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domenica 18 Maggio 2025
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Reddito di Libertà: Riattivato il sostegno economico per le donne vittime di violenza

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Il Reddito di Libertà riparte. Dopo mesi di attesa e incertezze legate allo stanziamento delle risorse, la misura economica a favore delle donne vittime di violenza torna operativa, con importanti novità per il 2025. Grazie al decreto attuativo pubblicato in Gazzetta Ufficiale e alla nuova circolare INPS, sono stati finalmente sbloccati 32 milioni di euro per il triennio 2024-2026. Una cifra che promette di allargare la platea delle beneficiarie e di dare risposta a quelle migliaia di domande rimaste inevase negli anni precedenti.

Il contributo – salito a 500 euro al mese per 12 mesi – rappresenta un aiuto concreto per affrontare spese legate all’abitazione, allo studio dei figli, alla formazione professionale e all’autonomia personale. Ma il Reddito di Libertà è molto più di un semplice sussidio: è uno strumento di emancipazione, pensato per restituire libertà e futuro a donne che hanno avuto il coraggio di dire basta.

In questo articolo scoprirai chi può fare domanda, quali sono i requisiti, come funziona la procedura, quali sono le nuove scadenze, le agevolazioni fiscali per chi supporta il sistema e i dati aggiornati sulle beneficiarie. Un approfondimento utile per chi vuole capire come funziona davvero questa misura e perché oggi è più importante che mai.

Reddito di Libertà

Il Reddito di Libertà torna al centro dell’attenzione con nuove risorse, nuove regole e un messaggio forte: offrire un’ancora concreta alle donne che vogliono ricostruire la propria vita dopo aver subito violenza. Si tratta di un contributo economico mensile pari a 500 euro (fino al 2023 era di 400 euro), erogato per un periodo massimo di 12 mesi, destinato a donne che hanno intrapreso un percorso di uscita da situazioni di abuso, spesso accompagnate da figli minori.

L’obiettivo principale della misura è quello di favorire l’autonomia economica e abitativa, consentendo alle beneficiarie di affrontare le spese per l’alloggio, la formazione, lo studio dei figli e tutte quelle necessità fondamentali per costruire una nuova vita libera e sicura. Una misura che non vuole essere assistenzialismo, ma un mezzo per ricostruire dignità e indipendenza.

La vera svolta è arrivata con il decreto del 2 dicembre 2024 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 52 del 4 marzo 2025), che ha finalmente sbloccato i fondi attesi da quasi un anno. Parliamo di 32 milioni di euro per il triennio 2024-2026, così distribuiti: 10 milioni per il 2024, 11 milioni sia per il 2025 che per il 2026. A partire dal 2027, lo stanziamento annuo sarà di 7 milioni di euro. Il successivo passo operativo è stato compiuto dall’INPS, che con la circolare n. 54 del 5 marzo 2025 ha stabilito modalità, tempistiche e requisiti per la presentazione delle domande, sia in fase transitoria sia a regime.

Nuova finestra per le domande respinte

Una delle novità più significative introdotte dalla recente circolare INPS n. 54/2025 è la creazione di una finestra transitoria, della durata di 45 giorni, aperta dal 5 marzo al 18 aprile 2025, destinata a riaccogliere tutte quelle domande precedentemente respinte per esaurimento dei fondi. Si tratta di una svolta attesa da tempo, considerando l’alto numero di richieste che negli anni passati non hanno trovato risposta a causa della limitata disponibilità economica.

Secondo i dati ufficiali del Dipartimento per le Pari Opportunità, dal 2020 al 2024 sono state presentate all’INPS 6.079 domande, ma ben 3.006 di queste sono rimaste senza risposta per carenza di risorse. Nel periodo 2020-2023, infatti, erano stati stanziati solo 13,85 milioni di euro, insufficienti a coprire il fabbisogno reale. Ora, grazie allo sblocco dei fondi previsto dal nuovo decreto, queste domande potranno essere riesaminate e ri-presentate.

Le domande vanno trasmesse esclusivamente tramite i Comuni, ai quali spetta il compito di verificare la sussistenza dei requisiti richiesti per accedere al beneficio. Il ruolo degli enti locali, quindi, si conferma centrale non solo nell’accoglienza delle istanze ma anche nel supporto alle donne nei percorsi di autonomia e inserimento.

Per chi è rimasta fuori negli anni passati, questa rappresenta un’occasione preziosa per ottenere un contributo che può davvero fare la differenza. Ma il tempo è limitato: il termine ultimo è il 18 aprile 2025.

Come e quando presentare domanda

Conclusa la fase transitoria del Reddito di Libertà, che termina il 18 aprile 2025, si apre una nuova fase “a regime” che stabilisce le modalità ordinarie di presentazione delle domande fino alla fine dell’anno.

Dal 18 aprile al 31 dicembre 2025, tutte le donne in possesso dei requisiti previsti dalla normativa potranno presentare richiesta per ottenere il contributo, comprese coloro che non avevano partecipato alla fase transitoria o che, pur avendo i requisiti, non avevano ancora inoltrato domanda.

A partire dal 2026, il sistema entrerà definitivamente a regime, con una finestra aperta tutto l’anno: sarà infatti possibile presentare domanda in qualsiasi momento, dal 1° gennaio al 31 dicembre, sempre tramite il Comune di residenza, che ha il compito di verificare la presenza dei requisiti e trasmettere la documentazione all’INPS.

Un aspetto importante chiarito dal decreto attuativo (art. 2) riguarda la gestione delle risorse: i fondi sono ripartiti tra le Regioni, ma ogni Regione ha la possibilità di incrementare la propria dotazione economica con risorse proprie.

Queste somme possono essere trasferite direttamente all’INPS, al fine di coprire un maggior numero di richieste o rispondere a un aumento della domanda locale. Questo meccanismo consente un adattamento più flessibile e reattivo alle specifiche esigenze territoriali.

Infine, anche le domande eventualmente non accolte per mancanza di fondi durante l’anno potranno essere riproposte successivamente, mantenendo così attivo il canale di accesso al beneficio anche nei casi di incapienza temporanea del budget disponibile.

A chi spetta il Reddito di Libertà

Per accedere al Reddito di Libertà non basta semplicemente trovarsi in una situazione di disagio economico. Il decreto e la circolare INPS sottolineano con forza l’importanza della regolarità e completezza dei requisiti, che devono essere accertati dai servizi sociali territoriali e dai centri antiviolenza riconosciuti.

Possono accedere al beneficio le donne che:

  • Sono state vittime di violenza accertata e documentata;

  • Risiedono sul territorio italiano, siano esse cittadine italiane, cittadine comunitarie, oppure cittadine di Stati extracomunitari, purché in possesso di un permesso di soggiorno regolare. Sono comprese anche le donne con status di rifugiata politica o protezione sussidiaria;

  • Si trovano in condizione di povertà legata a uno stato di bisogno straordinario o urgente, condizione che deve essere dichiarata e certificata dal servizio sociale professionale del Comune di riferimento;

  • Sono seguite da un centro antiviolenza riconosciuto dalla Regione e da un servizio sociale pubblico.

L’iter per la presentazione della domanda prevede che la beneficiaria si rivolga al Comune di residenza, dove i servizi sociali territoriali – in collaborazione con i centri antiviolenza – certificano il possesso dei requisiti. Il Comune provvede poi a trasmettere la documentazione all’INPS, che eroga direttamente il contributo economico sul conto corrente indicato dalla richiedente.

È quindi fondamentale non solo avere i requisiti richiesti, ma anche essere seguite da un percorso istituzionale già attivo, per garantire che l’aiuto economico sia parte di un progetto di emancipazione reale e strutturato.

Le criticità del passato e le sfide ancora aperte

Nonostante le buone intenzioni alla base del Reddito di Libertà, l’applicazione concreta della misura ha incontrato, fin dalla sua nascita, una serie di criticità strutturali che ne hanno limitato l’efficacia e la diffusione. Uno dei problemi più evidenti è stato lo scarso stanziamento di risorse nei primi anni: basti pensare che, tra il 2020 e il 2023, i fondi complessivamente messi a disposizione sono stati solo 13,85 milioni di euro, insufficienti a coprire l’enorme richiesta proveniente dai territori. Di conseguenza, più della metà delle domande presentate (3.006 su 6.079) non sono state accolte per mancanza di copertura finanziaria.

A questa limitazione si è aggiunto anche il problema di procedure frammentate e poco omogenee: ogni Comune ha adottato modalità operative differenti, generando confusione tra le beneficiarie e spesso rallentando l’invio delle domande. Inoltre, la mancanza di comunicazione diretta tra centri antiviolenza, servizi sociali e INPS ha spesso reso difficile l’accompagnamento completo delle donne lungo il percorso di richiesta.

Con il nuovo decreto del 2 dicembre 2024 e la circolare INPS del marzo 2025, si punta a superare queste inefficienze. Lo stanziamento di 32 milioni per il triennio 2024-2026 garantisce maggiore stabilità economica, e l’apertura della finestra annuale a regime, insieme alla possibilità per le Regioni di integrare con fondi propri, permette un approccio più flessibile e su misura per i bisogni locali.

Tuttavia, resta centrale l’obiettivo di costruire una rete stabile e ben coordinata tra tutti gli attori coinvolti, affinché il Reddito di Libertà diventi davvero un pilastro delle politiche di sostegno alle donne e non una misura emergenziale di breve durata.

Donazioni e sostegno alle donne

Accanto all’azione dello Stato, un ruolo sempre più rilevante è giocato da imprese, fondazioni, associazioni e cittadini privati che scelgono di sostenere economicamente i centri antiviolenza o progetti di reinserimento per donne vittime di violenza. E questo impegno sociale può essere anche premiato dal punto di vista fiscale.

Le donazioni effettuate a enti del Terzo Settore, fondazioni e organizzazioni senza scopo di lucro regolarmente iscritte al RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) possono beneficiare di detrazioni e deduzioni fiscali, come previsto dal Codice del Terzo Settore (D.Lgs. 117/2017).

In particolare:

  • I privati cittadini possono detrare dall’IRPEF il 30% delle donazioni effettuate, fino a un massimo di 30.000 euro annui;

  • Le imprese possono invece dedurre integralmente l’importo donato dal reddito d’impresa, entro il limite del 10% del reddito complessivo dichiarato.

Inoltre, alcune Regioni e Comuni prevedono ulteriori agevolazioni locali per chi sostiene economicamente progetti legati alla lotta contro la violenza di genere.

Oltre al vantaggio fiscale, per le imprese si tratta di un’opportunità di rafforzare la responsabilità sociale d’impresa (CSR), migliorando la propria reputazione e contribuendo a un cambiamento sociale concreto. In un’epoca in cui i consumatori sono sempre più attenti all’etica dei brand, questo tipo di azioni può rappresentare un vero valore aggiunto.

Il profilo delle beneficiarie

Per comprendere a fondo l’impatto del Reddito di Libertà, è essenziale conoscere chi sono le donne che presentano domanda per questo contributo. A fare luce sul profilo delle beneficiarie ci pensa il XXIII Rapporto Annuale INPS, che ha elaborato un dataset su 6.054 donne che hanno richiesto il Reddito di Libertà tra il 2021 e i primi mesi del 2024.

I dati rivelano una realtà variegata, ma con alcune tendenze molto chiare:

  • Quasi il 42% delle richiedenti è nata all’estero, a testimonianza di come la violenza di genere colpisca trasversalmente e come le donne straniere spesso si trovino in condizioni di maggiore vulnerabilità economica e sociale.

  • Il 27,45% delle donne è nata in regioni del Sud o nelle Isole, il 21,42% al Nord e il 9,4% al Centro. Tuttavia, se si guarda alla residenza effettiva, il 46% delle beneficiarie vive nel Mezzogiorno e nelle Isole, segno di una maggiore concentrazione di situazioni critiche in queste aree.

  • Per quanto riguarda l’età, la fascia più rappresentata è quella tra 35 e 54 anni (61% complessivo), con il 36% tra i 35 e i 44 anni e il 26% tra i 45 e i 54 anni. Le donne tra i 25 e i 34 anni costituiscono il 22% delle richiedenti, mentre solo il 10% ha più di 55 anni e appena il 5% meno di 25.

Questa fotografia statistica evidenzia come il Reddito di Libertà si rivolga a una popolazione adulta, spesso con figli a carico e radicata nel territorio, che necessita di un aiuto concreto per rompere un ciclo di dipendenza e isolamento.

Considerazioni finali

Il Reddito di Libertà rappresenta oggi una delle misure più concrete e simbolicamente potenti nel panorama delle politiche sociali italiane. Ma per trasformarsi da strumento emergenziale a presidio strutturale, servono visione, risorse costanti e soprattutto una rete solida di collaborazione tra Stato, Regioni, Comuni, centri antiviolenza e società civile.

Il recente sblocco dei fondi e l’avvio della finestra transitoria segnalano un passo avanti importante, ma le sfide restano numerose. Prima tra tutte, quella della continuità finanziaria: il passaggio a un’erogazione annuale stabile e la possibilità per le Regioni di integrare con risorse proprie rappresentano una base solida, ma non ancora sufficiente per coprire tutto il fabbisogno reale.

In parallelo, è fondamentale semplificare le procedure, garantendo moduli uniformi, canali di comunicazione rapidi tra enti, e soprattutto un maggiore supporto informativo per le donne che, spesso, ignorano l’esistenza stessa del Reddito di Libertà. La formazione degli operatori sociali e il rafforzamento della rete dei centri antiviolenza sono investimenti imprescindibili.

Infine, il ruolo delle imprese e dei privati cittadini, anche attraverso le agevolazioni fiscali sulle donazioni, deve essere incoraggiato e comunicato meglio. Perché la lotta alla violenza di genere non è solo un dovere dello Stato, ma una responsabilità collettiva.

Il Reddito di Libertà non libera solo economicamente: restituisce possibilità, scelta, dignità. E per questo, deve diventare parte integrante di una strategia nazionale permanente per l’emancipazione femminile.

Prostituzione e Codice ATECO 96.99.92: l’ISTAT riconosce i servizi sessuali come attività economica

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Professioni del piacere: la rivoluzione fiscale dell’ISTAT accende il dibattito su sesso, fisco e legalità

Il confine tra legalità, moralità ed economia si fa sempre più sottile. Nell’ultima revisione della classificazione ATECO, l’ISTAT ha ufficialmente inserito i “servizi sessuali a pagamento” come voce riconosciuta, codificata e tassabile. Un cambiamento epocale che mette al centro del dibattito una realtà storicamente sommersa ma economicamente rilevante: il lavoro sessuale in Italia.

Escort, accompagnatrici, gigolò, dominatrici e altre figure professionali che operano nel mondo dell’intrattenimento per adulti trovano oggi un posto nella classificazione economica ufficiale. E con questo, emergono nuove prospettive fiscali, previdenziali, legali ed etiche. Ma cosa significa davvero “regolarizzare” questi servizi? Quali sono gli effetti economici, fiscali e sociali? E, soprattutto, è davvero possibile pagare le tasse sul sesso?

In questo articolo analizziamo nel dettaglio le nuove disposizioni ISTAT, il contesto normativo italiano ed europeo, i vantaggi e i rischi di questa classificazione, e come tutto ciò potrebbe cambiare il volto dell’economia sommersa legata alla prostituzione. Una riflessione tra fiscalità, diritti e realtà.

Il nuovo codice ATECO 2025

Con la revisione della classificazione ATECO entrata in vigore nel 2025, l’ISTAT ha introdotto ufficialmente una nuova voce che ha immediatamente sollevato interesse e discussione: “Servizi sessuali a pagamento”. La novità si colloca all’interno della più ampia classificazione ATECO 2025, sviluppata dall’ISTAT, in vigore da gennaio e operativa dal 1° aprile 2025, con l’obiettivo di allineare la tassonomia economica nazionale agli standard europei NACE Rev. 2.

All’interno della divisione 96, che – come spiegato dall’ISTAT nel comunicato ufficiale di dicembre 2024 – «è stata completamente ristrutturata prevedendo nuovi gruppi e nuove classi», è stato inserito il nuovo codice 96.99.92, dedicato ai “Servizi di incontro ed eventi simili”.

Tale voce comprende:

«Attività connesse alla vita sociale, ad esempio attività di accompagnatori e di accompagnatrici (escort), di agenzie di incontro e agenzie matrimoniali; fornitura o organizzazione di servizi sessuali, organizzazione di eventi di prostituzione o gestione di locali di prostituzione; organizzazione di incontri e altre attività di speed networking».

L’ATECO è un sistema di classificazione economica utilizzato in Italia per identificare in modo univoco le attività svolte da imprese e professionisti, ed è fondamentale sia per fini statistici che fiscali. Con l’introduzione di questo codice, l’ISTAT non solo riconosce la presenza e rilevanza economica del sex work, ma ne fornisce per la prima volta una definizione codificata, utilizzabile nei database ufficiali e, potenzialmente, anche ai fini fiscali e previdenziali.

È importante sottolineare che questo riconoscimento ha valore puramente statistico, e non comporta automaticamente la legalizzazione o regolamentazione dell’attività: la prostituzione in Italia non è reato se svolta in forma autonoma, ma resta penalmente sanzionato qualsiasi sfruttamento o intermediazione.

Tuttavia, il fatto che l’ISTAT includa ora questa attività tra quelle classificabili economicamente, segna un primo passo verso una possibile normalizzazione anche sul piano fiscale.

