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Cartelle esattoriali: la rateizzazione resta valida anche se salti rate – la nuova sentenza che tutela i contribuenti

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Una nuova sentenza della giurisprudenza italiana ha recentemente portato alla luce un aspetto particolarmente interessante, per i contribuenti in difficoltà economica: la rateizzazione delle cartelle esattoriali resta valida anche se il contribuente non riesce a pagare tutte le rate previste. Un vero e proprio cambio di rotta rispetto alla prassi degli anni passati, in cui il mancato pagamento di alcune rate comportava spesso la decadenza dell’intero piano.

Questa sentenza, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, rappresenta un’importante tutela per quei contribuenti che si trovano in difficoltà temporanea ma che hanno comunque dimostrato la volontà di adempiere, almeno parzialmente, al proprio debito fiscale.

Il caso riguarda una società che aveva ottenuto la rateazione di alcune cartelle ma che, a causa di problemi finanziari, non era riuscita a versare tutte le rate. L’Agenzia delle Entrate – Riscossione aveva quindi revocato la rateazione, pretendendo il pagamento dell’intero debito residuo. Tuttavia, secondo i giudici, l’accordo iniziale resta valido, e la decadenza non può essere applicata in automatico se il contribuente ha comunque pagato una parte del dovuto.

In questo articolo approfondiremo cosa cambia con questa sentenza, quali sono le implicazioni per chi ha debiti fiscali, e soprattutto come sfruttare legalmente la rateizzazione per risparmiare sulle sanzioni ed evitare sgradite sorprese.

La decadenza automatica dalle rate

Per anni, la decadenza automatica dai piani di rateizzazione delle cartelle esattoriali è stata applicata in modo rigido e impersonale, secondo una logica che ha ignorato del tutto le reali condizioni di vita dei contribuenti.

Con le modifiche normative introdotte dopo il 16 luglio 2022, il meccanismo si è ulteriormente irrigidito: bastano otto rate non pagate, anche non consecutive, per perdere il beneficio della dilazione. A ciò si aggiunge una conseguenza ancor più penalizzante: il divieto assoluto di richiedere una nuova rateizzazione per gli stessi debiti, rendendo di fatto impossibile per chiunque rientrare in un piano sostenibile di pagamento, anche in caso di difficoltà reali e documentate.

L’obiettivo del legislatore era chiaro: rafforzare l’efficacia della riscossione. Ma la norma, così com’è strutturata, pecca di rigidità, non distinguendo tra chi evade volontariamente e chi, al contrario, è colpito da eventi straordinari che rendono impossibile rispettare le scadenze. Malattie gravi, disastri naturali, crisi economiche personali non trovano spazio in un sistema che applica la legge come un “automatismo cieco”.

È proprio su questo punto che interviene la sentenza n. 15671/2025 della Corte di Giustizia Tributaria di Roma, ribaltando la visione tradizionale: se il mancato pagamento non è imputabile alla volontà del contribuente, non si può applicare la decadenza automatica.

Un principio che richiama valori costituzionali fondamentali come ragionevolezza, proporzionalità e soprattutto il rispetto delle garanzie previste dallo Statuto del Contribuente (L. 212/2000).

Il caso concreto

La sentenza n. 15671/2025 della Corte di Giustizia Tributaria di Roma nasce da un caso emblematico, che mette in luce le distorsioni di un sistema di riscossione troppo inflessibile. Il ricorrente, un contribuente affetto da una grave patologia oncologica, si era visto revocare il piano di rateizzazione dopo aver saltato otto rate, come previsto dalle nuove norme. L’Agenzia delle Entrate – Riscossione aveva quindi emesso una comunicazione di decadenza, pretendendo l’immediato pagamento integrale del debito residuo.

Tuttavia, il contribuente ha documentato in modo puntuale le ragioni dell’inadempimento: un intervento chirurgico, lunghi periodi di degenza ospedaliera, terapie debilitanti e condizioni fisiche incompatibili con la gestione delle proprie pratiche fiscali. Non si trattava dunque di trascuratezza o malafede, ma di circostanze eccezionali, non controllabili né evitabili con la normale diligenza.

La Corte ha accolto integralmente le ragioni del contribuente, sottolineando che equiparare una situazione di oggettiva impossibilità a una scelta volontaria è giuridicamente inaccettabile. In particolare, i giudici hanno ribadito che ogni atto dell’amministrazione finanziaria deve essere motivato, come previsto dallo Statuto del contribuente, e non può prescindere da una valutazione concreta del caso specifico. È qui che entrano in gioco i principi di equità, giustizia e proporzionalità, che devono guidare l’azione dell’ente riscossore.

Non solo la Corte ha annullato la decadenza, ma ha anche ordinato all’Agenzia di ripristinare il piano di rateizzazione, prevedendo una rimodulazione delle rate non pagate, in modo da permettere al contribuente di rientrare nel piano in modo sostenibile.

Statuto del contribuente 

La pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria di Roma non si limita a valutare il singolo caso, ma lancia un messaggio più ampio e strutturale: l’azione dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione non può prescindere dalla valutazione concreta delle condizioni del contribuente, né tanto meno ignorare i principi sanciti dalla Legge n. 212 del 2000, lo Statuto dei diritti del contribuente.

Uno dei pilastri dello Statuto è l’obbligo di motivare ogni provvedimento amministrativo. Questo significa che l’Amministrazione deve spiegare le ragioni della sua decisione, tenendo conto delle circostanze individuali del contribuente, specialmente quando si tratta di misure così impattanti come la decadenza da una rateizzazione.

Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate si era limitata ad applicare la norma in modo meccanico: otto rate non pagate = decadenza. Nessuna considerazione sulle motivazioni, nessuna valutazione della documentazione medica presentata, nessun confronto. Ma secondo la Corte, l’azione amministrativa non può ridursi a un automatismo, soprattutto quando sono in gioco diritti fondamentali e condizioni di oggettiva impossibilità.

Il principio di proporzionalità si affianca a quello di motivazione: non si può trattare un contribuente malato grave come un evasore seriale. La misura della decadenza dev’essere giustificata e proporzionata al comportamento effettivo del debitore.

Questo orientamento apre la strada a una nuova interpretazione più umana e flessibile del diritto tributario, in cui il contribuente non è solo un soggetto passivo, ma un cittadino da tutelare, soprattutto nei momenti di fragilità.

Cosa cambia per i contribuenti

La sentenza n. 15671/2025 rappresenta un precedente giurisprudenziale molto rilevante per tutti i contribuenti che si trovano in difficoltà economiche o personali durante un piano di rateizzazione con l’Agenzia delle Entrate – Riscossione. In particolare, stabilisce un principio fondamentale: il mancato pagamento delle rate non può automaticamente comportare la decadenza se esistono cause oggettive e documentate che giustificano l’inadempimento.

Cosa significa questo nella pratica? Che la rigidità normativa può essere superata quando il contribuente riesce a dimostrare, con documentazione adeguata, che il mancato pagamento è dipeso da eventi imprevedibili, straordinari e non gestibili con la normale diligenza. Parliamo, ad esempio, di gravi malattie, incidenti, calamità naturali, crisi familiari o economiche improvvise.

Inoltre, l’Agenzia non potrà più limitarsi ad applicare in modo meccanico l’articolo 19 del D.P.R. n. 602/1973 o il contenuto delle recenti normative sulla decadenza per 8 rate non pagate. Dovrà, invece, valutare caso per caso e motivare ogni eventuale provvedimento di revoca o decadenza, pena l’annullabilità dell’atto.

Questo nuovo approccio può aiutare moltissimi contribuenti a mantenere attivo il proprio piano di pagamento, evitando il rischio di vedersi chiedere l’intero importo in un’unica soluzione e subire ulteriori azioni esecutive. È, quindi, un importante passo avanti nella direzione di un Fisco più equo, sostenibile e vicino alle reali condizioni del cittadino.

Guida operativa alla documentazione 

Uno degli insegnamenti fondamentali della sentenza è che la tutela del contribuente non è automatica: per evitare la decadenza dal piano di rateizzazione è indispensabile dimostrare in modo rigoroso e documentato che l’inadempimento non dipende dalla propria volontà, ma da cause esterne, gravi e imprevedibili. È qui che entra in gioco la capacità di produrre una documentazione adeguata, completa e coerente.

Nel caso esaminato dalla Corte di Giustizia Tributaria di Roma, il contribuente ha allegato certificazioni mediche, cartelle cliniche, attestati di ricovero e referti specialistici che dimostravano la gravità della sua condizione di salute e l’oggettiva impossibilità di adempiere. Questo tipo di documentazione è stato ritenuto sufficiente per provare che l’inadempimento era forzato, e non frutto di negligenza o volontà evasiva.

In situazioni diverse ma analoghe, possono essere utili anche altri tipi di prove, come:

  • Atti di calamità naturali o emergenze documentate (es. ordinanze comunali, verbali di Protezione Civile);

  • Perizie tecniche che attestino l’inagibilità di un luogo di lavoro;

  • Dichiarazioni asseverate del proprio commercialista o consulente fiscale;

  • Verbali di infortunio o certificazioni INPS/INAIL per eventi lavorativi gravi.

È fondamentale che la documentazione sia tempestiva, autentica e direttamente collegata al periodo in cui si sono verificate le inadempienze. Meglio ancora se accompagnata da una comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, per dimostrare la buona fede e la volontà di adempiere nonostante le difficoltà.

In sintesi, chi riesce a dimostrare l’impossibilità oggettiva può evitare di perdere il beneficio della rateizzazione e mantenere un rapporto collaborativo con il Fisco.

Rischi e conseguenze della decadenza 

La decadenza da un piano di rateizzazione, soprattutto dopo le modifiche normative entrate in vigore dal 2022, non è una semplice formalità, ma rappresenta un evento grave che può avere pesanti conseguenze economiche e fiscali per il contribuente. Comprenderne la portata è essenziale per capire perché la sentenza della Corte tributaria di Roma è così rilevante.

In caso di decadenza:

  • L’intero debito residuo diventa immediatamente esigibile in un’unica soluzione;

  • L’Agenzia delle Entrate – Riscossione può avviare o riprendere le azioni esecutive: pignoramenti su conti correnti, stipendi, pensioni, iscrizione di fermi amministrativi o ipoteche;

  • Non è più possibile ottenere una nuova rateizzazione sugli stessi debiti (salvo nuove norme o sanatorie straordinarie future);

  • Si perdono gli eventuali vantaggi ottenuti con la rateazione, come il blocco delle azioni esecutive o la sospensione degli interessi di mora;

  • In caso di rateizzazione “agevolata” o legata a rottamazioni fiscali, si rischia anche la perdita definitiva della definizione agevolata, con il ripristino di sanzioni e interessi pieni.

Inoltre, a livello reputazionale e di affidabilità bancaria, la decadenza può influenzare negativamente l’accesso al credito, generare segnalazioni in centrale rischi o complicare il rilascio di DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) per le imprese.

Per questo motivo, difendere il proprio piano di pagamento è fondamentale. La possibilità, ora riconosciuta dalla giurisprudenza, di evitare la decadenza se si dimostra l’impossibilità oggettiva di adempiere, può fare la differenza tra una situazione recuperabile e un tracollo finanziario.

Strategie proattive per difendersi

Uno degli aspetti più sottovalutati nella gestione delle cartelle esattoriali è il rapporto diretto con l’Agenzia delle Entrate – Riscossione. Spesso il contribuente si limita a ricevere comunicazioni e a subirne gli effetti, senza sapere che esistono strumenti e modalità per attivare un dialogo, anche quando si è in difficoltà nel rispettare le scadenze del piano rateale.

In primo luogo, è sempre consigliabile comunicare tempestivamente ogni ostacolo al pagamento: inviare una PEC o una raccomandata A/R all’AdER spiegando le proprie condizioni personali, allegando la documentazione a supporto e chiedendo una sospensione o una rimodulazione del piano. Anche se l’Agenzia non è formalmente tenuta ad accogliere queste richieste, una richiesta ben motivata può evitare conseguenze peggiori e, in alcuni casi, portare alla rinegoziazione delle condizioni.

In secondo luogo, in caso di ricezione di un atto di decadenza o sollecito, è opportuno attivarsi immediatamente, rivolgendosi a un commercialista o legale esperto in contenzioso tributario. Spesso è possibile impugnare il provvedimento davanti alla Corte Tributaria competente, come avvenuto nel caso della sentenza di Roma. Il ricorso, se ben fondato, può sospendere gli effetti esecutivi della decadenza.

Infine, è fondamentale ricordare che il Fisco è tenuto a rispettare i principi di buona fede, collaborazione e trasparenza. Il contribuente che dimostra di voler pagare e si attiva per trovare soluzioni, anche in difficoltà, ha dalla sua parte non solo la legge, ma anche un orientamento giurisprudenziale sempre più sensibile ai diritti della persona.

Conclusioni

La sentenza n. 15671/2025 rappresenta un passo importante nella costruzione di un sistema fiscale più giusto, equo e coerente con la realtà. In un contesto in cui la normativa tende a irrigidirsi e a trasformare ogni deviazione dalle scadenze in una colpa, la giurisprudenza riafferma un principio fondamentale: la legge va applicata, ma non cieca; deve tenere conto della realtà umana.

Il contribuente non è un evasore per definizione. È spesso una persona in difficoltà, che cerca di onorare i propri impegni ma può essere travolta da eventi imprevisti, come una malattia, una crisi economica o un’emergenza familiare. In questi casi, il diritto deve offrire strumenti di tutela, e non solo sanzioni.

Con questa decisione, i giudici tributari non si sono limitati ad annullare un atto, ma hanno lanciato un messaggio chiaro: la decadenza automatica dai piani di pagamento non è compatibile con i principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza e tutela del cittadino.

In attesa di una possibile riforma del sistema di riscossione, che tenga davvero conto delle condizioni soggettive dei contribuenti, questa sentenza può essere un punto di riferimento per migliaia di persone che si trovano nella stessa situazione.

Il consiglio è sempre lo stesso: non subire in silenzio, ma attivarsi, documentare, farsi assistere da un professionista e difendere i propri diritti.

Retribuzioni agricoltura 2025: tabelle INPS in vigore e istruzioni per la rilevazione OTI e OTD

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Il settore agricolo italiano è un pilastro fondamentale della nostra economia, ma spesso è anche uno dei più complessi da gestire a livello fiscale e contrattuale. Ogni anno l’INPS avvia la rilevazione delle retribuzioni medie per gli operai agricoli, sia a tempo determinato (OTD) che a tempo indeterminato (OTI), per adeguare le basi contributive e retributive che saranno utilizzate per l’anno successivo.

Questa operazione non è soltanto un obbligo normativo, ma ha impatti reali e immediati su contributi, calcolo delle indennità e tutele assicurative per migliaia di lavoratori. Le tabelle retributive aggiornate fanno riferimento ai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) vigenti e servono da parametro per la definizione delle retribuzioni convenzionali nel settore primario.

Nel 2025, come già accaduto per il 2024, l’attenzione degli operatori del settore è massima: conoscere per tempo le nuove tabelle significa evitare errori nei versamenti contributivi, pianificare correttamente i costi del personale agricolo e anche risparmiare legalmente sulle imposte, sfruttando le corrette deduzioni e detrazioni previste per il lavoro in agricoltura.

Questo articolo analizza nel dettaglio la procedura INPS per la rilevazione, le fonti normative, i criteri applicati e le tabelle di riferimento, offrendo una guida concreta per imprenditori agricoli, consulenti del lavoro e professionisti del settore fiscale.

Circolare INPS 146/2025

Con la Circolare n. 146 del 26 novembre 2025, l’INPS ha ufficialmente avviato la procedura di rilevazione delle retribuzioni contrattuali medie applicate agli operai agricoli a tempo determinato (OTD) e a tempo indeterminato (OTI). Questo passaggio rappresenta uno dei momenti più rilevanti del calendario contributivo per il comparto agricolo, in quanto costituisce la base su cui poggeranno numerosi adempimenti per l’anno successivo.

L’attività di rilevazione, che fotografa le retribuzioni vigenti alla data del 30 ottobre 2025, è finalizzata a tre obiettivi principali:

  1. Determinare i contributi previdenziali da versare per i lavoratori agricoli.

  2. Stabilire le prestazioni pensionistiche e assistenziali erogate.

  3. Aggiornare i valori retributivi convenzionali per categorie particolari come coloni, mezzadri e iscritti alla Gestione speciale INPS.

Inoltre, i dati raccolti permetteranno al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di predisporre il decreto annualeche sancisce i parametri ufficiali per l’intero comparto.

La procedura è svolta in sinergia con le Organizzazioni sindacali dei lavoratori, le associazioni datoriali, le Sedi territoriali INPS e con la collaborazione dell’INAIL, assicurando così una rappresentazione fedele e aggiornata delle dinamiche retributive reali.

Le scadenze operative sono già stabilite: le Strutture provinciali INPS dovranno inviare i dati raccolti alle Direzioni regionali entro il 30 gennaio 2026, e queste ultime avranno tempo fino al 10 febbraio 2026 per inoltrare il tutto agli uffici centrali. Rispettare queste tempistiche è essenziale per garantire la corretta pubblicazione e validità delle tabelle retributive del 2026.

Il quadro normativo

La procedura di rilevazione delle retribuzioni medie per gli operai agricoli non è un’iniziativa estemporanea, ma trova fondamento in un preciso impianto normativo consolidato nel tempo.

