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domenica 18 Maggio 2025
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Bonus nascita 2025 da 1000 euro: requisiti, scadenze e guida alla domanda INPS

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Dal 17 aprile 2025, è ufficialmente attiva la piattaforma INPS per richiedere il Bonus nascita da 1000 euro, il contributo economico una tantum previsto dalla Legge di Bilancio 2025 a favore delle famiglie con ISEE fino a 40.000 euro. Il beneficio, noto anche come “Carta nuovi nati”, è rivolto a genitori di bambini nati o adottati dal 1° gennaio 2025 e punta a sostenere la genitorialità in un momento economico complesso per molte famiglie italiane.

Attenzione: i fondi sono limitati e l’erogazione avverrà in ordine cronologico di presentazione delle domande. Chi invia la richiesta per primo ha più possibilità di ottenere il contributo, rendendo fondamentale agire con tempestività e precisione.

In questo articolo trovi tutte le informazioni utili per accedere al bonus: chi ne ha diritto, come presentare domanda, scadenze, documentazione necessaria e vantaggi fiscali. Parleremo anche delle novità sul Bonus asilo nido 2025, cumulabile con il Bonus nascita e potenziato dalla nuova normativa.

Se sei genitore o stai per diventarlo, questa guida ti aiuterà a non perdere un’opportunità concreta per il futuro della tua famiglia.

Bonus nascita 2025

Il Bonus nascita 2025, noto anche come “Carta nuovi nati”, è una delle misure chiave introdotte dalla Legge di Bilancio 2025 (Legge n. 207/2024), pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2024. Il provvedimento si inserisce nel piano del Governo volto a sostenere le famiglie a basso reddito e incentivare la genitorialità, in linea con le dichiarazioni della Premier Giorgia Meloni e dei ministri competenti. Il bonus consiste in un contributo una tantum di 1.000 euro, destinato a famiglie con ISEE inferiore ai 40.000 euro, per ogni figlio nato o adottato a partire dal 1° gennaio 2024.

Un aspetto fondamentale da considerare è che le domande verranno accettate in ordine cronologico, come precisato nel Messaggio INPS del 16 aprile 2025. Questo significa che, in caso di esaurimento fondi, verrà data priorità a chi ha fatto richiesta prima. Dal 17 aprile 2025, è ufficialmente attiva la piattaforma INPS per l’invio delle domande online, mentre resta per ora inattiva l’app INPS Mobile.

In alternativa, è possibile fare domanda anche tramite i patronati, che possono assistere nella compilazione della richiesta.

Questo bonus si affianca al rafforzamento del Bonus asilo nido, un altro provvedimento importante introdotto dalla stessa legge, che prevede nuove agevolazioni nell’accesso, come l’esclusione dell’Assegno Unico dal calcolo ISEE e l’eliminazione del vincolo del secondo figlio sotto i 10 anni.

“Carta nuovi nati” da 1000 euro

Il Bonus nascita 2025, denominato anche “Carta nuovi nati”, è regolato dall’articolo 1, commi 206-208 della Legge di Bilancio 2025. Si tratta di un contributo una tantum pari a 1.000 euro, erogato a favore delle famiglie con Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) inferiore a 40.000 euro. Un aspetto rilevante da sottolineare è che, ai fini del calcolo dell’ISEE per l’accesso al bonus, l’importo percepito a titolo di Assegno Unico e Universale per i figli a carico viene escluso, rendendo di fatto il beneficio più accessibile anche per molte famiglie che supererebbero di poco la soglia.

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa al disegno di legge, il bonus verrà erogato nel mese successivo alla nascita o all’adozione del minore. Inoltre, non concorrerà alla formazione del reddito complessivo ai fini IRPEF, quindi non sarà tassato e non inciderà su eventuali prestazioni assistenziali o fiscali legate al reddito.

I beneficiari devono essere residenti in Italia e rientrare in una delle seguenti categorie:

  • cittadini italiani;

  • cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea o familiari di cittadini UE titolari di diritto di soggiorno;

  • cittadini extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, permesso unico di lavoro, o permesso per motivi di ricerca.

Lo stanziamento previsto per questa misura è pari a 330 milioni di euro per il 2025, e a 360 milioni annui a partire dal 2026, a conferma della volontà del Governo di renderla una misura strutturale.

Modalità, piattaforme e documenti necessari

l’INPS ha ufficialmente aperto la piattaforma per la presentazione delle domande relative alla Carta nuovi nati da 1.000 euro. Le domande possono essere presentate esclusivamente in modalità telematica, attraverso due canali principali:

  1. Il portale istituzionale INPS, accedendo con le proprie credenziali SPID, CIE o CNS;

  2. I patronati, che offrono assistenza gratuita nella compilazione e nell’invio dell’istanza.

È importante evidenziare che l’app INPS Mobile non è ancora attiva per questa funzionalità, secondo quanto chiarito dall’Istituto nel messaggio ufficiale del 16 aprile 2025. Di conseguenza, i genitori interessati dovranno accedere via web o rivolgersi direttamente a un patronato abilitato.

La procedura richiede la compilazione di un modulo online in cui andranno indicati:

  • i dati anagrafici del richiedente e del minore;

  • il codice fiscale di entrambi;

  • un ISEE in corso di validità (inferiore a 40.000 euro, calcolato al netto dell’Assegno Unico);

  • un IBAN intestato al richiedente, su cui verrà accreditato il bonus;

  • la documentazione che attesti la nascita o l’adozione del bambino.

Un elemento cruciale: le domande verranno valutate in ordine cronologico, e l’erogazione sarà subordinata alla disponibilità del budget stanziato. È quindi fondamentale agire con tempestività per non perdere l’opportunità. Una volta accettata la domanda, il contributo verrà versato il mese successivo alla nascita o all’adozione.

Bonus asilo nido 2025

Una delle grandi novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2025 riguarda l’integrazione e il potenziamento dei bonus destinati alla prima infanzia. Oltre al Bonus nascita da 1.000 euro, molte famiglie potranno beneficiare anche del Bonus asilo nido, che è stato significativamente rafforzato per renderlo più inclusivo e accessibile.

A partire dal 2025, infatti, viene escluso dal calcolo dell’ISEE il valore dell’Assegno Unico Universale percepito per i figli a carico (art. 1, commi 208-211). Questo accorgimento permette a molte famiglie di rientrare in una fascia ISEE più bassa, aumentando le possibilità di ricevere il contributo massimo previsto.

