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Retribuzioni agricoltura 2025: tabelle INPS in vigore e istruzioni per la rilevazione OTI e OTD

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Il settore agricolo italiano è un pilastro fondamentale della nostra economia, ma spesso è anche uno dei più complessi da gestire a livello fiscale e contrattuale. Ogni anno l’INPS avvia la rilevazione delle retribuzioni medie per gli operai agricoli, sia a tempo determinato (OTD) che a tempo indeterminato (OTI), per adeguare le basi contributive e retributive che saranno utilizzate per l’anno successivo.

Questa operazione non è soltanto un obbligo normativo, ma ha impatti reali e immediati su contributi, calcolo delle indennità e tutele assicurative per migliaia di lavoratori. Le tabelle retributive aggiornate fanno riferimento ai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) vigenti e servono da parametro per la definizione delle retribuzioni convenzionali nel settore primario.

Nel 2025, come già accaduto per il 2024, l’attenzione degli operatori del settore è massima: conoscere per tempo le nuove tabelle significa evitare errori nei versamenti contributivi, pianificare correttamente i costi del personale agricolo e anche risparmiare legalmente sulle imposte, sfruttando le corrette deduzioni e detrazioni previste per il lavoro in agricoltura.

Questo articolo analizza nel dettaglio la procedura INPS per la rilevazione, le fonti normative, i criteri applicati e le tabelle di riferimento, offrendo una guida concreta per imprenditori agricoli, consulenti del lavoro e professionisti del settore fiscale.

Circolare INPS 146/2025

Con la Circolare n. 146 del 26 novembre 2025, l’INPS ha ufficialmente avviato la procedura di rilevazione delle retribuzioni contrattuali medie applicate agli operai agricoli a tempo determinato (OTD) e a tempo indeterminato (OTI). Questo passaggio rappresenta uno dei momenti più rilevanti del calendario contributivo per il comparto agricolo, in quanto costituisce la base su cui poggeranno numerosi adempimenti per l’anno successivo.

L’attività di rilevazione, che fotografa le retribuzioni vigenti alla data del 30 ottobre 2025, è finalizzata a tre obiettivi principali:

  1. Determinare i contributi previdenziali da versare per i lavoratori agricoli.

  2. Stabilire le prestazioni pensionistiche e assistenziali erogate.

  3. Aggiornare i valori retributivi convenzionali per categorie particolari come coloni, mezzadri e iscritti alla Gestione speciale INPS.

Inoltre, i dati raccolti permetteranno al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di predisporre il decreto annualeche sancisce i parametri ufficiali per l’intero comparto.

La procedura è svolta in sinergia con le Organizzazioni sindacali dei lavoratori, le associazioni datoriali, le Sedi territoriali INPS e con la collaborazione dell’INAIL, assicurando così una rappresentazione fedele e aggiornata delle dinamiche retributive reali.

Le scadenze operative sono già stabilite: le Strutture provinciali INPS dovranno inviare i dati raccolti alle Direzioni regionali entro il 30 gennaio 2026, e queste ultime avranno tempo fino al 10 febbraio 2026 per inoltrare il tutto agli uffici centrali. Rispettare queste tempistiche è essenziale per garantire la corretta pubblicazione e validità delle tabelle retributive del 2026.

Il quadro normativo

La procedura di rilevazione delle retribuzioni medie per gli operai agricoli non è un’iniziativa estemporanea, ma trova fondamento in un preciso impianto normativo consolidato nel tempo.

Le basi giuridiche che regolano questo adempimento sono infatti tre:

  • Articolo 28 del D.P.R. 488/1968: stabilisce i criteri per la determinazione della retribuzione convenzionale, utile sia per il calcolo dei contributi previdenziali sia per le prestazioni assistenziali.

  • Articolo 7 della Legge 233/1990: disciplina l’applicazione delle retribuzioni convenzionali a categorie particolari come coloni, mezzadri, coltivatori diretti e compartecipanti familiari, rafforzando così la tutela dei lavoratori agricoli autonomi.

  • Articolo 9-sexies del D.L. 510/1996, convertito in Legge 608/1996: ha istituito la Commissione centrale per la rilevazione delle retribuzioni agricole, organo tecnico con compiti di vigilanza e coordinamento.

La raccolta dei dati avviene a livello provinciale, tenendo conto delle retribuzioni effettivamente corrisposte, differenziate per qualifica, settore agricolo e area geografica. I riferimenti sono i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), i cui minimi salariali possono essere integrati da contrattazioni regionali o provinciali, valide solo se in vigore al 30 ottobre 2025.

La Circolare INPS n. 146/2025 richiama anche la storica Circolare n. 190/2002, che continua a rappresentare il documento tecnico di riferimento per le modalità operative di calcolo delle retribuzioni convenzionali.

Le Direzioni regionali INPS esercitano un ruolo cruciale di coordinamento e controllo. Verificano la coerenza e l’uniformità dei dati rilevati, con particolare attenzione a settori agricoli con specificità contrattuali, come il comparto idraulico-forestale o le cooperative agricole, assicurando una fotografia fedele del panorama retributivo.

Istruzioni operative INPS

Per garantire uniformità e precisione nella raccolta dei dati, l’INPS fornisce alle Strutture territoriali strumenti operativi standardizzati, sotto forma di file Excel precompilati, da utilizzare per la rilevazione delle retribuzioni provinciali di operai agricoli a tempo determinato (OTD) e a tempo indeterminato (OTI).

I modelli sono disponibili nella directory FTP ufficiale dell’INPS, accessibile esclusivamente da browser compatibili come Internet Explorer o Microsoft Edge, al seguente indirizzo:
🔗 ftp://ftp.inps/applicazioni%20inps/Operai_Agricoli/

I due file principali da utilizzare sono:

  • A.ProvinciaGenerico – RM1 OTD 30 ottobre 2025.xls

  • A.ProvinciaGenerico – RM2 OTI 30 ottobre 2025.xls

Una volta scaricati, i file devono essere salvati localmente e rinominati indicando la provincia di competenza, ad esempio: Agrigento – RM1 OTD 30 ottobre 2025.xls

Oltre ai modelli generici, la directory contiene anche file specifici per province o territori con peculiarità contrattuali o organizzative, tra cui Toscana, Valle d’Aosta, Arezzo, Bolzano, Brescia, Mantova, Modena, Padova e Trento.

Ogni tabella è strutturata in modo da calcolare automaticamente:

  • Riga A: le retribuzioni per ciascun settore o qualifica;

  • Riga B: la percentuale di incidenza di ciascun settore sul totale;

  • Riga C: la retribuzione media giornaliera, che risulta dal calcolo combinato delle righe precedenti.

Sono inoltre incluse formule di controllo automatico, per verificare che le percentuali totali siano corrette e prevenire errori che potrebbero compromettere l’elaborazione finale dei dati.

Infine, entro il 30 gennaio 2026, le strutture provinciali devono completare la compilazione, allegare la documentazione relativa alla contrattazione collettiva vigente, e trasmettere tutto alla Direzione regionale INPS, che avrà poi il compito di inoltrarlo agli uffici centrali.

Vantaggi fiscali 

Comprendere l’importanza della rilevazione INPS delle retribuzioni agricole non è solo un’esigenza burocratica, ma un vero e proprio strumento di gestione fiscale e previdenziale per le imprese del settore.

Ogni dato raccolto e validato concorre infatti a determinare:

  • gli importi dei contributi da versare per operai agricoli OTI e OTD;

  • le prestazioni previdenziali spettanti in caso di disoccupazione agricola, malattia, maternità, infortunio;

  • la corretta base imponibile ai fini fiscali per deduzioni e detrazioni legate al costo del lavoro.

Le aziende agricole che rispettano i parametri retributivi rilevati e ufficializzati dall’INPS possono evitare contestazioni in sede di ispezione, migliorare la gestione finanziaria del personale e soprattutto pianificare in modo più efficiente i costi aziendali. In un contesto in cui l’accesso a agevolazioni contributive (es. riduzioni per zone svantaggiate, esoneri contributivi per giovani agricoltori, ecc.) è sempre più legato alla regolarità dei dati trasmessi, la rilevazione annuale si configura come una leva strategica anche per il risparmio fiscale.

Inoltre, per i consulenti del lavoro e commercialisti, avere a disposizione tabelle retributive aggiornate e precise è essenziale per la corretta elaborazione delle buste paga, la redazione dei modelli contributivi (UNIEMENS) e la compilazione dei modelli dichiarativi. Non meno importante, la rilevazione supporta anche le valutazioni in fase di bilancio e controllo di gestione, permettendo una stima reale del costo del lavoro agricolo.

Focus sui territori speciali 

Uno degli aspetti più complessi della rilevazione delle retribuzioni agricole è la forte differenziazione territoriale del lavoro nel settore primario. Non esiste infatti una “retribuzione agricola unica” valida per tutto il Paese: le dinamiche retributive cambiano profondamente in base alla provincia, alla regione e al tipo di attività agricola svolta.

È per questo motivo che l’INPS ha previsto, all’interno della directory FTP, file specifici per alcune province con caratteristiche particolari, come Arezzo, Trento, Bolzano, Brescia, Mantova, Modena e Padova. In questi casi, il modello di rilevazione si adatta alla struttura contrattuale vigente, integrando eventuali accordi locali o normative provinciali autonome (es. nelle province autonome di Trento e Bolzano).

Altrettanto rilevante è la rilevazione dei dati nei settori agricoli speciali, come:

  • il comparto idraulico-forestale, dove le attività legate alla sistemazione e manutenzione dei corsi d’acqua seguono logiche retributive autonome rispetto all’agricoltura tradizionale;

  • le cooperative agricole e i consorzi, che spesso applicano contratti integrativi interni o formule di retribuzione legate alla partecipazione ai risultati.

Queste specificità rendono indispensabile un’attenta analisi locale da parte delle Sedi INPS provinciali, che devono assicurarsi che i dati rilevati rappresentino in modo fedele la realtà contrattuale. Inoltre, le Direzioni regionali sono chiamate a coordinare e armonizzare le rilevazioni, in modo da evitare incongruenze nei dati finali e garantire l’omogeneità a livello nazionale.

Rilevazione retributiva errata o incompleta

Una rilevazione retributiva non conforme agli standard INPS o non coerente con i contratti collettivi vigenti può comportare gravi conseguenze, sia sul piano fiscale che previdenziale.

In un contesto normativo in cui la correttezza dei dati trasmessi è strettamente legata alla legittimità delle prestazioni erogate e al calcolo dei contributi, ogni anomalia può generare:

  • sanzioni contributive per versamenti non corrispondenti alle retribuzioni effettive;

  • recuperi di imposta da parte dell’Agenzia delle Entrate in caso di deduzioni fiscali basate su dati errati;

  • disconoscimento delle prestazioni previdenziali (es. malattia, disoccupazione agricola, maternità) per i lavoratori;

  • contestazioni in fase ispettiva da parte di INPS o INL.

Inoltre, la presenza di errori nei file trasmessi può comportare ritardi nei procedimenti amministrativi, rendendo più complesso il lavoro delle Direzioni regionali e, nei casi più gravi, portare alla non validazione della rilevazione provinciale, con impatti diretti su tutte le aziende del territorio.

Per i commercialisti e consulenti del lavoro, è fondamentale prestare massima attenzione alla coerenza tra le retribuzioni inserite nei modelli e i valori effettivamente applicati in busta paga, verificando sempre la vigenza dei contratti integrativi locali e l’esattezza delle percentuali di incidenza settoriale. Anche un piccolo errore di digitazione può falsare l’intero dato medio, con conseguenze a catena.

Infine, in caso di nuove assunzioni, iscrizioni previdenziali o richieste di agevolazioni, l’utilizzo di retribuzioni non aggiornate può portare a esclusioni dai benefici previsti per il comparto agricolo, con perdita di contributi e vantaggi fiscali.

Conclusione

La rilevazione annuale delle retribuzioni agricole da parte dell’INPS non è un mero adempimento burocratico, ma una leva strategica per garantire trasparenza, equità e correttezza contributiva all’interno di un settore fortemente eterogeneo come quello agricolo.

Per le aziende agricole, rappresenta l’occasione per allineare i propri parametri retributivi a quelli stabiliti dal sistema pubblico, prevenendo sanzioni e ottimizzando la gestione del personale. Per i consulenti del lavoro e i commercialisti, è uno strumento indispensabile per assicurare compliance normativa, migliorare la qualità della consulenza e supportare i clienti nella pianificazione fiscale.

Il rispetto delle scadenze operative, l’utilizzo corretto dei modelli Excel messi a disposizione dall’INPS e l’attenzione alle peculiarità territoriali sono elementi chiave per assicurare una rilevazione efficace e senza errori. In un periodo storico in cui il lavoro agricolo è soggetto a numerose sfide, tra transizione ecologica, meccanizzazione e bisogno di manodopera specializzata, avere basi retributive certe e condivise diventa anche un elemento di competitività.

L’auspicio è che la procedura 2025 venga vissuta non come un obbligo, ma come un’opportunità concreta per valorizzare il lavoro agricolo, rendere più efficiente l’impresa e sfruttare tutti i vantaggi fiscali e previdenziali previsti dalla normativa vigente.

Bonus Case Green 2026: come funziona la detrazione del 50% sull’IVA per chi acquista immobili ad alta efficienza

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Acquistare una casa nuova e sostenibile sta per diventare ancora più vantaggioso. Con l’arrivo della Legge di Bilancio 2026, il Governo si prepara a rilanciare uno degli incentivi più attesi: il Bonus Case Green, una detrazione fiscale che permette di recuperare il 50% dell’IVA pagata sull’acquisto di immobili ad alta efficienza energetica. Un’opportunità concreta per risparmiare migliaia di euro e, al tempo stesso, investire in una casa moderna, sicura e rispettosa dell’ambiente.

In un mercato immobiliare sempre più orientato alla sostenibilità e in un’Europa che impone obiettivi ambiziosi sul fronte dell’efficienza energetica, questo bonus si inserisce come leva strategica per stimolare l’edilizia green e supportare i cittadini nelle scelte più importanti della vita. Ma come funziona esattamente la detrazione? Chi potrà beneficiarne? Quali requisiti bisogna rispettare? E quali altre misure, come il Bonus Under 36, potrebbero affiancarlo nei prossimi anni?

In questo articolo analizzeremo nel dettaglio cosa aspettarsi dal Bonus Case Green 2026, come ottenere il massimo risparmio possibile in modo legale e quali sono le novità fiscali e normative da tenere d’occhio nei prossimi mesi.

Bonus Case Green 2026

Negli ultimi anni, la transizione ecologica ha avuto un ruolo centrale anche nel settore immobiliare. Proprio in questo contesto si inserisce il Bonus Acquisto Case Green, una misura fiscale che ha lo scopo di incentivare l’acquisto di immobili di nuova costruzione ad alta efficienza energetica. Introdotto inizialmente dalla Legge di Bilancio 2023, il bonus è attivo fino al 31 dicembre 2023, ma l’intenzione del Governo è quella di prorogarlo almeno fino al 2026, allineandosi così agli obiettivi del PNRR e del Green Deal europeo.

Ma cosa prevede esattamente questa agevolazione? In breve: consente di detrarre il 50% dell’IVA pagata sull’acquisto di abitazioni in classe energetica A o B direttamente in dichiarazione dei redditi, in dieci rate annuali di pari importo. Una detrazione che può tradursi in un risparmio effettivo molto significativo, specie in un periodo di rialzo dei tassi di interesse e con un mercato immobiliare in trasformazione.

Questo incentivo rappresenta un’opportunità concreta per chi vuole acquistare casa e al contempo fare una scelta sostenibile. Ma attenzione: ci sono requisiti precisi da rispettare, sia in termini di caratteristiche dell’immobile sia in termini di soggetti beneficiari. Inoltre, come sempre accade con le detrazioni fiscali, bisogna prestare attenzione alle modalità di fruizione, ai documenti da conservare e ai tempi previsti dalla norma.

Come funziona e a chi spetta

Il Bonus Case Green 2026 è una detrazione fiscale che consentirebbe ai contribuenti di recuperare il 50% dell’IVA pagata sull’acquisto di un’abitazione di nuova costruzione a elevata efficienza energetica, nello specifico in classe energetica A o B. La misura riprende il meccanismo già previsto in passato, in particolare nel biennio 2016-2017, e successivamente reintrodotto con la Legge di Bilancio 2023.

Secondo l’emendamento in fase di discussione parlamentare, il nuovo bonus verrebbe ufficialmente inserito all’interno dell’articolo 9-bis della Legge di Bilancio 2026, con un orizzonte temporale piuttosto ampio: la detrazione si applicherebbe, infatti, per gli acquisti effettuati fino al 31 dicembre 2028.

Per poter beneficiare del bonus, l’acquirente dovrà acquistare l’immobile da imprese costruttrici o da OICR immobiliari (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) e dovrà trattarsi di un’abitazione di nuova realizzazione o riqualificata energeticamente secondo i criteri previsti.

