19.9 C
Rome
domenica 18 Maggio 2025
Home Diritto Diritto Penale

Diritto Penale

Bancarotta fraudolenta: cos’è, come evitarla e cosa fare in caso di crisi aziendale

Mariana Maxwel - Data di Pubblicazione: 14/03/2025 - 3937 visualizzazioni.
Bancarotta fraudolenta: Come evitarla - Commercialista.it

Gestire un’azienda non è mai semplice, soprattutto quando si attraversano periodi di crisi economica. In questi momenti, molti imprenditori prendono decisioni affrettate nel tentativo di salvare la propria attività, ma alcune di queste scelte possono trasformarsi in gravi reati, come la bancarotta fraudolenta. Questo reato, previsto dalla Legge Fallimentare italiana, punisce chi, in caso di fallimento, nasconde beni, altera i conti o favorisce alcuni creditori a scapito di altri. Le conseguenze possono essere pesantissime, con pene fino a 10 anni di reclusione.

Ma quando si rischia di incorrere in questo reato? E soprattutto, come evitare di arrivare a una situazione di fallimento fraudolento? In questo articolo analizzeremo cos’è la bancarotta fraudolenta, come prevenirla e quali alternative esistono per gestire una crisi aziendale senza incorrere in sanzioni penali.

Cos’è la bancarotta fraudolenta

La bancarotta fraudolenta è un reato disciplinato dall’articolo 216 del Regio Decreto 267/1942 (Legge Fallimentare), che punisce chi, in caso di fallimento, compie operazioni illecite per sottrarre beni, alterare scritture contabili o aggravare il dissesto finanziario. Si tratta di un illecito grave, perché danneggia i creditori e compromette la trasparenza del sistema economico. La bancarotta fraudolenta può essere di tre tipi:

  1. Bancarotta fraudolenta patrimoniale: quando l’imprenditore sottrae o disperde il patrimonio aziendale per evitare che venga utilizzato per ripagare i creditori.
  2. Bancarotta fraudolenta documentale: quando si falsificano, distruggono o nascondono documenti contabili per impedire la ricostruzione della situazione finanziaria dell’azienda.
  3. Preferenziale: quando si favorisce un creditore rispetto ad altri, violando il principio di parità di trattamento.

Le pene per questo reato sono severe, con reclusione da 3 a 10 anni, e possono coinvolgere non solo l’imprenditore, ma anche amministratori, sindaci e chiunque abbia concorso nel reato.

Come evitare la bancarotta fraudolenta

Evitare la bancarotta fraudolenta significa adottare una gestione aziendale trasparente e responsabile, soprattutto nei periodi di crisi. Il primo passo è mantenere una contabilità chiara e aggiornata, evitando omissioni o alterazioni che potrebbero essere interpretate come tentativi di occultamento di informazioni finanziarie.

Un’altra strategia fondamentale è non sottrarre o disperdere il patrimonio aziendale, anche in momenti di difficoltà, poiché qualsiasi operazione anomala potrebbe essere vista come fraudolenta.

Inoltre, è essenziale agire tempestivamente in caso di difficoltà finanziarie, adottando strumenti di risanamento come piani di ristrutturazione del debito o la richiesta di concordato preventivo. Un imprenditore deve anche evitare di privilegiare alcuni creditori a scapito di altri senza una giustificazione legale, perché questo comportamento potrebbe configurare una bancarotta preferenziale.

Infine, affidarsi a consulenti fiscali e legali esperti può aiutare a prendere decisioni corrette e prevenire il rischio di incorrere in reati fallimentari.

Quando dichiarare fallimento

Uno degli errori più comuni che portano alla bancarotta fraudolenta è ritardare troppo la dichiarazione di fallimento. Molti imprenditori, nel tentativo di salvare la propria attività, adottano strategie rischiose o addirittura illecite, peggiorando la situazione.

È fondamentale riconoscere i segnali di una crisi irreversibile, come l’incapacità di pagare fornitori e dipendenti, l’aumento incontrollato dell’indebitamento e la perdita di liquidità.

Quando l’azienda non è più in grado di far fronte agli impegni finanziari, la legge prevede strumenti per gestire la crisi in modo legale, evitando sanzioni penali. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) introduce misure come la composizione negoziata della crisi e il concordato preventivo, che consentono di ristrutturare il debito prima di arrivare al fallimento vero e proprio.

