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lunedì 8 Dicembre 2025
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Turismo: 10 miliardi per le imprese tra innovazione, incentivi fiscali e rilancio del Sud

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Il settore turistico italiano si prepara a una svolta epocale. Grazie a un nuovo accordo tra Banca Intesa Sanpaolo e le principali Associazioni del Turismo, arrivano 10 miliardi di euro di nuove risorse a disposizione delle imprese del comparto. Una cifra senza precedenti, che punta a finanziare progetti di crescita, innovazione e sostenibilità, con un obiettivo preciso: rafforzare la competitività del turismo italiano nel panorama internazionale.

Un’iniziativa che risponde a un’esigenza concreta: il turismo, nonostante la sua centralità economica (oltre il 13% del PIL nazionale), sconta ancora un forte bisogno di ammodernamento infrastrutturale, digitale ed energetico. E proprio in questo contesto si inserisce il piano di sostegno promosso dal gruppo bancario, che punta su soluzioni personalizzate e su misura per le imprese turistiche, in particolare quelle di piccola e media dimensione.

Il progetto prevede finanziamenti agevolati, consulenze dedicate e percorsi di accompagnamento mirati a favorire la trasformazione digitale, l’efficienza energetica, la ristrutturazione degli immobili e la formazione professionale. Il tutto in sinergia con gli obiettivi del PNRR, che assegna al turismo un ruolo chiave per il rilancio economico del Paese.

Ma come possono concretamente accedere le imprese a queste risorse? Quali sono le tipologie di investimento ammesse e i criteri di selezione? E soprattutto: come sfruttare al meglio queste opportunità per ottenere vantaggi fiscali e migliorare la propria posizione sul mercato?

In questo articolo vedremo tutti i dettagli dell’accordo, i benefici fiscali collegati agli investimenti nel turismo, i settori prioritari e le strategie per sfruttare al meglio i 10 miliardi messi a disposizione.

10 miliardi dedicati alle imprese del settore

Il 14 gennaio 2025 è stato siglato un accordo di portata storica tra Intesa Sanpaolo e le principali associazioni di categoria del settore turistico italiano. L’intesa rientra nel più ampio progetto denominato “Investimenti, innovazione, credito. I fattori chiave per la crescita sostenibile delle imprese italiane”, promosso da Confindustria e volto a favorire la trasformazione del tessuto produttivo nazionale. Il piano complessivo prevede un plafond di 200 miliardi di euro messi a disposizione nel quadriennio 2025-2028, di cui 10 miliardi riservati esclusivamente alle imprese turistiche.

Queste risorse rappresentano un’opportunità concreta per finanziare investimenti mirati alla riqualificazione dell’offerta turistica, attraverso interventi su digitalizzazione, sostenibilità ambientale, formazione e ammodernamento delle strutture. L’obiettivo dichiarato è duplice: rafforzare la competitività delle imprese italiane e garantire un turismo più resiliente, inclusivo e sostenibile, in linea con le direttive europee e con il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

Nel corso della conferenza stampa di presentazione, Stefano Barrese, Responsabile della Divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo, ha sottolineato che «La collaborazione tra Intesa Sanpaolo e il sistema associativo del settore sarà decisiva per la sostenibilità futura del turismo in Italia. Già oggi consentiamo agli operatori turistici di accedere ad incentivi, misure agevolative e strumenti per mitigare i rischi d’impresa».

L’accordo, articolato in 21 articoli su 14 pagine, individua una serie di direttrici strategiche e strumenti operativi per orientare il credito verso le imprese del turismo che intendono investire nella crescita. Dalla consulenza tecnica alla semplificazione dell’accesso al credito, fino all’integrazione con i bandi pubblici e gli incentivi fiscali: tutto è pensato per massimizzare l’impatto delle risorse messe a disposizione.

Turismo 5.0

Nel cuore dell’accordo tra Intesa Sanpaolo, Confindustria e le associazioni di categoria c’è un obiettivo ambizioso: accelerare la trasformazione digitale ed energetica delle imprese del turismo, rendendole più efficienti, sostenibili e competitive. Come indicato nell’articolo 1 del documento, la doppia transizione non è solo una sfida, ma una straordinaria opportunità per le imprese di rinnovarsi in un contesto globale in continua evoluzione.

Il percorso tracciato prevede un forte sostegno agli investimenti che puntano alla digitalizzazione dei processi, all’automazione e all’integrazione delle tecnologie nei servizi ricettivi, ma anche alla riqualificazione energetica delle strutture, con l’obiettivo di ridurre consumi e impatto ambientale. Non a caso, il piano si allinea strategicamente con i grandi programmi nazionali ed europei: Piano Transizione 5.0, Transizione 4.0 e REPowerEU, tutti strumenti pensati per sostenere l’innovazione sostenibile e l’autonomia energetica.

Per facilitare l’accesso alle misure di incentivazione pubblica, Intesa Sanpaolo si impegna a fornire servizi di consulenza avanzata, con l’obiettivo di guidare le imprese nella scelta delle soluzioni più efficaci e nella presentazione delle domande per ottenere i contributi statali o europei. L’approccio integrato dell’accordo punta a mettere in sinergia credito, formazione, innovazione e sostenibilità, creando un ecosistema favorevole alla trasformazione del settore.

Questa spinta alla modernizzazione non solo migliora l’efficienza delle strutture ricettive, ma consente anche importanti benefici fiscali grazie alle detrazioni, crediti d’imposta e agevolazioni previste per gli investimenti in innovazione e risparmio energetico.

ZES Unica Mezzogiorno

Un capitolo fondamentale dell’accordo firmato da Intesa Sanpaolo riguarda lo sviluppo delle imprese turistiche nel Sud Italia. Con l’articolo 9, intitolato “Promuovere la crescita e lo sviluppo delle imprese del Sud Italia – ZES Unica Mezzogiorno”, si rafforza l’impegno a sostenere le realtà imprenditoriali localizzate nelle regioni meridionali, dove il divario infrastrutturale ed economico rappresenta ancora un ostacolo alla piena valorizzazione del potenziale turistico.

La misura si collega direttamente alla ZES Unica Mezzogiorno, istituita dal Decreto-Legge n. 124/2023, che ha accorpato le precedenti Zone Economiche Speciali in un’unica area agevolata comprendente Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. L’obiettivo della ZES è quello di favorire lo sviluppo equilibrato del tessuto produttivo nazionale, colmando i divari territoriali di competitività e reddito.

Per le imprese turistiche che operano o intendono insediarsi all’interno della ZES, l’accordo prevede condizioni estremamente vantaggiose, tra cui spicca l’Autorizzazione Unica, che sostituisce tutti i titoli abilitativi necessari per l’avvio di attività produttive, logistiche o ricettive. Una semplificazione importante, che riduce tempi e burocrazia, favorendo l’attrazione di investimenti.

Intesa Sanpaolo e le parti firmatarie si impegnano, inoltre, a promuovere azioni sistemiche e coordinate con l’Autorità di Coordinamento della Struttura di Missione della ZES Unica, allo scopo di facilitare l’accesso al credito, l’utilizzo degli incentivi pubblici e l’integrazione tra le politiche nazionali e regionali. Un approccio integrato che punta a stimolare la crescita economica, occupazionale e turistica del Mezzogiorno, in coerenza con le strategie del PNRR e della nuova programmazione europea.

Credito, consulenza e incentivi

L’accordo tra Intesa Sanpaolo e il sistema delle associazioni turistiche non si limita alla semplice disponibilità di fondi: è stato strutturato un vero e proprio ecosistema di strumenti operativi pensati per accompagnare le imprese turistiche lungo l’intero percorso di investimento. Dai piccoli operatori locali ai grandi gruppi dell’hospitality, tutti potranno accedere a soluzioni flessibili e personalizzate in grado di rispondere alle specifiche esigenze del settore.

Al centro dell’iniziativa c’è il credito agevolato, con linee di finanziamento a tassi competitivi e piani di rimborso calibrati sulla stagionalità del turismo. Intesa Sanpaolo, infatti, prevede l’erogazione di prestiti a medio-lungo termine finalizzati a sostenere investimenti in efficientamento energetico, digitalizzazione, ristrutturazione immobiliare, formazione del personale e accessibilità.

Oltre al credito, è previsto un pacchetto di servizi consulenziali evoluti, con team specializzati in grado di assistere le imprese nell’individuazione delle agevolazioni pubbliche attive – dai crediti d’imposta alla finanza agevolata regionale, fino ai fondi europei – e nella predisposizione delle domande. L’obiettivo è quello di semplificare l’accesso ai fondi e velocizzare i processi burocratici, aumentando le probabilità di successo degli investimenti.

Fondamentale, infine, è il supporto alla pianificazione strategica, con strumenti digitali e analisi di mercato messi a disposizione delle imprese per valutare con precisione l’impatto economico e fiscale degli interventi. Questa sinergia tra credito, consulenza e incentivi pubblici rappresenta un modello replicabile anche in altri settori, ma trova nel turismo – per natura dinamico e stagionale – un’applicazione particolarmente efficace.

Quali investimenti sono finanziabili

Uno degli aspetti più rilevanti dell’accordo tra Intesa Sanpaolo e le Associazioni del Turismo riguarda la tipologia di interventi ammessi al finanziamento. Le imprese turistiche potranno infatti accedere ai fondi per realizzare progetti concreti di innovazione, riqualificazione e crescita sostenibile, allineati con gli obiettivi del PNRR e delle politiche europee per la transizione verde e digitale.

Tra gli interventi prioritari rientrano:

  • la digitalizzazione dei servizi (prenotazioni online, domotica nelle camere, CRM turistici, check-in automatizzati);

  • l’adozione di soluzioni green tech, come impianti fotovoltaici, sistemi di recupero delle acque, colonnine di ricarica elettrica e gestione intelligente dell’energia;

  • la riqualificazione edilizia delle strutture ricettive con criteri di efficienza energetica e sicurezza antisismica;

  • la formazione del personale, con focus sulle competenze digitali, linguistiche e sull’accoglienza di target internazionali;

  • progetti di accessibilità e inclusività, per rendere le strutture turistiche fruibili a tutte le categorie di viaggiatori, in particolare persone con disabilità;

  • iniziative di destagionalizzazione, che permettano di attrarre flussi turistici anche nei mesi tradizionalmente più deboli.

Inoltre, una particolare attenzione sarà riservata agli investimenti che valorizzano il patrimonio culturale e ambientale locale, contribuendo allo sviluppo di un turismo esperienziale, lento e di qualità. Questa strategia permette di incrementare la competitività dell’offerta turistica italiana e, al contempo, accedere a incentivi fiscali previsti per le imprese che investono in sostenibilità e innovazione.

Vantaggi fiscali 

Uno dei punti di forza dell’accordo tra Intesa Sanpaolo e le associazioni del settore turistico è la possibilità di combinare i finanziamenti bancari con un ampio spettro di agevolazioni fiscali, previste da normative nazionali ed europee. Questo approccio integrato consente alle imprese turistiche non solo di ridurre il costo degli investimenti, ma anche di ottimizzare la gestione fiscale dell’attività nel medio e lungo periodo.

In primo piano ci sono le misure già attive del Piano Transizione 4.0, che offrono crediti d’imposta fino al 45% per investimenti in beni strumentali tecnologicamente avanzati, formazione del personale e software. A queste si aggiungeranno i nuovi incentivi del Piano Transizione 5.0, orientati specificamente all’efficienza energetica e all’adozione di tecnologie digitali green. Per il turismo, che spesso opera con edifici datati e ad alto impatto energetico, questi incentivi rappresentano un’occasione strategica di rinnovamento.

Un altro strumento chiave è il Superbonus Alberghi (art. 1, comma 314, Legge 234/2021), che consente la detrazione fino all’80% delle spese sostenute per interventi di riqualificazione edilizia, efficientamento energetico, digitalizzazione e eliminazione delle barriere architettoniche nelle strutture ricettive.

Inoltre, per le imprese che operano nelle regioni della ZES Unica Mezzogiorno, si applicano agevolazioni fiscali aggiuntive, come il credito d’imposta per nuovi investimenti e l’esenzione IRAP per nuove attività produttive.

Grazie al supporto consulenziale di Intesa Sanpaolo, le imprese potranno identificare e combinare le misure più vantaggiose, aumentando il ritorno economico dei loro progetti e migliorando la loro posizione fiscale complessiva.

Conclusione

L’accordo tra Intesa Sanpaolo e le Associazioni del Turismo, inserito nel più ampio quadro della collaborazione con Confindustria, rappresenta un vero punto di svolta per le imprese turistiche italiane. I 10 miliardi di euro messi a disposizione fino al 2028 non sono solo una leva finanziaria, ma un catalizzatore di cambiamento strutturale per un settore che, pur essendo uno dei più importanti per l’economia nazionale, necessita ancora di profonde trasformazioni.

La combinazione di credito agevolato, consulenza personalizzata, incentivi fiscali e semplificazioni normative crea le condizioni ideali per rilanciare in modo intelligente il comparto turistico, sia al Nord che nel Mezzogiorno. Le imprese che sapranno cogliere queste opportunità potranno rinnovare la propria offerta, migliorare la qualità dell’accoglienza, ridurre i costi energetici e diventare più competitive a livello nazionale e internazionale.

In un contesto in cui i viaggiatori cercano esperienze sempre più personalizzate, sostenibili e digitalizzate, investire oggi nel rinnovamento della propria struttura o attività significa garantire il futuro dell’impresa. Le condizioni ci sono tutte: risorse, strumenti, supporto tecnico e vantaggi fiscali.

La sfida ora passa alle imprese. E la risposta non può che essere strategica: pianificare, investire, innovare.

Bonus Formazione Autotrasporto 2025: come ottenere fino a 150.000 euro per la formazione nel settore trasporti

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Il mondo dell’autotrasporto si prepara a una piccola grande rivoluzione. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 226 del 29 settembre 2025 del Decreto Ministeriale 4 agosto 2025, arrivano finalmente le regole ufficiali per accedere al Bonus Formazione Autotrasporto, una misura attesissima dagli operatori del settore. A partire dal 20 ottobre 2025, le imprese potranno inviare le domande per ottenere il contributo economico destinato a finanziare percorsi formativi per il personale dipendente, con attività formative che si svolgeranno nel 2026.

In un momento di transizione economica e tecnologica per l’intero comparto logistico e dei trasporti, questo incentivo rappresenta un’importante occasione per investire sulle competenze, migliorare la sicurezza, l’efficienza e l’innovazione del settore.

Ma quali sono le modalità di accesso, i requisiti, i limiti di spesa e i tempi da rispettare? E soprattutto: come sfruttare al meglio questa opportunità per ottenere vantaggi fiscali ed economici concreti?

In questo articolo analizziamo nel dettaglio tutte le informazioni contenute nel decreto, i benefici attesi per le imprese di autotrasporto e gli adempimenti necessari per non perdere il contributo.

Soggetti ammessi e limiti della misura

Il Bonus Formazione Autotrasporto 2025 è destinato esclusivamente alle imprese di autotrasporto di merci per conto di terzi, una categoria strategica per la logistica italiana. La misura è rivolta in particolare a tutti quei soggetti che, all’interno di queste imprese, svolgono ruoli chiave e che possono trarre beneficio da percorsi di aggiornamento professionale: parliamo di titolari, soci, amministratori, dipendenti e addetti inquadrati nel contratto collettivo nazionale logistica, trasporto e spedizioni.

Gli interventi formativi ammessi devono riguardare tematiche cruciali per il futuro del settore: gestione d’impresa, nuove tecnologie, sviluppo della competitività, e soprattutto l’innalzamento del livello di sicurezza stradale e sicurezza sul lavoro. Sono finanziabili anche i corsi destinati ai dirigenti, purché dipendenti dell’impresa richiedente e che trattino le materie indicate nel decreto.

Tuttavia, il bonus non copre i corsi finalizzati all’accesso alla professione o al rinnovo di titoli abilitativi obbligatori, né quelli imposti dalla normativa nazionale per obbligo di legge, come previsto dall’art. 31, comma 2, del Regolamento (CE) n. 651/2014.

Le imprese possono strutturare i progetti in forma aziendale, interaziendale, territoriale o per filiera, ma è essenziale che al momento della domanda venga dichiarata l’adesione di tutte le aziende coinvolte e la struttura organizzativa del piano. I corsi finanziabili devono svolgersi dal 12 gennaio 2026 al 30 giugno 2026, ma sono ammessi anche i costi di preparazione del piano formativo, purché sostenuti dopo la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale.

Domande dal 20 ottobre

Le imprese interessate ad accedere al Bonus Formazione Autotrasporto dovranno attivarsi entro tempistiche precise e rispettare condizioni formali molto rigorose.

Le domande per ottenere i contributi possono essere presentate dal 20 ottobre al 24 novembre 2025, esclusivamente via PEC all’indirizzo: ram.formazione2026@pec.it,
con firma digitale del legale rappresentante dell’impresa, consorzio o cooperativa, indicando nell’oggetto della mail: «Domanda di ammissione incentivo formazione professionale edizione 16».

I soggetti legittimati a proporre domanda sono:

  • Le imprese di autotrasporto merci per conto di terzi con sede principale o secondaria in Italia, regolarmente iscritte al Registro Elettronico Nazionale istituito dal Regolamento (CE) n. 1071/2009;

  • Le imprese che operano con veicoli fino a 1,5 tonnellate, purché iscritte all’Albo nazionale degli autotrasportatori;

  • Le forme associate o strutture societarie, come consorzi e cooperative, iscritte nella sezione speciale dell’albo, ma solo per le imprese regolarmente iscritte.

Attenzione: ogni impresa può presentare una sola domanda, anche se fa parte di un consorzio o cooperativa. È necessario allegare una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi del DPR 445/2000, art. 47, in cui si certifica di non aver presentato più domande, pena l’esclusione.

In caso di domande duplicate (una come singola impresa e una come parte associata), verrà ammessa solo la prima domanda pervenuta in ordine temporale. Inoltre, saranno escluse automaticamente le imprese o i consorzi per i quali sia stato riscontrato un esito negativo nei controlli effettuati dal soggetto gestore (RAM S.p.A.) in una delle due edizioni precedenti.