L’importo detraibile, pari appunto alla metà dell’IVA pagata sull’acquisto, verrà ripartito in 10 quote annuali di pari importo da indicare nella propria dichiarazione dei redditi. Non è prevista la cessione del credito o lo sconto in fattura, come accade invece con altri bonus edilizi, ma il beneficio resta comunque molto rilevante in termini di risparmio fiscale complessivo, soprattutto per immobili acquistati con IVA ordinaria al 10% o al 22%.

Requisiti e impatto sul mercato

Il Bonus Case Green 2026 sarà destinato esclusivamente ai contribuenti soggetti a IRPEF, ovvero principalmente a persone fisiche che acquistano un immobile ad alta efficienza energetica, come abitazione principale. Sono esclusi dalla platea dei beneficiari gli enti non commerciali e le società di capitali, in quanto soggetti a IRES: si tratta quindi di un’agevolazione pensata per i privati cittadini, e non per le imprese o gli investitori istituzionali.

Questa impostazione riflette la volontà del legislatore di favorire l’accesso alla prima casa sostenibile, in un momento storico in cui il comparto delle nuove costruzioni risente di numerosi fattori critici: costi di produzione elevati, margini sempre più ridotti per le imprese costruttrici e, soprattutto, obblighi normativi stringenti imposti dall’Unione Europea in tema di transizione ecologica ed efficientamento energetico degli edifici.

In questo contesto, la possibilità di detrarre il 50% dell’IVA pagata sull’acquisto si traduce in una leva concreta per abbattere il costo effettivo dell’investimento immobiliare, rendendo le case green più accessibili e competitive rispetto a immobili con standard energetici più bassi ma potenzialmente meno costosi all’acquisto.

È importante ricordare che l’IVA, nel caso di acquisto da impresa costruttrice, può arrivare fino al 10% o addirittura al 22%, e quindi la detrazione del 50% di tale imposta può significare un risparmio anche di decine di migliaia di euro, a seconda del valore dell’immobile acquistato.

Bonus Under 36

Accanto alla reintroduzione del Bonus Case Green, tra le novità più rilevanti in discussione nella Legge di Bilancio 2026 c’è anche la possibile proroga del Bonus Prima Casa Under 36, una misura molto apprezzata negli anni passati e destinata a facilitare l’accesso alla proprietà immobiliare per i più giovani. La proroga, se approvata, estenderebbe l’agevolazione fino al 31 dicembre 2028.

Il bonus è rivolto ai giovani under 36 con un ISEE inferiore a 40.000 euro annui, e prevede una serie di vantaggi fiscali significativi:

  • Esenzione dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale in caso di acquisto da privati;

  • Credito d’imposta pari all’IVA pagata in caso di acquisto di immobili da imprese costruttrici;

  • Esenzione dall’imposta sostitutiva sui finanziamenti ipotecari per l’acquisto della prima casa.

Si tratta, quindi, di un pacchetto di incentivi che, se combinato con il Bonus Case Green, può rappresentare una riduzione sostanziale del costo di acquisto per un’abitazione nuova ed energeticamente efficiente. È anche grazie a questa misura se, negli scorsi anni, si è registrato un forte aumento dei mutui accesi da giovani, con ricadute positive su tutto il comparto edilizio.

Il futuro di entrambi i bonus dipenderà dall’approvazione definitiva della Legge di Bilancio 2026, ma le premesse vanno nella direzione di un rafforzamento delle politiche per la casa, in linea con le strategie europee di decarbonizzazione e sostenibilità energetica.

Vantaggi fiscali 

Uno degli aspetti più interessanti del Bonus Case Green 2026 riguarda l’impatto economico diretto sul prezzo finale dell’abitazione. Considerando che l’acquisto di un immobile da impresa costruttrice è soggetto ad IVA al 10% o al 22%, il fatto di poter recuperare il 50% di questa imposta tramite detrazione IRPEF significa abbattere significativamente il costo effettivo dell’investimento.

Facciamo un esempio pratico: su un immobile del valore di 300.000 euro + IVA al 10%, l’IVA ammonta a 30.000 euro. Con il Bonus Case Green, il contribuente potrà detrarre 15.000 euro in 10 anni, ovvero 1.500 euro all’anno. Se l’IVA fosse al 22%, come accade per seconde case o per alcune categorie catastali, il beneficio fiscale salirebbe a 33.000 euro di IVA e 16.500 euro di detrazione totale.

Si tratta di un vantaggio economico reale, che aumenta il potere d’acquisto del contribuente e consente di orientarsi verso immobili più moderni, sicuri e a basso impatto energetico, senza dover sostenere costi aggiuntivi eccessivi.

Inoltre, la detrazione decennale consente una pianificazione fiscale stabile nel tempo, contribuendo ad alleggerire il carico tributario IRPEF per diversi anni. Per chi ha altri redditi da lavoro o da locazione, è un’occasione per ottimizzare il proprio profilo fiscale in modo del tutto legale e trasparente.

Il bonus si configura, dunque, non solo come una leva ambientale, ma anche come uno strumento di risparmio fiscale strategico.

Effetti sul mercato immobiliare 

Il Bonus Case Green 2026, se confermato, potrebbe rappresentare un motore di rilancio per il comparto edilizio, da tempo in difficoltà a causa dell’aumento dei costi delle materie prime, della stretta sul credito e delle normative europee sempre più severe in tema di efficienza energetica. L’incentivo fiscale, infatti, agisce direttamente sulla leva della domanda, incentivando l’acquisto di immobili nuovi ed efficienti e stimolando così la produzione edilizia.

Secondo le stime degli operatori di settore, uno dei maggiori ostacoli all’acquisto di nuove abitazioni è il divario di prezzo tra immobili nuovi e usati. Le case di nuova costruzione, costruite secondo standard NZEB (Nearly Zero Energy Building), comportano costi maggiori in fase di realizzazione, ma offrono vantaggi notevoli in termini di risparmio energetico, comfort abitativo e minore impatto ambientale. Tuttavia, senza incentivi, i potenziali acquirenti spesso si orientano verso soluzioni meno performanti dal punto di vista energetico.

Con la detrazione del 50% sull’IVA, il gap economico si riduce, rendendo le case green più accessibili e interessanti anche per le fasce di reddito medio. Questo non solo favorisce la vendita degli immobili invenduti, ma consente alle imprese di sbloccare nuovi cantieri, contribuendo all’occupazione e alla crescita del PIL.

Inoltre, in linea con gli obiettivi del PNRR e delle direttive europee sul clima, la misura rappresenta un passaggio strategico verso la riqualificazione del patrimonio edilizio italiano, oggi in gran parte obsoleto.

Direttive europee e case green

Il Bonus Case Green 2026 non nasce solo da esigenze fiscali o di politica economica interna, ma è inserito in un quadro normativo europeo sempre più stringente. La recente approvazione della nuova Direttiva EPBD (Energy Performance of Buildings Directive), parte del pacchetto “Fit for 55”, impone agli Stati membri obiettivi ambiziosi: tra questi, la decarbonizzazione completa del patrimonio edilizio entro il 2050 e il progressivo adeguamento energetico degli edifici residenziali e non.

Nello specifico, la direttiva prevede che, a partire dai prossimi anni, gli edifici residenziali raggiungano almeno la classe energetica E entro il 2030 e la classe D entro il 2033, con l’obiettivo finale di arrivare a zero emissioni entro metà secolo. Un traguardo che, per l’Italia, rappresenta una vera e propria sfida strutturale, considerando che oltre il 60% del patrimonio immobiliare attuale è in classe energetica F o G.

In questo contesto, il Bonus Case Green si inserisce come uno strumento di accompagnamento alla transizione, premiando chi sceglie fin da ora immobili ad alte prestazioni (classe A o B) e contribuendo così al rinnovo del parco edilizio italiano.

Non si tratta più, quindi, di una semplice “opportunità”, ma di una necessità normativa che nei prossimi anni diventerà vincolante. Agevolare da subito l’acquisto di case green significa anticipare l’obbligo, risparmiando oggi su imposte e bollette e evitando costose ristrutturazioni domani.

Conclusioni

Il Bonus Case Green 2026 rappresenta molto più di una semplice agevolazione fiscale: è un vero e proprio strumento strategico per favorire la transizione ecologica nel settore immobiliare, stimolare il mercato edilizio e supportare i cittadini che vogliono acquistare una casa nuova, efficiente e in linea con le normative future.

Grazie alla detrazione del 50% sull’IVA, sarà possibile ottenere un risparmio significativo sull’acquisto di immobili in classe energetica A o B, incentivando la domanda verso abitazioni sostenibili e più performanti. Se a questo si aggiungerà anche la proroga del Bonus Under 36, l’impatto potrebbe essere ancora più rilevante, soprattutto per i giovani e le famiglie con reddito medio o basso.

Tuttavia, è fondamentale che gli acquirenti siano informati e preparati: conoscere i requisiti, le tempistiche, e le modalità operative è essenziale per non perdere il diritto alla detrazione. È inoltre importante monitorare l’iter parlamentare della Legge di Bilancio 2026, da cui dipenderà la conferma definitiva del bonus.

In sintesi, investire oggi in una casa green non è solo una scelta etica o ecologica, ma una scelta finanziariamente intelligente, che consente di risparmiare ora e tutelarsi in vista delle future normative UE sull’efficienza energetica degli edifici.

Split Payment 2026: elenchi MEF pubblicati, novità FTSE MIB e scadenze da conoscere

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Con l’avvicinarsi del 2026, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha ufficialmente pubblicato i nuovi elenchi dei soggetti tenuti all’applicazione del meccanismo dello split payment, aggiornando così imprese e professionisti sulle categorie coinvolte. Questa comunicazione, disponibile sulla pagina dedicata del sito del MEF, rinnova l’attenzione su un regime fiscale straordinario, spesso fonte di dubbi e complicazioni operative per chi emette fatture verso la Pubblica Amministrazione e altri soggetti obbligati.

Lo split payment, come noto, è un meccanismo speciale di versamento dell’IVA che scinde il pagamento del corrispettivo da quello dell’imposta: mentre il fornitore incassa il netto, è il committente pubblico (o soggetto indicato negli elenchi) a dover versare direttamente l’IVA all’Erario. Questo sistema, pensato per contrastare l’evasione fiscale, comporta però un impatto diretto sulla liquidità delle imprese coinvolte, oltre a dover rispettare una normativa tecnica piuttosto rigida, inclusa la corretta compilazione delle e-fatture con l’indicazione “S” nel campo “Esigibilità IVA”.

La recente Decisione UE n. 1552 del 25 luglio 2023 ha prorogato l’autorizzazione a utilizzare questo regime fino al 30 giugno 2026, introducendo però importanti novità. Tra queste, una modifica rilevante a partire dal 1° luglio 2025, quando le società quotate nell’indice FTSE MIB non saranno più soggette allo split payment, una svolta che potrebbe cambiare le dinamiche per molte aziende italiane di grandi dimensioni.

In questo articolo vedremo cosa prevede lo split payment 2026, quali soggetti sono coinvolti, le modifiche normative recenti, e soprattutto come prepararsi in modo corretto per evitare errori. In più, vedremo strategie legali per mitigare l’impatto di questo meccanismo sulla propria attività.

Elenchi ufficiali dal MEF

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha reso noti, con l’avviso del 20 ottobre 2025, i nuovi elenchi aggiornati per il 2026 dei soggetti tenuti ad applicare il meccanismo della scissione dei pagamenti (split payment). Questi elenchi, consultabili nella sezione dedicata sul sito del MEF, sono fondamentali per identificare con certezza i destinatari del regime speciale previsto dall’art. 17-ter del D.P.R. n. 633/1972, come modificato dal D.L. 148/2017 e successivamente convertito in legge n. 172/2017.

Gli elenchi 2026 riguardano:

  • le società controllate di fatto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri;

  • enti o società controllate dalle Amministrazioni Centrali;

  • enti o società controllate dalle Amministrazioni Locali;

  • gli enti o società controllate dagli Enti Nazionali di Previdenza e Assistenza;

  • le fondazioni, enti o società partecipate per almeno il 70% del capitale dalle Pubbliche Amministrazioni.

A differenza di queste categorie, le Pubbliche Amministrazioni in senso stretto (come definite dalla Legge n. 196/2009, art. 1, comma 2) non sono incluse negli elenchi del MEF, ma restano comunque soggette al meccanismo dello split payment ai sensi dell’art. 17-ter, comma 1, dello stesso DPR. Per queste, si fa riferimento all’elenco IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni), disponibile sul sito ufficiale www.indicepa.gov.it.

Il MEF consente la verifica tramite codice fiscale della presenza negli elenchi di fondazioni, enti e società. Inoltre, i soggetti interessati (escluse le società quotate nell’indice FTSE MIB) possono segnalare errori o omissioni, inoltrando apposita richiesta corredata da documentazione, secondo quanto previsto dalla normativa vigente.

Cos’è lo Split Payment e come funziona

Il meccanismo dello split payment (in italiano “scissione dei pagamenti”) rappresenta una deroga al regime ordinario di versamento dell’IVA. Introdotto in Italia con l’art. 17-ter del D.P.R. 633/1972, questo sistema prevede che, in determinate operazioni, l’IVA non venga incassata dal fornitore, ma versata direttamente all’Erario dal soggetto pubblico o assimilato che riceve la prestazione o la cessione.

In pratica, quando un’impresa o un professionista emette una fattura elettronica verso un soggetto incluso negli elenchi MEF (o verso una Pubblica Amministrazione soggetta all’IPA), deve:

  1. Addebitare l’IVA in fattura, indicando comunque l’imposta come da regime ordinario;

  2. Compilare correttamente il campo “Esigibilità IVA” con il valore “S”, che segnala l’applicazione dello split payment;

  3. Ricevere soltanto l’importo al netto dell’IVA dal committente;

  4. Vedere l’IVA versata direttamente all’Agenzia delle Entrate da parte del soggetto acquirente/committente.

L’obiettivo dello split payment è contrastare l’evasione fiscale, impedendo che l’IVA riscossa non venga poi versata allo Stato. Tuttavia, questo sistema ha impatti significativi sulla liquidità delle imprese, che non percepiscono l’IVA incassata ma devono comunque pagarla sui propri acquisti.

Per mitigare l’effetto finanziario negativo, i soggetti passivi che operano in regime di split payment possono valutare l’opportunità di richiedere il rimborso trimestrale dell’IVA a credito, oppure compensare tali crediti in F24, ma solo rispettando precise condizioni.

Split Payment valido fino al 30 giugno 2026

Lo split payment, essendo una deroga alle regole generali sull’IVA previste dalla Direttiva 2006/112/CE, può essere applicato solo previa autorizzazione del Consiglio dell’Unione Europea. Attualmente, questa autorizzazione è stata prorogata fino al 30 giugno 2026 con la Decisione UE n. 1552 del 25 luglio 2023, che ha accolto la richiesta dell’Italia di estendere l’utilizzo di questo strumento per combattere l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto.

Nel testo della decisione si riconosce la necessità per l’Italia di mantenere attivo lo split payment per alcune categorie di soggetti pubblici e para-pubblici, considerando i risultati positivi ottenuti in termini di riduzione del rischio di frode. Tuttavia, la proroga ha introdotto una modifica significativa che entrerà in vigore dal 1° luglio 2025: le società quotate nell’indice FTSE MIB della Borsa Italiana non saranno più soggette allo split payment.

Questa esclusione risponde all’obiettivo di semplificare gli adempimenti per le grandi società quotate, che sono già sottoposte a controlli e regole di trasparenza particolarmente rigorose. Di conseguenza, tutte le imprese che emettono fatture verso società FTSE MIB dovranno modificare il comportamento fiscale a partire da quella data.

Alla luce di questa scadenza e dell’orizzonte temporale definito al 2026, è essenziale per imprese, professionisti e consulenti monitorare eventuali ulteriori proroghe o l’adozione di nuovi meccanismi alternativi allo split payment, che potrebbero essere proposti dal legislatore italiano o europeo nei prossimi anni.

Errori da evitare e buone pratiche

Per le imprese e i professionisti che rientrano nel regime dello split payment, la corretta emissione delle fatture elettroniche è un aspetto cruciale per garantire la conformità fiscale e prevenire contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate o del committente. L’errore più frequente? Dimenticare di indicare il codice “S” nel campo “Esigibilità IVA” del tracciato XML.

Questa svista può comportare lo scarto della fattura oppure, peggio, l’applicazione errata dell’imposta, con il rischio di dover rifare la fatturazione o subire sanzioni. È fondamentale quindi che chi si occupa dell’emissione delle fatture, internamente o tramite software gestionale, abbia chiaro quando applicare lo split payment e quali clienti sono inclusi negli elenchi ufficiali del MEF o nell’elenco IPA.