Dichiarare il fallimento nei tempi giusti può evitare accuse di bancarotta fraudolenta e permettere di gestire la chiusura dell’attività nel rispetto della legge.

Quando è il caso di chiedere il fallimento?

Chiedere il fallimento non è mai una decisione facile, ma in alcuni casi è l’unica soluzione per evitare conseguenze più gravi, come l’accusa di bancarotta fraudolenta o l’accumulo di debiti insostenibili. La legge prevede che il fallimento possa essere richiesto dall’imprenditore stesso, dai creditori o dalla Procura della Repubblica, ma anticiparlo volontariamente può evitare problemi legali. È il caso di chiedere il fallimento quando:

  1. L’azienda non è più in grado di pagare i propri debiti e non ci sono prospettive di miglioramento della situazione finanziaria.
  2. I creditori hanno già avviato azioni esecutive, come pignoramenti o sequestri, che rischiano di bloccare completamente l’attività.
  3. La contabilità non è più sotto controllo, con bilanci confusi o mancanti, il che potrebbe esporre l’imprenditore a rischi legali.
  4. Non ci sono alternative di salvataggio, come ristrutturazioni del debito o concordati preventivi.

Chiedere il fallimento nel momento giusto permette di evitare responsabilità penali, proteggere il proprio patrimonio personale e gestire la chiusura dell’attività in modo regolamentato. Inoltre, con la nuova normativa sulla crisi d’impresa, esistono strumenti come la composizione negoziata della crisi, che consentono di gestire la situazione prima che diventi irreversibile.

Come richiedere il fallimento

Se un’azienda si trova in uno stato di insolvenza irreversibile, il fallimento può essere richiesto per evitare conseguenze più gravi. La procedura è regolata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e prevede diversi passaggi fondamentali:

1. Chi può richiedere il fallimento?

La richiesta di fallimento può essere presentata da:

  • L’imprenditore stesso (fallimento in proprio), se riconosce di non poter più sostenere i debiti.
  • I creditori, se non riescono a ottenere il pagamento delle somme dovute.
  • Il Pubblico Ministero, se emergono gravi irregolarità contabili o segnalazioni sospette.

2. Presentazione del ricorso al Tribunale

La richiesta di fallimento deve essere presentata con un ricorso al Tribunale competente, in base alla sede legale dell’azienda. Il ricorso deve includere:

  • Bilanci e documentazione contabile dell’ultimo triennio.
  • Elenco di creditori e debitori, con importi e scadenze.
  • Relazione sulle cause della crisi aziendale.

3. Udienza e decisione del Tribunale

Dopo aver ricevuto il ricorso, il Tribunale fissa un’udienza, in cui ascolta l’imprenditore e analizza la documentazione. Se ritiene che lo stato di insolvenza sia accertato, emette la sentenza di fallimento, nominando un curatore fallimentare che gestirà la liquidazione dell’azienda.

4. Effetti della dichiarazione di fallimento

Una volta dichiarato il fallimento:

  • L’imprenditore perde la gestione dell’azienda, che passa al curatore fallimentare.
  • I beni vengono liquidati per soddisfare i creditori.
  • L’imprenditore può essere sottoposto a indagini per eventuali reati fallimentari.

Prima di arrivare a questa fase, è sempre meglio valutare alternative come il concordato preventivo o la composizione negoziata della crisi.

Bancarotta fraudolenta: Come evitarla - Commercialista.it

Le alternative al fallimento

Prima di arrivare al fallimento, esistono diverse soluzioni legali che possono aiutare un’azienda a ristrutturarsi e riprendere l’attività.

Uno strumento fondamentale è la composizione negoziata della crisi, introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). Questo meccanismo consente all’imprenditore di avviare un percorso di riorganizzazione assistito da un esperto indipendente, evitando il fallimento e trovando accordi con i creditori.

Un’altra alternativa è il concordato preventivo, che permette all’azienda di proporre ai creditori un piano di pagamento dilazionato e sostenibile.

Se il problema principale è la mancanza di liquidità, si può anche valutare il rifinanziamento aziendale, cercando investitori o accedendo a strumenti di credito agevolato.

Inoltre, esistono procedure di liquidazione controllata, che consentono di chiudere l’attività senza subire conseguenze penali, a patto che tutte le operazioni siano svolte in modo trasparente.

La chiave è intervenire tempestivamente, evitando che la situazione degeneri fino al punto di non ritorno.