Le basi giuridiche che regolano questo adempimento sono infatti tre:

  • Articolo 28 del D.P.R. 488/1968: stabilisce i criteri per la determinazione della retribuzione convenzionale, utile sia per il calcolo dei contributi previdenziali sia per le prestazioni assistenziali.

  • Articolo 7 della Legge 233/1990: disciplina l’applicazione delle retribuzioni convenzionali a categorie particolari come coloni, mezzadri, coltivatori diretti e compartecipanti familiari, rafforzando così la tutela dei lavoratori agricoli autonomi.

  • Articolo 9-sexies del D.L. 510/1996, convertito in Legge 608/1996: ha istituito la Commissione centrale per la rilevazione delle retribuzioni agricole, organo tecnico con compiti di vigilanza e coordinamento.

La raccolta dei dati avviene a livello provinciale, tenendo conto delle retribuzioni effettivamente corrisposte, differenziate per qualifica, settore agricolo e area geografica. I riferimenti sono i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), i cui minimi salariali possono essere integrati da contrattazioni regionali o provinciali, valide solo se in vigore al 30 ottobre 2025.

La Circolare INPS n. 146/2025 richiama anche la storica Circolare n. 190/2002, che continua a rappresentare il documento tecnico di riferimento per le modalità operative di calcolo delle retribuzioni convenzionali.

Le Direzioni regionali INPS esercitano un ruolo cruciale di coordinamento e controllo. Verificano la coerenza e l’uniformità dei dati rilevati, con particolare attenzione a settori agricoli con specificità contrattuali, come il comparto idraulico-forestale o le cooperative agricole, assicurando una fotografia fedele del panorama retributivo.

Istruzioni operative INPS

Per garantire uniformità e precisione nella raccolta dei dati, l’INPS fornisce alle Strutture territoriali strumenti operativi standardizzati, sotto forma di file Excel precompilati, da utilizzare per la rilevazione delle retribuzioni provinciali di operai agricoli a tempo determinato (OTD) e a tempo indeterminato (OTI).

I modelli sono disponibili nella directory FTP ufficiale dell’INPS, accessibile esclusivamente da browser compatibili come Internet Explorer o Microsoft Edge, al seguente indirizzo:
🔗 ftp://ftp.inps/applicazioni%20inps/Operai_Agricoli/

I due file principali da utilizzare sono:

  • A.ProvinciaGenerico – RM1 OTD 30 ottobre 2025.xls

  • A.ProvinciaGenerico – RM2 OTI 30 ottobre 2025.xls

Una volta scaricati, i file devono essere salvati localmente e rinominati indicando la provincia di competenza, ad esempio: Agrigento – RM1 OTD 30 ottobre 2025.xls

Oltre ai modelli generici, la directory contiene anche file specifici per province o territori con peculiarità contrattuali o organizzative, tra cui Toscana, Valle d’Aosta, Arezzo, Bolzano, Brescia, Mantova, Modena, Padova e Trento.

Ogni tabella è strutturata in modo da calcolare automaticamente:

  • Riga A: le retribuzioni per ciascun settore o qualifica;

  • Riga B: la percentuale di incidenza di ciascun settore sul totale;

  • Riga C: la retribuzione media giornaliera, che risulta dal calcolo combinato delle righe precedenti.

Sono inoltre incluse formule di controllo automatico, per verificare che le percentuali totali siano corrette e prevenire errori che potrebbero compromettere l’elaborazione finale dei dati.

Infine, entro il 30 gennaio 2026, le strutture provinciali devono completare la compilazione, allegare la documentazione relativa alla contrattazione collettiva vigente, e trasmettere tutto alla Direzione regionale INPS, che avrà poi il compito di inoltrarlo agli uffici centrali.

Vantaggi fiscali 

Comprendere l’importanza della rilevazione INPS delle retribuzioni agricole non è solo un’esigenza burocratica, ma un vero e proprio strumento di gestione fiscale e previdenziale per le imprese del settore.

Ogni dato raccolto e validato concorre infatti a determinare:

  • gli importi dei contributi da versare per operai agricoli OTI e OTD;

  • le prestazioni previdenziali spettanti in caso di disoccupazione agricola, malattia, maternità, infortunio;

  • la corretta base imponibile ai fini fiscali per deduzioni e detrazioni legate al costo del lavoro.

Le aziende agricole che rispettano i parametri retributivi rilevati e ufficializzati dall’INPS possono evitare contestazioni in sede di ispezione, migliorare la gestione finanziaria del personale e soprattutto pianificare in modo più efficiente i costi aziendali. In un contesto in cui l’accesso a agevolazioni contributive (es. riduzioni per zone svantaggiate, esoneri contributivi per giovani agricoltori, ecc.) è sempre più legato alla regolarità dei dati trasmessi, la rilevazione annuale si configura come una leva strategica anche per il risparmio fiscale.

Inoltre, per i consulenti del lavoro e commercialisti, avere a disposizione tabelle retributive aggiornate e precise è essenziale per la corretta elaborazione delle buste paga, la redazione dei modelli contributivi (UNIEMENS) e la compilazione dei modelli dichiarativi. Non meno importante, la rilevazione supporta anche le valutazioni in fase di bilancio e controllo di gestione, permettendo una stima reale del costo del lavoro agricolo.

Focus sui territori speciali 

Uno degli aspetti più complessi della rilevazione delle retribuzioni agricole è la forte differenziazione territoriale del lavoro nel settore primario. Non esiste infatti una “retribuzione agricola unica” valida per tutto il Paese: le dinamiche retributive cambiano profondamente in base alla provincia, alla regione e al tipo di attività agricola svolta.

È per questo motivo che l’INPS ha previsto, all’interno della directory FTP, file specifici per alcune province con caratteristiche particolari, come Arezzo, Trento, Bolzano, Brescia, Mantova, Modena e Padova. In questi casi, il modello di rilevazione si adatta alla struttura contrattuale vigente, integrando eventuali accordi locali o normative provinciali autonome (es. nelle province autonome di Trento e Bolzano).

Altrettanto rilevante è la rilevazione dei dati nei settori agricoli speciali, come:

  • il comparto idraulico-forestale, dove le attività legate alla sistemazione e manutenzione dei corsi d’acqua seguono logiche retributive autonome rispetto all’agricoltura tradizionale;

  • le cooperative agricole e i consorzi, che spesso applicano contratti integrativi interni o formule di retribuzione legate alla partecipazione ai risultati.

Queste specificità rendono indispensabile un’attenta analisi locale da parte delle Sedi INPS provinciali, che devono assicurarsi che i dati rilevati rappresentino in modo fedele la realtà contrattuale. Inoltre, le Direzioni regionali sono chiamate a coordinare e armonizzare le rilevazioni, in modo da evitare incongruenze nei dati finali e garantire l’omogeneità a livello nazionale.

Rilevazione retributiva errata o incompleta

Una rilevazione retributiva non conforme agli standard INPS o non coerente con i contratti collettivi vigenti può comportare gravi conseguenze, sia sul piano fiscale che previdenziale.

In un contesto normativo in cui la correttezza dei dati trasmessi è strettamente legata alla legittimità delle prestazioni erogate e al calcolo dei contributi, ogni anomalia può generare:

  • sanzioni contributive per versamenti non corrispondenti alle retribuzioni effettive;

  • recuperi di imposta da parte dell’Agenzia delle Entrate in caso di deduzioni fiscali basate su dati errati;

  • disconoscimento delle prestazioni previdenziali (es. malattia, disoccupazione agricola, maternità) per i lavoratori;

  • contestazioni in fase ispettiva da parte di INPS o INL.

Inoltre, la presenza di errori nei file trasmessi può comportare ritardi nei procedimenti amministrativi, rendendo più complesso il lavoro delle Direzioni regionali e, nei casi più gravi, portare alla non validazione della rilevazione provinciale, con impatti diretti su tutte le aziende del territorio.

Per i commercialisti e consulenti del lavoro, è fondamentale prestare massima attenzione alla coerenza tra le retribuzioni inserite nei modelli e i valori effettivamente applicati in busta paga, verificando sempre la vigenza dei contratti integrativi locali e l’esattezza delle percentuali di incidenza settoriale. Anche un piccolo errore di digitazione può falsare l’intero dato medio, con conseguenze a catena.

Infine, in caso di nuove assunzioni, iscrizioni previdenziali o richieste di agevolazioni, l’utilizzo di retribuzioni non aggiornate può portare a esclusioni dai benefici previsti per il comparto agricolo, con perdita di contributi e vantaggi fiscali.

Conclusione

La rilevazione annuale delle retribuzioni agricole da parte dell’INPS non è un mero adempimento burocratico, ma una leva strategica per garantire trasparenza, equità e correttezza contributiva all’interno di un settore fortemente eterogeneo come quello agricolo.

Per le aziende agricole, rappresenta l’occasione per allineare i propri parametri retributivi a quelli stabiliti dal sistema pubblico, prevenendo sanzioni e ottimizzando la gestione del personale. Per i consulenti del lavoro e i commercialisti, è uno strumento indispensabile per assicurare compliance normativa, migliorare la qualità della consulenza e supportare i clienti nella pianificazione fiscale.

Il rispetto delle scadenze operative, l’utilizzo corretto dei modelli Excel messi a disposizione dall’INPS e l’attenzione alle peculiarità territoriali sono elementi chiave per assicurare una rilevazione efficace e senza errori. In un periodo storico in cui il lavoro agricolo è soggetto a numerose sfide, tra transizione ecologica, meccanizzazione e bisogno di manodopera specializzata, avere basi retributive certe e condivise diventa anche un elemento di competitività.

L’auspicio è che la procedura 2025 venga vissuta non come un obbligo, ma come un’opportunità concreta per valorizzare il lavoro agricolo, rendere più efficiente l’impresa e sfruttare tutti i vantaggi fiscali e previdenziali previsti dalla normativa vigente.

Bonus Case Green 2026: come funziona la detrazione del 50% sull’IVA per chi acquista immobili ad alta efficienza

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Acquistare una casa nuova e sostenibile sta per diventare ancora più vantaggioso. Con l’arrivo della Legge di Bilancio 2026, il Governo si prepara a rilanciare uno degli incentivi più attesi: il Bonus Case Green, una detrazione fiscale che permette di recuperare il 50% dell’IVA pagata sull’acquisto di immobili ad alta efficienza energetica. Un’opportunità concreta per risparmiare migliaia di euro e, al tempo stesso, investire in una casa moderna, sicura e rispettosa dell’ambiente.

In un mercato immobiliare sempre più orientato alla sostenibilità e in un’Europa che impone obiettivi ambiziosi sul fronte dell’efficienza energetica, questo bonus si inserisce come leva strategica per stimolare l’edilizia green e supportare i cittadini nelle scelte più importanti della vita. Ma come funziona esattamente la detrazione? Chi potrà beneficiarne? Quali requisiti bisogna rispettare? E quali altre misure, come il Bonus Under 36, potrebbero affiancarlo nei prossimi anni?

In questo articolo analizzeremo nel dettaglio cosa aspettarsi dal Bonus Case Green 2026, come ottenere il massimo risparmio possibile in modo legale e quali sono le novità fiscali e normative da tenere d’occhio nei prossimi mesi.

Bonus Case Green 2026

Negli ultimi anni, la transizione ecologica ha avuto un ruolo centrale anche nel settore immobiliare. Proprio in questo contesto si inserisce il Bonus Acquisto Case Green, una misura fiscale che ha lo scopo di incentivare l’acquisto di immobili di nuova costruzione ad alta efficienza energetica. Introdotto inizialmente dalla Legge di Bilancio 2023, il bonus è attivo fino al 31 dicembre 2023, ma l’intenzione del Governo è quella di prorogarlo almeno fino al 2026, allineandosi così agli obiettivi del PNRR e del Green Deal europeo.

Ma cosa prevede esattamente questa agevolazione? In breve: consente di detrarre il 50% dell’IVA pagata sull’acquisto di abitazioni in classe energetica A o B direttamente in dichiarazione dei redditi, in dieci rate annuali di pari importo. Una detrazione che può tradursi in un risparmio effettivo molto significativo, specie in un periodo di rialzo dei tassi di interesse e con un mercato immobiliare in trasformazione.

Questo incentivo rappresenta un’opportunità concreta per chi vuole acquistare casa e al contempo fare una scelta sostenibile. Ma attenzione: ci sono requisiti precisi da rispettare, sia in termini di caratteristiche dell’immobile sia in termini di soggetti beneficiari. Inoltre, come sempre accade con le detrazioni fiscali, bisogna prestare attenzione alle modalità di fruizione, ai documenti da conservare e ai tempi previsti dalla norma.

Come funziona e a chi spetta

Il Bonus Case Green 2026 è una detrazione fiscale che consentirebbe ai contribuenti di recuperare il 50% dell’IVA pagata sull’acquisto di un’abitazione di nuova costruzione a elevata efficienza energetica, nello specifico in classe energetica A o B. La misura riprende il meccanismo già previsto in passato, in particolare nel biennio 2016-2017, e successivamente reintrodotto con la Legge di Bilancio 2023.

Secondo l’emendamento in fase di discussione parlamentare, il nuovo bonus verrebbe ufficialmente inserito all’interno dell’articolo 9-bis della Legge di Bilancio 2026, con un orizzonte temporale piuttosto ampio: la detrazione si applicherebbe, infatti, per gli acquisti effettuati fino al 31 dicembre 2028.

Per poter beneficiare del bonus, l’acquirente dovrà acquistare l’immobile da imprese costruttrici o da OICR immobiliari (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) e dovrà trattarsi di un’abitazione di nuova realizzazione o riqualificata energeticamente secondo i criteri previsti.

L’importo detraibile, pari appunto alla metà dell’IVA pagata sull’acquisto, verrà ripartito in 10 quote annuali di pari importo da indicare nella propria dichiarazione dei redditi. Non è prevista la cessione del credito o lo sconto in fattura, come accade invece con altri bonus edilizi, ma il beneficio resta comunque molto rilevante in termini di risparmio fiscale complessivo, soprattutto per immobili acquistati con IVA ordinaria al 10% o al 22%.

Requisiti e impatto sul mercato

Il Bonus Case Green 2026 sarà destinato esclusivamente ai contribuenti soggetti a IRPEF, ovvero principalmente a persone fisiche che acquistano un immobile ad alta efficienza energetica, come abitazione principale. Sono esclusi dalla platea dei beneficiari gli enti non commerciali e le società di capitali, in quanto soggetti a IRES: si tratta quindi di un’agevolazione pensata per i privati cittadini, e non per le imprese o gli investitori istituzionali.

Questa impostazione riflette la volontà del legislatore di favorire l’accesso alla prima casa sostenibile, in un momento storico in cui il comparto delle nuove costruzioni risente di numerosi fattori critici: costi di produzione elevati, margini sempre più ridotti per le imprese costruttrici e, soprattutto, obblighi normativi stringenti imposti dall’Unione Europea in tema di transizione ecologica ed efficientamento energetico degli edifici.

In questo contesto, la possibilità di detrarre il 50% dell’IVA pagata sull’acquisto si traduce in una leva concreta per abbattere il costo effettivo dell’investimento immobiliare, rendendo le case green più accessibili e competitive rispetto a immobili con standard energetici più bassi ma potenzialmente meno costosi all’acquisto.

È importante ricordare che l’IVA, nel caso di acquisto da impresa costruttrice, può arrivare fino al 10% o addirittura al 22%, e quindi la detrazione del 50% di tale imposta può significare un risparmio anche di decine di migliaia di euro, a seconda del valore dell’immobile acquistato.

Bonus Under 36

Accanto alla reintroduzione del Bonus Case Green, tra le novità più rilevanti in discussione nella Legge di Bilancio 2026 c’è anche la possibile proroga del Bonus Prima Casa Under 36, una misura molto apprezzata negli anni passati e destinata a facilitare l’accesso alla proprietà immobiliare per i più giovani. La proroga, se approvata, estenderebbe l’agevolazione fino al 31 dicembre 2028.

Il bonus è rivolto ai giovani under 36 con un ISEE inferiore a 40.000 euro annui, e prevede una serie di vantaggi fiscali significativi:

  • Esenzione dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale in caso di acquisto da privati;

  • Credito d’imposta pari all’IVA pagata in caso di acquisto di immobili da imprese costruttrici;

  • Esenzione dall’imposta sostitutiva sui finanziamenti ipotecari per l’acquisto della prima casa.

Si tratta, quindi, di un pacchetto di incentivi che, se combinato con il Bonus Case Green, può rappresentare una riduzione sostanziale del costo di acquisto per un’abitazione nuova ed energeticamente efficiente. È anche grazie a questa misura se, negli scorsi anni, si è registrato un forte aumento dei mutui accesi da giovani, con ricadute positive su tutto il comparto edilizio.

Il futuro di entrambi i bonus dipenderà dall’approvazione definitiva della Legge di Bilancio 2026, ma le premesse vanno nella direzione di un rafforzamento delle politiche per la casa, in linea con le strategie europee di decarbonizzazione e sostenibilità energetica.

Vantaggi fiscali 

Uno degli aspetti più interessanti del Bonus Case Green 2026 riguarda l’impatto economico diretto sul prezzo finale dell’abitazione. Considerando che l’acquisto di un immobile da impresa costruttrice è soggetto ad IVA al 10% o al 22%, il fatto di poter recuperare il 50% di questa imposta tramite detrazione IRPEF significa abbattere significativamente il costo effettivo dell’investimento.