Un’altra buona pratica è quella di effettuare periodicamente un controllo degli elenchi pubblicati dal MEF, disponibili dal 2018 al 2026, in modo da verificare eventuali modifiche nella qualifica del cliente. Le aziende dovrebbero anche archiviare in modo ordinato eventuali documenti giustificativi relativi alla corretta o errata inclusione negli elenchi, utili in caso di verifica.

Infine, si consiglia di informare i clienti soggetti allo split payment del regime applicato, soprattutto in caso di novità normative, come l’esclusione delle società FTSE MIB dal 2025. Un confronto preventivo può evitare errori di pagamento o contestazioni sui documenti fiscali.

L’organizzazione interna, la formazione del personale contabile e l’aggiornamento dei software gestionali sono quindi fattori decisivi per una corretta gestione delle operazioni IVA in split payment.

Split Payment e liquidità aziendale

Uno degli effetti più discussi dello split payment è senza dubbio l’impatto negativo sulla liquidità delle imprese. Dal momento che l’IVA non viene più incassata ma versata direttamente dal cliente all’Erario, le aziende fornitrici si ritrovano con un credito IVA strutturale, soprattutto se operano prevalentemente con soggetti pubblici o enti inseriti negli elenchi MEF.

In questi casi, l’impresa è costretta ad anticipare l’IVA sugli acquisti senza poterla compensare con l’IVA sulle vendite, generando un disallineamento di cassa che, nel tempo, può incidere sulla sostenibilità finanziaria dell’attività. Per ridurre questo squilibrio esistono però strumenti previsti dalla normativa fiscale.

Tra i principali:

  • Rimborso IVA trimestrale o annuale: le imprese con un credito IVA superiore a 2.582,28 euro e che rispettano determinati requisiti possono richiedere il rimborso con periodicità trimestrale o annuale. È fondamentale però rispettare i limiti di operazioni attive con split payment e utilizzare il modello IVA TR in modo corretto.

  • Compensazione in F24 del credito IVA: il credito maturato può essere utilizzato per compensare altre imposte o contributi tramite modello F24, ma solo entro i limiti fissati dalla legge (ad esempio 2 milioni di euro annui) e con obbligo di visto di conformità per importi superiori a 5.000 euro.

  • Adesione al regime IVA di gruppo (per grandi realtà aziendali): consente la compensazione tra debiti e crediti IVA tra società appartenenti allo stesso gruppo, favorendo una gestione più efficiente del saldo IVA complessivo.

Infine, è utile coinvolgere il proprio commercialista o consulente fiscale per analizzare con precisione i flussi IVA aziendali, al fine di strutturare una strategia che tenga conto del peso dello split payment e sfrutti al massimo le opzioni di rimborso o compensazione.

Responsabilità, controlli e rischi

L’applicazione corretta dello split payment non è solo un adempimento tecnico, ma comporta responsabilità concrete per le imprese, i professionisti e gli enti coinvolti, sia in qualità di cedenti che di committenti.

In particolare, il mancato rispetto delle regole può dare luogo a verifiche fiscali, recuperi d’imposta e sanzioni amministrative anche rilevanti.

Per il cedente/prestatore, ovvero chi emette la fattura, è fondamentale:

  • Verificare con precisione se il cliente rientra negli elenchi MEF o IPA;

  • Inserire correttamente in fattura il codice “S” nel campo Esigibilità IVA;

  • Accertarsi che l’imponibile e l’IVA siano calcolati correttamente e che la causale del documento sia chiara.

Dal lato del cessionario/committente, ovvero l’ente o soggetto che riceve la fattura, sussiste l’obbligo di:

  • Versare l’IVA all’Erario entro i termini previsti, con F24 intestato correttamente;

  • Conservare la documentazione comprovante l’avvenuto pagamento;

  • Rispettare gli obblighi di registrazione secondo le tempistiche stabilite.

Entrambe le parti possono essere oggetto di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate, che può rilevare irregolarità sia sull’emissione della fattura sia sul versamento dell’imposta. Le sanzioni previste, in caso di errori o omissioni, possono arrivare fino al 100% dell’imposta non versata, oltre agli interessi legali.

Inoltre, per i soggetti che scoprono incongruenze negli elenchi pubblicati dal MEF, è prevista la possibilità di segnalare la situazione mediante apposito modulo e con idonea documentazione, evitando così di incorrere in errori formali o sostanziali che potrebbero avere impatti fiscali.

Una gestione attenta e documentata è quindi essenziale per evitare rischi, soprattutto in vista delle continue modifiche normative e dei controlli incrociati sempre più frequenti da parte dell’amministrazione finanziaria.

Cosa cambia per imprese e fornitori

Tra le novità più rilevanti introdotte dalla Decisione del Consiglio dell’UE n. 1552/2023, vi è l’esclusione dallo split payment delle società quotate nell’indice FTSE MIB, a partire dal 1° luglio 2025. Questa modifica segna un importante cambiamento nel panorama operativo e fiscale italiano, con impatti immediati per migliaia di imprese fornitrici che operano abitualmente con questi grandi gruppi societari.

Le società FTSE MIB, che rappresentano le aziende a maggiore capitalizzazione della Borsa Italiana, sono state inizialmente incluse nello split payment per via del loro legame diretto o indiretto con la finanza pubblica e la loro partecipazione azionaria pubblica.

Tuttavia, la decisione europea ha riconosciuto che, grazie all’alto livello di trasparenza e agli obblighi di controllo già in essere per questi soggetti, la loro esclusione non comporterebbe rischi significativi in termini di evasione IVA.

Cosa significa questo per i fornitori di società FTSE MIB?

  • A partire dalle operazioni fatturate dal 1° luglio 2025, l’IVA tornerà ad essere incassata direttamente dal fornitore, secondo le regole ordinarie;

  • Le imprese dovranno modificare la configurazione dei propri software di fatturazione, rimuovendo l’indicazione “S” nel campo “Esigibilità IVA” per questi clienti;

  • Cambieranno anche le strategie di gestione della liquidità, in quanto si tornerà ad incassare l’IVA su queste operazioni.

Dal lato delle società quotate, l’eliminazione dello split payment semplificherà le procedure contabili e i versamenti IVA, riducendo così anche il rischio di errori formali.

È però fondamentale che tutte le imprese coinvolte si preparino con anticipo alla scadenza del 30 giugno 2025, aggiornando le proprie anagrafiche clienti, effettuando test sul software gestionale e, se necessario, formando il personale amministrativo.

Come prepararsi al futuro del regime IVA

Con la scadenza fissata al 30 giugno 2026, il futuro dello split payment in Italia resta ancora incerto. Sebbene fino a quella data il meccanismo sarà pienamente operativo per le categorie previste, non è detto che l’Italia otterrà un’ulteriore proroga dall’Unione Europea. Le istituzioni europee, infatti, vedono il regime di split payment come una misura eccezionale, da limitare nel tempo e applicare solo in casi di necessità assoluta.

In questo contesto, le imprese devono iniziare fin da ora a pensare in modo strategico alla gestione del post-split payment, valutando:

  • l’impatto del ritorno al regime ordinario sull’equilibrio finanziario;

  • la possibilità di rivedere le politiche commerciali e contrattuali con i clienti pubblici;

  • l’adeguamento dei software gestionali e dei processi interni.

Nel frattempo, per tutto il 2025 e la prima metà del 2026, sarà cruciale continuare a monitorare le pubblicazioni degli elenchi MEF, aggiornare le anagrafiche clienti, e verificare regolarmente che le fatture elettroniche siano compilate correttamente in base alla tipologia del destinatario.

Chi fornisce beni o servizi alla Pubblica Amministrazione, agli enti partecipati o controllati, e alle fondazioni pubbliche dovrà mantenere alta l’attenzione e affidarsi a professionisti fiscali qualificati per non incorrere in errori formali o inadempienze.

Infine, non si esclude che nei prossimi anni possano essere introdotti nuovi strumenti o alternative allo split payment, magari legati all’evoluzione digitale del sistema fiscale (es. versamento diretto tramite e-fattura o sistemi di pagamento tracciato automatizzati). In ogni caso, restare aggiornati e flessibili sarà l’unico vero vantaggio competitivo.

Conclusione

Lo split payment si conferma, anche nel 2026, come un adempimento fiscale complesso ma fondamentale per chi lavora con la Pubblica Amministrazione o con soggetti pubblici e partecipati. La pubblicazione degli elenchi aggiornati da parte del MEF e le novità introdotte dalla Decisione UE n. 1552/2023 richiedono massima attenzione da parte di imprese e professionisti.

Con l’imminente esclusione delle società FTSE MIB a partire dal 1° luglio 2025, e l’orizzonte normativo attualmente fissato al 30 giugno 2026, è essenziale non solo rispettare gli obblighi formali, ma anche pianificare con lungimiranza l’impatto sul piano finanziario, operativo e fiscale.

Affidarsi a uno studio esperto in materia tributaria è oggi più che mai un vantaggio competitivo: consente di evitare errori, ottimizzare la gestione IVA e accedere agli strumenti fiscali disponibili per compensare gli effetti negativi sulla liquidità.

Chi è ben informato, anticipa i cambiamenti e adatta i propri processi contabili, sarà pronto non solo a gestire lo split payment, ma anche ad affrontare le future evoluzioni normative in tema di IVA e digitalizzazione fiscale.

Credito ZES Mezzogiorno 2025: come inviare la comunicazione integrativa entro il 2 dicembre e ottenere il bonus fiscale

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Il Credito d’Imposta ZES per il Mezzogiorno torna al centro dell’attenzione con una scadenza importante: dal 18 novembre fino al 2 dicembre 2025, le imprese che hanno presentato domanda per usufruire dell’incentivo possono inviare la comunicazione integrativa richiesta dall’Agenzia delle Entrate. Si tratta di un adempimento cruciale, volto a correggere o aggiornare dati già trasmessi, ed è necessario per non perdere il beneficio fiscale. Questo credito, riservato alle aziende che investono nelle regioni del Sud Italia comprese nella ex Zona Economica Speciale (ZES), rappresenta un vantaggio competitivo concreto, ma richiede precisione e attenzione nella fase amministrativa.

In questo articolo spiegheremo chi può beneficiarne, come funziona la procedura di integrazione, quali sono gli errori da evitare e i benefici fiscali ottenibili. Inoltre, analizzeremo le norme di riferimento, compreso il Decreto-legge 124/2023, e forniremo indicazioni pratiche su come gestire correttamente l’adempimento con un occhio sempre attento al risparmio fiscale legale.

Chi deve inviarla e come funziona

Tutte le imprese che hanno trasmesso la comunicazione originaria per il Credito d’Imposta ZES Unica 2025 devono completare l’iter inviando, entro il 2 dicembre 2025, la comunicazione integrativa all’Agenzia delle Entrate. Questo adempimento è fondamentale perché attesta gli investimenti effettivamente realizzati tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2025, in una delle aree ammesse: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Abruzzo.

Per effettuare l’invio, è obbligatorio utilizzare il modello approvato con Provvedimento n. 25972 del 31 gennaio 2025, disponibile sul sito dell’Agenzia, insieme al software dedicato “ZESUNICAINTEGRATIVA2025”, scaricabile gratuitamente. La trasmissione deve avvenire esclusivamente per via telematica, direttamente da parte dell’impresa beneficiaria o tramite un intermediario abilitato (ai sensi dell’art. 3, commi 2-bis e 3 del DPR 322/1998).

Attenzione: anche se la comunicazione viene scartata nei quattro giorni precedenti la scadenza, sarà considerata valida se correttamente ritrasmessa entro cinque giorni solari dal termine. Durante la finestra (18 novembre – 2 dicembre), è anche possibile sostituire o annullare comunicazioni già inviate, ma l’annullamento comporta la decadenza dall’agevolazione. Inoltre, fuori termine non saranno accolte nuove comunicazioni, salvo rettifiche del quadro C nei casi soggetti a controllo antimafia.

Credito ZES Unica 

Il Credito d’Imposta ZES Unica 2025, introdotto dal Decreto-legge n. 124/2023, rappresenta una delle misure più significative per incentivare gli investimenti produttivi nelle regioni del Sud Italia e dell’Abruzzo. L’obiettivo del legislatore è quello di sostenere lo sviluppo economico del Mezzogiorno attraverso un’agevolazione fiscale concreta, riservata a chi acquista beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive ubicate nei territori rientranti nella ex Zona Economica Speciale (ZES).

Per accedere al beneficio, gli investimenti devono rispettare due condizioni principali:

  1. Essere effettivamente realizzati tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2025;

  2. Rientrare in una soglia economica compresa tra 200.000 euro e 100 milioni di euro per ciascun progetto d’investimento.

Sono ammissibili al credito beni materiali nuovi, come macchinari, impianti, attrezzature, e immobili strumentali all’attività d’impresa. È fondamentale che tali beni siano direttamente collegati all’attività produttiva svolta nell’area ZES e che vengano acquisiti o realizzati nel periodo previsto dalla normativa.

Dopo la fase di comunicazione integrativa, l’Agenzia delle Entrate, con un successivo provvedimento del Direttore, determinerà la percentuale effettiva del credito d’imposta riconosciuto a ciascun beneficiario. Questa percentuale sarà calcolata in base all’ammontare complessivo delle richieste ricevute rispetto al limite di spesa massimo stanziato, pari a 2,2 miliardi di euro.

L’accesso al credito, quindi, non è automatico: sarà riconosciuto in proporzione alle richieste, con possibili tagli in caso di sovra-istanza rispetto ai fondi disponibili.

Vantaggi fiscali 

Il principale vantaggio del Credito d’Imposta ZES Mezzogiorno è rappresentato dalla possibilità di compensare direttamente il credito maturato con altri debiti tributari e contributivi, utilizzando il modello F24, senza necessità di attendere rimborsi o ulteriori autorizzazioni. Il credito può essere utilizzato in compensazione orizzontale, come previsto dall’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997, e diventa utilizzabile a partire dal quinto giorno lavorativo successivo alla pubblicazione del provvedimento che comunica la percentuale di fruizione spettante.

Per le imprese, questo si traduce in un concreto risparmio fiscale, che può incidere direttamente sulla liquidità aziendale, alleggerendo il carico fiscale corrente. È un incentivo particolarmente utile in un contesto economico incerto, come quello che caratterizza ancora alcune zone del Mezzogiorno, e può aiutare a finanziare investimenti produttivi e ammodernamenti tecnologici senza dover ricorrere (o ricorrendo in misura minore) al credito bancario.

Importante sottolineare che il credito:

  • Non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile IRAP (ai sensi dell’art. 1, comma 106, L. 208/2015);

  • Non è soggetto a tassazione;

  • Non incide sui parametri per l’accesso ad altri regimi agevolati, se correttamente indicato in dichiarazione.

Tuttavia, è fondamentale rispettare tutte le condizioni previste per non incorrere in revoche o recuperi da parte dell’Agenzia delle Entrate. Tra queste: il mantenimento degli investimenti, la corretta destinazione dei beni e il rispetto delle soglie minime e massime previste.

Guida pratica 

Per sfruttare al meglio il Credito d’Imposta ZES Unica 2025, le imprese devono muoversi con precisione e tempestività. La comunicazione integrativa, da inviare entro il 2 dicembre 2025, è l’ultimo passaggio per ottenere l’agevolazione, ma anche il più delicato, perché qualunque errore potrebbe comportare la perdita definitiva del beneficio. Ecco i passaggi da seguire:

  1. Verifica degli investimenti: occorre accertarsi che i beni acquistati o realizzati tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2025 rientrino tra quelli ammissibili e siano stati effettivamente localizzati in una struttura produttiva situata in una delle regioni ZES.

  2. Compilazione del modello ufficiale: bisogna utilizzare esclusivamente il modulo approvato con il provvedimento n. 25972 del 31 gennaio 2025, disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate, da compilare con attenzione, senza incongruenze rispetto alla comunicazione originaria.

  3. Trasmissione telematica: l’invio va effettuato tramite il software “ZESUNICAINTEGRATIVA2025”, entro il termine del 2 dicembre. Si può inviare direttamente o tramite un intermediario abilitato (commercialista o CAF), come previsto dal DPR 322/1998.

  4. Eventuali correzioni: se ci si accorge di errori dopo l’invio, è possibile trasmettere una nuova comunicazione integrativa che sostituisce la precedente, purché entro il termine. In alternativa, si può anche procedere all’annullamento, che però fa decadere l’intera richiesta.

  5. Conservazione della documentazione: è fondamentale archiviare contratti, fatture, pagamenti, perizie e ogni altro documento utile a dimostrare la veridicità dell’investimento in caso di controlli fiscali o antimafia.

Solo con una corretta gestione amministrativa e una documentazione solida sarà possibile evitare recuperi d’imposta, sanzioni o, nei casi più gravi, la decadenza totale dal credito.

Strategie fiscali 

Il Credito d’Imposta ZES Unica non deve essere considerato solo come un bonus isolato, ma come uno strumento centrale di pianificazione fiscale per tutte le imprese che operano o intendono operare nel Sud Italia. Una corretta gestione dell’agevolazione permette non solo di ridurre la pressione fiscale nel breve termine, ma anche di programmare investimenti produttivi in modo efficiente, sfruttando al massimo le potenzialità dell’incentivo.