Cosa fare in caso di crisi aziendale

Se un’azienda si trova in difficoltà economica, è fondamentale agire subito per evitare che la crisi si trasformi in una situazione di fallimento aggravato.

Il primo passo è effettuare un’analisi dettagliata della situazione finanziaria, valutando il bilancio, i flussi di cassa e il livello di indebitamento. In questa fase, è utile rivolgersi a un commercialista o consulente aziendale per individuare possibili soluzioni.

Se la crisi è temporanea, si possono adottare strategie di ristrutturazione del debito, come la negoziazione con i creditori o l’accesso a strumenti di supporto finanziario. Se invece la situazione è più grave, la legge offre soluzioni come il concordato preventivo, che consente di evitare il fallimento e ripagare i debiti in modo controllato.

Un’altra opzione è la liquidazione volontaria, che permette di chiudere l’attività senza incorrere in sanzioni penali. L’importante è non compiere azioni impulsive, come la distruzione di documenti contabili o il trasferimento di beni a terzi, perché potrebbero essere interpretate come tentativi di frode e configurare il reato di bancarotta fraudolenta.

Bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice

Quando un’azienda fallisce, la legge distingue tra bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice, due reati molto diversi per gravità e conseguenze.

La bancarotta semplice, prevista dall’articolo 217 della Legge Fallimentare, si verifica quando l’imprenditore ha agito con negligenza o imprudenza, ma senza un intento fraudolento. Ad esempio, può essere accusato di bancarotta semplice chi ha sostenuto spese eccessive per motivi personali o ha ritardato la richiesta di fallimento. In questo caso, le pene sono più lievi e vanno da sei mesi a due anni di reclusione.

La bancarotta fraudolenta, invece, è molto più grave perché implica un comportamento doloso, cioè intenzionale. Si verifica quando l’imprenditore nasconde beni, falsifica documenti contabili o compie operazioni per sottrarre risorse ai creditori. Questo reato è punito con la reclusione da 3 a 10 anni e prevede conseguenze molto più severe, compresa l’interdizione dai pubblici uffici.

Capire questa differenza è fondamentale perché, in sede di difesa, dimostrare che un comportamento rientra nella bancarotta semplice anziché fraudolenta può ridurre notevolmente la pena e le sanzioni.

Bancarotta fraudolenta: Come evitarla - Commercialista.it

Esempi pratici

Affrontare una crisi aziendale nel modo corretto può fare la differenza tra una chiusura controllata e il rischio di accuse di bancarotta fraudolenta. Vediamo alcuni casi pratici e le strategie per evitare problemi legali.

1. Crisi di liquidità improvvisa: come gestirla correttamente

Caso: Un’azienda ha subito un calo di vendite e non riesce più a pagare fornitori e dipendenti. Il titolare decide di prelevare i fondi aziendali rimasti per uso personale.

Errore: Sottrarre denaro dall’azienda per scopi personali potrebbe essere interpretato come bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Soluzione corretta:

  • Analizzare il flusso di cassa e verificare se esistono soluzioni per rifinanziare il debito.
  • Chiedere un concordato preventivo, che permette di ristrutturare i debiti con il consenso dei creditori.
  • Tagliare i costi aziendali e cercare investitori o prestiti agevolati.

2. Contabilità disordinata: il rischio di bancarotta documentale

Caso: Un imprenditore, nel tentativo di nascondere la crisi della sua azienda, omette di registrare alcune fatture e distrugge documenti contabili.

Errore: Distruggere o falsificare documenti è reato e può configurare la bancarotta fraudolenta documentale.

Soluzione corretta:

  • Mantenere sempre una contabilità trasparente, affidandosi a un commercialista esperto.
  • Utilizzare software di gestione aziendale per tenere traccia di tutte le operazioni finanziarie.
  • Se ci sono errori contabili, correggerli tempestivamente, senza nascondere informazioni.

3. Pagare alcuni creditori e trascurarne altri: il rischio di bancarotta preferenziale

Caso: Un imprenditore, sapendo che la sua azienda è vicina al fallimento, decide di pagare solo alcuni fornitori con cui ha rapporti personali, lasciando insoluti altri debiti.

Errore: Favorire alcuni creditori rispetto ad altri è un comportamento illecito e può costituire bancarotta fraudolenta preferenziale.