Sex work e fisco

L’introduzione del codice ATECO per i “servizi sessuali a pagamento” apre formalmente alla possibilità, per escort e sex worker autonomi, di inserirsi nel sistema fiscale italiano. Teoricamente, infatti, chi offre prestazioni sessuali in maniera indipendente – e quindi senza sfruttamento, intermediazione o favoreggiamento, che restano reati penali – può aprire una partita IVA, scegliere un regime fiscale (ordinario o forfettario) e pagare le tasse sul proprio reddito.

Ma come funziona, nel concreto, questa “tassazione del piacere”? Secondo gli esperti fiscali, i lavoratori autonomi del sesso potrebbero rientrare nel regime forfettario al 15% (o 5% per le nuove attività), dichiarando i compensi percepiti per le prestazioni e applicando l’aliquota agevolata sui redditi netti, calcolati tramite un coefficiente di redditività. In più, verserebbero i contributi previdenziali alla Gestione Separata INPS, come ogni libero professionista non iscritto ad albi.

Tuttavia, non mancano gli ostacoli. La mancanza di una normativa organica che riconosca pienamente il sex work come “professione” rende ambigua la posizione del lavoratore di fronte a controlli fiscali e giudiziari. La giurisprudenza, infatti, è ancora divisa: alcune sentenze riconoscono il diritto del sex worker a dichiarare redditi da lavoro autonomo, mentre altre li considerano proventi da attività illecite, non deducibili e non tassabili.

L’Agenzia delle Entrate, interrogata più volte sul tema, ha espresso posizioni prudenziali, ma non esclude – in presenza di partita IVA regolarmente aperta – la tassabilità dei redditi da attività sessuale svolta in autonomia e senza reati collegati. Il punto è proprio questo: la liceità formale dell’attività.

Prostituzione in Italia

Il sex work in Italia si muove da sempre in una zona grigia giuridica: la prostituzione in sé non è un reato, ma è priva di una regolamentazione specifica. La Legge Merlin del 1958 (Legge n. 75/1958) ha abolito le “case chiuse” e vietato qualsiasi forma di sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione altrui. Tuttavia, la norma non criminalizza l’attività in sé se svolta in forma autonoma, individuale e non pubblica.

Questo ha creato un paradosso: il lavoro sessuale non è vietato, ma non essendo disciplinato, non è pienamente tutelato né riconosciuto come professione. Ecco perché, fino a oggi, sex worker ed escort non potevano operare alla luce del sole, pur agendo formalmente nella legalità.

L’inserimento del codice ATECO da parte dell’ISTAT rappresenta una certificazione statistica, ma non costituisce automaticamente un riconoscimento giuridico. Lo Stato, attraverso ISTAT, fotografa l’esistenza di un’attività economica diffusa, ma il Parlamento non ha ancora legiferato per disciplinarla. In sostanza, si può ora classificare l’attività nei dati economici ufficiali e potenzialmente tassarla, ma manca ancora una legge che definisca i diritti e i doveri dei lavoratori del sesso.

Nel corso degli anni, diverse proposte di legge – sia per la regolamentazione che per l’abolizione totale – si sono alternate in Parlamento, senza mai arrivare all’approvazione. Eppure, il fenomeno coinvolge un numero elevatissimo di persone (si stima tra le 70.000 e le 90.000 in Italia) e genera un mercato sommerso da miliardi di euro.

In mancanza di una normativa chiara, il riconoscimento fiscale resta un’operazione controversa: può un’attività priva di inquadramento normativo essere tassata regolarmente? E chi tutela questi lavoratori?

Un’economia invisibile da miliardi di euro

Il riconoscimento statistico dei “servizi sessuali a pagamento” da parte dell’ISTAT non nasce dal nulla. Dietro questa decisione c’è anche un’esigenza concreta: fotografare e quantificare un settore sommerso che, seppur informale, ha un peso economico rilevante. Secondo le stime più prudenti, il mercato del sex work in Italia genera tra i 3 e i 5 miliardi di euro l’anno, ma si tratta di una cifra destinata probabilmente a salire se si considerano le piattaforme online, i servizi di accompagnamento di lusso e le attività parallele (eventi, video, contenuti digitali).

Questo “mercato parallelo” è rimasto per decenni fuori da ogni conteggio ufficiale, pur rappresentando una fetta significativa di economia reale. Solo nel 2014 Eurostat ha spinto i Paesi membri dell’UE ad includere nei conti pubblici nazionali anche le attività illegali purché quantificabili, tra cui prostituzione, droga e contrabbando. L’Italia si è allineata, ma fino ad oggi si trattava solo di stime tecniche utilizzate per il calcolo del PIL, non di riconoscimenti fiscali o professionali.

Con l’aggiornamento ATECO 2025, l’ISTAT compie un passo ulteriore: riconosce che molti sex worker operano in modo autonomo, consapevole e strutturato, spesso con servizi organizzati e clientela fidelizzata, tanto da giustificare un inquadramento economico.

In un momento storico in cui lo Stato cerca nuove basi imponibili per far fronte al debito pubblico, non è un caso che si guardi anche a queste attività finora escluse dal circuito fiscale.

Resta però aperta una domanda: se il mercato del sesso muove miliardi, perché non creare un sistema chiaro, legale e tutelato per incanalarne i benefici fiscali e previdenziali?

Regolamentare il sex work

Mentre l’Italia continua a muoversi tra riconoscimenti fiscali impliciti e vuoti legislativi, altri Paesi europei ed extraeuropei hanno da tempo adottato modelli più chiari e strutturati per regolare la prostituzione. Le esperienze internazionali offrono uno spettro molto vario di approcci, dai più permissivi ai più restrittivi, ciascuno con ricadute specifiche sul piano fiscale, sociale e giuridico.

In Germania, ad esempio, la prostituzione è completamente legalizzata e regolamentata sin dal 2002. I sex worker possono aprire partita IVA, registrarsi presso l’autorità locale, versare tasse e contributi, accedere alla sanità e alla previdenza sociale. Esistono anche vere e proprie aziende del settore, con contratti regolari e diritti riconosciuti. Anche nei Paesi Bassi, il modello è simile: le case di tolleranza sono legali, soggette a controlli e tassazione, mentre chi lavora come escort può regolarmente dichiarare i propri redditi.

Diversa invece la situazione in Francia e Svezia, dove vige il cosiddetto modello neo-abolizionista: la prostituzione non è vietata, ma viene penalizzato il cliente, nel tentativo di scoraggiare la domanda. Questo modello ha sollevato numerose critiche da parte delle associazioni dei sex worker, secondo cui si finisce per aumentare la marginalizzazione e la pericolosità del mestiere.

Nel Regno Unito, il lavoro sessuale in forma autonoma non è illegale, ma è vietata ogni forma di organizzazione, come bordelli o agenzie, lasciando così i lavoratori in un limbo simile a quello italiano. In Nuova Zelanda, invece, la legge “Prostitution Reform Act” del 2003 è spesso citata come esempio virtuoso: decriminalizzazione, diritti del lavoratore, protezione sanitaria e tassazione trasparente.

Il confronto internazionale dimostra che regolamentare non significa incentivare, ma semplicemente riconoscere e tutelare una realtà esistente, spesso lasciata alla mercé dello sfruttamento. L’Italia, con il nuovo codice ATECO, sembra muovere un primo passo – ma serviranno anche coraggio politico e una visione chiara per colmare il gap normativo.

I vantaggi di una regolamentazione completa

Rendere il sex work un’attività legale, riconosciuta e regolamentata potrebbe generare benefici tangibili per lo Stato, per i lavoratori e per la società nel suo complesso. Il primo e più immediato vantaggio riguarda il profilo fiscale: incanalare nel sistema regolare un mercato da miliardi di euro significherebbe generare gettito fiscale costante e recuperare evasione, contribuendo a finanziare servizi pubblici e welfare.

Nel concreto, una regolamentazione porterebbe all’apertura di partite IVA per i lavoratori del sesso, con regimi forfettari o ordinari, versamento di contributi INPS, accesso alla copertura sanitaria, alla maternità e alla pensione. Inoltre, si potrebbero applicare norme sulla sicurezza sul lavoro, sulla privacy dei clienti, sul rispetto dei diritti fondamentali, evitando le condizioni di sfruttamento, violenza o coercizione a cui sono spesso esposte le persone in situazioni di marginalità.

Dal punto di vista sociale, la regolamentazione contribuirebbe a rompere lo stigma che circonda questa professione, riconoscendo dignità e diritti a chi la esercita per scelta, e aiutando le istituzioni a distinguere tra lavoro volontario e tratta di esseri umani. Questo consentirebbe un’azione più mirata e incisiva contro la criminalità organizzata, che oggi prospera grazie alla totale assenza di regole.

Infine, il controllo sanitario sarebbe enormemente potenziato: test regolari, campagne di prevenzione, tutela della salute pubblica. Tutto questo inserendo il sex work nel circuito legale, anziché lasciarlo nell’ombra, dove oggi si alimentano rischio, sfruttamento e ignoranza.

In sintesi, regolamentare significherebbe governare un fenomeno che, piaccia o meno, esiste e resiste da secoli. La scelta non è se esista o meno la prostituzione, ma se lo Stato voglia ignorarla o gestirla responsabilmente.

I limiti della regolamentazione

Nonostante i possibili vantaggi economici e sociali, l’idea di regolamentare il lavoro sessuale continua a dividere l’opinione pubblica e il mondo politico. Le critiche principali non riguardano solo l’aspetto morale o religioso, ma anche questioni di diritti umani, parità di genere e rischi di nuove forme di sfruttamento legalizzato.

Una delle principali obiezioni è che legalizzare la prostituzione normalizzerebbe l’idea che il corpo umano possa essere “messo a reddito” come qualsiasi altro bene o servizio, contribuendo alla mercificazione dei corpi, soprattutto femminili.

Alcuni movimenti femministi vedono nella regolamentazione una forma mascherata di patriarcato, che perpetua l’idea secondo cui il piacere (soprattutto maschile) possa essere acquistato, mentre chi offre il servizio resta in una posizione subordinata, spesso vulnerabile.

C’è poi il timore che una regolamentazione “superficiale” possa creare un mercato a due velocità: da un lato i sex worker regolari, spesso pochi e tutelati, dall’altro un’enorme fascia di attività che continuerebbe a operare in modo sommerso, per evitare tasse, registrazioni e controlli.

In altre parole, si rischierebbe di istituzionalizzare solo una parte “privilegiata” del sex work, lasciando ai margini proprio le persone più vulnerabili: migranti, transessuali, lavoratori senza documenti, vittime della tratta.

Un’altra critica riguarda il rischio di aumentare la domanda: alcuni studi, come quelli citati nei modelli nordici, mostrano come la legalizzazione possa favorire la percezione di “normalità” del servizio, incentivando nuovi clienti e creando effetti collaterali sul piano culturale e sociale, soprattutto nei giovani.

Infine, ci sono dubbi di tipo pratico: chi controllerebbe davvero il rispetto delle regole? Chi garantirebbe che la scelta di vendere prestazioni sessuali sia realmente libera e consapevole, e non indotta da condizioni di povertà, disagio o coercizione indiretta?

Queste domande sono centrali nel dibattito, e richiedono una visione politica ampia, capace di tenere insieme economia, diritti e tutela della persona.

Considerazioni finali

L’introduzione del codice ATECO per i servizi sessuali a pagamento da parte dell’ISTAT rappresenta un punto di svolta silenzioso ma potentissimo: per la prima volta, lo Stato italiano fotografa con precisione un’attività da sempre vissuta ai margini, riconoscendone il valore economico e la necessità di essere censita, analizzata e – forse – tassata.

Ma non basta un codice per risolvere un tema tanto complesso. Serve un quadro normativo organico, moderno e umano che metta al centro le persone, prima ancora dell’economia.

Le prostitute, gli escort, i sex worker non sono numeri nel PIL: sono lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, spesso vulnerabili, che meritano strumenti di tutela, libertà di scelta e dignità professionale.

La questione non è più se il sex work esista – esiste, ed è in crescita – ma come lo Stato voglia gestirlo: fingere che non ci sia, lasciarlo in mano all’illegalità, o creare regole chiare per distinguere il lecito dall’illecito, la libera scelta dallo sfruttamento.

Nel frattempo, la fiscalità fa un passo avanti, seguita – forse – dalla società. Il futuro del sex work in Italia non sarà semplice, ma potrebbe essere finalmente trasparente, giusto e umano, se affrontato con coraggio e visione. Perché ogni economia, anche quella del piacere, ha diritto a regole, dignità e giustizia.

Bonus Agricoltura 2025: fino a 180.000€ a fondo perduto per innovazione e giovani imprenditori

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Il 2025 si apre con una straordinaria opportunità per chi opera nel settore agricolo: fino a 180.000 euro a fondo perduto per chi investe in innovazione, tecnologie sostenibili e risparmio idrico. A mettere sul piatto questi contributi è Ismea, l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, con una serie di misure pensate per supportare le aziende agricole italiane in una fase cruciale di trasformazione. In un periodo in cui la transizione ecologica non è più un’opzione, ma una necessità, questi incentivi rappresentano un’arma strategica per aumentare la competitività, tagliare i costi energetici e affrontare le sfide ambientali.

Il Bonus Agricoltura 2025 è molto più di un semplice contributo economico: è una leva di sviluppo e crescita, rivolta soprattutto ai giovani imprenditori agricoli e a chi decide di puntare su tecnologie all’avanguardia, gestione sostenibile delle risorse e produzione più efficiente. L’agevolazione prevede una serie di contributi a fondo perduto, differenziati per tipo di intervento, finalizzati a sostenere progetti capaci di generare un impatto reale in termini di efficienza, redditività e tutela ambientale.

Vediamo nel dettaglio quali sono gli aiuti disponibili, chi può accedervi, come presentare domanda e quali sono i requisiti e le condizioni da rispettare per ottenere i fondi Ismea. Scopriremo anche come utilizzare questi incentivi per risparmiare legalmente sulle tasse, grazie alla combinazione con altri strumenti fiscali.

Fondo Innovazione Agricoltura ISMEA

Uno degli strumenti più interessanti messi in campo da ISMEA per il 2025 è il Fondo Innovazione Agricoltura, un’opportunità concreta per le imprese del comparto agricolo, ittico e dell’acquacoltura che vogliono investire in tecnologie avanzate e sostenibilità. Si tratta di contributi a fondo perduto, destinati a progetti innovativi finalizzati all’aumento della produttività e alla digitalizzazione dei processi aziendali. L’obiettivo? Accelerare la transizione delle imprese agricole italiane verso modelli produttivi più efficienti, meno inquinanti e capaci di ridurre i costi operativi, specialmente quelli legati all’uso di acqua, energia e sostanze chimiche.

Tra gli investimenti ammissibili figurano: l’impiego di macchinari e infrastrutture 4.0, soluzioni di agricoltura di precisione, sistemi robotici e sensoristici per il monitoraggio in tempo reale delle colture, oltre a software gestionali per il controllo digitale dell’impresa agricola. Il contributo copre una parte consistente del progetto: si può arrivare fino a 180.000 euro a fondo perduto.

Per accedere, le imprese devono essere attive da almeno due anni, e i progetti devono avere un importo compreso tra 70.000 e 500.000 euro (con soglia minima di 10.000 euro solo per il settore pesca). È importante sottolineare che gli investimenti devono iniziare solo dopo la presentazione della domanda, per essere ammessi al finanziamento. Al momento il bando non è ancora aperto, ma è stato ufficialmente annunciato e si attende l’apertura dello sportello nei prossimi mesi.

Le percentuali di contributo

Uno degli aspetti più interessanti del Bonus Agricoltura 2025 è la modulazione dei contributi a seconda dell’importo dell’investimento e della tipologia di impresa. Le percentuali del fondo perduto infatti non sono fisse, ma variano in funzione della dimensione del progetto e del profilo del richiedente, premiando in particolare i giovani imprenditori agricoli che decidono di innovare la propria attività.

Nel dettaglio, per gli investimenti più consistenti, ovvero tra 300.000 e 500.000 euro, il contributo a fondo perduto è pari al 29,25% della spesa sostenuta. Questa percentuale può salire fino al 36% nel caso in cui il richiedente sia un giovane agricoltore, ovvero un soggetto con meno di 41 anni non compiuti alla data di presentazione della domanda. In questa fascia, quindi, si può raggiungere il massimo erogabile di 180.000 euro, completamente non rimborsabile.

Tuttavia, è con i progetti di entità inferiore che le percentuali di contributo salgono, pur con un importo finale più contenuto. Ad esempio, per investimenti fino a 100.000 euro, il contributo a fondo perduto può arrivare al 48,75%, percentuale che cresce fino al 60% per i giovani agricoltori. Questo si traduce in un contributo massimo di 60.000 euro. In questo modo, la misura riesce a incentivare sia gli interventi più strutturati che le iniziative più piccole ma comunque strategiche, con un occhio di riguardo per il ricambio generazionale nel settore primario.

Generazione Terra

Un’altra grande opportunità per il 2025 è il bando Generazione Terra, una misura targata ISMEA dedicata ai giovani under 41 che vogliono avviare o ampliare un’attività agricola. In un contesto in cui la difficoltà di accesso alla terrarappresenta una delle principali barriere all’ingresso per i nuovi imprenditori agricoli, questa misura si presenta come un vero e proprio strumento strategico per il ricambio generazionale e la valorizzazione del capitale fondiario italiano.

