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lunedì 2 Giugno 2025

Trust estero e fiscalità in Italia: guida completa su residenza, imposte e chiarimenti ADE

Negli ultimi anni, il tema dei trust esteri ha attirato l’attenzione crescente dell’Agenzia delle Entrate (ADE), specie per i casi in cui il trust coinvolga soggetti residenti in Italia o patrimoni con collegamenti al territorio nazionale. In particolare, con la risposta all’interpello n. 371 del 2023, l’ADE ha fornito importanti chiarimenti in merito alla qualificazione fiscale del trust ai fini dell’imposizione italiana, con specifico riferimento ai poteri del disponente e alla residenza dei beneficiari.

Il trust è spesso percepito come uno strumento per la pianificazione patrimoniale e successoria, ma può anche diventare oggetto di contestazione in ambito tributario quando usato per scopi elusivi o opachi. È quindi fondamentale comprendere come funziona un trust, quando viene qualificato come “fiscale residente” in Italia, e quali sono le implicazioni per i soggetti esteri coinvolti.

In questo articolo esamineremo cos’è un trust e come funziona, la distinzione tra trust opaco e trasparente, i criteri di residenza fiscale in Italia secondo l’ADE, i chiarimenti forniti dalla risposta n. 371/2023, le implicazioni pratiche e i rischi fiscali e infine, i vantaggi e le precauzioni per l’utilizzo del trust in ambito internazionale.

Cos’è un trust e come funziona

Il trust è un istituto giuridico di origine anglosassone che consente al disponente (settlor) di trasferire beni o diritti a un trustee (fiduciario), il quale li gestisce nell’interesse di uno o più beneficiari, o per uno scopo specifico. Sebbene non previsto espressamente dall’ordinamento italiano, il trust è riconosciuto in Italia grazie alla Convenzione dell’Aja del 1985, ratificata con la legge n. 364/1989.

Struttura base del trust

  • Disponente (Settlor): colui che istituisce il trust e trasferisce i beni;

  • Trustee: soggetto incaricato della gestione del patrimonio secondo i termini dell’atto istitutivo;

  • Beneficiari: coloro che ricevono i frutti economici o giuridici del trust;

  • Guardiano (Protector): facoltativo, vigila sull’operato del trustee.

Funzionamento

L’atto di trust stabilisce le regole di gestione del patrimonio trasferito, indicando obiettivi, modalità operative e poteri conferiti al trustee. La caratteristica centrale è la separazione patrimoniale: i beni in trust non appartengono più al disponente né al trustee in proprio, né sono immediatamente nella disponibilità dei beneficiari.

Finalità

Il trust viene utilizzato per:

  • pianificazione successoria e protezione del patrimonio familiare;

  • gestione di patrimoni destinati a soggetti incapaci o minori;

  • protezione da creditori o da incertezze giuridiche;

  • scopi caritatevoli o filantropici.

In ambito internazionale, il trust può essere anche uno strumento di pianificazione fiscale, ma proprio per questo è spesso sottoposto a verifiche da parte dell’amministrazione finanziaria, specie se il trust ha collegamenti con l’Italia (disponente, beneficiari o beni presenti sul territorio).

Trust opaco e trust trasparente

Uno degli aspetti più rilevanti in ambito fiscale è la qualificazione del trust come opaco o trasparente, in base alla sua struttura e ai diritti effettivamente attribuiti ai beneficiari. Tale distinzione determina chi è soggetto all’imposizione fiscale in Italia e con quali modalità.

Trust trasparente

È il trust in cui i beneficiari hanno un diritto attuale (non solo futuro o potenziale) sui redditi prodotti dal trust. In tal caso, l’Agenzia delle Entrate considera il trust come “trasparente” e attribuisce direttamente i redditi ai beneficiari, anche se non ancora distribuiti.

Effetto fiscale: i redditi del trust sono imputati per trasparenza ai beneficiari, proporzionalmente alla quota di partecipazione, e tassati nel loro paese di residenza, se fiscalmente rilevante.

Trust opaco

Nel trust opaco, invece, i beneficiari non hanno alcun diritto attuale sul patrimonio o sui redditi. È il trustee che decide se, quando e quanto distribuire. In questo caso, il trust è considerato un soggetto autonomo fiscalmente.

Effetto fiscale: i redditi prodotti restano imputati al trust stesso, che viene tassato in Italia se considerato fiscalmente residente nel nostro Paese.