Facciamo un esempio pratico: su un immobile del valore di 300.000 euro + IVA al 10%, l’IVA ammonta a 30.000 euro. Con il Bonus Case Green, il contribuente potrà detrarre 15.000 euro in 10 anni, ovvero 1.500 euro all’anno. Se l’IVA fosse al 22%, come accade per seconde case o per alcune categorie catastali, il beneficio fiscale salirebbe a 33.000 euro di IVA e 16.500 euro di detrazione totale.

Si tratta di un vantaggio economico reale, che aumenta il potere d’acquisto del contribuente e consente di orientarsi verso immobili più moderni, sicuri e a basso impatto energetico, senza dover sostenere costi aggiuntivi eccessivi.

Inoltre, la detrazione decennale consente una pianificazione fiscale stabile nel tempo, contribuendo ad alleggerire il carico tributario IRPEF per diversi anni. Per chi ha altri redditi da lavoro o da locazione, è un’occasione per ottimizzare il proprio profilo fiscale in modo del tutto legale e trasparente.

Il bonus si configura, dunque, non solo come una leva ambientale, ma anche come uno strumento di risparmio fiscale strategico.

Effetti sul mercato immobiliare 

Il Bonus Case Green 2026, se confermato, potrebbe rappresentare un motore di rilancio per il comparto edilizio, da tempo in difficoltà a causa dell’aumento dei costi delle materie prime, della stretta sul credito e delle normative europee sempre più severe in tema di efficienza energetica. L’incentivo fiscale, infatti, agisce direttamente sulla leva della domanda, incentivando l’acquisto di immobili nuovi ed efficienti e stimolando così la produzione edilizia.

Secondo le stime degli operatori di settore, uno dei maggiori ostacoli all’acquisto di nuove abitazioni è il divario di prezzo tra immobili nuovi e usati. Le case di nuova costruzione, costruite secondo standard NZEB (Nearly Zero Energy Building), comportano costi maggiori in fase di realizzazione, ma offrono vantaggi notevoli in termini di risparmio energetico, comfort abitativo e minore impatto ambientale. Tuttavia, senza incentivi, i potenziali acquirenti spesso si orientano verso soluzioni meno performanti dal punto di vista energetico.

Con la detrazione del 50% sull’IVA, il gap economico si riduce, rendendo le case green più accessibili e interessanti anche per le fasce di reddito medio. Questo non solo favorisce la vendita degli immobili invenduti, ma consente alle imprese di sbloccare nuovi cantieri, contribuendo all’occupazione e alla crescita del PIL.

Inoltre, in linea con gli obiettivi del PNRR e delle direttive europee sul clima, la misura rappresenta un passaggio strategico verso la riqualificazione del patrimonio edilizio italiano, oggi in gran parte obsoleto.

Direttive europee e case green

Il Bonus Case Green 2026 non nasce solo da esigenze fiscali o di politica economica interna, ma è inserito in un quadro normativo europeo sempre più stringente. La recente approvazione della nuova Direttiva EPBD (Energy Performance of Buildings Directive), parte del pacchetto “Fit for 55”, impone agli Stati membri obiettivi ambiziosi: tra questi, la decarbonizzazione completa del patrimonio edilizio entro il 2050 e il progressivo adeguamento energetico degli edifici residenziali e non.

Nello specifico, la direttiva prevede che, a partire dai prossimi anni, gli edifici residenziali raggiungano almeno la classe energetica E entro il 2030 e la classe D entro il 2033, con l’obiettivo finale di arrivare a zero emissioni entro metà secolo. Un traguardo che, per l’Italia, rappresenta una vera e propria sfida strutturale, considerando che oltre il 60% del patrimonio immobiliare attuale è in classe energetica F o G.

In questo contesto, il Bonus Case Green si inserisce come uno strumento di accompagnamento alla transizione, premiando chi sceglie fin da ora immobili ad alte prestazioni (classe A o B) e contribuendo così al rinnovo del parco edilizio italiano.

Non si tratta più, quindi, di una semplice “opportunità”, ma di una necessità normativa che nei prossimi anni diventerà vincolante. Agevolare da subito l’acquisto di case green significa anticipare l’obbligo, risparmiando oggi su imposte e bollette e evitando costose ristrutturazioni domani.

Conclusioni

Il Bonus Case Green 2026 rappresenta molto più di una semplice agevolazione fiscale: è un vero e proprio strumento strategico per favorire la transizione ecologica nel settore immobiliare, stimolare il mercato edilizio e supportare i cittadini che vogliono acquistare una casa nuova, efficiente e in linea con le normative future.

Grazie alla detrazione del 50% sull’IVA, sarà possibile ottenere un risparmio significativo sull’acquisto di immobili in classe energetica A o B, incentivando la domanda verso abitazioni sostenibili e più performanti. Se a questo si aggiungerà anche la proroga del Bonus Under 36, l’impatto potrebbe essere ancora più rilevante, soprattutto per i giovani e le famiglie con reddito medio o basso.

Tuttavia, è fondamentale che gli acquirenti siano informati e preparati: conoscere i requisiti, le tempistiche, e le modalità operative è essenziale per non perdere il diritto alla detrazione. È inoltre importante monitorare l’iter parlamentare della Legge di Bilancio 2026, da cui dipenderà la conferma definitiva del bonus.

In sintesi, investire oggi in una casa green non è solo una scelta etica o ecologica, ma una scelta finanziariamente intelligente, che consente di risparmiare ora e tutelarsi in vista delle future normative UE sull’efficienza energetica degli edifici.

Bonus Mamme 2025 INPS: come funziona, requisiti, scadenze e guida alla domanda

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Il Bonus Mamme 2025 rappresenta una delle misure più attese per il sostegno al lavoro femminile e alla genitorialità. Introdotto dalla Legge di Bilancio 2024 e attuato operativamente tramite la Circolare INPS n. 139 del 2025, il contributo consiste in un esonero contributivo pari a 3.000 euro annui (ossia 40 euro al mese in busta paga) destinato alle lavoratrici madri con almeno due figli. Una misura concreta, pensata per incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e alleggerire il peso fiscale sulle famiglie.

Il beneficio non è automatico: le lavoratrici interessate devono presentare domanda entro il 9 dicembre 2025, tramite le modalità indicate nel nuovo Manuale utente INPS, disponibile online insieme a una sezione FAQ aggiornata per chiarire ogni dubbio.

Tra le novità più importanti: l’esonero si applica anche alle dipendenti del settore pubblico e privato, con alcune precisazioni per categorie particolari come le lavoratrici in part-time o con contratti a termine. Il beneficio ha durata massima di un anno, salvo modifiche future in Legge di Bilancio 2026.

In questo articolo analizziamo tutti i requisiti, le modalità di domanda, gli esempi pratici e i dubbi risolti dall’INPS. Un’occasione da non perdere per risparmiare legalmente sul cuneo fiscale e ottenere un vantaggio economico tangibile.

A chi spetta il Bonus 

Il Bonus Mamme 2025 non è universale: è rivolto a specifiche categorie di lavoratrici, in base alla tipologia contrattuale, al reddito e al numero di figli. Secondo quanto stabilito dall’articolo 6, comma 2, del Decreto-Legge n. 95/2025, possono accedere al beneficio le lavoratrici madri che rispettano determinati requisiti.

Chi può richiedere il bonus:

  • Dipendenti, escluse le lavoratrici domestiche, comprese quelle con contratti a chiamata o in somministrazione.

  • Autonome, iscritte a qualsiasi gestione previdenziale obbligatoria, inclusa la Gestione Separata INPS e le Casse professionali.

L’importo verrà erogato una tantum dall’INPS entro dicembre 2025 (o febbraio 2026 in caso di domande tardive) e sarà esente ai fini ISEE, rendendolo particolarmente vantaggioso per le famiglie. Il diritto al bonus è subordinato a due condizioni fondamentali:

  1. Reddito da lavoro 2025 non superiore a 40.000 euro

  2. Rapporto di lavoro attivo nel mese di riferimento

Esempi concreti dalla circolare:

  • Madre con due figli, il più piccolo compie 10 anni a settembre 2025 → Bonus da gennaio a settembre.

  • Madre con tre figli e contratto trasformato a tempo indeterminato a luglio → Bonus da gennaio a giugno.

  • Madre con un figlio e secondo nato ad aprile → Bonus da aprile a dicembre.

Importante: chi ha tre figli e contratto a tempo indeterminato beneficia dell’esonero totale dei contributi IVS previsto dalla Legge di Bilancio 2024, e non del bonus da 40 euro.

Scadenze, canali e importi

L’erogazione del Bonus Mamme 2025 non è automatica: per ottenerlo è necessario presentare domanda all’INPS entro i termini previsti. L’Istituto ha chiarito nella Circolare n. 139/2025 che la richiesta deve essere effettuata esclusivamente per via telematica, attraverso i canali ufficiali.

Modalità di presentazione della domanda:

  • Portale INPS (www.inps.it) utilizzando SPID, CIE o CNS;

  • Contact Center INPS: 803.164 (da rete fissa) o 06.164.164 (da cellulare);

  • Patronati autorizzati.

Le domande devono essere presentate entro 40 giorni dalla pubblicazione della circolare, quindi entro il 9 dicembre 2025, visto che l’8 è festivo. Per le lavoratrici che maturano i requisiti successivamente (ad esempio, nascita del secondo figlio entro il 31 dicembre 2025), la scadenza slitta al 31 gennaio 2026.

La domanda comporta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai sensi del D.P.R. 445/2000: chi dichiara il falso può incorrere in sanzioni penali e nella perdita del beneficio.

Dettagli economici del bonus:

  • Importo mensile: 40 euro

  • Durata massima: 12 mesi (da gennaio a dicembre 2025)

  • Importo totale massimo: 480 euro

  • Erogazione: in un’unica soluzione a dicembre 2025, o entro febbraio 2026 in caso di domande tardive.

Il bonus non concorre alla formazione del reddito IRPEF, non rileva ai fini ISEE ed è gestito tramite la Gestione GAT, oneri per trattamenti di famiglia.

Come accedere al servizio INPS 

L’INPS, con il Messaggio n. 3289 del 2025, ha fornito istruzioni operative molto dettagliate per accedere al servizio telematico di domanda del Bonus Mamme 2025, disponibile sul sito ufficiale www.inps.it.

Percorso per accedere al servizio online:

  1. Vai su www.inps.it

  2. Segui il percorso:
    “Sostegni, Sussidi e Indennità” → “Esplora Sostegni, Sussidi e Indennità” → “Per genitori” → “Vedi tutti i servizi” → “Nuovo Bonus mamme”

  3. Effettua l’accesso con una delle seguenti identità digitali:

    • SPID di livello 2 o superiore

    • Carta d’Identità Elettronica (CIE 3.0)

    • Carta Nazionale dei Servizi (CNS)

    • eIDAS (per utenti dell’Unione Europea)

Dopo l’autenticazione, si accede al “Punto d’accesso alle prestazioni non pensionistiche”, dove sarà possibile compilare e inviare la domanda.

Altre modalità di invio:

  • Contact Center INPS multicanale

  • Istituti di Patronato, per assistenza e invio tramite intermediari.

Scadenze definitive per l’invio:

  • 9 dicembre 2025: per le lavoratrici che hanno già i requisiti (es. due figli) al 1° gennaio 2025

  • 31 gennaio 2026: per chi li matura successivamente ma entro il 31 dicembre 2025

Dopo l’invio: cosa puoi fare

Tramite lo stesso portale è possibile:

  • Scaricare le ricevute e la documentazione generata

  • Monitorare lo stato della domanda

  • Modificare i dati di pagamento, se necessario

Un sistema completo, pensato per garantire trasparenza, controllo e tracciabilità della procedura.

FAQ INPS

Le FAQ INPS, aggiornate al 27 novembre 2025 e pubblicate all’interno del Manuale Operativo per il Bonus Mamme, svolgono un ruolo fondamentale nell’interpretazione pratica della normativa. Il documento fornisce risposte a quesiti frequenti e chiarisce, con esempi concreti, chi ha effettivamente diritto al bonus e quali sono i limiti da rispettare.

Principali chiarimenti INPS:

  • Il Bonus Mamme 2025 spetta sia alle lavoratrici dipendenti che a quelle autonome, incluse le iscritte alla Gestione Separata, ma solo se nel 2025 risultano periodi di effettiva attività lavorativa.

  • Sono esclusi:

    • Periodi di aspettativa non retribuita

    • Lavoro occasionale senza contribuzione stabile

    • Cariche sociali senza attività lavorativa (es. amministratore senza compenso)

    • Percettori di NASpI o DIS-COLL, in quanto non vi è attività lavorativa in corso

  • Il reddito massimo di 40.000 euro include tutti i redditi da lavoro percepiti nel 2025, indipendentemente dal tipo di contratto (dipendente, autonomo, collaborazione, ecc.).

  • Ai fini del calcolo dei figli:

    • Tutti i figli sono conteggiati, anche se non conviventi e/o non a carico fiscale.

    • I limiti di età (10 anni per due figli, 18 anni per tre o più) si applicano sia ai figli naturali che adottivi, senza distinzione.

Questi chiarimenti permettono alle potenziali beneficiarie di evitare errori nella domanda e di capire in anticipo se si rientra nei requisiti.

Vantaggi fiscali

Il Bonus Mamme 2025 rappresenta una misura strategica sotto diversi aspetti: economico, fiscale e sociale. Pur trattandosi di un contributo limitato (fino a 480 euro l’anno), il vantaggio principale risiede nella natura dell’esonero contributivo e nel fatto che l’importo:

  • Non concorre alla formazione del reddito imponibile IRPEF

  • Non incide sull’ISEE familiare

  • Viene erogato una tantum, in un’unica soluzione, direttamente dall’INPS

Ciò significa che il bonus non solo aumenta la disponibilità economica netta, ma non intacca altre agevolazioni fiscali e sociali basate su reddito o ISEE (come bonus asilo nido, assegno unico potenziato, sconti su mense scolastiche, ecc.).

Dal punto di vista fiscale e previdenziale, il beneficio permette alle lavoratrici (specialmente autonome o con contratti precari) di ridurre la pressione contributiva, a parità di prestazioni previdenziali future. È inoltre un modo per compensare la disparità occupazionale tra uomini e donne, fornendo un incentivo mirato alle madri lavoratrici.

Tuttavia, è fondamentale non perdere le scadenze:

  • 9 dicembre 2025 per chi ha i requisiti dal 1° gennaio

  • 31 gennaio 2026 per chi li matura entro fine anno

Una dimenticanza può significare la perdita totale del beneficio. Il consiglio è di verificare subito i requisiti e, in caso di dubbio, rivolgersi a un patronato o al proprio commercialista.

Differenze, cumulabilità e limiti

Uno degli aspetti da chiarire riguarda la compatibilità del Bonus Mamme 2025 con altre misure già attive a sostegno delle famiglie e della maternità. Molte lavoratrici si chiedono, ad esempio, se sia possibile cumularlo con l’Assegno Unico Universale, oppure se sia alternativo all’esonero contributivo totale per le madri con tre figli previsto dalla Legge di Bilancio 2024.

Confronto con altre misure:

  • Bonus Mamme 2025 vs Assegno Unico Universale (AUU)
    Il bonus da 40 euro è compatibile con l’Assegno Unico Universale. Trattandosi di due strumenti distinti, l’uno è un’esenzione contributiva per chi lavora, l’altro un sostegno economico alla genitorialità, possono essere percepiti contemporaneamente, senza alcuna decurtazione.

  • Bonus Mamme 2025 vs Esonero totale IVS per madri con 3 figli (Legge di Bilancio 2024)
    Attenzione: queste due misure non sono cumulabili. Le madri con contratto a tempo indeterminato e almeno tre figli minorenni hanno già diritto all’esonero totale dei contributi IVS (fino al 2026). In questo caso non spetta il bonus da 40 euro mensili. Il datore di lavoro dovrà applicare l’esonero ordinario previsto dalla Legge di Bilancio, non quello del Bonus Mamme.

  • Compatibilità con altri bonus minori
    Il bonus può coesistere con altre forme di sostegno (bonus nido, carta dedicata a te, detrazioni figli a carico), poiché non concorre al reddito e non ha impatto sull’ISEE.

Questa impostazione conferisce maggiore equità al sistema: si favoriscono le madri che, pur lavorando, non rientrano nelle categorie già ampiamente coperte da altri esoneri. In tal modo, si evita la sovrapposizione di incentivi su soggetti già “agevolati”.

Conclusione

Il Bonus Mamme 2025 si configura come una misura concreta e mirata per sostenere la genitorialità femminile e incentivare la permanenza delle donne nel mondo del lavoro. Grazie a un contributo diretto in busta paga di 40 euro mensili, erogato fino a un massimo di 480 euro annui, il bonus consente un alleggerimento della pressione fiscale per moltissime lavoratrici, sia dipendenti che autonome.