Il bando consente di ottenere un finanziamento fino al 100% del valore di acquisto del terreno agricolo, con una durata massima di 30 anni e fino a 2 anni di preammortamento. Ciò significa che il giovane imprenditore può iniziare a investire, coltivare e sviluppare la propria attività prima di iniziare a restituire il capitale. Inoltre, per chi possiede titoli di studio in ambito agrario o comprovata esperienza professionale nel settore, è previsto anche un premio di primo insediamento fino a 100.000 euro, un incentivo concreto per sostenere le prime spese aziendali.

Attualmente il bando non è ancora aperto, ma durante l’anno sarà possibile accedere alla piattaforma ISMEA per l’invio delle domande. Proprio per questo motivo è consigliabile iniziare fin da subito a cercare terreni agricoli idonei e sviluppare un piano di investimento solido, in modo da farsi trovare pronti al momento dell’apertura dello sportello.

Bonus e vantaggi fiscali

Oltre al contributo diretto, i bandi ISMEA rappresentano anche una leva per ottimizzare la fiscalità aziendale. Infatti, le imprese agricole che decidono di investire approfittando delle misure come il Fondo Innovazione Agricoltura e Generazione Terra, possono cumulare tali contributi con altre agevolazioni fiscali già previste dall’ordinamento. Parliamo, ad esempio, dell’ammortamento accelerato, delle deduzioni fiscali per investimenti in beni strumentali, del regime fiscale agevolato per le imprese agricole e, in alcuni casi, del regime forfettario agricolo per i produttori più piccoli.

Questi strumenti permettono di abbattere legalmente il carico fiscale, aumentando al tempo stesso il valore aziendale e la capacità produttiva. Investire nel 2025 significa quindi non solo ottenere un contributo a fondo perduto, ma anche pagare meno tasse in modo del tutto legale, a condizione che il progetto sia ben pianificato e rispetti i requisiti previsti. Un’ottima occasione per modernizzare l’azienda e ottimizzare i costi operativi, ad esempio sostituendo vecchi macchinari energivori con tecnologie a basso impatto o sistemi intelligenti di irrigazione per il risparmio idrico, sempre più centrale nei piani europei di sostenibilità agricola.

È dunque strategico affiancare all’accesso ai fondi pubblici una consulenza fiscale mirata, che consenta di strutturare il progetto d’investimento in modo efficiente, sia sotto il profilo tecnico che tributario, sfruttando tutte le sinergie disponibili tra incentivi e agevolazioni.

Come e quando presentare domanda

Accedere ai contributi ISMEA non è complicato, ma è fondamentale muoversi per tempo, conoscere le scadenze e preparare con cura la documentazione necessaria. Sia il Fondo Innovazione Agricoltura che il bando Generazione Terra prevedono una procedura completamente digitale tramite la piattaforma ufficiale ISMEA, accessibile dal sito www.ismea.it. Tuttavia, al momento, entrambi i bandi non sono ancora stati aperti per l’annualità 2025, anche se sono già stati annunciati.

La tempistica di apertura degli sportelli varia di anno in anno, ma è probabile che la presentazione delle domande venga attivata nel secondo trimestre del 2025. In attesa della pubblicazione dei bandi ufficiali, è altamente consigliato iniziare a raccogliere i documenti necessari, tra cui visure catastali dei terreni, progetti tecnici, business plan, bilanci aziendali e documentazione che attesti l’esperienza professionale o i titoli di studio in campo agrario (soprattutto per i giovani imprenditori).

Le domande saranno valutate in base all’ordine cronologico di presentazione, motivo per cui è fondamentale essere pronti al momento dell’apertura. Non meno importante è il rispetto di tutti i requisiti richiesti: ad esempio, le aziende devono essere attive da almeno due anni (per il Fondo Innovazione) e non possono aver già avviato gli investimenti prima dell’invio della domanda. Per chi desidera cogliere questa occasione, la parola d’ordine è preparazione strategica.

Strategie di investimento agricolo sostenibile

Per accedere con successo ai finanziamenti ISMEA nel 2025, non basta avere un’idea: è fondamentale costruire un progetto d’investimento sostenibile, coerente e ben documentato. Questo vale sia per i contributi a fondo perduto previsti dal Fondo Innovazione Agricoltura, sia per il finanziamento agevolato di Generazione Terra. Ma quali sono le caratteristiche di un progetto vincente?

In primo luogo, deve essere in linea con le priorità europee in materia di transizione ecologica: tecnologie che migliorano l’efficienza energetica, riducono l’uso di fitofarmaci e fertilizzanti, ottimizzano le risorse idriche o introducono sistemi di gestione digitale e agricoltura di precisione. Un investimento in trattrici elettriche, droni per la distribuzione mirata di fertilizzanti, sensori per il monitoraggio del suolo, o sistemi intelligenti di irrigazione rientra perfettamente tra quelli finanziabili.

Altro elemento determinante è il business plan, che deve essere chiaro, credibile e basato su dati reali: ISMEA valuta la sostenibilità economica del progetto, quindi è importante dimostrare come l’investimento genererà redditività e competitività nel tempo. Non meno rilevante è l’aspetto ambientale: è premiato chi dimostra di voler ridurre l’impatto ecologico della propria azienda, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo e del PNRR.

Infine, una buona consulenza tecnica e fiscale può fare la differenza. Affidarsi a esperti del settore permette non solo di strutturare correttamente la domanda, ma anche di intercettare più facilmente altri incentivi cumulabili, massimizzando l’efficacia dell’investimento.

Focus su regioni e settori prioritari

Nel panorama degli aiuti agricoli ISMEA per il 2025, esistono aree geografiche e settori produttivi che possono beneficiare di una corsia preferenziale, grazie a una maggiore disponibilità di fondi o a specifiche priorità indicate nei bandi. Questi elementi sono fondamentali nella definizione di una strategia di investimento efficace, soprattutto per chi intende aumentare le possibilità di accoglimento della propria domanda.

Particolare attenzione viene riservata alle imprese agricole localizzate nel Mezzogiorno (Sud Italia e isole), in linea con la politica di riequilibrio territoriale promossa dal PNRR e dai fondi strutturali europei. Regioni come Puglia, Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania e Sardegna sono spesso considerate prioritarie in bandi ISMEA, con percentuali di contributo più elevate o con fondi riservati.

Inoltre, gli imprenditori agricoli del Sud possono spesso cumulare i contributi ISMEA con altri strumenti regionali (come PSR o bandi GAL), incrementando così la quota di aiuto ricevibile.

Per quanto riguarda i settori produttivi, sono premiate le attività con forte valore aggiunto tecnologico o legate alla sostenibilità: biologico, agricoltura di precisione, agrivoltaico, filiere corte, agroecologia. Anche l’acquacoltura innovativa e le aziende zootecniche che investono in efficienza energetica rientrano tra i comparti sostenuti. Infine, chi opera in aree interne o montane può contare su punteggi aggiuntivi, proprio per contrastare lo spopolamento e valorizzare le economie rurali locali.

Scegliere dove e in cosa investire può quindi fare la differenza tra un progetto accolto e uno respinto: conoscere il contesto territoriale e settoriale è un passo cruciale per pianificare con intelligenza e ottenere il massimo dai bandi ISMEA.

Considerazioni finali

Il 2025 rappresenta un momento decisivo per il mondo agricolo italiano. Grazie ai contributi messi a disposizione da ISMEA attraverso misure come il Fondo Innovazione Agricoltura e Generazione Terra, le aziende possono innovare, crescere e risparmiare, con un sostegno concreto che può arrivare fino a 180.000 euro a fondo perduto. I vantaggi non sono solo economici, ma anche fiscali e strategici, poiché questi strumenti permettono di abbattere i costi, migliorare la produttività e aumentare la competitività in un mercato sempre più orientato alla sostenibilità e alla digitalizzazione.

I fondi sono destinati a chi ha una visione chiara e un progetto concreto: imprenditori agricoli giovani o esperti, aziende già avviate o nuove iniziative pronte a nascere. È essenziale però prepararsi con anticipo, sviluppando un piano d’investimento solido, cercando i terreni più adatti e dotandosi della documentazione necessaria, per non rischiare di arrivare tardi all’apertura dei bandi.

In un contesto di trasformazione epocale per il settore primario, chi coglie queste opportunità oggi sarà leader del cambiamento domani. Per questo, affidarsi a una consulenza professionale è spesso la chiave per fare la differenza e massimizzare ogni incentivo disponibile, evitando errori e sfruttando tutte le possibilità cumulative tra bandi, agevolazioni fiscali e strategie d’impresa.

Bonus acquisto box auto 2025: requisiti, aliquote e istruzioni per la detrazione nel Modello Redditi PF

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Con la presentazione del Modello Redditi Persone Fisiche 2025, relativo all’anno d’imposta 2024, molti contribuenti si trovano a dover valutare quali spese possono essere portate in detrazione. Tra le agevolazioni previste dalla normativa fiscale italiana, continua a trovare applicazione la detrazione IRPEF per l’acquisto di box auto o posti auto pertinenziali di nuova costruzione, disciplinata dall’art. 16-bis del TUIR.

La Legge di Bilancio 2025 (Legge 30 dicembre 2024, n. 207) ha confermato il beneficio, che si presenta come una misura a regime (quindi non soggetta a scadenze temporali specifiche) e che consente di detrarre, in dieci rate annuali, una quota rilevante delle spese sostenute per l’acquisto dell’autorimessa, a condizione che siano rispettati precisi requisiti formali e sostanziali.

Nel corso di questo articolo verranno analizzati i presupposti normativi della detrazione, le modalità corrette di pagamento, le aliquote applicabili, le istruzioni per la compilazione del Modello Redditi PF 2025 e i principali errori da evitare. Sarà inoltre approfondita la distinzione tra casi particolari, come l’acquisto congiunto di abitazione e box, e le implicazioni fiscali relative ai limiti di spesa.

Un’analisi dettagliata, quindi, utile per orientarsi in modo corretto nella normativa fiscale e valutare con consapevolezza le opportunità di risparmio previste dalla legge.

Bonus box auto 2025

Con la Legge di Bilancio 2025 (Legge 30 dicembre 2024, n. 207), il legislatore ha confermato la possibilità di usufruire della detrazione IRPEF del 50% per l’acquisto di autorimesse o posti auto. Non si tratta di un’agevolazione temporanea, ma di una misura strutturale, disciplinata dall’art. 16-bis, comma 1, lettera d) del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Questo significa che, salvo modifiche future, la detrazione è applicabile anche per gli anni successivi, rappresentando un’opportunità stabile nel tempo per i contribuenti.

La norma si applica esclusivamente a determinate condizioni, che devono sussistere contemporaneamente affinché si possa accedere all’agevolazione.

In particolare, è necessario che:

  • il box o il posto auto sia di nuova costruzione;

  • la pertinenza sia legalmente e funzionalmente collegata a un’unità abitativa già posseduta dal contribuente, anche se acquistata contestualmente.

Il concetto di “pertinenzialità” è cruciale: il box deve essere destinato a servizio dell’abitazione principale (o di altra unità abitativa), e tale rapporto deve risultare dall’atto di acquisto o da altra documentazione idonea.

Grazie a questo bonus, è possibile detrarre il 50% del costo sostenuto, da ripartire in dieci quote annuali di pari importo. Un vantaggio fiscale importante, soprattutto in un contesto in cui il contenimento delle imposte rappresenta una priorità per molte famiglie.

Rapporto pertinenziale e modalità di pagamento

Per poter usufruire della detrazione fiscale sull’acquisto del box auto, l’elemento chiave è il rapporto di pertinenza tra il box (o posto auto) e l’unità abitativa. Tale rapporto deve essere formalizzato in modo chiaro e documentabile, risultando da un atto con data certa anteriore alla presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui si intende iniziare a beneficiare della detrazione. In genere, ciò avviene tramite il rogito notarile di compravendita, ma è sufficiente anche un contratto preliminare registrato.

Una flessibilità interessante riguarda i pagamenti effettuati prima del rogito: anche in assenza di un preliminare registrato, è comunque possibile fruire del bonus, a condizione che l’atto attestante il vincolo pertinenziale venga registrato prima della dichiarazione dei redditi.

Sul fronte dei pagamenti, la normativa richiede l’utilizzo del cosiddetto bonifico parlante, dal quale devono emergere:

  • la causale del versamento, con riferimento all’art. 16-bis del TUIR;

  • il codice fiscale del beneficiario della detrazione;

  • il codice fiscale o Partita IVA dell’impresa venditrice.

In casi eccezionali, è ammessa anche una modalità diversa di pagamento, purché il venditore rilasci una dichiarazione sostitutiva di atto notorio che attesti l’avvenuta contabilizzazione dei corrispettivi.

La detrazione non si calcola sull’intero prezzo di vendita, ma sulle spese imputabili alla costruzione del box, comprensive di IVA. L’impresa venditrice dovrà rilasciare un’attestazione dettagliata (fino a un massimo di 96.000 euro per singola unità), che riporti:

  • i dati dell’acquirente,

  • gli estremi catastali del box,

  • l’identificazione dell’unità abitativa cui il box è pertinenziale,

  • l’importo delle spese di costruzione,

  • il riferimento alla detrazione IRPEF ex art. 16-bis del TUIR.

Le aliquote di detrazione

Uno degli aspetti più rilevanti per chi intende beneficiare del bonus box auto nel Modello Redditi PF 2025 riguarda l’aliquota effettiva di detrazione da applicare. Sebbene l’Agenzia delle Entrate non abbia ancora fornito chiarimenti ufficiali in merito alle modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2025, le disposizioni normative vigenti (art. 16, comma 1, D.L. 63/2013, modificato dall’art. 1, comma 55, della Legge n. 207/2024) delineano già un quadro abbastanza chiaro.

Per l’anno 2025, infatti:

  • la detrazione è pari al 36% per l’acquisto di box non pertinenziale, oppure pertinenziale ad abitazione non principale;

  • la detrazione sale al 50% nel caso di box auto pertinenziale all’abitazione principale, ovvero l’unità immobiliare in cui il contribuente ha stabilito la residenza abituale e sia titolare del diritto di proprietà o altro diritto reale di godimento.

Nei due anni successivi (2026 e 2027), si prevede un progressivo ridimensionamento delle aliquote:

  • 30% per box non pertinenziali o relativi ad abitazioni secondarie,

  • 36% per i box auto legati a immobili adibiti ad abitazione principale.

Indipendentemente dall’aliquota, la detrazione è sempre ripartita in 10 quote annuali di pari importo e si applica a una spesa massima agevolabile di 96.000 euro per ciascun immobile.

Un’ulteriore attenzione va prestata nei casi in cui l’acquisto riguardi sia l’unità abitativa oggetto di intervento di recupero edilizio che il box pertinenziale: in questa situazione, il tetto di spesa di 96.000 euro è unico. Invece, nel caso di acquisto di due appartamenti distinti, ognuno con relativa autorimessa, il limite si raddoppia, riconoscendo quindi 96.000 euro per ciascuna unità immobiliare.

Come dichiarare il bonus

Una volta verificato il possesso di tutti i requisiti normativi, documentali e formali, è fondamentale sapere come inserire correttamente la detrazione nel Modello Redditi Persone Fisiche 2025, relativo ai redditi dell’anno 2024. Il bonus box auto, essendo riconducibile alle detrazioni per interventi edilizi (art. 16-bis del TUIR), va indicato nel Quadro RP, dedicato agli oneri detraibili.

In particolare, i dati relativi alla spesa per l’acquisto del box auto vanno riportati:

  • nel rigo RP41, se si tratta della prima annualità di detrazione (cioè se la spesa è stata sostenuta nel 2024);

  • nei righi successivi (RP42-RP47) per gli anni di detrazione successivi, nel caso in cui si stia già usufruendo della quota annuale.

Nel rigo andranno specificati:

  • l’ammontare della spesa detraibile (quella attestata dalla ditta costruttrice, fino a un massimo di 96.000 euro);

  • il numero di rata (es. 1 per la prima, 2 per la seconda, e così via);

  • il codice identificativo dell’intervento, che nel caso dell’acquisto box auto è “2” (acquisto box/posto auto pertinenziale).

È importante conservare tutta la documentazione: bonifici parlanti, atto notarile con riferimento al vincolo di pertinenzialità, attestazione dei costi di costruzione rilasciata dalla ditta venditrice e, se necessario, eventuale dichiarazione sostitutiva. L’Agenzia delle Entrate potrebbe richiedere in sede di controllo la verifica della conformità dell’intervento e dei pagamenti effettuati.

Infine, si ricorda che, se il contribuente intende delegare un intermediario per la compilazione del modello, è necessario fornirgli tutta la documentazione giustificativa, pena la decadenza del beneficio.

Errori da evitare e casistiche particolari

Sebbene il bonus per l’acquisto del box auto sia una delle agevolazioni più interessanti per i contribuenti, sono numerosi gli errori che possono compromettere l’accesso alla detrazione, anche quando la spesa è stata effettivamente sostenuta. L’Agenzia delle Entrate, infatti, è molto rigorosa nel controllo della documentazione e nella verifica dei requisiti formali. Per questo motivo è essenziale evitare alcune situazioni a rischio.

Uno degli errori più comuni è l’assenza del vincolo pertinenziale formalizzato nell’atto di acquisto o nel preliminare registrato. Anche se il box è utilizzato come autorimessa dell’abitazione, senza un vincolo espresso non è possibile ottenere la detrazione.

Altro errore frequente riguarda i pagamenti non tracciabili o privi di causale corretta. Se il bonifico non è “parlante”, oppure se manca l’indicazione del codice fiscale del beneficiario e della partita IVA del venditore, la spesa non è detraibile, a meno che non venga prodotta una dichiarazione sostitutiva dell’impresa venditrice.