Inoltre, è stata eliminata la condizione precedentemente in vigore secondo cui per ottenere la maggiorazione del bonus (fino a 3.600 euro) era necessario avere almeno un altro figlio sotto i 10 anni. Dal 2025, questa restrizione non si applica più, ampliando notevolmente la platea dei beneficiari tra i neo-genitori.

Ecco i nuovi importi massimi previsti:

  • Fino a 3.000 euro per ISEE fino a 25.000,99 euro;

  • Fino a 2.500 euro per ISEE tra 25.001 e 40.000 euro;

  • Fino a 1.500 euro oltre i 40.000 euro o con ISEE non valido;

  • Per i nuovi nati dal 1° gennaio 2024, il bonus può arrivare a 3.600 euro se l’ISEE minorenni è sotto i 40.000 euro, anche senza fratellini piccoli.

Il budget statale per questa misura è stato incrementato fino a 200 milioni di euro annui a partire dal 2029, segno che si punta su un sostegno strutturale e a lungo termine per le famiglie.

Tempistiche, priorità e criticità

Uno degli aspetti più delicati legati alla Carta nuovi nati è la modalità di erogazione: l’INPS ha chiarito che i pagamenti avverranno secondo l’ordine cronologico di presentazione delle domande, e fino a esaurimento dei fondi disponibili. Questo significa che non conta solo avere i requisiti, ma anche la tempestività con cui si presenta la domanda.

Il budget stanziato per il 2025, pari a 330 milioni di euro, potrebbe non essere sufficiente a coprire l’intera platea di aventi diritto, motivo per cui è consigliabile preparare tutta la documentazione necessaria in anticipo e procedere all’invio appena possibile. In particolare, molte famiglie attendono ancora l’aggiornamento dell’ISEE 2025, che è indispensabile per l’accesso al bonus.

Un’altra criticità da evitare riguarda l’IBAN errato o intestato a persona diversa dal richiedente, che può bloccare l’erogazione del pagamento. Stessa cosa per eventuali difformità tra i dati anagrafici del richiedente e quelli riportati nei documenti allegati, come certificati di nascita o adozione.

Infine, si consiglia di verificare periodicamente lo stato della propria domanda tramite il portale INPS o il patronato, per intercettare tempestivamente eventuali richieste di integrazione documentale o anomalie che potrebbero rallentare la procedura.

In sintesi: avere i requisiti non basta. Per ottenere realmente il contributo, è fondamentale agire con precisione e rapidità, evitando gli errori più comuni che ogni anno portano a ritardi o esclusioni.

Come presentare la domanda

Secondo quanto comunicato dall’INPS nella circolare n. 76 del 14 aprile 2025 e nel messaggio n. 1303 del 16 aprile, la piattaforma per la richiesta del Bonus nuovi nati è attiva dal 17 aprile 2025

. Le famiglie aventi diritto possono quindi presentare subito la domanda, evitando il rischio di esclusione per esaurimento fondi, visto che i contributi saranno assegnati in ordine cronologico di presentazione.

Il servizio è accessibile tramite il portale ufficiale dell’INPS (www.inps.it) e richiede l’autenticazione con una identità digitale: SPID (livello 2 o superiore), CIE 3.0, CNS o eIDAS.

Il percorso da seguire per inviare la richiesta è il seguente:

  • accedere alla sezione “Sostegni, Sussidi e Indennità”;

  • cliccare su “Esplora Sostegni, Sussidi e Indennità”;

  • selezionare “Vedi tutti” nella sezione “Strumenti”;

  • autenticarsi e selezionare la prestazione “Bonus nuovi nati”.

In alternativa, la domanda può essere inoltrata tramite:

  • il Contact Center Multicanale INPS (numero verde);

  • gli Istituti di Patronato, che possono presentare l’istanza per conto del richiedente.

Al momento non è ancora disponibile la funzione tramite app INPS Mobile, ma l’Istituto ha chiarito che fornirà aggiornamenti con un prossimo messaggio ufficiale.

Il pagamento del bonus avverrà nel mese successivo alla nascita o all’adozione, purché la domanda sia stata accettata e completa di tutta la documentazione.

Riepilogo

Con la circolare INPS n. 76 del 14 aprile 2025 e il messaggio n. 1303 del 16 aprile, l’Istituto ha chiarito requisiti, modalità di accesso e gestione delle domande per ottenere il Bonus nuovi nati 2025. Il contributo, pari a 1.000 euro una tantum, è destinato a famiglie con ISEE minorenni non superiore a 40.000 euro, calcolato al netto dell’Assegno Unico Universale. Possono beneficiarne i cittadini italiani, i cittadini UE, i familiari con diritto di soggiorno, e anche cittadini extra-UE con permesso valido da almeno un anno, nonché rifugiati, apolidi, titolari di protezione internazionale e cittadini britannici residenti in Italia entro il 31/12/2020.

È richiesto che il richiedente abbia residenza in Italia dalla data dell’evento (nascita, adozione, affido preadottivo) fino alla presentazione della domanda. Sono ammissibili figli nati o adottati a partire dal 1° gennaio 2025. In caso di affido preadottivo fa fede la data d’ingresso del minore nel nucleo, mentre per le adozioni internazionali vale la data di trascrizione nei registri civili.

Come fare domanda

Il termine è fissato a 60 giorni dalla data dell’evento, ma in fase di prima attuazione la scadenza decorre dalla pubblicazione del messaggio INPS che annuncia l’apertura del servizio. La domanda può essere presentata da:

  • uno dei genitori;

  • il genitore convivente se non vivono insieme;

  • un tutore, o il genitore del genitore minorenne/incapace.

Dove presentare la domanda

È possibile fare domanda:

  • sul sito inps.it con SPID, CIE, CNS o eIDAS (nella sezione “Sostegni, Sussidi e Indennità”);

  • tramite Contact Center INPS (803.164 da fisso, 06.164.164 da mobile);

  • presso un patronato;

  • (prossimamente) tramite app INPS Mobile, con attivazione annunciata via messaggio futuro.

Documenti e pagamenti

È obbligatorio avere un ISEE valido o presentare la DSU contestualmente alla domanda. Il richiedente dovrà dichiarare di possedere i requisiti e indicare un IBAN intestato per l’accredito. In caso di IBAN estero (area SEPA), è richiesto il modulo MV70. Il pagamento avverrà nel mese successivo alla nascita o adozione, in ordine cronologico rispetto alla presentazione, nei limiti del fondo stanziato (330 milioni per il 2025, 360 milioni annui dal 2026).

