credito d’imposta di 9.600 euro.

Il credito può essere utilizzato in compensazione nel modello F24 e si applica per tre periodi d’imposta: quello di avvio e i due successivi, a condizione che l’attività resti attiva per almeno otto mesi l’anno.

Va tenuto presente che la misura è sottoposta a un tetto di spesa annuale pari a 20 milioni di euro, a partire dal 2025, con priorità a chi presenta prima la domanda, secondo le regole che saranno definite dal decreto attuativo del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Aiuti “de minimis”

Il credito d’imposta previsto dalla Legge 131/2025 per le imprese giovanili montane, pur essendo un incentivo fiscale nazionale, deve rispettare la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato. In particolare, l’agevolazione è inquadrata come aiuto “de minimis”, cioè una forma di sostegno pubblico che, entro determinati limiti, non altera la concorrenza e non necessita di autorizzazione preventiva da parte della Commissione Europea.

La legge richiama esplicitamente il Regolamento (UE) 2023/2831, che disciplina gli aiuti de minimis generali, e i regolamenti settoriali:

  • Reg. (UE) n. 1408/2013 per il settore agricolo;

  • Reg. (UE) n. 717/2014 per il settore della pesca e acquacoltura.

Secondo queste normative, un’impresa può ricevere aiuti de minimis fino a 300.000 euro in tre anni (nel regime generale), mentre per i settori agricolo e pesca i limiti sono inferiori: 20.000 euro e 30.000 euro rispettivamente.

È quindi fondamentale che le imprese verifichino di non aver superato tali soglie, sommando anche eventuali altri aiuti ottenuti nello stesso triennio da altri enti pubblici.

Oltre al rispetto dei massimali, le imprese devono anche:

  • Dimostrare la trasparenza dell’aiuto ricevuto;

  • Conservare la documentazione utile in caso di controlli;

  • Accettare che, in caso di superamento dei limiti, l’agevolazione venga revocata e le somme recuperate, come stabilito dai meccanismi di controllo e recupero previsti nel decreto attuativo.

L’obiettivo è garantire che il beneficio non falsi la concorrenza e sia distribuito in modo equilibrato e legittimo, mantenendo la misura in linea con gli obiettivi europei di coesione territoriale e sostegno alle aree svantaggiate.

Il ruolo degli enti locali 

La Legge 131/2025 non si limita a introdurre un incentivo fiscale. L’articolo 25, infatti, si inserisce in un disegno più ampio che riconosce il valore strategico delle istituzioni territoriali, in particolare i comuni montani, nel rilancio delle aree interne e nella costruzione di un ecosistema favorevole all’imprenditorialità giovanile.

Gli enti locali sono chiamati a collaborare attivamente con lo Stato e con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, non solo per promuovere la misura, ma anche per garantire un supporto operativo alle nuove imprese.

Questo può tradursi in:

  • Concessione di spazi pubblici inutilizzati a canone agevolato;

  • Facilitazioni burocratiche e amministrative per l’avvio dell’attività;

  • Attivazione di sportelli informativi locali dedicati ai giovani imprenditori;

  • Coordinamento con altri strumenti di finanziamento europei o regionali.

Inoltre, la norma prevede una forte attenzione alla coesione sociale, puntando su un modello di sviluppo che non isola l’impresa, ma la integra nel contesto locale. La presenza di minoranze linguistiche storiche è uno degli elementi valorizzati: nei comuni dove queste sono presenti (almeno il 15% della popolazione), il credito d’imposta è più elevato, a riconoscimento del ruolo culturale e identitario che tali comunità svolgono nel mantenere vivo il territorio.

Questa visione integrata rende la Legge 131/2025 non solo un intervento economico, ma anche una leva per la rigenerazione sociale e culturale delle montagne italiane, stimolando la partecipazione di cittadini, enti pubblici e operatori economici in un’ottica di sviluppo sostenibile.

Requisiti, iter e controlli

Per accedere al nuovo credito d’imposta per le imprese giovanili montane, sarà necessario seguire un iter ben definito, che sarà regolamentato da un apposito decreto attuativo del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Questo decreto definirà nel dettaglio:

  • Le modalità di presentazione della domanda;

  • I criteri per accertare l’età anagrafica dei beneficiari (titolare o soci);

  • Le modalità di monitoraggio del limite di spesa complessivo (20 milioni di euro annui);

  • I tempi di concessione del beneficio e la fruizione tramite modello F24;

  • Le procedure di controllo e di eventuale recupero delle somme indebitamente percepite.

Sarà fondamentale allegare alla richiesta tutta la documentazione necessaria, tra cui:

  • Atto costitutivo o visura camerale per verificare la composizione societaria;

  • Prova della sede e dell’operatività nel comune montano interessato;

  • Dichiarazioni sostitutive per il rispetto dei limiti de minimis.

Il credito d’imposta sarà riconosciuto in via automatica fino all’esaurimento delle risorse disponibili, in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande, come avviene già per molte agevolazioni fiscali a sportello.

In caso di dichiarazioni false o uso indebito del credito, la legge prevede l’annullamento del beneficio, il recupero delle somme con maggiorazioni e interessi, e, nei casi più gravi, l’applicazione di sanzioni penali secondo le normative vigenti.

La precisione dell’istruttoria e la correttezza nella presentazione dei documenti saranno dunque fondamentali per evitare contestazioni. In questa fase, la collaborazione con un commercialista esperto in incentivi fiscali e fiscalità territoriale può fare la differenza.

Vantaggi fiscali 

Uno degli aspetti più interessanti del credito d’imposta previsto dall’art. 25 della Legge 131/2025 è il vantaggio fiscale diretto e misurabile che le nuove imprese giovanili possono ottenere. A differenza di molti incentivi astratti o difficilmente accessibili, questo beneficio è concreto, automatico e triennale, e si traduce in un risparmio immediato sulle imposte da versare.

Ecco i principali vantaggi fiscali:

  • Riduzione dell’aliquota d’imposta al 15% sul reddito prodotto nei comuni montani: un trattamento agevolato rispetto alle aliquote IRPEF (fino al 43%) o IRES (24%) ordinarie;

  • Risparmio fino a 100.000 euro in tre anni, per le imprese nei comuni montani standard;

  • Risparmio fino a 150.000 euro per le imprese nei comuni montani piccoli (max 5.000 abitanti) con presenza di minoranze linguistiche;

  • Compensazione immediata del credito nel modello F24, che consente alle imprese di alleggerire il carico fiscale fin da subito, migliorando la liquidità aziendale;

  • Compatibilità con altri regimi fiscali agevolati, purché nel rispetto dei limiti “de minimis” europei.

Inoltre, il fatto che il credito sia legato esclusivamente al reddito prodotto nelle aree montane, incentiva realmente l’insediamento e la permanenza sul territorio. È un vantaggio fiscale selettivo, mirato e che premia la produttività, non solo l’esistenza formale dell’impresa.

Per le startup, i giovani professionisti e le cooperative giovanili, si tratta di una leva fiscale di grande valore: abbattere la pressione tributaria nei primi tre anni di attività può fare la differenza tra la sopravvivenza e il successo dell’impresa.

Impatto economico e sociale 

Il credito d’imposta introdotto dalla Legge 131/2025 non è solo un beneficio per singole imprese: si inserisce in una visione più ampia di rivalutazione e rilancio delle aree montane, da anni soggette a fenomeni di spopolamento, invecchiamento demografico e declino economico. Intervenire in queste zone con misure mirate non significa solo incentivare l’iniziativa privata, ma invertire una tendenza negativa strutturale.

L’agevolazione fiscale, riservata ai giovani under 41, mira a stimolare la nascita di imprese innovative, sostenibili e radicate nel territorio, capaci di generare occupazione, creare filiere produttive locali e rivitalizzare il tessuto sociale.

Non si tratta solo di agricoltura o turismo ma anche di:

  • Artigianato e manifattura locale;

  • Attività digitali e smart working;

  • Servizi alla persona e alla comunità;

  • Recupero e valorizzazione di beni culturali e ambientali.

Il coinvolgimento diretto degli enti locali permette inoltre una migliore integrazione tra pubblico e privato, con impatti positivi in termini di servizi, infrastrutture e coesione sociale. In quest’ottica, il credito d’imposta agisce come leva per attrarre e trattenere giovani talenti, favorendo anche il rientro di chi ha lasciato la montagna per mancanza di opportunità.

Infine, il meccanismo premiale per i comuni con minoranze linguistiche storiche riconosce e tutela le identità locali, rafforzando l’idea che lo sviluppo economico può (e deve) andare di pari passo con la conservazione del patrimonio culturale e ambientale.

Conclusioni

La Legge 131/2025, con il suo credito d’imposta dedicato alle imprese giovanili montane, rappresenta molto più di un’agevolazione fiscale. È un segnale politico ed economico forte, che riconosce il valore delle aree montane non solo come luoghi da proteggere, ma come territori da vivere, innovare e valorizzare attraverso l’impresa.

Per i giovani under 41, questa misura offre una concreta opportunità di avvio d’impresa, con un vantaggio fiscale fino a 150.000 euro in tre anni. È una spinta importante per chi vuole investire in attività produttive legate al territorio, creare lavoro e contribuire allo sviluppo sostenibile delle zone montane italiane.

Le condizioni per accedere al credito sono chiare e mirate, il coinvolgimento degli enti locali garantisce prossimità e supporto, e il rispetto dei limiti “de minimis” europei tutela la legalità e la trasparenza. Il momento è favorevole: l’interesse per i territori interni è in crescita, le tecnologie permettono nuove forme di business anche in luoghi periferici, e la normativa offre finalmente incentivi mirati ai giovani.

Chi desidera fare impresa in montagna oggi ha una chance reale di riuscirci, con un quadro normativo e fiscale che gioca a favore. Il consiglio? Informarsi subito, valutare la fattibilità con un esperto e preparare una strategia di lungo periodo. Perché la montagna non è il passato: è il futuro possibile di un’Italia che vuole crescere in modo equilibrato, inclusivo e sostenibile.

Pignoramenti 2025: scattano subito senza giudice – Cosa cambia e come difendersi legalmente

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A partire da novembre 2025 entra in vigore una delle riforme più impattanti sul piano esecutivo del diritto civile italiano: cambia la procedura del pignoramento. La novità più dirompente? Non servirà più l’intervento del giudice per avviare l’esecuzione forzata. Basterà l’avvocato del creditore per dare il via al blocco dei conti, dei beni mobili o immobili del debitore. Una vera rivoluzione che potrebbe mettere a rischio centinaia di migliaia di italiani, specialmente i soggetti più vulnerabili o in difficoltà economica.

Questa riforma snellisce le procedure e riduce i tempi di attesa per i creditori, ma solleva forti dubbi in merito alla tutela dei diritti del debitore. Il timore principale è che, senza la necessità di una valutazione giudiziaria, i margini di errore o di abuso possano aumentare.

In questo articolo analizzeremo in dettaglio cosa cambia a partire da novembre, quali sono i rischi concreti per chi ha debiti in corso, e soprattutto come tutelarsi legalmente. Esamineremo inoltre quali strumenti di risparmio fiscale e protezione patrimoniale possono ancora essere adottati per difendersi in modo perfettamente legale da un eventuale pignoramento.

Cosa cambia

Nel panorama economico attuale, segnato da instabilità e indebitamento crescente di famiglie e imprese, il ricorso al pignoramento è divenuto uno strumento sempre più utilizzato per il recupero forzato dei crediti. Tuttavia, a partire da novembre 2025, le regole del gioco cambiano drasticamente: grazie all’approvazione del Disegno di Legge 978, l’Italia introduce una riforma destinata a rivoluzionare il sistema delle esecuzioni civili.

La novità principale? Non servirà più l’autorizzazione del giudice per procedere al pignoramento. Sarà sufficiente che l’avvocato del creditore rediga e notifichi un atto di intimazione ad adempiere: se il debitore non oppone formalmente resistenza entro 40 giorni, l’atto acquisisce efficacia esecutiva piena. Ciò significa che si potrà procedere direttamente al pignoramento di beni mobili, immobili, conti correnti o stipendi.