Nonostante l’importo contenuto, il vantaggio fiscale è rilevante, soprattutto considerando che:

  • Il bonus è esente IRPEF

  • Non incide sull’ISEE

  • È compatibile con altre misure come l’Assegno Unico

  • Viene erogato direttamente dall’INPS, senza bisogno dell’intervento del datore di lavoro (salvo per l’esonero IVS alternativo)

Tuttavia, è fondamentale rispettare le scadenze per la presentazione della domanda, che sono tassative:

  • 9 dicembre 2025 per chi ha i requisiti al 1° gennaio 2025

  • 31 gennaio 2026 per chi li matura entro fine anno

Rivolgersi a un patronato o a un commercialista esperto in agevolazioni per famiglie e lavoro femminile può essere determinante per non perdere l’accesso a questo incentivo.

In un contesto in cui il carico familiare grava ancora in larga parte sulle donne, ogni misura di sostegno rappresenta un passo verso maggiore equità e autonomia economica.

Contributo Autoimpiego 2025: 500 euro al mese per giovani disoccupati che avviano nuove imprese nei settori strategici

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Nel 2025 arriva una misura concreta per affrontare una delle sfide più urgenti del Paese: la disoccupazione giovanile. Con il DL Coesione 60/2024, il Governo ha introdotto un contributo mensile di 500 euro, destinato ai giovani under 35 disoccupati che decidono di mettersi in proprio avviando un’attività in uno dei settori strategici per l’economia italiana.

Grazie alla recente circolare INPS n. 148/2025, sono state definite le regole operative, i requisiti e le modalità per presentare domanda. La misura, finanziata con 63 milioni di euro dal Programma Nazionale “Giovani, donne e lavoro”, ha l’obiettivo di sostenere l’autoimprenditorialità, in particolare nel Mezzogiorno, nelle aree in transizione e in quei comparti chiave come tecnologia, green economy, sanità, trasporti e servizi avanzati.

In questo articolo scoprirai come funziona il contributo, chi può richiederlo, quali sono le attività ammesse, come presentare correttamente la domanda e quali vantaggi fiscali offre. Un’occasione concreta per trasformare un’idea in impresa, con un supporto economico reale e senza tassazione.

Soggetti ammessi 

Il contributo per l’autoimpiego previsto dal DL Coesione 60/2024, regolato dall’art. 21, comma 3, è destinato esclusivamente ai giovani disoccupati under 35 che decidono di avviare un’attività imprenditoriale in settori ritenuti strategici per la transizione digitale, ecologica o tecnologica del Paese. Il sostegno economico consiste in 500 euro al mese, erogati per un massimo di 36 mesi, e comunque non oltre il 31 dicembre 2028.

La misura rientra nel Programma Nazionale “Giovani, donne e lavoro 2021-2027” (FSE+), finanziata con un fondo complessivo di 63 milioni di euro. Questo fondo rappresenta una leva importante per stimolare l’imprenditorialità giovanile in un momento in cui l’innovazione e la sostenibilità sono priorità sia per l’Italia che per l’Unione Europea.

Il decreto attuativo del 3 aprile 2025 ha chiarito i criteri di ammissibilità. Alla data di inizio dell’attività, il richiedente deve:

  • avere meno di 35 anni (34 anni e 364 giorni);

  • risultare disoccupato, ai sensi del D.Lgs. 150/2015 e del DL 4/2019.

Nel caso di imprese costituite in forma societaria, il contributo viene riconosciuto a un solo socio, purché in possesso dei suddetti requisiti.

Settori strategici 

Per beneficiare del contributo di 500 euro mensili, le nuove imprese devono operare in specifici settori strategici, definiti dal decreto attuativo del 3 ottobre 2025, sulla base della classificazione ATECO 2025. Si tratta di comparti fondamentali per la transizione digitale, ecologica e tecnologica del Paese, con un focus su manifattura avanzata, energia, ambiente, comunicazione, ricerca, sanità e servizi professionali. Le attività devono rientrare nei codici ATECO elencati nella Tabella 1 allegata alla circolare INPS n. 148/2025.

Tra i principali settori ammissibili troviamo:

  • Attività manifatturiere (sezione C): industrie alimentari, tessili, chimiche, farmaceutiche, meccaniche, elettroniche, automotive;

  • Fornitura di energia e gestione ambientale (sezioni D ed E): elettricità, vapore, acqua, rifiuti, risanamento;

  • Costruzioni (sezione F): edilizia, ingegneria civile, lavori specializzati;

  • Trasporti e comunicazioni (sezioni H e J): logistica, trasporto terrestre e aereo, telecomunicazioni, software, editoria;

  • Servizi alle imprese (sezioni M, N, Q, R): consulenza, contabilità, ingegneria, ricerca scientifica, attività culturali e sanitarie.

Limiti dimensionali: l’impresa beneficiaria deve qualificarsi come piccola impresa, ai sensi del Regolamento UE n. 651/2014, ovvero avere:

  • meno di 50 dipendenti;

  • fatturato annuo o totale di bilancio non superiore a 10 milioni di euro.

Il contributo è un aiuto di Stato e viene riconosciuto solo se le spese di avvio e mantenimento dell’attività vengono effettivamente sostenute e documentate annualmente all’Autorità di Gestione.

Come fare domanda 

La domanda per ottenere il contributo autoimpiego previsto dal DL Coesione deve essere presentata esclusivamente in modalità telematica, come specificato nella circolare INPS n. 148/2025. La procedura è attiva sul portale INPS, all’interno della sezione:
“Punto d’accesso alle prestazioni non pensionistiche” > Incentivo Decreto Coesione.
In alternativa, è possibile rivolgersi ai patronati o utilizzare il Contact Center INPS.

La scadenza per la domanda varia a seconda della data di avvio dell’attività:

  • Entro 30 giorni dall’avvio dell’attività (se successiva al 15 maggio 2025, data del decreto attuativo);

  • Entro il 27 dicembre 2025, se l’attività è stata avviata prima della pubblicazione della circolare (28 novembre 2025).

Per “avvio attività” si fa riferimento alla Comunicazione Unica al Registro delle Imprese con le diciture:

  • “Nuova impresa con immediato inizio attività economica”;

  • “Inizio attività per impresa già iscritta”.

Attenzione: se è stata effettuata solo la costituzione dell’impresa senza avvio immediato, la scadenza decorre dalla successiva comunicazione di effettivo inizio attività.

Contenuto della domanda: il richiedente deve indicare:

  • Dati dell’impresa e codice ATECO del settore;

  • Dati anagrafici personali;

  • Stato di disoccupazione, autocertificabile ma verificato da INPS tramite le banche dati del Ministero del Lavoro.

Importi, decorrenza e regime fiscale

Una volta verificata la correttezza della domanda e il possesso dei requisiti da parte dell’INPS, il contributo autoimpiego decorre dal mese successivo alla presentazione della richiesta. Tuttavia, in fase transitoria, per le attività già avviate prima della pubblicazione della circolare INPS 148/2025, la decorrenza sarà dal mese successivo al 15 maggio 2025, a condizione che la domanda venga presentata entro i termini.

Il contributo è erogato in un’unica soluzione annuale e anticipata, ma solo dopo il controllo della regolarità contributiva dell’impresa. Questa modalità consente ai giovani imprenditori di pianificare con maggiore certezza la gestione dei primi anni di attività.

Importi e durata del beneficio:

  • Importo mensile: 500 euro;

  • Durata massima: 36 mesi;

  • Termine ultimo per il beneficio: 31 dicembre 2028.

Attenzione: il contributo è condizionato al mantenimento dei requisiti. In caso di perdita dello stato di disoccupazione, chiusura dell’attività, o nel caso di società, uscita del socio beneficiario, l’importo ricevuto dovrà essere restituito dalla data in cui il requisito è venuto meno. L’attività deve quindi restare attiva per l’intero periodo di fruizione.

Regime fiscale favorevole: il contributo non concorre alla formazione del reddito IRPEF, non è soggetto a ritenute e viene riportato nella Certificazione Unica tra i redditi esenti, offrendo un chiaro vantaggio fiscale per i beneficiari.

Ripartizione territoriale del fondo

Il DL Coesione 60/2024 ha stabilito un piano pluriennale di finanziamento del contributo autoimpiego, con una dotazione totale di 63 milioni di euro da erogare tra il 2024 e il 2028. Tuttavia, i fondi non sono distribuiti in modo uniforme: sia nel tempo sia sul territorio nazionale, esistono dei vincoli ben precisi che influenzano la disponibilità delle risorse.

Limiti annuali di spesa (in milioni di euro):

  • 2024: 1,8 mln (per le prime sperimentazioni);

  • 2025: 14,1 mln;

  • 2026: 21 mln;

  • 2027: 19,2 mln;

  • 2028: 6,9 mln.

INPS è tenuta a monitorare le domande e approvarle nel rispetto di questi tetti di spesa. Quindi, chi presenta la domanda prima ha maggiori probabilità di accedere ai fondi.

La ripartizione territoriale delle risorse segue i criteri del Programma Nazionale “Giovani, donne e lavoro”, con tre categorie di regioni:

La regione di riferimento è determinata dalla sede legale dell’impresa. Questo significa che un’impresa con sede al Sud ha accesso a una fetta più ampia dei fondi rispetto a chi apre nel Nord, incentivando così l’imprenditorialità nelle aree a maggiore criticità occupazionale.

Vantaggi strategici

Accedere al contributo autoimpiego 2025 può rappresentare un vantaggio competitivo significativo, soprattutto per chi si affaccia per la prima volta al mondo dell’impresa. Oltre al sostegno economico diretto (fino a 18.000 euro in 3 anni), il contributo permette di ridurre il rischio d’impresa nei primi anni, quelli statisticamente più critici per la sopravvivenza delle nuove attività. Inoltre, il regime fiscale esente rende il beneficio ancora più conveniente.

Ecco alcuni consigli per massimizzare le probabilità di accoglimento della domanda:

Agisci in fretta: il contributo è a scorrimento e soggetto a limiti annuali e territoriali di spesa. Prima si presenta la domanda, maggiori sono le probabilità di ottenere il beneficio.

Verifica con attenzione i requisiti: età, disoccupazione al momento dell’avvio e corretto codice ATECO. Un solo errore può comportare la decadenza dal beneficio.

Scegli con cura la sede legale: come visto, le regioni meno sviluppate hanno a disposizione il 63% delle risorse. Avviare un’attività in queste aree può aumentare le possibilità di finanziamento.

Documenta le spese annualmente: il pagamento anticipato è subordinato alla rendicontazione. È quindi fondamentale tenere traccia di tutte le spese aziendali legate all’avviamento e mantenimento dell’attività.

Mantieni i requisiti per tutta la durata: perdere lo stato di disoccupazione, chiudere l’attività o uscire dalla società (nel caso di società di persone) comporta l’obbligo di restituzione degli importi ricevuti.

Confronto con altri incentivi

Nel panorama 2025 delle misure per l’autoimpiego, il contributo da 500 euro mensili previsto dal DL Coesione si affianca ad altri incentivi pubblici, creando un sistema articolato di supporto per giovani imprenditori. Conoscere le alternative disponibili è fondamentale per scegliere il bonus più adatto alla propria situazione.

Tra le principali misure attive troviamo:

  • Resto al Sud: promosso da Invitalia, è rivolto ai giovani fino a 55 anni residenti nel Mezzogiorno. Prevede fino a 60.000 euro a fondo perduto e finanziamenti agevolati per avviare un’impresa. Può essere compatibile con il contributo DL Coesione, se riferito a spese diverse.

  • Nuove Imprese a Tasso Zero (NITO): dedicato a giovani e donne in tutta Italia. Offre finanziamenti fino al 90% delle spese ammissibili, con una parte a fondo perduto e il resto a tasso zero. Ottimo per investimenti medio-grandi.

  • Selfiemployment: fondo rotativo per disoccupati che vogliono mettersi in proprio. Finanziamenti fino a 50.000 euro, ma con tempi più lunghi e maggiore burocrazia.

  • Fondo impresa femminile: destinato alle imprese a prevalente partecipazione femminile. Ottimo per combinare gender equality e autoimpiego.

Rispetto a queste misure, il contributo autoimpiego DL Coesione è il più semplice da ottenere, non richiede un piano d’investimento dettagliato né la restituzione delle somme. È quindi ideale per chi inizia con risorse limitate, ma ha un’idea imprenditoriale concreta in uno dei settori strategici.

Esempi pratici 

Capire quali attività possono concretamente rientrare nel contributo autoimpiego 2025 è fondamentale per trasformare un’idea in un progetto sostenibile. I settori strategici individuati dal decreto sono numerosi, e offrono spazio a iniziative anche molto diverse tra loro.

Ecco alcuni esempi reali e ispirazionali di idee d’impresa che potrebbero beneficiare dei 500 euro mensili:

Start-up logistica green in area interna (codice ATECO 52)
Marco, 28 anni, disoccupato, apre una microimpresa di servizi di consegna con mezzi elettrici in un comune montano. L’attività rientra nel settore trasporti e sostenibilità, ed è avviata in un’area meno sviluppata: beneficia del contributo e di altri incentivi locali.

Studio freelance di consulenza digitale (ATECO 62)
Chiara, 31 anni, esperta di marketing, si mette in proprio con una partita IVA per offrire consulenza SEO e creazione siti web. Rientra nei servizi informatici e può accedere all’incentivo, essendo disoccupata al momento della comunicazione unica.

Produzione alimentare locale e sostenibile (ATECO 10)
Giuseppe e Laura, due amici under 35, fondano una piccola azienda agricola innovativa nel Sud Italia, specializzata in prodotti fermentati e packaging compostabile. L’impresa è nel settore alimentare, ed è perfettamente compatibile con la misura.

Servizi sanitari domiciliari (ATECO 86)
Elena, infermiera, avvia un’attività individuale per assistenza sanitaria a domicilio per anziani. Settore ammesso, domanda entro 30 giorni, e sede legale in area svantaggiata: ottiene il contributo in tempi rapidi.

Questi esempi dimostrano che non serve un progetto milionario per accedere al contributo: serve un’idea chiara, coerente con i codici ATECO ammessi e avviata nel modo corretto.

Conclusione

Il contributo autoimpiego 2025 rappresenta una misura concreta, accessibile e vantaggiosa per i giovani disoccupati under 35 che vogliono mettersi in proprio. Grazie al sostegno economico mensile di 500 euro per un massimo di 36 mesi, all’esenzione IRPEF e al finanziamento strutturato su base territoriale, questa iniziativa punta non solo a favorire la creazione di nuove imprese, ma anche a stimolare l’innovazione nei settori strategici dell’economia italiana.

Chi intende avviare un’attività nei settori previsti dal decreto (manifattura, energia, digitale, sanità, servizi professionali e altro), deve muoversi con rapidità e precisione: la domanda va presentata entro 30 giorni dall’avvio dell’attività e deve rispettare rigorosamente i requisiti di età, disoccupazione e settore ATECO.

Il consiglio è di preparare per tempo tutta la documentazione necessaria, scegliere con attenzione la sede legale (soprattutto se si opera nel Sud Italia) e monitorare il portale INPS per non perdere le finestre utili. Per molti giovani, questa può essere l’occasione per trasformare una buona idea in un’impresa sostenibile e autonoma.

Acconto Iva 2025: scadenza del 29 dicembre, chi deve pagare e come si calcola

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Il calendario fiscale di fine anno si arricchisce di un appuntamento immancabile per imprese e professionisti: l’acconto IVA 2025, che quest’anno, per effetto del calendario, potrà essere versato entro lunedì 29 dicembre. Una scadenza apparentemente tecnica, ma che racchiude implicazioni importanti per chi gestisce un’attività o è titolare di partita IVA.

In questo articolo approfondiamo chi deve versare l’acconto, come si calcola, e soprattutto come evitare sanzioni o errori che potrebbero costare caro.

Capire il meccanismo dell’acconto IVA non è sempre semplice, soprattutto alla luce delle diverse modalità di calcolo previste (storico, previsionale e analitico), e delle norme che regolano le esenzioni o i casi particolari. Per questo motivo, forniremo esempi concreti, riferimenti normativi aggiornati e chiariremo i punti più critici, come l’impatto del versamento tardivo e le conseguenze fiscali.

Inoltre, è importante ricordare che la scadenza ordinaria del 27 dicembre, cadendo di sabato nel 2025, slitta automaticamente al 29 dicembre, secondo quanto previsto dallo Statuto del Contribuente (Legge 212/2000). Un aspetto che potrebbe trarre in inganno molti contribuenti non attenti alle sfumature del calendario.

Vediamo nel dettaglio tutto ciò che bisogna sapere sull’acconto IVA 2025, per risparmiare tempo, evitare errori e gestire con consapevolezza uno degli adempimenti fiscali più rilevanti dell’anno.

Acconto IVA 2025

Il versamento dell’acconto IVA 2025 deve essere effettuato entro il 29 dicembre utilizzando il modello F24, esclusivamente in modalità telematica. I contribuenti possono scegliere tra diverse opzioni operative: i servizi online messi a disposizione direttamente dall’Agenzia delle Entrate, come “F24 web” o “F24 online”, accessibili tramite i canali telematici Fisconline o Entratel, oppure avvalersi del servizio di home banking offerto da banche, Poste Italianeo Agenti della riscossione convenzionati.

Nel caso in cui il modello F24 abbia un saldo pari a zero, ad esempio per effetto di compensazioni con altri crediti tributari, è comunque obbligatorio trasmetterlo per via telematica. Tuttavia, in tali situazioni non è possibile utilizzare il canale dell’internet banking, ma è necessario passare attraverso i servizi dell’Agenzia delle Entrate o tramite un intermediario abilitato, come un commercialista o un consulente fiscale.