Soluzione corretta:

  • Se l’azienda è insolvente, cercare un accordo con tutti i creditori, evitando pagamenti selettivi.
  • Utilizzare strumenti di rinegoziazione del debito, come la composizione negoziata della crisi.
  • Seguire sempre le direttive di un consulente legale, per evitare operazioni irregolari.

4. L’azienda non è più sostenibile: chiudere in modo corretto

Caso: Un imprenditore si rende conto che l’attività non è più sostenibile e decide di chiuderla improvvisamente, senza comunicare nulla ai creditori e sottraendo beni aziendali.

Errore: Abbandonare l’azienda senza seguire le procedure legali può portare a conseguenze penali.

Soluzione corretta:

  • Avviare la liquidazione volontaria, nominando un liquidatore che gestisca la chiusura regolare dell’attività.
  • Evitare di sottrarre o vendere beni aziendali senza autorizzazione, per non incorrere in accuse di frode.
  • Se il fallimento è inevitabile, presentare istanza al Tribunale, evitando di essere dichiarato fallito d’ufficio.

Evitare il fallimento o la bancarotta fraudolenta significa agire in modo trasparente e tempestivo. In caso di difficoltà economiche, il supporto di un commercialista e di un avvocato esperto può aiutare a trovare soluzioni legali senza correre rischi penali.

Considerazioni finali

La bancarotta fraudolenta è un reato grave che può avere conseguenze devastanti per un imprenditore, sia dal punto di vista legale che economico. Tuttavia, con una gestione attenta e trasparente, è possibile evitare di arrivare a situazioni critiche e proteggere la propria attività.

Il segreto sta nel monitorare costantemente la situazione finanziaria dell’azienda, adottare strumenti di ristrutturazione del debito quando necessario e, nei casi più estremi, affrontare il fallimento in modo regolare e legale.

Se un’impresa è in difficoltà, è essenziale non compiere azioni impulsive come la sottrazione di beni, la distruzione di documenti o il pagamento selettivo di alcuni creditori. Queste operazioni possono trasformare una crisi finanziaria in un problema penale, con conseguenze pesantissime.

Invece, affidarsi a commercialisti e avvocati esperti può fare la differenza, aiutando l’imprenditore a trovare soluzioni legali per superare la crisi senza incorrere in sanzioni.

In conclusione, prevenire è sempre meglio che curare: una corretta pianificazione aziendale e una gestione responsabile possono salvaguardare il futuro dell’impresa e ridurre al minimo i rischi di fallimento o responsabilità penali.

Rating di legalità 2017 : come aderire, vantaggi e nuovi requisiti

Guida imprese al Rating di legalità 2017

Rating di legalità 2017 : come aderire, vantaggi e nuovi requisiti - Commercialista.it
Trend progressivamente in rialzo per le richieste di attribuzione del Rating di legalità, “bollino di qualità, garanzia di legalità e trasparenza”, attribuito dall’Antitrust alle imprese con fatturato di almeno 2 milioni “virtuose” ex lege 2012 che consente di ottenere vantaggi in sede ...

L’usura: di che cosa si tratta e come è disciplinata?

  • Visualizzazioni: 31661
L’usura: di che cosa si tratta e come è disciplinata? - Commercialista.it L’usura: di che cosa si tratta e come è disciplinata?

Premessa.

Nell’ambito della consulenza alle imprese, lo scrivente Avvocato si soffermerà su un fenomeno di rilievo tanto civilistico quanto penalistico: la fattispecie di usura.

Usura: la definizione

L’usura bancaria è una particolare forma di usura (reato previsto dall’art. 644 c.p. e modifiche apportate dalla Legge 7 marzo 1996, n. 108) che consiste nell’erogazione di un credito (mutuo, prestito personale) concesso da un istituto finanziario (banca, finanziaria) a fronte di un tasso di interesse superiore a quello legale cosiddetto tasso di interesse usurario la cui determinazione viene fatta tenendo conto “delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.