Perché è importante questa distinzione

La corretta classificazione ha conseguenze dirette:

  • sulla dichiarazione dei redditi (chi la presenta, con quali redditi);

  • sul monitoraggio fiscale (quadro RW, obblighi di segnalazione);

  • sull’imposizione indiretta (donazioni, successioni, trasferimenti patrimoniali).

Inoltre, la presenza di soggetti italiani nel trust (come il disponente o i beneficiari) può influenzare notevolmente questa qualificazione, come vedremo analizzando il recente chiarimento dell’Agenzia delle Entrate.

Trust estero e fiscalità in Italia - Commercialista.it

Trust estero

Nel caso oggetto della risposta n. 371/2023, l’Agenzia delle Entrate ha affrontato una situazione concreta in cui un trust estero, istituito da un residente italiano, veniva utilizzato per la segregazione e l’amministrazione fiduciaria di parte del suo patrimonio. L’analisi dettagliata dell’Agenzia si è concentrata sulla residenza fiscale del trust, sulla sua autonomia come soggetto passivo d’imposta e sulla non interposizione rispetto al disponente.

I dettagli del caso

Il trust in esame:

  • è istituito secondo la legge inglese;

  • ha come trustee una società maltese, vigilata dall’autorità finanziaria di Malta;

  • è fiscalmente residente a Malta, dove è trattato come soggetto passivo ai fini dell’imposta societaria;

  • è irrevocabile, con durata fino a 125 anni;

  • ha come beneficiari la moglie, la figlia e i futuri discendenti del disponente, ma esclude esplicitamente quest’ultimo da ogni beneficio.

Gli elementi chiave per la qualificazione

L’Agenzia ha evidenziato che:

  • il trust è autonomo e non interposto, in quanto l’Istante non ha alcun potere gestionale né influenza economica sul patrimonio conferito;

  • i poteri del trustee sono ampi e reali: può investire, alienare beni, gestire in autonomia, pur nel rispetto delle regole dell’atto istitutivo e sotto vigilanza del Protector;

  • il Protector, indipendente e senza legami familiari con il disponente o i beneficiari, ha poteri limitati e circoscritti, rafforzando l’autonomia gestionale del trustee;

  • l’Istante non detiene partecipazioni, dirette o indirette, né nel trustee, né nel protector, né nell’Investment Adviser.

La conclusione dell’Agenzia

Secondo l’Agenzia delle Entrate, in base ai fatti e alla documentazione presentata, il trust può essere considerato un soggetto autonomo ai fini fiscali italiani, ai sensi dell’articolo 37, comma 3 del DPR 600/1973. In particolare, non si configura una situazione di interposizione fittizia né un controllo effettivo da parte del disponente. Di conseguenza, i redditi prodotti dal trust non devono essere attribuiti fiscalmente al disponente, bensì rimangono nel trust stesso, confermando così la natura opaca e indipendente dell’ente.

Implicazioni e rischi 

L’utilizzo di un trust estero da parte di un soggetto residente in Italia può comportare vantaggi in termini di pianificazione patrimoniale, ma al contempo espone il contribuente a significativi rischi fiscali, specialmente se l’Agenzia delle Entrate ritiene che si tratti di una struttura interposta o non effettiva. Il caso affrontato nella risposta n. 371/2023 mostra quanto sia cruciale strutturare il trust con attenzione, documentando in modo chiaro la separazione di ruoli e l’autonomia decisionale del trustee.

Rischi legati all’interposizione

Uno dei principali rischi è che il trust venga qualificato come interposto, ovvero fittiziamente separato dal disponente, con la conseguente attribuzione dei redditi al soggetto residente in Italia.

Questo accade quando:

  • il disponente mantiene il controllo diretto o indiretto sulla gestione;

  • ha il potere di revocare o modificare il trust;

  • riceve vantaggi economici dai beni conferiti.

In tali casi, l’Agenzia delle Entrate disconosce la separazione patrimoniale e attribuisce i redditi direttamente al contribuente italiano, con effetti anche sul piano sanzionatorio.

Obblighi di monitoraggio fiscale

Chiunque, residente in Italia, sia beneficiario o titolare effettivo di un trust estero, ha l’obbligo di:

  • compilare il quadro RW della dichiarazione dei redditi;

  • monitorare i beni detenuti all’estero, anche se il trust è opaco;

  • applicare l’IVAFE su attività finanziarie e l’IVIE su immobili, se presenti.