Attenzione anche alle unità immobiliari in fase di costruzione: il bonus non spetta per box pertinenziali acquistati insieme a nuove abitazioni in costruzione, se queste non rientrano in interventi di recupero edilizio. In tal caso, l’intero importo potrebbe risultare escluso dalla detrazione.

Infine, nei casi di comproprietà, ciascun acquirente ha diritto alla detrazione solo per la propria quota di spesa, sempre nei limiti previsti (96.000 euro totali per l’immobile).

Conoscere queste casistiche permette di prevenire contestazioni fiscali e garantire il pieno riconoscimento dell’agevolazione.

Vantaggi fiscali

Il bonus box auto rappresenta una delle agevolazioni fiscali più interessanti e sottovalutate nell’attuale panorama tributario italiano. Non si tratta solo di un risparmio teorico, ma di un beneficio concreto e strutturale che consente di recuperare parte dell’investimento sostenuto per l’acquisto di un’autorimessa o posto auto, a condizione che sia di nuova costruzione e legato da vincolo pertinenziale all’abitazione.

Il primo vantaggio è senza dubbio la detrazione IRPEF fino al 50%, applicabile su un massimo di 96.000 euro, da ripartire in dieci quote annuali di pari importo. Questo significa una riduzione dell’imposta sul reddito per un decennio, con un impatto significativo sul bilancio familiare, specialmente per chi ha un’imposizione fiscale elevata.

Oltre alla detrazione diretta, esistono vantaggi collaterali spesso trascurati:

  • l’acquisto di un box auto aumenta il valore complessivo dell’abitazione;

  • consente di ottenere più facilmente agevolazioni legate alla prima casa (nel caso sia pertinenza dell’abitazione principale);

  • in molti casi, migliora l’accesso al credito bancario per l’acquisto dell’immobile stesso.

Dal punto di vista patrimoniale, inoltre, un box auto pertinenziale rappresenta un bene durevole e facilmente rivendibile, con un buon margine di rivalutazione, soprattutto in contesti urbani dove la disponibilità di parcheggi è limitata.

In definitiva, il bonus non è solo uno strumento di risparmio fiscale, ma un’intelligente strategia di pianificazione immobiliare e fiscale, perfettamente in linea con una gestione attiva e consapevole del proprio patrimonio.

Considerazioni finali

La disciplina relativa al bonus per l’acquisto di box auto, confermata anche per il 2025, continua a rappresentare una misura di rilevante interesse per i contribuenti che effettuano investimenti immobiliari destinati a soddisfare esigenze abitative. La possibilità di detrarre una quota significativa delle spese sostenute per l’acquisto di autorimesse o posti auto pertinenziali, purché di nuova costruzione e nel rispetto dei requisiti normativi, consente di alleggerire il carico fiscale in modo conforme alla normativa vigente.

La detrazione, tuttavia, è subordinata a specifici presupposti formali e sostanziali: la corretta dimostrazione del vincolo pertinenziale, l’effettuazione dei pagamenti secondo le modalità previste e la corretta indicazione delle spese nella dichiarazione dei redditi sono elementi essenziali per evitare la decadenza dal beneficio.

Alla luce della complessità del quadro normativo e della necessità di rispettare scrupolosamente le condizioni previste, è consigliabile valutare caso per caso la sussistenza dei requisiti e, se necessario, avvalersi del supporto di un professionista abilitato alla consulenza fiscale. Ciò consente di garantire l’accesso all’agevolazione in maniera conforme e documentata, evitando errori che potrebbero comportare contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Contributi a fondo perduto e credito agevolato per le imprese commerciali: guida al bando 2025

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Nel 2025, le attività commerciali con sede in Sardegna avranno un’opportunità unica per rilanciare i propri investimenti grazie a una nuova misura promossa dalla Regione: contributi in conto capitale abbinati a operazioni di credito agevolato, pensati per sostenere l’ammodernamento, l’ampliamento e la crescita delle micro, piccole e medie imprese del territorio.

Parliamo di un intervento concreto che punta a stimolare l’economia locale, favorendo l’accesso al credito bancario con il supporto pubblico e incentivando anche l’occupazione, grazie a un bonus dedicato alle aziende che assumono nuovo personale. I contributi coprono fino al 40% della spesa sostenuta per beni strumentali, con la possibilità di ottenere fino a 15.000 euro aggiuntivi per ogni incremento certificato della forza lavoro (ULA).

La misura si rivolge a tutte le imprese attive nel commercio che vogliono investire in macchinari, impianti, software, immobili, arredi, scorte o automezzi, e si applica anche a investimenti già conclusi, se effettuati tra il 6 ottobre 2021 e il 5 giugno 2025.

Se sei un imprenditore sardo e stai pensando di investire nella tua attività, questo è il momento giusto per scoprire come accedere ai contributi, quali sono le spese ammissibili, i vantaggi fiscali e i requisiti necessari per non perdere questa occasione. Vediamo nel dettaglio tutto ciò che c’è da sapere sul bando contributi per attività commerciali Sardegna 2025.

Investimenti in beni strumentali

l contributo regionale previsto per il 2025 si concentra su una finalità precisa: sostenere gli investimenti in beni strumentali funzionali all’attività commerciale. Parliamo, quindi, di tutti quei beni – macchinari, attrezzature, impianti, arredi, software, veicoli ad uso specifico – che risultano essenziali per l’esercizio quotidiano dell’impresa.

La valutazione della loro effettiva strumentalità è affidata all’istruttore incaricato, che può richiedere all’impresa una relazione dettagliata sul loro utilizzo. Questo significa che ogni investimento dovrà essere ben documentato e giustificato, rendendo cruciale l’affiancamento di un professionista sin dalla fase di progettazione della domanda.

Il contributo principale previsto dall’avviso consiste in un finanziamento a fondo perduto fino al 40% delle spese ammissibili, al netto delle imposte, sostenute per l’acquisto di beni strumentali tramite operazioni di credito agevolato con banche autorizzate.

In parallelo, l’avviso prevede anche un contributo premiale in conto esercizio, pari a 5.000 euro per ogni ULA (Unità Lavorativa Annua) incrementata, fino a un massimo di 15.000 euro, se l’impresa assume nuovo personale nel periodo oggetto di valutazione.

Importante sottolineare che entrambi i contributi sono soggetti alla ritenuta del 4%, come previsto dalla normativa fiscale vigente. L’intero processo istruttorio – dalla valutazione delle domande all’erogazione dei fondi – sarà gestito dalle Camere di Commercio (CCIAA) e da TSC, soggetti preposti dalla Regione Sardegna.

Contributi a fondo perduto e premi occupazionali

Per accedere alla misura regionale 2025, l’investimento minimo richiesto è di 5.000 euro: una soglia accessibile anche alle microimprese e ai piccoli commercianti, che rende l’agevolazione inclusiva e scalabile. A fronte di questa spesa, il contributo base concesso dalla Regione consiste in un finanziamento a fondo perduto pari al 40% dell’importo ammissibile, calcolato al netto dell’IVA e delle imposte. Un’opportunità significativa per alleggerire l’impatto degli investimenti e migliorare la liquidità aziendale, soprattutto in fase di espansione o ristrutturazione dell’attività.

A questa misura si aggiunge un incentivo premiale per l’incremento occupazionale, destinato alle imprese che, contestualmente alla realizzazione dell’investimento, aumentano la propria forza lavoro. Il premio è di 5.000 euro per ogni ULA (Unità Lavorativa Annua) certificata in più, con un tetto massimo di 15.000 euro complessivi. Questa componente premiale si traduce in un doppio beneficio: economico, grazie al contributo diretto, e strategico, poiché favorisce l’ampliamento dell’organico, con un impatto positivo anche sul punteggio in eventuali futuri bandi regionali o nazionali.

Sotto il profilo fiscale, è fondamentale ricordare che entrambi i contributi sono soggetti a ritenuta del 4%, da applicare nei casi previsti dalla normativa vigente. Ciò implica una corretta pianificazione dei flussi in entrata, da gestire con il supporto di un consulente fiscale per evitare errori nella rendicontazione.

Tempistiche, condizioni e obblighi

Uno degli aspetti fondamentali dell’Avviso 2025 riguarda il periodo di eleggibilità degli investimenti: solo le spese sostenute dal 6 ottobre 2021 al 5 ottobre 2023 e dal 5 ottobre 2023 fino alla data di presentazione della domandapossono essere ammesse a contributo. Questo significa che anche investimenti già effettuati in passato, purché recenti e coerenti con i requisiti dell’Avviso, possono essere valorizzati attraverso il contributo regionale.

Attenzione però: al momento della presentazione della domanda, gli investimenti devono risultare integralmente realizzati, saldati, nella piena disponibilità dell’impresa e già operativi nell’ambito dell’attività commerciale. In altri termini, non è ammesso presentare progetti futuri o investimenti parzialmente realizzati: la misura non finanzia promesse, ma sostiene attività già concluse e documentate. Tutti i beni devono essere stati acquistati, pagati con mezzi tracciabili, installati e messi al servizio dell’impresa, il che richiede una gestione puntuale della rendicontazione.

È quindi consigliabile predisporre un fascicolo tecnico-amministrativo completo, che includa fatture, prove di pagamento, foto, contratti, libretti d’uso, e ogni documento utile a dimostrare la reale messa in funzione dei beni. Il supporto di un commercialista o di un consulente esperto nella redazione della domanda è altamente raccomandato, anche per evitare errori formali che potrebbero compromettere l’ammissibilità al contributo.

Come presentare la domanda

Per accedere ai contributi previsti dalla Regione Sardegna nell’annualità 2025, le imprese interessate dovranno rispettare modalità e tempistiche molto precise. La domanda di partecipazione dovrà essere presentata esclusivamente online tramite il portale SIPES, accessibile all’indirizzo: https://sipes.regione.sardegna.it/sipes. Nessun altro canale di trasmissione sarà considerato valido, né sarà possibile inviare documentazione cartacea o tramite PEC.

Il portale sarà operativo per l’invio delle richieste a partire dalle ore 10:00 del 6 maggio 2025 e resterà attivo fino alle ore 23:59 del 5 giugno 2025. Si tratta di una finestra temporale piuttosto ristretta, per cui è fondamentale che le imprese si organizzino per tempo, preparando tutta la documentazione necessaria con largo anticipo. Anche perché, come specificato nell’Avviso, la domanda deve contenere tutti gli investimenti già effettuati e completati, il che implica un lavoro preparatorio di raccolta dati, verifica delle spese, compilazione delle relazioni tecniche e predisposizione delle dichiarazioni richieste.

Per evitare rallentamenti o errori tecnici, è consigliabile accedere al portale SIPES con largo anticipo rispetto alla scadenza, anche per familiarizzare con la piattaforma. Un errore comune, infatti, è quello di sottovalutare i passaggi digitali: dimenticanze, documenti non firmati digitalmente o allegati mancanti possono invalidare l’intera pratica. Anche per questo motivo, è fortemente consigliato l’affiancamento di un professionista abilitato.

Spese ammissibili

Uno degli aspetti più rilevanti del bando 2025 della Regione Sardegna riguarda l’ampio spettro di spese ammissibili per ottenere il contributo in conto capitale. La misura è pensata per sostenere in modo concreto le imprese che vogliono modernizzare, espandere o rendere più efficienti le proprie attività commerciali, e ciò si riflette nell’elenco degli investimenti agevolabili.

Tra le voci finanziabili rientra innanzitutto l’acquisto di macchinari, attrezzature, impianti, mobili e arredidirettamente funzionali all’attività svolta. Rilevante anche la possibilità di includere software gestionali, licenze, brevetti e diritti d’autore, spese spesso trascurate ma fondamentali per la digitalizzazione e la competitività dell’impresa.

È ammesso anche l’acquisto di scorte di prodotti finiti, un’opzione particolarmente utile per le attività commerciali che lavorano con margini stagionali o su larga rotazione di magazzino. Tra le spese ammesse figurano anche gli autoveicoli, ma con limitazioni specifiche: dovranno essere strettamente funzionali all’attività (es. veicoli refrigerati per alimentari, mezzi di consegna, ecc.) e non utilizzabili per fini personali.

Interessante la possibilità di includere acquisti di terreni destinati alla costruzione o all’ampliamento di fabbricati, così come le opere di costruzione, ristrutturazione, ammodernamento e ampliamento di immobili: in entrambi i casi, la spesa è agevolabile entro un limite massimo del 25% del totale dell’investimento. Questa limitazione risponde alla volontà del legislatore di favorire beni produttivi rispetto a quelli immobiliari.

Chi può accedere al contributo

Il bando della Regione Sardegna per il 2025 è rivolto esclusivamente alle imprese che operano nel settore del commercio, con particolare riferimento a micro, piccole e medie imprese (MPMI), in linea con la definizione europea stabilita dalla Raccomandazione 2003/361/CE. Sono ammesse sia imprese individuali sia società, purché regolarmente iscritte al Registro delle Imprese e con sede operativa nel territorio regionale.

Un requisito fondamentale è che l’attività commerciale sia effettivamente avviata e operativa: non sono ammesse imprese in fase di avvio o con codice ATECO non coerente con le finalità del bando. Le imprese devono essere in regola con gli obblighi contributivi e fiscali (DURC regolare), non trovarsi in stato di difficoltà economica ai sensi della normativa europea sugli aiuti di Stato e non avere procedure concorsuali in corso.

È richiesta anche la piena titolarità giuridica dei beni oggetto di investimento, che devono essere nella disponibilità dell’impresa al momento della domanda. Inoltre, la misura esclude i soggetti che abbiano ricevuto e non rimborsato aiuti considerati incompatibili dalla Commissione Europea.

Infine, è importante sottolineare che l’impresa deve dimostrare di aver effettuato l’investimento con fondi propri o tramite operazioni di credito agevolato con istituti finanziari abilitati. Il contributo pubblico, infatti, viene calcolato su queste operazioni finanziarie documentate, e non su semplici spese ordinarie.

Vantaggi fiscali, strategici e operativi

Accedere ai contributi in conto capitale e alle premialità previste dal bando della Regione Sardegna non rappresenta solo un’opportunità di finanziamento agevolato, ma anche uno strumento strategico per il consolidamento e la crescita dell’impresa commerciale. I benefici si riflettono su più livelli: fiscale, economico e gestionale.

Dal punto di vista fiscale, il contributo a fondo perduto non concorre alla formazione del reddito d’impresa, a meno che non sia iscritto tra i ricavi, e viene assoggettato a una ritenuta del 4% nei casi previsti dalla normativa. Questo permette all’impresa di alleggerire il carico fiscale complessivo, soprattutto se accompagnato da un’attenta pianificazione delle deduzioni e delle agevolazioni già previste per i beni strumentali acquistati.

Sul piano economico e operativo, la misura consente di acquisire beni e tecnologie senza gravare in modo eccessivo sulla liquidità aziendale, grazie al cofinanziamento pubblico. Questo si traduce in una maggiore capacità di innovazione, ammodernamento dei processi, efficientamento energetico e rafforzamento della competitività sul mercato.

Inoltre, il premio per l’assunzione di nuovo personale rappresenta un incentivo concreto all’ampliamento dell’organico, offrendo un sostegno diretto alla crescita occupazionale. Tale incremento di forza lavoro può avere effetti positivi anche in chiave di accesso ad altri bandi e agevolazioni, poiché molte misure pubbliche premiano le aziende che dimostrano impatti sociali ed economici rilevanti.

Infine, non va trascurato l’aspetto della reputazione aziendale: accedere a fondi pubblici e realizzare investimenti visibili e tracciabili può aumentare la fiducia di clienti, fornitori e partner finanziari.

Guida operativa

Alla luce di quanto analizzato, l’Avviso 2025 della Regione Sardegna rappresenta una straordinaria occasione di sostegno economico e sviluppo per le attività commerciali, in particolare per micro, piccole e medie imprese che desiderano innovare e crescere. Tuttavia, per cogliere appieno questa opportunità è essenziale prepararsi per tempo e con metodo.

Ecco una breve checklist operativa per le imprese interessate:

  1. Verifica dei requisiti: assicurarsi di essere in possesso di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi, compresa la regolarità contributiva e la piena titolarità dei beni.

  2. Documentazione degli investimenti: raccogliere tutte le fatture, ricevute di pagamento, contratti, relazioni tecniche e fotografie che dimostrino l’avvenuta realizzazione dell’investimento.

  3. Redazione della relazione ULA (se si prevede l’incremento occupazionale): affidarsi a un consulente del lavoro o commercialista abilitato per la certificazione del personale assunto.

  4. Registrazione al portale SIPES: accedere al sito https://sipes.regione.sardegna.it/sipes e familiarizzare con la piattaforma prima dell’apertura dello sportello (6 maggio 2025).

  5. Assistenza professionale: farsi affiancare da un commercialista esperto per la redazione della domanda, la corretta compilazione dei moduli e l’invio telematico.

Ricordiamo che la scadenza per la presentazione delle domande è fissata al 5 giugno 2025: un termine perentorio, oltre il quale non sarà possibile inoltrare alcuna richiesta.

Per le imprese sarde questa misura non è solo un incentivo economico, ma un vero e proprio strumento di rilancio e modernizzazione, da cogliere con consapevolezza e visione strategica.

Considerazioni finali

Il bando 2025 della Regione Sardegna rappresenta molto più di una semplice agevolazione finanziaria: è uno strumento strategico pensato per stimolare gli investimenti produttivi, sostenere l’innovazione commerciale e favorire l’occupazione nel territorio regionale.