Per quanto riguarda la corretta compilazione del modello F24, è essenziale indicare i codici tributo specifici:

  • 6035 per i contribuenti con liquidazione trimestrale dell’IVA;

  • 6013 per quelli con liquidazione mensile.

Questi codici devono essere inseriti nella sezione “Erario” del modello F24, indicando l’anno di riferimento (2025), l’importo dovuto, e barrando la casella “acconto”.

Chi è obbligato al versamento 

Il pagamento dell’acconto IVA 2025, in scadenza lunedì 29 dicembre, riguarda una vasta platea di soggetti titolari di partita IVA. Sono tenuti al versamento tutti i contribuenti che esercitano attività d’impresa, arti o professioni, indipendentemente dalla forma giuridica adottata o dal regime contabile applicato (ordinario, semplificato e forfettario).

Ecco, nel dettaglio, i soggetti obbligati al pagamento:

  • Imprenditori artigiani e commercianti, inclusi gli agenti e rappresentanti di commercio;

  • Professionisti e lavoratori autonomi titolari di partita IVA, anche se non iscritti ad albi professionali;

  • Società di persone, come Snc, Sas, società semplici e studi associati;

  • Società di capitali ed enti commerciali, tra cui S.p.A., S.r.l., S.a.p.A., cooperative, nonché enti pubblici e privati che svolgono attività commerciale;

  • Intermediari finanziari, come banche, SIM, società fiduciarie e altri soggetti vigilati da Banca d’Italia o Consob.

Sono inoltre inclusi nel perimetro dell’obbligo anche i soggetti che effettuano operazioni rilevanti ai fini IVA pur non svolgendo attività d’impresa abituale (es. enti non commerciali con attività commerciale secondaria).

È fondamentale verificare attentamente la propria posizione fiscale per evitare omessi versamenti, che comportano sanzioni e interessi anche in caso di errore involontario.

Acconto IVA 2025

Il calcolo dell’acconto IVA 2025 può essere effettuato scegliendo uno tra tre metodi alternativi previsti dalla normativa: storico, previsionale e analitico (o “effettivo”). Ogni metodo presenta vantaggi e criticità, e la scelta dipende dalla posizione del contribuente e dalle proiezioni economiche di fine anno.

Vediamoli nel dettaglio:

  • Metodo Storico: è il più semplice da applicare. Si basa sull’importo dell’IVA a debito risultante dall’ultima liquidazione periodica del 2024 (mese di dicembre per i mensili, quarto trimestre per i trimestrali “naturali”, dichiarazione annuale per i trimestrali per opzione). L’acconto da versare sarà pari all’88% di quell’importo.

  • Metodo Previsionale: consente al contribuente di versare l’88% dell’IVA che prevede di dover versare nell’ultima liquidazione del 2025. In questo caso, è necessario stimare con attenzione le operazioni attive e passive fino al 31 dicembre, il che comporta un certo margine di rischio in caso di errore, ma può risultare vantaggioso in presenza di una riduzione dell’attività.

  • Metodo Analitico (o della liquidazione anticipata): prevede di effettuare una liquidazione straordinaria delle operazioni IVA registrate dal 1° al 20 dicembre 2025 (mensili) o dal 1° ottobre al 20 dicembre 2025 (trimestrali). In questo caso, si versa il 100% dell’IVA a debito risultante dalla liquidazione.

È importante sapere che l’acconto IVA 2025 non è dovuto se l’importo da versare è inferiore a 103,29 euro, e non è rateizzabile. Il pagamento, in ogni caso, dovrà avvenire esclusivamente per via telematica, con modello F24, entro il 29 dicembre.

Chi è esonerato

Non tutti i contribuenti titolari di partita IVA sono obbligati al versamento dell’acconto IVA. La normativa prevede, infatti, alcuni casi specifici di esonero, che riguardano determinate categorie di soggetti o particolari situazioni contabili e fiscali. Conoscere queste esenzioni è fondamentale per evitare versamenti non dovuti e ottimizzare la gestione della propria liquidità aziendale a fine anno.

Ecco i principali casi di esonero dall’acconto IVA 2025:

  • Contribuenti con IVA a credito: chi ha chiuso l’ultima liquidazione periodica (mensile, trimestrale o annuale) con un credito IVA, e non con un debito, non è tenuto a versare l’acconto;

  • Contribuenti che cessano l’attività entro il 30 novembre 2025 (per i mensili) o entro il 30 settembre 2025 (per i trimestrali): se l’attività cessa prima del periodo oggetto del calcolo dell’acconto, il versamento non è dovuto;

  • Contribuenti che effettuano solo operazioni esenti o fuori campo IVA: ad esempio, medici, dentisti o altri professionisti che rientrano in regimi esenti ai sensi dell’art. 10 del DPR 633/72;

  • Regime forfettario e regime dei minimi: chi aderisce al regime forfettario (art. 1, commi da 54 a 89, Legge 190/2014) o al regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile non è soggetto all’IVA e, quindi, non è tenuto al versamento dell’acconto;

  • Contribuenti che hanno effettuato esclusivamente operazioni non imponibili, come esportazioni, operazioni intracomunitarie o assimilate.

Infine, non è richiesto alcun acconto se, con qualunque metodo di calcolo, l’importo risultante è inferiore a 103,29 euro. In tutti gli altri casi, è obbligatorio il versamento, anche in presenza di sospensioni fiscali pregresse, salvo specifici provvedimenti normativi.

Sanzioni e rimedi

Il mancato o tardivo versamento dell’acconto IVA 2025 comporta l’applicazione automatica di sanzioni amministrativee interessi, secondo quanto previsto dallo Statuto del Contribuente e dal D.Lgs. n. 471/1997. È quindi fondamentale rispettare la scadenza del 29 dicembre 2025, tenendo conto che, anche un giorno di ritardo, fa scattare il meccanismo sanzionatorio.

Nel dettaglio, se il contribuente non versa l’acconto IVA entro i termini stabiliti, si applica una sanzione pari al 30% dell’importo non versato, ridotta al 15% se il pagamento avviene entro 90 giorni dalla scadenza, e ulteriormente riducibile con il ravvedimento operoso. A questo si aggiungono gli interessi legali calcolati giornalmente sull’importo dovuto.

Il contribuente ha comunque la possibilità di sanare spontaneamente l’irregolarità tramite il ravvedimento operoso, uno strumento che consente di regolarizzare la propria posizione pagando una sanzione ridotta proporzionalmente al tempo trascorso dalla scadenza.

Ad esempio:

  • entro 14 giorni: sanzione ridotta allo 0,1% per ogni giorno di ritardo;

  • dal 15° al 30° giorno: sanzione dell’1,5%;

  • dal 31° al 90° giorno: sanzione dell’1,67%;

  • oltre 90 giorni ma entro l’anno: sanzione del 3,75%.

Per utilizzare il ravvedimento è necessario compilare un modello F24 con gli appositi codici tributo relativi a sanzioni e interessi, oltre a quello per l’IVA. In caso di controlli, è importante conservare copia dei versamenti effettuati e della documentazione giustificativa del calcolo.

Consigli operativi

La scelta del metodo di calcolo dell’acconto IVA 2025 non è solo una questione tecnica, ma può avere un impatto significativo sulla liquidità aziendale e sulla pianificazione fiscale di fine anno. Per questo motivo è fondamentale valutare con attenzione quale criterio applicare tra storico, previsionale e analitico, in base alla situazione economica dell’impresa o del professionista.

Il metodo storico è il più semplice e sicuro: si basa su dati certi, già disponibili, e riduce il rischio di errori o contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Tuttavia, può risultare svantaggioso per chi prevede un calo dell’attività rispetto all’anno precedente, in quanto potrebbe versare un acconto più alto del dovuto.

Il metodo previsionale offre maggiore flessibilità e può essere vantaggioso se, ad esempio, si stima una riduzione del fatturato nel mese di dicembre (per i mensili) o nel quarto trimestre (per i trimestrali). Tuttavia, richiede una stima molto precisa delle fatture attive e passive ancora da registrare e comporta un rischio sanzionatorio in caso di sottostima.

Il metodo analitico, invece, può essere particolarmente utile per le imprese strutturate con una contabilità aggiornata in tempo reale. Consente di calcolare esattamente l’IVA a debito maturata fino al 20 dicembre (mensili) o 20 dicembre sul trimestre (trimestrali), ma richiede maggiore precisione e rapidità operativa nel rilevare tutte le operazioni.

In conclusione, non esiste un metodo “migliore” in assoluto, ma è importante affidarsi al proprio commercialista per valutare quale sia il più conveniente in base ai flussi di cassa, alla stagionalità dell’attività e al regime IVA applicato.

Come organizzarsi 

Affrontare la scadenza dell’acconto IVA 2025 in modo organizzato è fondamentale per evitare errori di calcolo, dimenticanze o versamenti tardivi, che possono tradursi in sanzioni evitabili. Prepararsi in anticipo consente non solo di rispettare i termini, ma anche di scegliere con consapevolezza il metodo di calcolo più vantaggioso, gestendo correttamente la propria liquidità aziendale.

Ecco alcuni passaggi pratici e consigli operativi per affrontare correttamente questa scadenza:

  1. Verificare lo storico IVA del 2024: controlla la liquidazione IVA dell’ultimo periodo utile (dicembre o quarto trimestre 2024) per applicare eventualmente il metodo storico.

  2. Aggiornare la contabilità entro il 15 dicembre: un quadro contabile aggiornato consente di stimare correttamente l’IVA da versare usando il metodo previsionale o analitico.

  3. Simulare i tre metodi di calcolo: con l’aiuto del commercialista o del gestionale contabile, valuta l’impatto economico delle tre modalità previste dalla normativa per scegliere quella più conveniente.

  4. Controllare crediti IVA disponibili: verifica l’eventuale presenza di crediti compensabili che potrebbero abbattere l’importo da versare con F24.

  5. Predisporre il pagamento con anticipo: non aspettare il 29 dicembre! Meglio trasmettere l’F24 entro il 23-24 dicembre per evitare problemi tecnici (soprattutto se si usa il canale home banking).

  6. Verificare soglie e esenzioni: se l’importo dovuto è inferiore a 103,29 euro, il pagamento non è obbligatorio. È bene comunque documentare correttamente il motivo dell’esonero.

Seguire questi semplici ma fondamentali accorgimenti consente di affrontare l’obbligo dell’acconto IVA 2025 con efficienza e serenità, evitando errori che possono diventare costosi.

Conclusione

L’acconto IVA 2025, con scadenza fissata al 29 dicembre, rappresenta un adempimento cruciale per professionisti, imprese e società. Anche se può sembrare una scadenza di routine, in realtà comporta valutazioni tecniche e strategicheche non devono essere sottovalutate. Scegliere il metodo di calcolo più adatto, rispettare i termini di pagamento, e compilare correttamente il modello F24 sono passaggi fondamentali per evitare errori, sanzioni e sprechi di liquidità.

Come abbiamo visto, i contribuenti possono scegliere tra il metodo storico, previsionale o analitico, a seconda della situazione fiscale dell’anno in corso. Tuttavia, una scelta errata, ad esempio una stima troppo ottimistica con il metodo previsionale, può comportare rischi economici e sanzionatori.

Inoltre, conoscere chi è obbligato al versamento e chi è esonerato permette di agire in modo informato e consapevole. Anche l’eventuale credito IVA residuo, se presente, può essere un’opportunità per compensare l’importo da versare.

Per chi gestisce in autonomia la propria contabilità, il nostro consiglio è quello di affidarsi a un consulente fiscale esperto: solo un professionista è in grado di verificare la correttezza dei calcoli e individuare eventuali margini di ottimizzazione fiscale.

In conclusione, gestire correttamente l’acconto IVA non è solo un dovere, ma una scelta di efficienza che può avere effetti positivi anche sulla gestione finanziaria complessiva dell’attività.

Bonus libri scolastici 2026: arriva la deducibilità fiscale per la scuola dell’obbligo

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Book in library with open textbook,education learning concept

Nel 2026 potrebbe arrivare una svolta importante per le famiglie italiane con figli in età scolastica: i libri scolastici diventeranno deducibili fiscalmente. Un emendamento alla Legge di Bilancio 2025, attualmente in discussione parlamentare, prevede uno stanziamento di 20 milioni di euro destinato proprio a introdurre una nuova deducibilità fiscale per l’acquisto dei libri di testo obbligatori per la scuola dell’obbligo. L’obiettivo è quello di alleviare il carico economico delle famiglie, sempre più gravato da spese scolastiche in costante aumento, e allo stesso tempo incentivare l’adempimento scolastico.

Il provvedimento risponde a una richiesta concreta e reiterata da parte delle associazioni dei consumatori e delle famiglie italiane: attualmente, infatti, le spese per libri scolastici non rientrano tra le spese detraibili o deducibili nel 730, ad eccezione di alcuni casi legati all’istruzione secondaria superiore privata o universitaria. L’introduzione di questo bonus rappresenterebbe dunque una novità assoluta nel panorama fiscale italiano, destinata a incidere direttamente sul bilancio familiare, soprattutto per i nuclei con più figli a carico.

Il bonus, previsto a partire dal periodo d’imposta 2026, sarà disponibile per le famiglie con figli iscritti alla scuola primaria e secondaria di primo grado, ovvero la scuola dell’obbligo, come definita dalla normativa italiana. La misura, se confermata, si tradurrà in una riduzione concreta dell’IRPEF, grazie alla possibilità di dedurre parte della spesa sostenuta per i libri scolastici direttamente dal reddito imponibile.

Spese libri scolastici

Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM), oltre 7 milioni di studenti frequenteranno la scuola dell’obbligo nell’anno scolastico 2025/2026. Un numero enorme, che dà la misura dell’impatto potenziale dell’emendamento alla Legge di Bilancio 2025, se confermato. Attualmente, però, la situazione è ben diversa e molto frammentata: i libri scolastici sono gratuiti solo per la scuola primaria, grazie a un finanziamento pubblico pari a circa 103 milioni di euro l’anno, gestito a livello comunale attraverso la cedola libraria, come stabilito dalla normativa regionale.

Per le scuole secondarie di primo e secondo grado, invece, non esiste una gratuità generalizzata. Le famiglie devono far fronte da sole alla spesa per i testi, con un’eccezione parziale: interventi di fornitura gratuita o semigratuita, previsti dall’art. 27 della Legge 448/1998, destinati però solo ai nuclei con redditi bassi, tramite contributi comunali finanziati dalle Regioni.

A livello fiscale, la normativa attuale non prevede la possibilità di detrarre l’acquisto dei libri scolastici per queste scuole. L’Agenzia delle Entrate ha più volte chiarito che la detrazione IRPEF per spese d’istruzione (19%) non copre i testi scolastici, rendendo la spesa completamente a carico delle famiglie.

L’emendamento in arrivo cambierebbe le regole: la nuova misura introdurrebbe una deduzione fiscale dal reddito complessivo, ai sensi dell’art. 10 del TUIR, rendendo il beneficio automaticamente applicabile in dichiarazione dei redditi, seppure nei limiti e condizioni che saranno stabiliti con il testo definitivo.

Risparmio fiscale e giustizia sociale

L’introduzione della deducibilità fiscale per le spese relative ai libri scolastici rappresenta una potenziale rivoluzione fiscale e sociale, che potrebbe portare benefici tangibili a milioni di famiglie italiane. A differenza delle detrazioni, che si applicano sull’imposta da pagare, la deduzione agisce direttamente sul reddito imponibile, riducendo la base su cui viene calcolata l’IRPEF. Questo significa che, soprattutto per i contribuenti appartenenti a scaglioni di reddito medio-alti, il vantaggio economico sarà più significativo.

Ma non si tratta solo di un vantaggio fiscale. Questa misura ha anche una forte valenza sociale: interviene in un ambito, quello dell’istruzione obbligatoria, che rappresenta un diritto fondamentale e uno dei pilastri della crescita del Paese. L’attuale sistema, basato su interventi locali per le famiglie a basso reddito, rischia spesso di creare disparità territoriali e accesso diseguale ai benefici. La nuova deduzione, invece, sarebbe nazionale, strutturata e potenzialmente accessibile a tutti, garantendo maggiore equità e uniformità.

Inoltre, la deducibilità dei libri scolastici può contribuire indirettamente a combattere la dispersione scolastica e a incentivare la frequenza, soprattutto nelle aree meno sviluppate, dove anche il costo dei testi può rappresentare un ostacolo. In un contesto di inflazione ancora alta e di aumenti generalizzati del costo della vita, la possibilità di alleggerire questa voce di spesa può trasformarsi in un aiuto concreto per il bilancio familiare e un passo avanti nella promozione del diritto allo studio.

Requisiti e limiti attesi

Sebbene il testo definitivo dell’emendamento debba ancora essere approvato in via ufficiale, le prime indiscrezioni delineano i principi chiave del nuovo beneficio fiscale. La deduzione sarà applicabile alle spese sostenute per l’acquisto dei libri scolastici obbligatori, adottati dalle scuole statali e paritarie nell’ambito della scuola dell’obbligo. Il riferimento normativo sarà l’articolo 10 del TUIR, che disciplina le deduzioni dal reddito complessivo, ossia quelle spese che abbassano direttamente il reddito su cui calcolare l’imposta.