Omissioni o errori possono comportare sanzioni pesanti, oltre alla presunzione di evasione.

Vantaggi se correttamente strutturato

Se ben strutturato, un trust estero può essere:

  • fiscalmente autonomo, evitando doppia imposizione;

  • utile per protezione patrimoniale e successione generazionale;

  • un mezzo per investimenti internazionali, con trasparenza e legittimità.

Il caso in esame dimostra che l’Agenzia è disponibile a riconoscere l’autonomia del trust, purché vi sia una netta separazione tra disponente e amministrazione, supportata da atti chiari, controlli effettivi e assenza di ingerenza.

Vantaggi fiscali

L’uso di un trust estero, se correttamente strutturato, può offrire importanti vantaggi fiscali e giuridici, specialmente nella pianificazione patrimoniale e successoria internazionale. Tuttavia, questi benefici sono realizzabili solo se il trust è reale, trasparente e conforme alle normative sia dello Stato in cui è istituito sia di quello in cui risiedono i soggetti coinvolti.

I principali vantaggi

  1. Segregazione patrimoniale: consente di separare giuridicamente i beni del disponente da quelli del trust, rendendoli non aggredibili da terzi (es. creditori, contenziosi familiari).

  2. Pianificazione successoria flessibile: il trust permette di pianificare il passaggio generazionale senza dover attendere l’apertura della successione o ricorrere a donazioni dirette.

  3. Efficienza fiscale: in molti ordinamenti, tra cui Malta o Jersey, i trust possono beneficiare di regimi fiscali favorevoli, se conformi alle regole antiabuso.

  4. Tutela dei beneficiari vulnerabili: può essere utilizzato per gestire patrimoni destinati a soggetti minori, disabili o con necessità particolari, sotto il controllo fiduciario di un trustee professionista.

Best practice operative

Per evitare contestazioni da parte del Fisco italiano, è essenziale adottare alcune buone pratiche, tra cui:

  • Predisporre un atto istitutivo dettagliato, che dimostri l’effettiva autonomia del trust;

  • Nominare un trustee indipendente, con licenza, senza legami con il disponente;

  • Formalizzare ogni atto di gestione e mantenere la tracciabilità delle operazioni;

  • Evitare che il disponente mantenga poteri diretti o indiretti sul patrimonio;

  • Inserire un Protector imparziale, che svolga un ruolo di controllo ma non riconduca la gestione al disponente;

  • Curare la corretta dichiarazione fiscale in Italia, soprattutto per quanto riguarda il quadro RW e le imposte patrimoniali su attività estere.

Collaborazione con professionisti

Infine, è altamente raccomandabile avvalersi del supporto di professionisti esperti in fiscalità internazionale e trust law, per assicurarsi che la struttura sia non solo valida civilisticamente, ma anche fiscalmente sostenibile e riconosciuta come legittima dalle autorità italiane.

Trust estero e fiscalità in Italia - Commercialista.it

Obblighi

Nel contesto delle normative antiriciclaggio e della trasparenza fiscale internazionale, l’identificazione del titolare effettivo di un trust è un passaggio fondamentale per l’Agenzia delle Entrate, ma anche per gli intermediari finanziari, i notai e i commercialisti coinvolti. La nozione di titolare effettivo si intreccia con gli obblighi di comunicazione e di monitoraggio imposti dalla normativa italiana e comunitaria.

Chi è il titolare effettivo di un trust?

Secondo quanto stabilito dal D.lgs. 231/2007 (normativa antiriciclaggio italiana), per i trust e istituti giuridici affini, sono considerati titolari effettivi:

  • il disponente (settlor);

  • il trustee;

  • l’eventuale protector;

  • i beneficiari attuali o determinabili;

  • ogni altra persona fisica che esercita il controllo finale sul trust.

Questa definizione ampia implica che anche se un soggetto non riceve economicamente nulla, ma ha poteri decisionali o di influenza, potrebbe comunque essere qualificato come titolare effettivo.

Obblighi connessi

Tutti i titolari effettivi di trust esteri, se residenti in Italia, devono adempiere a:

  • comunicazione al Registro dei Titolari Effettivi (ove previsto);

  • compilazione del quadro RW per beni o attività detenute all’estero, anche in trust opachi;

  • dichiarazioni patrimoniali e tributarie coerenti con la natura e i flussi del trust.