Ecco alcune strategie fiscali da considerare:

  • Programmazione degli F24: dal momento in cui il credito diventa utilizzabile, è utile pianificare la compensazione con imposte, contributi previdenziali, IVA o ritenute, in modo da ridurre subito il carico fiscale. Importante è monitorare i flussi di cassa e coordinare il credito con altre agevolazioni (es. credito beni 4.0, Sabatini, ecc.) per evitare sovrapposizioni non ammesse.

  • Ottimizzazione del periodo d’investimento: è consigliabile concentrare gli investimenti nel periodo utile (1° gennaio – 15 novembre), in modo da sfruttare per intero la finestra agevolata e includere il massimo importo possibile nella comunicazione integrativa.

  • Documentazione tecnica e peritale: laddove vi siano dubbi sull’ammissibilità dei beni (es. immobili strumentali), è opportuno avvalersi di una perizia tecnica asseverata, utile in caso di controlli futuri e fondamentale per evitare contestazioni.

  • Integrazione con la gestione del bilancio: il credito può migliorare gli indici di redditività aziendale e aumentare la capacità di autofinanziamento. Questo può essere utile anche in sede di rapporti con banche e investitori, che guardano positivamente a un’impresa che beneficia di incentivi pubblici ben gestiti.

Sfruttare il Credito ZES in modo strategico significa trasformare un incentivo fiscale in un vantaggio competitivo, rafforzando la presenza nel territorio e migliorando la struttura finanziaria dell’azienda.

Controlli e rischi

Il Credito d’Imposta ZES rappresenta un’opportunità concreta per le imprese, ma come ogni agevolazione fiscale, è soggetto a rigidi controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate e, in alcuni casi, anche delle Prefetture, soprattutto per quanto riguarda la documentazione antimafia. Errori, omissioni o comportamenti negligenti nella compilazione o nella trasmissione delle comunicazioni possono comportare la decadenza dal beneficio o addirittura il recupero delle somme già compensate, con interessi e sanzioni.

Vediamo gli errori più frequenti da evitare:

  • Dati incoerenti tra comunicazione originaria e integrativa: qualsiasi difformità tra quanto dichiarato inizialmente e quanto comunicato nella fase integrativa (es. importi, tipologia di investimento, localizzazione) può far scattare il blocco del credito.

  • Investimenti fuori ambito temporale o territoriale: il credito è valido solo per beni acquistati o realizzati tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2025, e solo se destinati a strutture produttive site in regioni ammesse. Investimenti fuori da questi limiti non sono agevolabili, anche se per errore inclusi nella comunicazione.

  • Utilizzo del credito prima del via libera dell’Agenzia: la compensazione è consentita solo dopo il provvedimento che stabilisce la percentuale spettante. Qualsiasi utilizzo anticipato è considerato indebita compensazione, con tutte le conseguenze sanzionatorie del caso.

  • Documentazione carente: in caso di controlli, la mancanza di contratti, fatture, prove di pagamento o documentazione tecnica può compromettere la validità dell’investimento. In presenza di controlli antimafia, inoltre, è necessario fornire anche tracciabilità degli assetti societari.

Ricordiamo che la normativa (art. 1, comma 486 della L. 311/2004, come modificata dal DL 124/2023) prevede la decadenza automatica dal credito in caso di comunicazione integrativa non inviata nei termini o annullata. L’attenzione ai dettagli è quindi fondamentale per evitare spiacevoli sorprese fiscali.

Cosa aspettarsi nel 2026

Sebbene il Credito d’Imposta ZES Unica 2025 sia una misura a termine, sono già in corso riflessioni, sia a livello ministeriale che europeo, su un possibile prolungamento o rifinanziamento dell’incentivo per il 2026 e oltre. Le ZES – Zone Economiche Speciali – rappresentano un modello ormai consolidato a livello internazionale per incentivare lo sviluppo di aree economicamente svantaggiate attraverso agevolazioni fiscali, semplificazioni burocratiche e incentivi agli investimenti. In Italia, il loro successo è strettamente legato alla capacità di attrarre capitali e imprese nel Mezzogiorno, stimolando occupazione, innovazione e crescita locale.

Con il Decreto-legge 124/2023 e la creazione della ZES Unica per il Mezzogiorno, il Governo ha centralizzato e uniformato il sistema delle agevolazioni, ma si guarda già oltre. Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) prevede infatti ulteriori interventi per la coesione territoriale e lo sviluppo sostenibile delle regioni del Sud, e alcune misure potrebbero essere integrate con le ZES green, cioè aree produttive incentivate con vincoli ambientali e orientate alla transizione ecologica.

Le imprese devono quindi prepararsi non solo a cogliere le opportunità attuali, ma anche a pianificare gli investimenti futuri in funzione delle nuove politiche di sviluppo. In quest’ottica, il credito ZES non è solo una misura spot, ma parte di una strategia più ampia di rilancio industriale del Sud Italia, dove gli incentivi fiscali sono il punto di partenza per costruire una competitività strutturale nel medio-lungo periodo.

Un prolungamento del credito per il 2026 è possibile, ma dipenderà dai risultati ottenuti e dalla capacità delle imprese di utilizzare correttamente le risorse assegnate.

Conclusioni

Il Credito d’Imposta ZES Unica 2025 è una misura concreta, potente e strategica per tutte le imprese che investono nel Mezzogiorno e in Abruzzo. Non si tratta solo di un incentivo fiscale, ma di uno strumento in grado di sostenere lo sviluppo economico reale, migliorare la competitività e alleggerire il peso fiscale con modalità dirette e trasparenti. Tuttavia, per beneficiarne in pieno, è fondamentale non commettere errori e rispettare rigorosamente la procedura, a partire dall’invio della comunicazione integrativa entro il 2 dicembre 2025.

Le imprese devono essere pronte, organizzate e ben assistite da professionisti esperti per:

  • raccogliere e documentare correttamente gli investimenti effettuati;

  • trasmettere puntualmente la comunicazione usando i canali ufficiali;

  • pianificare l’utilizzo del credito all’interno della propria gestione fiscale.

In un contesto economico ancora incerto, sfruttare ogni agevolazione disponibile in modo legale e strategico è non solo un’opportunità, ma una necessità per restare competitivi. Il credito ZES rappresenta una leva importante per investire, crescere e risparmiare, contribuendo allo stesso tempo allo sviluppo dei territori del Sud.

Il consiglio è uno solo: non aspettare l’ultimo giorno. Pianifica oggi, verifica gli investimenti, raccogli la documentazione e affidati a un professionista per assicurarti di non perdere una delle misure più vantaggiose del 2025.

Bando Marchi+ 2025: contributi a fondo perduto per la registrazione di marchi UE e internazionali

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Con il decreto direttoriale del 23 novembre 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha ufficializzato le modalità e i termini per la presentazione delle domande relative al Bando Marchi+ 2024, una misura agevolativa destinata alle micro, piccole e medie imprese italiane.

A partire dal 4 dicembre 2025, le imprese interessate potranno presentare richiesta per accedere agli incentivi previsti dal bando, che rientra nell’ambito del più ampio progetto nazionale volto a sostenere la valorizzazione dei titoli di proprietà industriale. L’iniziativa si inserisce in un contesto normativo e operativo che comprende anche i bandi Brevetti+e Disegni+, già attivi nel corso dell’anno, a conferma della volontà istituzionale di promuovere l’innovazione e la competitività delle PMI italiane, anche attraverso la tutela dei marchi a livello internazionale.

Il Bando Marchi+ è finalizzato al rimborso parziale delle spese sostenute dalle imprese per la registrazione di marchi dell’Unione Europea presso l’EUIPO e di marchi internazionali presso l’OMPI. La gestione operativa è affidata a Unioncamere, soggetto attuatore incaricato dal Ministero.

Nel presente articolo verranno analizzati nel dettaglio i requisiti di accesso, le spese ammissibili, la procedura per la presentazione delle domande, le principali novità rispetto alle edizioni precedenti, nonché i vantaggi economici e strategici derivanti dalla partecipazione al bando.

Cos’è il Bando Marchi+

Il Bando Marchi+ 2025 rappresenta una delle misure agevolative promosse dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) per sostenere le imprese italiane nei processi di tutela dei marchi all’estero. Si tratta di un’iniziativa che si colloca all’interno del Piano strategico nazionale per la valorizzazione dei titoli di proprietà industriale, e si rivolge espressamente a imprese di micro, piccola e media dimensione (PMI).

L’obiettivo del bando è favorire la registrazione dei marchi a livello europeo e internazionale, incentivando l’acquisto di servizi specialistici finalizzati alla protezione dei segni distintivi dell’impresa nei mercati esteri. In particolare, il bando si articola in due misure:

  • Misura A: agevolazioni per la registrazione di marchi dell’Unione europea presso l’EUIPO (Ufficio dell’Unione europea per la Proprietà Intellettuale), attraverso il ricorso a servizi specialistici esterni.

  • Misura B: agevolazioni per la registrazione di marchi internazionali presso l’OMPI (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale), sempre mediante l’acquisto di servizi specialistici esterni.

Le agevolazioni sono concesse nella forma di contributo in conto capitale, a copertura parziale delle spese sostenute dalle imprese. Per l’annualità 2025, la dotazione finanziaria complessiva del bando ammonta a 2 milioni di euro, cifra che verrà erogata fino a esaurimento delle risorse disponibili, secondo l’ordine cronologico di presentazione delle domande.

Come e quando presentare la domanda

Le domande per accedere alle agevolazioni previste dal Bando Marchi+ 2025 possono essere presentate a partire dalle ore 12:00 del 4 dicembre 2025, esclusivamente tramite procedura informatica, secondo modalità operative che saranno dettagliate da Unioncamere, soggetto gestore della misura.

L’intervento è soggetto a una procedura valutativa a sportello, come previsto dall’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123, che disciplina le modalità di concessione degli incentivi pubblici. Ciò significa che le domande saranno esaminate nell’ordine cronologico di arrivo, fino ad esaurimento dei fondi disponibili. La dotazione finanziaria, per il 2025, è pari a 2 milioni di euro: una cifra limitata, che rende strategico l’invio tempestivo della richiesta.

La finestra per la presentazione della domanda rimane aperta il giorno 4 dicembre 2025 dalle 12:00 alle 18:00, ma sarà possibile inoltrare ulteriori domande anche nei giorni successivi, dal lunedì al venerdì, sempre nella fascia oraria 12:00-18:00. Tuttavia, l’esperienza delle precedenti edizioni del bando suggerisce che le risorse vengono esaurite in poche ore, rendendo fondamentale la preparazione anticipata della documentazione necessaria e l’accesso puntuale alla piattaforma.

La presentazione della domanda fuori dai canali ufficiali, o in modalità diverse da quella telematica, comporta l’automatica esclusione dal bando.

Requisiti soggettivi

Il Bando Marchi+ 2025 è riservato esclusivamente alle imprese di micro, piccola e media dimensione (PMI), come definite dalla Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione europea. Tali imprese devono avere sede legale e operativa in Italia, e devono essere regolarmente costituite, iscritte e attive nel Registro delle Imprese.

Sono esclusi dal bando i soggetti che si trovino in stato di liquidazione, fallimento, concordato preventivo o che siano sottoposti ad altre procedure concorsuali. Inoltre, non possono accedere alle agevolazioni le imprese che abbiano già beneficiato delle misure Marchi+ per le medesime spese o per le stesse domande di registrazione, evitando così il doppio finanziamento.

Altro requisito essenziale riguarda il rispetto del Regolamento (UE) n. 1407/2013 sugli aiuti “de minimis”: l’importo complessivo degli aiuti ricevuti dall’impresa nell’arco di tre esercizi finanziari (quello in corso e i due precedenti) non deve superare la soglia di 200.000 euro.

È necessario, inoltre, che le spese per le quali si richiede il contributo siano già state sostenute alla data di presentazione della domanda, in quanto il bando non finanzia spese future ma rimborsa parzialmente quelle già effettuate, a partire dal 1° gennaio 2020.

La comprovata titolarità o disponibilità del marchio oggetto della domanda e la documentazione attestante l’avvenuta registrazione o la richiesta presso l’EUIPO o l’OMPI costituiscono parte integrante dei requisiti documentali.

Spese ammissibili

Le agevolazioni concesse dal Bando Marchi+ 2025 consistono in contributi a fondo perduto (contributi in conto capitale), destinati a rimborsare parzialmente le spese sostenute dalle PMI per la registrazione di marchi europei e internazionali. L’intervento si articola in due misure distinte – Misura A e Misura B – con ambiti di applicazione e massimali differenti.

Misura A – Marchi UE (EUIPO)

Riguarda i costi sostenuti per la registrazione di marchi presso l’Ufficio dell’Unione europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO). Le spese rimborsabili includono:

  • Progettazione del marchio (consulenza e studi di fattibilità);

  • Assistenza per la presentazione della domanda e gestione delle fasi successive;

  • Ricerche di anteriorità;

  • Assistenza legale per la tutela del marchio in caso di opposizione, rilievi o contenziosi;

  • Tasse ufficiali di registrazione.

L’importo massimo rimborsabile per ciascuna domanda è pari a 6.000 euro.

Misura B – Marchi internazionali (OMPI)

Questa misura riguarda la registrazione dei marchi a livello internazionale tramite l’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (OMPI). Le spese agevolabili comprendono:

  • Consulenza specialistica per l’estensione internazionale;

  • Traduzioni asseverate;

  • Assistenza legale nei procedimenti di opposizione;

  • Tasse di registrazione versate agli uffici esteri tramite il sistema OMPI.

In questo caso, l’importo massimo concedibile può arrivare fino a 9.000 euro.

Entrambe le misure prevedono un intensità di aiuto fino all’80% delle spese ammissibili, nei limiti dei massimali stabiliti. Gli importi vengono liquidati a rimborso, previa verifica della documentazione presentata.

Documentazione necessaria

Per accedere alle agevolazioni del Bando Marchi+ 2025, le imprese devono allegare alla domanda una serie di documenti obbligatori, il cui contenuto consente la verifica del possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi e la corretta imputabilità delle spese dichiarate.

Documentazione da allegare

L’elenco dettagliato sarà reso disponibile da Unioncamere, ma sulla base degli avvisi precedenti è ragionevole prevedere che la documentazione richiesta comprenda:

  • Visura camerale aggiornata dell’impresa richiedente;

  • Documentazione fiscale attestante le spese sostenute (fatture e relativi pagamenti tracciabili);

  • Copia della domanda di registrazione del marchio presso EUIPO o OMPI e relativa ricevuta di deposito;

  • Certificato di registrazione (se già rilasciato) o altra documentazione che attesti l’avvio del procedimento;

  • Relazioni tecniche o contratti con consulenti e professionisti incaricati (ad es. studi di progettazione del marchio, ricerche di anteriorità, pareri legali);

  • Dichiarazione sul rispetto del regime de minimis;

  • Dichiarazioni sostitutive e modulistica firmata digitalmente dal legale rappresentante.

Procedura valutativa

Come stabilito dall’art. 5 del D.lgs. 123/1998, le domande saranno esaminate con procedura valutativa a sportello. Questo significa che non è previsto un punteggio qualitativo, ma una verifica della completezza e correttezza formale della domanda, in ordine cronologico di arrivo. L’erogazione del contributo avverrà fino a esaurimento delle risorse disponibili.

È quindi essenziale che la documentazione sia completa e conforme già al momento dell’invio: domande con documenti mancanti o non correttamente compilati saranno escluse senza possibilità di integrazione successiva.

Le novità rispetto alle edizioni precedenti

Il Bando Marchi+ 2025, pur mantenendo l’impianto generale delle precedenti edizioni, presenta alcune novità operativee puntualizzazioni normative che è importante tenere in considerazione per evitare errori o esclusioni in fase di domanda.

Una delle principali conferme riguarda la suddivisione in due misure distinte (A e B), ciascuna con un tetto massimo di contributo e una propria articolazione delle spese ammissibili. Tuttavia, rispetto ad anni passati, la dotazione finanziaria complessiva è stata ridotta a 2 milioni di euro, segnale che potrebbe rendere la competizione per l’accesso ai fondi ancora più serrata e selettiva.

Un’altra importante novità riguarda il periodo di ammissibilità delle spese, che è stato confermato a partire dal 1° gennaio 2020. Questo ampliamento temporale permette alle imprese che abbiano sostenuto spese in anni precedenti, ma non abbiano potuto partecipare alle passate edizioni del bando, di presentare ora domanda per ottenere un rimborso.

Inoltre, il MIMIT ha ribadito in modo più stringente l’obbligo di utilizzare esclusivamente la piattaforma informaticadedicata alla compilazione e all’invio delle istanze, precisando che eventuali domande trasmesse in modalità differenti saranno automaticamente escluse, senza possibilità di sanatoria.