L’importo non è soggetto a tassazione IRPEF e non incide sul reddito complessivo.

Considerazioni finali

Il Bonus nuovi nati 2025 rappresenta una misura concreta e immediata per supportare economicamente le famiglie italiane in un momento cruciale come la nascita o l’adozione di un figlio. Grazie alla sua esenzione fiscale, all’esclusione dell’Assegno Unico dal calcolo ISEE e all’apertura a diverse categorie di cittadini, questo contributo si configura come uno strumento semplice ma di grande impatto sociale.

Tuttavia, proprio per la sua accessibilità e per la modalità a esaurimento fondi, è fondamentale muoversi subito, preparare l’ISEE aggiornato e presentare la domanda nei tempi previsti, evitando errori che potrebbero compromettere il diritto al bonus. I genitori devono agire con consapevolezza e precisione, approfittando anche del potenziamento del Bonus asilo nido, cumulabile e ricalcolato secondo i nuovi criteri favorevoli.

Investire nel benessere delle famiglie è investire nel futuro del Paese: questa misura è un segnale positivo, ma anche un invito a coglierne tutti i vantaggi senza farsi trovare impreparati.

Casa Funeraria: Incentivi fiscali 2025 tra credito ZES 60%, fondo perduto 40% e bonus transizione 5.0

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Nel panorama imprenditoriale italiano, pochi settori stanno vivendo una fase di evoluzione e crescita come quello delle case funerarie. Complice una crescente domanda di servizi funebri più personalizzati, dignitosi e “moderni”, l’apertura di una casa funeraria non è solo un’attività in espansione, ma può diventare anche una scelta strategica e altamente vantaggiosa sul piano fiscale ed economico.

Grazie all’introduzione di incentivi fiscali come il credito d’imposta ZES fino al 60%, i contributi a fondo perduto fino al 40%, e il recente credito d’imposta Transizione 5.0, chi decide di investire in questo settore può contare su agevolazioni concrete, cumulabili e perfettamente legali, che rendono l’investimento estremamente competitivo.

In questo articolo vedremo nel dettaglio come funzionano le agevolazioni disponibili, quali sono i requisiti per accedervi, come strutturare correttamente un progetto di investimento in una casa funeraria e infine, come massimizzare il risparmio fiscale e ottenere liquidità per avviare o ammodernare l’attività.

Credito d’imposta ZES

Una delle agevolazioni più importanti per chi vuole aprire una casa funeraria è il credito d’imposta per investimenti nelle ZES, ovvero le Zone Economiche Speciali. Si tratta di aree geografiche delimitate (prevalentemente nel Sud Italia, ma dal 2024 estese a livello nazionale con la nuova ZES Unica) dove le imprese possono beneficiare di vantaggi fiscali rilevanti per favorire lo sviluppo economico.

Cosa prevede il credito d’imposta ZES?

Chi investe in una casa funeraria situata all’interno di una ZES può ottenere:

  • Un credito d’imposta fino al 60% dell’investimento complessivo, valido per l’acquisto di beni strumentali nuovi (immobili, attrezzature, arredi, impianti, ecc.).

  • L’incentivo è cumulabile con altri contributi, come quelli a fondo perduto e con il credito d’imposta 5.0.

  • Il beneficio è utilizzabile esclusivamente in compensazione tramite modello F24.

Requisiti principali

  • L’investimento deve riguardare beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive situate nella ZES.

  • L’impresa deve mantenere l’attività per almeno 5 anni nella stessa sede.

  • È necessaria una comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate, da effettuare tramite apposito modello.

Un esempio pratico? Se investi 500.000 euro per aprire una casa funeraria in ZES, puoi ottenere fino a 300.000 euro di credito d’imposta, da utilizzare per abbattere tasse e contributi nei successivi anni fiscali.

Contributi a fondo perduto fino al 40%

Oltre al credito d’imposta ZES, le imprese che vogliono investire nell’apertura di una casa funeraria o ampliare una struttura già esistente possono accedere anche a contributi a fondo perduto: si tratta di finanziamenti pubblici a fondo perduto, quindi non soggetti a restituzione, che coprono in media dal 25% al 40% delle spese ammissibili.

Questi contributi sono particolarmente utili sia per nuove aperture, sia per chi ha già una casa funeraria e intende:

  • ampliare gli spazi,

  • migliorare l’efficienza energetica,

  • introdurre innovazioni tecnologiche,

  • digitalizzare i servizi (gestione online dei servizi, sistemi gestionali cloud, prenotazioni digitali, ecc.),

  • ottenere nuove certificazioni ambientali o di qualità.

Le principali misure disponibili

Tra le agevolazioni attive ricordiamo:

  • “Resto al Sud”: copre fino al 50% dell’investimento, di cui una parte a fondo perduto e una a tasso zero. Valido anche per chi amplia attività esistenti.

  • “ON – Oltre Nuove Imprese a Tasso Zero”: combinazione di fondo perduto e finanziamento agevolato per investimenti fino a 3 milioni di euro.

  • Bandi regionali e PNRR: ogni Regione pubblica bandi per l’efficientamento energetico, la digitalizzazione, la ristrutturazione o l’adeguamento di strutture esistenti.

Spese ammissibili (anche per case funerarie già attive)

Le spese che possono essere coperte da contributi a fondo perduto includono:

  • Ristrutturazioni e ampliamenti edilizi della casa funeraria esistente.

  • Sistemi di domotica, impianti fotovoltaici, climatizzazione ad alta efficienza.

  • Arredi, celle frigorifere, laboratori di tanatoestetica e attrezzature specifiche.

  • Software gestionali, siti web, sistemi di prenotazione online e digitalizzazione dei processi.

  • Formazione del personale e consulenze per ottenere certificazioni (ISO, ambientali, ecc.).

In alcuni casi, i contributi sono erogabili anche a copertura di spese già sostenute, se avvenute in un arco temporale recente e documentato.

Transizione 5.0

Il nuovo Credito d’Imposta Transizione 5.0, introdotto con la Legge di Bilancio 2024 e potenziato dal Decreto Attuativo di aprile 2024, offre un contributo fino al 45% per gli investimenti in beni strumentali, software e formazione volti alla transizione digitale ed energetica. È valido fino al 31 dicembre 2025 e si rivolge anche alle imprese attive nei servizi alla persona, inclusi i servizi funerari.

