Lavori all’estero, ma percepisci bonus in Italia? Fino a oggi, le risposte dell’Agenzia delle Entrate lasciavano pochi dubbi: i premi maturati all’estero e poi erogati in Italia erano soggetti a tassazione IRPEF nel nostro Paese. Tuttavia la Risposta n. 199/2025 cambia sensibilmente il quadro. L’Agenzia delle Entrate, infatti, corregge il tiro e modifica il proprio precedente orientamento: un’inversione significativa che interessa da vicino tantissimi lavoratori italiani all’estero.
Sommario
Questo aggiornamento normativo si inserisce in un contesto già complesso, fatto di residenze fiscali, principio di tassazione mondiale e regole internazionali sulla doppia imposizione. La questione riguarda, in particolare, i compensi variabili e i bonus maturati per attività lavorative svolte all’estero, ma erogati successivamente in Italia. Fino a ieri, questi importi erano sempre considerati pienamente imponibili in Italia; oggi, invece, la situazione appare più sfumata e favorevole al contribuente.
Nel corso di questo articolo analizzeremo il contenuto della nuova risposta dell’Agenzia, il contesto normativo di riferimento, i casi pratici e cosa fare per pagare meno tasse in modo legale. Scopriremo anche i vantaggi fiscali e come difendersi da eventuali contestazioni dell’Amministrazione finanziaria.
Il caso concreto
La Risposta n. 199/2025 dell’Agenzia delle Entrate prende in esame un caso particolarmente emblematico che tocca diversi temi sensibili del diritto tributario internazionale. Il protagonista è un lavoratore italiano che, dopo aver svolto attività lavorativa nel Regno Unito tra il 2021 e il 2023 per conto di una società estera del gruppo, torna in Italia nel 2024, firmando un nuovo contratto con la sede italiana dello stesso gruppo multinazionale.
A complicare il quadro è il fatto che il lavoratore, a partire dal rientro, riceve — tramite il cedolino paga italiano — i bonus maturati all’estero, in particolare attraverso un piano di incentivazione pluriennale (Long Term Cash Bonus Plan). Questi premi, pur erogati nel 2024, si riferiscono a performance e risultati ottenuti nel triennio precedente, quando l’attività era svolta fuori dall’Italia.
La domanda posta all’Agenzia è chiara: l’Italia ha diritto di tassare l’intero importo percepito nel 2024 oppure solo la quota riferibile al periodo di lavoro svolto nel nostro Paese? Una questione non banale, considerando che il lavoratore è ormai fiscalmente residente in Italia, ma il reddito ha origine da attività lavorativa estera.
Già con la precedente Risposta n. 81/2025, l’Agenzia si era espressa in modo restrittivo, affermando la piena imponibilità IRPEF in Italia di tali bonus. Tuttavia, con la nuova risposta n. 199/2025, viene modificato l’orientamento, introducendo importanti precisazioni che potrebbero aprire a significativi vantaggi fiscali per i lavoratori in situazioni simili.
La nuova linea dell’Agenzia
Nel recente documento di prassi n. 199/2025, l’Agenzia delle Entrate compie un’inversione di rotta significativa rispetto a quanto affermato pochi mesi prima nella risposta n. 81/2025. Se inizialmente l’Amministrazione aveva condiviso l’interpretazione della società, secondo cui la tassazione in Italia dovesse limitarsi alla sola quota di bonus riferibile al lavoro svolto nel territorio nazionale, oggi la posizione cambia radicalmente.
Richiamando il principio della worldwide taxation sancito dall’articolo 3 del TUIR, l’Agenzia afferma che tutti i redditi percepiti da soggetti fiscalmente residenti in Italia, a prescindere dal luogo in cui sono stati maturati, devono essere tassati nel nostro Paese.
Inoltre, viene ribadito il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente previsto dall’articolo 51 del TUIR: anche se il compenso si riferisce a prestazioni rese all’estero in anni precedenti, l’intera somma concorre alla formazione del reddito imponibile nel momento in cui viene materialmente percepita.
In altre parole, l’Italia esercita il proprio potere impositivo sull’intero importo, ignorando la proporzione tra lavoro svolto in Italia e all’estero. La conseguenza immediata è che la stabile organizzazione italiana è obbligata ad applicare le ritenute IRPEF come sostituto d’imposta al momento dell’erogazione.
Una posizione che rischia di creare doppie imposizioni, soprattutto nei casi in cui il reddito sia già stato tassato all’estero, come avviene nel Regno Unito.
Sostituto d’imposta, residenza fiscale e credito estero
Uno degli elementi più significativi contenuti nella Risposta n. 199/2025 riguarda il ruolo del sostituto d’imposta italiano. L’Agenzia chiarisce che, in presenza di un soggetto fiscalmente residente in Italia al momento dell’erogazione del bonus, l’intera somma percepita va assoggettata a tassazione nel nostro Paese, indipendentemente dal luogo in cui il reddito è stato maturato.