La normativa di riferimento

La tematica degli interessi usurari è stata oggetto negli anni di rilevanti interventi legislativi (l. n. 108/1996, che ha modificato le previsioni normative penali e civili in materia, e L. n. 24/2001, di interpretazione autentica) nonché di significativi mutamenti giurisprudenziali (da ultimo Cass., Sez. Un., n. 24675/2017 e n. 16303/2018). Il quadro normativo vigente è rappresentato dalla l. 7.3.1996, n. 108, Disposizioni in materia di usura, nonché dal d.l. 29.12.2000, n. 394, Interpretazione autentica della l. 7.3.1996, n. 108, convertito, con modificazioni, in l. 28.2.2001, n. 24. In particolare, la l. n. 108/1996, nel dichiarato intento di contrastare l’odioso fenomeno criminale dell’usura agevolandone la repressione e inasprendo le sanzioni civili e penali, ha provveduto a ridisegnare l’art. 644 c.p. e l’art. 1815 c.c. Completano il quadro delle fonti normative le Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi (TEGM) ai sensi della legge sull’usura della Banca d’Italia e i Decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze che trimestralmente pubblicano sulla Gazzetta Ufficiale i TEGM rilevati dalla Banca d’Italia per conto del MEF (che concorrono alla definizione del tasso-soglia di periodo per la categoria di operazioni rilevate).

Quando un tasso è usurario

Il legislatore, con il d.l. 29.12.2000, n. 394 (c.d. Decreto “salva banche”), convertito, con modificazioni, in l. 28.2.2001, n. 24, “Interpretazione autentica della L. 7.3.1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura”, ha stabilito, in chiave di interpretazione autentica, che «ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., 2° comma, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento» (art. 1, comma 1, d.l. n. 394/2000, convertito in l. n. 24/2001). Per il legislatore, pertanto, soltanto in caso di interessi originariamente usurari trova applicazione la sanzione civilistica di nullità (art. 1815, comma 2, c.c.) prevista dalla normativa antiusura, oltre alla sanzione penale. È convincimento diffuso che la l. n. 24/2001, di interpretazione autentica, trovi applicazione non soltanto al contratto di mutuo, ma a tutti i contratti di finanziamento. L’usura originaria costituisce dunque un vizio genetico del contratto (non configurabile ex post: c.d. usura sopravvenuta), da verificare esclusivamente al momento dell’insorgenza del vincolo contrattuale («convenuti interessi usurari»: art. 1815, comma 2, c.c.). Se tale è l’assunto di fondo, la clausola contrattuale è illecita e viola l’art. 644 c.p. se il tasso pattuito per quell’onere supera la soglia di legge nel momento della sua pattuizione, ma non può diventarlo per sopravvenienze (la diminuzione del tasso soglia), per il fatto colpevole del debitore (inadempimento) o per l’esercizio da parte sua del diritto potestativo di estinzione anticipata del finanziamento.

L’usura nel codice penale: articolo 644 c.p.

L'art. 644 c.p., oltre a sanzionare «Chiunque ... si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari» (comma 1), prevede un criterio obiettivo per la rilevazione dell’usurarietà dell’interesse: «la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari» (art. 644, comma 3, c.p.). Tale limite, denominato anche “tasso-soglia”, è individuato, come detto, con decreto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) il quale «sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferiti ad anno degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari … nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura» (art. 2, comma 1, l. n. 108/1996). In sostanza, la legge ha previsto una procedura amministrativa volta a rilevare in modo oggettivo il livello medio dei tassi d’interesse praticato dalle banche e dagli altri intermediari finanziari autorizzati, ancorando il disvalore sociale collegato al concetto di usura al superamento di tale livello-soglia. Di conseguenza, la norma di cui all’art. 644 c.p. si presenta come una norma penale parzialmente in bianco, in quanto per determinare il contenuto concreto del precetto penale è necessario fare riferimento ai risultati di una articolata procedura amministrativa.

Usura e sanzioni: l’articolo 1815 c.c.