Tutti i dettagli tecnici e il modello ufficiale della domanda sono pubblicati sul sito di RAM Logistica, Infrastrutture e Trasporti S.p.A. e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nella sezione “Autotrasporto merci – Documentazione”.

Importi, limiti e costi finanziabili

L’importo del Bonus Formazione Autotrasporto varia in base alla dimensione aziendale, secondo quanto stabilito dal decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

L’ammontare massimo riconoscibile per ciascuna impresa è così definito:

  • Microimprese (meno di 10 dipendenti): fino a 15.000 euro;

  • Piccole imprese (meno di 50 dipendenti): fino a 50.000 euro;

  • Medie imprese (meno di 250 dipendenti): fino a 100.000 euro;

  • Grandi imprese (250 o più dipendenti): fino a 150.000 euro.

Le forme associate (come consorzi e cooperative) potranno richiedere un contributo pari alla somma dei massimali delle singole imprese partecipanti, con un limite complessivo di 300.000 euro per progetto.

Il calcolo del contributo tiene conto di specifici parametri tecnici e massimali:

  • 30 ore di formazione per ogni partecipante autista;

  • 40 ore per ogni impiegato;

  • Compenso massimo per la docenza in aula: 120 €/ora;

  • Compenso massimo per i tutor: 30 €/ora;

  • Servizi di consulenza: massimo 20% del totale dei costi ammissibili.

È fondamentale sapere che almeno il 50% dei costi ammissibili deve essere imputabile alle attività didattiche effettive, ovvero: docenza, tutoraggio, trasferte, materiali didattici, attrezzature (quota parte), e servizi di consulenza pertinenti al progetto. Ciò garantisce che il bonus sia usato per finalità concrete di formazione professionale, e non per spese accessorie o di gestione.

Questo sistema di calcolo, ispirato all’art. 31 del Regolamento (CE) n. 651/2014, mira a garantire trasparenza, proporzionalità e tracciabilità delle spese, limitando abusi e allocazioni inefficienti di risorse pubbliche.

Formazione a distanza

Per le imprese che intendono erogare formazione a distanza, il decreto prevede la possibilità di realizzare i corsi tramite videoconferenza, ma a condizioni ben precise. L’obiettivo è garantire che anche le attività formative online siano tracciabili, verificabili e conformi agli standard previsti per l’erogazione del contributo.

In particolare, il sistema di formazione a distanza deve:

  • prevedere riprese video simultanee di tutti i partecipanti e dei docenti;

  • consentire la condivisione di documenti in tempo reale;

  • essere integralmente registrato, con conservazione delle registrazioni per 3 anni, pronte per eventuali verifiche da parte dell’Amministrazione;

  • prevedere identificazione formale dei partecipanti e dei docenti tramite documento d’identità e creazione di un profilo con codice alfanumerico;

  • comunicare in anticipo al soggetto gestore (RAM S.p.A.) i codici di accesso alla videoconferenza.

Oltre ai requisiti tecnici, al momento della presentazione della domanda dovranno essere dichiarati:

  • il soggetto attuatore del corso, che non potrà essere modificato successivamente;

  • il programma dettagliato della formazione (materie, durata, destinatari, inizio/fine);

  • il preventivo di spesa, articolato in almeno nove voci (docenza, tutor, viaggi, materiali, consulenze, personale, spese generali…);

  • il calendario completo del corso, inclusi i codici di accesso se svolto in videoconferenza.

Ogni variazione del calendario o dei dati inseriti dovrà essere comunicata online tramite la piattaforma RAM (www.ramspa.it) almeno 3 giorni prima dell’inizio della nuova attività formativa. Eventuali eccezioni sono consentite solo in caso di forza maggiore debitamente documentata.

Infine, il caricamento del calendario sulla piattaforma RAM è obbligatorio entro il 12 gennaio 2026, data di inizio delle attività formative, pena l’esclusione dal contributo.

Vantaggi fiscali e strategici

Aderire al Bonus Formazione Autotrasporto non significa solo ottenere un rimborso parziale o totale dei costi sostenuti per la formazione, ma rappresenta una vera e propria leva strategica per migliorare la competitività aziendale, ridurre i rischi e accedere a vantaggi fiscali indiretti.

Ecco perché è un’opportunità che le imprese non dovrebbero sottovalutare.

  • Vantaggio economico diretto: la possibilità di ottenere fino a 150.000 euro per singola impresa (o fino a 300.000 euro per forme associate) consente di finanziare integralmente o in gran parte percorsi formativi specialistici senza gravare sul bilancio aziendale.
  • Risparmio fiscale: anche se il bonus non è un credito d’imposta, le spese di formazione non coperte dal contributo (quindi la parte eccedente il massimale riconosciuto) possono essere dedotte dal reddito d’impresa, contribuendo a ridurre la base imponibile e quindi l’IRPEG o l’IRPEF in caso di ditta individuale o società di persone.
  • Incremento della sicurezza e della produttività: formare autisti e impiegati su temi come sicurezza stradale, nuove tecnologie e logistica avanzata abbatte i costi derivanti da errori, incidenti e inefficienze, migliorando il rendimento generale dell’impresa.
  • Allineamento con gli standard europei: partecipare a progetti formativi regolamentati secondo i criteri dell’art. 31 del Regolamento UE n. 651/2014 significa essere in linea con le best practice comunitarie in materia di aiuti di Stato e formazione professionale, fattore spesso richiesto nei bandi europei e nelle gare pubbliche.
  • Valorizzazione delle risorse umane: investire nella formazione dimostra attenzione al capitale umano, rafforza la fidelizzazione dei collaboratori e aumenta il valore reputazionale dell’impresa sul mercato.

Per massimizzare questi benefici, è fondamentale pianificare il progetto formativo per tempo, individuando:

  • le aree su cui formare il personale (es. digitalizzazione, gestione flotte, sicurezza, sostenibilità);

  • il soggetto attuatore idoneo e qualificato;

  • le modalità di erogazione più adatte (presenza o videoconferenza);

  • la tempistica compatibile con le date vincolanti: formazione tra il 12 gennaio e il 30 giugno 2026.

Documenti, tempistiche e verifiche

Per accedere con successo al Bonus Formazione Autotrasporto, è essenziale adottare un approccio organizzato e proattivo. L’apertura del termine per la presentazione delle domande potrebbe sembrare lontana, ma in realtà le attività preliminari da svolgere sono numerose e vanno pianificate per tempo. Ricordiamo che il termine è perentorio: la scadenza è fissata al 24 novembre 2025 e le domande fuori termine saranno escluse.

Ecco un checklist operativo per prepararsi correttamente:

Verifica dei requisiti aziendali: assicurarsi di essere iscritti al Registro elettronico nazionale (REN) o all’Albo degli autotrasportatori per veicoli fino a 1,5 tonnellate. In caso di adesione a consorzi o cooperative, è necessario coordinarsi con gli altri associati per evitare duplicazioni nella domanda.

Definizione del piano formativo: è importante stabilire subito:

  • le tematiche formative (es. sicurezza, gestione flotte, digitalizzazione);

  • la modalità di erogazione (presenza o FAD);

  • la struttura del corso: date, durata, destinatari, contenuti;

  • il soggetto attuatore accreditato.

Raccolta della documentazione:

  • dichiarazione sostitutiva per attestare l’assenza di altre domande da parte della stessa impresa;

  • documentazione sul soggetto attuatore (non modificabile dopo l’invio);

  • programma del corso, preventivo spese dettagliato (9 voci);

  • dichiarazioni ex DPR 445/2000;

  • calendario del corso, da caricare anche sulla piattaforma RAM entro il 12 gennaio 2026.

Firma digitale e invio via PEC:

La domanda deve essere sottoscritta digitalmente dal legale rappresentante dell’impresa o dell’ente associato e inviata all’indirizzo PEC: ram.formazione2026@pec.it specificando nell’oggetto: “Domanda di ammissione incentivo formazione professionale edizione 16”.

Controllo pre-invio: consigliamo di effettuare un controllo incrociato di tutta la documentazione, anche con il supporto di un commercialista o consulente del lavoro esperto in incentivi pubblici, per evitare errori formali che comporterebbero l’esclusione automatica.

Inoltre, l’impresa dovrà monitorare costantemente il sito www.ramspa.it, dove saranno pubblicate le modalità tecniche di accesso alla piattaforma, oltre agli aggiornamenti normativi e amministrativi.

Esempi di progetti ammessi 

Capire come tradurre in pratica il Bonus Formazione Autotrasporto è fondamentale per sfruttarlo appieno e non limitarsi a una visione teorica della misura. Di seguito presentiamo alcuni esempi realistici di progetti formativi che possono essere ammessi al finanziamento e come diverse tipologie di imprese potrebbero strutturarli.

Esempio 1: Microimpresa con 6 autisti

Un’impresa di autotrasporto con 6 dipendenti decide di organizzare un corso sulla sicurezza stradale e gestione del carico, svolto interamente in videoconferenza. Il progetto prevede:

  • 30 ore di formazione per ogni autista;

  • docente specializzato in normativa ADR e sicurezza;

  • spese per piattaforma, consulenza, materiali digitali e tutor;

  • registrazione e archiviazione delle lezioni.

Costo totale: circa 13.500 euro
Contributo richiesto: 13.500 euro

Ammesso perché rientra nel tetto massimo per le microimprese (15.000 euro), e perché rispetta i requisiti FAD.

Esempio 2: Media impresa con 90 dipendenti

Una media impresa con 90 unità vuole avviare un piano formativo misto (presenza + online) su:

  • Digitalizzazione del magazzino, con focus su software TMS e tracciamento;

  • Guida ecosostenibile, per ridurre i consumi e l’usura dei veicoli;

  • Formazione per impiegati sull’ottimizzazione logistica e normativa doganale.

Numero di ore: 30 ore per 40 autisti + 40 ore per 20 impiegati;
Totale costo stimato: 95.000 euro
Contributo richiesto: 95.000 euro

Ammesso in quanto rientra nel tetto massimo per medie imprese (100.000 euro), e distribuisce correttamente i costi tra docenza, materiali e consulenza.

Esempio 3: Cooperativa di 12 imprese

Una cooperativa che raggruppa 12 piccole imprese associate propone un piano interaziendale, condiviso, per la formazione su:

  • Sistemi di geolocalizzazione e controllo flotte;

  • Gestione dei tempi di guida e riposo;

  • Procedure di primo soccorso e antincendio.

Ogni impresa partecipa con 4 dipendenti;
Contributo medio per impresa: 30.000 euro
Totale contributo richiesto: 12 x 30.000 = 360.000 euro
Contributo ammesso: massimo 300.000 euro per forme associate
Il progetto dovrà essere rimodulato per non superare il tetto previsto.

Questi esempi dimostrano come sia possibile progettare interventi efficaci e finanziabili, purché si rispetti la corretta distribuzione delle ore, le voci di costo previste dal decreto, i tetti massimi per categoria d’impresa e le tempistiche e modalità di rendicontazione.

Conclusione

Il Bonus Formazione Autotrasporto 2025 rappresenta una straordinaria occasione per le imprese del settore di investire nella crescita professionale dei propri dipendenti e nel rafforzamento della propria competitività, sfruttando risorse pubbliche messe a disposizione in modo mirato.

Le attività formative, programmate per il primo semestre del 2026, possono riguardare tematiche cruciali come la sicurezza stradale, la digitalizzazione dei processi, la sostenibilità, ma anche competenze manageriali e tecniche legate alla gestione dell’impresa. Tutto ciò con un contributo massimo fino a 150.000 euro per singola impresa, e 300.000 euro per consorzi e cooperative.

Per non perdere questa opportunità, è fondamentale preparare tutta la documentazione necessaria in tempo utile, definire il piano formativo con soggetti attuatori qualificati e rispettare rigorosamente i termini e i criteri indicati nel decreto.

La domanda va presentata dal 20 ottobre al 24 novembre 2025 tramite PEC, firmata digitalmente e completa di ogni elemento richiesto. Eventuali errori, omissioni o doppie richieste porteranno all’esclusione automatica dal contributo.

Il consiglio è di attivarsi immediatamente, anche con l’aiuto di un professionista (commercialista o consulente del lavoro), per pianificare le azioni necessarie, ottimizzare i costi e ottenere un concreto vantaggio competitivo sul mercato.

Caregiver negli studi professionali: contributo da 500 euro da EBIPRO – Requisiti, procedura e rimborso

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Dal 23 giugno 2025 è attiva una nuova e importante misura di welfare contrattuale: un contributo economico pari a 500 euro destinato ai dipendenti degli studi professionali che si prendono cura di un familiare percettore dell’indennità di accompagnamento INPS. A renderlo possibile è EBIPRO, l’Ente Bilaterale Nazionale per gli Studi Professionali, nell’ambito del nuovo Regolamento delle prestazioni per il 2025.

In un periodo storico in cui il tema della conciliazione tra lavoro e assistenza familiare è sempre più rilevante, questa iniziativa assume un valore concreto e simbolico. Spesso chi assiste un familiare con disabilità o non autosufficiente lo fa in silenzio, senza alcun supporto economico aggiuntivo. Grazie a questa misura, per la prima volta, il sistema di welfare integrativo dei lavoratori degli studi professionali riconosce un sostegno mirato al ruolo del caregiver familiare.

La misura prevede che il contributo venga anticipato dal datore di lavoro al dipendente che ne ha diritto, con successivo rimborso da parte di EBIPRO entro 4 mesi. Un processo snello ma che richiede requisiti ben precisi, da verificare attentamente.

Nei prossimi paragrafi analizzeremo chi può accedere al contributo, quali sono i requisiti, le modalità operative per presentare la domanda, e cosa devono fare i datori di lavoro.

A chi spetta il contributo 

La nuova indennità integrativa di 500 euro introdotta da EBIPRO è rivolta ai lavoratori dipendenti con familiari in stato di totale inabilità, già percettori dell’indennità di accompagnamento INPS, prevista dalla Legge 18/1980, e in possesso di un certificato di validità attivo al momento della domanda. Si tratta di una misura che riconosce concretamente il peso assistenziale che grava spesso in silenzio su molti lavoratori.

L’accesso al contributo è previsto solo per alcune categorie di familiari, ossia:

  • padre o madre,

  • figlio o figlia,

  • fratello o sorella,

  • coniuge,

  • parte dell’unione civile,

  • convivente more uxorio (coppia di fatto), purché certificato dall’Ufficio Anagrafe del Comune di residenza.

Per quanto riguarda i lavoratori, possono beneficiare del contributo solo coloro che:

  • sono assunti con contratto CCNL Studi Professionali;

  • lavorano presso uno studio professionale in regola con i versamenti a CADIPROF ed EBIPRO;

  • risultano in forza al momento della richiesta del contributo;

  • hanno almeno 6 mesi continuativi di contribuzione e iscrizione a EBIPRO.

L’importo di 500 euro, definito lordo, è considerato trattamento retributivo integrativo e viene anticipato in busta paga dal datore di lavoro, risultando quindi soggetto a tassazione IRPEF e contributi previdenziali. Inoltre, il dipendente può richiedere il contributo al massimo due volte nell’arco della propria iscrizione all’ente bilaterale, rendendo la misura occasionale ma strategica nei momenti di reale necessità familiare.

Come richiedere il contributo 

La richiesta del contributo da 500 euro non può essere presentata direttamente dal dipendente, ma deve essere effettuata esclusivamente dal datore di lavoro, attraverso la piattaforma online ufficiale di EBIPRO, accedendo all’Area Riservata con le credenziali “Professionista DDL”.

La procedura è strutturata in cinque fasi operative, che garantiscono la regolarità del processo e la tracciabilità del contributo erogato.

1. Richiesta preliminare

Il datore di lavoro, per conto del dipendente, deve inoltrare una richiesta preliminare attraverso l’area riservata, allegando:

  • il certificato INPS che attesti lo stato di inabilità totale del familiare e la validità dell’indennità di accompagnamento;

  • un’autocertificazione del grado di parentela, conforme ai requisiti previsti.

2. Autorizzazione di EBIPRO

Una volta verificato il rispetto delle condizioni (tra cui la regolarità contributiva dell’azienda), EBIPRO rilascia un’autorizzazione ufficiale che consente al datore di lavoro di anticipare in busta paga il contributo. L’autorizzazione ha validità di 120 giorni dalla data di accettazione.

3. Anticipazione in busta paga

Il datore di lavoro eroga la somma al dipendente attraverso la prima busta paga utile, indicando una voce specifica soggetta a tassazione ordinaria (IRPEF, addizionali e contributi previdenziali).

4. Prova di pagamento

Entro 3 mesi dall’anticipazione, l’azienda deve fornire a EBIPRO una copia della busta paga che attesta l’avvenuto pagamento della somma al dipendente, in linea con quanto autorizzato.

5. Rimborso da parte di EBIPRO

A seguito della verifica della documentazione, EBIPRO rimborsa l’importo al datore di lavoro, chiudendo il processo amministrativo.

Questa procedura, seppur articolata, consente agli studi professionali di offrire un importante beneficio sociale ai propri collaboratori, consolidando il ruolo della bilateralità come strumento di supporto concreto alla persona e alla famiglia.

Come funziona

Una volta inviata la domanda attraverso l’area riservata, EBIPRO gestisce le richieste secondo l’ordine cronologico di arrivo, assicurando così una procedura trasparente e imparziale. Tuttavia, affinché la domanda venga approvata e liquidata nei tempi previsti (massimo 120 giorni), è essenziale che la documentazione presentata sia completa, corretta e leggibile, e che il datore di lavoro risulti in regola con i versamenti contributivi.

Verifica preliminare e approvazione

L’ente, ricevuta la richiesta, effettua:

  • la verifica della regolarità contributiva del datore di lavoro;

  • il controllo sulla validità e correttezza dei documenti allegati (certificato INPS e autocertificazione).