La novità è importante perché ribalta quanto affermato in precedenza: nella Risposta n. 81/2025, si riteneva legittimo escludere da imposizione italiana la parte di bonus riferita ad attività svolta all’estero. Ora, invece, la tassazione italiana è obbligatoria su tutto l’importo, con la possibilità di evitare la doppia imposizione attraverso il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero (articolo 165 del TUIR).
Il principio fondamentale è che la residenza fiscale al momento della percezione prevale su ogni altro criterio. Questa impostazione è coerente con quanto già espresso in precedenti documenti di prassi, come la Risoluzione n. 92/2009 e l’interpello n. 783/2021.
La stabile organizzazione italiana ha quindi il dovere di applicare le ritenute IRPEF anche sui bonus relativi al periodo 2021–2023, benché maturati all’estero. Tuttavia, in virtù dell’articolo 10, comma 2, dello Statuto del Contribuente (Legge n. 212/2000), in caso di mancata applicazione delle ritenute a causa del precedente orientamento, non saranno applicate sanzioni o interessi, trattandosi di un semplice adeguamento a una modifica interpretativa.
Questo principio ha valenza generale: ogni soggetto fiscalmente residente in Italia è tassato sull’intero reddito percepito, anche se prodotto all’estero.
Doppia imposizione
La nuova interpretazione dell’Agenzia delle Entrate apre la strada a potenziali situazioni di doppia imposizione fiscale, che possono danneggiare pesantemente i lavoratori italiani rientrati dall’estero. Infatti, i bonus legati ad attività svolta all’estero sono spesso già tassati nei Paesi in cui sono maturati — nel caso in oggetto, nel Regno Unito — ma secondo l’Agenzia devono essere tassati nuovamente in Italia al momento della percezione, se il lavoratore è fiscalmente residente nel nostro Paese.
Il rischio concreto è quello di vedere imposte le stesse somme due volte, con un aggravio fiscale rilevante. Per fortuna, il nostro ordinamento offre uno strumento chiave per neutralizzare questo problema: il credito per le imposte estere previsto dall’art. 165 del TUIR. Tale meccanismo consente al contribuente italiano di scomputare dalle imposte italiane quelle già pagate all’estero, entro determinati limiti.
Tuttavia, la procedura non è automatica: è necessario dimostrare con documentazione idonea l’effettivo pagamento dell’imposta estera, oltre a calcolare correttamente l’ammontare spettante. In più, bisogna tenere conto delle specificità delle Convenzioni contro le doppie imposizioni (nel caso trattato, quella tra Italia e Regno Unito), che possono contenere clausole particolari.
Di fronte a questa complessità, è fondamentale affidarsi a un consulente fiscale esperto in fiscalità internazionale, in grado di individuare le soluzioni più adatte per ridurre il carico fiscale in modo legale, evitando sanzioni e massimizzando il risparmio. In molti casi, infatti, è possibile presentare istanze di rimborso o rettifica anche a posteriori.
Implicazioni per le aziende
Il cambio di orientamento dell’Agenzia delle Entrate non coinvolge solo i lavoratori, ma impatta in modo diretto anche le aziende italiane appartenenti a gruppi multinazionali, specialmente le stabili organizzazioni di società estere. Queste, infatti, diventano — a tutti gli effetti — sostituti d’imposta responsabili per l’applicazione delle ritenute IRPEF su redditi percepiti dai lavoratori fiscalmente residenti in Italia, anche se non maturati sotto la loro diretta gestione.
Nel caso specifico esaminato dalla Risposta n. 199/2025, la sede italiana della multinazionale si trova obbligata a trattenere le imposte su bonus che derivano da un’attività svolta interamente all’estero, per conto di una consociata straniera. Un compito non banale, che espone le aziende a rischi di contestazioni, ma anche a difficoltà pratiche nella gestione del payroll e delle relazioni sindacali.
Inoltre, le aziende devono fare attenzione a non omettere l’applicazione delle ritenute per paura di duplicazioni o incertezze interpretative: la legge italiana impone l’obbligo della tassazione, e l’unica tutela per il lavoratore è rappresentata dal meccanismo del credito d’imposta. Se l’azienda non effettua correttamente le ritenute, potrebbe incorrere in sanzioni, a meno che non dimostri che l’errore è dipeso da una precedente interpretazione poi modificata, come previsto dallo Statuto del Contribuente.
Per questo motivo, diventa fondamentale per le aziende dotarsi di un protocollo di gestione chiaro, aggiornato e conforme alla normativa nazionale e internazionale, eventualmente valutando con i propri consulenti fiscali soluzioni preventive, come l’invio di interpelli o la richiesta di ruling, nei casi dubbi.