Chi può beneficiarne?

Qualsiasi impresa, anche individuale, può accedere al bonus se:

  • Realizza investimenti in beni materiali e immateriali 5.0 (software gestionali, impianti smart, apparecchiature digitali, ecc.).

  • Dimostra un risparmio energetico minimo del 3% sull’intero fabbisogno aziendale o del 5% sul processo produttivo interessato.

Questo significa che anche una casa funeraria esistente che, ad esempio, installa impianti a basso consumo, digitalizza la gestione dei servizi e adotta nuovi sistemi gestionali può accedere al bonus.

Quanto si può ottenere?

Il credito varia in base al livello di risparmio energetico:

  • 35% per risparmio tra il 3% e il 6%;

  • 40% tra il 6% e il 10%;

  • 45% oltre il 10%.

Esempi di spese ammissibili:

  • Impianti fotovoltaici con monitoraggio intelligente dei consumi.

  • Software per la gestione dei servizi funebri e prenotazioni online.

  • Attrezzature intelligenti per tanatoestetica, camere ardenti climatizzate a risparmio energetico.

  • Sistemi digitali per la tracciabilità delle pratiche e archiviazione sicura dei dati.

Il credito si utilizza in compensazione in 5 quote annuali, ma può essere anticipato se si rispettano determinate condizioni.

Cumulabilità degli incentivi

Uno degli aspetti più potenti delle misure fiscali attualmente disponibili è la possibilità di cumulare tra loro diverse agevolazioni, a patto che si rispettino i limiti di ciascun bando e le regole di non sovrapposizione delle spese. Un progetto ben strutturato consente di raggiungere coperture fino al 100% dell’investimento tra credito d’imposta e contributi.

Come funziona la cumulabilità?

Ecco uno scenario concreto:

  • Un imprenditore decide di investire 600.000 euro per aprire o ristrutturare una casa funeraria in area ZES.

  • Ottiene il credito d’imposta ZES del 60%: 360.000 euro.

  • Ottiene un contributo a fondo perduto del 30%: 180.000 euro.

  • Decide di inserire tecnologie digitali e impianti ad alta efficienza, e beneficia anche del credito 5.0 del 35% su una parte (ad esempio 200.000 euro), per ulteriori 70.000 euro.

Totale agevolazioni: 610.000 euro, quindi l’investimento è quasi totalmente coperto da contributi pubblici.

Qual è la chiave del successo?

  • Progettare tutto con largo anticipo, includendo relazioni tecniche, diagnosi energetica, e una consulenza fiscale specializzata.

  • Verificare i requisiti di cumulabilità (ad esempio: stessi beni non devono essere incentivati due volte con la stessa spesa).

  • Usare strumenti di rendicontazione e monitoraggio energetico per accedere pienamente al 5.0.

  • Iniziare i lavori solo dopo l’ammissione ai contributi, per non perdere il diritto ai benefici.

Inoltre, si può prevedere l’apertura di una società di capitali (SRL), anche in forma semplificata, per ottimizzare l’impatto fiscale sul reddito d’impresa, sfruttando appieno deduzioni, ammortamenti accelerati e il credito d’imposta.

Vantaggi fiscali

Le Zone Economiche Speciali (ZES) sono territori geograficamente delimitati, principalmente nel Mezzogiorno, in cui le imprese che vi operano possono accedere a regimi fiscali fortemente agevolati. Con l’introduzione della ZES Unica a livello nazionale (attiva dal 1° gennaio 2024), queste opportunità sono ora estese a tutto il Sud Italia, e rappresentano una spinta decisiva anche per il settore dei servizi funebri.

Perché il settore funebre può beneficiare pienamente della ZES?

  • Le imprese funebri, comprese case funerarie, servizi di trasporto salme, tanatoestetica, cremazioni e gestione camere ardenti, rientrano pienamente nelle categorie produttive ammesse alle agevolazioni.

  • Il settore è ad alto contenuto immobiliare e strumentale, per cui si presta perfettamente all’utilizzo del credito d’imposta per beni strumentali, uno degli strumenti principali previsti dalla ZES.

I vantaggi fiscali principali includono:

  • Credito d’imposta fino al 60% per investimenti in beni strumentali nuovi destinati a strutture operative situate nella ZES.

  • Esenzione IRAP in alcune regioni per i primi anni di attività.

  • Semplificazioni amministrative e autorizzative, con procedure più veloci per ottenere licenze, permessi edilizi e autorizzazioni sanitarie.

  • Possibilità di cumulo con altri incentivi (PNRR, fondo perduto, credito 5.0), moltiplicando il vantaggio fiscale.

Focus sugli investimenti agevolabili:

  • Acquisto o costruzione di immobili funerari (case funerarie, camere ardenti, depositi).

  • Allestimento con attrezzature moderne: impianti di refrigerazione, sistemi di ventilazione, arredi per camere mortuarie.

  • Mezzi di trasporto funebri, anche elettrici o ibridi.

  • Software gestionali, impianti di videosorveglianza e sicurezza.

Inoltre, le imprese funebri già attive che decidono di trasferire la sede operativa in una ZES o di aprire un secondo punto operativo possono beneficiare comunque del credito d’imposta, a patto che i beni siano utilizzati in modo stabile nel territorio agevolato.

Guida operativa

Accedere alle agevolazioni fiscali e ai contributi previsti per le imprese funebri che investono in Zone Economiche Speciali (ZES) richiede una progettazione precisa e una gestione accurata della procedura amministrativa.

Ecco i passaggi fondamentali da seguire per non commettere errori e ottenere tutti i benefici disponibili.

1. Verifica dell’ubicazione e ammissibilità

  • Il primo step è verificare che l’investimento (o la sede dell’attività) sia situato in un comune compreso nella nuova ZES Unica (elenco aggiornato disponibile sul sito del Governo o tramite le Camere di Commercio).

  • Occorre avere una sede operativa attiva o da attivare nel territorio ZES entro 12 mesi dall’accettazione dell’agevolazione.

2. Definizione del progetto e delle spese

  • Redigere un piano dettagliato di investimento, che includa:

    • Descrizione dell’attività (apertura o ampliamento di casa funeraria).