Solo in caso di esito positivo, EBIPRO procede alla liquidazione del rimborso entro 4 mesi dalla data di presentazione, tramite bonifico bancario sul conto corrente indicato in fase di domanda.

Sospensione per documentazione errata o incompleta

Se i documenti risultano illeggibili, incompleti, criptati o non conformi, la domanda viene sospesa. Il datore ha 10 giorni di tempo per integrare o correggere la documentazione. Il termine dei 120 giorni ricomincia a decorrere dalla data del nuovo caricamento.

In mancanza di risposta entro il termine previsto, la domanda viene respinta.

Sospensione per irregolarità contributiva

Se invece emerge una situazione debitoria del datore di lavoro nei confronti della bilateralità, EBIPRO sospende la richiesta, assegnando un termine congruo per la regolarizzazione. In caso di saldo positivo, il termine dei 120 giorni decorre dalla data di pagamento degli arretrati. Anche in questo caso, in assenza di riscontro, la domanda verrà rigettata.

Questo meccanismo garantisce l’efficienza del sistema e la corretta distribuzione delle risorse, ma impone una gestione puntuale e rigorosa da parte dei datori di lavoro.

Vantaggi 

L’erogazione del contributo integrativo da 500 euro da parte di EBIPRO non è soltanto un gesto di sostegno economico: rappresenta una leva strategica di welfare aziendale, che valorizza il ruolo sociale e umano del lavoratore all’interno dello studio professionale. In un contesto sempre più attento al benessere organizzativo, misure come questa rafforzano il legame tra datore di lavoro e dipendente, migliorando la fidelizzazione del personale e la reputazione dello studio.

Per i lavoratori caregiver il contributo da 500 euro può rappresentare un sollievo economico importante, ad esempio per coprire spese sanitarie, assistenziali o semplicemente per ottenere un supporto morale. Inoltre, il fatto che la misura sia erogata tramite busta paga, rafforza la percezione di un coinvolgimento diretto dello studio professionale nel benessere del dipendente.

Per gli studi professionali, invece, aderire alla bilateralità e promuovere attivamente queste misure consente di:

  • accedere a prestazioni integrative senza costi aggiuntivi, se in regola con i versamenti;

  • dimostrare attenzione ai bisogni concreti del personale;

  • ridurre il turnover e aumentare la produttività interna, grazie a un clima di lavoro più stabile e motivante.

Infine, va ricordato che l’intervento di EBIPRO è parte di un sistema più ampio di prestazioni (sanitarie, familiari, assistenziali) previsto per i dipendenti degli studi professionali, sempre più orientato a una tutela globale della persona e non solo del lavoratore.

Confronto con le misure statali

Nel panorama italiano delle tutele per i caregiver familiari, le misure pubbliche sono ancora limitate, frammentarie e spesso non sufficienti a compensare gli sforzi richiesti a chi assiste un parente con grave disabilità. La Legge 104/1992 e l’indennità di accompagnamento INPS sono strumenti fondamentali, ma si rivolgono al soggetto assistito, non a chi presta l’assistenza.

Ad oggi, le principali tutele per il caregiver comprendono:

  • permessi retribuiti (3 giorni al mese) previsti dalla Legge 104;

  • congedi straordinari fino a 2 anni (non sempre retribuiti pienamente);

  • assenze giustificate per motivi legati all’assistenza familiare;

  • assenze per gravi motivi familiari, ma solo se concesse dal datore.

Tuttavia, nessuna di queste misure comporta un contributo economico diretto a favore del lavoratore per sostenere i costi legati all’assistenza del familiare disabile.

In questo contesto, il contributo EBIPRO da 500 euro, pur limitato a due erogazioni nella vita lavorativa, rappresenta un unicum nel panorama italiano: si tratta infatti di una misura integrativa, volontaria, privata e collegata alla contrattazione collettiva del settore studi professionali.

Questa iniziativa colma un vuoto normativo importante, offrendo:

  • sostegno economico diretto al caregiver, senza gravare sulla spesa pubblica;

  • una procedura snella, attivabile tramite il datore di lavoro;

  • un sistema di welfare contrattuale moderno e personalizzato.

In un sistema dove lo Stato fatica a garantire un supporto adeguato, la bilateralità settoriale dimostra come sia possibile promuovere equità e inclusione sociale anche attraverso strumenti contrattuali e privati.

Gestione fiscale e contabile 

Dal punto di vista fiscale, il contributo da 500 euro anticipato in busta paga dal datore di lavoro ai sensi del Regolamento EBIPRO 2025, costituisce reddito di lavoro dipendente a tutti gli effetti. Questo significa che deve essere assoggettato a tassazione ordinaria IRPEF, alle relative addizionali regionali e comunali, nonché ai contributi previdenziali INPS. Il datore di lavoro dovrà pertanto applicare le normali ritenute al momento dell’erogazione, evidenziando l’importo nella busta paga sotto una voce specifica, ad esempio: “Contributo caregiver EBIPRO”.

In fase di contabilizzazione, l’importo anticipato potrà essere registrato tra i costi per il personale (retribuzioni accessorie o indennità contrattuali), mentre il successivo rimborso da parte di EBIPRO, una volta ricevuto, andrà registrato tra i ricavi o rimborsi da enti bilaterali, a seconda del piano dei conti adottato. È importante tenere una documentazione ordinata che includa: l’autorizzazione ricevuta da EBIPRO, la busta paga del dipendente, e la ricevuta del bonifico di rimborso.

Infine, ai fini della Certificazione Unica (CU), il contributo va inserito tra i redditi da lavoro dipendente, nella sezione ordinaria, e concorre alla determinazione del reddito complessivo del lavoratore. Gli studi devono quindi porre particolare attenzione nel gestire correttamente queste voci per evitare errori in fase di dichiarazione dei redditi del dipendente.

Conclusioni

La misura introdotta da EBIPRO rappresenta un esempio virtuoso di welfare contrattuale intelligente e mirato, capace di rispondere a un bisogno reale e diffuso: quello del lavoratore che, oltre al proprio impegno professionale, si fa carico quotidianamente dell’assistenza a un familiare non autosufficiente.

Un contributo da 500 euro può sembrare modesto, ma assume un valore simbolico e sociale altissimo: è il riconoscimento ufficiale di una condizione spesso invisibile, che comporta costi fisici, psicologici ed economici. Inoltre, il coinvolgimento attivo del datore di lavoro, che anticipa l’importo in busta paga e gestisce l’intera procedura, rafforza il rapporto fiduciario tra studio professionale e collaboratore.

Per gli studi professionali, aderire regolarmente a EBIPRO e CADIPROF significa poter contare su una rete di servizi e tutele che vanno ben oltre la normale gestione del rapporto di lavoro. In un mercato sempre più competitivo, in cui la retention del personale qualificato è una sfida costante, queste iniziative possono fare la differenza.

Invitiamo quindi tutti i datori di lavoro a verificare la regolarità contributiva e informarsi presso l’area riservata di EBIPRO per accedere a questa ed altre misure.

Italia-Giappone: come funziona il visto Vacanze-Lavoro secondo la Legge 136/2025

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Dal 26 settembre 2025, Italia e Giappone hanno ufficialmente avviato un programma che potrebbe cambiare la vita di molti giovani: è entrata in vigore la Legge n. 136 del 17 settembre 2025, che ratifica l’Accordo Vacanze-Lavoro stipulato tra i due Paesi. Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 224 del 26 settembre 2025, questa legge rappresenta un passo storico nella cooperazione culturale ed economica tra Italia e Giappone.

Il programma, noto come Working Holiday Visa (WHV), è pensato per i cittadini tra i 18 e i 30 anni, e consente loro di soggiornare per un massimo di un anno nel Paese partner, unendo esperienza professionale e viaggio culturale. Il visto permette infatti di lavorare in modo accessorio durante la permanenza, con l’obiettivo di autofinanziare il viaggio e favorire l’integrazione sociale e culturale.

Il vero valore di questo accordo non è solo nell’aspetto lavorativo o turistico, ma nella possibilità di accrescere competenze, conoscere nuove realtà economiche, stringere relazioni professionali e, soprattutto, creare ponti tra le nuove generazioni di due Paesi che condividono sempre più interessi strategici.

Ma come funziona questo visto Vacanze-Lavoro? Chi può accedervi, e a quali condizioni? Cosa stabilisce esattamente la Legge 136/2025? Approfondiamo tutti gli aspetti normativi, fiscali e pratici di questa opportunità.

Requisiti e condizioni

L’Accordo tra Italia e Giappone sul visto Vacanze-Lavoro, ratificato dalla Legge 136/2025, stabilisce requisiti chiari e dettagliati per i giovani tra i 18 e i 30 anni che desiderano partecipare al programma. L’obiettivo principale del soggiorno deve essere turistico, con la possibilità di lavorare in modo accessorio, ovvero non come attività principale, durante l’anno di permanenza nel Paese ospitante.

Per accedere al visto, il richiedente deve soddisfare le seguenti condizioni:

  • Passaporto valido;

  • Biglietto di ritorno o risorse economiche sufficienti per acquistarlo;

  • Fondi adeguati per mantenersi inizialmente nel Paese;

  • Assicurazione sanitaria completa per tutta la durata del soggiorno;

  • Fedina penale pulita;

  • Nessuna persona a carico (salvo deroghe specifiche);

  • Impegno a rispettare le leggi e i regolamenti locali, in particolare in materia di lavoro e sicurezza sociale.

È importante sottolineare che i due Stati prevedono differenze nei limiti lavorativi: in Italia, i cittadini giapponesi potranno svolgere attività lavorative per un massimo di sei mesi. In Giappone, invece, i cittadini italiani potranno lavorare per l’intera durata del soggiorno, ma sempre con carattere accessorio rispetto alla vacanza.

Entrambi i governi si riservano il diritto di effettuare colloqui individuali presso le ambasciate o i consolati, al fine di accertare la reale idoneità del candidato, la conoscenza del programma e le intenzioni dichiarate.

Questi requisiti mirano a garantire che il programma non venga strumentalizzato e che il soggiorno rappresenti realmente un’occasione di crescita culturale e personale.

Entrata in vigore e caratteristiche dell’Accordo

L’Accordo Vacanze-Lavoro tra Italia e Giappone, oltre ad avere un forte impatto sociale e culturale, si inserisce in un quadro istituzionale ben strutturato, volto a rafforzare la cooperazione bilaterale tra i due Paesi. Le disposizioni previste dalla Legge n. 136/2025 riflettono una chiara volontà di coordinamento: le Parti si impegnano infatti ad attivare canali diplomatici e consultazioni dirette per risolvere eventuali controversie o valutare modifiche future al programma.

L’accordo prevede anche misure di tutela e flessibilità in caso di situazioni straordinarie. Entrambi i Paesi possono sospendere l’accordo, integralmente o parzialmente, per motivi di ordine pubblico, sicurezza nazionale o emergenze sanitarie. Inoltre, ogni Parte ha il diritto di recedere dall’accordo con un preavviso minimo di tre mesi, notificato all’altra Parte tramite canali ufficiali.

Importante è la clausola che garantisce la validità dei visti già rilasciati anche in caso di recesso: ciò tutela i giovani che abbiano già intrapreso il soggiorno o pianificato la partenza, evitando ripercussioni improvvise e ingiuste.

Dal punto di vista finanziario, la legge chiarisce che non sono previsti nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica italiana. L’attuazione dell’accordo sarà infatti gestita dalle amministrazioni competenti, utilizzando le risorse già disponibili a legislazione vigente.

L’entrata in vigore della Legge 136/2025 è avvenuta il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia il 27 settembre 2025. Tuttavia, l’accordo internazionale sarà pienamente operativo solo a partire dal trentesimo giorno successivo allo scambio delle notifiche ufficiali tra i due governi.

Visto Vacanze-Lavoro Italia-Giappone

Per comprendere appieno come funziona il visto Vacanze-Lavoro tra Italia e Giappone, è utile esaminare punto per punto le condizioni applicabili ai cittadini di entrambi i Paesi. Sebbene l’accordo sia bilaterale e fondato su principi di reciprocità, ci sono alcune differenze operative, in particolare sui limiti dell’attività lavorativa.

Ecco la tabella comparativa dei requisiti e delle condizioni:

Voce Cittadini italiani in Giappone Cittadini giapponesi in Italia
Durata del soggiorno Fino a 1 anno dalla data di ingresso Fino a 1 anno dalla data di ingresso
Attività lavorativa Consentita per tutto l’anno, senza permesso di lavoro, come attività accessoria Consentita per max 6 mesi, anche con più datori, come attività accessoria
Età 18–30 anni compiuti al momento della domanda
Scopo principale Viaggio turistico, con possibilità di lavoro accessorio
Passaporto Valido almeno 3 mesi oltre la durata del soggiorno
Titolo di viaggio / fondi Biglietto di ritorno o fondi sufficienti per acquistarlo
Mezzi di sostentamento Risorse economiche adeguate
Assicurazione medica Obbligatoria e con copertura adeguata
Precedenti penali Nessun precedente penale
Familiari a carico Non ammessi, salvo titolari di visto idoneo
Colloquio consolare Possibile, su decisione dell’ambasciata/console
Quote annuali Definite ogni anno e notificate tramite canali diplomatici
Riferimento normativo Legge 17 settembre 2025, n. 136; Accordo 2 maggio 2022

Questa struttura garantisce trasparenza e chiarezza, ed è utile per orientare chi intende presentare domanda. Va ricordato che, pur trattandosi di un visto “agevolato”, resta fondamentale rispettare tutte le condizioni stabilite, pena il rifiuto o la revoca del permesso.

Opportunità culturali, professionali e fiscali

Oltre all’aspetto normativo, il programma Vacanze-Lavoro Italia-Giappone racchiude una serie di vantaggi concreti che possono fare la differenza per i giovani tra i 18 e i 30 anni. Partecipare a questa iniziativa non significa soltanto viaggiare, ma vivere un’esperienza trasformativa, utile anche in ottica di carriera, apprendimento linguistico e sviluppo personale.

Dal punto di vista professionale, la possibilità di lavorare durante il soggiorno consente ai partecipanti di:

  • accumulare esperienza internazionale, sempre più richiesta nel mercato del lavoro;

  • ampliare il proprio network di contatti;

  • esplorare nuove realtà economiche e modelli produttivi, molto diversi da quelli del proprio Paese d’origine.

Chi sceglie il Giappone può immergersi in un ambiente altamente tecnologico e organizzato, sperimentando settori come il turismo, la ristorazione, l’education, l’IT o i servizi. In Italia, i giovani giapponesi possono conoscere da vicino il Made in Italy, l’artigianato, la moda, la cucina e le dinamiche europee.

Dal punto di vista culturale, il programma è un’occasione unica per apprendere o perfezionare una lingua straniera, conoscere le abitudini locali e arricchirsi di esperienze che aumentano il valore del proprio curriculum e potenziano la propria autonomia.

Infine, sotto il profilo fiscale, trattandosi di attività accessorie e temporanee, nella maggior parte dei casi i redditi percepiti rientrano in soglie esenti o agevolate, soprattutto se non si supera un certo numero di mesi lavorati o un limite reddituale (aspetti da valutare con un consulente).

Procedure, documenti e tempi

Richiedere il visto Vacanze-Lavoro Italia-Giappone non è complicato, ma richiede attenzione nella preparazione della documentazione e rispetto delle tempistiche. Le procedure sono gestite direttamente dalle rappresentanze consolari di ciascun Paese, e possono variare leggermente in base all’ambasciata o consolato competente territorialmente.

Per i cittadini italiani che vogliono andare in Giappone:

La domanda va presentata presso l’Ambasciata del Giappone a Roma o il Consolato Generale del Giappone a Milano. È necessario:

  • compilare il modulo di richiesta del visto Vacanze-Lavoro;

  • allegare una fototessera recente e copia del passaporto valido;

  • fornire prova di mezzi economici sufficienti per sostenersi inizialmente (solitamente almeno 2000-3000 euro);

  • allegare il biglietto di ritorno o una dichiarazione con fondi sufficienti per acquistarlo;

  • presentare una polizza sanitaria valida per l’intero periodo;

  • scrivere una lettera motivazionale con il piano del soggiorno e gli obiettivi del viaggio.

Per i cittadini giapponesi che vogliono venire in Italia:

La domanda va presentata presso l’Ambasciata d’Italia a Tokyo o il Consolato Generale a Osaka. Anche in questo caso, serviranno:

  • il modulo compilato;

  • passaporto;

  • assicurazione sanitaria;

  • fondi sufficienti (in euro o equivalente);

  • biglietto aereo o dimostrazione di poterlo acquistare;

  • lettera che spieghi lo scopo del soggiorno e la volontà di rispettare le leggi italiane.

I tempi di rilascio variano da 2 a 4 settimane, ma è consigliabile muoversi con almeno 2 mesi di anticipo, soprattutto nei periodi di alta richiesta. Le quote annuali sono limitate, quindi la disponibilità di posti non è garantita.

Dopo il visto Vacanze-Lavoro

L’esperienza con il visto Vacanze-Lavoro tra Italia e Giappone non è solo una parentesi temporanea, ma può rappresentare un trampolino di lancio per future opportunità professionali, accademiche o personali. In molti casi, infatti, i giovani che partecipano a questi programmi decidono di prolungare la loro permanenza, cambiare status di soggiorno o rientrare nel proprio Paese con un valore aggiunto competitivo.

Prolungamento o cambio di visto

Sebbene il visto Vacanze-Lavoro non sia rinnovabile, nulla vieta di convertirlo in un altro tipo di permesso di soggiorno, ad esempio:

  • un visto per studio (se si decide di iscriversi a un’università o scuola di lingua);

  • visto per lavoro subordinato o autonomo (se si riceve un’offerta lavorativa e si soddisfano i requisiti richiesti);

  • un visto culturale o di formazione.

In Giappone, ad esempio, è abbastanza comune che chi ha partecipato al programma WHV ottenga un visto “Engineer/Specialist in Humanities” o un visto da studente per continuare la formazione.