Grazie al contributo a fondo perduto fino al 40% della spesa ammissibile e al premio per l’incremento della forza lavoro, le imprese sarde hanno oggi la possibilità concreta di rafforzare la propria struttura e migliorare la competitività sul mercato.

Le condizioni previste dal bando sono chiare, accessibili e pensate per premiare le aziende che dimostrano di voler investire realmente sul territorio e sulla propria crescita. Tuttavia, per non perdere questa opportunità, è fondamentale rispettare le scadenze, predisporre la documentazione con cura e affidarsi a un professionista qualificato per la presentazione della domanda tramite il portale SIPES.

Se sei un imprenditore che ha già effettuato investimenti tra il 2021 e oggi, o se stai pianificando un ammodernamento della tua attività commerciale, questa misura potrebbe fare davvero la differenza. È il momento di valutare attentamente la tua situazione, raccogliere i documenti necessari e prepararti a presentare la domanda tra il 6 maggio e il 5 giugno 2025.

Contattaci per ricevere supporto professionale nella compilazione della domanda, nell’analisi delle spese ammissibili e nella massimizzazione del contributo spettante. Il futuro della tua impresa può iniziare con un click.

Bando ISI INAIL 2024: al via dal 14 aprile 2025 le domande per accedere a 600 milioni di euro

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Engineer helmet and drawing equipment. Architectural Office desk construction project.

Anche per il 2024, INAIL conferma il suo impegno nella promozione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro con la nuova edizione del Bando ISI, una delle misure più attese e strategiche per le imprese italiane. Quest’anno, la dotazione finanziaria raggiunge la cifra record di 600 milioni di euro, destinati a finanziare progetti volti a ridurre i rischi professionali e migliorare le condizioni operative in azienda.

A partire dal 14 aprile 2025 sarà attiva la piattaforma telematica per la compilazione delle domande, che potranno essere presentate fino alle ore 18:00 del 30 maggio 2025. Seguirà poi la fase del click day, il cui calendario definitivo sarà pubblicato entro il 16 maggio 2025.

Il bando si articola su cinque assi di finanziamento e si rivolge a imprese di ogni dimensione, incluse le micro e piccole imprese agricole, nonché agli enti del Terzo settore per specifici progetti. Un’occasione da non perdere, sia per rafforzare la cultura della sicurezza, sia per ottenere un contributo a fondo perduto fino all’80% delle spese sostenute.

In questo articolo vedremo nel dettaglio come funziona il Bando ISI 2024, chi può partecipare, quali progetti sono ammessi e soprattutto come massimizzare le possibilità di ottenere il finanziamento, anche in ottica di risparmio fiscale e cumulabilità con altre agevolazioni.

Struttura del Bando

Come ogni anno, INAIL ha pubblicato con puntualità gli Avvisi pubblici regionali e provinciali relativi al Bando ISI 2024, lo strumento attraverso il quale vengono finanziati interventi per il miglioramento della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in attuazione del D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza) e della Legge 208/2015.

L’obiettivo è duplice: ridurre il numero degli infortuni e delle malattie professionali, e supportare economicamente le imprese che investono in sicurezza.

La dotazione complessiva per l’edizione 2024 supera i 508 milioni di euro, a cui si aggiungono ulteriori fondi regionali, portando il totale a circa 600 milioni di euro. I contributi sono a fondo perduto e differenziati in base a tipologia di intervento, dimensione aziendale e settore economico, così da garantire equità nella distribuzione e favorire anche le micro e piccole imprese.

INAIL ha già comunicato il calendario ufficiale: la piattaforma telematica per la presentazione delle domande sarà aperta dal 14 aprile al 30 maggio 2025 (ore 18:00). È atteso un aggiornamento con la data precisa del click day, previsto entro il 16 maggio 2025.

Si tratta di un momento cruciale, perché l’invio delle domande avverrà in ordine cronologico: essere rapidi e preparati può fare la differenza tra accedere ai fondi o restare esclusi.

Chi può partecipare

Il Bando ISI INAIL 2024 si rivolge principalmente alle imprese, anche individuali, regolarmente iscritte alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (CCIAA). Oltre alle imprese, è prevista la partecipazione anche degli Enti del Terzo Settore, purché rientrino nei criteri definiti dal Decreto Legislativo n. 117/2017, modificato dal D.Lgs. 105/2018, e limitatamente ai progetti per la riduzione del rischio da movimentazione manuale di persone (Asse 2, tipo d).

I progetti ammessi a finanziamento sono suddivisi in cinque Assi, ciascuno con specifici ambiti d’intervento:

  • Asse 1: Progetti per la riduzione dei rischi tecnopatici (es. malattie professionali) e per l’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale;

  • Asse 2: Interventi per la riduzione dei rischi infortunistici, con particolare attenzione alla movimentazione manuale dei carichi;

  • Asse 3: Progetti di bonifica da materiali contenenti amianto, sempre molto richiesti soprattutto nelle PMI manifatturiere;

  • Asse 4: Iniziative specifiche rivolte a micro e piccole imprese attive in determinati settori produttivi, individuati da INAIL;

  • Asse 5: Progetti a favore di micro e piccole imprese agricole, impegnate nella produzione primaria di prodotti agricoli.

Questa articolazione permette un’equa distribuzione delle risorse, garantendo il sostegno sia alle grandi realtà produttive sia alle imprese più piccole, che spesso faticano a sostenere autonomamente interventi di messa in sicurezza o bonifica. La varietà degli assi rende il bando estremamente versatile e accessibile a diversi tipi di organizzazione.

Misura del contributo

Il Bando ISI INAIL 2024 mette a disposizione una somma complessiva di 600 milioni di euro, suddivisa in 510 milioni per il bando ISI generale e 90 milioni per il bando ISI Agricoltura, a beneficio di progetti che puntano a migliorare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Le risorse sono state ripartite tra i vari assi di finanziamento nel seguente modo:

  • Asse 1.1 (Rischi tecnopatici): 93.000.000 €

  • Asse 1.2 (Modelli organizzativi e responsabilità sociale): 12.000.000 €

  • Asse 2 (Rischi infortunistici): 165.000.000 €

  • Asse 3 (Bonifica amianto): 150.000.000 €

  • Asse 4 (Specifici settori di attività): 90.000.000 €

  • Asse 5.1 (Agricoltura): 70.000.000 €

  • Asse 5.2 (Agricoltura giovani): 20.000.000 €

La ripartizione territoriale delle risorse è stata effettuata in base a criteri statistico-attuariali elaborati dalla Consulenza dell’INAIL, che tengono conto:

  • Della propensione delle imprese regionali a partecipare al bando;

  • Del rapporto tra numero di addetti e gravità degli infortuni passati.

Il contributo è a fondo perduto e varia in base all’asse di riferimento:

  • 65% delle spese ammissibili per gli Assi 1.1, 2, 3 e 4;

  • 80% per l’Asse 1.2, dedicato ai modelli organizzativi (senza limite minimo per imprese con meno di 50 dipendenti);

  • Per l’Asse 5:

    • fino al 65% per le imprese agricole generiche (5.1);

    • fino al 80% per i giovani agricoltori (5.2).

L’importo finanziabile oscilla tra un minimo di 5.000 euro e un massimo di 130.000 euro, incentivando così anche gli interventi di minore entità, senza escludere quelli più strutturati.

Come presentare la domanda

La presentazione della domanda per il Bando ISI INAIL 2024 avviene esclusivamente in modalità telematica, seguendo le indicazioni riportate negli Avvisi pubblici regionali o provinciali. Le imprese devono accedere al portale ufficiale dell’INAIL (www.inail.it), cliccando su “Accedi ai servizi online”, dove troveranno una procedura guidata per la compilazione, l’inoltro e la conferma della domanda.

Il sistema consente anche di caricare i documenti richiesti direttamente online. È fondamentale che ogni impresa controlli attentamente l’Avviso della propria regione, poiché possono esserci specifiche tecniche o documentali da rispettare in fase di caricamento.

Le date ufficiali relative alla compilazione e invio delle domande verranno pubblicate entro il 26 febbraio 2025 all’interno del calendario scadenze ISI 2024 sul portale INAIL. Attualmente, è già stato stabilito che la finestra per la compilazione sarà aperta dal 14 aprile al 30 maggio 2025, ma si attende conferma delle tempistiche per il successivo click day.

Per supportare le imprese in questa fase tecnica e delicata, INAIL mette a disposizione diversi canali di assistenza:

  • il Contact Center al numero 06.6001,

  • il servizio online “Inail Risponde”, disponibile nella sezione “Supporto” del sito ufficiale.

L’assistenza è disponibile fino a 10 giorni prima della chiusura della fase di compilazione, quindi è consigliabile non ridursi all’ultimo momento per evitare errori o problemi tecnici che potrebbero compromettere l’invio della domanda.

Strategie

Partecipare al Bando ISI INAIL non significa solo presentare un progetto valido, ma anche prepararsi strategicamente per affrontare al meglio le fasi della domanda, soprattutto in vista del temuto click day, in cui l’ordine cronologico di invio può fare la differenza tra ottenere il contributo o restare esclusi.

Ecco alcuni consigli utili per massimizzare le probabilità di successo:

  1. Analisi preventiva del progetto: prima di accedere alla piattaforma INAIL, è essenziale valutare se l’intervento rientra tra quelli finanziabili, consultando con attenzione gli allegati tecnici (Allegati 1.1, 1.2, 2, 3, 4, 5) e confrontandosi con un consulente esperto in materia di sicurezza e agevolazioni.

  2. Preparazione anticipata della documentazione: molti progetti richiedono relazioni tecniche, perizie, dichiarazioni e certificazioni. Raccogliere tutto in anticipo consente di risparmiare tempo prezioso durante la fase di compilazione online.

  3. Compilazione attenta e simulazione invio: la piattaforma consente di simulare l’invio per verificare eventuali errori o mancanze. Utilizzarla con anticipo permette di arrivare preparati al momento dell’invio definitivo.

  4. Velocità e precisione il giorno del click day: nel momento in cui si apre la fase di invio definitivo, ogni secondo conta. È consigliabile disporre di una connessione stabile, evitare distrazioni e, se possibile, delegare la gestione a un professionista abituato a partecipare a bandi INAIL.

  5. Assistenza professionale: affidarsi a uno studio commercialista o a un consulente specializzato in bandi pubblici può aumentare significativamente le probabilità di ottenere il finanziamento, evitando errori procedurali e sfruttando al massimo le possibilità offerte dal bando.

Vantaggi economici e fiscali

Il Bando ISI INAIL 2024 rappresenta una delle opportunità più concrete per le imprese italiane di ottenere contributi a fondo perduto per realizzare investimenti mirati alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Dal punto di vista economico, il vantaggio principale è la possibilità di accedere a un finanziamento che copre fino all’80% delle spese ammissibili, con un massimo di 130.000 euro. Questo significa ridurre in modo sostanziale l’impatto economico di progetti che altrimenti richiederebbero risorse finanziarie ingenti.

Dal punto di vista fiscale, le spese coperte dal finanziamento ISI possono essere considerate a tutti gli effetti oneri deducibili, migliorando così la posizione fiscale dell’azienda. Inoltre, l’investimento in sicurezza comporta benefici indiretti ma rilevanti: riduzione dell’assenteismo, minore incidenza di infortuni sul lavoro, miglioramento del clima aziendale e maggiore attrattività per partner e investitori.

Infine, è bene ricordare che gli interventi finanziabili vanno ben oltre la semplice messa a norma degli ambienti di lavoro: rientrano anche interventi di innovazione tecnologica, formazione, adozione di modelli organizzativi avanzati e bonifiche ambientali. Questo rende il bando una leva strategica non solo per rispettare gli obblighi normativi, ma anche per potenziare la competitività aziendale a lungo termine.

Cumulo del Bando ISI INAIL con altri incentivi

Uno degli aspetti più interessanti del Bando ISI INAIL 2024 è la possibilità di cumulare il contributo con altre agevolazioni pubbliche, a patto che non venga superato il limite dell’intensità massima di aiuto prevista dai vari regimi applicabili. Questo consente alle imprese di integrare le fonti di finanziamento e massimizzare il vantaggio economico dell’investimento in sicurezza.

Ad esempio, il contributo a fondo perduto dell’INAIL può essere combinato con il credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali 4.0, con il bonus Sud (per le imprese che operano nelle regioni del Mezzogiorno), oppure con bandi regionali o provinciali che prevedano incentivi simili. In presenza di contributi cumulabili, è necessario verificare attentamente il regime di aiuto applicabile (es. “de minimis” o aiuti compatibili con l’art. 107 TFUE).

In pratica, una microimpresa agricola del Sud potrebbe beneficiare contemporaneamente di:

  • contributo INAIL a fondo perduto fino all’80% (Asse 5.2);

  • credito d’imposta agricoltura 4.0;

  • agevolazioni regionali per la digitalizzazione o l’efficientamento energetico.

Naturalmente, per non incorrere in errori o in dichiarazioni improprie, è fortemente consigliato affidarsi a un consulente fiscale o a uno studio professionale, in grado di costruire un piano di finanziamento coerente, legale e sostenibile.

Considerazioni finali

Il Bando ISI INAIL 2024 è molto più di un semplice incentivo economico: è una vera occasione di crescita e tutela per le imprese italiane. Investire oggi nella sicurezza, nella salute dei lavoratori e nella sostenibilità ambientale significa proteggere il futuro dell’azienda, migliorare la propria reputazione e aumentare la produttività interna.

La disponibilità di 600 milioni di euro, l’ampia gamma di interventi finanziabili e le alte percentuali di copertura delle spese rendono questa edizione del bando una delle più ricche e vantaggiose di sempre. Tuttavia, come ogni anno, le risorse sono limitate e l’accesso è subordinato al rispetto di tempistiche molto precise e all’efficienza nella fase di invio della domanda, soprattutto durante il click day.

Per questo motivo è fondamentale iniziare subito a preparare la documentazione, valutare la fattibilità del proprio progetto e, se possibile, affidarsi a professionisti del settore per evitare errori che potrebbero compromettere l’esito della domanda.

Non aspettare l’ultimo momento: il tempo è un fattore decisivo. Ogni giorno guadagnato nella preparazione è un passo in più verso l’ottenimento di un contributo che può fare la differenza.

Sicurezza, innovazione e risparmio fiscale: il Bando ISI 2024 è l’opportunità che ogni impresa dovrebbe cogliere.

Investimenti 4.0: riaprono gli incentivi per le PMI del Sud dal 20 maggio 2025

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Digital tablet and financial document with pen at workplace on background of three business partners interacting

Transizione digitale, efficienza energetica e sostenibilità ambientale non sono più scelte opzionali per le imprese italiane, ma vere e proprie leve strategiche di sviluppo e competitività, soprattutto per quelle realtà che operano nel Mezzogiorno. Il Governo italiano rilancia nel 2025 uno dei programmi più attesi: gli Investimenti Sostenibili 4.0, una misura pensata per accompagnare le micro, piccole e medie imprese del Sud Italia verso un futuro più digitale e green.

Con il Decreto Direttoriale del 31 marzo 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha ufficializzato la riapertura dello sportello per la presentazione delle domande a partire dal 20 maggio 2025, con una finestra anticipata per la compilazione già dal 30 aprile. La dotazione finanziaria supera i 300 milioni di euro, con incentivi fino al 75% dell’investimento, tra contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso zero.

Ma attenzione: si tratta di una misura a sportello, con fondi assegnati in base all’ordine cronologico di presentazione. Questo significa che solo chi è pronto per tempo potrà beneficiare delle agevolazioni.

In questo articolo analizziamo in dettaglio chi può accedere, quali investimenti sono ammessi, come funziona la domanda, e quali sono i vantaggi fiscali da non sottovalutare. Se sei un imprenditore nel Sud Italia, questo è il momento di agire.

Il Decreto 31 marzo 2025

Con il Decreto Direttoriale del 31 marzo 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha stabilito le regole operative per la presentazione delle domande relative alla misura Transizione 4.0, rivolta in particolare alle micro, piccole e medie imprese (PMI) con sede nelle regioni del Mezzogiorno. Questa iniziativa si inserisce nel quadro degli interventi previsti dal Decreto Ministeriale del 22 novembre 2022, e si propone di incentivare gli investimenti in innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale, con l’obiettivo di accelerare la transizione digitale e verde delle imprese italiane.

La dotazione finanziaria disponibile supera i 300 milioni di euro, stanziati nell’ambito del Programma Nazionale “Ricerca, Innovazione e Competitività per la transizione verde e digitale 2021-2027”. Le imprese interessate potranno inviare le domande a partire dal 20 maggio 2025, attraverso la piattaforma online gestita da Invitalia, che agirà anche come soggetto attuatore e supporto tecnico per tutta la durata della misura.

Le domande saranno valutate con una procedura a sportello, fino a esaurimento fondi, e saranno premiati i progetti con una forte solidità economico-finanziaria, una qualità progettuale elevata e un significativo impatto ambientale. È quindi fondamentale predisporre una documentazione chiara, completa e orientata agli obiettivi strategici del piano.

Chi può accedere

Le agevolazioni previste dal decreto sugli Investimenti Sostenibili 4.0 sono destinate a una platea ben definita di beneficiari: le micro, piccole e medie imprese (PMI) che rispettano determinati criteri economici, giuridici e territoriali.

In particolare, possono presentare domanda le imprese che:

  • Sono regolarmente costituite, attive e iscritte nel Registro delle Imprese;

  • Non si trovano in stato di liquidazione, fallimento o in altra procedura concorsuale;

  • Operano in regime di contabilità ordinaria, con almeno due bilanci approvati oppure due dichiarazioni dei redditi presentate, requisito che consente di dimostrare continuità operativa e solidità economica;

  • Hanno una sede operativa situata in una delle Regioni meno sviluppate del Mezzogiorno, ovvero: Molise, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna.