    • Elenco dei beni da acquistare: immobili, impianti, attrezzature, veicoli, software.

    • Valore economico totale, tempi di realizzazione, e modalità di pagamento.

3. Comunicazione all’Agenzia delle Entrate

  • Per usufruire del credito d’imposta ZES, è obbligatorio inviare una comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate, compilando il modello approvato (art. 1, c. 98 della L. 208/2015).

  • La comunicazione va inviata prima dell’effettiva realizzazione dell’investimento e deve contenere:

    • I dati dell’impresa.

    • La descrizione del progetto.

    • L’ammontare previsto dell’investimento.

4. Domanda per contributi a fondo perduto

  • In parallelo (o subito dopo), va presentata domanda per i bandi regionali, Invitalia o altri strumenti di sostegno, allegando il progetto e i preventivi.

  • In caso di cumulabilità, è importante specificare quali spese sono coperte da quale incentivo, per evitare la doppia agevolazione sullo stesso costo.

5. Certificazione e rendicontazione finale

  • Una volta concluso l’investimento, occorre produrre:

    • Fatture elettroniche intestate all’impresa.

    • Prove di pagamento tracciabili.

    • Per il 5.0, anche la diagnosi energetica iniziale e finale per dimostrare il risparmio conseguito.

Senza una corretta rendicontazione, si rischia di perdere l’agevolazione anche a progetto ultimato.

Esempio pratico

Un’impresa funebre localizzata in area ZES Unica (es. Puglia, Campania, Calabria) decide nel 2025 di acquistare un nuovo carro funebre a trazione elettrica, per rinnovare la flotta e ridurre i costi energetici e ambientali. L’acquisto rientra in un progetto più ampio di efficientamento aziendale, quindi può rientrare sia nel credito ZES che nel credito d’imposta Transizione 5.0, se accompagnato da un risparmio energetico certificato.

Dettaglio dell’investimento

  • Costo del carro funebre elettrico: € 95.000 + IVA

  • L’investimento è documentato con fattura intestata all’impresa, e il pagamento è tracciabile.

Agevolazioni applicabili

1. Credito d’imposta ZES (Sud Italia)

  • Percentuale applicabile: 60%

  • Importo agevolabile: € 95.000

  • Credito d’imposta spettante: € 57.000

  • Utilizzabile in compensazione F24 in 5 anni o secondo le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate.

2. Credito d’imposta Transizione 5.0

  • Il veicolo è a basso impatto energetico, quindi rientra tra i beni materiali innovativi 5.0.

  • L’azienda dimostra un risparmio energetico ≥ 6% sul processo logistico aziendale.

  • Percentuale applicabile: 40%

  • Credito aggiuntivo spettante (su parte ammissibile): € 38.000

In caso di cumulabilità, la spesa deve essere ripartita tra le due misure senza sovrapposizioni. Ad esempio: € 57.000 agevolati con ZES e i restanti € 38.000 con 5.0, su porzioni distinte e certificate del progetto.

Effetto economico complessivo

  • Costo reale sostenuto dall’impresa: praticamente nullo o marginale, grazie alla doppia agevolazione.

  • L’impresa ha inoltre diritto ad ammortamento fiscale sul costo non coperto dai crediti, deducibile ai fini IRES/IRAP.

Documentazione richiesta

  • Fattura elettronica dettagliata.

  • Relazione tecnica del risparmio energetico e asseverazione.

  • Comunicazione all’Agenzia delle Entrate per ZES.

  • Registrazione contabile e conservazione documentale per 5 anni.

Considerazioni finali

L’attuale assetto normativo e fiscale offre un contesto particolarmente favorevole per le imprese attive o in fase di avvio nel settore funerario, in particolare se localizzate all’interno delle Zone Economiche Speciali (ZES). L’introduzione della ZES Unica per il Mezzogiorno, operativa dal 1° gennaio 2024, ha infatti esteso a tutte le regioni meridionali la possibilità di beneficiare di importanti agevolazioni fiscali e contributive, volte a sostenere la crescita delle attività economiche produttive.

In questo contesto, le imprese che operano nei servizi funerari – comprese le case funerarie, i laboratori per tanatoestetica, i centri per cerimonie e le attività connesse – possono accedere a un pacchetto integrato di misure che comprende:

  • un credito d’imposta ZES fino al 60% per l’acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture operative localizzate nelle aree agevolate;

  • contributi a fondo perduto fino al 40% dell’investimento complessivo, erogabili tramite strumenti nazionali (Invitalia, PNRR) o regionali;

  • il nuovo credito d’imposta Transizione 5.0, applicabile agli investimenti che comportano un miglioramento dell’efficienza energetica, fino a un massimo del 45%.

La cumulabilità delle misure, se gestita correttamente nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa, consente in alcuni casi di coprire la quasi totalità dell’investimento.

Tuttavia, è fondamentale predisporre una progettazione tecnica e fiscale accurata, comprensiva di analisi energetiche, business plan coerente e cronoprogramma degli investimenti, per accedere agli incentivi in modo conforme e tracciabile.

Infine, si evidenzia che il rispetto dei requisiti temporali, documentali e procedurali è condizione essenziale per la fruizione delle agevolazioni e per evitare revoche o contestazioni in fase di controllo.

ZES e Transizione 5.0: fino all’80% di risparmio fiscale per investimenti nel Sud Italia nel 2025

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Sud Italia: arriva la doppia agevolazione fiscale che cambia le regole del gioco.

Se sei un imprenditore nel Mezzogiorno, o stai pensando di investire in regioni come Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna, Abruzzo o Molise, questo è il momento giusto per agire. Due strumenti straordinari – la ZES Unica (Zona Economica Speciale) e il Piano Transizione 5.0 – offrono una combinazione di agevolazioni fiscali che può superare l’80% dell’investimento, rendendo il Sud una delle aree più attrattive d’Europa.

Parliamo di crediti d’imposta fino al 60% per beni strumentali grazie alla ZES, e di un ulteriore credito tra il 20% e il 45% con il Piano 5.0, legato alla digitalizzazione e all’efficienza energetica. Un’opportunità unica anche per settori di nicchia ma strategici, come le imprese funebri, che possono beneficiare di queste agevolazioni per l’acquisto di autocarri funebri, impianti, macchinari e attrezzature tecnologiche.