L’art. 1815, comma 2, c.c., come riformulato dall’art. 4, l. n. 108/1996, dispone che «se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi». Tale drastica previsione - che evidentemente riguarda gli interessi usurari ab origine, ossia al momento della pattuizione del contratto di mutuo - costituisce una rilevante sanzione di tipo civilistico (taluni parlano di pena privata), essendo destinata ad incidere sulla natura del finanziamento, degradandolo d’imperio da oneroso a gratuito (nullità della clausola usuraria). Alla base di questa rigorosa scelta, il legislatore ha posto la duplice necessità di sanzionare drasticamente la pratica dell’usura nonché di conservare la validità del contratto di finanziamento, evitando la declaratoria di nullità totale dello stesso e quindi non gravando il soggetto finanziato dell’ulteriore onere di immediata restituzione dell’importo erogato. La nullità della clausola sugli interessi usurari determina il diritto del mutuatario alla ripetizione di quelli illegittimamente versati. L’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. degli interessi usurari si prescrive in dieci anni. La disposizione in commento (art. 1815, comma 2, c.c.) è generalmente ritenuto trovi applicazione a tutte le forme di finanziamento (e non solo al mutuo cui espressamente si riferisce). La Cassazione ha di recente evidenziato che l’art. 1815, comma 2, c.c., nel prevedere la nullità della clausola relativa agli interessi, ove questi siano usurari, intende per clausola la singola disposizione pattizia che contempli interessi eccedenti il tasso soglia, indipendentemente dal fatto che essa esaurisca la regolamentazione dell’entità degli interessi dovuti in forza del contratto. La sanzione dell’art. 1815, comma 2, c.c., dunque, non può che colpire la singola pattuizione che programmi la corresponsione di interessi usurari, non investendo le ulteriori disposizioni che, anche all’interno della medesima clausola, prevedano l’applicazione di interessi che usurari non siano (Cass. n. 21470/2017).

Il certificato antipedofilia: a tutela dello sport e degli atleti Avv. PhD Roberto Pusceddu