Infine, per l’edizione 2025 si conferma l’obbligo di documentare in modo puntuale ogni servizio specialistico esterno acquistato, con riferimento esplicito alle attività svolte e alla loro connessione diretta con la registrazione del marchio.

Conclusione

Il Bando Marchi+ 2025 si conferma come una misura concreta e strategica per le micro, piccole e medie imprese italiane che intendono valorizzare e tutelare i propri segni distintivi sui mercati esteri. In un contesto competitivo sempre più globalizzato, il marchio rappresenta non solo un elemento di identità aziendale, ma anche un asset immateriale ad alto valore aggiunto, capace di incidere sul posizionamento e sulla riconoscibilità del brand.

L’agevolazione, sotto forma di contributo a fondo perduto, offre l’opportunità di recuperare fino all’80% delle spese sostenute per la registrazione dei marchi a livello europeo e internazionale. La misura favorisce, inoltre, l’accesso a servizi specialistici di consulenza, rafforzando la struttura legale e strategica dell’impresa nei mercati target.

Tuttavia, la limitata dotazione finanziaria e la procedura valutativa a sportello impongono alle imprese di agire con tempestività e precisione, predisponendo in anticipo tutta la documentazione necessaria. Il coinvolgimento di consulenti esperti in proprietà industriale e in agevolazioni pubbliche può fare la differenza tra un contributo ottenuto e una domanda respinta.

In sintesi, il Bando Marchi+ non è solo un’occasione di risparmio economico, ma anche uno strumento strategico per rafforzare la competitività e l’internazionalizzazione delle PMI italiane. Un’opportunità da cogliere con consapevolezza, metodo e preparazione.

Credito d’imposta ZLS: nuovo modello per Marche e Umbria e scadenza al 2 dicembre 2025

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Il 19 novembre 2025 l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato il Provvedimento n. 503079, con il quale viene approvato il nuovo modello per la comunicazione integrativa del credito d’imposta riconosciuto alle imprese situate nelle Zone Logistiche Speciali (ZLS). L’aggiornamento si è reso necessario in seguito all’estensione del beneficio anche alle Regioni Marche e Umbria, che, come stabilito da recenti disposizioni normative, sono ufficialmente entrate a far parte delle ZLS. Le imprese operanti in queste aree potranno dunque accedere a importanti agevolazioni fiscali per investimenti in beni strumentali nuovi, ma per farlo sarà necessario presentare una comunicazione integrativa entro il 2 dicembre 2025, secondo le nuove modalità stabilite dall’Agenzia.

Questa novità rappresenta una significativa opportunità di risparmio fiscale per gli operatori economici del Centro Italia, i quali potranno beneficiare di un credito d’imposta in grado di supportare la crescita, la digitalizzazione e la competitività aziendale. Tuttavia, per accedere a tali agevolazioni sarà fondamentale comprendere il funzionamento della comunicazione integrativa, i requisiti richiesti e i termini di presentazione previsti.

In questo articolo analizziamo in dettaglio le caratteristiche del nuovo modello, i benefici fiscali ottenibili, e le implicazioni operative per le imprese coinvolte.

Credito d’imposta ZLS

L’estensione del credito d’imposta per le Zone Logistiche Speciali (ZLS) alle imprese delle Regioni Marche e Umbria trova fondamento nell’articolo 3 della Legge 18 novembre 2025, n. 171, che integra le precedenti disposizioni previste dal Decreto-Legge 27 dicembre 2024, n. 202, convertito con modificazioni dalla Legge 21 febbraio 2025, n. 15. Il credito d’imposta è riservato agli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2025 al 15 novembre 2025, in beni strumentali nuovi, da parte di imprese operanti in aree ammissibili agli aiuti a finalità regionale, ai sensi dell’art. 107, par. 3, lett. c), del TFUE.

Per accedere all’agevolazione, le imprese interessate devono presentare una comunicazione integrativa all’Agenzia delle Entrate nel periodo compreso tra il 20 novembre 2025 e il 2 dicembre 2025, attestando l’ammontare delle spese sostenute nel periodo di riferimento. Il modello aggiornato di comunicazione è stato approvato inizialmente con il Provvedimento n. 153474 del 27 marzo 2025 e successivamente modificato con il Provvedimento n. 503079 del 19 novembre 2025, proprio per includere anche Marche e Umbria tra le zone agevolate.

In ossequio a quanto stabilito dall’art. 5, comma 1, della Legge 212/2000 (Statuto del contribuente), l’Agenzia delle Entrate ha inoltre messo a disposizione dei contribuenti un testo coordinato dei provvedimenti, con finalità ricognitiva e divulgativa, per agevolare la piena comprensione della normativa e facilitare la corretta compilazione della comunicazione. Questo strumento si inserisce in un quadro di trasparenza amministrativa e tutela dei diritti del contribuente, elementi oggi più che mai fondamentali nel rapporto fisco-impresa.

Chi può accedere 

Il credito d’imposta ZLS è riservato alle imprese che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive situate nelle Zone Logistiche Semplificate. Con l’estensione alle Regioni Marche e Umbria, il beneficio è ora accessibile anche a quelle imprese che, dal 1° gennaio al 15 novembre 2025, hanno sostenuto spese ammissibili nei territori rientranti nella mappatura degli aiuti a finalità regionale (art. 107, paragrafo 3, lettera c) TFUE).

Possono accedere al credito:

  • Tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, settore economico o regime contabile, ad eccezione di quelle operanti nei settori esclusi dalla normativa UE sugli aiuti di Stato (come la siderurgia, la produzione di energia, i trasporti e le imprese in difficoltà);

  • Le imprese che abbiano strutture operative ubicate nei territori ammissibili;

  • I soggetti che non si trovino in stato di liquidazione o fallimento e che siano in regola con gli obblighi contributivi e previdenziali.

I beni agevolabili devono essere strumentali all’attività d’impresa, nuovi e acquisiti secondo i criteri dell’ammortizzabilità fiscale. Sono esclusi dal beneficio i beni a noleggio o in leasing operativo, i mezzi di trasporto e quelli a uso promiscuo. L’investimento deve inoltre essere effettivamente realizzato e non può riguardare semplici attività di manutenzione o riparazione.

L’ammontare del credito varia in funzione della dimensione dell’impresa (piccola, media o grande) e può arrivare fino al 45% dell’investimento, nel rispetto delle intensità massime previste dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale 2022–2027.

Come e quando

La comunicazione integrativa per il credito d’imposta ZLS è un passaggio obbligatorio per tutte le imprese che intendono beneficiare dell’agevolazione fiscale relativa agli investimenti effettuati tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2025 nelle aree agevolate di Marche e Umbria. Secondo quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, della Legge n. 171/2025, la comunicazione va trasmessa esclusivamente in via telematica all’Agenzia delle Entrate nel periodo compreso tra il 20 novembre e il 2 dicembre 2025.

Per facilitare l’adempimento, l’Agenzia ha messo a disposizione sul proprio sito istituzionale:

  • Il nuovo modello aggiornato di comunicazione integrativa, approvato con il provvedimento n. 503079 del 19 novembre 2025;

  • Le istruzioni dettagliate per la compilazione;

  • Il software di controllo e trasmissione, utilizzabile tramite i canali Entratel o Fisconline.

Il modello deve essere compilato inserendo i seguenti dati principali:

  • Dati identificativi dell’impresa e della sede oggetto dell’investimento;

  • Periodo e importo complessivo degli investimenti realizzati;

  • Importo del credito d’imposta richiesto, calcolato secondo le intensità di aiuto previste;

  • Dichiarazione di sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla normativa.

È importante sottolineare che la comunicazione integrativa non è una semplice formalità, ma rappresenta l’unico canale per rendere effettivamente fruibile il credito. La mancata trasmissione nel termine indicato comporta l’impossibilità di usufruire dell’agevolazione.

Vantaggi fiscali

Il credito d’imposta ZLS rappresenta un importante strumento di politica economica e fiscale, pensato per incentivare gli investimenti produttivi in specifiche aree del Paese, con l’obiettivo di rafforzare la competitività, l’occupazione e la coesione territoriale. L’estensione di tale beneficio alle imprese di Marche e Umbria consente ora a un numero ancora più ampio di operatori economici di ridurre in modo significativo il carico fiscale e migliorare i propri flussi di cassa.

Tra i principali vantaggi fiscali derivanti dalla fruizione del credito d’imposta ZLS, troviamo:

  • Riduzione diretta delle imposte da versare, poiché il credito è utilizzabile in compensazione tramite modello F24;

  • Miglioramento della liquidità aziendale, grazie al recupero parziale e immediato degli investimenti sostenuti;

  • Beneficio cumulabile con altre agevolazioni, purché nel rispetto dei limiti massimi di intensità di aiuto stabiliti dalla normativa europea;

  • Nessuna incidenza sul reddito imponibile, in quanto il credito non concorre alla formazione della base imponibile ai fini IRES/IRPEF e IRAP.

Il credito può essere utilizzato a partire dal periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione dell’investimento, fino a esaurimento dell’importo riconosciuto. Inoltre, trattandosi di una misura automatica (una volta completata correttamente la comunicazione integrativa), non è subordinata a valutazioni discrezionali da parte dell’amministrazione finanziaria.

Per molte imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, il credito ZLS può rappresentare una leva fiscale strategica per pianificare nuovi investimenti, innovare i processi produttivi o digitalizzare le attività, contribuendo concretamente allo sviluppo economico locale.

Errori da evitare 

Anche se il credito d’imposta ZLS è una misura automatica, ciò non significa che sia priva di controlli. Al contrario, l’Agenzia delle Entrate può effettuare verifiche su quanto dichiarato nella comunicazione integrativa, sia in fase successiva alla trasmissione sia in sede di controllo formale o sostanziale. Per questo motivo, è fondamentale evitare errori nella compilazione e trasmissione del modello, pena la perdita totale o parziale dell’agevolazione.

Gli errori più frequenti che possono compromettere l’accesso al beneficio sono:

  • Inserimento di dati errati o incompleti, come il codice fiscale dell’impresa o i dati catastali della sede operativa;

  • Indicazione di spese non ammissibili, come beni usati, beni a uso promiscuo o investimenti in leasing operativo;

  • Calcolo errato del credito spettante, in particolare per quanto riguarda l’applicazione delle corrette aliquote in base alla dimensione d’impresa;

  • Trasmissione fuori dai termini, anche per un solo giorno di ritardo (oltre il 2 dicembre 2025), che rende la comunicazione inefficace.

L’Agenzia delle Entrate può inoltre incrociare i dati dichiarati nella comunicazione con altre banche dati (es. bilanci, dichiarazioni IVA, CU, INPS) per accertare la veridicità degli investimenti e la corretta fruizione del credito. In caso di irregolarità o dichiarazioni mendaci, oltre alla revoca del beneficio, sono previste sanzioni amministrative e penali, secondo quanto stabilito dal D.Lgs. 471/1997 e dal Codice Penale in caso di frode.

Per questo motivo, si consiglia di affidarsi a un commercialista esperto o a un consulente fiscale che conosca bene la normativa ZLS, per evitare errori materiali o interpretativi e tutelarsi da eventuali contenziosi con il fisco.

Pianificazione fiscale 

L’introduzione del credito d’imposta ZLS per le Regioni Marche e Umbria offre alle imprese un’opportunità concreta per ripensare la propria pianificazione fiscale in chiave strategica. L’agevolazione, infatti, non è solo un incentivo “a consuntivo” sugli investimenti già effettuati, ma può e deve essere utilizzata come strumento di programmazione, capace di guidare le decisioni su dove, come e quando investire.

Inserire il credito ZLS all’interno di un piano di sviluppo aziendale significa:

  • Anticipare investimenti che erano stati previsti per gli anni successivi, per massimizzare il beneficio nel periodo agevolato;

  • Localizzare nuove strutture produttive o filiali all’interno dei territori ZLS ammessi al beneficio;

  • Ottimizzare il budget aziendale riducendo il fabbisogno finanziario tramite la compensazione del credito maturato;

  • Integrare l’agevolazione con altri strumenti fiscali o contributivi, come il credito per investimenti in beni 4.0, la Nuova Sabatini, o i bandi regionali per l’innovazione.

Dal punto di vista operativo, questa misura può anche rappresentare una leva di attrattività per gli investitori, poiché migliora i principali indicatori economico-finanziari dell’impresa: dal ROI al cash flow operativo, fino al tax rate effettivo.

Per le aziende strutturate, la collaborazione tra ufficio fiscale, area finanza e consulenti esterni è fondamentale per simulare scenari, calcolare benefici cumulativi e pianificare correttamente la compensazione del credito, evitando sprechi o errori nella gestione dell’agevolazione.

In sintesi, il credito ZLS non va visto come un semplice bonus fiscale, ma come uno strumento evoluto di pianificazione aziendale, in grado di contribuire alla sostenibilità e alla crescita del business nel medio-lungo termine.

Conclusione

Il credito d’imposta ZLS rappresenta una delle misure fiscali più interessanti del 2025 per le imprese italiane, soprattutto per quelle situate o operative nelle regioni Marche e Umbria, appena entrate a far parte delle Zone Logistiche Semplificate. La possibilità di recuperare fino al 45% degli investimenti in beni strumentali nuovi è un incentivo concreto alla crescita, alla modernizzazione e all’attrattività del territorio.

Tuttavia, per accedere al beneficio, è essenziale rispettare le scadenze e le modalità previste dalla normativa vigente. Le imprese interessate devono infatti inviare la comunicazione integrativa all’Agenzia delle Entrate entro il 2 dicembre 2025, utilizzando il nuovo modello approvato con il Provvedimento del 19 novembre.

Non si tratta di un semplice adempimento formale: è una procedura strategica, che può avere un impatto rilevante sulla pianificazione fiscale, sulla liquidità e sulla redditività aziendale. Ecco perché è fondamentale affidarsi a un consulente fiscale esperto, che sappia interpretare correttamente la norma, compilare la comunicazione e pianificare l’uso del credito d’imposta nel modo più vantaggioso possibile.

In un contesto economico sempre più competitivo, cogliere per tempo queste opportunità può fare la differenza tra un’azienda che subisce il mercato e una che lo anticipa, anche sul piano fiscale.

Rottamazione Quater: scadenza 30 novembre e tolleranza fino al 9 dicembre

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Sta per scadere una delle più importanti opportunità per i contribuenti italiani che hanno aderito alla Rottamazione Quater: la prossima rata va pagata entro il 30 novembre 2025. Tuttavia, grazie alla tolleranza prevista per legge, sarà possibile saldare l’importo fino al 9 dicembre 2025 senza perdere i benefici dell’agevolazione. Una scadenza cruciale che interessa centinaia di migliaia di contribuenti e imprese, impegnati nella regolarizzazione dei propri debiti fiscali.

Con l’avvicinarsi della data, cresce l’interesse e  anche la confusione su scadenze, modalità di pagamento, sanzioni e possibili decadenze. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate – Riscossione ha appena reso disponibile un nuovo servizio online per chi ha piani di dilazione con più di 10 rate, offrendo uno strumento utile per scaricare facilmente i modelli di pagamento (moduli RAV) in caso di smarrimento o mancata ricezione.

In questo articolo approfondiremo quali sono le scadenze reali e come funziona la tolleranza fino al 9 dicembre, cosa succede in caso di mancato pagamento, come usare il nuovo servizio dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, come risparmiare legalmente grazie alla Rottamazione Quater, quali vantaggi fiscali ed economici derivano dall’adesione e infine, cosa prevede la normativa di riferimento e quali sentenze recenti rafforzano il quadro.

Moduli online per chi ha più di 10 rate

Un’importante novità interessa i contribuenti che hanno aderito alla Rottamazione Quater scegliendo un piano di pagamento con più di 10 rate. A partire da novembre 2025, infatti, è possibile accedere a un nuovo servizio messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, pensato per chi necessita dei moduli di pagamento dall’undicesima rata in poi, da utilizzare a partire dal 2026.

Nella comunicazione delle somme dovute, ricevuta dopo l’adesione alla Rottamazione, erano inclusi solo i moduli relativi alle prime dieci rate. Per questo motivo, chi ha scelto un piano più lungo si è trovato sprovvisto dei moduli necessari per i pagamenti successivi. Il nuovo servizio online risolve questo problema, permettendo di scaricare i modelli RAV direttamente dal sito, oppure di riceverli via PEC o in forma cartacea, a seconda del domicilio comunicato.

È bene sapere che questi moduli sono disponibili solo per i contribuenti in regola con tutti i versamenti precedenti e non sono destinati a chi ha già ricevuto i modelli tramite il servizio “ContiTu”, che consente di ottenere in anticipo tutti i bollettini.

In vista della scadenza del 30 novembre 2025 per la decima rata, è necessario utilizzare il modulo di pagamento già presente nella comunicazione originaria, sempre reperibile nell’area riservata del sito oppure tramite il servizio “Copia comunicazione”.