In questo articolo andremo ad analizzare nel dettaglio come funzionano le due agevolazioni, chi può accedere, quali sono i beni agevolabili, e soprattutto come sfruttarle in modo strategico e combinato, con esempi pratici e riferimenti normativi aggiornati.

ZES Unica 2025

Dal 1° gennaio 2024, e con conferma e rifinanziamento per tutto il 2025, è pienamente operativa la ZES Unica per il Mezzogiorno, istituita dal Decreto Legge n. 124/2023 (cd. “Decreto Sud”) e successivamente prorogata e rafforzata con la Legge di Bilancio 2025. Questo strumento ha un obiettivo preciso: accelerare gli investimenti nel Sud Italia, attrarre capitali, rilanciare la produttività e creare nuova occupazione nelle regioni storicamente più svantaggiate del Paese.

Le regioni coinvolte sono: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Il vantaggio principale per le imprese che investono in queste aree è rappresentato da un credito d’imposta fino al 60% sul valore degli investimenti in beni strumentali nuovi, utilizzati in strutture produttive attive nel Mezzogiorno.

Le aliquote variano in base alla dimensione aziendale:

  • 60% per micro e piccole imprese,

  • 50% per medie imprese,

  • 40% per grandi imprese, con possibilità di incremento in base a particolari condizioni territoriali o settoriali.

Sono agevolabili impianti, macchinari, attrezzature e anche autocarri speciali, tra cui rientrano i veicoli funebri, se strettamente funzionali all’attività d’impresa. L’investimento deve essere mantenuto nella sede operativa per almeno 5 anni (3 anni per le PMI) e deve essere nuovo e non sostitutivo.

Il credito è compensabile tramite F24, è cumulabile con altri incentivi (come il Piano Transizione 5.0), e non concorre alla formazione del reddito imponibile, il che lo rende una leva fiscale di straordinaria efficacia.

Transizione 5.0

Nel 2024 e 2025 le imprese italiane possono beneficiare anche del nuovo Piano Transizione 5.0, introdotto ufficialmente con il Decreto-legge PNRR 4/2024, approvato nel marzo 2024 e finanziato attraverso le risorse europee del programma Next Generation EU.

Si tratta di un’evoluzione del Piano Transizione 4.0, ma con un focus specifico su digitalizzazione dei processi produttivi e efficienza energetica. La misura è destinata a tutte le imprese residenti in Italia che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi, destinati a strutture operative sul territorio nazionale.

Il credito d’imposta previsto può arrivare fino al 45%, a seconda del livello di riduzione dei consumi energetici ottenuto grazie all’investimento:

  • 20% se la riduzione dei consumi è almeno del 3% sull’intera struttura produttiva o del 5% sul processo interessato;

  • 30% se il risparmio energetico è almeno del 6% (struttura) o del 10% (processo);

  • 35% o 40%, con percentuali massime che possono toccare il 45%, in caso di progetti integrati con più interventi sinergici.

Sono agevolabili beni materiali e immateriali 4.0 (Allegato A e B della Legge 232/2016), ma anche autocarri speciali, macchinari automatizzati, impianti intelligenti e software di controllo — a condizione che concorrano alla trasformazione digitale ed energetica dell’attività.

Fondamentale è la certificazione energetica ex ante ed ex post, che attesti la reale riduzione dei consumi. Inoltre, il credito è cumulabile con ZES, ma fino al limite massimo del costo dell’investimento. È anche utilizzabile in compensazione tramite F24 in 5 quote annuali.

ZES + Transizione 5.0

La vera forza delle due misure – ZES Unica e Transizione 5.0 – sta nella possibilità di cumularle, rispettando i limiti del costo sostenuto. Questo consente alle imprese di ottenere un risparmio fiscale combinato potenzialmente superiore all’80% del valore dell’investimento, un vantaggio mai visto prima in ambito produttivo.

Facciamo un esempio concreto:

Un’impresa di servizi funebri con sede in Puglia acquista nel 2025 un autocarro funebre tecnologico da 100.000 euro,

dotato di:

  • tracciamento GPS e connessione ai sistemi gestionali aziendali (requisiti 4.0),

  • motore ibrido a basso consumo (efficienza energetica),

  • utilizzo esclusivo in ambito ZES.

Questa impresa può ottenere:

  • 60.000 euro di credito d’imposta ZES (60% perché è una piccola impresa del Sud),

  • 20.000 o 30.000 euro di credito d’imposta 5.0, in base al livello di riduzione energetica certificata.

Totale agevolazioni: fino a 90.000 euro, su un investimento di 100.000.
Di fatto, l’impresa paga solo 10.000 euro netti per un bene che migliora i suoi servizi e la sua efficienza operativa.

Attenzione: la cumulabilità è ammessa solo entro il limite del costo complessivo dell’investimento e richiede una gestione precisa della documentazione, comprese certificazioni tecniche e relazioni energetiche.

Inoltre, è fondamentale il coordinamento con un consulente fiscale esperto, per evitare errori nella fruizione e nella rendicontazione all’Agenzia delle Entrate.

Beni agevolabili

Le agevolazioni previste dalla ZES Unica e dal Piano Transizione 5.0 si applicano a una vasta gamma di beni strumentali nuovi, a condizione che siano destinati a strutture produttive ubicate nel Mezzogiorno e che rispondano ai requisiti richiesti dalla normativa.

Ecco alcune categorie di beni materiali che possono beneficiare del credito d’imposta:

  • Macchinari industriali per la produzione, l’assemblaggio o la lavorazione di materiali (es. presse, torni CNC, macchine utensili, robot da linea automatizzata);

  • Impianti tecnologici per il trattamento dei materiali, la refrigerazione, il confezionamento o l’essiccazione dei prodotti;

  • Attrezzature professionali per magazzino o laboratorio, come scaffalature automatizzate, bilance digitali, forni industriali, strumenti di misura di precisione;

  • Veicoli speciali (come autocarri allestiti, furgoni refrigerati, piattaforme mobili) impiegati nel ciclo produttivo o logistico;

  • Apparecchiature per il controllo e il monitoraggio dei processi, comprese quelle connesse a software 4.0.

Per quanto riguarda i beni immateriali (solo per Transizione 5.0), sono agevolabili:

  • Software gestionali e applicazioni per l’automazione e la pianificazione produttiva (ERP, MES);

  • Piattaforme IoT per la raccolta dati da sensori, il controllo da remoto e l’ottimizzazione energetica;

  • Sistemi digitali di monitoraggio dei consumi e delle prestazioni operative.