  • Visualizzazioni: 31759
Il certificato antipedofilia: a tutela dello sport e degli atleti Avv. PhD Roberto Pusceddu - Commercialista.it Il certificato antipedofilia: a tutela dello sport e degli atleti Avv. PhD Roberto Pusceddu
Il certificato antipedofilia: a tutela dello sport e degli atleti Avv. PhD Roberto Pusceddu Il certificato antipedofilia. In base alla normativa comunitaria (direttiva 2011/93/UE), recepita nel nostro ordinamento dall’art. 2, d.lgs, 39/2014 (in attuazione della l. 96/2013 e in vigore dal 06/04/2014) che ha modificato l’art. 25-bis, d.p.r. 313/2002, al fine di individuare strumenti finalizzati alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, ciascun “datore di lavoro” deve verificare, al momento dell’assunzione di “personale”, l’eventuale esistenza di condanne per reati sessuali a danno di minori o di misure interdittive, iscritte al casellario giudiziario, qualora l’impiego del “lavoratore” comporti contatti diretti e regolari con minori. Come devono essere considerati, ai fini di tale obbligo, i sodalizi sportivi dilettantistici e gli istruttori sportivi? Dalla lettura della norma e della consolidata prassi in materia, sarebbero esclusi dall’obbligo i sodalizi sportivi dilettantistici nel caso di impiego di istruttori, tecnici, allenatori, ecc. con i quali non sia configurato un rapporto di lavoro autonomo o subordinato e che percepiscono compensi, per intenderci, ex art. 67, d.p.r. 917/1986, in quanto possono rientrare nel concetto di “volontariato” (confermato anche dal CONI con circolare del 04/04/14). La tutela dei minori. Tuttavia, in virtù di una ampia interpretazione della ratio della norma, a tutela dei minori, si potrebbe pensare di estendere tale obbligo anche ai sodalizi sportivi dilettantistici, indipendentemente dalla forma giuridica assunta, indipendentemente dal regime contabile e fiscale adottato, e anche per quelle fattispecie in cui non siano configurabili “rapporti di lavoro” in senso stretto, come nel caso degli incarichi di promozione sportiva conferiti agli istruttori. Considerata la delicatezza della questione, trattandosi di materia piuttosto spinosa che occorre trattare con la dovuta attenzione, si suggerisce pertanto al gentile lettore di assolvere comunque all’obbligo della verifica presso il casellario giudiziario, nel caso in cui gli istruttori incaricati abbiano contatti regolari e diretti con minori. La nuova qualificazione di “lavoratori” agli operatori in ambito sportivo che percepiscano compensi (tecnici, istruttori, allenatori, …) implica che torni applicabile nei confronti dei sodalizi sportivi che fanno attività con i minori, la cosiddetta “legge antipedofilia” Ricordiamo che la normativa in oggetto è stata introdotta sulla base della normativa comunitaria (direttiva 2011/93/UE), recepita nel nostro ordinamento dall’art. 2, d.lgs, 39/2014 (in attuazione della l. 96/2013 e in vigore dal 06/04/2014) che ha modificato l’art. 25-bis, d.p.r. 313/2002, al fine di individuare strumenti finalizzati alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile. Il presupposto della qualifica di “datore di lavoro” aveva escluso dall’applicazione della normativa in oggetto le a.s.d. e s.s.d. che si avvalevano di collaboratori che percepivano compensi inquadrati quali redditi diversi, ex art. 67, d.p.r. 917/1986. Alla luce della riforma del lavoro sportivo e alla nuova qualifica di “datore di lavoro” assunta dai sodalizi sportivi, è necessario che le a.s.d. e s.s.d. applichino per la nuova stagione sportiva quanto previsto dalla norma. Il certificato antipedofilia: modalità operative. – l’obbligo sorge all’atto dell’instaurazione del rapporto, sia questo di natura subordinata, di collaborazione coordinata e continuativa, oltre che di lavoro autonomo con posizione IVA; – il certificato non deve essere nuovamente richiesto ogni sei mesi, né una volta che sia scaduta la validità dello stesso; – la modulistica da utilizzare per il rilascio è reperibile presso la competente Procura della Repubblica (v. fac simile allegato, che può essere anche scaricato a questo link); – la richiesta può essere effettuata anche dal datore di lavoro (v. fac simile allegato, che può essere anche scaricato a questo link); – il costo è relativo ai soli diritti; le a.s.d./s.s.d. sono esenti dall’imposta di bollo dall’articolo 27-bis della tabella allegata al d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 642 (“Atti, documenti, istanze, contratti, nonché copie … estratti, certificazioni, dichiarazioni e attestazioni poste in essere o richiesti…”). Chi lo deve presentare? Dove si richiede? Quanto costa? Tutte le informazioni sul certificato che da oggi è necessario presentare se si lavora coi bambini C’è una novità per chi lavora con bambini e ragazzi. È obbligatorio da oggi presentare il certificato antipedofilia dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo numero 39 del 2014 in vigore da domenica 6 aprile che segue una direttiva europea. Esente il mondo del volontariato. Cosa certifica? Il certificato penale del casellario giudiziario attesta che la persona che lo presenta non è stata condannata per reati contro i minori, dunque pornografia minorile e virtuale, prostituzione minorile, adescamento e turismo sessuale. I reati sono quelli identificati agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale. Chi lo deve presentare? Chi sta per ottenere un lavoro, con regolare contratto, che comporti il contatto con minori in modo diretto e abituale. Il datore di lavoro lo deve richiedere prima che sia stipulato il contratto. Per esempio insegnanti, istruttori sportivi. Chi non è obbligato a presentarlo? Non lo devono presentare quanti lavorano come volontari per Onlus, parrocchie o anche associazioni sportive senza che ci sia una forma di lavoro subordinato e un contratto di lavoro. Cosa che limita molto il campo d’azione del provvedimento. Vale per colf e badanti? No, non c’è l’obbligo in caso di lavoro domestico, non direttamente legato ai bambini che pur possono essere presenti. Il datore di lavoro, trattandosi di un rapporto fiduciario, può decidere come fare autonomamente. Vale anche per chi sta già lavorando con i ragazzi? No. L'obbligo riguarda i nuovi assunti e non chi è già dipendente, per esempio, di scuole o palestre. Chi può presentare la domanda? Il lavoratore direttamente interessato, ma anche il datore di lavoro delegato dal dipendente. Dove si richiede? I moduli sono sul sito del Ministero della Giustizia. La richiesta va fatta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di riferimento, Ufficio locale del Casellario giudiziale. Quali sono i tempi? Il Ministero ha assicurato che i certificati saranno rilasciati entro qualche giorno dalla richiesta. Si può comunque stipulare il contratto presentando un'autocertificazione in cui il neoassunto dichiara di non essere stato condannato per i reati contro i minori.

Diritto Penale: Sequestro preventivo del Veicolo e confisca

Circolazione Stradale

Diritto Penale: Sequestro preventivo del Veicolo e confisca - Commercialista.it
L'art. 186 comma 2 del C. D. S. Consente il sequestro preventivo - e la conseguente confisca - del veicolo in comproprietà, in quanto la lettera della norma esclude soltanto la confisca di veicolo appartenente ad un terzo per la tutela del suo diritto di proprietà. Del resto, solo nel caso di ...

Focus Approfondimenti

Iscriviti

Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere aggiornato sul mondo delle normative e legge per il fisco e tributi!

No grazie!