Il sistema attuale prevedeva invece un passaggio obbligato presso il tribunale, con un magistrato a valutare la legittimità della richiesta. La riforma elimina questa mediazione, accorciando drasticamente i tempi, ma anche riducendo le garanzie per il debitore.

Questo nuovo modello punta tutto sulla semplificazione e rapidità, ma secondo molti esperti – tra cui l’Adusbef, Associazione per la Difesa degli Utenti dei Servizi Finanziari – presenta rischi notevoli in termini di tutela dei diritti fondamentali. In particolare, si teme che un atto proveniente da un avvocato possa indurre il debitore a pensare che provenga da un’autorità pubblica, con tutte le conseguenze del caso.

Rischi per i debitori

Con l’entrata in vigore della riforma del Ddl 978, il livello di rischio per i debitori aumenta sensibilmente, anche in presenza di importi modesti. A differenza del passato, dove l’intervento del giudice costituiva una barriera di protezione e di controllo, oggi la procedura può partire senza filtro giudiziario, con una semplice comunicazione da parte del legale del creditore. Questo rende potenzialmente più rapida, ma anche più aggressiva l’azione esecutiva.

Un semplice ritardo nel pagamento di una rata di prestito, una bolletta non saldata o una fattura inevasa potrebbero avviare un meccanismo che, nel giro di poche settimane, blocca conti correnti, stipendi o addirittura porta al pignoramento della casa. Il tutto senza che vi sia stato un giudizio vero e proprio.

Tra le categorie più esposte troviamo:

  • Famiglie con figli e reddito fisso, che potrebbero subire il pignoramento diretto dello stipendio.

  • Pensionati, i cui assegni sono pignorabili fino a un certo limite.

  • Lavoratori autonomi e piccole imprese, che spesso hanno una liquidità limitata e alterna.

Inoltre, il rischio di confusione tra atti legali e atti giudiziari può portare molti cittadini a sottovalutare la gravità della notifica ricevuta da un avvocato. Senza l’intervento tempestivo di un legale o l’opposizione formale nei 40 giorni previsti, il pignoramento diventa inevitabile.

Il problema non è solo giuridico, ma anche sociale: si rischia di colpire indiscriminatamente anche chi è in momentanea difficoltà, ampliando la forbice delle disuguaglianze economiche.

La nuova procedura 

Con la riforma, il pignoramento non sarà più un passaggio successivo a una sentenza o a un decreto ingiuntivo emesso da un giudice. Basterà che il creditore, attraverso il proprio avvocato, invii al debitore un atto di intimazione ad adempiere, in cui viene richiesto il pagamento di una determinata somma. Se il debitore non reagisce formalmente entro 40 giorni, l’atto si considera titolo esecutivo a tutti gli effetti: il creditore può quindi procedere con l’esecuzione forzata, senza altri passaggi.

Il vero nodo critico della riforma è la responsabilità trasferita al debitore: spetta a lui capire che si tratta di un atto vincolante, rivolgersi a un avvocato e presentare opposizione formale entro i termini. Se ciò non avviene, il rischio è concreto e immediato: il creditore potrà bloccare conti correnti, trattenere quote dello stipendio o della pensione, pignorare beni mobili o immobili senza passare per il tribunale.

La legge prevede che l’atto sia notificato in forma chiara, ma la somiglianza con una semplice diffida o sollecito può ingannare molti cittadini, portandoli a non reagire in tempo utile.

Ecco cosa deve fare un debitore per difendersi:

  • Controllare attentamente la data della notifica.

  • Rivolgersi immediatamente a un avvocato o a un’associazione per la tutela del consumatore.

  • Presentare opposizione motivata entro 40 giorni, anche solo per contestare l’importo o la legittimità del credito.

Un errore o un ritardo, anche minimo, può avere conseguenze gravissime e in molti casi irreversibili.

Le critiche delle associazioni

L’approvazione del Disegno di Legge 978 ha acceso un vivace dibattito tra esperti giuridici, politici e associazioni per la difesa dei cittadini. Tra le voci più critiche spicca quella dell’Adusbef (Associazione Difesa Utenti Servizi Bancari e Finanziari), che ha definito la riforma una “semplificazione eccessiva” e potenzialmente pericolosa per la tutela dei diritti fondamentali del debitore.

Secondo Adusbef, il vero problema risiede nel fatto che l’atto di intimazione redatto dall’avvocato del creditore non ha l’apparenza di un atto giudiziario, ma produce gli stessi effetti di un titolo esecutivo. Questo può confondere il debitore, che potrebbe non reagire in tempo proprio perché non riconosce la gravità dell’atto ricevuto.

La richiesta dell’associazione è chiara: introdurre una forma di controllo pubblico, seppur minimale, o quantomeno obbligare una forma di avviso preventivo con indicazioni chiare e comprensibili sui diritti del debitore e sulle conseguenze in caso di inazione.

Alcune proposte correttive avanzate includono:

  • l’introduzione di un obbligo di mediazione obbligatoria prima dell’atto esecutivo;

  • la creazione di un modulo standard di opposizione semplificato da allegare all’intimazione;

  • la possibilità di ottenere una sospensione automatica di 15 giorni per permettere al debitore di consultare un legale.

Il rischio, evidenziato anche da altri esperti del settore, è quello di un sistema troppo sbilanciato a favore dei creditori, dove la rapidità procedurale rischia di compromettere la giustizia sostanziale.

Strategie legali e fiscali da conoscere

In un contesto normativo sempre più favorevole ai creditori, è fondamentale che cittadini, famiglie e imprenditori conoscano le strategie legali e fiscali per tutelare il proprio patrimonio dal rischio di pignoramento. L’entrata in vigore della riforma, che velocizza la procedura esecutiva, rende ancora più urgente adottare soluzioni preventive, capaci di proteggere beni e liquidità prima che sia troppo tardi.

Una delle prime misure da valutare è la pianificazione patrimoniale, che include strumenti come:

  • Fondo patrimoniale: utile per le famiglie, consente di vincolare beni immobili a tutela dei bisogni della famiglia. Tuttavia, non è opponibile a debiti contratti per scopi estranei alla famiglia stessa.

  • Trust: sempre più utilizzato in ambito imprenditoriale, consente di separare giuridicamente la proprietà dei beni, affidandola a un soggetto terzo che li gestisce per il beneficiario.

  • Polizze vita e strumenti assicurativi: spesso non pignorabili, possono rappresentare una forma di riserva patrimoniale tutelata.

  • Intestazioni strategiche e comunione legale dei beni, nei limiti consentiti dalla legge.

Anche sul piano fiscale, è possibile agire con intelligenza. Una corretta ottimizzazione delle passività (es. rinegoziazione dei debiti, saldo e stralcio, rateizzazione con agenzie di riscossione) può ridurre notevolmente l’esposizione al rischio esecutivo.

Infine, è fondamentale tenere i conti separati tra impresa e patrimonio personale, specialmente per lavoratori autonomi e ditte individuali: molte situazioni critiche nascono proprio da una cattiva gestione di questa separazione.

In ogni caso, è essenziale agire prima che la procedura sia avviata: dopo, i margini di intervento si riducono drasticamente.

Conti, stipendi e pensioni

Con l’entrata in vigore della riforma, il pignoramento diventa più veloce anche nei confronti dei beni più sensibili del debitore: conti correnti, stipendi e pensioni. In assenza di opposizione entro 40 giorni dalla notifica dell’atto di intimazione, il creditore – tramite l’ufficiale giudiziario – potrà agire direttamente, senza dover attendere un provvedimento del giudice.

Vediamo cosa può essere pignorato e con quali limiti:

Conti correnti

I conti bancari sono tra i primi bersagli del pignoramento. L’intera giacenza disponibile al momento del blocco può essere congelata, salvo il rispetto del minimo vitale. La banca è tenuta a eseguire l’ordine senza opposizione, salvo indicazioni contrarie da parte del debitore.

Stipendi

Gli stipendi possono essere pignorati alla fonte, cioè direttamente presso il datore di lavoro. La quota pignorabile varia in base all’importo:

  • Fino a 1/5 dello stipendio netto per debiti ordinari;

  • Fino a 1/10 o 1/7 per determinate categorie protette o in presenza di più pignoramenti.

Pensioni

Le pensioni sono parzialmente pignorabili, ma con maggiori tutele. Rimane impignorabile la parte pari al trattamento minimo INPS aumentato della metà, secondo quanto stabilito dall’art. 545 c.p.c. Solo la parte eccedente può essere aggredita, nei limiti di 1/5.

La vera novità è che questi pignoramenti potranno avviarsi più rapidamente, senza dover attendere un iter giudiziario. Questo significa che il blocco di un conto o il taglio dello stipendio potrebbe arrivare nel giro di pochi giorni, lasciando al debitore un margine molto ristretto per reagire.

Educazione finanziaria

In un sistema che diventa ogni giorno più rapido ed efficiente nell’esecuzione dei debiti, la vera protezione del cittadino comincia prima dell’arrivo dell’atto di intimazione: passa attraverso l’educazione finanziaria. Saper leggere una situazione economica, capire le priorità dei pagamenti e organizzare i propri flussi di cassa sono oggi competenze fondamentali, anche per chi non gestisce un’impresa.

Secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia, oltre il 40% degli italiani ha difficoltà a comprendere concetti base come tasso di interesse, inflazione e bilancio personale. In questo contesto, una riforma come quella appena varata rischia di colpire duramente proprio chi è meno preparato e più vulnerabile.

Per questo motivo, diverse realtà stanno promuovendo iniziative concrete:

  • La Settimana dell’Educazione Finanziaria, promossa dal MEF e da Banca d’Italia, offre strumenti gratuiti per imparare a gestire il bilancio familiare e il debito.

  • Associazioni come Adiconsum, Federconsumatori e Adusbef mettono a disposizione sportelli di consulenza e guide pratiche per affrontare situazioni di indebitamento.

  • Alcuni Comuni e Regioni italiane stanno avviando progetti di microcredito e prevenzione del sovraindebitamento, con supporto anche psicologico.

Inoltre, sempre più scuole e università stanno introducendo moduli di educazione finanziaria, consapevoli che prevenire è meglio che curare.

Saper leggere un atto legale, capire le implicazioni di un mancato pagamento e conoscere i propri diritti è ormai un obbligo civico, oltre che una forma di protezione contro il pignoramento.

Conclusione

La riforma dei pignoramenti, in vigore da novembre 2025, cambia radicalmente il rapporto tra creditore e debitore: rende tutto più rapido, meno filtrato e potenzialmente più efficace per chi vanta un credito. Ma al tempo stesso, espone chi si trova in difficoltà economica a rischi enormi, anche per importi di poche centinaia di euro.

In un contesto dove l’intervento del giudice viene eliminato, diventa essenziale che ogni cittadino:

  • sappia riconoscere un atto di intimazione ad adempiere;

  • conosca i propri diritti e i tempi di reazione;

  • si muova rapidamente per evitare il blocco dei propri beni.

Oggi più che mai, prevenire è la miglior difesa: chi ha debiti deve attivarsi subito, valutando strumenti di protezione patrimoniale, accordi stragiudiziali con i creditori o soluzioni di rinegoziazione. In caso di notifica, invece, è fondamentale non ignorare l’atto ricevuto e rivolgersi immediatamente a un professionista.

Allo stesso tempo, serve un intervento normativo che ricomponga l’equilibrio tra efficienza e garanzie, evitando che la semplificazione si traduca in ingiustizia. La giustizia civile non può trasformarsi in un algoritmo: il diritto alla difesa resta un principio irrinunciabile.