Impatto sul CV e nuove prospettive

Tornare in Italia dopo un anno in Giappone (o viceversa) significa anche avere una carta in più da giocare nel mondo del lavoro: padronanza linguistica, adattabilità, competenze interculturali e conoscenza di contesti produttivi diversi sono qualità sempre più richieste. Per chi intende lavorare in aziende internazionali, multinazionali o nel settore export, questa esperienza può risultare decisiva.

Chi invece rientra e decide di mettersi in proprio, può valorizzare le competenze apprese in ambito commerciale, turistico o culturale, magari avviando progetti italo-giapponesi o collaborazioni professionali transfrontaliere.

Consigli pratici 

Anche se il visto Vacanze-Lavoro tra Italia e Giappone è pensato per agevolare la mobilità dei giovani, è importante ricordare che si tratta comunque di una procedura consolare rigorosa, soggetta a controlli e a una quota limitata di visti rilasciabili ogni anno. Per questo motivo, commettere errori nella domanda può significare perdere un’opportunità unica.

Gli errori più comuni da evitare:

  • Documentazione incompleta: ogni ambasciata o consolato fornisce un elenco preciso di documenti richiesti. Saltarne anche solo uno può comportare il rigetto della domanda.

  • Motivazioni vaghe o generiche: nella lettera di presentazione è fondamentale spiegare chiaramente le proprie intenzioni, gli obiettivi culturali e il piano del soggiorno.

  • Assicurazione sanitaria non adeguata: va stipulata con copertura completa per malattia, infortunio, ospedalizzazione e rimpatrio.

  • Fondi insufficienti: è necessario dimostrare la disponibilità di risorse economiche adeguate, secondo i parametri stabiliti dall’ambasciata.

  • Domanda fuori tempo: presentarsi troppo tardi può significare trovare già esaurite le quote annuali.

Consigli utili:

  • Contattare prima l’ambasciata o il consolato per avere informazioni aggiornate e chiarimenti su eventuali variazioni procedurali.

  • Prevedere più tempo per preparare la domanda, soprattutto se si viaggia nei mesi estivi o in alta stagione.

  • Conservare copie di tutti i documenti presentati e delle comunicazioni ricevute.

  • Verificare i requisiti specifici anno per anno, poiché le quote e le modalità potrebbero variare.

Essere ben preparati aumenta notevolmente le possibilità di ottenere il visto con successo.

Conclusione

L’entrata in vigore della Legge 136/2025 e del relativo Accordo Vacanze-Lavoro tra Italia e Giappone apre una porta concreta per migliaia di giovani, offrendo loro l’opportunità di vivere un’esperienza unica, che coniuga viaggio, lavoro, apprendimento e relazioni internazionali. Non si tratta solo di un semplice visto: è un investimento nella formazione personale e professionale, un’occasione per uscire dalla propria zona di comfort e sviluppare competenze spendibili in tutto il mondo.

Il programma è regolamentato con attenzione, ma accessibile a chi si prepara per tempo, presenta la documentazione completa e dimostra reale interesse culturale. I vantaggi superano di gran lunga i vincoli: l’autonomia finanziaria, la conoscenza di nuove lingue, la crescita individuale, l’ampliamento del network personale e professionale.

Per chi è in cerca di nuove esperienze, o vuole avvicinarsi al mondo del lavoro internazionale, questo visto rappresenta un ponte tra due culture antiche e innovative, unite dalla volontà di investire sui giovani.

Non resta che iniziare a pianificare: verifica i requisiti, prepara i documenti e candidati. Il tuo viaggio verso il futuro potrebbe iniziare proprio da qui.

Conto Termico 3.0: tutti gli incentivi fino al 65% per l’efficienza energetica e le rinnovabili

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In un periodo storico in cui la transizione ecologica è al centro dell’agenda politica ed economica, il nuovo Conto Termico 3.0 rappresenta una svolta concreta e attesa per cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. Con incentivi che coprono fino al 65% delle spese sostenute questa misura si propone come uno strumento strategico per favorire l’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili termiche.

A distanza di quasi un decennio dal Conto Termico 2.0 (DM 16 febbraio 2016), il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ha finalmente approvato, con l’intesa raggiunta in Conferenza Unificata il 5 agosto 2025, il nuovo schema di decreto che dà vita alla versione aggiornata del meccanismo. Un sistema più snello, digitalizzato e accessibile, che punta a semplificare le procedure e ad ampliare la platea dei beneficiari, includendo anche nuove tipologie di interventi.

Ma cosa cambia concretamente con il Conto Termico 3.0? Quali sono le principali novità introdotte, e quali opportunità reali offre in termini di risparmio fiscale, benefici ambientali e ritorno economico dell’investimento?

In questo approfondimento analizziamo tutto quello che c’è da sapere: dalla normativa di riferimento alle categorie di interventi ammessi, fino alle modalità di accesso agli incentivi.

Le principali novità del Conto Termico 3.0

Il Conto Termico 3.0 introduce una serie di novità rilevanti che lo rendono uno strumento decisamente più moderno e inclusivo rispetto alla versione precedente. L’obiettivo è ampliare la platea dei beneficiari, agevolare la realizzazione di interventi integrati e garantire una maggiore flessibilità operativa, anche alla luce dell’evoluzione tecnologica e delle esigenze di efficientamento più complesse.

Una prima novità riguarda l’estensione dei soggetti ammessi all’incentivo: oltre alle Pubbliche Amministrazioni (PA), possono ora accedervi i soggetti privati (sia per edifici residenziali che non residenziali), gli Enti del Terzo Settore (ETS), e i membri delle configurazioni di Autoconsumo Collettivo di Energia Rinnovabile (CACER). Proprio a questi ultimi è riconosciuta una premialità specifica, per stimolare interventi coordinati su edifici condominiali o complessi multifamiliari, incentivando l’autoproduzione e l’efficienza condivisa.

Sul piano tecnico, vengono ammessi nuovi interventi come l’integrazione di infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici, ma solo se parte di progetti multi-intervento in cui sia presente anche un intervento di riqualificazione energetica. Altri esempi includono l’installazione congiunta di impianti solari fotovoltaici e pompe di calore, la sostituzione di generatori con sistemi di teleriscaldamento efficiente o micro-cogenerazione, nonché l’ampliamento dell’uso delle pompe di calore “add-on” anche in impianti non factory made.

Infine, viene introdotto un sistema di adeguamento automatico dei massimali di spesa, legato ai prezzi di mercato rilevati dall’ISTAT. Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) avrà il compito di monitorare e aggiornare tali parametri, garantendo che gli incentivi restino coerenti con i reali costi degli interventi.

Chi può accedere

Il Conto Termico 3.0 conferma e amplia l’accesso agli incentivi per una platea molto eterogenea di soggetti. Possono usufruirne le Pubbliche Amministrazioni (PA), gli Enti del Terzo Settore (ETS), le imprese e i soggetti privati (persone fisiche o giuridiche), compresi coloro che operano in configurazioni di autoconsumo collettivo di energia da fonti rinnovabili (CACER).

Un elemento particolarmente rilevante riguarda la possibilità di assimilazione degli ETS alle Pubbliche Amministrazioni, nel caso in cui siano privi di attività economica. In questo modo, tali soggetti possono beneficiare di una gamma più ampia di interventi ammissibili e accedere agli incentivi tramite prenotazione, modalità solitamente riservata agli enti pubblici. Questo rappresenta un vantaggio competitivo significativo, soprattutto per fondazioni e associazioni che operano in ambito socio-ambientale o culturale.

Gli interventi incentivati si suddividono in due grandi categorie:

  1. Efficientamento energetico: lavori finalizzati alla riduzione dei consumi su edifici di qualunque destinazione d’uso, compresa la riqualificazione degli edifici NZEB (Nearly Zero Energy Buildings).

  2. Produzione di energia termica da fonti rinnovabili: esclusivamente per edifici non residenziali.

La misura del beneficio economico varia tra il 40% e il 65% delle spese ammissibili, con l’applicazione di massimali per ciascuna tipologia di intervento. In alcuni casi specifici il contributo può arrivare fino al 100% delle spese sostenute, qualora l’intervento soddisfi i requisiti tecnici e normativi previsti.

Limiti di spesa e accesso agli incentivi

Uno degli aspetti più concreti del Conto Termico 3.0 riguarda i limiti di spesa annuali fissati dal legislatore, con l’obiettivo di assicurare la sostenibilità economica del meccanismo incentivante. Per il 2025, i soggetti privati (persone fisiche e giuridiche) possono accedere a un plafond complessivo massimo di 500 milioni di euro, mentre le Pubbliche Amministrazioni hanno a disposizione 400 milioni di euro, di cui 20 milioni riservati esclusivamente alla realizzazione delle diagnosi energetiche. Questi importi saranno soggetti a monitoraggio costante da parte del GSE (Gestore dei Servizi Energetici), l’ente preposto all’istruttoria e all’erogazione dei contributi.

Per ottenere l’incentivo, i soggetti interessati devono seguire una procedura amministrativa, che prevede la presentazione telematica della domanda attraverso il portale GSE, allegando tutta la documentazione richiesta. L’incentivo viene riconosciuto solo dopo l’istruttoria positiva del GSE, e viene erogato in unica soluzione (se l’importo è inferiore a 5.000 euro) o in rate annuali, in funzione del tipo di intervento e del suo importo.

Un’importante novità introdotta con il Conto Termico 3.0 è la semplificazione delle pratiche, particolarmente utile per interventi di piccole dimensioni. Sono previste modalità più snelle per:

  • Impianti di potenza termica ≤ 35 kW e impianti solari ≤ 50 m², che rientrano nel cosiddetto “catalogo GSE”, con iter abbreviato;

  • Diagnosi energetiche delle PA, che potranno accedere a modelli standardizzati;

  • Prenotazione degli incentivi, riservata agli edifici pubblici (o assimilati) e in particolare agli immobili collocati in aree colpite da eventi calamitosi.

Queste semplificazioni mirano a rendere più accessibile ed efficiente l’intero iter, eliminando molti ostacoli burocratici che avevano rallentato la diffusione del Conto Termico 2.0.

Risparmio fiscale, economico e ambientale

Investire in interventi di efficientamento energetico attraverso il Conto Termico 3.0 significa non solo ottenere un contributo a fondo perduto, ma anche generare un ritorno economico strutturale nel medio-lungo periodo. Il principale vantaggio immediato è l’incentivo in conto capitale, che può coprire dal 40% al 65% delle spese sostenute, arrivando in casi specifici fino al 100% per le Pubbliche Amministrazioni e gli ETS assimilati. Ciò rappresenta una forma diretta di risparmio, ben diversa dalle tradizionali detrazioni fiscali spalmate in 10 anni.

A livello fiscale, il Conto Termico non rientra tra i contributi imponibili per i soggetti che non svolgono attività d’impresa, mentre per le imprese può essere gestito come contributo in conto impianti, secondo quanto previsto dalla normativa civilistica e fiscale. In ogni caso, si tratta di una misura complementare rispetto ad altre agevolazioni (come il Superbonus, ora in forte rimodulazione), e che può essere utilizzata strategicamente anche in progetti multi-intervento o nell’ambito di comunità energetiche.

Dal punto di vista economico e finanziario, l’investimento in efficienza energetica permette una riduzione immediata dei costi in bolletta, sia per riscaldamento che per raffrescamento, oltre a un aumento del valore dell’immobile, soprattutto se si migliora la classe energetica dell’edificio.

Infine, il beneficio è anche ambientale: grazie all’utilizzo di fonti rinnovabili e all’adozione di tecnologie ad alta efficienza, si riducono drasticamente le emissioni di CO₂ e altri inquinanti, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi climatici europei e nazionali.

Conto Termico 3.0 vs Superbonus ed Ecobonus

Molti contribuenti si chiedono quale sia la misura fiscale più vantaggiosa tra Conto Termico 3.0, Superbonus ed Ecobonus. In realtà, si tratta di strumenti differenti per natura, modalità di accesso e tempistiche, e ognuno risponde a esigenze specifiche.

Il Conto Termico 3.0 è un incentivo in conto capitale, ovvero un contributo diretto erogato dal GSE, che copre una parte delle spese sostenute (dal 40% al 65%, fino al 100% per la PA e gli ETS assimilati). Il rimborso avviene in tempi brevi, solitamente entro 60 giorni dalla chiusura dell’istruttoria, anche in un’unica soluzione se l’importo è inferiore a 5.000 euro. Si rivolge a una vasta gamma di soggetti, tra cui privati, imprese, PA, enti del terzo settore e configurazioni di autoconsumo collettivo.

Il Superbonus, invece, è un’agevolazione sotto forma di detrazione IRPEF del 110% (ora rimodulata in misura decrescente), da ripartire in più anni. Ha regole più complesse, è soggetto a continue modifiche normative e non prevede liquidità immediata, se non attraverso meccanismi di cessione del credito o sconto in fattura.

L’Ecobonus, infine, è una detrazione fiscale “classica” dal 50% al 65%, dedicata a interventi di miglioramento energetico su edifici esistenti. Anche in questo caso, il beneficio si recupera in 10 anni, senza contributo diretto.

La scelta tra i tre strumenti dipende quindi da variabili come tipologia di intervento, soggetto beneficiario, tempistiche e accesso alla liquidità. Il Conto Termico 3.0, grazie alla sua semplicità e velocità di rimborso, si sta imponendo come soluzione preferibile per interventi mirati e per chi non ha capienza fiscale.

Conclusione

Il Conto Termico 3.0 rappresenta una delle leve più interessanti e concrete per accelerare la transizione energetica in Italia, con benefici evidenti non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e fiscale. L’estensione dei soggetti beneficiari, l’inclusione di nuove tipologie di interventi, la semplificazione delle procedure e l’adeguamento dei massimali alle reali dinamiche di mercato rendono questo incentivo uno strumento particolarmente efficace e accessibile.

Per i privati, si tratta di un’occasione per ridurre i consumi, aumentare il valore del proprio immobile e accedere a contributi significativi, in tempi relativamente brevi. Per le imprese e gli ETS, è una leva strategica per migliorare la sostenibilità operativa e ridurre i costi fissi. Le Pubbliche Amministrazioni, infine, possono beneficiare di contributi fino al 100% per riqualificare edifici pubblici, scuole, strutture sanitarie e molto altro.

Considerata la disponibilità dei fondi e la crescente attenzione a livello europeo e nazionale verso l’efficienza energetica, approfittare subito di questa misura significa anticipare il cambiamento, trasformando un costo in un investimento duraturo e sostenibile.

Per orientarsi al meglio e ottenere il massimo vantaggio, è consigliabile rivolgersi a professionisti del settore in grado di valutare la fattibilità tecnica e fiscale dell’intervento e accompagnare passo dopo passo il processo di richiesta del contributo.

TCF 2025: Guida completa al nuovo modello di gestione del rischio fiscale per imprese e professionisti

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Negli ultimi anni, il rapporto tra contribuenti e Amministrazione finanziaria ha subito un profondo mutamento, segnato da un passaggio dalla logica del controllo ex post a un sistema basato sulla prevenzione e sulla trasparenza. Al centro di questa trasformazione si colloca il Tax Control Framework (TCF): uno strumento operativo e strategico che ridefinisce il concetto di gestione del rischio fiscale. Nato inizialmente come presupposto tecnico per accedere al regime di adempimento collaborativo, il TCF ha ora assunto un ruolo centrale anche per le imprese non rientranti nel perimetro della cooperative compliance. L’obiettivo? Costruire un sistema strutturato di controllo interno in materia tributaria, capace di prevenire errori, minimizzare contenziosi e instaurare un dialogo costruttivo con l’Amministrazione finanziaria.

In questo scenario, la certificazione obbligatoria del TCF da parte di professionisti indipendenti, le nuove Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate e l’introduzione di misure transitorie nel 2025 tracciano un solco importante per imprese e professionisti. Un cambiamento culturale prima ancora che normativo, che richiede una ridefinizione dei modelli organizzativi e un ripensamento profondo delle responsabilità tributarie.

In questo articolo esploreremo le basi normative e la riforma del TCF, il ruolo centrale della certificazione, l’impatto per PMI, grandi aziende e professionisti, i benefici fiscali, reputazionali e operativi e le best practice per l’implementazione.

L’evoluzione normativa e l’ampliamento della platea

Il Tax Control Framework, introdotto inizialmente dal D.Lgs. 128/2015, ha segnato una svolta nel rapporto tra imprese e Fisco, affermando una logica di trasparenza preventiva e collaborazione strutturata. Questo nuovo approccio, mutuato da esperienze internazionali di cooperative compliance, nasce con l’obiettivo di favorire un dialogo costante tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti di grandi dimensioni, promuovendo la gestione anticipata dei rischi fiscali.

Tuttavia, l’accesso iniziale al regime era fortemente limitato: erano ammesse solo imprese con ricavi molto elevati e dotate di sofisticati sistemi di audit interni. A partire dal D.Lgs. 221/2023 e poi con il D.Lgs. 108/2024, il legislatore ha avviato una progressiva apertura del regime, abbassando le soglie dimensionali e introducendo l’art. 7-bis, che consente l’adozione del TCF anche su base volontaria, indipendentemente dal fatturato.

Con il DM 6 dicembre 2024, sono state fissate tappe graduali di accesso: soglia iniziale di 750 milioni (2024–2025), poi 500 milioni (2026–2027) e 100 milioni a partire dal 2028. A questo si è aggiunto un nuovo regime opzionale introdotto dal DM 9 luglio 2025, operativo dal 1° agosto 2025 (GU n. 164/2025), che ha rivoluzionato il sistema: anche le imprese sotto soglia possono ora adottare un TCF documentato e certificato, accedendo a benefici concreti, come l’esclusione da sanzioni amministrative e la protezione rafforzata in ambito penale.

Elemento centrale è la certificazione del TCF da parte di un professionista indipendente, unitamente alla presentazione telematica di tutta la documentazione richiesta (documenti strategici, mappa dei rischi, certificazione con data certa). Le Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate (prot. n. 321934 e n. 321940 del 2025) stabiliscono i contenuti minimi e le modalità operative per la mappatura, attraverso una Risk & Control Matrix dettagliata per livelli di rischio e controllo.