Quest’ultimo offre due modalità:

  1. Accesso con credenziali (SPID, CIE, CNS o Entratel per intermediari), per scaricare direttamente i moduli dalla sezione “Definizione agevolata”.

  2. Richiesta senza credenziali, tramite form pubblico e allegando i documenti per il riconoscimento, con ricezione via e-mail.

Intanto, il Governo valuta l’introduzione della “rottamazione quinquies” nella prossima Legge di Bilancio 2026, confermando l’interesse politico verso ulteriori misure di alleggerimento fiscale.

Scadenza del 30 novembre

Il prossimo 30 novembre 2025 rappresenta una scadenza fondamentale per chi ha aderito alla Rottamazione Quater: entro questa data va infatti effettuato il pagamento della decima rata del piano agevolato. Tuttavia, la normativa prevede una tolleranza di 5 giorni, durante i quali il pagamento è ancora considerato valido: in concreto, ciò significa che sarà possibile saldare l’importo fino a lunedì 9 dicembre 2025, senza incorrere in sanzioni o decadenze.

Questa finestra di tolleranza non va assolutamente confusa con una proroga ufficiale: è una franchigia prevista per legge, introdotta per consentire ai contribuenti di fronteggiare eventuali ritardi tecnici, come problemi bancari, disguidi postali o difficoltà nei pagamenti elettronici. Trascorso il termine del 9 dicembre, anche un solo giorno di ritardocomporta la decadenza automatica dal beneficio della rottamazione, con conseguente perdita di tutti i vantaggi legati all’agevolazione.

Cosa succede in caso di decadenza? Il contribuente:

  • perde la riduzione su sanzioni e interessi;

  • torna a dover versare l’intero importo originariamente dovuto;

  • può essere nuovamente soggetto ad azioni esecutive da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (come fermi amministrativi, pignoramenti, ecc.);

  • non ha diritto a rateizzazioni agevolate sulla stessa posizione.

Per questo è fondamentale non attendere l’ultimo giorno utile, verificare per tempo la disponibilità del modulo di pagamento corretto e assicurarsi che il pagamento venga contabilizzato entro i termini di legge.

I vantaggi della Rottamazione Quater

La Rottamazione Quater, introdotta con la Legge di Bilancio 2023 (Legge n. 197/2022, art. 1, commi da 231 a 252), ha rappresentato un’opportunità concreta di alleggerimento del carico fiscale per milioni di contribuenti. Il principale vantaggio? La possibilità di pagare solo il debito residuo per imposte, tributi e contributi affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, escludendo interamente sanzioni, interessi di mora e aggio.

Chi ha aderito alla definizione agevolata ha quindi potuto:

  • ottenere un forte risparmio fiscale sul totale dovuto;

  • dilazionare il debito fino a 18 rate in 5 anni, con un piano sostenibile;

  • sospendere le azioni esecutive (pignoramenti, fermi, ipoteche);

  • evitare l’attivazione di nuove procedure cautelari o esecutive.

Inoltre, uno degli aspetti più apprezzati è la trasparenza del calcolo: l’Agenzia ha inviato ai contribuenti una comunicazione chiara con l’importo complessivo agevolato, suddiviso per rate, inclusi gli estremi dei moduli di pagamento.

Va sottolineato che la rottamazione non comporta la cancellazione del debito originario ai fini contabili, ma ha effetti solo sul piano della riscossione: il debito viene estinto per l’amministrazione finanziaria, ma potrebbe restare rilevante per altri fini (ad esempio, nei rapporti con le banche).

La convenienza è dunque evidente: rispetto a una normale rateizzazione, la Rottamazione Quater taglia le voci accessorie, riducendo il costo complessivo anche del 40-50% in molti casi.

Come usare il servizio online

L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha messo a disposizione dei contribuenti un sistema efficiente e accessibile per recuperare i moduli di pagamento della Rottamazione Quater, utile in particolare per chi ha perso la documentazione inviata o per chi necessita dei modelli dall’undicesima rata in poi.

Il servizio, disponibile sul sito istituzionale www.agenziaentrateriscossione.gov.it, può essere utilizzato con due modalità diverse, in base al livello di accesso:

1. Accesso all’area riservata (con SPID, CIE, CNS o Entratel)

Questa è la modalità più completa. Dopo l’autenticazione, è possibile accedere alla sezione “Definizione agevolata” e scaricare direttamente:

  • la copia della comunicazione delle somme dovute;

  • i moduli di pagamento ancora da saldare;

  • lo stato dei versamenti effettuati.

Questa modalità è consigliata per chi vuole tenere traccia di tutti i pagamenti ed evitare errori nella gestione del proprio piano rateale.

2. Richiesta nella sezione pubblica (senza credenziali)

È possibile accedere anche senza autenticazione, compilando un form online con i propri dati anagrafici e allegando documentazione identificativa (es. copia di un documento di identità). In questo caso, la copia della comunicazione viene inviata via e-mail, generalmente entro pochi giorni.

Questa seconda opzione è utile per chi non ha dimestichezza con SPID o altri sistemi di accesso digitale, ma comporta tempi leggermente più lunghi.

Attenzione: i moduli non vengono rinviati automaticamente. È responsabilità del contribuente verificare per tempo la disponibilità dei bollettini, soprattutto in vista della scadenza del 30 novembre. In caso di pagamenti errati o fuori termine, la decadenza è automatica, e non sono previste proroghe.

Cosa succede in caso di decadenza 

Il mancato pagamento di una rata della Rottamazione Quater, anche solo per un giorno oltre il termine di tolleranza, comporta la decadenza automatica dal beneficio. Questo significa che il contribuente perde tutti i vantaggi derivanti dall’adesione alla definizione agevolata e si riattiva l’intera procedura di riscossione, con effetti potenzialmente gravi sul piano fiscale, economico e anche patrimoniale.

Ecco cosa comporta la decadenza:

  • Perdita delle agevolazioni fiscali: tornano dovute le sanzioni, gli interessi di mora e l’aggio della riscossione, annullando il risparmio ottenuto con l’adesione.

  • Ritorno all’importo originario del debito, con l’aggiunta degli interessi maturati nel frattempo.

  • Ripresa delle azioni esecutive e cautelari da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione: si riattivano pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche.

  • Iscrizione a ruolo delle somme residue, con conseguenze negative su eventuali richieste di finanziamento, mutui o affidamenti bancari.

Inoltre, il contribuente non può più rientrare nella Rottamazione Quater, anche se volesse saldare successivamente. A oggi, non è prevista alcuna possibilità di riammissione, salvo l’introduzione di nuove misure nella prossima Legge di Bilancio 2026.

Tuttavia, resta possibile chiedere una rateizzazione del debito residuo secondo le regole standard (massimo 72 rate, salvo casi di comprovata difficoltà). Ma si tratta di una soluzione meno conveniente, poiché non prevede alcun abbattimento delle sanzioni e degli interessi.

Per questo motivo, è essenziale rispettare con precisione le scadenze e monitorare costantemente la propria posizione sul sito della Riscossione, evitando qualsiasi errore formale o ritardo.

In arrivo la Rottamazione Quinquies

Mentre i contribuenti sono alle prese con le ultime scadenze della Rottamazione Quater, il Governo lavora già alla prossima fase della strategia di definizione agevolata: si parla sempre più insistentemente dell’introduzione di una “Rottamazione Quinquies” nella Legge di Bilancio 2026, al momento allo studio dei tecnici del MEF e dell’Agenzia delle Entrate.

Secondo le prime indiscrezioni, la nuova misura potrebbe ricalcare lo schema già adottato con le precedenti rottamazioni, consentendo ai contribuenti di sanare i debiti affidati alla riscossione entro una certa data (verosimilmente il 31 dicembre 2023 o 2024) beneficiando della cancellazione di sanzioni e interessi. Non è escluso che la Rottamazione Quinquies possa anche includere ulteriori forme di flessibilità, come la possibilità di dilazioni più lunghe o meccanismi premiali per chi paga in unica soluzione.

L’obiettivo politico è duplice:

  1. Da un lato, alleggerire il carico fiscale di famiglie e imprese, duramente colpite da inflazione, alti tassi di interesse e costi crescenti dell’energia.

  2. Dall’altro, consentire allo Stato di recuperare in modo efficace una parte significativa dei crediti “inesigibili”, che ammontano a centinaia di miliardi di euro nei bilanci pubblici.

Se confermata, la nuova rottamazione potrebbe rappresentare un’ulteriore chance per chi è decaduto dalla Quater, o per chi non ha fatto in tempo ad aderire. Ma attenzione: al momento non esiste ancora un testo normativo ufficiale, e tutto dipenderà dalle scelte del Governo in sede di approvazione della Manovra 2026.

Conviene quindi monitorare con attenzione gli sviluppi legislativi nelle prossime settimane.

Conclusioni

La scadenza del 30 novembre 2025 rappresenta un vero spartiacque per i contribuenti che hanno scelto di regolarizzare i propri debiti con il Fisco grazie alla Rottamazione Quater. Grazie alla tolleranza fino al 9 dicembre, c’è ancora una finestra utile per mettersi in regola, ma attenzione: oltre quella data, il rischio di decadenza è concreto e irreversibile.

Chi ha piani con più di 10 rate deve accedere quanto prima al nuovo servizio online dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione per ottenere i moduli di pagamento mancanti, così da non trovarsi impreparato. In parallelo, è importante verificare lo stato dei versamenti effettuati finora e scaricare le comunicazioni ufficiali, per non incorrere in errori formali che possono costare molto caro.

La definizione agevolata rimane, ad oggi, uno degli strumenti più efficaci per risparmiare legalmente sulle tasse, evitare sanzioni e riprendere il controllo della propria situazione fiscale. Tuttavia, richiede precisione, tempestività e conoscenza degli strumenti digitali disponibili.

Nel frattempo, l’ipotesi di una Rottamazione Quinquies nella prossima Legge di Bilancio 2026 apre nuovi scenari per chi non ha potuto aderire finora o è decaduto. Ma fino a quando non ci sarà una norma ufficiale, l’unica certezza è rispettare le scadenze attuali.

Agisci ora: perché nel fisco, la differenza tra risparmiare e pagare tutto sta spesso in pochi giorni.

Bonus nuovi nati 2025 e aiuti per le famiglie: guida completa INPS, requisiti e novità

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Nel 2025 diventare genitori potrà offrire qualche beneficio in più: lo Stato, attraverso la Legge di Bilancio 2025, ha confermato e rafforzato alcune misure economiche a sostegno della natalità, tra cui il tanto discusso Bonus nuovi nati da 1.000 euro. Un’agevolazione che ha fatto molto parlare di sé nelle ultime settimane, soprattutto per il recente promemoria dell’INPS, che ha riepilogato le regole d’accesso e la platea dei beneficiari. Ma non solo: nel pacchetto per le famiglie ci sono anche incentivi per il nido, detrazioni per i figli a carico, e potenziamenti sull’assegno unico universale.

Ma come funziona esattamente questo bonus da 1.000 euro? Chi può riceverlo e in quali tempi? E, soprattutto, come si lega alle altre misure già attive per le famiglie? In questo articolo analizzeremo punto per punto le novità introdotte dalla Manovra 2025, i requisiti per accedere al bonus nascita, le indicazioni dell’INPS e i possibili risvolti fiscali per le famiglie italiane.

L’obiettivo è chiarire in modo semplice e professionale come sfruttare al meglio i benefici fiscali legati alla genitorialità, rispondendo a domande frequenti e offrendo uno sguardo completo su tutte le misure in vigore.

Bonus Nascita 2025

Con la Legge di Bilancio 2025, all’articolo 1, commi 206-208, viene introdotto un nuovo contributo economico destinato alle famiglie: si tratta del Bonus nascita 2025, noto anche come Carta nuovi nati, un’erogazione una tantum del valore di 1.000 euro. L’obiettivo è sostenere economicamente le famiglie con figli neonati o adottati a partire dal 1° gennaio 2025. Il bonus sarà erogato nel mese successivo alla nascita o all’adozione del minore.

Un dettaglio fondamentale riguarda l’ISEE, che costituisce uno dei criteri principali per l’accesso al bonus: il limite massimo è fissato a 40.000 euro annui, ma con una specifica importante. Per il calcolo dell’ISEE utile a questa misura, non si tiene conto dell’Assegno Unico e Universale percepito per altri figli a carico. Questo rappresenta un vantaggio tecnico per molte famiglie, che potrebbero rientrare nei requisiti anche se già ricevono altri benefici.

Il contributo non concorrerà alla formazione del reddito imponibile, quindi non influirà sulla dichiarazione dei redditi o sul calcolo delle imposte. La platea dei beneficiari include cittadini italiani, cittadini UE, familiari di cittadini UE con regolare diritto di soggiorno e cittadini extra UE in possesso di permessi di soggiorno di lungo periodo o legati a motivi di lavoro o ricerca, purché residenti in Italia.

Il Governo ha stanziato 330 milioni di euro per il 2025, che saliranno a 360 milioni annui dal 2026, a conferma della volontà di rendere la misura strutturale.

Bonus asilo nido 2025

La Legge di Bilancio 2025 introduce importanti novità anche sul fronte del Bonus Asilo Nido, rendendolo più generoso e accessibile a una platea più ampia di famiglie. Le modifiche, previste ai commi 208-211 dell’articolo 1, hanno un duplice obiettivo: da un lato semplificare l’accesso all’agevolazione, dall’altro potenziare l’importo massimo erogabile, arrivando fino a 2.100 euro annui per i nuclei con specifici requisiti.

Come per il Bonus nuovi nati, anche in questo caso il calcolo dell’ISEE familiare subirà una modifica favorevole: l’Assegno Unico per i figli non verrà più considerato nel calcolo dell’indicatore economico. Questo dettaglio tecnico, apparentemente secondario, ha invece un impatto significativo: molte famiglie potranno rientrare nelle fasce ISEE più basse, accedendo così ai massimi benefici previsti.

Un’altra novità rilevante riguarda la soppressione del requisito della presenza di un figlio con meno di 10 anni per beneficiare della maggiorazione. Fino al 2024, infatti, l’importo potenziato del bonus era condizionato alla presenza di almeno un minore under 10 nel nucleo familiare. Dal 2025 questa limitazione non sarà più valida, ampliando così il numero dei potenziali beneficiari.

In sostanza, il Bonus Nido 2025 punta a semplificare le regole, aumentare la portata del beneficio e incentivare concretamente la frequenza agli asili nido, contribuendo a una più equilibrata gestione della vita familiare e lavorativa, soprattutto per le madri lavoratrici.

Per rafforzare ulteriormente il Bonus Asilo Nido e renderlo una misura più strutturata e sostenibile nel tempo, la Legge di Bilancio 2025 ha previsto anche un significativo incremento delle risorse finanziarie destinate a questa agevolazione. La spesa autorizzata viene così aumentata di 97 milioni di euro per il 2025, 131 milioni per il 2026, 194 milioni per il 2027, 197 milioni per il 2028, e si attesterà a 200 milioni di euro annui a partire dal 2029. Un impegno economico che testimonia la volontà del Governo di investire sul welfare familiare.

Va però ricordato che, nonostante le novità, restano valide le soglie ISEE differenziate già applicate negli anni precedenti. Già nel 2023, ad esempio, il contributo spettante variava in base alla situazione economica della famiglia:

  • Fino a 3.000 euro annui per chi ha un ISEE minorenni fino a 25.000,99 euro;

  • Fino a 2.500 euro annui per ISEE compreso tra 25.001 e 40.000 euro;

  • 1.500 euro per ISEE superiore a 40.000 euro o per assenza/difformità dell’ISEE.

Una maggiorazione è stata introdotta dal 2024 per i nuovi nati con fratelli minori di 10 anni:

  • 3.600 euro con ISEE valido fino a 40.000 euro;

  • 1.500 euro per ISEE superiore o assente/difforme.

Con le modifiche 2025, si elimina la condizione dell’età dei figli per accedere a queste soglie maggiorate, estendendo la possibilità del contributo massimo a un numero maggiore di famiglie.

Istruzioni INPS e come fare domanda 

Con l’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2025, l’INPS ha pubblicato le istruzioni ufficiali per accedere al Bonus nascita da 1.000 euro, noto anche come Carta nuovi nati. Le indicazioni operative sono state rese note con la circolare del 14 aprile 2025, mentre con il messaggio n. 1303 del 16 aprile l’Istituto ha annunciato l’attivazione della piattaforma per la presentazione delle domande, a partire dal 17 aprile 2025.

Il servizio è disponibile online sul sito ufficiale dell’INPS, all’indirizzo www.inps.it, all’interno della sezione “Punto d’accesso alle prestazioni non pensionistiche”.

Il percorso da seguire è:

Sostegni, Sussidi e Indennità → Esplora Sostegni, Sussidi e Indennità → Vedi tutti → Bonus nuovi nati.
Per l’accesso è necessario disporre di SPID di livello 2 o superiore, CIE 3.0, CNS o eIDAS, ossia una delle identità digitali riconosciute.