Tutti i beni devono essere nuovi, interconnessi (per la 5.0), e garantire un miglioramento dell’efficienza energetica, certificato da un tecnico abilitato. Inoltre, devono essere mantenuti in azienda per almeno 5 anni (o 3 anni per le PMI), pena la revoca del beneficio.

Procedure, tempistiche e documentazione

Accedere alle agevolazioni fiscali offerte da ZES Unica e Transizione 5.0 richiede attenzione, competenze tecniche e il rispetto di precise procedure burocratiche, pena la decadenza del beneficio o il recupero degli importi da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Per il credito ZES Unica, l’impresa deve:

  • Effettuare l’investimento in beni strumentali nuovi localizzati in una delle regioni del Sud ammesse;

  • Trasmettere una comunicazione preventiva tramite il portale dell’Agenzia delle Entrate (la modulistica viene aggiornata ogni anno);

  • Utilizzare il credito maturato in compensazione tramite F24, a partire dall’anno successivo a quello in cui il bene entra in funzione;

  • Conservare la documentazione per almeno 10 anni, inclusi fatture, contratti e perizie tecniche (se richieste).

Per il credito d’imposta Transizione 5.0, invece, sono necessari:

  • Una certificazione ex ante rilasciata da un professionista abilitato (ingegnere o perito iscritto all’albo), che dimostri la riduzione dei consumi energetici prevista;

  • Una certificazione ex post, dopo l’installazione e l’avvio dei beni, che confermi i risultati ottenuti;

  • Un piano degli investimenti, da caricare sulla piattaforma del GSE (Gestore Servizi Energetici), che fungerà da organismo di controllo e approvazione del beneficio.

È fondamentale anche assicurarsi che i beni 5.0 siano interconnessi al sistema gestionale aziendale, come previsto dalla normativa sugli incentivi “Industria 4.0”. Inoltre, in caso di cumulo con il credito ZES, bisogna tenere traccia puntuale delle percentuali applicate per ogni misura, evitando di superare il costo effettivo dell’investimento.

In entrambi i casi, è consigliato affidarsi a uno studio professionale esperto in materia fiscale e industriale, per assicurare la corretta compilazione delle pratiche, evitare errori e ottenere il massimo del beneficio possibile.

Vantaggi economici e strategici

L’adozione combinata di ZES Unica e Piano Transizione 5.0 rappresenta una leva strategica per la crescita aziendale, soprattutto per le PMI del Sud Italia. I benefici non si limitano alla riduzione immediata delle imposte, ma si estendono a numerosi aspetti della gestione economica e finanziaria.

Vantaggi fiscali immediati:

  • Riduzione del carico fiscale fino all’80% del costo dei beni, grazie alla cumulabilità delle due misure;

  • Il credito maturato è utilizzabile in compensazione diretta dei tributi (IVA, contributi INPS, ritenute), migliorando il cash flow;

  • I crediti non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini IRES, IRPEF e IRAP: questo significa un doppio risparmio, fiscale e contabile.

Effetti sul bilancio e sulla competitività:

  • I beni acquistati aumentano il valore dell’attivo patrimoniale, migliorando l’immagine creditizia e la solidità dell’impresa;

  • L’adozione di tecnologie efficienti e digitali riduce i costi di produzione, ottimizza i tempi di lavoro e migliora la qualità dei prodotti o dei servizi;

  • Le imprese che investono in digitalizzazione ed efficienza energetica sono più attrattive per investitori, clienti e istituti di credito.

Vantaggi di lungo periodo:

  • Maggiore resilienza alle crisi grazie all’automazione e alla flessibilità operativa;

  • Accesso semplificato ad altri incentivi nazionali e comunitari (PNRR, bandi regionali, incentivi per l’export);

  • Possibilità di ridurre drasticamente il fabbisogno energetico e di contribuire agli obiettivi ESG (Environmental, Social, Governance), ormai fondamentali per lavorare con la Pubblica Amministrazione o con grandi aziende.

In sintesi, investire oggi in beni agevolabili ZES + 5.0 significa rinnovare l’impresa a costo quasi zero e garantirsi una posizione di vantaggio competitivo per gli anni a venire.

Errori da evitare

Nonostante l’enorme potenziale delle agevolazioni ZES e Transizione 5.0, molti imprenditori rischiano di compromettere il beneficio fiscale per disattenzione o per una pianificazione poco precisa.

Ecco gli errori più frequenti e come evitarli.

Errori più comuni:

  • Acquisto di beni non agevolabili: ad esempio, beni usati, beni non strumentali all’attività, o non interconnessi nel caso della 5.0;

  • Mancata o errata comunicazione all’Agenzia delle Entrate (per la ZES) o mancata trasmissione della documentazione al GSE (per la 5.0);

  • Assenza di certificazioni energetiche valide, o mancanza della perizia tecnica ex ante/ex post obbligatoria per la 5.0;

  • Utilizzo del credito in F24 prima del termine previsto, che può portare a sanzioni o alla revoca del credito;

  • Cumulabilità mal gestita: se si sommano ZES e 5.0 oltre il costo effettivo del bene, l’eccedenza è persa (e in alcuni casi sanzionata).

Consigli operativi:

  • Fai un’analisi preventiva dell’investimento, stimando i benefici fiscali e l’effettivo impatto energetico/digitale del bene;

  • Coinvolgi da subito un professionista abilitato (ingegnere, perito, commercialista) per le certificazioni obbligatorie;

  • Prepara un piano di investimento documentato, con cronoprogramma, preventivi, schede tecniche e report energetici;

  • Verifica ogni passaggio con un consulente fiscale esperto, specializzato in cumulo di incentivi e incentivi PNRR;

  • Organizza la contabilità e la conservazione dei documenti: ogni fattura deve riportare chiaramente che il bene è agevolabile, ed essere accompagnata dalla relativa documentazione tecnica.

Ricorda: non basta “comprare un bene” per ottenere il credito. Serve una strategia fiscale ben strutturata che parte prima dell’investimento e si conclude con una rendicontazione perfetta.

Simulazione reale

Immaginiamo una piccola impresa operante nel settore della logistica e dei servizi di trasporto speciale con sede a Bari, in Puglia. L’azienda decide di modernizzare il proprio parco macchine e migliorare l’efficienza energetica del magazzino attraverso un investimento strutturato nel 2025, approfittando delle agevolazioni disponibili.