È importante distinguere la deduzione dalla detrazione: mentre quest’ultima riduce l’imposta da pagare, la deduzione riduce l’imponibile IRPEF, risultando particolarmente vantaggiosa nei confronti dei contribuenti con redditi medio-alti, che si trovano negli scaglioni fiscali più elevati. Se ad esempio una famiglia spende 400 euro per libri scolastici e ha un’aliquota marginale del 38%, potrebbe ottenere un risparmio effettivo di circa 150 euro.

La misura sarà probabilmente soggetta a limiti di spesa annuale, sia per evitare abusi che per mantenere l’equilibrio dei conti pubblici. Potrebbero essere previsti anche paletti ISEE, come già avviene per altri benefici fiscali e sociali, ma al momento non ci sono certezze in merito. Un altro aspetto fondamentale sarà la modalità di certificazione della spesa, che dovrà essere documentata con fatture o scontrini parlanti per essere ammessa in dichiarazione.

La deduzione sarà molto probabilmente precompilata nel 730, attraverso l’invio dei dati da parte degli esercizi commerciali accreditati, analogamente a quanto già avviene per le spese sanitarie. Questo garantirà semplificazione, tracciabilità e minore rischio di errori o contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Impatto economico 

Lo stanziamento previsto per introdurre la deducibilità fiscale dei libri scolastici ammonta, secondo l’emendamento, a 20 milioni di euro a partire dal 2026. Una cifra che, sebbene contenuta rispetto al totale della spesa pubblica, rappresenta un segnale politico chiaro: il Governo intende rafforzare il sostegno alle famiglie e incentivare l’investimento nell’istruzione, anche tramite leve fiscali. In un contesto in cui la Legge di Bilancio 2025 è fortemente condizionata dalle necessità di contenimento del deficit e dalle richieste dell’Unione Europea, l’inserimento di una misura a favore delle famiglie è stato accolto con interesse da parte dell’opinione pubblica.

Le reazioni delle associazioni familiari e dei consumatori sono state nel complesso positive. In particolare, si sottolinea come questa deduzione potrebbe ridurre le diseguaglianze tra i cittadini, colmando le attuali differenze tra chi risiede in Comuni virtuosi (che forniscono contributi per i libri scolastici) e chi invece si trova in territori con risorse limitate. Anche i Comuni e le Regioni potrebbero beneficiare indirettamente della misura, poiché una parte della spesa oggi sostenuta con fondi locali verrebbe alleggerita dal nuovo strumento fiscale a livello nazionale.

Tuttavia, resta da capire come sarà strutturata la deduzione e se basteranno i fondi stanziati. Alcuni esperti ritengono che il budget previsto sia sufficiente solo per una deduzione parziale o vincolata a specifiche fasce di reddito. Il Governo potrebbe dover affrontare un delicato equilibrio: garantire un beneficio diffuso, ma senza generare nuovi squilibri o iniquità. In ogni caso, l’inserimento della misura nel testo della manovra rappresenta un primo passo significativo verso una maggiore equità fiscale legata al diritto allo studio.

Come prepararsi

Anche se la deducibilità dei libri scolastici entrerà in vigore solo a partire dal 2026, è utile che le famiglie inizino fin da ora a prepararsi all’introduzione della misura, sia dal punto di vista organizzativo che documentale. La prima cosa da fare è abituarsi a conservare correttamente scontrini e fatture relativi all’acquisto dei testi scolastici, possibilmente richiedendo documenti fiscali “parlanti”, ovvero completi di codice fiscale dell’acquirente. Queste abitudini potranno rivelarsi fondamentali per beneficiare del bonus in modo corretto, soprattutto se la spesa verrà tracciata attraverso sistemi precompilati come avviene per le spese mediche.

Un altro aspetto da monitorare nei prossimi mesi riguarda le modalità operative che verranno definite dai decreti attuativi: limiti di spesa annuale, eventuali soglie ISEE per l’accesso al beneficio, tipologie di testi ammessi alla deduzione (ad esempio solo cartacei o anche digitali), e meccanismi di trasmissione dei dati agli enti fiscali. Tutti elementi che faranno la differenza sull’efficacia della misura e sul reale vantaggio economico per le famiglie.

In attesa dei dettagli definitivi, sarà anche importante che professionisti del settore fiscale si aggiornino tempestivamente, in modo da fornire supporto concreto alle famiglie nella compilazione del 730 o del modello Redditi quando la novità sarà effettivamente operativa.

Deduzione o detrazione

Quando si parla di agevolazioni fiscali, spesso si fa confusione tra deduzioni e detrazioni, ma la differenza è sostanziale, soprattutto in termini di impatto sul portafoglio delle famiglie. Con la nuova misura in arrivo dal 2026, il Governo ha scelto di puntare su una deduzione fiscale dal reddito complessivo (ex art. 10 del TUIR), anziché su una detrazione dall’imposta.

Ma cosa cambia nella pratica?

  • La detrazione si applica sull’imposta da pagare (IRPEF). Ad esempio, se una famiglia spende 300 euro in libri e ha diritto a una detrazione del 19%, risparmierà 57 euro.

  • La deduzione, invece, riduce il reddito imponibile su cui si calcola l’IRPEF. Se una famiglia con un’aliquota marginale del 38% deduce 300 euro, il risparmio fiscale sarà di 114 euro. Più che raddoppiato rispetto alla detrazione.

Questo significa che, a parità di spesa, la deduzione garantisce un risparmio maggiore, soprattutto per chi ha redditi medi o alti. Tuttavia, è importante sottolineare che questo tipo di agevolazione può risultare meno vantaggiosa per chi ha redditi bassi, o per chi non raggiunge la soglia minima di tassazione, poiché non sempre ci sarà un reale beneficio economico.

Il legislatore dovrà quindi valutare se introdurre correttivi, ad esempio un sistema misto deduzione/detrazione o un credito d’imposta per i redditi più bassi, in modo da garantire equità orizzontale tra i contribuenti e permettere a tutte le famiglie, indipendentemente dal reddito, di godere del beneficio.

Conclusione

La deducibilità dei libri scolastici prevista a partire dal 2026 rappresenta una novità fiscale di grande rilievo, destinata ad avere effetti positivi non solo sul bilancio familiare, ma anche sul sistema scolastico nel suo complesso. In un’Italia dove le spese legate all’istruzione gravano pesantemente sulle famiglie, soprattutto quelle con più figli, ogni intervento che alleggerisce il carico economico è un segnale importante di attenzione da parte delle istituzioni.

Il meccanismo della deduzione, se ben strutturato e accompagnato da un sistema chiaro di documentazione e limiti di spesa, può diventare un valido strumento di politica fiscale e sociale, promuovendo l’accesso equo alla scuola dell’obbligo e riducendo le diseguaglianze territoriali e reddituali. È fondamentale però che, nei prossimi mesi, il Governo definisca con precisione modalità, requisiti e beneficiari, evitando che la misura resti sulla carta o che favorisca solo una parte della popolazione.

Nel frattempo, è consigliabile che le famiglie inizino a organizzarsi nella gestione e conservazione della documentazione fiscale, e che seguano con attenzione l’evoluzione normativa. Se confermata e potenziata nel tempo, questa deduzione potrebbe rappresentare il primo passo verso un fisco più attento alle reali esigenze educative dei cittadini, contribuendo a costruire una società più istruita, equa e fiscalmente sostenibile.

IMU 2025: guida completa al saldo del 16 dicembre, esenzioni, novità e calcolo

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Dicembre è un mese cruciale per milioni di proprietari immobiliari in Italia. Entro il 16 dicembre 2025 scade infatti il termine per il versamento del saldo IMU (Imposta Municipale Propria), una delle scadenze fiscali più temute, ma anche tra le più fraintese. La corretta gestione del pagamento IMU è fondamentale per evitare sanzioni, calcolare correttamente quanto dovuto e, dove possibile, risparmiare legalmente.

In questo articolo faremo chiarezza su tutto ciò che riguarda il saldo IMU 2025: dalle modalità di calcolo, alle esenzioni previste, dalle novità normative, fino alle strategie per non sbagliare il versamento. Scopriremo anche quali sono i comuni che hanno deliberato aumenti o agevolazioni, come individuare la propria aliquota e cosa cambia per immobili affittati, seconde case, fabbricati inagibili o terreni agricoli.

Quando e cosa si paga

Il saldo IMU 2025 deve essere versato entro la scadenza fissata al 16 dicembre 2025, una data cruciale per tutti i proprietari di immobili non esenti. Questo versamento ha la funzione di completare quanto già versato in acconto a giugno e di conguagliare eventuali variazioni intervenute nel corso dell’anno. Tali variazioni possono riguardare delibere comunali, modifiche normative, oppure cambiamenti nelle caratteristiche dell’immobile (come cambio di destinazione d’uso, perdita del requisito di abitazione principale, ecc.).

Il saldo serve anche per applicare eventuali esenzioni o agevolazioni maturate nella seconda parte dell’anno, come nel caso di fabbricati divenuti inagibili o concessi in comodato gratuito a familiari secondo le condizioni stabilite dalla legge. Il contribuente deve quindi eseguire un riepilogo della posizione catastale dell’immobile, verificare la destinazione d’uso aggiornata e tener conto di agevolazioni specifiche eventualmente deliberate dal Comune di ubicazione.

È importante ricordare che il saldo IMU non è semplicemente la seconda metà del totale, ma un vero e proprio ricalcolo basato sulle aliquote definitive approvate dai Comuni, pubblicate entro il 28 ottobre 2025 sul sito del MEF. In assenza di nuove delibere, valgono le aliquote dell’anno precedente. La corretta individuazione dell’importo da versare richiede quindi attenzione, aggiornamento e  l’assistenza di un consulente esperto.

Esenzioni IMU 2025

Non tutti gli immobili sono soggetti al pagamento dell’IMU. Le esenzioni IMU 2025 possono derivare sia da disposizioni nazionali che da delibere comunali, ma è fondamentale distinguere tra quelle automatiche, previste per legge, e quelle facoltative, che richiedono specifica approvazione da parte del Comune.

Tra le esenzioni previste dalla legge, restano confermate anche per il 2025 alcune delle casistiche più rilevanti:

  • Terreni agricoli: esenti se posseduti e condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (IAP)iscritti alla previdenza agricola.

  • Immobili pubblici: quelli di proprietà di Stato, Regioni, Province, Comuni ed enti del SSN, se destinati a funzioni istituzionali.

  • Immobili con categoria catastale E/1 – E/9: come caserme, porti, aeroporti e infrastrutture portuali, anche se affidati in gestione a soggetti privati.

  • Immobili culturali: musei, archivi, biblioteche e cineteche, se aperti al pubblico e senza finalità commerciali.

  • Luoghi di culto e immobili della Santa Sede, in virtù del Concordato con la Chiesa.

  • Enti non commerciali: per immobili utilizzati esclusivamente per attività assistenziali, culturali, sportive, religiose o sanitarie.

A partire dal 2023, è stata inoltre estesa l’esenzione IMU a:

  • Immobili occupati abusivamente, se il proprietario ha sporto regolare denuncia penale. In tal senso si è espressa la Corte Costituzionale, riconoscendo l’effetto retroattivo dell’esenzione (sentenza n. 98/2023).

  • Immobili dell’Accademia dei Lincei, dichiarati esenti come ente culturale di rilevanza nazionale.

Le esenzioni locali, invece, devono essere previste da apposite delibere comunali.

Tra le più comuni:

  • Immobili concessi in comodato gratuito a ONLUS o enti pubblici.

  • Locali commerciali situati in zone penalizzate da cantieri pubblici protratti per oltre 6 mesi.

  • Attività economiche ubicate in aree montane o in Comuni con meno di 3.000 abitanti.

  • Esenzioni per imprese sociali, APS e ONLUS, se previste nei regolamenti comunali.

Prima di pagare, è sempre necessario consultare il regolamento IMU del proprio Comune per verificare l’effettiva applicazione di queste esenzioni.

Novità giurisprudenziali 

Il biennio 2024–2025 ha visto una notevole evoluzione sul fronte giurisprudenziale e interpretativo in materia di IMU. Diverse sentenze della Corte di Cassazione hanno contribuito a delineare meglio i contorni applicativi di alcune esenzioni e condizioni soggettive, imponendo ai contribuenti e agli enti interessati una maggiore attenzione ai requisiti sostanziali e documentali.

Ecco le principali pronunce e novità normative da tenere presenti per il saldo IMU 2025:

  • Cass. n. 118/2025: l’esenzione riconosciuta agli enti pubblici si applica solo se l’attività svolta è istituzionale, diretta e immediata. Non basta che l’immobile sia strumentale, ma serve un utilizzo attivo e concreto.

  • Cass. n. 23094/2024: per gli enti non commerciali, non è sufficiente avere una finalità statutaria non lucrativa. Occorre dimostrare l’effettiva natura non commerciale delle attività svolte, con documentazione adeguata.

  • Cass. n. 2364/2025: anche le aree edificabili possono beneficiare di esenzione se sono destinate concretamente ad attività istituzionali, indipendentemente dallo stato urbanistico.

  • Cass. n. 10390/2025: i cosiddetti beni merce – ossia i fabbricati costruiti dalle imprese per la vendita – sono esenti solo se non locati e se mantengono tale destinazione per tutto l’anno d’imposta.

  • Cass. n. 18938/2025: in caso di occupazione abusiva del terreno, l’IMU non è dovuta se il proprietario ha perso la disponibilità materiale del bene, a condizione che abbia presentato formale denuncia.

A livello normativo, si segnala anche l’introduzione dell’art. 6-bis del D.L. n. 84/2025, che rafforza l’esenzione IMU per le associazioni sportive dilettantistiche. Il nuovo sistema prevede una fase transitoria, durante la quale l’agevolazione è riconosciuta solo ai soggetti iscritti al RASD (Registro Nazionale delle Attività Sportive Dilettantistiche).

Queste interpretazioni e novità legislative impongono a professionisti e contribuenti di verificare con attenzione le condizioni soggettive e oggettive delle esenzioni IMU, anche alla luce di eventuali accertamenti futuri.

Dichiarazione IMU 2025

Uno degli errori più comuni commessi dai contribuenti riguarda la convinzione che le esenzioni IMU siano sempre automatiche. In realtà, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, per beneficiare delle agevolazioni o dell’esenzione totale è necessario rispettare precisi obblighi dichiarativi. Il mancato adempimento può comportare la perdita del diritto all’esenzione, anche qualora i requisiti sostanziali fossero soddisfatti.

Il contribuente deve quindi presentare la dichiarazione IMU entro i termini fissati (generalmente entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il fatto che dà diritto all’esenzione) utilizzando esclusivamente i canali telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate o dal Comune competente.

Nella dichiarazione devono essere indicati in modo chiaro:

  • Il motivo dell’esenzione (es. comodato gratuito a ente non commerciale, utilizzo per finalità istituzionali, immobile occupato abusivamente, esercizio di attività culturale o sportiva non commerciale, ecc.);

  • L’identificativo catastale dell’immobile;

  • Le eventuali variazioni intervenute, come la cessazione dell’attività che legittimava l’agevolazione o la modifica della destinazione d’uso.

Un caso emblematico è rappresentato dall’esenzione prevista per gli immobili occupati abusivamente (art. 1, comma 759, lett. g-bis, della Legge n. 160/2019): per poterla applicare è obbligatorio presentare denuncia penale e comunicare la situazione mediante dichiarazione IMU.

Attenzione: la mancata presentazione della dichiarazione comporta la decadenza automatica dal beneficio, con la conseguente emissione di accertamenti IMU e sanzioni per omesso pagamento.

Immobili occupati e immobili inagibili

Uno dei nodi più delicati e dibattuti in ambito IMU riguarda la tassazione degli immobili non utilizzabili a causa di occupazioni abusive o eventi straordinari, come terremoti e alluvioni. Per il 2025, la normativa e la giurisprudenza offrono chiarimenti e nuove esenzioni che il contribuente deve conoscere per evitare di pagare imposte non dovute.

IMU su immobili occupati abusivamente

In base all’art. 1, comma 759, lettera g-bis, della Legge n. 160/2019, e come confermato dalla Cassazione n. 18938/2025, l’IMU non è dovuta per immobili occupati da soggetti terzi senza titolo. Tuttavia, per ottenere l’esenzione, è indispensabile che il proprietario abbia sporto denuncia penale per reati come:

  • Art. 614 c.p. – Violazione di domicilio;

  • Art. 633 c.p. – Invasione di edifici o terreni.

In questi casi, il contribuente deve presentare dichiarazione IMU indicando la situazione e allegando copia della denuncia o della documentazione che attesti la perdita di disponibilità dell’immobile.

IMU su immobili inagibili per eventi calamitosi

Sono esenti dall’IMU fino al 31 dicembre 2025 i fabbricati dichiarati inagibili situati nelle zone colpite dal sisma del Centro Italia e in alcune aree dell’Abruzzo. Una novità del 2025 è l’estensione dell’esenzione fino al 31 dicembre 2026per immobili alluvionati in Emilia-Romagna e Toscana, se:

  • Dichiarati inagibili da apposite perizie o atti tecnici;

  • Soggetti a ordinanza di sgombero da parte delle autorità locali.

In entrambi i casi, è obbligatorio presentare dichiarazione IMU con documentazione allegata, come verbali di sopralluogo, ordinanze comunali o perizie asseverate.

Anche in presenza dei requisiti oggettivi (occupazione o inagibilità), l’assenza della dichiarazione può comportare la perdita dell’esenzione e l’obbligo di pagamento.