Inoltre, il titolare effettivo può essere sottoposto a verifiche fiscali e patrimoniali in caso di anomalie, ad esempio quando il trust ha una residenza estera, ma tutte le decisioni sono prese in Italia o i beneficiari sono italiani.

Rischio di riqualificazione

L’Agenzia delle Entrate, in sede di verifica, può riqualificare il trust come interposto se ritiene che il titolare effettivo (es. il disponente residente in Italia) continui a esercitare un controllo sostanziale sul patrimonio o sulla gestione, anche per interposta persona. In tal caso, i redditi del trust estero sarebbero imputati direttamente al soggetto italiano, con gravi conseguenze sanzionatorie.

Trust e residenza fiscale

La residenza fiscale di un trust rappresenta uno degli elementi determinanti per stabilire dove debbano essere tassati i redditi prodotti dal trust. Nonostante la sua natura giuridica autonoma, il trust può essere considerato fiscalmente residente in Italia, anche se costituito all’estero, se ricorrono determinate condizioni individuate dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate.

I criteri dell’Agenzia per la residenza fiscale del trust

La circolare n. 61/E/2010 e successive risposte a interpelli (tra cui la n. 371/2023) indicano che un trust si considera fiscalmente residente in Italia se:

  • almeno uno dei soggetti che esercita i poteri gestori è residente in Italia (ad es. il trustee o soggetti che di fatto lo controllano);

  • il disponente o i beneficiari sono residenti in Italia, e il trust è opaco o interposto;

  • il trust è amministrato in via sostanziale dal territorio italiano (anche se formalmente registrato all’estero).

Tali criteri mirano a contrastare l’uso di trust esterovestiti, ossia costituiti all’estero solo formalmente, ma operativi in Italia sotto ogni profilo sostanziale.

Il caso della risposta n. 371/2023

Nel caso esaminato, nonostante il disponente fosse residente in Italia, l’Agenzia ha escluso la residenza fiscale italiana del trust, in quanto:

  • il trustee era una società professionale maltese, operativa e vigilata;

  • il trust era gestito interamente da Malta, e tassato come società residente;

  • l’Istante non aveva nessun potere di indirizzo o controllo.

Questa valutazione evidenzia l’importanza di garantire l’effettiva operatività estera del trust, documentando con precisione:

  • le attività gestorie,

  • l’indipendenza del trustee,

  • la mancanza di interferenze da parte di soggetti italiani.

Conseguenze della residenza fiscale in Italia

Se un trust viene considerato fiscalmente residente in Italia, tutti i suoi redditi — ovunque prodotti — saranno soggetti a tassazione in Italia, con:

  • obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi;

  • applicazione dell’IRES (se soggetto autonomo);

  • potenziali sanzioni in caso di omessa dichiarazione o falsa residenza.

Conclusioni 

Il trust è uno strumento potente, ma al tempo stesso complesso e delicato, soprattutto quando viene istituito da o per soggetti residenti in Italia. Come dimostrato dalla risposta all’interpello n. 371/2023, l’Agenzia delle Entrate non nega la legittimità del trust estero, ma analizza in profondità l’effettiva operatività, i poteri esercitati e le relazioni tra i soggetti coinvolti, per determinare la corretta qualificazione fiscale.

Le raccomandazioni fondamentali

Per usare un trust in modo fiscalmente sostenibile, si raccomanda di:

  • Strutturare l’atto istitutivo con la massima precisione, evidenziando l’indipendenza del trustee;

  • Evitare che il disponente mantenga poteri diretti o indiretti sulla gestione del patrimonio o sui beneficiari;

  • Assicurare che il trustee e il protector siano terzi e indipendenti, possibilmente professionisti regolamentati;

  • Mantenere documentazione tracciabile e coerente con quanto dichiarato;

  • Dichiarare correttamente le proprie posizioni nella dichiarazione dei redditi italiana (quadro RW, monitoraggio fiscale, eventuale IVIE o IVAFE);

  • Richiedere interpelli preventivi in caso di strutture complesse, per evitare contestazioni future.

Una scelta consapevole e professionale

Affidarsi a consulenti esperti in fiscalità internazionale, trust law e diritto tributario italiano è essenziale per evitare errori che potrebbero trasformare una legittima strategia patrimoniale in un contenzioso fiscale oneroso e duraturo. Il trust può essere uno strumento perfettamente legittimo, a condizione che sia trasparente, giustificato e ben strutturato.

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