Questa selezione geografica risponde all’obiettivo del programma nazionale di colmare i divari territoriali e rafforzare la competitività delle imprese meridionali attraverso la digitalizzazione, l’adozione di tecnologie 4.0 e soluzioni produttive più sostenibili dal punto di vista ambientale.

Le imprese interessate devono quindi fare una verifica preliminare della propria situazione amministrativa, contabile e territoriale, in quanto il rispetto di questi requisiti è vincolante ai fini dell’ammissibilità della domanda.

Investimenti ammissibili

Il decreto sugli Investimenti Sostenibili 4.0 punta a sostenere interventi di innovazione ad alto impatto in termini di efficienza, tecnologia e sostenibilità.

Sono ammessi esclusivamente gli investimenti che rispondono a precisi obiettivi strategici:

  • Efficientamento energetico, con un risparmio minimo del 5% sui consumi energetici rispetto alla situazione iniziale;

  • Transizione digitale, tramite l’adozione di tecnologie avanzate come Internet of Things (IoT), Intelligenza Artificiale (AI), blockchain e sistemi integrati;

  • Sostenibilità ambientale, con l’introduzione di processi produttivi a basso impatto ecologico e modelli basati sull’economia circolare.

I progetti devono prevedere investimenti con un valore compreso tra 750.000 euro e 5 milioni di euro, e devono essere avviati solo dopo la presentazione della domanda, pena l’inammissibilità al contributo.

Le agevolazioni previste includono un sostegno fino al 75% dell’investimento, articolato in:

  • Contributo a fondo perduto pari al 35% dell’importo ammissibile;

  • Finanziamento agevolato fino al 40%, rimborsabile in 7 anni e a tasso zero.

Va evidenziato che una quota del 25% dei fondi è riservata esclusivamente a micro e piccole imprese, per garantire un accesso equo e incentivare l’innovazione nelle realtà più piccole.

Le imprese beneficiarie sono tenute a mantenere l’investimento per almeno tre anni, garantire tracciabilità nei pagamenti, il rispetto degli obblighi ambientali e evitare delocalizzazioni per almeno due anni dopo il completamento del progetto. Il mancato rispetto di tali vincoli può comportare la revoca delle agevolazioni e l’obbligo di restituire integralmente i fondi ricevuti.

Modalità di accesso

Con il Decreto Direttoriale del 31 marzo 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha definito le modalità operative per la presentazione delle domande di agevolazione, che potranno essere inviate esclusivamente online, tramite la piattaforma digitale messa a disposizione da Invitalia, soggetto gestore dell’intervento.

L’iter prevede due fasi distinte:

  • Compilazione della domanda: disponibile a partire dalle ore 10:00 del 30 aprile 2025;

  • Invio telematico della domanda: possibile dalle ore 10:00 del 20 maggio 2025.

Come stabilito dall’articolo 9, comma 3, del DM 22 novembre 2022, ogni impresa può presentare una sola domanda, salvo rigetto in fase istruttoria, che consente una nuova presentazione. Le domande saranno valutate secondo l’ordine cronologico giornaliero: tutte le istanze inviate nello stesso giorno saranno considerate alla pari, indipendentemente dall’orario esatto di presentazione.

In caso di insufficienza dei fondi per accogliere tutte le richieste dello stesso giorno, si procederà con una graduatoria di merito, fino a esaurimento delle risorse.

Per accedere alla piattaforma, l’impresa dovrà autenticarsi tramite SPID, Carta Nazionale dei Servizi o Carta d’Identità Elettronica (CIE). L’accesso è consentito al legale rappresentante dell’impresa, ma è anche possibile delegare un soggetto terzo con procura. Le imprese non residenti in Italia, invece, dovranno seguire modalità specifiche che saranno comunicate direttamente da Invitalia attraverso la piattaforma informatica.

Vantaggi fiscali

Uno degli elementi che rendono particolarmente attrattivo il piano Investimenti Sostenibili 4.0 è la possibilità di beneficiare di vantaggi fiscali e finanziari di grande rilevanza, in aggiunta agli aiuti diretti come i contributi a fondo perduto o i finanziamenti agevolati. Le imprese che investono in tecnologie abilitanti e processi sostenibili possono infatti rientrare nel quadro più ampio del Piano Transizione 4.0, che prevede crediti d’imposta su diverse categorie di spesa.

Nel dettaglio, le PMI possono cumulare le agevolazioni con:

  • Il credito d’imposta per beni strumentali 4.0, pari al 20% fino a 2,5 milioni di euro per macchinari e attrezzature innovative;

  • Il credito d’imposta per ricerca, sviluppo e innovazione, che arriva fino al 20% per attività di R&S e al 15% per progetti green e digitali;

  • Il credito d’imposta per formazione 4.0, dedicato allo sviluppo delle competenze del personale interno su tecnologie avanzate.

La cumulabilità è soggetta al rispetto del massimale previsto dal Temporary Framework europeo e alla verifica che i costi non siano finanziati due volte. In pratica, l’impresa può ottimizzare il carico fiscale e migliorare la propria liquidità, recuperando parte degli investimenti in forma di credito utilizzabile in compensazione su F24.

Inoltre, trattandosi di incentivi legati a politiche industriali green e digital, gli investimenti effettuati rafforzano la competitività dell’impresa e migliorano l’accesso ad altri strumenti di finanziamento agevolato, anche a livello europeo.

Pianificazione e consulenza

Accedere con successo agli Investimenti Sostenibili 4.0 non è solo una questione di tempistiche, ma anche di preparazione tecnica e strategica. Il livello di complessità delle normative, l’articolazione dei requisiti e la necessità di rispettare criteri stringenti richiedono un’attenta pianificazione documentale e finanziaria. Non basta avere un progetto valido: è essenziale presentarlo nel modo corretto e in tempi rapidi, per non perdere l’occasione.

In questo contesto, il supporto di un commercialista specializzato in finanza agevolata o di un consulente esperto in bandi pubblici e credito d’imposta diventa fondamentale.

Solo una figura tecnica qualificata può:

  • Verificare la corretta ammissibilità dell’impresa e del progetto;

  • Supportare nella raccolta dei documenti richiesti da Invitalia e dal MIMIT;

  • Redigere un business plan coerente con gli obiettivi del bando;

  • Ottimizzare la cumulabilità fiscale degli incentivi, evitando sovrapposizioni o errori.

Un errore nella compilazione, una dichiarazione incompleta o una spesa non rendicontata correttamente possono infatti causare la perdita totale del beneficio o, nei casi peggiori, la revoca con obbligo di restituzione.

Ecco perché investire in consulenza specializzata non è una spesa, ma un vero e proprio asset strategico, che permette di cogliere tutte le opportunità offerte dal Piano Transizione 4.0 in piena sicurezza e legalità.

Considerazioni finali

Gli Investimenti Sostenibili 4.0 rappresentano una delle più interessanti opportunità di crescita per le imprese del Sud Italia, grazie a un mix di finanziamenti agevolati, contributi a fondo perduto e vantaggi fiscali cumulabili. In un contesto economico dove la transizione digitale ed ecologica è ormai una priorità strategica, accedere a queste agevolazioni significa modernizzare i processi produttivi, aumentare la competitività e ridurre l’impatto ambientale, tutto con un supporto economico concreto.

Le imprese che operano nelle regioni meno sviluppate del Mezzogiorno hanno ora una finestra temporale limitata per accedere a fondi che non saranno disponibili per sempre. L’esperienza delle precedenti edizioni dimostra che le risorse si esauriscono rapidamente, e l’ordine cronologico giornaliero di presentazione impone una preparazione anticipata della documentazione. Chi arriva tardi, rischia di restare fuori.

Inoltre, questi incentivi si inseriscono in un più ampio ecosistema di strumenti del Piano Nazionale Transizione 4.0, che permette alle imprese di strutturare veri e propri piani di sviluppo tecnologico e sostenibile, con ricadute positive sia sul piano fiscale che su quello strategico e operativo.

Investire oggi in tecnologie avanzate, efficienza energetica e sostenibilità ambientale, con il supporto del MIMIT e di Invitalia, significa mettere le basi per il futuro della propria impresa, in linea con le sfide europee e internazionali.

Donne e Imprese nella Regione Lazio: 3 milioni di euro a fondo perduto per sostenere l’imprenditoria femminile

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Team conversation computer working.

In un periodo storico in cui l’uguaglianza di genere e la crescita sostenibile sono temi centrali nel dibattito socio-economico europeo, la Regione Lazio lancia un’iniziativa concreta e strategica: 3 milioni di euro a fondo perduto per sostenere le PMI femminili. L’Avviso “Donne e Impresa” si inserisce all’interno del più ampio Obiettivo Strategico 1 “Un’Europa più competitiva e intelligente” del programma FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), e mira a rafforzare la crescita sostenibile, la competitività delle PMI e creare nuovi posti di lavoro.

Questo bando rappresenta un’opportunità concreta per tutte le donne imprenditrici che desiderano avviare una nuova attività o potenziare la propria impresa, anche attraverso l’adozione di tecnologie digitali e innovazione. Un’occasione da non perdere per contribuire a costruire un tessuto economico più inclusivo e resiliente, in linea con le priorità europee e regionali.

Ma come funziona il contributo? Chi può accedere? Quali sono le spese ammissibili? In questo articolo analizzeremo nel dettaglio l’Avviso “Donne e Impresa”, illustrando vantaggi fiscali, opportunità economiche e tutte le informazioni necessarie per ottenere i fondi in modo trasparente e legale.

Chi può accedere

Il bando “Donne e Impresa” è rivolto esclusivamente alle PMI femminili che operano – o intendono operare – nel territorio del Lazio. È fondamentale chiarire chi rientra nella definizione di impresa femminile ai fini dell’accesso ai fondi.

Secondo quanto previsto dall’Avviso pubblico, si definisce impresa femminile:

  • La lavoratrice autonoma donna;

  • L’impresa individuale la cui titolare è una donna;

  • La società di persone, cooperativa o studio associato in cui almeno il 60% dei soci o associate siano donne;

  • La società di capitali in cui almeno i due terzi delle quote siano detenute da donne (o da altre imprese femminili) e dove almeno due terzi dell’organo amministrativo siano rappresentati da donne.

Ognuna di queste tipologie può presentare un solo progetto, a conferma dell’intento della Regione di favorire la massima diffusione e pluralità degli interventi.

Un altro requisito essenziale riguarda la sede operativa: ogni PMI femminile, per beneficiare dell’agevolazione, deve avere (o deve aprire entro la fase finale del progetto) una sede operativa nel Lazio, dove sarà effettivamente realizzata l’attività imprenditoriale oggetto del contributo. Infine, le imprese dovranno essere in regola con i requisiti per contrattare con la Pubblica Amministrazione, così da garantire trasparenza e correttezza in tutto il processo di finanziamento.

Spese ammissibili

Il cuore dell’Avviso “Donne e Impresa” è rappresentato dal contributo a fondo perduto, concesso in regime “de minimis” ai sensi del Regolamento UE 2023/2831, che consente di ottenere fino a 100.000 euro per singola PMI femminile. La percentuale riconosciuta varia dal 30% al 60% del totale dei costi ammissibili, in base alle caratteristiche del progetto.

Per essere considerati validi, i progetti devono prevedere spese rendicontabili per almeno 30.000 euro.

Le voci di spesa ammissibili includono:

  • Investimenti materiali e immateriali, tra cui software, attrezzature, impianti e canoni per soluzioni digitali innovative;

  • Adeguamento dei locali aziendali adibiti a sede operativa (fino a un massimo del 20% rispetto al valore degli investimenti);

  • Servizi qualificati e strategici “una tantum”, come consulenze specialistiche e studi di fattibilità (massimo 20% del valore degli investimenti);

  • Costi del personale e spese generali, calcolati in modo forfettario e automaticamente riconosciuti nella misura del 20% delle spese rendicontabili.

Un elemento fondamentale da tenere presente è la tempistica: tutti i progetti devono essere completati e rendicontati entro 12 mesi dalla data di approvazione. Un limite stringente che richiede alle imprese una pianificazione precisa e una capacità organizzativa solida.

Come avviene la selezione dei progetti

Ottenere il contributo a fondo perduto previsto dall’Avviso “Donne e Impresa” non è automatico: i progetti presentati dalle PMI femminili vengono selezionati secondo una procedura a punteggio, dove l’istruttoria segue un ordine decrescente, partendo dalle domande con il punteggio più alto. I criteri adottati sono oggettivi e trasparenti, e mirano a valorizzare l’impatto, la sostenibilità e l’inclusività dei progetti imprenditoriali.

Ecco i principali fattori che determinano il punteggio:

  • Percentuale di contributo richiesta: viene premiata la richiesta di percentuali più basse (a parità di altri fattori);

  • Anzianità dell’impresa: le imprese più giovani ricevono un punteggio maggiore, favorendo le start-up e le neo-imprese;

  • Numero di addetti: chi ha più personale ottiene più punti, incentivando l’occupazione femminile stabile;

  • Carattere giovanile dell’impresa: se guidata da donne under 35, l’impresa beneficia di un punteggio aggiuntivo;

  • Certificazioni di sostenibilità ambientale: la presenza di certificazioni “green” è valorizzata, in coerenza con le priorità europee.

Una commissione di valutazione esamina le richieste formalmente ammissibili, verificando sia la correttezza dei punteggi attribuiti sia la coerenza del progetto con gli obiettivi dell’Avviso. È importante sapere che i progetti sono avviati all’istruttoria fino a esaurimento dei fondi disponibili, per cui la rapidità nella presentazione può giocare un ruolo decisivo.

Modalità di richiesta

La partecipazione al bando “Donne e Impresa” della Regione Lazio è interamente digitale e si svolge tramite la piattaforma GeCoWEB Plus, lo sportello telematico ufficiale per la gestione degli incentivi regionali. Le PMI femminili interessate potranno presentare la propria domanda dalle ore 12:00 del 15 aprile 2025 fino alle ore 17:00 del 3 giugno 2025.

È essenziale rispettare le scadenze temporali e assicurarsi di completare correttamente tutte le fasi di compilazione della domanda sulla piattaforma, caricando i documenti richiesti e allegando una descrizione dettagliata del progetto da finanziare. La procedura è semplificata, ma richiede attenzione e precisione per evitare esclusioni per motivi formali.

Una volta approvato il progetto, l’erogazione del contributo avviene in un’unica soluzione, a saldo, cioè solo dopo la completa rendicontazione delle spese sostenute. Ciò significa che l’impresa dovrà anticipare le spese e documentarle puntualmente, secondo i criteri dell’Avviso, per poi ricevere il rimborso in forma di contributo a fondo perduto.

Questa modalità impone una gestione finanziaria efficiente, ma consente di accedere a fondi pubblici significativi che possono realmente trasformare e far crescere una realtà imprenditoriale femminile, soprattutto se giovane e innovativa.

Il legame con il PNRR e la strategia europea 2021–2027

L’Avviso “Donne e Impresa” non è un’iniziativa isolata, ma parte integrante della strategia europea di sviluppo regionale e si inserisce perfettamente nell’Obiettivo Strategico 1 del nuovo ciclo di programmazione dei fondi UE 2021–2027: “Un’Europa più competitiva e intelligente”. In particolare, risponde all’Obiettivo Specifico 1.3, che mira a rafforzare la crescita sostenibile e la competitività delle PMI, promuovendo al contempo la creazione di nuovi posti di lavoro.

Parallelamente, l’intervento si allinea anche alle priorità trasversali del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in cui uno dei temi chiave è proprio l’empowerment femminile, considerato elemento centrale per la modernizzazione economica del Paese. Sostenere le PMI femminili significa infatti combattere il divario di genere, favorire l’inclusione, promuovere l’innovazione e rendere il sistema produttivo italiano più equo e competitivo.

Questo bando rappresenta quindi una concreta opportunità per attuare politiche di sviluppo che rispondano sia alle esigenze del territorio laziale, sia agli obiettivi più ampi della transizione digitale, ecologica e sociale. Le imprese femminili diventano protagoniste del cambiamento, grazie a un sostegno pubblico mirato, intelligente e orientato al futuro.

Vantaggi fiscali e impatto economico

Oltre al supporto finanziario diretto, il bando “Donne e Impresa” offre vantaggi fiscali significativi che ne aumentano ulteriormente la convenienza per le PMI femminili. Il contributo è concesso in regime “de minimis”, ai sensi del Regolamento UE 2023/2831, e come tale non concorre alla formazione del reddito imponibile ai fini IRPEF, IRES e IRAP. Ciò significa che le somme ricevute non sono tassate, rappresentando un beneficio netto per l’impresa.

Inoltre, il contributo erogato a saldo va ad abbattere il costo effettivo degli investimenti, migliorando la redditività aziendale e la capacità di autofinanziamento. Questo si traduce in una maggiore sostenibilità economica e in un miglior rating bancario, elemento utile per future operazioni di accesso al credito.

Non solo: le spese sostenute e rendicontate (come quelle per innovazione, digitalizzazione, formazione o adeguamento strutturale) possono concorrere alla deduzione dei costi d’impresa, offrendo così ulteriori vantaggi fiscali sul piano ordinario. Questo effetto combinato – contributo non tassato + deducibilità delle spese – consente alle PMI femminili di ottimizzare il bilancio e migliorare i margini operativi.