Come calcolare il saldo IMU 

Il calcolo del saldo IMU 2025 non è un semplice “secondo versamento” uguale a quello di giugno, ma un vero ricalcolo complessivo basato sulle aliquote definitive approvate dai Comuni entro il 28 ottobre 2025. Per questo motivo, il saldo può essere superiore o inferiore rispetto all’acconto, in base a eventuali variazioni deliberate nel frattempo.

I passaggi fondamentali per il calcolo:

  1. Verifica della rendita catastale: è il valore di base da cui partire. Va rivalutata del 5% e poi moltiplicata per i coefficienti catastali (che variano in base alla categoria dell’immobile: abitazioni, uffici, negozi, terreni, ecc.).

  2. Applicazione dell’aliquota comunale definitiva: i Comuni possono differenziare le aliquote per:

    • Prime case di lusso (cat. A1, A8, A9);

    • Seconde case;

    • Immobili locati;

    • Fabbricati produttivi (cat. D);

    • Terreni agricoli o edificabili.

  3. Sottrazione dell’acconto versato a giugno: il saldo da pagare entro il 16 dicembre è la differenza tra l’importo totale dovuto per l’intero anno e l’acconto già corrisposto.

  4. Verifica delle eventuali agevolazioni comunali: alcune amministrazioni prevedono riduzioni per immobili in comodato gratuito a parenti, per immobili locati a canone concordato, o per le imprese che rispettano determinati requisiti ambientali, sociali o di utilità pubblica.

Le aliquote definitive possono essere consultate nel Portale del Dipartimento delle Finanze del MEF, che le pubblica in forma ufficiale ogni anno. In caso di mancata delibera, si applicano le aliquote dell’anno precedente.

Suggerimento pratico: per evitare errori di calcolo, è utile utilizzare i software messi a disposizione da CAF, studi professionali o dallo stesso Comune. In alternativa, è possibile affidarsi a un commercialista per un controllo completo e personalizzato.

Modalità di pagamento

Il saldo IMU 2025 deve essere versato entro il 16 dicembre 2025, utilizzando esclusivamente i modelli F24 o, in alternativa, tramite il bollettino postale dedicato all’IMU, disponibile presso gli uffici postali. È importante seguire le modalità corrette per non incorrere in errori formali che potrebbero comportare l’invalidazione del versamento.

Modalità di pagamento:

  • Modello F24: il metodo più usato, anche per compensare eventuali crediti fiscali (IRPEF, IVA, ecc.). Va compilato indicando:

    • il codice catastale del Comune;

    • il codice tributo IMU specifico in base alla tipologia di immobile (es. 3918 per abitazioni diverse dalla principale, 3916 per aree fabbricabili, ecc.);

    • l’anno di riferimento (2025);

    • l’importo dovuto a saldo.

  • Bollettino postale IMU: da utilizzare in alternativa all’F24, solo se non si intende compensare con crediti.

Il versamento può essere effettuato:

  • tramite home banking o sportello bancario;

  • tramite intermediari abilitati (CAF, commercialisti, patronati);

  • direttamente online tramite il sito del proprio Comune, se previsto.

Sanzioni per omesso o tardivo versamento

Se il saldo IMU non viene versato nei termini o viene pagato in misura insufficiente, si applicano le sanzioni previste dal ravvedimento operoso, calcolate in base al tempo trascorso dalla scadenza:

  • Ravvedimento sprint (entro 14 giorni): sanzione dello 0,1% per ogni giorno di ritardo;

  • Ravvedimento breve (entro 30 giorni): sanzione dell’1,5%;

  • Ravvedimento medio (entro 90 giorni): sanzione dell’1,67%;

  • Ravvedimento lungo (entro 1 anno): sanzione del 3,75%.

In aggiunta alla sanzione, si applicano gli interessi legali maturati (allo 0,25% annuo nel 2025, salvo aggiornamenti).

La regolarizzazione è possibile solo prima della ricezione di un atto di accertamento. In caso contrario, le sanzioni possono arrivare fino al 30% dell’importo non versato.

Conclusione

Il saldo IMU 2025 rappresenta una delle scadenze fiscali più rilevanti dell’anno per milioni di contribuenti italiani. Come abbiamo visto, si tratta di un adempimento che va ben oltre il semplice pagamento: richiede attenzione alle delibere comunali, conoscenza delle esenzioni, aggiornamento sulle novità giurisprudenziali e consapevolezza delle responsabilità dichiarative.

Sottovalutare aspetti come la presentazione della dichiarazione IMU, la corretta applicazione delle aliquote, o la perdita di disponibilità di un immobile può comportare non solo errori di pagamento, ma anche accertamenti e sanzioni.

È quindi fondamentale:

  • Verificare con precisione la situazione catastale e fiscale del proprio immobile;

  • Consultare il sito del proprio Comune o del MEF per conoscere le aliquote definitive;

  • Presentare eventuali dichiarazioni in caso di esenzioni, cambi di uso o situazioni particolari (come inagibilità o occupazioni abusive);

  • Agire in tempo, sfruttando il ravvedimento operoso in caso di ritardi o dimenticanze.

Rivolgersi a un commercialista esperto in fiscalità immobiliare può fare la differenza tra un adempimento corretto e un potenziale contenzioso. Inoltre, conoscere i propri diritti, come nel caso delle esenzioni per eventi calamitosi o per determinate categorie di contribuenti, consente anche di risparmiare legalmente sulle tasse.

In un contesto normativo in continua evoluzione, affrontare l’IMU con competenza e tempestività è il miglior modo per proteggere il proprio patrimonio e rispettare le regole.

Legge di Bilancio 2026: tutte le novità su IRPEF, rottamazione, bonus famiglie e imprese

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Judge and documents on office desk Legislation

La Legge di Bilancio 2026 si presenta come uno dei provvedimenti più rilevanti degli ultimi anni, con una serie di interventi pensati per sostenere famiglie, imprese e lavoratori in un contesto economico ancora complesso. Approvata tra attese, dibattiti e trattative serrate, la nuova manovra economica punta a rafforzare il sistema fiscale italiano, proseguendo sulla strada della semplificazione e del risparmio fiscale. Tra le principali novità, spiccano la rimodulazione dell’IRPEF, la nuova rottamazione delle cartelle esattoriali, incentivi per le imprese e nuovi sostegni per i nuclei familiari a basso reddito.

Non si tratta solo di un documento contabile, ma di un piano strategico che può influenzare profondamente il modo in cui cittadini e imprenditori vivranno e gestiranno il proprio denaro nel 2026.

In questo articolo approfondiremo punto per punto le novità più importanti introdotte dalla Legge di Bilancio 2026, offrendo una guida chiara e aggiornata per capire cosa cambia realmente e come approfittare legalmente delle nuove misure fiscali.

Riduzione dell’IRPEF

Uno dei cambiamenti più significativi introdotti dalla Legge di Bilancio 2026 riguarda l’IRPEF, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. La manovra interviene sul secondo scaglione di reddito, quello compreso tra 28.000 e 50.000 euro, abbassando l’aliquota dal 35% al 33%. La misura, resa ufficiale nel comunicato stampa del Governo, è volta a ridurre il cuneo fiscale sui redditi medi, incentivando i consumi e alleggerendo il peso fiscale su una larga fascia di contribuenti.

Dal punto di vista normativo, la modifica è contenuta nell’articolo 2 della Legge di Bilancio, che interviene direttamente sull’articolo 11, comma 1, lettera b) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR)D.P.R. 917/1986 – sostituendo l’aliquota indicata del 35% con il nuovo valore del 33%.

Va però sottolineato che la riduzione dell’imposta viene “sterilizzata” per i contribuenti con redditi superiori a 200.000 euro. In questo caso, viene inserito un nuovo comma 5-bis all’articolo 16-ter del TUIR, che limita la detraibilità di una serie di oneri fiscali (tra cui quelli al 19% e le donazioni politiche) attraverso una diminuzione fissa di 440 euro, ad eccezione delle spese sanitarie. Questo meccanismo serve a evitare vantaggi fiscali eccessivi per i redditi più alti, mantenendo l’equità del sistema.

Rottamazione Quinquies 2026

La Legge di Bilancio 2026 introduce una nuova misura di pacificazione fiscale, ribattezzata dagli addetti ai lavori come “Rottamazione Quinquies”. A differenza delle precedenti edizioni, il provvedimento non prevede un condono generalizzato, ma si presenta come uno strumento mirato e selettivo, rivolto esclusivamente a specifiche categorie di contribuenti in difficoltà economica. L’obiettivo dichiarato è duplice: alleggerire il carico fiscale pregresso e, contemporaneamente, ridurre il contenzioso tributario, offrendo una via d’uscita sostenibile a chi ha pendenze con il Fisco.

Il provvedimento si applica ai carichi affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione fino al 31 dicembre 2023, e prevede due modalità di pagamento: in unica soluzione oppure in rateizzazione fino a 9 anni, suddivisa in 54 rate bimestrali di pari importo. Questo consente anche a chi si trova in temporanea difficoltà di aderire senza compromettere la propria liquidità.

Tra i beneficiari, rientrano in particolare coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi ma non hanno versato le imposte dovute, evitando così di essere esclusi per irregolarità formali. Inoltre, viene confermata la possibilità per gli enti locali di aderire alla misura, estendendo così l’impatto del provvedimento anche ai tributi comunali.

Va sottolineato che la rottamazione prevede anche un saldo e stralcio parziale: l’importo delle somme dovute potrebbe essere ridotto sotto una certa soglia, anche se i dettagli operativi saranno chiariti con i prossimi decreti attuativi.

Famiglie al centro

La Legge di Bilancio 2026 conferma una forte attenzione verso il sostegno alle famiglie italiane, stanziando circa 3,5 miliardi di euro nel triennio per misure di contrasto alla povertà, rafforzamento delle prestazioni sociali e rivisitazione dei criteri ISEE. Proprio su quest’ultimo punto si concentra una delle novità più incisive: la revisione del calcolo dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, che influenzerà l’accesso a molte prestazioni agevolate. Il nuovo sistema corregge il peso attribuito al valore della casa e modifica le scale di equivalenza per i nuclei familiari numerosi o con disabilità, con un impatto stimato in circa 500 milioni di euro l’anno.

Tra le misure confermate spicca il rifinanziamento della “Carta dedicata a te”, un bonus da 500 euro annuali per famiglie con ISEE fino a 15.000 euro, da spendere in beni alimentari di prima necessità. Viene inoltre reso permanente il finanziamento ai centri estivi, con uno stanziamento di 60 milioni di euro annui, per aiutare i genitori a conciliare tempi di lavoro e cura.

Sul fronte pensionistico, la manovra sterilizza l’aumento automatico dell’età pensionabile (previsto dal meccanismo di adeguamento alla speranza di vita) per i lavoratori in attività usuranti, mentre per gli altri l’incremento sarà più graduale. Introdotto anche un bonus di 260 euro l’anno per i pensionati in condizioni disagiate.

Infine, buone notizie per le lavoratrici madri: il bonus mamme passa da 40 a 60 euro al mese per le dipendenti con almeno due figli e reddito fino a 40.000 euro. Vengono anche rafforzati il congedo parentale e quello per malattia dei figli minori, segno di un’attenzione crescente verso la genitorialità attiva.

Agevolazioni per le imprese

La Legge di Bilancio 2026 introduce un pacchetto di misure fiscali e incentivi di forte impatto per le imprese italiane, con l’obiettivo di stimolare la crescita, la transizione ecologica e la competitività, soprattutto nei territori svantaggiati. Tra le novità più rilevanti figura la maggiorazione del costo di acquisizione dei beni strumentali nuovi, utile al calcolo degli ammortamenti fiscali e dei canoni di leasing: fino al 180% per investimenti fino a 2,5 milioni di euro, 100% tra 2,5 e 10 milioni, e 50% oltre i 10 e fino a 20 milioni. Ma per chi investe in tecnologie green, le percentuali salgono rispettivamente a 220%, 140% e 90%, premiando le imprese che puntano sulla sostenibilità.

Tra le altre misure, segnaliamo l’aumento della soglia esentasse dei buoni pasto elettronici, che passa da 8 a 10 euro, alleggerendo il carico fiscale per i datori di lavoro e offrendo un maggiore potere d’acquisto ai dipendenti.

Confermati anche il credito d’imposta per le imprese nelle Zone Economiche Speciali (ZES) e, con un budget triennale di 100 milioni di euro, gli incentivi per le Zone Logistiche Semplificate (ZLS). Sul fronte fiscale, viene prorogata al 31 dicembre 2026 la sospensione della plastic e sugar tax, evitando ulteriori oneri per l’industria alimentare e del packaging.

La manovra rifinanzia anche la Nuova Sabatini, fondamentale per sostenere gli investimenti delle PMI. Per il settore bancario e assicurativo, è confermato un contributo aggiuntivo, mentre si segnala la proroga del rinvio delle deduzioni su svalutazioni e perdite su crediti, oltre al posticipo della deduzione del costo dell’avviamento legato alle imposte differite attive (DTA).

Infine, viene introdotta un’imposta agevolata sulla distribuzione di utili accantonati a patrimonio, e si prevede una modifica dell’aliquota IRAP e il mantenimento della parziale deducibilità delle perdite e delle eccedenze ACE. Ulteriori modifiche potrebbero arrivare nel corso dell’iter parlamentare.

Le basi economiche della Manovra 2026

La Legge di Bilancio 2026 è stata costruita su un quadro macroeconomico ancora fragile, ma in progressivo consolidamento. Nonostante le incertezze legate all’inflazione, alla stretta monetaria della BCE e alle tensioni geopolitiche, il Governo ha scelto di mantenere una linea di rigore selettivo: contenere il disavanzo pubblico, senza rinunciare a misure di stimolo per famiglie e imprese. Il deficit tendenziale è previsto in calo, mentre l’obiettivo è di rientrare sotto la soglia del 3% entro il 2027, in linea con le nuove regole del Patto di Stabilità europeo, attualmente in fase di revisione.

A questo scopo, la manovra include misure strutturali ma anche coperture temporanee, tra cui l’uso di extra-gettito fiscale, tagli selettivi alla spesa pubblica e maggiori entrate derivanti dalla crescita del PIL nominale. Il Governo ha puntato su un riequilibrio graduale, evitando manovre drastiche ma assicurandosi la flessibilità necessaria per correggere eventuali scostamenti nel 2026 e 2027. Grande attenzione è stata posta nel contenimento delle spese correnti improduttive e nel rafforzamento degli investimenti pubblici ad alto moltiplicatore, in parte cofinanziati attraverso il PNRR.

Nel documento tecnico allegato alla manovra, viene evidenziato che oltre il 60% delle risorse sono destinate a misure permanenti, un elemento che rafforza la visione di lungo periodo del Governo. Tuttavia, le stime sono soggette a revisione e l’intero impianto della legge potrà essere ritoccato in fase emendativa durante l’approvazione definitiva in Parlamento.

Misure fiscali in evoluzione

Sebbene la Legge di Bilancio 2026 sia stata approvata dal Consiglio dei Ministri con un impianto ben definito, diverse misure fiscali e tributarie restano in attesa di definizione o soggette a possibili modifiche durante il passaggio parlamentare. In particolare, si discute su alcune proposte emendative che potrebbero incidere sull’equilibrio complessivo della manovra e sull’effettiva portata degli sgravi previsti per contribuenti e imprese.

Tra i temi più caldi figura il possibile ulteriore ampliamento della platea dei beneficiari delle misure di rottamazione, con proposte di estensione a contribuenti in difficoltà che non abbiano presentato dichiarazione dei redditi, ma abbiano comunque debiti pendenti. Anche sul fronte IRPEF, alcuni partiti spingono per una ulteriore riduzione delle aliquote per i redditi medio-bassi, eventualmente da finanziare attraverso una rimodulazione delle detrazioni per i redditi alti o l’introduzione di nuove forme di flat tax incrementale.

Si valuta inoltre la possibilità di introdurre nuovi incentivi per l’occupazione giovanile e femminile, attraverso crediti d’imposta alle aziende che assumono a tempo indeterminato under 35 o donne disoccupate da lungo periodo. Sul tavolo anche la revisione di alcuni bonus edilizi minori, come il bonus mobili ed elettrodomestici, che potrebbe essere rivisto nei tetti di spesa o nei requisiti ISEE.

Infine, c’è attesa per eventuali correzioni tecniche all’IRAP e per una più chiara definizione delle modalità di applicazione dell’imposta agevolata sulla distribuzione degli utili patrimonializzati, che potrebbe coinvolgere anche le imprese individuali e non solo le società di capitali.

Come risparmiare sulle tasse 

La Legge di Bilancio 2026, oltre a introdurre nuovi obblighi e modifiche normative, offre anche interessanti opportunità di risparmio fiscale legale per cittadini, famiglie e imprese. Per i lavoratori dipendenti con redditi tra 28.000 e 50.000 euro, ad esempio, la riduzione dell’aliquota IRPEF dal 35% al 33% comporta un risparmio immediato sul netto mensile. Una corretta pianificazione fiscale annuale, attraverso simulazioni e verifica delle detrazioni spettanti, può ottimizzare ulteriormente il beneficio.