In alternativa alla modalità online, la domanda può essere presentata anche tramite il Contact Center Multicanale(chiamando l’INPS) o rivolgendosi agli Istituti di patronato, che offrono supporto gratuito nella compilazione.

Importante novità del 2025 è l’ampliamento del termine per la presentazione della domanda, che passa da 60 a 120 giorni dalla data della nascita o dell’ingresso del minore nel nucleo familiare in caso di adozione. Un cambiamento rilevante che offre più tempo ai genitori per raccogliere la documentazione necessaria e inoltrare correttamente la richiesta.

Servizio MyINPS

Dal novembre 2025, l’INPS ha attivato un nuovo strumento di supporto per i genitori: si tratta del servizio MyINPS proattivo, pensato per facilitare l’accesso alle prestazioni legate alla nascita di un figlio, come il Bonus nuovi nati e l’Assegno Unico Universale. In pratica, in occasione della registrazione della nascita, i genitori ricevono una comunicazione automatica via email contenente l’invito a presentare la domanda per entrambe le misure.

Il sistema, che punta a semplificare l’interazione tra cittadino e Pubblica Amministrazione, invia il promemoria esclusivamente a coloro che hanno prestato il consenso alla ricezione di comunicazioni dall’INPS. L’obiettivo è quello di ridurre il rischio di perdita dei termini per la domanda, garantendo un accesso tempestivo ai benefici disponibili.

Per attivare i servizi personalizzati MyINPS, è necessario accedere al portale www.inps.it, entrare nell’area personale “MyINPS” e seguire il percorso:
I tuoi dati > Contatti e consensi > Adesione ai servizi proattivi.
In questa sezione, basta spuntare la casella “Acconsento” per ricevere comunicazioni automatiche personalizzate, promemoria e aggiornamenti relativi ai bonus e sussidi disponibili per il proprio nucleo familiare.

Questa nuova modalità di notifica è particolarmente utile per le famiglie con ISEE inferiore a 40.000 euro, che potrebbero non sapere di avere diritto al Bonus nuovi nati, oppure non essere ancora beneficiarie dell’Assegno Unico per figli già a carico.

Guida pratica INPS

La circolare INPS n. 76 del 14 aprile 2025 fornisce tutte le istruzioni operative per accedere al Bonus nuovi nati da 1.000 euro, introdotto dalla Legge di Bilancio 2025. Il beneficio è riservato a famiglie con ISEE minorenni fino a 40.000 euro annui, con esclusione dell’Assegno Unico dal calcolo, e riguarda figli nati o adottati dal 1° gennaio 2025 in poi.

I beneficiari devono rispettare precisi requisiti di cittadinanza e residenza: il bonus spetta a cittadini italiani, dell’Unione Europea, familiari di cittadini UE, cittadini extracomunitari con permessi validi da almeno un anno, rifugiati, apolidi, titolari di protezione internazionale e cittadini britannici residenti in Italia prima del 31 dicembre 2020.

La domanda va presentata entro 120 giorni dalla data dell’evento (nascita, adozione o affido preadottivo), ma per le nascite precedenti all’attivazione della piattaforma e fino al 24 luglio, la scadenza è stata prorogata al 22 settembre 2025.

I canali per presentare domanda sono:

  • Portale www.inps.it, con SPID, CIE, CNS o eIDAS;

  • App INPS Mobile;

  • Contact Center (803.164 da fisso, 06.164.164 da mobile);

  • Patronato.

L’erogazione segue l’ordine cronologico di presentazione, fino a esaurimento delle risorse stanziate: 330 milioni di euro per il 2025 e 360 milioni a partire dal 2026. L’INPS effettuerà un monitoraggio mensile e, se necessario, potrà proporre modifiche ai requisiti o all’importo.

Infine, il bonus non concorre alla formazione del reddito IRPEF: è totalmente esente da tassazione, offrendo un vantaggio economico netto e immediato.

Vantaggi fiscali 

Il 2025 si conferma un anno strategico per le politiche di sostegno alla natalità e alla famiglia. Il Bonus nuovi nati da 1.000 euro, il Bonus asilo nido potenziato, l’Assegno Unico Universale e le detrazioni fiscali rappresentano un sistema articolato di interventi economici a favore dei nuclei con figli, che se ben gestiti, possono generare un concreto risparmio fiscale legale.

L’Assegno Unico Universale (AUU) resta il pilastro centrale, garantendo un contributo mensile a tutti i nuclei con figli a carico fino a 21 anni, con importi variabili in base all’ISEE e al numero di figli. A questo si aggiungono maggiorazioniper figli con disabilità, genitori entrambi lavoratori, famiglie numerose o madri giovani. Nel 2025, l’Assegno Unico continua ad essere non imponibile fiscalmente, come il Bonus nuovi nati.

In parallelo, le detrazioni IRPEF per figli a carico sono ancora previste per i figli con più di 21 anni e in alcuni casi per le spese scolastiche, sanitarie o sportive. Se ben coordinate con l’ISEE aggiornato e una corretta gestione delle dichiarazioni, queste agevolazioni possono abbattere l’imposizione fiscale complessiva.

Per le famiglie con figli piccoli, il Bonus asilo nido offre un sostegno concreto al pagamento delle rette, con un impatto diretto sulla gestione quotidiana. La possibilità di accedere a più strumenti cumulabili, unita al supporto dei patronati o dei professionisti, rappresenta un’opportunità per ottimizzare le risorse familiari senza violare la normativa.

Il consiglio, quindi, è di pianificare ogni anno l’aggiornamento ISEE e verificare la propria situazione fiscale per ottenere il massimo da ogni incentivo disponibile.

Esempio pratico

Per capire l’impatto reale dei bonus figli 2025, vediamo un esempio pratico. Consideriamo una famiglia composta da due genitori lavoratori dipendenti con un ISEE minorenni pari a 28.000 euro, due figli a carico (uno di 3 anni e uno nato a maggio 2025), residenti in Italia.

In questo scenario, la famiglia può beneficiare di:

  • Bonus nuovi nati da 1.000 euro una tantum per il figlio nato nel 2025, perché l’ISEE è sotto i 40.000 euro;

  • Assegno Unico Universale mensile per entrambi i figli, con un importo base di circa 190 euro al mese per figlio, maggiorato grazie al secondo figlio e al doppio reddito;

  • Bonus asilo nido fino a 2.500 euro annui per il figlio di 3 anni, essendo sotto la soglia dei 40.000 euro ISEE (fino a 3.600 euro se il figlio più piccolo entra all’asilo nel 2026);

  • Detrazioni IRPEF per figli a carico superiori a 21 anni o per spese scolastiche, sanitarie, attività sportive, detraibili nella dichiarazione dei redditi.

Totale dei benefici stimati in un anno:

  • Circa 3.500 euro di AUU (190x2x12 mesi + maggiorazioni);

  • Fino a 2.500 euro di Bonus nido;

  • 1.000 euro di Bonus nuovi nati;

  • Ulteriori detrazioni fiscali variabili.

In totale, una famiglia tipo può arrivare a superare 7.000 euro annui di aiuti diretti e indiretti, completamente legali e cumulabili, a patto di presentare un ISEE aggiornato e rispettare le scadenze.

Conclusione

Il Bonus nuovi nati 2025 rappresenta una misura concreta di sostegno alle famiglie italiane, parte di una strategia più ampia che mira a contrastare il calo demografico e supportare i genitori nei primi anni di vita del bambino. Integrato con strumenti come il Bonus asilo nido e l’Assegno Unico Universale, può costituire un pacchetto economico rilevante, capace di alleggerire sensibilmente i costi legati alla genitorialità.

Ma per accedere a questi benefici è fondamentale non commettere errori: aggiornare per tempo l’ISEE, rispettare le scadenze di domanda, controllare di aver prestato il consenso ai servizi proattivi INPS tramite MyINPS e, se necessario, affidarsi a un patronato o a un consulente fiscale.

In un sistema che tende alla semplificazione digitale e all’automatismo nei pagamenti, essere informati e preparati fa la differenza tra ottenere il massimo possibile o perdere un’opportunità importante.

Per ogni dubbio o per pianificare al meglio la tua strategia familiare, ti consigliamo di consultare un commercialista esperto in fiscalità familiare o un CAF abilitato, così da non lasciare nulla al caso e massimizzare il risparmio fiscale in modo legale e sicuro.

Contributi 2025 per ASD e SSD: fondi per eventi sportivi internazionali fino al 15 dicembre

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Il 2025 si conferma un anno strategico per lo sport dilettantistico italiano, grazie ai contributi messi a disposizione per le Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) e le Società Sportive Dilettantistiche (SSD) che organizzano eventi sportivi di rilevanza internazionale. Dal 15 maggio al 15 dicembre 2025, è infatti possibile presentare domanda per ottenere un contributo economico che può rappresentare un’opportunità concreta per promuovere lo sport a livello locale e nazionale, valorizzando anche l’impatto sociale, economico e turistico di tali manifestazioni.

Ma come funziona il contributo? Quali sono i requisiti per accedervi? E, soprattutto, quali spese possono essere coperte?

Questo articolo ti guiderà passo dopo passo attraverso la normativa, i criteri stabiliti dal Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri e le modalità operative per presentare correttamente la domanda. Non mancheranno approfondimenti sulle strategie per ottenere il massimo vantaggio fiscale e organizzativo da queste misure, completamente legali e perfettamente in linea con il principio di trasparenza e valorizzazione del territorio.

Se gestisci un’associazione o società sportiva dilettantistica, questa è un’occasione che non puoi perdere.

Soggetti 

Per ottenere i contributi destinati a eventi sportivi di rilevanza internazionale, le ASD (Associazioni Sportive Dilettantistiche) e le SSD (Società Sportive Dilettantistiche) devono presentare un progetto ben strutturato e rispettare una serie di requisiti precisi. Il primo elemento fondamentale è che l’evento sportivo oggetto della richiesta deve essere riconosciuto da una Federazione sportiva nazionale o internazionale, da una Disciplina sportiva associata o da un Ente di promozione sportiva. Inoltre, deve avere carattere internazionale o nazionale (quest’ultimo solo per eventi sportivi femminili) e prevedere l’assegnazione di titoli ufficiali.

La domanda potrà essere presentata esclusivamente online, attraverso la piattaforma informatica del Dipartimento per lo Sport, accessibile dal portale ufficiale https://avvisibandi.sport.governo.it/, a partire dalle ore 14:00 dell’8 maggio 2025. L’accesso sarà consentito solo tramite SPID del legale rappresentante dell’associazione o società sportiva.

Nel progetto dovranno essere indicati, tra gli altri, i seguenti elementi:

  • il rilievo internazionale (o nazionale per eventi femminili),

  • l’impatto sull’economia locale e le ricadute positive sul territorio,

  • il coinvolgimento di categorie vulnerabili (disabili, minorenni, anziani),

  • la sostenibilità ambientale e sociale dell’evento,

  • la strategia di comunicazione e diffusione, anche via social media.

Importante: la domanda dovrà essere presentata almeno 20 giorni prima della data di inizio dell’evento e non oltre il 15 dicembre 2025, pena l’irricevibilità.

Spese ammissibili 

Uno degli aspetti più rilevanti per ASD e SSD che intendono accedere al contributo è la corretta individuazione delle spese ammissibili, ovvero quelle che possono essere coperte (anche solo parzialmente) dai fondi pubblici. Come specificato nel bando, le spese devono essere funzionali alla realizzazione dell’evento sportivo di rilevanza internazionale, e documentate in modo chiaro e trasparente.

Tra le principali voci di costo ammissibili troviamo:

  • spese per l’affitto o l’allestimento degli impianti sportivi;

  • servizi tecnici e logistici, come sicurezza, pulizie, noleggio attrezzature, servizi sanitari e trasporto atleti;

  • promozione e comunicazione dell’evento, compresi materiali pubblicitari, gestione dei social media, ufficio stampa e relazioni pubbliche;

  • assicurazioni obbligatorie, costi per permessi o autorizzazioni;

  • eventuali compensi per giudici di gara o figure tecniche richieste dal regolamento sportivo.

Tutti i costi sostenuti dovranno essere rendicontati puntualmente, tramite fatture elettroniche o documentazione equivalente, e accompagnati da una relazione dettagliata che dimostri il nesso diretto tra le spese effettuate e lo svolgimento dell’evento. È fondamentale rispettare i criteri di trasparenza e tracciabilità, per evitare il rigetto parziale o totale della domanda in sede di verifica.

Inoltre, nel caso di eventi cofinanziati anche da altri enti pubblici o sponsor privati, è necessario dichiarare ogni altra fonte di finanziamento, in modo da garantire la coerenza dell’intero piano finanziario.

Guida pratica 

Presentare correttamente la domanda di contributo è essenziale per non incorrere in esclusioni o ritardi nella valutazione. La procedura, seppur interamente digitale, richiede attenzione e precisione, soprattutto nella compilazione dei dati e nella documentazione allegata. La domanda deve essere trasmessa esclusivamente online, tramite la piattaforma ufficiale https://avvisibandi.sport.governo.it, utilizzando lo SPID del legale rappresentante dell’ASD o SSD.

Ecco i passaggi principali da seguire:

  1. Registrazione e accesso alla piattaforma con SPID.

  2. Compilazione della scheda progetto, con tutte le informazioni sull’evento: titolo, data, luogo, descrizione, obiettivi e impatto previsto.

  3. Inserimento del piano finanziario, dettagliando tutte le spese previste e le eventuali fonti di cofinanziamento.

  4. Caricamento degli allegati richiesti, tra cui: statuto dell’associazione, atto costitutivo, bilancio aggiornato, documentazione che attesti il riconoscimento dell’evento da parte delle Federazioni o Enti sportivi.

  5. Invio definitivo della domanda entro i termini stabiliti (almeno 20 giorni prima dell’evento e non oltre il 15 dicembre 2025).

Tra gli errori più frequenti che portano all’esclusione troviamo:

  • utilizzo di SPID intestato a un soggetto diverso dal legale rappresentante;

  • invio incompleto della documentazione;

  • mancanza di riconoscimento ufficiale dell’evento da parte delle Federazioni;

  • date incoerenti tra inizio evento e data di invio della domanda.

Un suggerimento utile è predisporre in anticipo tutta la documentazione e, se possibile, caricare la domanda con largo anticipo rispetto ai termini, così da poter correggere eventuali errori prima dell’invio finale.

Criteri di valutazione delle domande

Una volta inviata la domanda, il progetto presentato sarà sottoposto a una valutazione da parte del Dipartimento per lo Sport, che analizzerà ogni proposta sulla base di criteri qualitativi, quantitativi e d’impatto. Conoscere in anticipo i criteri di valutazione significa poter strutturare il progetto in modo più strategico, evidenziando gli elementi più premianti.

Ecco i principali criteri utilizzati nella selezione delle domande:

  • Valore sportivo dell’evento, ovvero il livello del riconoscimento da parte di Federazioni internazionali o nazionali, e il rilievo competitivo dell’iniziativa (presenza di titoli ufficiali, partecipazione di atleti internazionali, ecc.);

  • Impatto territoriale ed economico, come la capacità dell’evento di generare un indotto per il territorio, stimolare il turismo sportivo o promuovere la coesione sociale;

  • Coinvolgimento di categorie fragili, con particolare attenzione a persone con disabilità, giovani in condizioni di disagio, anziani, donne;

  • Sostenibilità ambientale, attraverso iniziative concrete per la riduzione dell’impatto ecologico: utilizzo di materiali riciclati, mobilità sostenibile, gestione dei rifiuti;

  • Strategia di comunicazione e diffusione, inclusa la promozione su social media, collaborazione con influencer, visibilità mediatica e piano di comunicazione integrato.

Ogni criterio sarà valutato attraverso un punteggio che determinerà l’ammissibilità e la posizione in graduatoria del progetto. Per questo motivo, è importante non sottovalutare nessun aspetto, e anzi, investire tempo nella redazione di una proposta chiara, dettagliata e orientata agli obiettivi del bando.

Vantaggi fiscali

Accedere ai contributi pubblici per eventi sportivi non rappresenta solo un’opportunità finanziaria, ma anche un investimento strategico per la crescita delle ASD e SSD. In primo luogo, ricevere un finanziamento permette di ridurre in modo significativo i costi di organizzazione, aumentando la sostenibilità dell’evento e liberando risorse per attività istituzionali, allenamenti, formazione o inclusione sociale.

Ma i vantaggi non si limitano alla copertura delle spese: partecipare a un bando pubblico consente all’associazione o società sportiva di migliorare il proprio posizionamento istituzionale, accedere a nuove reti di contatti (con enti locali, federazioni, sponsor) e ottenere una maggiore visibilità mediatica, soprattutto se l’evento ha rilevanza internazionale o viene ben promosso online.