Pignoramento per debiti fiscali: la Cassazione gela i correntisti con la trappola dei 60 giorni

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Il pignoramento del conto corrente è una delle misure più temute dai contribuenti in difficoltà con il Fisco. Fino a oggi, molti ritenevano di essere protetti da un periodo “cuscinetto” di 60 giorni, utile per pagare o rateizzare il debito prima che l’Agenzia delle Entrate Riscossione potesse agire in modo diretto e aggressivo. Tuttavia, una recente sentenza della Cassazione ha completamente ribaltato questo schema, introducendo un’interpretazione che lascia poco spazio all’intervento del debitore.
La Suprema Corte ha stabilito che, una volta trascorsi i 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale, il pignoramento può scattare anche senza ulteriori avvisi, né notifiche preventive. Una “trappola” legale che può colpire in modo silenzioso e improvviso, trovando il correntista impreparato.

In questo articolo approfondiremo cosa prevede la normativa vigente in tema di pignoramento per debiti fiscali, qual è l’impatto concreto della sentenza n. 21767/2024 della Cassazione, quali sono i diritti del contribuente e soprattutto come tutelarsi e prevenire blocchi improvvisi del conto corrente.

Un tema di enorme attualità, che interessa milioni di italiani e che impone una seria riflessione su diritti, procedure e strumenti di difesa contro la riscossione coattiva.

La trappola invisibile dei 60 giorni

Immagina questa scena: ricevi una notifica di pignoramento sul tuo conto corrente da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Un incubo. Controlli il saldo: è a zero, o magari addirittura in rosso. Tiri un sospiro di sollievo pensando: “Non possono prendere nulla”. Sbagliato. Drammaticamente sbagliato.
Da quel momento, per sessanta lunghissimi giorni, il tuo conto si trasforma in una scatola vuota pronta a inghiottire ogni centesimo che vi entrerà. Lo stipendio? Sparito. Un bonifico in arrivo? Prelevato. Qualsiasi somma transiti sul conto dopo il pignoramento verrà automaticamente vincolata e successivamente trasferita al Fisco.

Questa è la conseguenza diretta e brutale della sentenza n. 28520 del 27 ottobre 2025 (Terza Sezione Civile della Cassazione), che ha riscritto le regole del pignoramento esattoriale speciale, quello previsto dall’art. 72-bis del DPR 602/1973.
Secondo la Suprema Corte, la banca – in quanto terzo pignorato – non solo deve congelare le somme presenti, ma ha anche l’obbligo di custodire e consegnare tutto ciò che viene accreditato nei 60 giorni successivi alla notifica, come disposto dall’art. 546 del Codice di Procedura Civile.

Una vera e propria “gabbia fiscale”, nella quale ogni euro maturato dopo il pignoramento è destinato al Fisco, senza possibilità di opporsi o interloquire con l’agente della riscossione.

Il “tempo di cattura”

La sentenza della Cassazione n. 28520/2025 non lascia spazio a dubbi o interpretazioni fantasiose: i 60 giorni concessi alla banca dopo la notifica dell’ordine di pagamento diretto dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione non rappresentano una finestra di tolleranza, ma un vero e proprio “periodo di cattura”.
In gergo giuridico si parla di spatium deliberandi, cioè il lasso di tempo previsto dall’articolo 72-bis del DPR 602/1973entro cui la banca dovrebbe “deliberare” sull’adempimento. Ma la Cassazione chiarisce che non si tratta affatto di un tempo di riflessione, bensì di un arco temporale vincolante, durante il quale ogni somma che affluisce sul conto è automaticamente destinata al Fisco.

Il vincolo di custodia, previsto dall’art. 546 del Codice di procedura civile, scatta immediatamente e si estende a “crediti futuri ed eventuali”. Tradotto: non importa se al momento della notifica il conto è vuoto o in rosso. Se esiste il conto corrente, tutto ciò che vi entra nei successivi 60 giorni è aggredibile dall’agente della riscossione.
E non si salva nulla: lo stipendio, i bonifici occasionali, persino le somme provenienti da terzi. La Corte è chiarissima nel suo principio di diritto: il saldo attivo va versato anche se maturato dopo il pignoramento, senza che ciò possa essere limitato da quanto già presente sul conto al momento della notifica.

Irrilevante il conto in rosso

Forse è questo l’aspetto più sconvolgente della recente pronuncia della Cassazione: non importa se il conto corrente sia in rosso al momento della notifica dell’atto di pignoramento.
Molti contribuenti, fino a oggi, si sentivano “al sicuro” in presenza di un conto incapiente, ritenendo che un saldo negativo fosse sinonimo di impignorabilità. Ma la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28520/2025, ha demolito questa convinzione, affermando un principio nuovo e molto chiaro: il pignoramento esattoriale “speciale” guarda al futuro, non al presente.

Il meccanismo previsto dall’articolo 72-bis del DPR 602/1973 è costruito su un vincolo “in attesa”, che si attiva anche se il conto è a zero o addirittura con saldo negativo. Basta che il conto esista.
Appena una somma – anche minima – vi affluisce, questa viene automaticamente congelata dalla banca, la quale è tenuta a custodirla per poi trasferirla all’agente della riscossione.
Il vincolo rimane attivo per 60 giorni, e ogni euro che entra è destinato a essere prelevato fino al raggiungimento del debito oggetto del pignoramento.

Questa interpretazione rafforza il carattere esecutivo immediato del pignoramento fiscale e pone il contribuente in una posizione di estrema vulnerabilità, specie se ignaro del meccanismo o impossibilitato a intervenire tempestivamente.

Obblighi e conseguenze

La sentenza della Cassazione n. 28520/2025 prende spunto da un caso concreto, emblematico della confusione che può generarsi tra istituti di credito, contribuenti e Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Una banca, dopo aver ricevuto un pignoramento fiscale ai sensi dell’art. 72-bis del DPR 602/1973, aveva provveduto a versare non solo il saldo disponibile al momento della notifica, ma anche tutte le somme affluite sul conto nei successivi 60 giorni.
Tale operazione aveva comportato una segnalazione negativa in Centrale Rischi presso la Banca d’Italia per il correntista, il quale si era trovato esposto nei confronti dell’istituto per effetto dell’addebito automatico delle somme vincolate.

La Cassazione, però, ha confermato la correttezza dell’operato della banca. La Terza Sezione Civile ha ribadito che l’istituto non ha margini discrezionali: in base all’articolo 546 del Codice di procedura civile, è obbligato a custodire e poi trasferire al Fisco tutte le somme transitate sul conto entro i 60 giorni.
In pratica, per quel lasso di tempo, il conto corrente non appartiene più realmente al titolare, ma si trasforma in una stazione di passaggio obbligata verso le casse pubbliche.

Un doppio fuoco che mette la banca tra le esigenze del Fisco e la fiducia dei propri clienti, spesso ignari del fatto che ogni accredito effettuato in quei 60 giorni non sarà disponibile per le loro esigenze personali o aziendali.

Prevenzione e reazione

Il quadro delineato dalla Cassazione è chiaro: il pignoramento esattoriale è uno strumento rapido, automatico e difficile da contrastare una volta attivato. Tuttavia, ciò non significa che il contribuente sia completamente indifeso. La strategia migliore resta sempre la prevenzione, che inizia non appena si riceve la cartella esattoriale.
Infatti, i famosi 60 giorni non iniziano con il pignoramento, ma con la notifica della cartella di pagamento: è in questo intervallo che è possibile intervenire.

Ecco le principali vie per evitare il blocco del conto:

  • Pagare entro 60 giorni dalla cartella: se il debito viene saldato subito, il rischio di pignoramento viene annullato.

  • Rateizzare tempestivamente: la richiesta di rateizzazione, se accettata, sospende le azioni esecutive.

  • Presentare ricorso o istanza di autotutela: in caso di errori o contestazioni sul merito del debito, è possibile attivare una difesa legale o amministrativa.

  • Verificare la regolarità della notifica: molte azioni della riscossione sono viziate da notifiche irregolari, che possono rendere illegittimo il pignoramento.

  • Controllare la prescrizione del credito: alcuni tributi possono decadere se l’ente non agisce nei tempi previsti dalla legge.

È fondamentale agire tempestivamente, possibilmente con l’assistenza di un commercialista o legale esperto in contenzioso tributario. Attendere che arrivi l’atto di pignoramento significa trovarsi già in una posizione quasi irreversibile.

Pignoramento e casi particolari

Il pignoramento esattoriale può colpire qualsiasi tipo di rapporto bancario o finanziario intestato al debitore. Tuttavia, ci sono alcune situazioni particolari che meritano attenzione, perché possono attenuare o complicare gli effetti del pignoramento. Vediamole nel dettaglio.

Conto cointestato

Quando il conto è cointestato (ad esempio tra coniugi o familiari), il pignoramento non blocca l’intero saldo, ma solo la quota parte riconducibile al debitore. Generalmente si presume una suddivisione al 50%, salvo prova contraria.
Tuttavia, la banca – per evitare responsabilità – può bloccare l’intero importo, lasciando ai cointestatari l’onere di contestare il pignoramento presso il giudice competente.

Stipendio e pensione accreditati sul conto

Anche gli stipendi e le pensioni, una volta accreditati sul conto corrente, perdono la loro natura di “reddito impignorabile” e diventano aggredibili come qualsiasi altra somma, fino al limite del pignoramento previsto.
La legge tutela queste entrate solo prima dell’accredito: se il pignoramento avviene presso il datore di lavoro o l’INPS, si applicano i limiti (es. 1/5). Ma se lo stipendio viene accreditato sul conto già pignorato, può essere interamente prelevato, entro i 60 giorni.

Limiti al pignoramento

Restano impignorabili:

  • somme inferiori a 1.000 euro sul conto (salvo cumulo);

  • assegni di maternità, indennità di accompagnamento e simili;

  • importi destinati a scopi specifici, se dimostrabili.

La conoscenza di questi dettagli può fare la differenza tra perdere tutto e salvare almeno una parte del proprio patrimonio.

Paralisi finanziaria totale

Il pignoramento del conto corrente non è solo un problema giuridico o fiscale: è una vera e propria paralisi finanziariache può compromettere gravemente la gestione della vita quotidiana e dell’attività lavorativa.
Dal momento in cui la banca riceve l’ordine di pagamento diretto dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, l’accesso alle somme depositate viene bloccato e il contribuente non può più disporre liberamente dei propri fondi. La banca agisce come un esecutore passivo: congela il denaro e lo trasferisce al Fisco.

Ma gli effetti non si fermano qui:

  • Carte di debito e credito disattivate: molti istituti sospendono automaticamente l’operatività della carta collegata al conto, rendendo impossibili prelievi, pagamenti POS e online.

  • Domiciliazioni bancarie rifiutate: bollette, affitti, mutui o altri addebiti automatici vengono respinti, con conseguenti more e segnalazioni come cattivo pagatore.

  • Inaccessibilità ai bonifici in entrata: anche i bonifici di terzi (stipendi, clienti, familiari) vengono trattenuti, generando un effetto domino di insolvenza su altri obblighi.

  • Problemi reputazionali e creditizi: in caso di sconfinamento o scoperti, la banca può procedere con segnalazioni in Centrale Rischi, danneggiando la possibilità di ottenere prestiti futuri.

Per un libero professionista o un imprenditore, il blocco del conto può significare la fine operativa dell’attività, con fatture non incassate, fornitori non pagati e clienti in fuga.
E tutto può accadere senza ulteriori avvisi, dopo i 60 giorni dalla cartella, anche per debiti relativamente modesti.

Strategie preventive:

Prevenire è meglio che curare, soprattutto quando si parla di pignoramenti fiscali. Una volta che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione attiva la procedura, i margini di manovra sono ristretti. Ecco perché adottare strategie preventive intelligenti e legali è essenziale per proteggere i propri conti, la propria liquidità e il proprio patrimonio.
Di seguito, alcune azioni concrete e consigli pratici da adottare per anticipare il Fisco e tutelarsi in tempo utile.

1. Monitoraggio attivo della propria posizione fiscale

Accedere regolarmente al cassetto fiscale e al portale di Agenzia Entrate-Riscossione permette di verificare la presenza di debiti iscritti a ruolo, avvisi, cartelle o intimazioni. Prima arriva la consapevolezza, più è possibile agire.