Questa trasformazione normativa rende il TCF uno strumento di compliance dinamica e permanente, integrato nella governance aziendale e destinato a modificare in profondità l’approccio delle imprese alla fiscalità.

Certificazione obbligatoria 

Uno degli aspetti più innovativi del nuovo regime basato sul TCF è l’introduzione della certificazione obbligatoria da parte di un professionista indipendente, elemento che trasforma radicalmente la figura del consulente fiscale, in particolare del commercialista e dell’avvocato tributarista. Il DM 212/2024 ha istituito un elenco nazionale dei certificatori, gestito dagli Ordini (CNDCEC e CNF), cui possono accedere esclusivamente soggetti iscritti alla sezione A dell’albo, in possesso di specifici requisiti di onorabilità, indipendenza e competenza tecnica.

Il compito del certificatore va ben oltre un’attestazione formale: si tratta di un’attività tecnico-giuridica altamente specializzata, che prevede l’analisi approfondita dei processi aziendali, dei flussi informativi e dei presidi di controllo, attraverso test periodici di efficacia operativa (ToE). La certificazione ha validità triennale, ma richiede aggiornamenti costanti e una reportistica documentata, con data certa anteriore all’esercizio dell’opzione TCF.

Il professionista certificatore è soggetto a responsabilità disciplinare, patrimoniale e, nei casi più gravi, anche penale, in caso di dichiarazioni infedeli, secondo un meccanismo simile al “visto pesante” del D.Lgs. 241/1997. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito (Telefisco 2025) che, pur non entrando nel merito del modello adottato, verifica rigorosamente completezza, tracciabilità e coerenza documentale, lasciando al professionista l’onere della valutazione sostanziale.

Questo spostamento di responsabilità trasforma il ruolo del commercialista in quello di garante terzo tra impresa e Amministrazione, ma apre anche a criticità operative: l’adozione di modelli standardizzati può risultare eccessivamente onerosa per le PMI, che dispongono di strutture più agili. Inoltre, l’asincronia temporale tra la durata biennale dell’opzione e quella triennale della certificazione impone una pianificazione attenta per non perdere i benefici.

Non va dimenticata la fase transitoria, con la proroga (ancora in corso di definizione) della scadenza per la certificazione al 30 giugno 2026 per le imprese che hanno già aderito nel 2024. A questo si aggiungono le tempistiche incerte legate all’attivazione graduale degli elenchi dei certificatori, che rischiano di rallentare le prime operazioni di rilascio delle attestazioni.

Infine, il DM 9 luglio 2025 prevede la decadenza dai benefici in caso di perdita dei requisiti o di mancato aggiornamento del TCF in presenza di cambiamenti organizzativi rilevanti (artt. 3 e 5). Questo vincolo rafforza la natura del TCF come processo evolutivo e non statico, rendendo la figura del professionista certificatore un punto cardine dell’intero impianto.

Impatti pratici, criticità aperte e prospettive future

L’adozione del Tax Control Framework non si limita a garantire l’accesso a benefici sanzionatori o penali: i suoi effetti si estendono alla gestione strategica dell’impresa, alla reputazione sul mercato e alla qualità dei processi interni. Infatti, il vero valore aggiunto del TCF sta nella sua capacità di trasformare la compliance fiscale da adempimento formale a strumento competitivo. Un TCF certificato e coerente con le Linee guida dell’Agenzia delle Entrate rafforza la credibilità aziendale, facilita operazioni straordinarie come M&A, IPO o partnership internazionali, e aumenta la fiducia di investitori, istituti di credito e stakeholder.

Per i professionisti, in particolare i commercialisti, il nuovo scenario rappresenta una sfida e insieme un’opportunità: costruire una Risk & Control Matrix, predisporre la documentazione normativa, gestire gli interpelli preventivi e pianificare i test di efficacia richiede competenze avanzate in ambiti che vanno oltre il classico perimetro fiscale. Diventa quindi indispensabile dotarsi di strutture multidisciplinari, in grado di affrontare la compliance in chiave integrata, magari combinando il TCF con modelli come il Modello 231, l’AEO doganale o i sistemi di rendicontazione ESG.

Tuttavia, permangono criticità: in primis, l’assenza di un credito d’imposta per i costi di implementazione e certificazione, che può disincentivare le imprese medio-piccole. Inoltre, la sfasatura temporale tra durata biennale dell’opzione e triennale della certificazione rischia di generare vuoti normativi. Restano aperti anche nodi interpretativi: ad esempio, cosa accade se un’“area di miglioramento” segnalata dal certificatore non viene sanata tempestivamente? L’impresa decade dai benefici? Serve un intervento chiarificatore.

Un altro punto critico è la gestione dell’interpello: sebbene esso garantisca la neutralizzazione delle sanzioni in presenza di condotta conforme, è necessario stabilire con certezza quando la risposta dell’Agenzia possa essere considerata “presupposto” valido per accedere ai benefici TCF, soprattutto in casi di rischio fiscale grigio.

Infine, si discute in sede politica dell’opportunità di introdurre incentivi fiscali strutturali per facilitare l’adozione del TCF, specialmente da parte delle PMI. Un passo che potrebbe consolidare il nuovo regime e trasformarlo in standard operativo diffuso, contribuendo a ridurre il contenzioso, aumentare la prevedibilità fiscale e rafforzare il rapporto fiduciario tra contribuenti e amministrazione.

Integrazione del TCF con altri modelli di controllo

Una delle evoluzioni più interessanti del Tax Control Framework è la sua capacità di integrarsi con altri sistemi di controllo e compliance già esistenti in azienda. In particolare, il TCF si presta a essere armonizzato con il Modello 231/2001, l’AEO (Operatore Economico Autorizzato) in ambito doganale, i sistemi di controllo interno previsti dalla normativa bancaria e, più recentemente, i framework legati alla rendicontazione di sostenibilità (ESG).

L’integrazione con il Modello 231 consente di gestire sinergicamente i rischi fiscali con quelli penali, amministrativi e reputazionali. Non si tratta solo di evitare duplicazioni, ma di costruire un vero e proprio sistema integrato di controllo, capace di intercettare tempestivamente anomalie e gestire in modo efficiente i flussi informativi. In quest’ottica, le attività previste dal TCF (dalla mappatura dei rischi alla definizione dei controlli di primo e secondo livello) possono essere inserite nei protocolli 231 già operativi, migliorando la coerenza dell’intero sistema aziendale.

Anche il modello AEO, fondamentale per le imprese con attività internazionali, presenta sinergie con il TCF, in particolare per quanto riguarda la tracciabilità dei flussi, l’affidabilità dei sistemi informatici e la gestione documentale. Una corretta integrazione dei sistemi consente di ottenere benefici sia in ambito doganale sia fiscale, semplificando i rapporti con le autorità e aumentando il grado di fiducia istituzionale.

Infine, l’adozione del TCF può contribuire al percorso di compliance ESG, soprattutto per quanto riguarda la sostenibilità fiscale e la tax transparency, temi sempre più richiesti da investitori e stakeholder internazionali. Inserire la gestione del rischio fiscale nel bilancio di sostenibilità o nei report non finanziari significa valorizzare il proprio impegno etico, migliorare il rating ESG e rafforzare la reputazione aziendale.

Queste sinergie rafforzano la logica secondo cui la compliance non è più un costo, ma un investimento, capace di generare valore concreto e di rafforzare la competitività dell’impresa su scala nazionale e internazionale.

TCF e PMI

Sebbene il Tax Control Framework sia nato per le grandi imprese, il nuovo regime opzionale introdotto con il DM 9 luglio 2025 apre definitivamente la strada anche alle PMI, che possono ora adottare un modello di gestione del rischio fiscale strutturato e certificato, accedendo a significativi benefici in termini di certezza giuridica, esonero sanzionatorio e tutela penale. Tuttavia, per le piccole e medie imprese, il passaggio al TCF richiede un approccio calibrato, che tenga conto della minore complessità organizzativa e delle risorse disponibili.

La prima sfida è rappresentata dalla semplificazione del modello: le PMI non possono limitarsi a copiare i framework delle multinazionali. Occorre progettare un TCF proporzionato alla realtà aziendale, focalizzato sui processi fiscali davvero critici (es. IVA, ritenute, transfer pricing, crediti d’imposta), evitando eccessi di formalismo. L’Agenzia delle Entrate, nelle sue Linee guida del 2025, consente infatti un certo grado di adattamento, purché resti garantita la tracciabilità, l’efficacia dei controlli e l’aggiornamento della documentazione.

In questa fase, il ruolo del commercialista o del consulente fiscale è fondamentale: non solo per certificare il modello, ma per costruirlo insieme all’imprenditore, attraverso strumenti pratici come checklist di controllo, mappatura dei rischi fiscali semplificata e test periodici, anche in collaborazione con software dedicati. Alcune piattaforme, già integrate con i sistemi gestionali, offrono moduli TCF-ready, in grado di velocizzare la raccolta dati e ridurre il carico operativo.

Un ulteriore strumento utile per le PMI è la formazione interna, anche con brevi sessioni rivolte al personale amministrativo, per garantire una corretta segnalazione degli alert e una cultura del rischio fiscale diffusa. È inoltre consigliabile impostare un calendario condiviso di aggiornamenti e revisioni del TCF, in modo da monitorarne costantemente l’efficacia senza appesantire l’operatività aziendale.

In definitiva, anche per le PMI il TCF può rappresentare una leva di crescita e rafforzamento reputazionale, a patto che l’implementazione sia guidata da logiche di proporzionalità, sostenibilità economica e consapevolezza operativa.

Struttura, contenuti e applicazione operativa del TCF

Le Linee guida dell’Agenzia delle Entrate, pubblicate con i provvedimenti del 10 gennaio e del 7 agosto 2025 (prot. n. 321934 e n. 321940 per il settore assicurativo), rappresentano il riferimento tecnico imprescindibile per la corretta implementazione del Tax Control Framework. Questi documenti definiscono in modo dettagliato i contenuti minimi del TCF, le modalità di costruzione della Risk & Control Matrix (RCM) e i criteri di mappatura dei rischi fiscali e contabili.

Al centro del modello operativo si colloca proprio la RCM, che deve distinguere tra controlli a livello di entità (entity-level) e controlli a livello di attività (activity-level). Ogni rischio fiscale identificato deve essere associato a presidi di primo livello (interni all’operatività aziendale) e di secondo livello (controlli di supervisione), con indicazione del rischio residuo e della frequenza dei test di efficacia (ToE). Il tutto deve essere documentato in modo tracciabile e aggiornato, anche attraverso il servizio web predisposto dall’Agenzia, che consente la compilazione assistita e l’upload dei documenti previsti.

Il pacchetto documentale richiesto dal DM 9 luglio 2025, e richiamato dalle Linee guida, include almeno:

  • Documento di attività e strategia fiscale

  • Documento TCF vero e proprio

  • Mappe dei processi e dei rischi

  • Cronoprogramma dei controlli

  • Certificazione rilasciata da professionista indipendente, con data certa anteriore all’opzione

  • Dichiarazione sostitutiva attestante la veridicità del sistema

L’effettiva validità dell’opzione è subordinata al caricamento completo della documentazione tramite il modello telematico previsto dal DM e approvato dall’Agenzia. Ogni elemento dev’essere coerente con la dimensione aziendale e con il principio di effettività: la semplice presenza del documento, infatti, non basta. È necessaria la prova della concreta operatività del modello, misurabile tramite test e audit periodici.

Le Linee guida rappresentano dunque uno strumento operativo, ma anche una checklist di conformità per imprese e professionisti: non rispettare anche uno solo degli standard minimi può comportare l’inammissibilità dell’opzione, con perdita automatica dei benefici fiscali, penali e reputazionali connessi.

Per questo motivo è essenziale che le aziende adottino un approccio metodico, affiancandosi a consulenti con competenze specifiche in ambito TCF, risk management e controllo interno, capaci di tradurre i requisiti normativi in strumenti concreti e sostenibili.

Conclusione

Il Tax Control Framework si configura oggi come molto più di un semplice adempimento normativo: rappresenta un nuovo paradigma di relazione tra imprese e fisco, fondato su trasparenza, prevenzione e responsabilità condivisa. Le recenti riforme hanno reso il TCF accessibile a una platea ben più ampia di contribuenti, aprendo la strada a una gestione fiscale strutturata e certificata, anche per le PMI.

La possibilità di ottenere benefici concreti è solo una parte del valore aggiunto. Il vero potenziale risiede nella capacità del TCF di integrare la compliance fiscale nella strategia aziendale, contribuendo a migliorare la reputazione, aumentare l’affidabilità sul mercato e ridurre il rischio di contenziosi.

Tuttavia, il successo dell’adozione del TCF dipende da due fattori determinanti:

  1. La capacità dell’impresa di modellare il sistema in base alle proprie specificità, evitando sia soluzioni standardizzate eccessivamente onerose sia approcci formali privi di sostanza.

  2. La competenza e il ruolo attivo dei professionisti, chiamati a svolgere un’attività di certificazione rigorosa, ma anche di affiancamento consulenziale, capace di tradurre le Linee guida in strumenti operativi sostenibili.

È il momento, quindi, per imprese e consulenti di rivedere la propria governance fiscale, investire in modelli interni solidi e cogliere le opportunità offerte da un sistema che, se ben implementato, può garantire più certezza, meno rischi e maggiore competitività. In un contesto sempre più orientato alla trasparenza e alla rendicontazione, il TCF diventa una scelta strategica, non solo per il fisco, ma per il futuro stesso dell’impresa.

Imposta di bollo fatture elettroniche 2° trimestre 2025: scadenza, regole e pagamento entro oggi

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Il 30 settembre rappresenta una scadenza importante per moltissimi professionisti e imprese: è il termine ultimo per versare l’imposta di bollo sulle fatture elettroniche emesse nel secondo trimestre dell’anno, ovvero per i mesi di aprile, maggio e giugno. Un obbligo spesso sottovalutato, ma che può comportare sanzioni e interessi in caso di omesso o tardivo pagamento.

Con l’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria, l’adempimento del bollo è stato digitalizzato e integrato nei sistemi dell’Agenzia delle Entrate. Tuttavia, sono ancora molti i dubbi su come viene calcolato, chi deve versarlo, e soprattutto come e quando pagare. In questo articolo facciamo chiarezza su tutti questi aspetti, con un focus sulla scadenza del secondo trimestre, per aiutare contribuenti e operatori a non incorrere in errori e a gestire tutto correttamente e in modo efficiente.

Esamineremo anche i sistemi automatizzati di calcolo dell’imposta, le modalità di pagamento tramite F24, le novità normative e le eventuali responsabilità per errori nei versamenti. Infine, vedremo come risparmiare tempo e denaro, evitando sanzioni e utilizzando strumenti digitali e consulenze specialistiche.

Le regole aggiornate

Entro il 30 settembre 2025, tutti i soggetti obbligati dovranno effettuare il versamento dell’imposta di bollo relativa alle fatture elettroniche emesse nel secondo trimestre dell’anno (aprile, maggio, giugno). Questo adempimento è cruciale per evitare sanzioni, soprattutto considerando che l’Agenzia delle Entrate ha integrato il monitoraggio dei versamenti tramite il Sistema di Interscambio (SdI), rendendo più semplice ma anche più “trasparente” la verifica degli obblighi non rispettati.

Una delle novità più importanti riguarda l’innalzamento del limite per i versamenti cumulativi: grazie al Decreto Semplificazioni n. 73/2022, convertito nella Legge n. 122/2022, è stato elevato da 250 euro a 5.000 euro il tetto entro il quale il pagamento del bollo può essere posticipato e unificato.

In pratica:

  • Se l’imposta di bollo complessiva sul primo trimestre non supera i 5.000 euro, è possibile versarla insieme a quella del secondo trimestre, entro il 30 settembre.

  • Se l’importo totale dovuto per il primo e secondo trimestre è sempre inferiore a 5.000 euro, si potrà rimandare tutto al 30 novembre, versando cumulativamente anche l’imposta del terzo trimestre.

Queste semplificazioni sono pensate per alleggerire gli oneri amministrativi dei contribuenti, specialmente per i piccoli professionisti e le micro-imprese, che spesso emettono un numero ridotto di fatture soggette a bollo.

Bollo sulle e-fatture

Con l’avvento della fatturazione elettronica obbligatoria, anche l’assolvimento dell’imposta di bollo è stato digitalizzato e regolamentato con precisione. Le regole operative sono state introdotte dall’articolo 6 del D.M. 17 giugno 2014, che prevede l’obbligo per i contribuenti di indicare, all’interno del tracciato XML della fattura, il campo “Bollo virtuale” valorizzato a “SI”, quando il documento è soggetto a imposta di bollo (tipicamente per operazioni escluse, esenti o non imponibili IVA superiori a 77,47 euro).

Ma non finisce qui. A norma dell’articolo 12-novies del D.L. 34/2019, modificato dal D.M. 4 dicembre 2020, l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei contribuenti e dei loro intermediari un servizio automatizzato nel portale “Fatture e Corrispettivi”.

In esso vengono forniti:

  • Elenco A: fatture con bollo correttamente indicato dal contribuente;

  • Elenco B: fatture per le quali il bollo non è stato indicato, ma risulta comunque dovuto secondo i dati dell’Agenzia.

Il contribuente ha la possibilità di confermare o modificare questi elenchi. Se ritiene che una fattura inclusa nell’elenco B non debba essere soggetta a imposta, può escluderla fornendo una motivazione, che potrà essere oggetto di verifica da parte del Fisco.

Il pagamento può avvenire in due modi:

  1. Addebito diretto dal portale “Fatture e Corrispettivi”, indicando l’IBAN per l’addebito automatico;

  2. Modello F24 precompilato, scaricabile dal sito dell’Agenzia con i codici tributo 2521-2524 per i trimestri e 2525-2526 per ravvedimenti.

Per il secondo trimestre 2025, l’importo calcolato è visibile sul portale entro il 20 settembre e il pagamento deve avvenire entro il 30 settembre.