Il bando rappresenta quindi una forma di risparmio fiscale legale, trasparente e immediatamente vantaggiosa, che ogni imprenditrice dovrebbe valutare con attenzione. Una vera leva di crescita, anche dal punto di vista tributario.

Strategie

Per accedere ai finanziamenti del bando “Donne e Impresa”, non basta avere un buon progetto imprenditoriale: è fondamentale anche massimizzare il punteggio nella fase di selezione. Le domande, infatti, vengono valutate in base a criteri oggettivi, e solo le migliori – in ordine di punteggio – accedono all’istruttoria.

Ecco alcune strategie utili per aumentare le chance di successo:

  • Richiedere la percentuale minima di contributo possibile (es. 30-40%): più basso è l’importo richiesto in proporzione alle spese, maggiore sarà il punteggio assegnato.

  • Valorizzare l’imprenditoria giovanile: se possibile, far risultare la compagine societaria a prevalenza di donne under 35 consente di ottenere un bonus punti importante.

  • Dimostrare un impatto occupazionale: aumentare il numero di addetti, anche con nuove assunzioni previste, è un elemento premiato nella valutazione.

  • Ottenere certificazioni ambientali: l’adozione di pratiche sostenibili e la certificazione ISO 14001 o EMAS aumentano il punteggio e rafforzano la sostenibilità del progetto.

  • Presentare un progetto coerente, chiaro e completo, con cronoprogramma realistico, obiettivi misurabili e investimenti ben giustificati.

Una buona consulenza fiscale e progettuale può fare la differenza. Affidarsi a professionisti esperti in bandi e incentivi è spesso la chiave per evitare errori formali, ottimizzare la documentazione e ottenere il massimo dei punti disponibili.

Scadenze e consigli operativi

Per non lasciarsi sfuggire l’occasione offerta dal bando “Donne e Impresa”, è fondamentale rispettare scrupolosamente le scadenze e le procedure previste. La domanda deve essere presentata esclusivamente tramite la piattaforma GeCoWEB Plus, attiva dalle ore 12:00 del 15 aprile 2025 fino alle ore 17:00 del 3 giugno 2025. Dopo tale termine, il sistema non accetterà più nuove richieste, anche se parzialmente compilate.

Ecco alcuni consigli pratici per prepararsi al meglio:

  • Registrarsi in anticipo sulla piattaforma GeCoWEB Plus e iniziare a compilare la domanda con largo anticipo;

  • Preparare tutta la documentazione necessaria (statuto, visura camerale, bilanci, descrizione progetto, preventivi, ecc.);

  • Assicurarsi che la sede operativa nel Lazio sia già attiva o che possa esserlo entro la fase di rendicontazione;

  • Verificare la conformità ai requisiti di accesso, in particolare quelli per contrattare con la Pubblica Amministrazione;

  • Predisporre un cronoprogramma realistico delle attività e un piano finanziario coerente con le spese previste.

Considerando che i fondi sono assegnati fino a esaurimento delle risorse disponibili, è consigliabile presentare la domanda il prima possibile, evitando di attendere gli ultimi giorni. Anche piccoli errori formali possono comportare l’esclusione, per questo avvalersi del supporto di un consulente esperto può essere una scelta strategica.

Considerazioni finali

Il bando “Donne e Impresa” promosso dalla Regione Lazio rappresenta molto più di un semplice contributo economico: è una leva concreta per il rilancio dell’imprenditoria femminile, uno strumento pensato per sostenere l’innovazione, l’occupazione e la competitività sul territorio. Con fino a 100.000 euro a fondo perduto, spese coperte fino al 60% e vantaggi fiscali diretti e indiretti, l’agevolazione consente di trasformare idee imprenditoriali in realtà solide e sostenibili.

Dalla digitalizzazione alla ristrutturazione, dalla consulenza strategica alla formazione, le spese finanziabili sono ampie e calibrate per accompagnare le imprese femminili in un percorso di crescita reale e misurabile. Il collegamento con le strategie europee 2021–2027 e con gli obiettivi del PNRR conferisce ulteriore valore all’intervento, proiettando le imprese verso un modello di sviluppo moderno, inclusivo e sostenibile.

Il tempo però è limitato: la finestra per la presentazione delle domande va dal 15 aprile al 3 giugno 2025, e l’assegnazione avviene fino a esaurimento fondi. Per questo è fondamentale muoversi ora, preparare la documentazione e presentare un progetto valido, ben strutturato e con un punteggio competitivo.

Se sei una donna imprenditrice o vuoi avviare la tua attività nel Lazio, questo è il momento giusto per agire. Con il giusto supporto tecnico e fiscale, puoi trasformare un’opportunità in un successo.

Credito d’Imposta ZES 2025: guida completa, requisiti, investimenti ammessi e vantaggi fiscali

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Nel panorama degli incentivi fiscali italiani, il Credito d’Imposta ZES 2025 rappresenta una delle più importanti opportunità per chi vuole investire nel Mezzogiorno. Si tratta di una misura strategica che mira a rilanciare l’economia del Sud, sostenendo le imprese che effettuano nuovi investimenti produttivi all’interno delle Zone Economiche Speciali (ZES). Ma cosa cambia nel 2025? Come si può accedere al credito d’imposta e quali sono le modalità operative, i requisiti e i tempi per non perdere il beneficio?

In questo articolo analizzeremo in modo chiaro e dettagliato cos’è il credito d’imposta ZES, come funziona e chi può beneficiarne, quali sono gli investimenti agevolabili, quali sono le percentuali di agevolazione previste nel 2025, quali sono le scadenze e le tempistiche per presentare domanda e infine come ottenere e utilizzare correttamente il credito d’imposta.

Una guida pratica e aggiornata che ti permetterà di cogliere tutte le opportunità fiscali disponibili e valutare come ottimizzare i tuoi investimenti.

Cos’è

Il Credito d’Imposta ZES è una misura agevolativa introdotta per sostenere gli investimenti delle imprese che operano o intendono operare all’interno delle Zone Economiche Speciali. Queste aree, istituite in Italia con il Decreto-Legge n. 91/2017, sono caratterizzate da specifici benefici fiscali e procedurali, con l’obiettivo di attrarre capitali e favorire lo sviluppo industriale nel Mezzogiorno.

Con la Legge di Bilancio 2024 (Legge n. 213/2023), il credito d’imposta è stato rinnovato per il 2025, ma con importanti novità strutturali. La principale riguarda l’istituzione della ZES Unica per il Mezzogiorno, attiva dal 1° gennaio 2024 e che comprende tutte le regioni del Sud: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Questa semplificazione consente una maggiore uniformità nella gestione delle agevolazioni e una più ampia possibilità di accesso per le imprese.

Il credito d’imposta viene concesso alle imprese che effettuano nuovi investimenti in beni strumentali materiali, destinati a strutture produttive situate all’interno della ZES Unica.

L’incentivo ha l’obiettivo di incentivare investimenti reali e duraturi, privilegiando le imprese che creano nuova occupazione e rafforzano il tessuto produttivo locale.

Requisiti

Il credito d’imposta ZES 2025 è rivolto a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica e dal regime contabile adottato, che operano in una delle regioni ricomprese nella ZES Unica del Mezzogiorno.

Tuttavia, per poter accedere all’agevolazione, è necessario rispettare alcuni requisiti fondamentali stabiliti dalla normativa e dai successivi provvedimenti attuativi.

Requisiti principali:

  • Localizzazione: l’investimento deve essere realizzato in una delle regioni che fanno parte della ZES Unica.

  • Natura dell’investimento: devono trattarsi di nuovi investimenti in beni strumentali materiali, come macchinari, impianti, attrezzature o anche l’acquisto, la costruzione o l’ampliamento di immobili destinati a uso produttivo.

  • Finalità produttiva: i beni devono essere destinati a strutture produttive già esistenti o di nuova costituzione localizzate nella ZES.

  • Regolarità contributiva e fiscale: l’impresa deve essere in regola con i versamenti contributivi (DURC regolare), non deve trovarsi in stato di liquidazione volontaria, fallimento o altre procedure concorsuali.

  • Vincoli di utilizzo: i beni agevolati devono rimanere nella struttura produttiva per almeno 5 anni, o 3 anni nel caso di piccole imprese.

Inoltre, non possono accedere all’agevolazione:

  • Le imprese in difficoltà, secondo la definizione comunitaria;

  • Le imprese che operano in alcuni settori esclusi dai regolamenti UE, come ad esempio la produzione primaria di prodotti agricoli, la pesca e l’acquacoltura.

Il credito è concesso secondo i massimali previsti dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2022-2027, approvata dalla Commissione Europea, che stabilisce percentuali diverse a seconda della dimensione dell’impresa e della regione.

Investimenti agevolabili

Il credito d’imposta ZES 2025 si applica agli investimenti che fanno parte di un progetto di investimento iniziale, realizzato dal 1° gennaio 2025 al 15 novembre 2025, finalizzato all’avvio di una nuova attività produttiva o all’ampliamento di una già esistente, all’interno della ZES Unica del Mezzogiorno. L’incentivo copre un ampio spettro di beni strumentali nuovi, purché destinati a strutture produttive ubicate in una delle regioni ZES e direttamente collegati all’attività d’impresa.

Gli investimenti ammissibili comprendono:

  • Macchinari, impianti e attrezzature varie, nuovi di fabbrica e funzionali alla trasformazione o produzione di beni o servizi;

  • Terreni e immobili strumentali: rientrano nell’agevolazione sia l’acquisizione che la realizzazione o l’ampliamento di immobili destinati ad attività produttive.

Limite importante: il valore complessivo di terreni e fabbricati non può superare il 50% del totale dell’investimento agevolato. Questo per garantire che la misura si concentri su investimenti realmente produttivi e non speculativi.

Inoltre, sono ammessi anche gli investimenti effettuati tramite contratti di locazione finanziaria (leasing), a condizione che al termine del contratto sia previsto il riscatto obbligatorio del bene.

Requisiti ulteriori:

  • Il progetto di investimento deve avere un valore minimo di 200.000 euro. Investimenti inferiori non danno diritto all’agevolazione.

  • I beni acquistati devono essere nuovi, strumentali all’attività d’impresa e restare nella disponibilità dell’azienda per almeno 5 anni (3 per le piccole imprese).

  • Sono esclusi i beni usati, i mezzi di trasporto e i beni a utilizzo promiscuo.

Questa misura, se ben pianificata, consente alle imprese di effettuare investimenti strategici riducendo sensibilmente l’impatto fiscale, favorendo l’ammodernamento e la crescita delle attività imprenditoriali nel Sud Italia.

Entità del credito

L’entità del credito d’imposta ZES 2025 varia in base alla regione in cui viene realizzato l’investimento e alla dimensione dell’impresa. Le percentuali di agevolazione sono stabilite in conformità con la Carta degli aiuti a finalità regionale 2022-2027, approvata dalla Commissione Europea. Questo strumento definisce i massimali di aiuto applicabili nelle diverse zone del territorio nazionale, con l’obiettivo di garantire una corretta distribuzione degli incentivi in base al livello di svantaggio economico dell’area.

Aliquote di agevolazione:

Le percentuali massime di credito d’imposta sono le seguenti:

Le imprese devono verificare l’esatta localizzazione dell’investimento per applicare la corretta percentuale. La classificazione delle zone è basata sul livello di sviluppo economico delle stesse, e le aliquote sono pensate per incentivare in particolare le piccole e medie imprese (PMI), che rappresentano il cuore dell’economia del Sud.

Importante:

  • Le percentuali si applicano sul valore complessivo dell’investimento agevolabile;

  • Il credito è utilizzabile esclusivamente in compensazione, tramite modello F24, a partire dalla data di autorizzazione;

  • Non concorre alla formazione della base imponibile IRPEF/IRES né IRAP;

  • È cumulabile con altre agevolazioni, purché non si superino i limiti fissati dalla normativa sugli aiuti di Stato (salvo diversa disposizione per specifici strumenti come il Piano Transizione 5.0).

Il rispetto dei limiti e delle condizioni è fondamentale per evitare contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. In caso di indebita fruizione, il credito d’imposta verrà recuperato con sanzioni e interessi.

Tempistiche e procedura

Per beneficiare del credito d’imposta ZES 2025, le imprese devono seguire una procedura articolata in due fasi, secondo quanto stabilito dal decreto attuativo e dalle istruzioni dell’Agenzia delle Entrate. È fondamentale rispettare le scadenze previste per non perdere il diritto all’agevolazione.

Fase 1 – Comunicazione preventiva (dal 31 marzo 2025 al 30 maggio 2025):

In questo periodo le imprese devono comunicare all’Agenzia delle Entrate:

  • L’ammontare delle spese ammissibili già sostenute;

  • L’ammontare delle spese che prevedono di sostenere entro il 15 novembre 2025.

Questa comunicazione ha valore prenotativo e consente all’Agenzia di verificare il rispetto del plafond disponibile. Deve essere presentata in modalità telematica, utilizzando il modello che sarà reso disponibile sul sito dell’Agenzia.

Fase 2 – Comunicazione finale (dal 18 novembre 2025 al 2 dicembre 2025):

Al termine del periodo agevolabile, le imprese devono inviare una comunicazione integrativa, nella quale:

  • Attestano di aver effettivamente realizzato gli investimenti indicati nella comunicazione iniziale;

  • Dichiarano l’ammontare effettivo del credito d’imposta maturato, calcolato in base agli investimenti realmente sostenuti;

  • Inseriscono gli estremi delle fatture elettroniche e della certificazione prevista, redatta da soggetti abilitati (commercialisti, revisori, ecc.).

Ricorda:

  • Sono agevolabili solo gli investimenti realizzati dal 1° gennaio al 15 novembre 2025, rientranti in un progetto di investimento iniziale, e relativi a:

    • Macchinari, impianti e attrezzature nuove;

    • Terreni e immobili strumentali (acquisto, realizzazione o ampliamento), nel limite del 50% del valore totale dell’investimento.

  • Non sono ammissibili i progetti d’investimento con un costo inferiore a 200.000 euro.

Il rispetto puntuale delle scadenze e l’accuratezza della documentazione sono fondamentali: errori o ritardi potrebbero compromettere l’ottenimento dell’agevolazione.

Obblighi e condizioni

Una volta inviata la comunicazione finale e ottenuta l’autorizzazione dall’Agenzia delle Entrate, il credito d’imposta ZES 2025 potrà essere utilizzato esclusivamente in compensazione tramite modello F24, secondo quanto previsto dall’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997. L’utilizzo può avvenire a partire dalla data di ricezione dell’autorizzazione rilasciata dall’Agenzia, e dovrà essere effettuato indicando l’apposito codice tributo che verrà istituito per la misura.

Come si utilizza il credito:

  • Tramite modello F24 da presentare in via telematica;

  • In compensazione dei tributi (es. IVA, INPS, IRPEF, IRES, IRAP);

  • Nel rispetto dei limiti annuali di utilizzo previsti dalla normativa in materia di aiuti di Stato.

Obblighi e condizioni da rispettare:

Per non incorrere nella revoca del beneficio, l’impresa deve mantenere alcune condizioni fondamentali:

  • I beni agevolati devono rimanere nella struttura produttiva situata nella ZES per almeno 5 anni (o 3 anni per le piccole imprese);

  • L’impresa beneficiaria non deve cessare l’attività nella ZES prima del termine minimo;

  • Il credito d’imposta deve essere annotato nel bilancio o nel libro degli inventari (per le imprese in regime ordinario), secondo i principi contabili applicabili;

  • È necessaria la conservazione della documentazione giustificativa per eventuali controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza.

In caso di utilizzo indebito o mancato rispetto dei requisiti, l’Agenzia potrà procedere al recupero del credito d’imposta, maggiorato di interessi e sanzioni. È quindi fondamentale avvalersi di una consulenza professionale per la corretta gestione dell’intero iter, dalla progettazione dell’investimento fino all’effettiva fruizione del credito.

Vantaggi fiscali

Il credito d’imposta ZES 2025 rappresenta uno degli strumenti più potenti a disposizione delle imprese che intendono ridurre legalmente il carico fiscale e allo stesso tempo investire nello sviluppo aziendale. I vantaggi sono molteplici e incidono in modo diretto sulla liquidità e sulla pianificazione fiscale dell’impresa.

1. Risparmio fiscale diretto

L’impresa ottiene un credito utilizzabile in compensazione immediata con F24, riducendo tributi come IVA, IRPEF, IRES, contributi INPS e altre imposte. Questo consente una diminuzione della pressione fiscale in modo proporzionale all’investimento effettuato.

2. Cumulabilità con altri incentivi

In determinati casi, il credito ZES può essere cumulato con altri incentivi, come il Piano Transizione 5.0 o contributi regionali, a condizione che non vengano superati i massimali europei previsti dagli aiuti di Stato. Questo può portare a una copertura dell’investimento fino all’80-90% in alcuni scenari favorevoli.

3. Pianificazione finanziaria efficiente

Il credito consente una programmazione degli investimenti più sostenibile, migliorando il cash flow e favorendo l’accesso al credito bancario, grazie anche alla possibilità di certificare l’agevolazione ricevuta.

4. Incentivo all’innovazione e alla crescita territoriale

Agevolando beni produttivi, immobili e attrezzature, il credito d’imposta ZES stimola la modernizzazione aziendale, la digitalizzazione e la valorizzazione dei territori del Sud, contribuendo anche allo sviluppo occupazionale.