 2. Rateizzazione tempestiva

Non aspettare che la cartella scada: attiva subito un piano di rate. Anche solo la richiesta di rateizzazione sospende le azioni esecutive e può evitare il blocco dei conti.

 3. Frazionamento dei conti e gestione separata

Può essere utile non concentrare tutta la liquidità in un solo conto, magari usando conti secondari per gestioni diverse (es. azienda / famiglia). Questo non aggira la legge, ma riduce i danni di un blocco totale.

 4. Attenzione ai cointestati

Un conto cointestato può offrire una (parziale) tutela, ma non è esente da rischi. Serve documentazione per dimostrare che le somme non appartengono al debitore.

 5. Collaborare con un commercialista

Un bravo consulente fiscale può aiutarti a prevedere e risolvere criticità prima che diventino problemi gravi: rate, istanze, rottamazioni, saldo e stralcio, contestazioni su prescrizione o su notifiche.

Conclusione

Il pignoramento fiscale sul conto corrente non è un evento improvviso, ma la conseguenza diretta di un processo che parte molto prima: dalla notifica della cartella esattoriale fino allo scadere dei 60 giorni concessi al contribuente. La sentenza n. 28520/2025 della Cassazione ha confermato che, una volta superato questo termine, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può agire in modo rapido, silenzioso e devastante.
Non serve più alcun avviso, nessun ulteriore passaggio: il conto viene bloccato e ogni somma che vi entra può essere assorbita dal Fisco.

Proprio per questo, oggi più che mai, è fondamentale essere informati, proattivi e affiancati da professionisti esperti. Capire come funziona il pignoramento fiscale, conoscere i propri diritti e muoversi in tempo può fare la differenza tra un semplice debito e un disastro finanziario.

Non aspettare l’atto di pignoramento per agire.Monitora la tua posizione fiscale, pianifica con attenzione la gestione bancaria, chiedi una consulenza qualificata e costruisci una strategia di protezione patrimoniale su misura. Perché con il Fisco, giocare d’anticipo non è un’opzione: è una necessità.

Turismo 2025: contributi e agevolazioni per alloggi destinati ai lavoratori – Il decreto con fondi fino al 50%

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Il settore turistico è uno dei pilastri fondamentali dell’economia italiana, ma tra le difficoltà strutturali che da anni ostacolano la crescita delle imprese ricettive vi è un problema sempre più pressante: la carenza di alloggi a condizioni sostenibili per i lavoratori stagionali e dipendenti del comparto. Con l’entrata in vigore del Decreto 18 settembre 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 ottobre 2025, il Ministero del Turismo introduce finalmente un pacchetto strutturato di agevolazioni per affrontare questa criticità.

Parliamo di contributi a fondo perduto, agevolazioni per la locazione e interventi di riqualificazione immobiliare, dedicati alle imprese turistiche che desiderano offrire alloggi adeguati ai propri lavoratori. L’obiettivo? Sostenere la competitività delle strutture, garantire manodopera qualificata e ridurre il turnover, agevolando al contempo il reperimento di personale anche nelle aree più care o con elevato flusso turistico.

Con uno stanziamento complessivo di oltre 120 milioni di euro fino al 2027, il provvedimento si configura come un’opportunità concreta per risparmiare, investire e valorizzare il capitale umano nel turismo.

Nel corso dell’articolo analizzeremo nel dettaglio i contributi in conto capitale, destinati alla ristrutturazione e realizzazione di alloggi per i lavoratori del settore turistico. Approfondiremo anche i contributi per le spese di locazione, previsti per sostenere direttamente gli affitti di immobili destinati al personale. Verranno poi illustrate le regole di accesso, i criteri di valutazione, i controlli previsti e le condizioni da rispettare per mantenere le agevolazioni. Infine, esamineremo le opportunità fiscali connesse al decreto, utili per ottimizzare il carico tributario delle imprese beneficiarie.

Contributi in conto capitale

Il Decreto 18 settembre 2025, attuativo dell’art. 14 del D.L. n. 95/2025, introduce un importante incentivo per le imprese turistiche che vogliono investire nella creazione o riqualificazione di alloggi destinati ai propri dipendenti. Si tratta di contributi in conto capitale che coprono dal 30% fino al 50% delle spese ammissibili, destinati a finanziare interventi edilizi e impiantistici mirati al miglioramento dell’offerta abitativa per i lavoratori del comparto.

Chi può beneficiare dei contributi?

Sono ammesse tutte le imprese del settore turistico con i codici ATECO elencati nella Tabella 1 del decreto: strutture ricettive (hotel, villaggi, campeggi, B&B, rifugi), pubblici esercizi (bar, ristoranti), attività ricreative, centri benessere e termali. Le imprese devono:

  • Avere sede legale e operativa in Italia;

  • Essere in regola con obblighi contributivi, fiscali e ambientali;

  • Non trovarsi in stato di fallimento o liquidazione;

  • Disporre dell’immobile oggetto dell’intervento, anche in locazione;

  • Impegnarsi a destinare l’alloggio esclusivamente ai dipendenti per almeno 9 anni, a canoni inferiori del 30% rispetto al mercato.

Cosa si può finanziare?

Gli investimenti devono riguardare immobili già esistenti o porzioni autonome, con un minimo di 10 posti letto. Sono ammissibili:

  • Lavori di riqualificazione e ammodernamento;

  • Interventi per l’efficienza energetica (es. impianti rinnovabili, isolamento, climatizzazione smart);

  • Spese per arredi e impianti fino al 30% del totale.

Il valore dell’investimento dev’essere tra 500.000 e 5 milioni di euro, da realizzare entro 24 mesi dalla concessione.

Quanto si può ottenere?

La base del contributo è del 30%, incrementabile fino a un massimo del 50% in base a:

  • Dimensioni d’impresa: +20% piccole imprese, +10% medie;

  • Miglioramento energetico ≥40%: +15%;

  • Localizzazione in aree assistite UE (art. 107 TFUE): +15% o +5%.

Contributi per la locazione di alloggi 

Oltre agli investimenti strutturali, il Decreto 18 settembre 2025 offre un importante sostegno diretto ai costi di locazione degli alloggi destinati al personale dipendente delle imprese turistiche. In particolare, il Titolo III del provvedimento prevede contributi in conto esercizio a copertura parziale dell’affitto di immobili da destinare ai lavoratori del settore turistico-ricettivo, con l’obiettivo di migliorare l’accesso alla casa nelle località a forte vocazione turistica, spesso caratterizzate da alti canoni di mercato.

Chi può accedere al contributo?

I beneficiari sono gli stessi indicati per i contributi in conto capitale, ovvero le imprese operanti nei settori dell’ospitalità, della ristorazione e dei servizi ricreativi. Tuttavia, per accedere a questo incentivo, è necessario che:

  • L’impresa sostenga direttamente i costi di locazione degli immobili;

  • Gli alloggi siano nella stessa provincia della struttura ricettiva o comunque entro un raggio di 40 km;

  • L’alloggio sia nella disponibilità dell’impresa (in proprietà o in affitto regolarmente registrato);

  • L’alloggio sia funzionale entro 24 mesi dalla presentazione della domanda.

Quanto si può ottenere?

Il contributo previsto è:

  • Fino a 3.000 euro all’anno per ogni posto letto;

  • Per una durata minima di 5 anni e fino a massimo 10 anni.

Qual è l’intensità dell’aiuto?

Il contributo copre una percentuale dei costi di locazione, con una differenziazione in base alla dimensione dell’impresa:

  • Fino al 50% dei costi per le PMI;

  • Fino al 15% dei costi per le grandi imprese.

Tutti i contributi devono comunque rispettare le condizioni previste dal Regolamento UE n. 651/2014 (Regolamento GBER), art. 29, sugli aiuti di Stato compatibili con il mercato interno.

Questa misura rappresenta un’occasione strategica per fidelizzare il personale, contenere il turnover e incentivare l’impiego di lavoratori stagionali anche in aree con mercato immobiliare difficile o inaccessibile.

Procedure e controlli

L’accesso ai contributi previsti dal Decreto 18 settembre 2025 sarà regolato da procedure pubbliche trasparenti, gestite in modalità interamente telematica. Le imprese interessate dovranno presentare domanda online, seguendo le modalità che saranno indicate negli avvisi pubblici emanati dal Ministero del Turismo o da un soggetto gestore incaricato.

Due modalità di accesso differenti

Il decreto prevede due diverse tipologie di procedura, a seconda della natura del contributo:

  • Valutativa a graduatoria per i contributi in conto capitale (cioè per gli investimenti strutturali);

  • A sportello per i contributi in conto esercizio (cioè per la locazione di alloggi).

Nel primo caso, le domande verranno valutate in base a criteri di merito, con punteggi da 0 a 100. Saranno finanziate solo le richieste che raggiungeranno almeno 50 punti, fino ad esaurimento delle risorse disponibili, seguendo l’ordine cronologico di presentazione.

Attenzione ai controlli: quando si può perdere il contributo

Il Ministero del Turismo, o il soggetto gestore incaricato, potrà effettuare verifiche e controlli in qualsiasi fase, dalla presentazione della domanda fino alla rendicontazione finale.

I contributi potranno essere revocati totalmente o parzialmente in caso di:

  • Dichiarazioni false o mendaci nella domanda;

  • Violazione dei vincoli di destinazione degli immobili (5 anni per locazione, 9 anni per investimenti);

  • Perdita della disponibilità dell’alloggio (es. fine contratto senza sostituzione);

  • Infrazioni alle normative su lavoro, edilizia, ambiente, sicurezza, ecc.

Le imprese dovranno quindi non solo essere in regola al momento della domanda, ma mantenere i requisiti e gli impegni per tutta la durata del contributo.

Strategia strutturale

Le misure introdotte dal Decreto 18 settembre 2025 non rappresentano solo un aiuto economico alle imprese, ma una strategia strutturale per risolvere una delle principali criticità del settore turistico: la difficoltà di reperire e trattenere personale qualificato, soprattutto nelle zone a forte pressione immobiliare o a vocazione stagionale.

In molte aree turistiche italiane i canoni elevati scoraggiano i lavoratori, rendendo complicato trovare manodopera disponibile nei periodi di picco. Con queste agevolazioni, lo Stato incentiva le imprese a farsi carico dell’alloggio per il personale, migliorando così la competitività, la stabilità occupazionale e la qualità dei servizi offerti.

Non a caso, la norma nasce dall’articolo 14 del Decreto-Legge n. 95/2025, convertito con modifiche nella Legge n. 118/2025, che riconosce l’urgenza di “assicurare condizioni di accesso alla casa per il personale dipendente delle imprese turistiche e della somministrazione di alimenti e bevande”. È un riconoscimento importante, che eleva l’abitare a elemento centrale della sostenibilità del lavoro nel settore turistico.

Con un budget complessivo di 44 milioni di euro per il 2025 e 38 milioni di euro annui per il 2026 e il 2027, i contributi rappresentano un volano per:

  • Riqualificare il patrimonio edilizio inutilizzato o degradato;

  • Stimolare investimenti privati con un impatto diretto sul benessere dei lavoratori;

  • Creare legami più stabili tra impresa e dipendente, riducendo l’impatto negativo del turnover.

Vantaggi fiscali, economici e strategici 

Accedere alle agevolazioni previste dal Decreto 18 settembre 2025 non significa soltanto ottenere un contributo economico: per le imprese del settore turismo, si tratta di un’opportunità concreta di ottimizzazione fiscale e di posizionamento competitivo sul mercato del lavoro.

1. Vantaggi fiscali

I contributi, sia in conto capitale che in conto esercizio, non costituiscono reddito imponibile ai fini IRES e IRAP, in base a quanto previsto dall’art. 88 del TUIR, se correlati a investimenti strumentali e a spese sostenute per l’attività d’impresa. Inoltre:

  • Gli ammortamenti relativi agli interventi edilizi e impiantistici restano deducibili;

  • Le spese di locazione restano deducibili ai fini IRES, anche se parzialmente rimborsate tramite contributo;

  • Le eventuali spese per arredi, impianti e attrezzature rientrano nella deducibilità ordinaria secondo i coefficienti ministeriali.