Sanzioni e ravvedimento operoso

Il mancato pagamento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche nei termini stabiliti – nel caso del secondo trimestre 2025, entro il 30 settembre – comporta l’applicazione di sanzioni e interessi, come previsto dal D.Lgs. 471/1997. Tuttavia, il sistema tributario italiano consente di rimediare in modo legale tramite l’istituto del ravvedimento operoso, riducendo in modo significativo le sanzioni, a condizione che il versamento venga effettuato prima che intervengano controlli o accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Le sanzioni previste in caso di omesso o insufficiente pagamento sono:

  • Sanzione ordinaria del 30% dell’imposta non versata, riducibile con ravvedimento;

  • Interessi legali calcolati giornalmente (tasso legale attualmente allo 0,5% annuo, salvo aggiornamenti).

Per effettuare il ravvedimento, è necessario:

  1. Calcolare l’imposta di bollo non versata;

  2. Applicare la sanzione ridotta (ad esempio, 1,5% se il pagamento avviene entro 30 giorni);

  3. Aggiungere gli interessi legali maturati;

  4. Utilizzare i codici tributo 2525 (sanzioni) e 2526 (interessi) nel modello F24.

Attenzione: il ravvedimento può essere eseguito anche parzialmente, per sanare singole posizioni errate.

È buona prassi, per evitare dimenticanze, consultare regolarmente la sezione “Fatture e Corrispettivi” del sito dell’Agenzia delle Entrate, che mette a disposizione i dati aggiornati sui bollo da versare, suddivisi per trimestre e con possibilità di pagamento diretto o stampa del F24 precompilato.

Soggetti obbligati ed esclusioni

L’obbligo del versamento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche riguarda tutti i soggetti titolari di partita IVA che emettono documenti non soggetti a IVA ma comunque rilevanti fiscalmente, a condizione che l’importo della fattura sia superiore a 77,47 euro.

In particolare, sono obbligati:

  • Liberi professionisti (avvocati, medici, ingegneri, consulenti, ecc.);

  • Ditte individuali;

  • Società di persone e di capitali;

  • Enti non commerciali, se emettono fatture elettroniche verso terzi.

Le operazioni per cui è dovuto il bollo sono quelle esenti, non imponibili, escluse o fuori campo IVA, come ad esempio:

  • Prestazioni sanitarie esenti da IVA;

  • Operazioni intracomunitarie;

  • Cessioni di beni usati regime del margine;

  • Contribuenti in regime forfettario o di vantaggio.

Tuttavia, esistono eccezioni e casi particolari in cui l’imposta di bollo non è dovuta, ad esempio:

  • Fatture sotto i 77,47 euro;

  • Corrispettivi e scontrini elettronici;

  • Documenti riepilogativi (se non sostitutivi di fatture);

  • Note di variazione che non generano operazioni imponibili.

Importante ricordare che l’obbligo di bollo scatta per ogni documento, non per cliente o per importo cumulativo. Anche se si emettono più fatture al medesimo soggetto, l’imposta va applicata singolarmente per ogni fattura che supera la soglia prevista.

In caso di dubbio, è consigliabile consultare il proprio commercialista o usare il portale dell’Agenzia delle Entrate, dove è possibile verificare l’elenco delle fatture soggette a imposta di bollo già individuate dal sistema.

Vantaggi operativi e fiscali

Negli ultimi anni, anche grazie alla spinta verso la digitalizzazione del Fisco, il sistema di assolvimento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche è stato profondamente semplificato, con l’obiettivo di rendere l’adempimento più veloce, preciso e meno soggetto a errori.

Una delle semplificazioni più rilevanti riguarda proprio il servizio automatico dell’Agenzia delle Entrate, che consente a ogni contribuente di accedere all’area riservata del portale “Fatture e Corrispettivi”, dove viene proposto l’importo esatto da versare, derivante dal confronto tra le fatture effettivamente emesse e quelle soggette a bollo (elenchi A e B). Questo evita il rischio di dimenticanze o errori di calcolo, e rappresenta un notevole vantaggio operativo.

Inoltre, l’introduzione della possibilità di pagamento diretto online, mediante addebito su conto corrente, semplifica ulteriormente la gestione, soprattutto per chi non ha tempo o non si sente sicuro nell’utilizzo del modello F24 cartaceo. Il sistema genera in automatico una ricevuta di pagamento, che può essere archiviata digitalmente a fini contabili.

Anche il nuovo limite di 5.000 euro per il versamento cumulativo (introdotto dal Decreto Semplificazioni) rappresenta un chiaro vantaggio per i piccoli contribuenti, che possono posticipare il pagamento e gestirlo in modo unitario, con minore pressione burocratica e contabile.

Queste innovazioni sono un segnale positivo verso una fiscalità più accessibile e meno penalizzante, e dimostrano come anche obblighi apparentemente “minori” possano essere ottimizzati con strumenti digitali e consulenze professionali aggiornate.

Strumenti, promemoria e buone pratiche

Il rispetto delle scadenze fiscali può diventare complesso, soprattutto per i soggetti che gestiscono in autonomia la contabilità o lavorano in regimi semplificati come il forfettario. Sebbene il sistema dell’Agenzia delle Entrate sia oggi molto più efficiente rispetto al passato, resta essenziale adottare una gestione proattiva per non dimenticare scadenze come quella dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche.

Crea un calendario fiscale digitale

Un consiglio semplice ma efficace è impostare un calendario fiscale personalizzato (con Google Calendar o Outlook), in cui segnare:

  • Le scadenze trimestrali del bollo (30 aprile, 31 luglio, 30 settembre, 30 novembre);

  • La data del 20 del secondo mese successivo a ogni trimestre, quando l’Agenzia pubblica i dati sul portale;

  • Un promemoria per il controllo dell’area “Fatture e Corrispettivi”.

Utilizza software di fatturazione integrato

Molti software di fatturazione elettronica oggi includono funzionalità automatiche per:

  • Rilevare le fatture soggette a bollo;

  • Generare il campo XML “Bollo virtuale = SÌ”;

  • Calcolare l’imposta da versare;

  • Produrre l’F24 precompilato o collegarsi direttamente all’Agenzia per l’addebito.

Soluzioni come Aruba, Fatture in Cloud, Zucchetti, TeamSystem e altre piattaforme gestionali offrono anche notifiche automatiche e report riepilogativi, utilissimi per i professionisti senza un contabile interno.

Il ruolo del commercialista

Nonostante le innovazioni digitali, il supporto di un commercialista esperto resta essenziale per chi gestisce:

  • Fatture transfrontaliere o complesse;

  • Operazioni in reverse charge;

  • Contabilità mista o multi-regime (forfettario + ordinario, ecc.);

  • Errori da correggere con ravvedimento operoso.

Il commercialista può aiutarti non solo a verificare la correttezza degli importi, ma anche a scegliere la strategia più conveniente per gestire i versamenti in modo cumulativo, sfruttando i limiti dei 5.000 euro introdotti dalla normativa.

Un piccolo adempimento, ma un grande rischio se ignorato

Il bollo sulle fatture elettroniche può sembrare un adempimento marginale, ma non va trascurato. Una gestione disattenta può portare a sanzioni, interessi e controlli, soprattutto ora che l’Agenzia ha accesso in tempo reale ai dati emessi tramite il Sistema di Interscambio.

Un approccio digitale e consapevole è il miglior modo per proteggere la tua attività e risparmiare tempo e denaro.

Conclusione

L’imposta di bollo sulle fatture elettroniche non è un semplice adempimento formale, ma un obbligo fiscale che, se trascurato, può comportare sanzioni economiche rilevanti. Con la scadenza del 30 settembre 2025 per il versamento del bollo del secondo trimestre, è fondamentale che professionisti, imprese e soggetti IVA verifichino con attenzione gli importi dovuti e scelgano la modalità di pagamento più efficiente per la loro realtà.

Grazie alle semplificazioni normative introdotte (come il limite dei 5.000 euro per i versamenti cumulativi) e agli strumenti messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, oggi è possibile gestire questo adempimento in modo più agile e sicuro, anche senza l’assistenza di un consulente. Tuttavia, per chi gestisce un volume elevato di fatture o opera in regimi fiscali speciali, il supporto di un commercialista esperto resta altamente consigliato.

Per evitare errori, dimenticanze o complicazioni future, è buona pratica:

  • Accedere periodicamente al portale “Fatture e Corrispettivi”;

  • Verificare gli elenchi A e B proposti dall’Agenzia;

  • Effettuare il pagamento tramite F24 o addebito diretto;

  • In caso di errori, intervenire subito con il ravvedimento operoso.

Un approccio proattivo alla fiscalità, anche per aspetti come il bollo virtuale, permette di risparmiare tempo, denaro e stress, garantendo serenità e conformità con le norme tributarie in vigore.

Incentivi 2025 per le imprese agricole: come ottenere contributi per investimenti innovativi e sostenibili

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In un contesto economico sempre più orientato alla sostenibilità, alla digitalizzazione e all’innovazione, le imprese agricole italiane si trovano oggi di fronte a un’importante opportunità: accedere a nuovi incentivi per investimenti innovativi, grazie alle modifiche introdotte dal Decreto Direttoriale del 4 settembre 2023, pubblicato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Questo intervento aggiorna il precedente Decreto del 2 maggio 2022, introducendo significative novità normative e procedurali in linea con quanto previsto dal nuovo Regolamento ABER II (UE 2022/2472), entrato in vigore il 14 dicembre 2022.

L’obiettivo principale del nuovo assetto normativo è quello di semplificare le procedure per l’accesso agli aiuti di Stato in ambito agricolo e forestale, eliminando la necessità di autorizzazione preventiva da parte della Commissione Europea. Il risultato? Una maggiore rapidità nell’erogazione degli incentivi, con vantaggi concreti in termini di tempistiche, liquidità e pianificazione finanziaria per le aziende del settore primario.

Questo articolo approfondisce i contenuti della normativa aggiornata, analizza quali investimenti rientrano tra quelli agevolabili, e fornisce indicazioni su come le imprese agricole possono sfruttare queste misure in modo legale e vantaggioso per sostenere la transizione ecologica e digitale.

Destinatari e requisiti

Il Fondo per gli investimenti innovativi delle imprese agricole, istituito con la Legge di Bilancio 2020 e successivamente disciplinato dal Decreto del 2 maggio 2022, rappresenta una misura concreta per supportare le imprese agricole che intendono digitalizzare e innovare i propri processi produttivi. Il recente Decreto Direttoriale del 4 settembre 2023 non modifica i criteri di accesso, ma conferma e chiarisce chi può realmente beneficiare degli aiuti previsti, in coerenza con il nuovo Regolamento UE 2022/2472 (ABER II).

I soggetti beneficiari sono micro, piccole e medie imprese agricole (PMI) regolarmente iscritte al Registro delle Imprese, con sede operativa o unità locale in Italia, in regola con gli obblighi fiscali e contributivi, e che non si trovino in situazioni di difficoltà economica o soggette a procedure concorsuali. È esclusa la partecipazione di aziende sanzionate, con amministratori coinvolti in irregolarità o che non abbiano rimborsato finanziamenti pubblici precedenti.

Le attività ammesse sono ampie e variegate, comprendendo:

  • produzione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli;

  • attività non agricole in zone rurali;

  • interventi ambientali in ambito agricolo;

  • tutela del patrimonio culturale e naturale nelle aziende agricole e forestali;

  • ripristino danni da calamità naturali;

  • progetti di ricerca e sviluppo;

  • attività forestali connessi.

Questo ampliamento permette a un ventaglio più ampio di imprese agricole di accedere agli incentivi, favorendo investimenti concreti in tecnologia, sostenibilità e innovazione, coerentemente con le linee guida europee sullo sviluppo rurale e l’agricoltura 4.0.

Cosa cambia per le imprese agricole

In seguito all’entrata in vigore del Regolamento UE 2022/2472 (ABER II), operativo dal 1° gennaio 2023, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha ritenuto necessario adeguare la normativa nazionale alle nuove disposizioni europee in materia di aiuti di Stato per i settori agricolo e forestale. A tal fine, con il Decreto Direttoriale del 4 settembre 2023, sono state apportate modifiche puntuali ma rilevanti al Decreto originario del 2 maggio 2022, tuttora in vigore anche nel 2025.

Le modifiche sostanziali riguardano:

  • Art. 1, comma 1, lettera a: è stata aggiornata la definizione di “Ministero”, ora correttamente indicato come Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in linea con la ridenominazione ministeriale ormai consolidata.

  • Art. 1, comma 1, lettera m: aggiornato il riferimento al “regolamento ABER”, che diventa “regolamento ABER II”, recependo integralmente il Regolamento (UE) n. 2022/2472 della Commissione del 14 dicembre 2022.

In aggiunta a questi aggiornamenti testuali, sono stati rivisti due allegati fondamentali:

  • Allegato 2 – Modulo di richiesta erogazione: aggiornato per rendere la domanda conforme alle nuove disposizioni;

  • Allegato 8 – Oneri informativi: modificato per semplificare la trasparenza amministrativa richiesta alle imprese.

Tutti i documenti aggiornati sono accessibili nel 2025 attraverso il portale ufficiale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, nella sezione “Normativa”. Le imprese interessate a presentare domanda sono tenute a utilizzare esclusivamente i modelli aggiornati, pena l’inammissibilità delle richieste.

Spese ammissibili

Nel 2025, il Fondo per gli investimenti innovativi delle imprese agricole continua a rappresentare un’importante leva di sviluppo per tutte le aziende che vogliono rendere più efficiente, sostenibile e digitale la propria attività. Ma quali sono le spese effettivamente agevolabili?

Il decreto prevede la possibilità di ottenere contributi per investimenti in beni strumentali nuovi di fabbrica, sia materiali che immateriali, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi delle imprese agricole.

Tra gli investimenti ammissibili rientrano:

  • Macchinari e attrezzature per la lavorazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli;

  • Soluzioni digitali e strumenti tecnologici per l’agricoltura di precisione (es. droni, sensori, sistemi di monitoraggio);

  • Software gestionali, piattaforme di tracciabilità e sistemi informatici per il controllo delle operazioni agricole;

  • Tecnologie green e sostenibili, come impianti per il risparmio idrico, pannelli solari o sistemi di gestione energetica;

  • Brevetti, licenze e know-how connessi all’innovazione tecnologica e produttiva.

È importante sottolineare che il contributo non è cumulabile con altre agevolazioni pubbliche concesse per gli stessi costi, ad eccezione di alcune deroghe previste dalla normativa europea sugli aiuti di Stato. Inoltre, le spese devono essere sostenute e quietanzate entro i termini stabiliti dal bando, e documentate in modo preciso e verificabile.

L’agevolazione, in forma di contributo a fondo perduto, può arrivare a coprire fino al 65% dell’investimento, elevabile al 80% nel caso di giovani agricoltori, come definito dal Regolamento UE.

Come presentare la domanda

Per accedere alle agevolazioni previste dal Fondo per gli investimenti innovativi delle imprese agricole, le aziende devono seguire una procedura telematica, gestita attraverso i canali ufficiali del Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Anche nel 2025, le modalità restano digitali, con una piattaforma dedicata disponibile sul sito istituzionale del Ministero o tramite il portale di Invitalia, soggetto gestore operativo per molte misure nazionali.

Ecco i principali passaggi da seguire:

  1. Verifica dei requisiti: l’impresa deve essere in regola con tutti gli obblighi fiscali e contributivi, ed essere iscritta al Registro delle Imprese come impresa agricola.

  2. Preparazione della documentazione: occorre predisporre i preventivi dei beni da acquistare, le planimetrie (se necessarie), la descrizione del progetto innovativo e la documentazione amministrativa (DURC, visura camerale, ecc.).

  3. Compilazione della domanda: si utilizza l’allegato 2 – modulo di richiesta erogazione, aggiornato secondo le modifiche introdotte nel 2023. La domanda deve essere firmata digitalmente dal legale rappresentante.

  4. Invio telematico: l’invio avviene esclusivamente via PEC o tramite l’apposita piattaforma, secondo le istruzioni pubblicate sul sito ministeriale.

  5. Valutazione e graduatoria: le domande vengono valutate in ordine cronologico o attraverso una procedura a sportello, con pubblicazione della graduatoria degli ammessi al contributo.

È essenziale monitorare le scadenze: il bando 2025 stabilisce una finestra temporale per la presentazione delle domande, oltre la quale non sarà più possibile partecipare. In caso di errori nella compilazione o documentazione incompleta, la domanda può essere rigettata.

Per evitare imprecisioni, è fortemente consigliato affidarsi a un consulente fiscale o a un commercialista esperto in agevolazioni per il settore agricolo, capace di seguire passo dopo passo l’intero iter.

Vantaggi fiscali 

Accedere agli incentivi per investimenti innovativi in agricoltura nel 2025 non significa soltanto ottenere un contributo a fondo perduto: significa rafforzare in modo strutturale la competitività dell’impresa agricola, migliorandone efficienza, sostenibilità e capacità di adattamento alle sfide del mercato.

Ma quali sono i vantaggi fiscali ed economici concreti?

1. Contributi a fondo perduto

Il vantaggio immediato è ovviamente di tipo finanziario: il contributo può coprire fino all’80% del costo dell’investimento (in caso di giovani agricoltori), riducendo in modo considerevole l’esborso iniziale e facilitando l’accesso a tecnologie altrimenti non sostenibili.

2. Innovazione e posizionamento sul mercato

L’introduzione di macchinari di ultima generazione, software gestionali, tecnologie green e digitali consente alle aziende agricole di migliorare la qualità dei prodotti, la tracciabilità, e ridurre i costi operativi. Tutto ciò si traduce in maggiore competitività sul mercato, anche in vista di certificazioni ambientali o di filiera.

3. Valore patrimoniale e accesso al credito

Un’azienda che investe in innovazione rafforza il proprio attivo patrimoniale e migliora il rating bancario, facilitando l’accesso a futuri finanziamenti, mutui agrari e linee di credito.