Esempi pratici

Per aiutare imprese e professionisti a orientarsi nella corretta applicazione del credito d’imposta ZES 2025, ecco due casi pratici riguardanti beni particolari la cui ammissibilità genera spesso dubbi:

Acquisto di autoambulanze con il tax credit ZES 2025

Sì, agevolabile SOLO se:

  • L’ambulanza è un bene strumentale all’attività d’impresa (es. società di trasporto sanitario, cooperative mediche, strutture sanitarie private accreditate);

  • È utilizzata esclusivamente per attività di trasporto sanitario, soccorso o emergenza;

  • È immatricolata a uso speciale e non a uso promiscuo;

  • La sede operativa e il luogo in cui viene utilizzata è situato nella ZES.

Non è agevolabile se:

  • L’impresa non ha come attività prevalente il trasporto sanitario;

  • Il veicolo viene utilizzato anche per uso personale o non documentato.

Acquisto di carri funebri con il tax credit

Possibile, ma attenzione:

  • Il carro funebre può essere agevolabile solo se rientra tra i beni strumentali esclusivamente utilizzati per l’attività d’impresa (es. impresa di onoranze funebri con sede nella ZES);

  • Deve essere utilizzato in modo esclusivo per il servizio funebre e non avere uso promiscuo;

  • L’utilizzo deve essere comprovato da documentazione fiscale, contratti di servizio, e registrazioni aziendali.

Non è agevolabile se:

  • L’uso non è esclusivamente aziendale;

  • È un veicolo registrato a uso promiscuo o privato.

Considerazioni finali

Il credito d’imposta ZES 2025 rappresenta una leva fiscale straordinaria per tutte le imprese che intendono investire nel Mezzogiorno in maniera solida e strutturata.

Sfruttare questa agevolazione significa:

  • Ridurre in modo legale e significativo il carico fiscale;

  • Ammodernare la propria impresa con nuovi beni strumentali;

  • Approfittare della ZES Unica per avere accesso a una procedura semplificata;

  • Migliorare la competitività e la sostenibilità finanziaria nel medio-lungo periodo.

Attenzione però: tempistiche ristrette, documentazione tecnica dettagliata, e vincoli precisi impongono una pianificazione attenta e professionale.

Il consiglio è di affidarsi a un commercialista esperto in fiscalità agevolata per valutare al meglio l’investimento e presentare correttamente la domanda, evitando errori che potrebbero comportare la perdita del beneficio.

La ZES 2025 non è solo un bonus fiscale, ma un vero strumento di rilancio per le imprese del Sud. Non lasciarti sfuggire questa occasione: investi nel futuro della tua impresa, risparmiando oggi sulle tasse in modo intelligente e conforme alla legge.

Aiuti 2025 Filiera del Legno: contributi a fondo perduto e incentivi per imprese e vivaistica forestale

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Nel 2025 le imprese italiane della filiera del legno avranno a disposizione una nuova e importante opportunità per innovarsi, crescere e diventare più sostenibili. Con l’attuazione della Legge Made in Italy n. 206/2023, il Governo ha stanziato 25 milioni di euro per finanziare interventi strategici nella gestione forestale, nella vivaistica e nella prima lavorazione del legno, attraverso contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati.

Un’occasione da non perdere, soprattutto per le micro, piccole e medie imprese che vogliono puntare sull’automazione dei processi produttivi, sulla transizione digitale e sulla certificazione ambientale per competere in un mercato sempre più attento alla sostenibilità.

Il nuovo decreto interministeriale del 20 febbraio 2025 stabilisce con precisione le regole per accedere a questi incentivi, destinati sia alle imprese private che alle Regioni interessate a rafforzare il settore della vivaistica forestale. In un contesto dove la competitività passa attraverso efficienza, tracciabilità e gestione responsabile delle risorse naturali, questa misura può rappresentare una svolta concreta per rilanciare il comparto e creare valore nei territori.

In questo articolo ti spieghiamo chi può beneficiare degli aiuti, come presentare domanda, quali investimenti sono ammissibili, e perché conviene attivarsi subito per non perdere questa importante finestra di finanziamento.

Cosa prevede

Con il Decreto interministeriale del 20 febbraio 2025, il Governo italiano ha ufficializzato le modalità di accesso agli aiuti destinati alla Filiera del Legno, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, della Legge n. 206/2023. Il decreto rappresenta un tassello fondamentale per la strategia nazionale di valorizzazione delle risorse forestali, e punta a sostenere concretamente tutte le fasi della filiera, dalla produzione vivaistica alla lavorazione primaria del legno.

L’intervento si articola su tre linee principali:

  1. Sviluppo delle certificazioni di gestione forestale sostenibile;

  2. Investimenti nel settore vivaistico forestale, con l’obiettivo di migliorare la qualità e la disponibilità di materiale forestale;

  3. Creazione e rafforzamento di imprese boschive e imprese della prima lavorazione del legno, attraverso il potenziamento tecnologico e digitale della produzione.

Il decreto sottolinea l’importanza dell’innovazione tecnologica, prevedendo incentivi per l’adozione di sistemi automatizzati di produzione, classificazione qualitativa del legno e sistemi di incollaggio avanzati. Si tratta di un piano che intende non solo rilanciare il comparto, ma renderlo competitivo e sostenibile nel lungo periodo.

Inoltre, si attende a breve un decreto direttoriale che definirà le date ufficiali di apertura e chiusura per la presentazione delle domande, e che fornirà ulteriori dettagli sulla natura delle spese ammissibili, così da garantire una corretta e trasparente attuazione del provvedimento.

Focus su PMI, vivaistica e prima lavorazione

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha ufficialmente comunicato la pubblicazione del decreto interministeriale che disciplina l’accesso agli aiuti per la filiera del legno, firmato dal ministro Adolfo Urso con l’intesa dei dicasteri competenti.

L’intervento, previsto dalla Legge n. 206/2023 (Legge “Made in Italy”), mette in campo 25 milioni di euro, così ripartiti:

  • 5 milioni di euro in contributi a fondo perduto alle Regioni per sostenere e sviluppare la vivaistica forestale;

  • 20 milioni di euro per la creazione e il rafforzamento delle imprese boschive e della filiera della prima lavorazione del legno, di cui:

    • 10 milioni a fondo perduto;

    • 10 milioni sotto forma di finanziamenti agevolati.

Una misura concreta, che riserva il 60% delle risorse a micro, piccole e medie imprese (MPMI), puntando a favorire l’innovazione dei comparti più vulnerabili ma fondamentali per l’economia del legno.

Le spese ammissibili per accedere agli aiuti dovranno essere comprese tra 50.000 e 600.000 euro, e potranno includere investimenti in:

  • Mezzi e attrezzature per utilizzazioni forestali (escluse motoseghe e attrezzature di consumo);

  • Macchinari, impianti e attrezzature per la lavorazione del legno;

  • Software e hardware per la digitalizzazione dei processi produttivi.

Le domande saranno gestite da Invitalia, che curerà l’istruttoria, mentre i termini operativi per la presentazione saranno stabiliti da un provvedimento direttoriale di prossima pubblicazione.

Le Regioni, invece, avranno 30 giorni dalla pubblicazione del decreto per richiedere i contributi destinati al settore vivaistico.

Soggetti beneficiari e requisiti

Il decreto stabilisce in modo chiaro quali sono le imprese ammissibili al beneficio.

Possono accedere agli aiuti economici per il rafforzamento delle imprese boschive e della prima lavorazione del legno le aziende che rientrano nei seguenti codici ATECO:

  • 02.20 – Servizi di supporto alla silvicoltura;

  • 02.40.00 – Servizi connessi al settore forestale;

  • 16.11 – Segagione e piallatura del legno;

  • 16.12 – Fabbricazione di pannelli di legno;

  • 16.21 – Fabbricazione di fogli per impiallacciatura e pannelli a base di legno.

Importante precisare che per le imprese della prima lavorazione del legno, la produzione non deve essere destinata all’uso energetico, condizione necessaria per accedere alle agevolazioni.

Inoltre, le Regioni potranno beneficiare del finanziamento per quanto riguarda lo sviluppo del settore vivaistico forestale, presentando domanda al Ministero delle Imprese entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto.

Tra le spese ammissibili, troviamo:

  • L’acquisto di mezzi mobili e attrezzature specializzate per le utilizzazioni forestali (con esclusione di motoseghe e strumenti di consumo);

  • Investimenti in macchinari e impianti per la lavorazione del legno;

  • Sistemi hardware e software legati alla digitalizzazione e all’automazione dei processi produttivi.

L’intervento è pensato per sostenere programmi d’investimento funzionali alla transizione tecnologica delle imprese, con una particolare attenzione all’efficienza operativa, alla sostenibilità ambientale e alla competitività internazionale della filiera.

Contributi e finanziamenti

Il pacchetto di aiuti destinato alla filiera del legno si articola in due forme di sostegno finanziario: contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati, pensati per supportare sia gli investimenti delle imprese che delle Regioni. Questa doppia modalità consente di coprire un’ampia gamma di esigenze e stimolare allo stesso tempo la crescita strutturale del comparto.

Nello specifico:

  • I contributi a fondo perduto rappresentano una quota di finanziamento non rimborsabile concessa per l’acquisto di beni strumentali o per interventi strutturali finalizzati all’ammodernamento tecnologico e produttivo. Per le imprese boschive e della prima lavorazione del legno, sono disponibili 10 milioni di euro a fondo perduto.

  • I finanziamenti agevolati, invece, coprono una seconda parte delle risorse (altri 10 milioni di euro) e consistono in prestiti a tasso agevolato, molto inferiore rispetto ai tassi di mercato, utili per co-finanziare gli investimenti previsti.

Nel caso delle Regioni, i 5 milioni di euro disponibili serviranno per sostenere la vivaistica forestale, settore strategico per garantire la disponibilità di materiale arboreo di qualità e per promuovere la rigenerazione e tutela del patrimonio forestale italiano.

Le agevolazioni saranno concesse solo per programmi coerenti con gli obiettivi del decreto, che prevedano un concreto miglioramento in termini di efficienza, sostenibilità, innovazione e digitalizzazione. Saranno valutate con particolare attenzione anche la cantierabilità dei progetti e la coerenza con i fabbisogni del territorio.

Come presentare domanda

Le modalità operative per la presentazione delle domande di agevolazione saranno definite da un successivo decreto direttoriale, in arrivo nei prossimi mesi. Questo documento stabilirà con precisione le date di apertura e chiusura dello sportello telematico, le istruzioni tecniche per la compilazione della domanda e gli standard documentali richiesti.

La gestione operativa dell’intervento è stata affidata a Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo, che curerà l’intera istruttoria, valutando l’ammissibilità dei progetti e la coerenza con gli obiettivi del decreto. La domanda potrà essere presentata esclusivamente in modalità digitale, attraverso una piattaforma online dedicata, accessibile con SPID, CNS o CIE.

Per evitare ritardi o esclusioni, le imprese interessate dovranno prestare particolare attenzione alla completezza e correttezza della documentazione, che dovrà includere:

  • Una descrizione dettagliata del progetto di investimento;

  • I preventivi di spesa per ogni voce di investimento;

  • La documentazione fiscale e amministrativa dell’impresa;

  • La dichiarazione dei codici ATECO compatibili;

  • L’impegno a rispettare i vincoli ambientali e tecnologici richiesti.

Le Regioni interessate alla vivaistica forestale, invece, potranno inviare la propria richiesta direttamente al MIMIT entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto, con una procedura semplificata che verrà anch’essa regolamentata nel provvedimento attuativo.

Rimanere aggiornati sulla pubblicazione del decreto direttoriale sarà fondamentale per non perdere questa occasione, soprattutto per le PMI che intendono cogliere l’opportunità di investire in tecnologia e sostenibilità.

Vantaggi fiscali

Accedere agli aiuti per la filiera del legno 2025 non significa soltanto ottenere un contributo economico, ma rappresenta una vera e propria leva strategica per la crescita e la modernizzazione delle imprese del settore forestale e della prima lavorazione del legno. Le agevolazioni previste dal decreto, infatti, si inseriscono in un quadro più ampio di politiche per la transizione ecologica e digitale, offrendo benefici concreti e misurabili su più livelli.

Vantaggi principali:

  • Accesso a fondi a fondo perduto e finanziamenti agevolati, riducendo l’esposizione finanziaria dell’impresa e facilitando gli investimenti a medio-lungo termine;

  • Riduzione del carico fiscale, poiché le spese agevolate in beni strumentali, tecnologie digitali e software possono rientrare anche nei benefici fiscali previsti da altre misure nazionali, come il credito d’imposta per investimenti in beni 4.0;

  • Incremento della competitività grazie all’ammodernamento dei processi produttivi e all’introduzione di sistemi automatizzati e digitali;

  • Aumento della sostenibilità aziendale, che può essere certificata e valorizzata anche commercialmente tramite le certificazioni di gestione forestale sostenibile;

  • Miglior posizionamento nel mercato europeo, dove cresce la domanda di materiali certificati e tracciabili in ottica ESG (ambientale, sociale e di governance).

Inoltre, le imprese che si dotano di tecnologie verdi e digitali potranno accedere più facilmente a futuri bandi PNRR e a forme di finanziamento europeo, rafforzando la propria struttura e resilienza nel lungo termine.

Certificazioni forestali

Tra gli obiettivi principali del decreto vi è la promozione e diffusione delle certificazioni di gestione forestale sostenibile, elemento ormai indispensabile per le imprese che vogliono essere competitive in un mercato orientato verso la transizione ecologica e la filiera corta tracciabile. Le certificazioni non sono soltanto un “bollino verde”, ma rappresentano una leva economica, ambientale e commerciale.

Le due certificazioni più diffuse e riconosciute a livello internazionale sono:

  • FSC® (Forest Stewardship Council)

  • PEFC™ (Programme for the Endorsement of Forest Certification)

Entrambe garantiscono che i prodotti in legno provengano da foreste gestite in modo responsabile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.

Avere una di queste certificazioni consente alle imprese di:

  • Accedere più facilmente a gare pubbliche e appalti, soprattutto in ambito edilizio, dove la tracciabilità del legno è spesso un requisito obbligatorio;

  • Ottenere premialità nei bandi pubblici, compresi quelli del PNRR;

  • Posizionarsi meglio sul mercato internazionale, dove la domanda di legno certificato è in forte crescita, specialmente in ambito edilizio, arredamento e bioedilizia;

  • Ridurre l’impatto ambientale documentabile, migliorando la rendicontazione ESG dell’impresa.

Il decreto, promuovendo l’adozione di queste certificazioni, stimola non solo la qualità della gestione forestale italiana, ma anche l’emersione di filiere trasparenti, tracciabili e capaci di generare valore aggiunto sostenibile nel lungo periodo.

Impatto sul territorio

Le misure previste dal decreto non hanno solo una finalità economica e produttiva, ma anche una valenza sociale e territoriale di grande rilievo. Il comparto forestale e della prima lavorazione del legno è infatti fortemente radicato nelle aree interne, rurali e montane del Paese, spesso caratterizzate da fenomeni di spopolamento, invecchiamento della popolazione e scarsa industrializzazione.

Investire in questo settore significa quindi:

  • Rilanciare l’occupazione locale, soprattutto giovanile, attraverso la creazione di nuove imprese boschive e l’adeguamento tecnologico di quelle esistenti;

  • Stimolare la valorizzazione delle risorse naturali, evitando l’abbandono dei territori e contrastando il dissesto idrogeologico grazie a una gestione forestale attiva e certificata;

  • Promuovere la nascita di distretti del legno locali, capaci di generare valore aggiunto a filiera corta, favorendo la cooperazione tra vivaisti, imprese boschive e trasformatori;

  • Rafforzare la resilienza ambientale dei territori attraverso pratiche forestali sostenibili, fondamentali per fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Inoltre, il coinvolgimento delle Regioni nel sostegno alla vivaistica forestale rappresenta un’opportunità per avviare strategie locali condivise di pianificazione forestale, con effetti positivi sulla biodiversità, sulla capacità di stoccaggio del carbonio e sulla tutela paesaggistica.

Questi interventi si pongono dunque all’intersezione tra economia circolare, sviluppo sostenibile e coesione territoriale, contribuendo a rafforzare la presenza dello Stato nei territori marginali e a rilanciare una filiera identitaria del Made in Italy.

Considerazioni finali

Gli aiuti 2025 per la filiera del legno rappresentano una delle misure più strutturate e concrete messe in campo dal Governo negli ultimi anni per sostenere un comparto strategico come quello forestale e della prima lavorazione del legno.

Grazie a 25 milioni di euro complessivi, le imprese italiane potranno finalmente investire in tecnologie avanzate, digitalizzazione e sostenibilità ambientale, valorizzando le risorse locali e creando occupazione nei territori più fragili.

Che si tratti di piccole imprese boschive, aziende di lavorazione del legno o Regioni interessate alla vivaistica forestale, il decreto offre una cornice chiara e finanziariamente vantaggiosa per avviare progetti innovativi e sostenibili, contribuendo allo stesso tempo alla tutela del patrimonio forestale nazionale.

Non meno importante è il focus sulle certificazioni di gestione forestale sostenibile, che diventeranno sempre più determinanti per accedere a mercati pubblici, privati e internazionali, allineandosi ai requisiti di trasparenza e responsabilità richiesti dalle nuove politiche ambientali europee.

In attesa della pubblicazione del decreto direttoriale che definirà date e modalità operative, è il momento giusto per le imprese di prepararsi, aggiornare i propri progetti e attivarsi con il supporto di consulenti esperti, per non farsi trovare impreparate quando lo sportello sarà attivo.

Questa misura non è solo un incentivo economico, ma un investimento strategico per il futuro della filiera del legno italiana.

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