Dal punto di vista fiscale, inoltre, è possibile beneficiare di regimi agevolati (come la legge 398/1991) già applicabili alle ASD/SSD per la gestione dei proventi, e al contempo dedurre le spese documentate, rimanendo perfettamente in linea con le normative vigenti. È quindi consigliabile, per ogni iniziativa supportata da fondi pubblici, consultare un commercialista esperto in fiscalità sportiva, così da ottimizzare anche la parte tributaria dell’operazione.

Infine, va considerato il vantaggio reputazionale: le associazioni che vincono un contributo pubblico dimostrano capacità organizzativa, trasparenza e affidabilità, elementi sempre più valorizzati da sponsor, partner e federazioni.

Rendicontazione finale e controlli

Una volta ottenuto il contributo, ASD e SSD devono affrontare uno dei passaggi più delicati dell’intero processo: la rendicontazione finale. Infatti, per mantenere il diritto al finanziamento ricevuto, è obbligatorio documentare in modo preciso tutte le spese sostenute, dimostrando che i fondi pubblici sono stati utilizzati esclusivamente per l’organizzazione dell’evento sportivo approvato.

La documentazione da presentare in sede di rendicontazione include:

  • fatture elettroniche o quietanze di pagamento tracciabili (bonifici, assegni non trasferibili);

  • relazione finale sull’evento, con fotografie, video, articoli di stampa e ogni materiale utile a dimostrare l’effettivo svolgimento e l’impatto dell’iniziativa;

  • giustificativi delle spese coerenti con il piano finanziario inizialmente approvato;

  • dichiarazioni su eventuali altri finanziamenti ottenuti (pubblici o privati), per evitare sovrapposizioni o doppi finanziamenti.

Inoltre, il Dipartimento per lo Sport può effettuare controlli a campione o mirati, anche in loco, per verificare la veridicità di quanto dichiarato. Qualora emergano irregolarità – come spese non documentate, uso improprio dei fondi, o eventi non effettivamente realizzati – il contributo potrà essere revocato totalmente o parzialmente, con obbligo di restituzione degli importi già erogati.

Per questo motivo è essenziale:

  • conservare tutta la documentazione per almeno 5 anni;

  • affidarsi a professionisti per la tenuta della contabilità e la redazione dei report finali;

  • mantenere la massima trasparenza in tutte le fasi del progetto.

Conclusioni

Il bando per i contributi a favore di ASD e SSD che organizzano eventi sportivi di rilevanza internazionale rappresenta un’occasione concreta per dare visibilità allo sport dilettantistico, sostenere il territorio e promuovere inclusione sociale, sostenibilità e partecipazione attiva. Con scadenza fissata al 15 dicembre 2025, ma con l’obbligo di presentare la domanda almeno 20 giorni prima dell’evento, è fondamentale muoversi per tempo, preparare un progetto solido e presentarlo nel rispetto di tutte le indicazioni fornite dal Dipartimento per lo Sport.

Questi contributi non sono solo un supporto economico, ma uno strumento di crescita strategica per il mondo sportivo non professionistico, che spesso affronta difficoltà finanziarie, burocratiche e organizzative. Partecipare a questo bando, quindi, non solo aiuta a coprire i costi, ma offre anche un’opportunità di visibilità, di costruzione di reti e relazioni con sponsor, istituzioni e partner pubblici e privati.

Affidarsi a professionisti esperti può fare la differenza tra una candidatura accettata e una respinta. Con il giusto approccio, questa misura può diventare un moltiplicatore di valore per tutte le realtà sportive del territorio italiano.

Transizione 5.0: credito d’imposta fino al 45%. Domande entro il 27 novembre 2025

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Il 2025 si prospetta come un anno cruciale per l’innovazione sostenibile delle imprese italiane: il piano Transizione 5.0rappresenta un’opportunità unica per ottenere incentivi fiscali legati alla digitalizzazione e alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Ma il tempo stringe: la scadenza per l’invio delle domande preliminari è fissata al 27 novembre 2025. Un termine ravvicinato che ha già fatto scattare l’allarme tra imprese, consulenti e associazioni di categoria.

Il nuovo Decreto-legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 novembre 2025, introduce misure urgenti per accelerare gli investimenti sostenibili in linea con il piano nazionale per la transizione ecologica e digitale. Ma cosa prevede nel dettaglio il decreto? Chi può accedere agli incentivi? E, soprattutto, quali sono i passaggi fondamentali per non perdere questa occasione fiscale?

In questo articolo analizziamo in modo chiaro e dettagliato i contenuti del provvedimento, i vantaggi fiscali, le criticità da evitare e le mosse concrete da fare prima della scadenza.

Scadenza anticipata 

Il Decreto Legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 novembre 2025 rappresenta un passaggio cruciale per il Piano Transizione 5.0, fissando una nuova e anticipata scadenza per l’invio delle prenotazioni per l’accesso ai crediti d’imposta: non più il 31 dicembre, ma entro le ore 18:00 del 27 novembre 2025. La misura riguarda le comunicazioni previste all’articolo 38, comma 10 del DL 19/2024, convertito con modificazioni dalla Legge 56/2024. L’obiettivo è accelerare la raccolta dei dati per definire il reale fabbisogno di risorse e consentire una pianificazione finanziaria precisa.

Le imprese che hanno già inviato la comunicazione o che la trasmetteranno entro il termine stabilito, pur in assenza di fondi attualmente disponibili, rientreranno comunque in un meccanismo di garanzia, secondo quanto affermato dai Ministeri coinvolti. In sostanza, se in possesso di tutti i requisiti e con progetti validi, le imprese in lista verranno finanziate, previa verifica e determinazione del fabbisogno complessivo. I fondi mancanti verranno coperti con un emendamento alla Legge di Bilancio, da discutere in Parlamento a dicembre.

Dal 7 al 27 novembre, in caso di errori nella compilazione o documentazione incompleta, sarà possibile integrare le domande su richiesta del GSE, ma comunque entro e non oltre il 6 dicembre 2025, termine perentorio indicato nelle comunicazioni ufficiali. Si tratta quindi di un’operazione a tempo, dove ogni errore o ritardo potrebbe compromettere l’accesso al credito d’imposta.

Come funziona la lista d’attesa

Nonostante il comunicato ufficiale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) del 7 novembre 2025 abbia annunciato l’esaurimento dei fondi PNRR destinati al Piano Transizione 5.0, la piattaforma per l’invio delle domande è rimasta attiva, permettendo la formazione di una lista d’attesa. Un’anomalia solo apparente, perché la strategia del Governo è chiara: raccogliere tutte le istanze entro il 27 novembre, per poi fotografare il fabbisogno reale e garantire le risorse con strumenti alternativi.

In cifre, secondo i dati aggiornati dal MIMIT, sono state inviate circa 15.700 richieste per un valore complessivo di 3,9 miliardi di euro, ben 1,4 miliardi oltre il tetto raggiunto prima del 7 novembre. Di queste, circa 1 miliardo riguarda investimenti già completati, segno di un interesse tangibile da parte delle imprese e di un impegno concreto sul fronte della transizione digitale ed energetica. Il Ministro Urso ha dichiarato che l’obiettivo del Governo è non lasciare nessuno indietro, e ha promesso che tutti coloro che avranno completato correttamente la domanda entro il termine, con progetti validi e requisiti in regola, verranno coperti finanziariamente.

La chiusura definitiva della piattaforma GSE il 27 novembre permetterà, entro metà dicembre, di avere una stima esatta delle risorse necessarie, dando così il via alla fase politica di allocazione dei fondi tramite emendamento alla Legge di Bilancio. Per le imprese questo significa che non è il momento di rallentare, ma al contrario, è fondamentale completare e inviare le domande nei tempi e con la massima precisione.

Soggetti e spese ammissibili

Il Piano Transizione 5.0 si rivolge a tutte le imprese residenti in Italia, indipendentemente dalla forma giuridica, settore economico o dimensione, purché effettuino investimenti innovativi volti a migliorare l’efficienza energetica, digitalizzare i processi produttivi e ridurre l’impatto ambientale. Si tratta quindi di una misura trasversale, pensata per accompagnare il sistema produttivo italiano verso un modello più sostenibile e tecnologicamente avanzato.

Gli investimenti devono però rispettare precisi requisiti tecnici per essere ammissibili al credito d’imposta. In particolare:

  • Devono essere nuovi beni strumentali materiali o immateriali funzionali alla digitalizzazione (Industria 4.0);

  • Devono portare a una riduzione certificata dei consumi energetici;

  • Devono essere completati entro specifici termini temporali (ad oggi fissati al 31 dicembre 2025, salvo proroghe future);

  • Devono essere accompagnati da una certificazione ex ante e una certificazione ex post da parte di soggetti abilitati, per verificare il reale miglioramento in termini di risparmio energetico.

Rientrano nel piano, ad esempio, macchinari connessi, sistemi di automazione industriale, software gestionali evoluti, impianti fotovoltaici, sistemi di monitoraggio dei consumi, storage energetico e molto altro, purché vi sia l’integrazione con sistemi digitali e la misurabilità dei benefici energetici.

In sintesi, non basta acquistare nuovi macchinari: è necessario dimostrare concretamente il salto di qualità in termini di efficienza e sostenibilità, anche attraverso apposite perizie tecniche. Questo punto è fondamentale per evitare contestazioni e recuperi futuri da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Come presentare la domanda

Le domande per accedere al credito d’imposta previsto dal Piano Transizione 5.0 devono essere inviate esclusivamente tramite la piattaforma telematica del GSE (Gestore dei Servizi Energetici), soggetto incaricato di raccogliere, validare e monitorare le richieste. Il termine ultimo per l’invio è fissato alle ore 18:00 del 27 novembre 2025. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che non è sufficiente trasmettere una domanda generica o incompleta: ogni comunicazione deve essere precisa, corretta e accompagnata dalla documentazione richiesta.

In particolare, tra il 7 e il 27 novembre, qualora le domande presentino errori nei dati caricati, documenti non leggibili o informazioni mancanti, il GSE potrà inviare una richiesta di integrazione. A quel punto, l’impresa dovrà completare la domanda entro il termine perentorio indicato nella comunicazione, e comunque non oltre il 6 dicembre 2025. Il mancato rispetto di tale scadenza comporterà l’esclusione automatica dalla possibilità di accedere al beneficio fiscale.

Il processo prevede inoltre due momenti di verifica: una certificazione ex ante, necessaria al momento della domanda, per dimostrare la stima del risparmio energetico, e una certificazione ex post, da presentare a conclusione del progetto per confermare i risultati raggiunti. Entrambe le certificazioni devono essere redatte da professionisti abilitati, come ingegneri o tecnici iscritti agli albi professionali.

Per le imprese è quindi essenziale affidarsi a consulenti esperti e preparare la documentazione con largo anticipo, evitando il rischio di intoppi procedurali che, in una finestra così breve, potrebbero rivelarsi fatali. La precisione nella compilazione è oggi più importante del tempismo stesso.

Credito d’imposta fino al 45%

Il principale incentivo previsto dal Piano Transizione 5.0 è rappresentato da un credito d’imposta modulare, riconosciuto alle imprese che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi e ad alta efficienza energetica.

L’importo del beneficio varia in funzione della percentuale di risparmio energetico ottenuto grazie all’investimento, secondo una logica a scaglioni progressivi:

  • 35% per una riduzione dei consumi compresa tra il 3% e il 6%;

  • 40% se il risparmio è tra il 6% e il 10%;

  • 45% per un risparmio superiore al 10% (o superiore al 30% se si tratta di processi complessivi).

Il beneficio si applica sulla quota di spesa agevolabile, fino a un massimo di:

  • 2,5 milioni di euro per il primo scaglione,

  • 10 milioni per il secondo,

  • 50 milioni per il terzo.

Questo significa che, ad esempio, un’azienda che investe 1 milione di euro in un impianto con efficienza migliorata oltre il 10%, potrebbe beneficiare di un credito d’imposta di 450.000 euro da compensare in F24. Il credito può essere utilizzato in compensazione in 5 quote annuali e, nel caso delle PMI, può anche essere oggetto di cessione a terzi (banche o intermediari finanziari), generando liquidità immediata.

Un incentivo concreto e rilevante, che consente alle imprese di modernizzare gli impianti, ridurre i costi energetici e abbattere il carico fiscale. Il piano diventa quindi uno strumento di doppio risparmio: da un lato l’efficientamento energetico, dall’altro il credito fiscale diretto.

Transizione 5.0 vs Transizione 4.0

Molte imprese, soprattutto quelle già coinvolte in precedenti cicli di innovazione, si chiedono se la Transizione 5.0 sia una mera evoluzione della Transizione 4.0 o un nuovo piano con caratteristiche distinte. La risposta è chiara: la Transizione 5.0 rappresenta un salto di qualità, non solo in termini di requisiti ma soprattutto di obiettivi. Se il Piano Transizione 4.0 puntava sull’innovazione tecnologica e la digitalizzazione dei processi, il nuovo piano integra in modo sistemico anche la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico.

La differenza sostanziale è dunque l’elemento energetico, diventato vincolante: per accedere ai crediti 5.0 è necessario dimostrare un risparmio effettivo nei consumi energetici, con certificazioni ex ante ed ex post. Non si tratta più solo di acquistare macchinari “intelligenti”, ma di utilizzarli in modo da ridurre l’impatto ambientale.

Inoltre, mentre il piano 4.0 prevedeva aliquote più basse e una struttura standard, il piano 5.0 premia gli investimenti più virtuosi, con aliquote che arrivano fino al 45%. E, soprattutto, non sono cumulabili: chi aderisce al 5.0 non potrà accedere ai benefici del 4.0 per gli stessi beni.

La Transizione 5.0 segna quindi un nuovo paradigma per l’industria italiana: non più solo “più tecnologia”, ma “più tecnologia con meno sprechi”. Per le imprese che vogliono posizionarsi sul mercato come sostenibili, moderne e competitive, non aderire significherebbe restare indietro.

Criticità e rischi da evitare

Nonostante il Piano Transizione 5.0 rappresenti una grande opportunità fiscale e strategica, sono molte le insidie operative che possono compromettere l’accesso al credito d’imposta. Le problematiche più frequenti riguardano la corretta compilazione della domanda sulla piattaforma GSE, la documentazione tecnica e la certificazione energetica.

Una delle principali criticità emerse nelle ultime settimane è la frequente incompletezza delle comunicazioni: errori nei dati anagrafici, documenti non leggibili, allegati mancanti o certificazioni non conformi alle disposizioni tecniche. Tali irregolarità espongono le imprese al rischio di esclusione, soprattutto se non si rispettano i tempi previsti per le eventuali integrazioni richieste dal GSE.

Un altro punto critico riguarda la scelta dei fornitori e dei professionisti incaricati della certificazione energetica. I tecnici devono essere abilitati e in grado di redigere una perizia dettagliata e coerente con gli standard richiesti dal Decreto, sia in fase ex ante che ex post. Un errore tecnico nella stima del risparmio energetico o una valutazione non suffragata da dati verificabili può portare al decadimento del beneficio anche dopo l’avvenuta concessione.

Infine, attenzione alle tempistiche di realizzazione degli investimenti: se non si rispettano i termini previsti per l’ultimazione e la messa in esercizio dei beni, si perde il diritto all’incentivo. E l’Agenzia delle Entrate, in fase di controllo, può procedere al recupero delle somme indebitamente fruite, con sanzioni e interessi.

In conclusione, per cogliere realmente i vantaggi del piano, è fondamentale affidarsi a consulenti esperti e strutturare un piano documentale preciso e completo sin dal primo giorno.

Conclusione

La Transizione 5.0 rappresenta oggi la misura più avanzata e ambiziosa tra gli strumenti fiscali dedicati all’innovazione e alla sostenibilità. A differenza delle precedenti agevolazioni, questo piano integra tecnologia, risparmio energetico e digitalizzazione in un unico pacchetto di incentivi concreti. Tuttavia, la finestra temporale per aderire è strettissima: il termine ultimo per inviare le prenotazioni è fissato al 27 novembre 2025 alle ore 18:00, senza alcuna proroga annunciata.

Le imprese che riusciranno a rispettare questa scadenza, presentando progetti completi, validi e ben documentati, potranno beneficiare di crediti d’imposta fino al 45% su investimenti strategici per il proprio futuro. Un risparmio reale e tangibile, che può liberare risorse finanziarie da reinvestire nella crescita e nella competitività.

Al contrario, chi sottovaluterà l’importanza di una compilazione corretta o attenderà l’ultimo momento, rischia di restare fuori da un’agevolazione unica, destinata a trasformarsi in un pilastro delle politiche industriali italiane. Il Governo ha promesso che nessuno sarà escluso, ma solo a condizione che i requisiti siano rispettati e le domande trasmesse nei tempi e nei modi previsti.

Ora è il momento di agire. Se non hai ancora completato la tua domanda o se non sei sicuro della documentazione, rivolgiti subito a un commercialista esperto in finanza agevolata. Il tempo per intervenire è limitato, ma i vantaggi possono essere decisivi.

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