In sintesi, investire oggi con il supporto degli incentivi pubblici significa preparare l’azienda agricola al futuro, sfruttando strumenti legali e vantaggiosi anche dal punto di vista fiscale.

Transizione digitale ed ecologica

Gli incentivi per gli investimenti innovativi nelle imprese agricole non vanno letti come misure isolate, ma come parte integrante di un percorso strategico nazionale e comunitario, che punta a trasformare il settore agricolo in chiave digitale, sostenibile e resiliente. Il Fondo agevolato, aggiornato nel 2023 e attivo nel 2025, si inserisce perfettamente nelle linee guida del Green Deal europeo e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che prevedono fondi e riforme specifiche per la modernizzazione dell’agricoltura.

La trasformazione agricola si gioca oggi su quattro fronti fondamentali:

  1. Digitalizzazione dei processi produttivi, grazie all’utilizzo di tecnologie IoT, droni, sensori, gestione da remoto e sistemi predittivi;

  2. Sostenibilità ambientale, con investimenti in impianti per l’energia rinnovabile, tecnologie per l’efficienza idrica ed energetica, riduzione degli input chimici;

  3. Valorizzazione della filiera agroalimentare, anche attraverso l’introduzione di sistemi di tracciabilità e blockchain;

  4. Sviluppo delle competenze, grazie alla formazione continua degli operatori agricoli sulle nuove tecnologie e modelli di gestione.

L’agricoltura di oggi non può più permettersi di essere “tradizionale” nel senso limitante del termine: l’innovazione è una necessità per la sopravvivenza competitiva. E con l’aiuto dei contributi statali e comunitari, le imprese agricole italiane hanno finalmente gli strumenti per affrontare il cambiamento.

Nel prossimo futuro, i settori più premiati saranno quelli capaci di coniugare redditività, tecnologia e tutela dell’ambiente, diventando veri protagonisti della nuova economia circolare rurale.

Conclusioni

Nel 2025, le imprese agricole italiane si trovano davanti a una finestra concreta e vantaggiosa per investire in innovazione, digitalizzazione e sostenibilità, sfruttando le agevolazioni previste dal Fondo per gli investimenti innovativi. Le modifiche normative introdotte dal Decreto Direttoriale del 4 settembre 2023, in risposta al Regolamento UE ABER II, hanno semplificato le procedure, reso più accessibili gli strumenti e ampliato il perimetro degli investimenti ammissibili.

Parliamo di contributi a fondo perduto fino all’80%, per l’acquisto di beni materiali e immateriali, tecnologie digitali e soluzioni green che non solo riducono i costi, ma migliorano radicalmente l’efficienza aziendale. Tutto questo, senza trascurare i vantaggi fiscali derivanti dalla deducibilità e dalla possibilità di cumulo, laddove previsto.

Chi si muove ora ha più possibilità di posizionarsi in modo competitivo sul mercato, accedere a ulteriori linee di credito e creare valore a lungo termine per la propria azienda agricola. L’innovazione non è più un’opzione per pochi: è una necessità strategica per tutti.

Non aspettare l’ultimo momento: verifica oggi stesso se la tua impresa agricola possiede i requisiti, pianifica l’investimento e presenta domanda seguendo i nuovi modelli disponibili sul sito del Ministero. E se hai dubbi, affidati a un commercialista esperto per non sbagliare.

Concessioni balneari: esclusione dalle gare per chi ha debiti fiscali oltre 5.000 euro – Sentenza n. 138/2025

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Il settore delle concessioni balneari è nuovamente al centro di un’importante svolta giurisprudenziale che potrebbe cambiare radicalmente le dinamiche di accesso alle gare pubbliche. Con la sentenza n. 138/2025, la Corte Costituzionale ha chiarito un principio fondamentale: chi partecipa a una gara d’appalto per ottenere una concessione demaniale marittima (come quelle per stabilimenti balneari), non può avere debiti fiscali superiori a 5.000 euro, pena l’inammissibilità alla gara stessa.

Questa pronuncia risponde a un’eccezione di legittimità costituzionale sollevata in merito all’art. 80 del Codice dei Contratti Pubblici, che disciplina i requisiti morali, fiscali e tecnici degli operatori economici. Il principio affermato è chiaro e tagliente: l’omesso pagamento di imposte oltre la soglia prevista dalla legge è causa legittima di esclusione, anche quando la procedura riguarda beni demaniali come le spiagge italiane, oggetto da anni di controversie politiche, giuridiche ed economiche.

Questo intervento normativo, convalidato dalla Consulta, si inserisce in un contesto già molto complesso e delicato, dove le concessioni balneari sono da tempo sotto la lente dell’Unione Europea per presunti profili di concorrenza distorta. Ma cosa dice esattamente la sentenza? Quali sono le ripercussioni per le imprese e i titolari di stabilimenti? E come è possibile mettersi in regola per non perdere le opportunità legate ai bandi pubblici?

Vediamolo nel dettaglio.

Cosa prevede la sentenza n. 138/2025

Con la sentenza n. 138 del 24 giugno 2025, la Corte Costituzionale ha messo un punto fermo sul regime delle concessioni demaniali marittime, stabilendo un principio che avrà ricadute importanti su tutte le future gare d’appalto, comprese quelle per l’assegnazione delle concessioni balneari. La pronuncia, originata da un contenzioso sugli appalti pubblici, ha confermato la piena applicabilità dell’art. 80, comma 4 del D.lgs. 50/2016 (oggi trasfuso negli artt. 94 e 95 del nuovo Codice dei Contratti pubblici, D.lgs. 36/2023), anche alle procedure per le concessioni di beni demaniali come le spiagge.

In sostanza, chi ha violazioni fiscali definitivamente accertate superiori a 5.000 euro, viene automaticamente escluso dalla partecipazione alle gare pubbliche, senza possibilità di valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante. Questo principio non è considerato né irragionevole né sproporzionato dalla Consulta, che lo giudica coerente con gli obiettivi di trasparenza, correttezza e par condicio tra gli operatori economici.

Il punto chiave è che tale limite non può essere superato o ignorato nemmeno in presenza di gare ad alto valore economico. La Corte ha infatti respinto le obiezioni sollevate dal Consiglio di Stato, che aveva messo in dubbio la compatibilità della norma con l’articolo 3 della Costituzione, sottolineando il rischio di una sproporzione tra il debito fiscale e la gravità della sanzione (l’esclusione). Tuttavia, la Consulta ha ritenuto che l’esclusione automatica sia funzionale a evitare vantaggi competitivi indebiti per chi non adempie ai propri obblighi verso l’erario.

Pur dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale, la Corte ha aperto una finestra per il legislatore: valutare la possibilità di introdurre deroghe o di rivedere la soglia dei 5.000 euro, ad esempio consentendo la partecipazione a chi estingue tempestivamente il debito prima della gara. Questo aspetto sarà probabilmente oggetto di future modifiche normative, soprattutto in vista delle procedure competitive da avviare entro il 2027 secondo la legge 116/2024.

Impatto concreto sugli operatori del settore

Le conseguenze della sentenza n. 138/2025 della Corte Costituzionale si fanno sentire in maniera diretta e significativa sul mondo delle concessioni balneari, già da anni al centro di un acceso dibattito tra Europa, enti locali e imprenditori. L’estensione dell’art. 80 del Codice dei Contratti anche alle concessioni demaniali marittime introduce un criterio stringente: nessuna possibilità di partecipare ai bandi pubblici per chi ha debiti fiscali superiori a 5.000 euro.

Nel contesto attuale, in cui — in base alla legge 116/2024tutte le concessioni balneari dovranno essere riassegnate entro il 2027 tramite procedura competitiva, il principio affermato dalla Corte diventa cruciale. Gli operatori che intendono concorrere all’assegnazione della propria concessione, o ambiscono ad acquisirne una nuova, devono dimostrare integrità fiscale assoluta. In mancanza di ciò, saranno automaticamente esclusi, senza alcun margine di valutazione da parte dell’ente concedente (Comune, Regione o altra autorità demaniale).

Questo scenario obbliga le imprese del settore a un monitoraggio costante della propria posizione fiscale e, in particolare, a verificare l’assenza di cartelle esattoriali non pagate o atti di accertamento definitivi. Non è rilevante che il debito sia frutto di errori contabili, disattenzioni o problemi temporanei di liquidità: se l’omissione è definitivamente accertata e supera i 5.000 euro, l’esclusione è automatica.

Si apre dunque una fase di profonda attenzione e responsabilizzazione fiscale per migliaia di operatori economici lungo le coste italiane. In particolare, le piccole imprese familiari, che costituiscono la struttura portante di molti stabilimenti balneari, potrebbero trovarsi in difficoltà a causa di debiti pregressi anche di modesta entità. Tuttavia, come accennato dalla Corte stessa, l’unico margine di recupero sarà l’estinzione tempestiva del debito prima della pubblicazione del bando, se e quando il legislatore deciderà di introdurre questa possibilità.

Implicazioni giuridiche e costituzionali

La decisione della Corte Costituzionale si inserisce in un contesto più ampio, in cui le concessioni balneari rappresentano un tema caldo a livello europeo e costituzionale. Da anni l’Unione Europea chiede all’Italia di rispettare i principi della Direttiva Bolkestein (2006/123/CE), in materia di concorrenza e libertà di stabilimento, sollecitando l’apertura del mercato delle concessioni demaniali tramite procedure trasparenti e competitive. La legge 116/2024, che prevede l’affidamento di tutte le concessioni entro il 31 dicembre 2027, è nata proprio per rispondere a queste istanze.

In tale scenario, la pronuncia n. 138/2025 appare in linea con la necessità di garantire la concorrenza leale, escludendo a priori soggetti che non rispettano obblighi fondamentali come quelli fiscali. Il principio di legalità e integrità tributaria diventa così uno strumento per garantire l’equità tra concorrenti, evitando che chi ha pendenze con l’Erario possa ottenere vantaggi a discapito degli operatori corretti. In questa logica, la Corte ha ritenuto la disciplina conforme all’art. 3 della Costituzione, respingendo l’idea che vi sia una disparità di trattamento o una sproporzione tra il debito e la sanzione dell’esclusione.

Al tempo stesso, la Consulta ha fatto un passo importante anche dal punto di vista della certezza del diritto: fissando una soglia precisa (5.000 euro) oltre la quale scatta l’esclusione automatica, ha confermato la necessità di regole chiare e uguali per tutti. Tuttavia, ha anche sollecitato il legislatore a valutare una maggiore flessibilità, ad esempio introducendo una disciplina che consenta all’operatore economico di sanare il debito prima della gara, tutelando così i principi di proporzionalità e di economicità dell’azione amministrativa.

Infine, questa sentenza è anche un chiaro segnale politico e istituzionale: nel momento in cui l’Italia si appresta a riformare il sistema delle concessioni balneari, sarà essenziale trovare un equilibrio tra rigore fiscale, tutela della concorrenza e valorizzazione delle imprese locali, spesso radicate nei territori da generazioni.

Concessioni balneari e gare pubbliche

L’applicazione del principio di esclusione automatica per debiti fiscali sopra i 5.000 euro rappresenta una vera e propria “soglia di sbarramento” per chi intende partecipare ai futuri bandi per le concessioni balneari. In un settore caratterizzato da una forte presenza di microimprese e gestioni familiari, spesso poco strutturate sotto il profilo amministrativo, il rischio di non accorgersi per tempo di pendenze fiscali è tutt’altro che remoto.

Le imprese del comparto dovranno quindi adottare un approccio molto più rigoroso alla gestione fiscale, anche con il supporto di professionisti qualificati.

In particolare, sarà fondamentale:

  • Verificare periodicamente la propria posizione fiscale, richiedendo un DURC fiscale aggiornato e monitorando eventuali atti di accertamento definitivi;

  • Controllare la presenza di cartelle esattoriali non pagate o avvisi bonari non regolarizzati, anche se riferiti a periodi precedenti;

  • Sanare tempestivamente ogni posizione debitoria, idealmente prima della pubblicazione del bando, per evitare il rischio di esclusione automatica;

  • Valutare il ricorso a strumenti come la rateizzazione, purché i debiti non siano già definitivi e iscritti a ruolo in modo irrevocabile.

Un altro aspetto pratico da non trascurare è che, nella maggior parte dei casi, sarà il comune o l’ente locale a gestire la procedura competitiva per l’assegnazione delle concessioni. Ciò significa che ogni amministrazione potrà richiedere documentazione dettagliata, come il casellario fiscale dell’impresa, autocertificazioni o visure aggiornate. L’eventuale omissione o incompletezza della documentazione potrà costituire causa di esclusione, aggravando ulteriormente le difficoltà per le imprese meno organizzate.

In previsione dei bandi entro il 2027, è quindi essenziale che i titolari di concessioni demaniali inizino sin da ora un processo di verifica e regolarizzazione della propria posizione fiscale. Farlo all’ultimo momento potrebbe risultare fatale, anche per chi gestisce da decenni lo stesso tratto di litorale.

Possibili sviluppi normativi

La sentenza della Corte Costituzionale, pur ribadendo la legittimità della norma in vigore, non chiude definitivamente la questione. Al contrario, apre una serie di riflessioni che potrebbero sfociare in interventi normativi futuri, soprattutto per ciò che riguarda la proporzionalità della sanzione dell’esclusione e la possibilità di regolarizzazione preventiva.

Infatti, pur respingendo le censure di incostituzionalità sollevate dal Consiglio di Stato, la Corte ha evidenziato che spetta al legislatore valutare opportuni aggiustamenti alla disciplina, in particolare in due direzioni:

  1. Revisione della soglia dei 5.000 euro, che oggi appare oggettiva ma anche molto rigida. Potrebbe essere introdotto un sistema più flessibile, che tenga conto della dimensione dell’appalto, del valore della concessione o della tipologia del debito;

  2. Introduzione di una finestra temporale per sanare il debito, permettendo così agli operatori di rientrare in gara qualora provvedano a salvare la loro posizione fiscale prima dell’aggiudicazione. Questa ipotesi potrebbe riequilibrare il rapporto tra interesse pubblico e diritto di partecipazione.

Non è da escludere che nei prossimi mesi, anche alla luce della scadenza del 2027 per le gare delle concessioni balneari, il Parlamento o il Governo intervengano con una normativa di dettaglio, magari all’interno di un decreto-legge omnibus o di una legge annuale sulla concorrenza. Il rischio, infatti, è che l’applicazione rigida della soglia possa determinare l’esclusione di centinaia di operatori, spesso per errori formali o difficoltà economiche momentanee.

Inoltre, a livello politico, sarà necessario mediare tra le esigenze di legalità e concorrenza da una parte, e quelle di tutela del tessuto economico locale dall’altra. Le imprese balneari rappresentano un comparto fondamentale per l’economia turistica italiana, e un approccio troppo punitivo potrebbe compromettere occupazione, stagionalità e servizi al pubblico.

Responsabilità e vincoli per gli enti locali

La sentenza della Corte Costituzionale n. 138/2025 non ha effetti solo per gli operatori economici, ma incide profondamente anche sulla posizione e sulle responsabilità delle stazioni appaltanti, che, nel caso delle concessioni demaniali marittime, sono solitamente i Comuni costieri o altri enti pubblici territoriali. Con l’introduzione di una soglia fiscale automatica ed escludente, questi enti si trovano ora vincolati ad applicare in modo rigido la normativa, senza alcun margine di discrezionalità.

L’ente che bandisce la gara non potrà valutare caso per caso la gravità del debito o la proporzionalità rispetto al valore della concessione: l’esclusione scatterà automaticamente se il concorrente ha un carico fiscale definitivamente accertato superiore a 5.000 euro. Questo solleva una serie di questioni pratiche non irrilevanti. Innanzitutto, l’obbligo per la stazione appaltante di effettuare controlli rigorosi sulla regolarità fiscale dei partecipanti, anche attraverso il coinvolgimento dell’Agenzia delle Entrate, dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione e dell’INPS.

Si delinea così una necessità operativa: gli enti locali dovranno strutturarsi per gestire procedure complesse e documentazione dettagliata, spesso senza avere le risorse tecniche e professionali necessarie. Inoltre, eventuali errori o omissioni nei controlli potrebbero esporre l’amministrazione a ricorsi amministrativi o, nei casi più gravi, anche a responsabilità erariale.

Altro aspetto da considerare è che il rigore della norma potrebbe indurre alcune amministrazioni a ritardare o evitare la pubblicazione dei bandi, temendo contenziosi o criticità gestionali. Un rischio che potrebbe compromettere l’intero processo di assegnazione delle concessioni entro il 2027, come previsto dalla legge 116/2024. Per evitare questo scenario, sarà probabilmente necessario un supporto statale o regionale, anche attraverso linee guida o strumenti digitali condivisi per il controllo delle posizioni fiscali.

Come tutelarsi in modo legale e tempestivo

Alla luce della rigida applicazione del principio sancito dalla Corte Costituzionale, le imprese che operano nel settore balneare devono adottare un approccio proattivo e preventivo per evitare conseguenze disastrose. L’obiettivo è chiaro: non superare mai la soglia dei 5.000 euro di debito fiscale accertato, pena l’esclusione automatica dalla gara. Per farlo, sono diverse le strategie fiscali e legali che è possibile mettere in atto, tutte nel pieno rispetto della legge.

La prima azione fondamentale è il monitoraggio continuo della propria posizione fiscale: è consigliabile, almeno ogni trimestre, richiedere un estratto di ruolo aggiornato presso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, oltre a verificare la presenza di eventuali avvisi bonari o accertamenti non ancora impugnati. Questo permette di intervenire per tempo, prima che il debito diventi definitivo e quindi ostativo.

In caso di difficoltà nel pagamento immediato, è utile sapere che la rateizzazione non impedisce l’accertamento, ma può evitare l’aggravarsi della situazione debitoria. Tuttavia, bisogna distinguere tra debiti in fase di accertamento (ancora non definitivi) e quelli definitivamente iscritti a ruolo: solo i primi sono ancora “sanabili” ai fini della partecipazione alla gara, mentre i secondi comportano l’esclusione se superano la soglia prevista.