In sostanza, il contributo agisce in aggiunta e non in sostituzione dei vantaggi fiscali previsti per le spese sostenute, migliorando la posizione reddituale dell’impresa.

2. Vantaggi economici

Sul piano economico, l’effetto leva dell’agevolazione è evidente:

  • Riduzione fino al 50% del costo di realizzazione o gestione degli alloggi;

  • Migliore gestione del costo del lavoro indiretto, grazie alla fidelizzazione del personale;

  • Possibilità di offrire benefit abitativi al personale, valorizzando il pacchetto retributivo.

Un’impresa che riesce a offrire alloggio a canoni agevolati ai propri dipendenti riduce il rischio di turnover, aumenta l’attrattività delle posizioni aperte e migliora l’operatività nei periodi di alta stagione.

3. Vantaggi strategici

Infine, c’è un elemento strategico di lungo periodo: gli alloggi riqualificati rimangono nel patrimonio o nella disponibilità dell’impresa per almeno nove anni, creando valore durevole. Inoltre, la presenza di alloggi dedicati al personale permette di:

  • intervenire più rapidamente in caso di urgenze lavorative;

  • offrire soluzioni logistiche nei territori a domanda abitativa critica;

  • posizionarsi come impresa attenta al benessere e alla qualità del lavoro.

In un settore in cui la competitività si gioca sempre più sulla capacità di attrarre e trattenere risorse umane, queste misure possono fare la differenza.

Come accedere ai contributi

L’ottenimento dei contributi previsti dal Decreto 18 settembre 2025 richiederà preparazione tecnica, documentale e strategica, considerando la competitività delle procedure (in particolare per i contributi in conto capitale a graduatoria). Le imprese interessate dovrebbero iniziare da subito a predisporre gli elementi fondamentali per non trovarsi impreparate al momento della pubblicazione degli avvisi.

Documenti e requisiti da verificare

Per essere ammesse alle agevolazioni, le imprese devono assicurarsi di avere:

  • Situazione contributiva regolare (DURC in regola);

  • Assenza di pendenze fiscali o violazioni ambientali e di sicurezza;

  • Disponibilità legale dell’immobile (proprietà o contratto registrato);

  • Piano di investimento dettagliato con indicazione delle spese ammissibili;

  • Progetto tecnico per la riqualificazione o dichiarazione funzionalità per l’alloggio locato;

  • Rispetto dei vincoli di destinazione e dei requisiti dimensionali (es. numero posti letto).

Per i contributi a fondo perduto (in conto capitale), è fondamentale predisporre un business plan dettagliato, corredato da:

  • Computo metrico estimativo;

  • Relazione tecnica illustrativa;

  • Piano temporale degli interventi;

  • Proiezione dei benefici occupazionali ed energetici.

Strategie per aumentare le possibilità di successo

  • Iniziare subito la progettazione con professionisti abilitati (architetti, ingegneri, commercialisti);

  • Verificare la coerenza del codice ATECO con quelli ammessi dal decreto (Tabella 1);

  • Raccogliere preventivi dettagliati per ogni voce di spesa;

  • Simulare il punteggio per verificare in anticipo le possibilità di superare la soglia minima (50/100);

  • Predisporre una dichiarazione d’impegno al rispetto dei vincoli temporali (5 o 9 anni).

Tempistiche

Sebbene i bandi operativi non siano ancora stati pubblicati, si prevede che la prima finestra sarà attivata entro la fine del 2025, con successivi scaglioni nel 2026 e 2027. Il fondo è annuale, e pertanto le risorse non utilizzate andranno perse se non allocate tempestivamente.

Consiglio operativo: affidati a un commercialista esperto in finanza agevolata e incentivi pubblici per seguire la procedura e ottimizzare la rendicontazione, evitando errori che potrebbero portare alla revoca del contributo.

Conclusione

Il Decreto del Ministero del Turismo del 18 settembre 2025 rappresenta una svolta concreta per il settore turistico italiano, non solo dal punto di vista economico ma anche sociale e occupazionale. Garantire alloggi dignitosi e accessibili ai lavoratori del comparto non è più un’opzione, ma una necessità strategica per assicurare stabilità, qualità e continuità ai servizi turistici, soprattutto nelle destinazioni a maggiore pressione immobiliare.

Le imprese che scelgono di cogliere questa opportunità non solo migliorano il proprio posizionamento competitivo, ma investono nel capitale umano, attraggono manodopera qualificata e riducono il turnover. Il tutto con contributi fino al 50% delle spese, agevolazioni fiscali importanti e un quadro normativo chiaro e strutturato.

Con oltre 120 milioni di euro stanziati fino al 2027, il sistema di incentivi offre una finestra temporale concreta ma limitata. Pianificare in anticipo, preparare i documenti e affidarsi a consulenti esperti può fare la differenza tra ottenere il contributo o restarne esclusi.

Se operi nel turismo, nella ristorazione o nella ricettività, questo è il momento giusto per agire. L’alloggio del personale può diventare un vantaggio competitivo concreto, non solo un costo da sostenere.

Legge 398/1991 confermata: le associazioni di categoria e sindacali potranno usarla anche dopo il 2026

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Il 2026 rappresenta uno spartiacque fondamentale per il Terzo Settore italiano. Con la piena attuazione della Riforma del Terzo Settore, molte associazioni – in particolare quelle non iscritte al RUNTS – rischiavano di perdere i benefici di regimi fiscali agevolati, tra cui il noto regime forfetario ex Legge 398/1991. Tuttavia, un’importante apertura normativa chiarisce che le associazioni di categoria e sindacali potranno continuare ad applicare la 398/1991 anche oltre il 2026, garantendo loro una continuità fiscale cruciale per la sopravvivenza economica.

In questo articolo analizzeremo le novità introdotte dalla riforma e cosa cambia effettivamente dal 1° gennaio 2026, chi può continuare ad accedere alla 398/1991, le conseguenze per le associazioni non iscritte al RUNTS, i vantaggi fiscali ancora accessibili in forma legale e cosa conviene fare: iscriversi al RUNTS o restare fuori?

Un approfondimento essenziale per chi gestisce associazioni non profit, in particolare rappresentanze sindacali, di categoria e organismi associativi non riconosciuti nel Terzo Settore.

Cosa cambia dal 2026

Con l’entrata a regime della Riforma del Terzo Settore, prevista per il 1° gennaio 2026, cambierà radicalmente il panorama fiscale per le associazioni non iscritte al RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore). Una delle principali novità è l’abrogazione delle agevolazioni fiscali “trasversali” che fino ad oggi erano accessibili anche a enti non rientranti formalmente nel perimetro del Terzo Settore. Tra queste, era a rischio anche la possibilità di accedere al regime forfetario previsto dalla Legge 398/1991, un regime fiscale semplificato molto vantaggioso, particolarmente usato da associazioni sportive, culturali, musicali, ricreative e, appunto, anche da organizzazioni sindacali e di categoria.

Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che la 398/1991 resterà accessibile anche dopo il 2026 per alcune tipologie di associazioni non commerciali, tra cui le associazioni sindacali e di categoria. Queste organizzazioni, infatti, non rientrano nella categoria degli “enti del Terzo Settore” ma possono comunque godere del regime agevolato, purché rispettino determinati requisiti sostanziali e formali.

Questa apertura rappresenta una boccata d’ossigeno per migliaia di enti che, pur non essendo inquadrabili nel RUNTS, svolgono un ruolo sociale, culturale o rappresentativo di primaria importanza. Tuttavia, sarà fondamentale fare attenzione alla corretta qualificazione giuridica e fiscale dell’ente, per evitare contestazioni o decadenze dai benefici.

Chi potrà continuare a usare la Legge 398/1991 

Alla luce dell’approfondimento fornito, è chiaro che il legislatore ha previsto una distinzione fondamentale tra gli enti che decidono di iscriversi al RUNTS e quelli che restano fuori. La normativa, in particolare, non abroga la Legge 398/1991, ma ne limita l’utilizzo solo ad alcune categorie di enti non ETS, ossia non qualificati come Enti del Terzo Settore.

Potranno continuare ad accedere alla 398/1991 tutte le associazioni che, pur essendo senza scopo di lucro, non rientrano tra quelle tenute all’iscrizione nel RUNTS. Rientrano in questa casistica:

  • Associazioni sindacali e di categoria;

  • Enti associativi di natura politica o religiosa;

  • Enti non commerciali con finalità mutualistiche o di rappresentanza, riconosciuti o meno;

  • Altri soggetti che, pur svolgendo attività istituzionale e marginale, non perseguono finalità solidaristiche secondo quanto previsto dal Codice del Terzo Settore (D.Lgs. 117/2017).

Il principio è semplice ma decisivo: la 398/1991 sopravvive, ma diventa un regime “residuale” per coloro che non scelgono l’inquadramento come ETS. Questo perché la riforma punta a creare un sistema fiscale e amministrativo specifico e autonomo per gli ETS, ma lascia spazio – come eccezione – ad altri enti non profit, purché non svolgano attività commerciale prevalente e rispettino i limiti di legge (come il tetto di 400.000 euro di proventi annui).

L’aspetto più interessante è che l’applicazione della 398/1991 non è automatica: gli enti dovranno dichiararne l’adozione e conservare requisiti e documentazione idonea a dimostrare il rispetto delle condizioni previste, anche ai fini dell’eventuale accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

Perché le associazioni di categoria e sindacali non rientrano

Uno degli aspetti più discussi della riforma del Terzo Settore riguarda la definizione dei soggetti obbligati o facoltativi all’iscrizione nel RUNTS. Secondo quanto stabilito dal Codice del Terzo Settore (D.Lgs. 117/2017), solo gli enti che perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale possono essere qualificati come ETS. Questo esclude esplicitamente alcune tipologie di enti, tra cui le associazioni di categoria, le organizzazioni sindacali, le associazioni politiche e religiose.

Questi enti, pur potendo essere senza fini di lucro, non perseguono finalità solidaristiche in senso stretto, ma rappresentano gli interessi di specifiche categorie professionali, lavoratori o settori produttivi. La loro funzione è dunque più rappresentativa e contrattuale, piuttosto che assistenziale o solidaristica, il che li colloca fuori dal perimetro del Terzo Settore.

Proprio per questo motivo, il legislatore ha riconosciuto che tali enti non sono obbligati a iscriversi nel RUNTS, né devono sottostare ai nuovi obblighi contabili e gestionali previsti per gli ETS. Questo comporta due vantaggi principali:

  1. Continuità operativa senza dover modificare statuti o modelli organizzativi;

  2. Possibilità di mantenere il regime fiscale agevolato della Legge 398/1991, sempre che non svolgano attività commerciale prevalente e restino nei limiti previsti.

Questa distinzione giuridica è fondamentale: gli enti che non possono o non vogliono trasformarsi in ETS non sono automaticamente penalizzati, ma dovranno gestire con attenzione la propria posizione fiscale per continuare a godere dei benefici attualmente riconosciuti.

I vantaggi del regime 398/1991

Il regime fiscale previsto dalla Legge 398/1991 rappresenta da decenni uno degli strumenti più efficaci per la semplificazione fiscale degli enti non commerciali, in particolare per quelli con finalità associative, culturali, sindacali o ricreative. La sua utilità è ancora oggi evidente, motivo per cui la sua conservazione – anche dopo il 2026 – per le associazioni di categoria e sindacali è una scelta strategica di rilevanza fiscale ed economica.

Tra i principali vantaggi concreti del regime 398/1991, ricordiamo:

  • Semplificazione degli adempimenti contabili: non è obbligatoria la tenuta della contabilità ordinaria, bastano registri semplificati.

  • Forfetizzazione dell’imponibile IVA e delle imposte sui redditi: si applica un abbattimento forfettario dei proventi commerciali, generalmente pari al 3% ai fini IRES e con percentuali variabili per l’IVA.