Per le imprese, le nuove maggiorazioni sugli ammortamenti rappresentano una leva potente per abbattere l’imponibile e, di conseguenza, l’IRES o l’IRPEF da versare. Sfruttare le maggiorazioni del 180% o del 220% (per investimenti green) richiede però una gestione contabile attenta e conforme, motivo per cui è consigliabile rivolgersi al proprio commercialista per impostare correttamente il piano degli investimenti.

Le famiglie a basso reddito possono beneficiare di più strumenti cumulabili: dalla Carta “Dedicata a te” da 500 euro, al bonus mamme aumentato a 60 euro mensili, fino ai vantaggi indiretti derivanti dalla revisione dell’ISEE, che potrebbe permettere l’accesso a nuove soglie agevolate per bonus casa, mense scolastiche, università, ecc.

Anche le imprese localizzate nelle ZES o ZLS potranno godere di crediti d’imposta ad hoc, e conviene analizzare fin da ora l’eventuale ubicazione di stabilimenti o sedi operative in queste aree per pianificare future espansioni o aperture.

In ogni caso, è fondamentale agire per tempo: molte delle agevolazioni previste richiedono domande, autocertificazioni o documentazioni preventive, e in certi casi la tempistica fa la differenza tra beneficiare di un credito o restare esclusi.

Conclusioni

La Legge di Bilancio 2026 segna un nuovo capitolo nella gestione della politica economica italiana: tra tagli mirati delle imposte, incentivi selettivi, sostegni alle famiglie e interventi per la competitività delle imprese, si delinea una strategia che mira a coniugare crescita, equità e rigore fiscale. Il Governo punta a rafforzare il sistema produttivo, tutelare i soggetti più fragili e semplificare il carico fiscale, ma non mancano criticità, soprattutto per quanto riguarda la concreta applicabilità di alcune misure e la loro tenuta nel tempo.

Le opportunità di risparmio fiscale introdotte sono reali e rilevanti, ma richiedono conoscenza normativa, pianificazione attenta e spesso tempestività nell’adesione. Per questo è fondamentale non solo rimanere aggiornati sugli sviluppi parlamentari della manovra, ma anche affidarsi a un commercialista esperto, capace di analizzare la propria situazione fiscale e cogliere al meglio i vantaggi offerti dalla normativa.

Con le sue misure su IRPEF, rottamazione, bonus per le famiglie, incentivi per le imprese e proroghe strategiche, la manovra 2026 si candida a essere uno strumento complesso ma potenzialmente vantaggioso. In un contesto economico ancora incerto, agire in modo informato può fare la differenza tra subire il sistema fiscale e usarlo a proprio favore, in modo del tutto legale e strategico.

Codice Incentivi 2026: cosa cambia per imprese e autonomi con la riforma approvata dal Governo

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Con il Decreto legislativo approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 24 ottobre 2025, prende ufficialmente forma il “Nuovo Codice degli incentivi” destinato ad entrare in vigore dal 1° gennaio 2026. Si tratta di una riforma ambiziosa e strutturale, che punta a semplificare e razionalizzare il sistema degli aiuti pubblici alle imprese e ai lavoratori autonomi, promuovendo efficienza, trasparenza e un più facile accesso alle risorse pubbliche.

Il nuovo Codice si inserisce in un contesto normativo e strategico più ampio, che guarda al rilancio dell’economia italiana attraverso una maggiore digitalizzazione, semplificazione amministrativa e soprattutto una parità di trattamento tra imprese e lavoratori autonomi, categoria spesso esclusa o marginalizzata nei principali strumenti di sostegno economico.

La logica di fondo è quella della programmazione triennale, della trasparenza digitale, dell’efficacia della spesa pubblica e dell’eliminazione delle sovrapposizioni tra incentivi. Il testo è stato sviluppato in attuazione della legge delega 111/2023 e rappresenta uno snodo fondamentale per una gestione più moderna delle politiche industriali e occupazionali.

Ma quali sono, nello specifico, le principali novità introdotte dal Codice? Quali vantaggi concreti porterà per imprese, professionisti e lavoratori autonomi? In questo articolo analizziamo i punti salienti del decreto, le opportunità offerte e cosa cambia rispetto al sistema attuale.

La struttura del Codice degli incentivi 2026

Il Nuovo Codice degli incentivi approvato dal Governo si articola in 28 articoli suddivisi in cinque Capi, con l’obiettivo di riformare in modo radicale il sistema italiano delle agevolazioni pubbliche. L’intero impianto normativo si fonda su principi di semplificazione, standardizzazione e digitalizzazione, rendendo più accessibili e trasparenti gli strumenti di sostegno per imprese, professionisti e lavoratori autonomi.

Uno degli aspetti più innovativi è rappresentato dall’art. 3, che istituisce nuovi servizi digitali integrati tramite la piattaforma RNA (Registro Nazionale degli Aiuti) e Incentivi.gov.it. Qui sarà possibile consultare i bandi, verificare i requisiti di accesso, ottenere il CUP (Codice Unico di Progetto), monitorare l’iter della domanda e accedere ai risultati. Il tutto in un’ottica di efficienza amministrativa e riduzione della burocrazia.

L’art. 4 introduce il Programma degli incentivi, un documento strategico che ogni amministrazione dovrà redigere annualmente, specificando risorse, obiettivi, tempi e modalità. A garantire il coordinamento tra Stato e Regioni sarà invece il Tavolo permanente degli incentivi (art. 5), per evitare sovrapposizioni e rafforzare la coerenza delle politiche.

Molto atteso dagli operatori è l’art. 6, che istituisce il bando-tipo: una procedura standard che uniforma requisiti, modalità di accesso, controlli, revoche e rendicontazione. Una svolta importante, soprattutto per consulenti fiscali e commercialisti, che potranno operare su basi più certe e omogenee.

In chiave operativa, il Codice affronta anche aspetti cruciali come:

  • i criteri premianti (art. 8), che valorizzano imprese virtuose sotto il profilo della legalità, inclusione, giovani, donne e disabilità;

  • le cause di esclusione (art. 9), come mancanza di DURC, interdittive antimafia o irregolarità pregresse;

  • le spese ammissibili (art. 11) e le forme di agevolazione (art. 12);

  • le modalità di accesso (art. 13), basate su criteri cronologici, graduatorie o negoziazione.

Altre novità rilevanti riguardano il contrasto alla delocalizzazione (art. 16), un sistema rafforzato di controlli e revoche(artt. 17 e 18), e un monitoraggio continuo dell’efficacia delle misure (artt. 20 e 21), con valutazioni ex ante, in itinere ed ex post, basate sull’utilizzo obbligatorio del CUP.

Il Codice, inoltre, prevede l’adozione di numerosi decreti attuativi e direttoriali, tra cui uno particolarmente importante a firma congiunta del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e del MEF, che dovrà definire entro 120 giorni dalla sua entrata in vigore:

  • il modello di Programma degli incentivi,

  • i tempi di adozione e aggiornamento,

  • e il format per la ricognizione degli incentivi regionali.

Un passo fondamentale, dunque, per uniformare e rendere più leggibile il panorama nazionale delle agevolazioni economiche.

Digitalizzazione e premialità

Uno dei punti cardine del Codice degli incentivi 2026 è la trasformazione digitale del sistema di accesso e gestione delle agevolazioni pubbliche. Non si tratta solo di un restyling informatico, ma di una vera e propria rivoluzione operativa, che coinvolge tutti gli attori: amministrazioni, imprese, professionisti e lavoratori autonomi. Il nuovo modello punta su piattaforme interoperabili, procedure semplificate, automatismi nei controlli e un tracciamento completo di ogni incentivo.

Il Codice rende obbligatori tre pilastri operativi:

  1. Digitalizzazione completa: tutte le procedure dovranno svolgersi online, attraverso sistemi integrati come Incentivi.gov.it e il Registro Nazionale degli Aiuti (RNA).

  2. Semplificazione procedurale: viene ridotta la documentazione richiesta, adottato un bando tipo per tutte le misure e introdotti controlli automatici per velocizzare le istruttorie.

  3. Trasparenza assoluta: ogni incentivo sarà identificato con un CUP univoco, tracciato e pubblicato in tempo reale, dall’istanza iniziale fino all’erogazione finale.

Attraverso i portali dedicati, sarà possibile per tutti gli utenti:

  • consultare bandi e agevolazioni attive,

  • verificare i requisiti di accesso,

  • presentare le domande in modalità digitale,

  • monitorare l’avanzamento della pratica,

  • consultare i risultati delle valutazioni.

Particolare attenzione è riservata al tema della premialità, pensata per orientare le risorse pubbliche verso soggetti più fragili o virtuosi.

Nello specifico:

Queste riserve rappresentano un cambio di paradigma: per la prima volta i lavoratori autonomi e le microimprese vengono valorizzati alla pari delle PMI, con quote minime garantite di accesso ai fondi.

Parità di accesso agli incentivi 

Tra le riforme più significative introdotte dal nuovo Codice degli incentivi 2026, spicca l’equiparazione dei lavoratori autonomi alle PMI nell’accesso alle agevolazioni pubbliche. Una misura rivoluzionaria, attesa da anni e sostenuta con forza dal Ministro del Lavoro Marina Calderone, che da ex presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro aveva già promosso iniziative in tal senso.

L’articolo 10 del decreto stabilisce un principio chiaro e vincolante: i lavoratori autonomi potranno accedere agli incentivi pubblici alle stesse condizioni delle piccole e medie imprese, salvo per quei requisiti che siano chiaramente non applicabili alla natura della loro attività. In pratica, salvo casi specifici e motivati, non potranno essere esclusi solo perché non costituiti in forma societaria o non dotati di dipendenti.

Inoltre, il Codice impone che ogni bando debba prevedere disposizioni specifiche per garantire un accesso effettivo e non discriminatorio anche ai professionisti e alle partite IVA, superando così le distorsioni del passato in cui spesso i liberi professionisti erano esclusi per mancanza di requisiti strutturali pensati solo per le imprese.

Questa novità rappresenta il completamento di un percorso avviato con la Legge 81/2017 sul lavoro autonomo e più volte rilanciato nei tavoli di concertazione tra Ministeri e rappresentanze delle categorie professionali. Il risultato è un sistema più equo, che riconosce il ruolo economico e sociale del lavoro autonomo, allineandolo al resto del tessuto produttivo nazionale.

Si tratta di un passaggio fondamentale per i consulenti, i professionisti, le partite IVA e tutti quei soggetti che, pur non essendo imprese in senso stretto, contribuiscono attivamente allo sviluppo economico del Paese.

Monitoraggio e controllo

Un’altra innovazione fondamentale introdotta dal Codice degli incentivi 2026 è la costruzione di un sistema strutturato di monitoraggio e valutazione dell’efficacia delle agevolazioni. Non basta più erogare risorse: occorre sapere come vengono utilizzate, da chi, con quali risultati. Il tutto per garantire che ogni euro di denaro pubblico generi un impatto positivo sull’economia, sull’occupazione e sull’innovazione.

L’articolo 18 introduce un sistema rafforzato di controlli, finalizzato a evitare abusi, frodi e utilizzi impropri delle risorse pubbliche. I controlli saranno centralizzati, digitali e automatizzati dove possibile, e includeranno anche verifiche ex post, per accertare la reale esecuzione dei progetti finanziati.

L’articolo 20 prevede invece l’obbligo di monitoraggio attraverso il Codice Unico di Progetto (CUP), che diventa lo strumento principale per il tracciamento di ogni incentivo, dalla pubblicazione del bando fino alla fase di rendicontazione finale. Ogni progetto finanziato dovrà essere associato a un CUP univoco, garantendo trasparenza totale e possibilità di accesso ai dati anche da parte dei cittadini.

Infine, l’articolo 21 istituisce una valutazione continua dell’efficacia degli incentivi, articolata su tre livelli:

  • ex ante, per valutare la coerenza della misura con gli obiettivi strategici;

  • in itinere, per monitorare l’attuazione durante l’erogazione;

  • ex post, per analizzare i risultati ottenuti rispetto agli obiettivi dichiarati.

Questo sistema integrato permetterà di identificare le misure realmente efficaci, ottimizzare la spesa pubblica e dismettere gli strumenti meno utili o obsoleti. Un passo decisivo verso un uso più intelligente e misurabile delle politiche di sostegno economico.

Opportunità per imprese

Il nuovo Codice degli incentivi 2026 non è solo una riforma normativa, ma un’occasione concreta per semplificare l’accesso ai fondi pubblici, ottimizzare la pianificazione fiscale e massimizzare le opportunità di sviluppo. Per le imprese, i lavoratori autonomi e i consulenti fiscali che li assistono, le novità introdotte rappresentano un cambio di passo strategico.

In primo luogo, la standardizzazione dei bandi, la riduzione della documentazione richiesta e la digitalizzazione integrata permetteranno di ridurre i tempi e i costi burocratici. Un processo più snello significa poter partecipare a più bandi, con maggiore consapevolezza dei requisiti e delle tempistiche, e con una minor incidenza di errori e rigetti.

Il fatto che le microimprese e i lavoratori autonomi abbiano riserve minime di risorse (≥25%) rappresenta una garanzia di accesso reale anche per chi, fino a oggi, era spesso penalizzato nei grandi programmi di finanziamento. Questo apre a nuove possibilità di investimento, digitalizzazione, formazione e crescita anche per professionisti, freelance, artigiani e consulenti.

Inoltre, il sistema di premialità,  basato su rating di legalità, parità di genere, giovani, disabilità e natalità, premia chi adotta pratiche virtuose. Le imprese attente all’etica, alla sostenibilità sociale e alla governance trasparente potranno ottenere punteggi aggiuntivi, maggiorazioni del contributo o priorità in graduatoria.

Per i commercialisti, consulenti del lavoro e fiscalisti, la presenza di un bando tipo uniforme, strumenti digitali centralizzati e criteri standardizzati offre maggiori certezze operative, facilitando l’assistenza ai clienti nella scelta, partecipazione e rendicontazione delle misure.

Il Codice, infine, si inserisce in un contesto in cui sarà possibile pianificare in modo triennale le opportunità, grazie al nuovo Programma degli incentivi, che ogni amministrazione dovrà redigere in anticipo. Questo consentirà anche di integrare la strategia fiscale con la progettazione aziendale, trasformando gli incentivi in strumenti concreti di crescita e risparmio.

Cosa succede dal 1° gennaio 2026

Il Codice degli incentivi entrerà ufficialmente in vigore il 1° gennaio 2026, come stabilito dall’articolo 28 del decreto legislativo approvato il 24 ottobre 2025. Tuttavia, per diventare pienamente operativo e per far partire il nuovo sistema, sarà necessario attendere una serie di decreti attuativi e direttoriali che tradurranno i principi generali in norme concrete e procedure applicabili.

In particolare, entro 120 giorni dall’entrata in vigore (quindi entro fine aprile 2026), dovrà essere adottato un decreto del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, di concerto con il MEF e previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Questo decreto dovrà definire:

  • il modello standard del Programma degli incentivi;

  • le tempistiche per la sua adozione da parte delle singole amministrazioni;

  • le modalità di aggiornamento periodico;

  • e il format per la ricognizione e la pubblicazione degli incentivi regionali.

Fino a quel momento, il rischio è che alcuni bandi subiscano un rallentamento o che si crei un breve vuoto normativo nella transizione tra il vecchio e il nuovo sistema. Sarà quindi fondamentale per le imprese e i consulenti monitorare attentamente le fonti ufficiali (Incentivi.gov.it e RNA) e i portali regionali, per non perdere bandi temporanei o transitori.

Inoltre, nei primi mesi del 2026 si assisterà a una fase di rodaggio tecnico e amministrativo, durante la quale le piattaforme digitali verranno aggiornate, i bandi uniformati secondo il nuovo bando-tipo (art. 6) e le nuove regole di premialità e accesso testate sul campo. Per questo motivo, la collaborazione tra amministrazioni, professionisti e associazioni di categoria sarà cruciale per garantire una piena operatività senza ritardi.

Conclusione

Il Codice degli incentivi 2026 rappresenta molto più di una riforma tecnica. È una risposta concreta all’esigenza di semplificare, rendere accessibili e più efficaci le politiche pubbliche a sostegno della produttività, dell’innovazione e dell’inclusione economica. Digitalizzazione, trasparenza, uniformità e accesso paritario non sono slogan, ma strumenti reali che potranno fare la differenza, soprattutto per chi ha spesso subito la complessità del sistema precedente.

L’introduzione del bando tipo, la tracciabilità tramite CUP, la riserva di risorse per PMI e lavoratori autonomi, e il monitoraggio costante dei risultati sono elementi che puntano non solo a distribuire meglio le risorse, ma anche a misurare e valorizzare l’impatto degli investimenti pubblici. In questo contesto, i professionisti della consulenza fiscale e aziendale avranno un ruolo fondamentale: saranno i veri facilitatori dell’accesso agli incentivi, accompagnando imprese e partite IVA nel cogliere ogni opportunità.

Ma la vera sfida sarà l’attuazione: servono decreti chiari, tempistiche rispettate e piattaforme funzionanti sin dal primo trimestre 2026. Solo così il nuovo Codice potrà esprimere tutto il suo potenziale e diventare il motore di un nuovo rapporto di fiducia tra Stato e sistema produttivo.

Chi saprà muoversi per tempo, anticipare le modifiche e preparare le strategie di investimento e di risparmio fiscale già nei prossimi mesi, potrà beneficiare al massimo di questo cambiamento storico.

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