Un’altra strategia cruciale è quella di intervenire subito su eventuali contestazioni fiscali, presentando istanza di autotutela, ricorsi tributari o accedendo a istituti deflattivi come il ravvedimento operoso, l’accertamento con adesione o la conciliazione giudiziale. Questi strumenti, se attivati in tempo, possono interrompere il procedimento di accertamento e impedire che il debito diventi definitivo.

Infine, è fortemente consigliato per ogni concessionario balneare rivolgersi con regolarità a un commercialista specializzato in fiscalità pubblica e appalti, in grado di offrire assistenza tempestiva e aggiornamenti normativi. In un contesto normativo sempre più complesso, il fai-da-te può risultare pericoloso e controproducente.

Conclusione

La sentenza n. 138/2025 della Corte Costituzionale segna un punto di svolta nella gestione delle concessioni balneari in Italia, inserendosi in un quadro normativo in rapida evoluzione e fortemente condizionato dalle richieste europee di concorrenza e trasparenza. Il principio affermato è chiaro: chi ha debiti fiscali superiori a 5.000 euro non può accedere alle gare, senza eccezioni, deroghe o valutazioni caso per caso.

Per i titolari di concessioni demaniali marittime si apre dunque una fase di massima attenzione e responsabilizzazione fiscale, dove ogni omissione può costare cara, anche a fronte di gestioni storiche consolidate nel tempo. Allo stesso tempo, le amministrazioni locali sono chiamate a gestire con precisione e rigore l’intero processo di selezione, senza margini di discrezionalità ma con una grande esposizione a contenziosi e responsabilità operative.

Serve però un intervento legislativo mirato, che tenga conto della realtà economica del settore balneare: un comparto spesso composto da piccole imprese a conduzione familiare, strategiche per l’economia turistica italiana, ma talvolta in difficoltà sotto il profilo fiscale e burocratico. Introdurre meccanismi di regolarizzazione preventiva o valutazioni proporzionate potrebbe evitare effetti distorsivi, salvaguardando allo stesso tempo i principi di legalità e integrità del mercato.

In attesa delle procedure competitive previste dalla legge 116/2024 entro il 2027, è fondamentale che gli operatori si attivino subito, verificando la propria posizione fiscale e regolarizzandola laddove necessario. Solo così si potrà partecipare senza rischi a un processo che, nei prossimi anni, ristrutturerà profondamente il panorama delle concessioni balneari in Italia.

Codice degli Incentivi 2025: nuove regole, bando-tipo e vantaggi per imprese e professionisti

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Il mondo degli aiuti alle imprese italiane sta per cambiare in profondità. Il nuovo Codice degli Incentivi, previsto dallo schema di decreto legislativo n. 294/2025, segna l’inizio di una riforma radicale destinata a razionalizzare, semplificare e uniformare il complesso sistema delle agevolazioni economiche pubbliche. Dopo anni di sovrapposizioni normative, duplicazioni procedurali e frammentazione tra enti statali e regionali, il Governo – in attuazione della legge delega n. 160/2023 – propone un quadro normativo organico e trasparente, finalizzato ad accompagnare efficacemente lo sviluppo imprenditoriale italiano.

Il decreto, trasmesso al Senato il 2 settembre 2025, si inserisce tra le riforme chiave previste dal PNRR (Missione 1, Componente 2, Riforma 3), e punta a rendere più accessibili, rapidi e mirati gli interventi di sostegno a imprese, start-up, giovani imprenditori e imprenditoria femminile.

Ma cosa cambia davvero per le imprese? Quali saranno le nuove regole per ottenere un contributo, un credito d’imposta o un finanziamento agevolato? E soprattutto, quali vantaggi concreti porta questa riforma?

In questo articolo analizzeremo in dettaglio le principali novità introdotte dal Codice, come funzionerà il nuovo bando-tipo, le premialità per giovani e donne, le nuove modalità di monitoraggio e trasparenza, i criteri di coordinamento Stato-Regioni e infine, gli effetti pratici sul piano fiscale e operativo per le imprese italiane.

Le novità principali 

Il nuovo Codice degli Incentivi, presentato come schema di decreto legislativo n. 294 del 2025, introduce per la prima volta un quadro unitario e coerente per tutte le agevolazioni economiche rivolte alle imprese, con l’eccezione dei settori agricolo, forestale e della pesca che continueranno a seguire normative dedicate. Una delle principali innovazioni consiste nella volontà di superare la frammentazione normativa, armonizzando le procedure esistenti e semplificando l’accesso agli aiuti, anche quelli cofinanziati con fondi europei.

Tra i principi cardine su cui si fonda la riforma troviamo:

  • Stabilità e trasparenza normativa, per garantire una pianificazione a lungo termine da parte delle imprese;

  • Digitalizzazione delle procedure, per rendere più efficiente e tracciabile ogni fase di accesso ai benefici;

  • Accessibilità e inclusione, con meccanismi pensati per coinvolgere anche piccole imprese, professionisti e lavoratori autonomi;

  • Coesione territoriale, al fine di riequilibrare il gap tra aree forti e deboli del Paese;

  • Valorizzazione dell’imprenditoria giovanile e femminile, con l’introduzione di criteri premiali che privilegiano l’occupazione delle categorie più fragili e sotto-rappresentate.

L’intero impianto normativo mira a rafforzare la credibilità e l’impatto reale delle politiche pubbliche per lo sviluppo economico, eliminando sprechi e ridondanze, e valorizzando invece i progetti ad alto contenuto innovativo e sociale.

Programmazione triennale e bando-tipo

Una delle innovazioni più rilevanti introdotte dal Codice degli Incentivi è l’istituzione di un Programma triennale degli incentivi, finalizzato a coordinare e pianificare in modo unitario tutte le misure di sostegno alle imprese, sia a livello nazionale che regionale. Questo strumento – ispirato a criteri di razionalità ed efficienza – punta a superare l’attuale disorganizzazione del sistema, in cui numerosi enti pubblici emanano bandi con tempistiche, requisiti e criteri spesso disomogenei.

In questa logica di semplificazione rientra anche l’introduzione del cosiddetto bando-tipo, un modello standardizzato che ogni amministrazione dovrà adottare per definire in modo uniforme:

  • i contenuti minimi del bando,

  • i criteri di selezione,

  • i motivi di esclusione,

  • le modalità di presentazione delle domande.

Le deroghe rispetto al modello saranno ammesse solo in casi eccezionali e motivati, così da evitare frammentazioni e garantire maggiore parità di accesso tra i beneficiari su tutto il territorio nazionale.

Questo nuovo approccio serve a ridurre i tempi burocratici, ad aumentare la trasparenza delle procedure, e a semplificare il lavoro delle imprese e dei consulenti che spesso si trovano ad affrontare procedure diverse per bandi simili. Inoltre, sarà favorito il dialogo istituzionale tra Stato e Regioni, per armonizzare l’azione pubblica e costruire un ecosistema più favorevole all’impresa.

Agevolazioni e procedure

Il nuovo Codice rappresenta una vera e propria svolta anche sul piano operativo e procedurale. Con l’obiettivo di rendere l’accesso agli aiuti più rapido, trasparente e uniforme, lo schema di decreto introduce una serie di innovazioni fondamentali, tra cui una più chiara individuazione:

  • delle attività agevolabili,

  • delle spese ammissibili,

  • e dei criteri di valutazione applicabili ai progetti presentati dalle imprese (come definito agli artt. 11 e 12 del decreto).

Una delle novità più importanti è l’utilizzo obbligatorio della piattaforma digitale “Incentivi Italia”, che diventerà lo sportello unico nazionale per l’accesso a tutti i bandi e le misure di sostegno, centralizzando in un unico portale tutte le informazioni, le domande e le comunicazioni. Questo ridurrà drasticamente la frammentazione informativa e i tempi di risposta da parte delle PA.

Grande attenzione è riservata all’inclusività: per la prima volta, anche lavoratori autonomi e professionisti vengono riconosciuti come potenziali destinatari delle misure di sostegno. Questo rappresenta un significativo ampliamento della platea, in un’ottica di modernizzazione del sistema produttivo.

Inoltre, vengono previste premialità per le imprese che si distinguono in termini di inclusione sociale, occupando:

  • giovani,

  • donne,

  • persone con disabilità.

Una misura interessante, sempre più collegata alle politiche di welfare aziendale, riguarda anche il sostegno alla natalità, con meccanismi che incentivano le aziende a introdurre strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia.

Delocalizzazione e revoche

Un’altra novità cruciale del nuovo Codice degli Incentivi è l’introduzione di misure stringenti contro la delocalizzazione e il rafforzamento delle regole per la revoca e il recupero degli aiuti concessi in caso di violazioni. Questo rappresenta un segnale chiaro del legislatore: gli incentivi pubblici devono generare benefici concreti e duraturi per il sistema economico italiano.

In particolare, l’articolo 16 dello schema di decreto prevede che, qualora un’impresa beneficiaria trasferisca la propria attività produttiva al di fuori del territorio nazionale, l’aiuto concesso possa essere revocato interamente. Questa misura mira a evitare che risorse pubbliche vengano impiegate per finanziare iniziative che, nel medio periodo, finiscono per penalizzare l’occupazione e il tessuto produttivo interno.

In parallelo, l’articolo 17 disciplina in modo dettagliato le modalità di revoca e di recupero delle somme erogate, potenziando la tutela dell’interesse pubblico attraverso il riconoscimento del credito privilegiato a favore dello Stato. In pratica, in caso di fallimento o insolvenza del beneficiario, lo Stato potrà vantare un diritto di priorità nel recupero delle risorse erogate.

Queste disposizioni rafforzano il legame tra aiuto pubblico e responsabilità d’impresa, promuovendo un approccio più etico e sostenibile allo sviluppo economico. L’obiettivo non è solo punire le irregolarità, ma anche disincentivare comportamenti opportunistici, salvaguardando l’occupazione, la produttività e la coerenza con le finalità originarie dei bandi.

Monitoraggio, valutazione e trasparenza

Uno dei pilastri del nuovo Codice degli Incentivi è la creazione di un sistema di monitoraggio strutturato e continuo, pensato per garantire un uso corretto, efficiente e trasparente delle risorse pubbliche. Il Capo IV del decreto introduce infatti un modello innovativo basato su valutazioni ex ante, in itinere ed ex post di tutte le misure di incentivo, attraverso strumenti digitali integrati e accessibili.

Il cuore del sistema sarà la piattaforma unica nazionale “Incentivi Italia”, che – oltre a gestire le domande – diventerà anche un portale pubblico di trasparenza. Tutti i dati relativi agli incentivi concessi, ai beneficiari, agli importi erogati e ai risultati attesi saranno consultabili online, favorendo il controllo sociale e istituzionale delle politiche pubbliche.

Questo approccio risponde all’esigenza di accountability, cioè di rendere conto ai cittadini, alle imprese e al Parlamento di come vengono impiegate le risorse. Inoltre, la disponibilità di dati omogenei e centralizzati consentirà un’analisi più accurata dell’impatto economico e sociale delle agevolazioni, migliorando la capacità di intervento e di riorientamento delle strategie di sostegno.

Non solo: il sistema sarà interconnesso con altre banche dati pubbliche (Agenzia delle Entrate, INPS, camere di commercio) per prevenire abusi, doppi finanziamenti o incompatibilità. Il risultato atteso è un salto di qualità nella governance degli incentivi, dove il rigore nei controlli diventa leva di fiducia per cittadini e imprese.

Impatti pratici per le imprese

Il Capo V del nuovo schema di decreto – dedicato alle disposizioni finali e transitorie – chiarisce come avverrà il passaggio dal vecchio sistema frammentato di agevolazioni al nuovo quadro normativo unitario. La riforma prevede infatti una serie di abrogazioni e coordinamenti normativi per eliminare sovrapposizioni e conflitti tra leggi esistenti, mantenendo solo quelle misure compatibili con i nuovi principi di semplificazione, trasparenza e digitalizzazione.

Fondamentale è la previsione della cosiddetta clausola di invarianza finanziaria, che stabilisce che l’attuazione del Codice non comporterà nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. In altre parole, la razionalizzazione non significa nuove spese, ma una migliore allocazione delle risorse già disponibili, anche grazie alla concentrazione degli strumenti su obiettivi chiari e condivisi.

Per le imprese, il nuovo impianto normativo avrà effetti tangibili già nel breve periodo:

  • procedure più semplici, con modulistica standard e scadenze uniformi;

  • maggiore prevedibilità dei bandi grazie alla programmazione triennale;

  • tempi di risposta più rapidi, grazie alla digitalizzazione completa del processo;

  • regole più chiare e trasparenti, con criteri oggettivi di valutazione.

Anche per i consulenti, commercialisti e professionisti che assistono le imprese, il nuovo Codice rappresenta un importante strumento di lavoro, poiché consente di pianificare meglio gli investimenti, orientarsi più facilmente tra i bandi e offrire ai clienti strategie più efficaci di accesso alle agevolazioni.

Questa transizione richiederà comunque una fase di adattamento, sia da parte delle amministrazioni pubbliche che da parte del tessuto produttivo, ma il risultato atteso è una maggiore efficienza complessiva del sistema Paese nell’utilizzo dei fondi pubblici a sostegno dello sviluppo.

Beneficiari 

Una delle innovazioni più rilevanti del nuovo Codice è l’estensione della platea dei destinatari degli incentivi, che ora include anche i professionisti e i lavoratori autonomi, spesso esclusi dalle misure tradizionali. Questo allargamento è particolarmente strategico in un’economia come quella italiana, dove il lavoro autonomo rappresenta una componente significativa del tessuto produttivo.

Tra i soggetti che beneficeranno maggiormente del nuovo sistema rientrano:

  • le start-up e PMI innovative, grazie alla maggiore rapidità di accesso e alla riduzione dei vincoli burocratici;

  • le imprese che investono in tecnologia, sostenibilità ambientale e digitalizzazione, in linea con gli obiettivi europei e del PNRR;

  • le aziende che assumono giovani under 36, donne o persone con disabilità, che avranno criteri premiali nei punteggi dei bandi;

  • le imprese del Mezzogiorno, che potranno usufruire di misure dedicate o di priorità nei punteggi di graduatoria, in un’ottica di coesione territoriale.

Inoltre, il nuovo assetto favorisce anche chi opera nei settori ad alto impatto sociale o ambientale, premiando progetti capaci di generare ricadute occupazionali e innovazione. L’inclusione del concetto di sostegno alla natalità come criterio incentivante rappresenta una novità assoluta e dimostra la volontà di coniugare politiche industriali e sociali.

Per i consulenti, questo significa poter proporre strategie di accesso personalizzate in base al profilo del cliente e alla tipologia di investimento, ottimizzando così le possibilità di successo nella partecipazione ai bandi.

Incentivi Italia

La vera infrastruttura digitale del nuovo Codice degli Incentivi si chiama “Incentivi Italia”: una piattaforma nazionale unica che centralizzerà tutte le informazioni, le procedure e le comunicazioni relative agli aiuti pubblici alle imprese. Questo portale rappresenta un punto di svolta nella gestione delle agevolazioni economiche, superando la dispersione di informazioni su decine di siti istituzionali diversi e semplificando radicalmente il processo di accesso.

Attraverso “Incentivi Italia”, sarà possibile:

  • consultare tutti i bandi attivi, sia nazionali che regionali;

  • verificare in tempo reale i requisiti di ammissibilità per ciascuna misura;

  • compilare e inviare la domanda direttamente online, con modulistica precompilata;

  • seguire lo stato di avanzamento della propria pratica;

  • accedere a servizi di assistenza tecnica e consulenza online.

Ogni utente potrà avere un profilo dedicato, con cronologia dei bandi a cui ha partecipato, documentazione inviata e notifiche personalizzate. In questo modo, la piattaforma non è solo uno strumento di accesso, ma anche un cruscotto gestionale per chi vuole pianificare strategicamente la partecipazione agli incentivi.

Inoltre, “Incentivi Italia” sarà integrata con le principali banche dati pubbliche (come INPS, Agenzia delle Entrate, Registro imprese), garantendo controlli automatici sulla regolarità contributiva e fiscale dei richiedenti, riducendo i tempi di istruttoria e prevenendo frodi.

Infine, il portale avrà anche una sezione dedicata alla trasparenza, dove saranno pubblicati dati aggiornati su fondi disponibili, beneficiari, punteggi assegnati e risultati ottenuti, in linea con i principi di accountability e apertura dei dati pubblici.

Conclusione

Il Codice degli Incentivi alle Imprese 2025 rappresenta una delle riforme più ambiziose e strategiche per il rilancio dell’economia italiana. Grazie a un impianto normativo moderno, digitale e inclusivo, il decreto punta a trasformare radicalmente il modo in cui vengono erogati, monitorati e valutati gli aiuti pubblici, superando anni di inefficienze, duplicazioni e disomogeneità.

Le imprese piccole e grandi ma anche professionisti e lavoratori autonomi, potranno finalmente accedere a misure chiare, trasparenti e centralizzate, attraverso la piattaforma “Incentivi Italia”, che diventerà il punto di riferimento unico per bandi, contributi, crediti d’imposta e agevolazioni di varia natura. L’introduzione del bando-tipo, la programmazione triennale, le premialità per assunzioni di giovani, donne e categorie fragili, e la tolleranza zero verso la delocalizzazione improduttiva, segnano una svolta nella direzione della responsabilità d’impresa e della sostenibilità economico-sociale.

Per le imprese più attente alla pianificazione e alla crescita, questa riforma rappresenta un’opportunità concreta di sviluppo e di ottimizzazione fiscale, che può tradursi in vantaggi competitivi, nuove assunzioni e investimenti mirati. Tuttavia, per orientarsi al meglio nel nuovo quadro normativo, sarà fondamentale affidarsi a consulenti specializzati, capaci di leggere tra le righe, costruire una strategia di accesso efficace e monitorare costantemente le opportunità disponibili.

Il Codice non è solo una legge: è un nuovo ecosistema per far crescere l’impresa italiana.

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