  • Accesso agevolato alla raccolta pubblicitaria e sponsorizzazioni, con tassazione semplificata per le entrate derivanti da queste attività.

  • Riduzione del rischio di errori e sanzioni: meno adempimenti, meno esposizione a contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

La possibilità di continuare ad adottare questo regime anche dopo il 2026, per tutte le associazioni non ETS che ne hanno i requisiti, rappresenta un’importante forma di risparmio fiscale legale e di continuità nella gestione economica delle attività. In particolare, per le associazioni sindacali e di categoria – che spesso gestiscono progetti formativi, convenzioni, rapporti con enti pubblici o privati – mantenere la 398/1991 significa evitare l’aggravio burocratico e fiscale che l’inquadramento nel RUNTS comporterebbe.

I rischi per le associazioni non correttamente inquadrate 

Se da un lato la conferma dell’utilizzabilità della Legge 398/1991 per alcune associazioni rappresenta una buona notizia, dall’altro è fondamentale comprendere che non tutte le realtà associative potranno continuare a beneficiarne. La Riforma del Terzo Settore impone infatti un maggiore rigore nella qualificazione giuridica e fiscale degli enti. Questo significa che le associazioni che non adeguano i propri statuti, oppure che svolgono attività commerciale in modo prevalente, rischiano di perdere i benefici fiscali o, peggio, di incorrere in contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Dal 2026 in poi, la distinzione tra:

  • ETS (Enti del Terzo Settore) iscritti al RUNTS,

  • ed enti non commerciali “fuori RUNTS”,
    diventerà centrale per determinare quali regimi fiscali siano effettivamente accessibili.

In pratica:

  • Un’associazione che dovrebbe iscriversi al RUNTS (perché opera con finalità solidaristiche e riceve contributi pubblici) non potrà continuare ad applicare la 398/1991 se non si adegua.

  • Le associazioni di categoria e sindacali, che non rientrano nella definizione di ETS, potranno invece proseguire con la 398/1991, ma dovranno evitare attività commerciale prevalente e mantenere i requisiti sostanziali e formali previsti dal regime.

La mancata corretta qualificazione può portare a:

  • recupero fiscale su imposte e IVA non versate correttamente,

  • perdita dei benefici della 398/1991,

  • sanzioni per dichiarazioni infedeli.

Ecco perché, in vista del 2026, è essenziale una revisione accurata dello statuto e della contabilità da parte di un commercialista esperto in enti non profit, per evitare spiacevoli sorprese.

Iscriversi al RUNTS o restare fuori

La domanda che molte associazioni si stanno ponendo in vista del 2026 è: conviene iscriversi al RUNTS oppure è meglio restare fuori e mantenere il vecchio regime fiscale? La risposta non è uguale per tutti, ma dipende da diversi fattori giuridici, fiscali e operativi.

Iscriversi al RUNTS comporta certamente vantaggi:

  • accesso al 5 per mille e ad altre forme di finanziamento pubblico dedicate esclusivamente agli ETS;

  • riconoscimento giuridico e maggiore trasparenza verso soci, enti pubblici e privati;

  • possibilità di stipulare convenzioni e accreditamenti con la Pubblica Amministrazione.

Tuttavia, ciò comporta anche nuovi obblighi:

  • adeguamento dello statuto ai sensi del D.Lgs. 117/2017;

  • rendicontazione dettagliata e deposito dei bilanci su piattaforma pubblica;

  • maggiori adempimenti contabili e fiscali (inclusa la tenuta della contabilità ordinaria in molti casi).

Per le associazioni di categoria, sindacali, politiche o religiose, l’iscrizione al RUNTS non è prevista, quindi il dilemma non si pone. Per tutte le altre, invece sarà necessario valutare:

  • la natura delle attività svolte (istituzionali o commerciali?);

  • la composizione delle entrate (quote associative, sponsorizzazioni, vendita di beni/servizi?);

  • le prospettive di sviluppo futuro (collaborazioni con enti pubblici? accesso a bandi o finanziamenti?).

In sintesi, non esiste una soluzione valida per tutti: ogni ente dovrà effettuare un’analisi personalizzata, possibilmente con il supporto di un consulente fiscale esperto in Terzo Settore, per decidere se abbracciare la riforma o restare “fuori” mantenendo le agevolazioni residue, come la 398/1991.

Come prepararsi al 2026

Con l’avvicinarsi del 1° gennaio 2026, tutte le associazioni non profit devono iniziare un percorso di analisi e adeguamento, per evitare di trovarsi impreparate di fronte ai cambiamenti introdotti dalla riforma del Terzo Settore. Questo vale in particolare per quegli enti che non intendono iscriversi al RUNTS ma vogliono comunque continuare a beneficiare del regime 398/1991.

Ecco una checklist operativa utile per le associazioni sindacali, di categoria e simili:

  1. Verifica dello statuto: anche se l’iscrizione al RUNTS non è prevista, è consigliabile che lo statuto dell’ente sia aggiornato e coerente con l’attività realmente svolta. La chiarezza statutaria tutela l’associazione da contestazioni fiscali.

  2. Controllo dei proventi: il limite per applicare la 398/1991 resta fissato a 400.000 euro annui di proventi commerciali. È fondamentale monitorare costantemente le entrate per non superare questa soglia.

  3. Separazione delle attività: è consigliabile mantenere una separazione chiara tra attività istituzionali e attività commerciali, anche attraverso conti bancari dedicati e registri separati, per evitare presunzioni di commercialità da parte dell’Agenzia delle Entrate.

  4. Comunicazioni obbligatorie: l’opzione per il regime 398/1991 va comunicata all’Agenzia delle Entrate con modalità idonea (es. in sede di dichiarazione o con apposita opzione). È importante conservare copia di tutte le comunicazioni.

  5. Formazione del personale amministrativo: i volontari o collaboratori che gestiscono l’amministrazione devono essere aggiornati sulle nuove regole fiscali, per garantire la corretta applicazione del regime agevolato.

Questo approccio permette di preservare i benefici fiscali in modo legale e sicuro, assicurando continuità economica all’associazione anche nel nuovo contesto post-riforma.

Conclusione

Il 2026 sarà un anno di cambiamento profondo per il mondo associativo italiano, ma non per forza negativo. Le associazioni di categoria e sindacali che operano correttamente al di fuori del RUNTS potranno continuare a beneficiare del regime 398/1991, mantenendo così uno strumento prezioso per la gestione semplificata e sostenibile delle loro attività.

La chiave sarà la consapevolezza: conoscere la propria natura giuridica, comprendere le attività effettivamente svolte e valutare con attenzione se restare fuori dal Terzo Settore o cogliere le opportunità offerte dal RUNTS. In ogni caso, il futuro fiscale delle associazioni passerà da una gestione professionale, trasparente e strategica, in grado di coniugare legalità e sostenibilità economica.

L’elemento centrale per tutte le realtà associative sarà quindi l’analisi personalizzata della posizione fiscale. Ogni associazione è un caso a sé: ciò che conviene a un ente culturale potrebbe non essere vantaggioso per un sindacato, e viceversa.

Affidarsi a un commercialista esperto in enti non profit sarà il miglior investimento per evitare rischi, massimizzare i vantaggi fiscali e affrontare il 2026 con strumenti chiari e aggiornati.

Legge di Bilancio 2026: tutte le novità su tasse, imprese, famiglie e bonus fiscali

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La Legge di Bilancio 2026 è in arrivo, e con essa una serie di misure che cambieranno il volto della fiscalità italiana. Dopo il Consiglio dei Ministri del 14 ottobre 2025, il Governo ha cominciato a delineare i punti cardine della prossima manovra finanziaria. Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha presentato il Documento Programmatico di Bilancio (DPB), che anticipa i contenuti principali del disegno di legge, il quale sarà sottoposto all’approvazione parlamentare e al vaglio dell’Unione Europea.

Secondo quanto emerso, la manovra 2026-2028 avrà un impatto medio di circa 18 miliardi di euro annui, con priorità su interventi in ambito fiscale, sostegno al lavoro, politiche per la famiglia, sanità e pensioni. Il quadro macroeconomico è ancora incerto, tra rallentamenti della crescita e vincoli di bilancio stringenti, ma l’intento dichiarato è chiaro: sostenere la ripresa, contenere il debito e incentivare comportamenti virtuosi da parte di contribuenti e imprese.

Questo articolo analizza nel dettaglio i contenuti già noti e le implicazioni concrete per cittadini, lavoratori autonomi, imprese e professionisti.

Taglio IRPEF 2026

Tra le misure di maggiore impatto della Legge di Bilancio 2026 spicca la riduzione dell’IRPEF per il ceto medio, una promessa del Governo che prende finalmente forma. Come annunciato dal Ministro Giorgetti nel Documento Programmatico di Bilancio, la seconda aliquota IRPEF passerà dal 35% al 33%, con un effetto diretto sulle buste paga dei lavoratori dipendenti e autonomi con redditi medi. Il taglio produrrà un alleggerimento fiscale di circa 9 miliardi di euro nel triennio 2026-2028, contribuendo ad aumentare il potere d’acquisto in un contesto di inflazione ancora elevata.

L’intervento si inserisce nella più ampia riforma dell’imposta sui redditi già avviata a partire dal 2022, con l’obiettivo di semplificare le aliquote e rendere più equa la pressione fiscale. Oltre al taglio delle imposte, il Governo ha previsto per il 2026 anche uno stanziamento di 2 miliardi di euro per l’adeguamento dei salari al costo della vita, misura che potrebbe tradursi in incentivi alle imprese per aumentare gli stipendi o in forme di decontribuzione mirata.

Dal punto di vista del risparmio fiscale, questo taglio può rappresentare una concreta opportunità per lavoratori e famiglie: meno tasse trattenute in busta paga significa maggiore disponibilità di reddito da destinare a consumi, investimenti o previdenza integrativa.

Rottamazione Quinquies 2026

Accanto al taglio IRPEF, la Legge di Bilancio 2026 introduce un nuovo capitolo nella lunga storia delle sanatorie fiscali italiane: la Rottamazione Quinquies delle cartelle esattoriali. L’obiettivo è duplice: ridurre l’enorme magazzino debiti, oggi oltre i 1.300 miliardi di euro, e recuperare risorse da crediti effettivamente ancora esigibili, separandoli da quelli ormai irrecuperabili. Ma a differenza delle precedenti edizioni, il Governo punta su una rottamazione selettiva, più restrittiva e calibrata.

Secondo quanto emerso, il nuovo condono non sarà generalizzato: potrà essere riservato a categorie specifiche di contribuenti, come famiglie in difficoltà, partite IVA in crisi o piccoli imprenditori. È allo studio un limite massimo di importo, ad esempio sotto i 30.000 euro, oltre il quale non si potrà accedere alla misura. Inoltre, si valuta un saldo e stralcio parziale, dove il contribuente pagherebbe solo una parte del debito originario.

Un punto chiave è evitare l’“effetto premiale” verso chi non ha mai pagato: ecco perché si pensa all’introduzione di criteri di merito o reddito, escludendo i “debitori seriali”. La misura, inoltre, sta incontrando la resistenza di alcune Regioni, che chiedono di escludere i propri tributi locali dal perimetro del condono, temendo minori entrate nei bilanci regionali.

Dal punto di vista del contribuente, questa è un’occasione da non sottovalutare per regolarizzare la propria posizione fiscale a condizioni agevolate, riducendo il rischio di pignoramenti e azioni esecutive.

Regime Forfettario 2026

Il tema del regime forfettario torna prepotentemente alla ribalta con la Legge di Bilancio 2026. Dopo il tentativo fallito nella manovra del 2025, il Governo sta valutando nuovamente l’ipotesi di innalzare la soglia di accesso dagli attuali 85.000 euro a 100.000 euro di ricavi annui. Una misura che, se approvata, rappresenterebbe un importante passo avanti per freelance, professionisti e microimprese in regime agevolato, consentendo loro di mantenere la tassazione al 15% anche con fatturati più elevati.