Strategie di risparmio fiscale
Di fronte a un’interpretazione così stringente come quella della Risposta n. 199/2025, diventa sempre più importante individuare strategie fiscali legali che permettano di ridurre il carico impositivo senza incorrere in violazioni. Il punto di partenza è la corretta pianificazione del rientro in Italia: quando possibile, può essere utile posticipare l’erogazione dei bonus a un momento in cui il lavoratore non sia ancora fiscalmente residente in Italia, evitando così l’applicazione della tassazione italiana.
In alternativa, laddove l’erogazione avvenga in Italia e il lavoratore sia residente fiscalmente nel nostro Paese, è fondamentale documentare in modo dettagliato la tassazione subita all’estero e sfruttare pienamente l’art. 165 del TUIR per recuperare il credito d’imposta.
A tal fine, è consigliabile:
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Conservare la documentazione fiscale del Paese estero (moduli, certificazioni, buste paga, attestazioni di pagamento).
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Verificare le modalità previste dalla Convenzione contro la doppia imposizione applicabile (ad esempio, con il Regno Unito).
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Avvalersi di un commercialista esperto per il corretto calcolo del credito e la sua indicazione nel modello Redditi PF.
Per le aziende, un’opzione da considerare è la ristrutturazione dei piani di incentivazione, prevedendo clausole contrattuali che tengano conto della possibile tassazione differita e dell’eventuale rientro dei dipendenti in Italia. Inoltre, può risultare utile ricorrere agli accordi di ruling internazionale, che permettono di ottenere chiarimenti preventivi dall’Agenzia su situazioni complesse.
Un’adeguata pianificazione fiscale, dunque, non solo tutela da contestazioni ma consente anche di ottenere un risparmio fiscale concreto, nel rispetto della legge.
Vantaggi fiscali
Nonostante la posizione più rigida dell’Agenzia delle Entrate, anche in questo nuovo scenario esistono concreti vantaggi fiscali per chi sa gestire correttamente il proprio rientro in Italia e l’erogazione dei bonus esteri. Il primo strumento da sfruttare è il già citato credito d’imposta per le imposte pagate all’estero (art. 165 TUIR), che consente una riduzione diretta dell’IRPEF dovuta in Italia. Se correttamente documentato, questo meccanismo può azzerare o ridurre in modo significativo il doppio prelievo.
Inoltre, per i lavoratori che rientrano in Italia dopo un periodo di attività all’estero, resta la possibilità di accedere al regime agevolato per i lavoratori impatriati (art. 16 D.lgs. 147/2015), che prevede una tassazione ridotta fino al 70% o 90% del reddito da lavoro dipendente per 5 anni o più. Anche se questo regime non si applica ai bonus percepiti per prestazioni pregresse, può comunque offrire benefici importanti sul nuovo rapporto di lavoro italiano.
Infine, le aziende possono ridurre il rischio fiscale e ottimizzare i costi legati alla gestione dei bonus internazionali attraverso una pianificazione contrattuale preventiva, l’inserimento di clausole fiscali nei contratti e, se necessario, l’attivazione di interpelli o ruling con l’Agenzia. Tutti strumenti perfettamente legali e pienamente riconosciuti che consentono di risparmiare in modo conforme alla normativa vigente.
Conclusione
La Risposta n. 199/2025 segna un importante cambiamento nell’approccio dell’Agenzia delle Entrate alla tassazione dei bonus erogati a lavoratori italiani rientrati dall’estero. Se da un lato ribadisce il principio della tassazione mondiale dei redditi, dall’altro impone a lavoratori e aziende un elevato livello di attenzione nella gestione di compensi variabili, soprattutto se maturati in ambito internazionale.
Per i lavoratori, il rischio di doppia imposizione fiscale è concreto, ma può essere gestito e neutralizzato attraverso un’attenta pianificazione e l’utilizzo del credito per le imposte estere. La chiave è sempre la documentazione accurata e l’assistenza di un professionista esperto in fiscalità internazionale.
Per le aziende, soprattutto per le stabili organizzazioni italiane di gruppi multinazionali, la nuova posizione dell’Agenzia implica l’obbligo di rivedere le policy di payroll e i modelli di incentivazione, adattandoli al nuovo contesto interpretativo per evitare errori, omissioni o contenziosi futuri.
In definitiva, questa rettifica interpretativa conferma ancora una volta quanto sia fondamentale, in un sistema tributario complesso come quello italiano, pianificare per tempo le operazioni con impatto fiscale transnazionale.
Agire in anticipo, con il supporto di un consulente qualificato, è oggi l’unico modo per risparmiare legalmente sulle tasse e tutelare i propri interessi, che si tratti di un lavoratore o di un’impresa.