Tuttavia, il nodo principale rimane il via libera dell’Unione Europea. Infatti, la direttiva IVA e le regole europee sul regime agevolato impongono limiti stringenti agli Stati membri per evitare distorsioni fiscali all’interno del mercato unico. Già nel 2025, un emendamento con questa proposta fu respinto per mancanza di compatibilità con i vincoli UE.

Dalle ultime anticipazioni, sembra che anche per il 2026 qualsiasi modifica sarà subordinata a un nulla osta di Bruxelles, senza il quale la norma non potrà essere inserita nel testo definitivo. Ciò significa che bisognerà ancora attendere chiarimenti ufficiali e verificare l’eventuale apertura da parte delle istituzioni europee.

In ogni caso, l’eventuale estensione della soglia del regime forfettario a 100.000 euro rappresenterebbe un’opportunità di risparmio fiscale considerevole, specialmente per i professionisti in crescita che rischiano di uscire dal regime a causa di pochi euro in più di fatturato.

Imprese al centro della Manovra 2026

La Legge di Bilancio 2026 prevede misure fiscali e incentivi importanti per le imprese, con un pacchetto di interventi che punta a sostenere gli investimenti, stimolare la crescita economica e incentivare comportamenti virtuosi. Il Governo ha stanziato 4 miliardi di euro per maggiorare il costo di acquisizione dei beni materiali, favorendo così un ammortamento fiscale più vantaggioso per chi investe in tecnologie, impianti e attrezzature.

Viene inoltre confermata e prorogata al 2026 la sterilizzazione della plastic tax e della sugar tax, rinviando ancora l’entrata in vigore di queste imposte contestate da molte imprese manifatturiere e del food & beverage.

Nel triennio 2026-2028 tornano protagoniste anche le Zone Economiche Speciali (ZES), con il mantenimento del credito d’imposta per gli investimenti e l’estensione delle misure, per 100 milioni di euro, alle Zone Logistiche Semplificate (ZLS).

Grande attesa infine per la piena attuazione dell’IRES premiale, prevista dalla Legge Delega Fiscale (L. 111/2023) e anticipata dal decreto ministeriale dell’8 agosto 2025. Questa misura consentirà alle imprese che non distribuiscono utili ma reinvestono almeno il 30% degli stessi in nuovi beni o assunzioni, di applicare un’aliquota IRES ridotta dal 24% al 20%. Un’opportunità concreta per le aziende che puntano sulla crescita interna e la creazione di occupazione.

Secondo il Vice Ministro Leo, l’agevolazione rappresenta “una forma di premialità legata al reddito e al reinvestimento dell’utile”, con l’obiettivo di rafforzare la solidità delle imprese italiane in ottica strutturale e non assistenziale.

Bonus casa e detrazioni edilizie

La Legge di Bilancio 2026 conferma una notizia attesa da moltissimi contribuenti: la proroga delle detrazioni fiscali per interventi edilizi anche per l’anno prossimo, alle stesse condizioni previste per il 2025. Nessun taglio, nessuna stretta – per ora – sui bonus casa ordinari, come il bonus ristrutturazioni al 50%, l’ecobonus e il bonus mobili.

Nonostante la progressiva uscita di scena del Superbonus, l’esecutivo ha deciso di mantenere attive le principali agevolazioni fiscali per la casa, in un’ottica di stabilizzazione del settore edilizio e di supporto alla riqualificazione energetica e strutturale degli immobili. In particolare, saranno ancora agevolabili le spese sostenute per:

  • manutenzione ordinaria e straordinaria,

  • interventi di efficientamento energetico,

  • installazione di impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica elettrica,

  • acquisto di mobili ed elettrodomestici per immobili oggetto di ristrutturazione.

Resta però centrale il tema della cessione del credito e dello sconto in fattura, su cui potrebbero arrivare ulteriori chiarimenti o modifiche nel testo definitivo della legge.

Il mantenimento dei bonus edilizi, seppur in forma “ordinaria”, offre ancora opportunità concrete di risparmio fiscale, soprattutto per chi pianifica interventi nei primi mesi del 2026, prima di eventuali revisioni normative. È consigliabile, quindi, agire tempestivamente, monitorando l’evoluzione della normativa e affidandosi a tecnici e consulenti aggiornati.

Fisco e imprese

Nel contesto della Legge di Bilancio 2026, il Governo punta con decisione su una serie di misure fiscali a favore delle imprese, con l’obiettivo dichiarato di stimolare investimenti, aumentare l’occupazione e migliorare la competitività del sistema produttivo italiano. Oltre all’IRES premiale, già trattata, si evidenziano altre leve importanti dal punto di vista tributario.

Una delle più significative è la maggiorazione del costo di acquisizione dei beni strumentali, che potrà essere portata in deduzione con un coefficiente agevolato, permettendo alle imprese di ammortizzare più rapidamente gli investimenti in macchinari, attrezzature, impianti e beni materiali. Questo tipo di incentivo, assimilabile a un superammortamento, ha un impatto diretto sulla base imponibile, riducendo l’utile fiscale e quindi l’imposta dovuta.

Confermati anche nel triennio i crediti d’imposta per le imprese che operano nelle Zone Economiche Speciali (ZES) e nelle Zone Logistiche Semplificate (ZLS), strumenti fondamentali per attrarre capitali e rilocalizzare attività produttive nel Mezzogiorno e in aree strategiche.

Un’altra misura allo studio riguarda la semplificazione del calendario fiscale e degli adempimenti tributari: si lavora a un coordinamento tra scadenze IVA, IRES, IRAP e IRPEF, per rendere la gestione fiscale più prevedibile e meno onerosa. Inoltre, si discute della possibilità di estendere l’utilizzo del modello precompilato IVA e redditi anche per le piccole imprese.

Queste azioni vanno nella direzione di un fisco più semplice e incentivante, orientato alla crescita interna e all’attrazione di investimenti esteri.

Misure per le famiglie

Uno dei pilastri della Legge di Bilancio 2026 sarà il potenziamento delle misure a favore delle famiglie, in linea con le priorità sociali indicate dal Governo. In un contesto demografico difficile e con un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa, l’esecutivo ha ribadito l’impegno a rafforzare il sistema del welfare familiare, aumentando le risorse disponibili per i nuclei con figli.

In particolare, si prevede un incremento delle risorse per l’Assegno Unico Universale, con possibili rimodulazioni per renderlo più generoso in favore dei redditi medio-bassi o delle famiglie numerose. Non è esclusa una revisione delle soglie ISEE e dei coefficienti di maggiorazione legati all’età dei figli, alla presenza di disabilità o alla condizione lavorativa dei genitori.

Sempre in ambito fiscale, potrebbe essere rivista anche la detrazione per figli a carico, che oggi resta in vigore solo per i figli con più di 21 anni o in casi specifici: un’armonizzazione con l’Assegno Unico è auspicata per semplificare il sistema.

Si discute inoltre della possibilità di introdurre un “bonus mamme lavoratrici”, ovvero un’agevolazione contributiva o fiscale destinata alle donne che rientrano al lavoro dopo la maternità, in linea con l’obiettivo di ridurre il gender gap e incentivare la partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Il Governo, infine, ha promesso una valutazione strutturale delle politiche familiari, con l’obiettivo di stabilizzare nel tempo i sostegni economici ed evitare interventi spot che creano incertezza.

Conclusioni

La Legge di Bilancio 2026 si configura come una manovra articolata, con interventi mirati per famiglie, lavoratori e imprese. Pur con risorse limitate, il Governo ha scelto di puntare su riduzioni fiscali selettive, incentivi agli investimenti e misure di sostegno al reddito, cercando un equilibrio tra vincoli europei e esigenze interne.

Per i contribuenti, è il momento di valutare con attenzione tutte le opportunità di risparmio fiscale: il taglio dell’IRPEF, le detrazioni edilizie prorogate, le nuove possibilità offerte dalla Rottamazione Quinquies e le agevolazioni per le imprese rappresentano leve importanti per ottimizzare la propria posizione fiscale.

Partite IVA e aziende, in particolare, dovranno seguire da vicino l’evoluzione dell’IRES premiale e delle agevolazioni per investimenti, mentre le famiglie potranno beneficiare di un rafforzato sistema di welfare, in attesa di ulteriori dettagli normativi.

Il consiglio è di pianificare già ora con un consulente fiscale le strategie per il 2026, anticipando le scelte in base alle misure già delineate nella manovra. In un contesto economico complesso, la corretta pianificazione resta l’unico vero strumento per risparmiare legalmente sulle tasse.

Cripto-attività e Fisco: cosa cambia da gennaio 2026 con la DAC-8 e la normativa MICAR

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Il mondo delle criptovalute cambia volto: dal 1° gennaio 2026 entra in vigore un nuovo impianto normativo che impatterà profondamente sugli operatori di cripto-attività. Il Consiglio dei Ministri ha approvato, l’8 ottobre, in via preliminare un decreto legislativo che recepisce la Direttiva DAC-8, ampliando i meccanismi di cooperazione amministrativa fiscale a livello europeo.

Tradotto in parole semplici: i gestori di cripto-attività, come exchange, piattaforme di trading e wallet provider, dovranno comunicare obbligatoriamente i dati delle operazioni effettuate dagli utenti.

La normativa estende lo scambio automatico di informazioni anche a meccanismi transfrontalieri complessi che coinvolgono persone fisiche ad alto patrimonio, al fine di contrastare più efficacemente l’evasione fiscale internazionale.

Questo articolo ti spiegherà cosa cambia, chi sarà coinvolto, come adeguarsi e soprattutto quali strategie attuare per evitare sanzioni e muoversi nel rispetto della legge, risparmiando legalmente sulle tasse. Un tema caldo che interessa migliaia di investitori e operatori del settore crypto in Italia.

Cos’è il DAC-8

La Direttiva DAC-8 (n. 2023/2226/UE), approvata a livello europeo nel 2023, rappresenta un cambio di passo epocale nella gestione fiscale delle cripto-attività. L’obiettivo della direttiva è quello di colmare il vuoto normativo che fino ad oggi ha reso difficile il controllo, la tracciabilità e la tassazione delle operazioni in criptovalute. Il nuovo schema di decreto legislativo italiano, approvato in via preliminare l’8 ottobre 2024, recepisce pienamente questa normativa e segna un rafforzamento del sistema di cooperazione amministrativa tra i Paesi membri dell’Unione Europea.

Con l’entrata in vigore della DAC-8, viene ampliato in modo significativo l’ambito dello scambio automatico di informazioni fiscali. Fino ad oggi, infatti, solo alcune categorie di reddito venivano scambiate tra le autorità fiscali (ad esempio redditi da lavoro o immobiliari). Dal 1° gennaio 2026, invece, tutti i redditi indicati nella DAC del 2011 – tra cui anche assicurazioni sulla vita, pensioni e redditi da proprietà – saranno soggetti a trasmissione automatica.

Ma la vera novità riguarda le cripto-attività. Per la prima volta, anche gli operatori del mondo crypto saranno obbligati a fornire report dettagliati delle operazioni effettuate dagli utenti, con dati completi di natura anagrafica, fiscale e operativa. Una misura che alza drasticamente il livello di trasparenza e controllo fiscale, superando gli standard già elevati del Common Reporting Standard (CRS) e spingendosi oltre le raccomandazioni del GAFI in materia di antiriciclaggio.

Obblighi per gli operatori crypto

Il 2026 sarà l’anno cruciale per gli operatori di cripto-attività. Infatti, a partire dal 1° gennaio 2026, tutti i prestatori di servizi crypto, come exchange, wallet provider, broker e piattaforme di scambio, saranno tenuti a trasmettere annualmente all’Agenzia delle Entrate un pacchetto di dati dettagliatissimo riguardante gli utenti e le operazioni effettuate.

I dati da comunicare includeranno:

  • Informazioni anagrafiche dei clienti (nome, cognome, indirizzo, codice fiscale, ecc.);

  • Dati fiscali completi (residenza ai fini fiscali, giurisdizione, ecc.);

  • Natura, quantità e tipologia delle operazioni effettuate, con riferimento specifico a scambi, conversioni, trasferimenti, depositi e prelievi.

L’obiettivo è duplice: da un lato, aumentare il livello di trasparenza fiscale nel mondo crypto, dall’altro, contrastare l’elusione e l’evasione fiscale internazionale, spesso veicolata attraverso transazioni digitali poco tracciabili.

Un aspetto fondamentale è che solo gli operatori autorizzati potranno continuare a operare. La normativa MICAR, in coordinamento con la DAC-8, impone infatti agli attuali e nuovi operatori di ottenere entro il 31 dicembre 2025 un’apposita autorizzazione, pena la sospensione dell’operatività. Chi oggi opera sotto regime nazionale OAM dovrà quindi adeguarsi al nuovo quadro europeo, ottenendo il via libera secondo gli articoli 60 e 63 del Regolamento UE 2023/1114.

Per evitare interruzioni nei servizi e sanzioni rilevanti, sarà fondamentale per ogni operatore crypto organizzarsi per tempo e iniziare il processo di regolarizzazione già nel corso del 2025.

Chi deve comunicare i dati

Il nuovo decreto legislativo italiano che recepisce la Direttiva DAC-8 individua con precisione i soggetti obbligati alla comunicazione fiscale. Si tratta dei cosiddetti “prestatori di servizi per le cripto-attività con obbligo di comunicazione”, suddivisi in due macro-categorie, come indicato nell’articolo 7 del decreto.

1. Prestatori autorizzati secondo il Regolamento UE 2023/1114

Rientrano in questa categoria:

  • Gli operatori autorizzati ai sensi dell’articolo 63 del Regolamento UE 2023/1114 da un’autorità statale dell’Unione;

  • Gli operatori che prestano servizi nel territorio italiano tramite notifica prevista dall’articolo 60 del medesimo Regolamento (cioè autorizzati in altro Stato UE, ma abilitati a operare in Italia).

2. Altri soggetti residenti o stabiliti in Italia

Anche se non autorizzati secondo le norme europee, devono comunicare i dati:

  • Le entità o persone fisiche residenti fiscalmente in Italia;

  • Le entità costituite in Italia, che abbiano personalità giuridica o obbligo di dichiarazione dei redditi;

  • Le entità gestite in Italia, ovvero sotto controllo operativo italiano;

  • Le entità o persone fisiche con sede abituale di attività nel territorio dello Stato.

La formulazione ampia del decreto garantisce che nessun operatore rilevante possa sottrarsi agli obblighi di trasparenza. Anche chi offre servizi decentralizzati ma mantiene una presenza sostanziale o stabile in Italia sarà potenzialmente soggetto alla normativa.

Inoltre, è importante evidenziare che l’elenco dei soggetti obbligati è suscettibile di aggiornamenti e chiarimenti nel corso del prosieguo dell’iter legislativo, attualmente in fase preliminare.

Impatto fiscale 

Con l’attuazione della DAC-8 e delle nuove disposizioni nazionali, il mondo delle cripto-attività entra definitivamente nel radar fiscale. L’Agenzia delle Entrate potrà accedere a un flusso costante e dettagliato di informazioni, che renderà molto più difficile omettere o sotto dichiarare i redditi derivanti da attività in criptovalute.

Gli investitori, in particolare, dovranno prestare grande attenzione alla dichiarazione dei proventi da cripto-attività, plusvalenze, interessi, e altri redditi, poiché le autorità fiscali avranno un quadro completo delle operazioni effettuate, incrociando i dati ricevuti dagli operatori. L’era dell’anonimato fiscale nel settore crypto può dirsi ormai chiusa.

Per gli High Net Worth Individuals (HNWI), ovvero i contribuenti ad alto patrimonio, la nuova normativa introduce inoltre un’estensione dello scambio di informazioni anche sui meccanismi fiscali transfrontalieri complessi. Questo implica che le strutture offshore, i trust e altri strumenti di pianificazione fiscale saranno oggetto di un controllo rafforzato.

Sul fronte degli operatori, l’adeguamento non sarà solo formale ma anche tecnologico: sarà necessario implementare sistemi di reporting automatizzato, aggiornare le procedure di KYC (Know Your Customer), e rafforzare le politiche AML (Anti-Money Laundering). Chi non si adeguerà rischia non solo sanzioni ma anche la revoca dell’autorizzazione all’attività.

In questo nuovo scenario, diventa strategico per tutti dotarsi di un piano di compliance fiscale, per ridurre il rischio e ottimizzare la tassazione in modo legale, sfruttando gli strumenti ancora disponibili nell’ambito della pianificazione patrimoniale.

Rischi e sanzioni 

L’entrata in vigore della Direttiva DAC-8 e del relativo decreto legislativo italiano non è soltanto un passaggio formale: prevede obblighi precisi, ma anche conseguenze rilevanti per chi non li rispetta. Il mancato adeguamento ai nuovi standard di comunicazione e trasparenza fiscale espone sia gli operatori di cripto-attività sia gli utenti finali a rischi concreti, sia dal punto di vista amministrativo che penale.

Per gli operatori, il rischio principale è la perdita dell’autorizzazione a operare nel mercato italiano o europeo. Come previsto dalla normativa MICAR, infatti, chi non ottiene l’autorizzazione entro il 31 dicembre 2025 non potrà più offrire servizi nel settore crypto, né in Italia né, potenzialmente, in altri Stati membri. Inoltre, l’omessa o incompleta comunicazione dei dati può comportare sanzioni amministrative elevate, la cui entità sarà dettagliata nei decreti attuativi previsti nei prossimi mesi.

Gli utenti saranno invece soggetti a controlli fiscali mirati. In presenza di dati comunicati dagli exchanger che non coincidono con quanto dichiarato nel quadro RW o nella sezione delle plusvalenze del modello Redditi, l’Agenzia delle Entrate potrà avviare accertamenti automatici, con rischio di sanzioni per omessa dichiarazione, evasione fiscale e persino autoriciclaggio nei casi più gravi.

Per evitare tutto ciò, sarà cruciale:

  • Verificare periodicamente i propri movimenti crypto;

  • Correggere eventuali omissioni pregresse (ad esempio tramite il ravvedimento operoso);

  • Affidarsi a consulenti fiscali esperti in fiscalità digitale e cripto-valute.

Strategie di pianificazione fiscale

L’arrivo della DAC-8 segna la fine dell’era della “zona grigia” per gli investimenti in cripto-attività. Tuttavia, ciò non significa che risparmiare sulle tasse sia impossibile. Al contrario, con una corretta pianificazione fiscale, è ancora possibile ottimizzare la propria posizione e ridurre il carico fiscale in modo legale e trasparente.

Ecco alcune delle strategie più efficaci da valutare:

1. Utilizzo del regime della “Plusvalenza sotto soglia”

Se la somma delle plusvalenze realizzate in un anno non supera i 2.000 euro, non è dovuta alcuna imposta. Monitorare attentamente le tempistiche e le quantità degli scambi può aiutare a restare sotto questa soglia, evitando tassazione.

2. Pianificazione del momento della vendita

Rimandare una vendita significativa a un anno fiscale successivo può evitare l’accumulo di redditi imponibili nello stesso esercizio. Questa tecnica è particolarmente utile per chi ha già registrato plusvalenze elevate da altri investimenti.

3. Compensazione delle plusvalenze con minusvalenze

Le minusvalenze derivanti da vendite in perdita possono essere utilizzate per compensare le plusvalenze, abbattendo così l’importo imponibile. È fondamentale però documentare correttamente le operazioni.

4. Trasferimento in Paesi fiscalmente più favorevoli (con cautela)

Alcuni contribuenti valutano il trasferimento della residenza fiscale in Paesi a fiscalità più vantaggiosa. Questa strategia, tuttavia, richiede attenzione: l’Italia applica il regime di monitoraggio fiscale e controlli rigorosi sulle residenze fittizie, per cui è necessario trasferire anche il centro degli interessi vitali, non solo l’indirizzo anagrafico.

5. Utilizzo di strumenti di gestione patrimoniale

Trust, holding, polizze unit-linked o altri strumenti legali possono offrire interessanti vantaggi in termini di pianificazione e protezione del patrimonio crypto. Anche in questo caso, è essenziale agire sotto la guida di un consulente esperto.

Queste tecniche non solo aiutano a contenere il peso fiscale, ma anche a prevenire rischi legati a controlli futuri. La chiave è la trasparenza accompagnata da una strategia strutturata.

Cripto e decentralizzazione

Uno degli interrogativi più discussi a seguito dell’approvazione della DAC-8 riguarda l’impatto di questa normativa sulla finanza decentralizzata (DeFi). A differenza degli exchange centralizzati, dove esiste un’entità giuridica responsabile, molti protocolli DeFi operano tramite contratti intelligenti (smart contract) senza una sede fisica, senza organi direttivi e con una governance distribuita su community globali.

La DAC-8, però, non fa sconti: pur non potendo agire direttamente su protocolli decentralizzati, impone obblighi a qualsiasi soggetto che fornisca servizi crypto con una connessione stabile o abituale con l’Italia, anche se l’attività è formalmente decentralizzata.

Questo significa che:

  • Chi gestisce interfacce, portali o front-end accessibili dall’Italia può essere considerato “prestatore di servizi”;

  • Anche chi agisce come validator, operatore di nodo, fornitore di infrastrutture o liquidity provider in ambito DeFi, se residente in Italia o con struttura nel territorio, potrebbe essere soggetto a obblighi di comunicazione.

La normativa, quindi, tende a colpire i punti di contatto tra la DeFi e il mondo reale: wallet provider, aggregatori, bridge, portafogli custodial e gateway fiat. Resta invece ancora difficile, per ora, controllare direttamente l’utilizzo peer-to-peer o wallet non-custodial, anche se il legislatore europeo si sta muovendo per rendere tracciabili anche queste attività, in linea con il principio del “Know Your Transaction” (KYT).

In sintesi, chi lavora nel mondo della DeFi non può più sentirsi completamente al riparo. È il momento di iniziare a riflettere su forme di regolarizzazione e trasparenza, anche per le attività su piattaforme decentralizzate, anticipando i prossimi sviluppi normativi.

Conclusione

L’approvazione del decreto legislativo di recepimento della DAC-8 segna l’inizio di una nuova era per il mondo delle cripto-attività, in Italia e in tutta l’Unione Europea. Il settore, per anni considerato una “terra di nessuno” sul piano fiscale, sta ora entrando pienamente nel perimetro della trasparenza e della cooperazione amministrativa internazionale.

Il combinato tra DAC-8 e regolamento MICAR impone agli operatori un percorso di adeguamento rapido e strutturato: ottenere l’autorizzazione a operare entro il 31 dicembre 2025, implementare sistemi di reportistica fiscale automatizzata, rispettare le norme sul monitoraggio e comunicazione dei dati fiscali. In caso contrario, il rischio è quello di essere esclusi dal mercato o incorrere in pesanti sanzioni.

Per gli investitori e i risparmiatori, invece, la parola d’ordine è compliance. Con l’avvio dello scambio automatico di informazioni e l’allineamento delle piattaforme crypto agli standard europei, diventa imprescindibile dichiarare correttamente ogni tipo di attività in criptovalute, adottando una strategia fiscale chiara, documentata e sostenibile nel tempo.

In questo contesto, il ruolo del commercialista diventa centrale. Affidarsi a un professionista esperto in fiscalità internazionale e digitale permette non solo di evitare errori o sanzioni, ma anche di ottimizzare legalmente la tassazione, sfruttando tutte le opportunità previste dall’ordinamento.

La sfida non è solo adeguarsi, ma trasformare la compliance in un vantaggio competitivo. Chi si muove per tempo, con metodo e trasparenza, potrà continuare a operare e investire nel mondo delle cripto in modo sereno, legale e profittevole.

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