L’investimento complessivo è pari a 250.000 euro

così suddivisi:

  • 90.000 euro per un autocarro speciale con motore ibrido e sistema di geolocalizzazione 4.0;

  • 120.000 euro per un sistema automatizzato di stoccaggio verticale per il magazzino, con software integrato per la gestione delle merci;

  • 40.000 euro per un sistema di controllo intelligente dell’illuminazione e della climatizzazione, con riduzione stimata dei consumi del 7%.

L’azienda decide di cumularle entrambe le agevolazioni.

1. Calcolo del Credito ZES Unica

Essendo una piccola impresa del Sud, ha diritto al:

  • 60% su tutti i beni materiali nuovi, quindi su 250.000 euro → 150.000 euro di credito d’imposta ZES

2. Calcolo del Credito Transizione 5.0

  • L’investimento garantisce una riduzione energetica superiore al 6% a livello di struttura → credito d’imposta al 30% su:

    • i sistemi di climatizzazione e illuminazione (40.000 €)

    • parte dei macchinari interconnessi (es. magazzino automatizzato, 120.000 €)

  • Totale investimenti agevolabili 5.0 = 160.000 euro

  • Credito 5.0 = 48.000 euro

Nota: il veicolo non viene incluso nel 5.0, perché non contribuisce alla riduzione energetica della struttura.

Totale agevolazioni riconosciute

  • Credito ZES: 150.000 €

  • Credito 5.0: 48.000 €

  • Totale crediti fiscali: 198.000 € su 250.000 € di spesa

Investimento netto reale per l’impresa: solo 52.000 euro
Una spesa contenuta per un salto tecnologico ed energetico strategico.

Documenti e Tempistiche

  • Prima dell’investimento: perizia ex ante + piano da caricare sul portale GSE;

  • Durante l’investimento: acquisti documentati con fatture dedicate + tracciabilità dei pagamenti;

  • Dopo l’installazione: perizia ex post e attivazione dei crediti in F24.

Conclusione

Le agevolazioni fiscali ZES e Transizione 5.0 rappresentano oggi una delle opportunità più vantaggiose e concrete per le imprese italiane, in particolare per quelle che operano nel Mezzogiorno o che stanno valutando di espandersi nel Sud.

Poter recuperare fino all’80% dell’investimento tramite credito d’imposta significa abbattere il rischio imprenditoriale, aumentare la competitività e, allo stesso tempo, rinnovare l’infrastruttura produttiva con tecnologie moderne e sostenibili.

Ma attenzione: per ottenere i benefici è necessario muoversi in modo strategico e pianificato.

Questo vuol dire scegliere con cura i beni agevolabili, rispettare i requisiti tecnici ed energetici previsti, predisporre tutta la documentazione in modo conforme alle normative e coordinare ZES e 5.0 senza errori.

Per questo motivo è fondamentale affidarsi a un commercialista esperto in fiscalità agevolata e incentivi PNRR, capace di accompagnarti passo dopo passo, dall’analisi di convenienza all’ottenimento effettivo del credito.

Se sei un imprenditore del Sud, o vuoi portare la tua impresa in queste regioni, il 2025 è l’anno giusto per farlo: mai prima d’ora è stato possibile investire così tanto, spendendo così poco.

Ristorazione in Sardegna: 40% a fondo perduto per forni, attrezzature e macchinari professionali

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An Open Dining Room With A View Of The Coast

In un contesto economico sempre più sfidante, dove i costi energetici e le spese di gestione crescono in modo esponenziale, le imprese del settore ristorativo devono trovare nuove leve di competitività e innovazione.

Ecco perché il nuovo bando della Regione Sardegna rappresenta una vera boccata d’ossigeno: un contributo a fondo perduto pari al 40% delle spese sostenute per l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature e forni professionali, destinato alle attività operanti nel settore della ristorazione.

Un’occasione unica per rinnovare il proprio locale, migliorare l’efficienza produttiva, abbattere i consumi e offrire un servizio di qualità superiore ai propri clienti, senza dover sostenere l’intero investimento con risorse proprie. Il bando, pensato per sostenere la competitività delle micro, piccole e medie imprese locali, punta a rilanciare l’intero comparto dell’enogastronomia isolana, incentivando innovazione, sicurezza e sostenibilità.

Se hai un ristorante, una pizzeria, un agriturismo, una gastronomia o un laboratorio artigianale del gusto in Sardegna, non puoi permetterti di ignorare questa misura: il 40% dell’investimento te lo restituisce la Regione, a fondo perduto. Ma attenzione: i fondi sono limitati, e la procedura richiede una corretta pianificazione.

In questo articolo vedremo chi può accedere, quali spese sono ammesse, come ottenere il contributo e quali vantaggi fiscali si possono cumulare con questa agevolazione. Scopriremo anche casi pratici e consigli utili per presentare una domanda efficace e aumentare le probabilità di essere ammessi.

Requisiti e beneficiari

l bando regionale si rivolge in modo specifico alle micro, piccole e medie imprese con sede operativa in Sardegna, attive nel settore della ristorazione e della trasformazione alimentare. Rientrano tra i beneficiari: ristoranti tradizionali, pizzerie, trattorie, agriturismi con somministrazione, gastronomie, pasticcerie, panifici con laboratorio e vendita diretta, laboratori artigianali di prodotti da forno o tipici sardi, e tutte quelle attività che prevedono la preparazione, trasformazione e somministrazione di alimenti e bevande.

Uno dei requisiti fondamentali è che l’impresa sia regolarmente iscritta al Registro delle Imprese, attiva al momento della domanda e in regola con i contributi previdenziali e assistenziali (DURC). Non sono ammessi soggetti in stato di difficoltà economica grave o in liquidazione.

Altro aspetto cruciale è la localizzazione: il contributo è destinato esclusivamente alle aziende con sede in Sardegna, e l’investimento oggetto di agevolazione deve essere realizzato e utilizzato all’interno del territorio regionale.

Infine, l’impresa deve impegnarsi a non dismettere né cedere le attrezzature acquistate per almeno 3 anni, pena la revoca del contributo. È possibile presentare domanda anche in caso di ampliamento o rinnovamento di attività già esistenti, e non solo per nuove aperture.

Questi criteri di ammissibilità sono pensati per garantire un impatto concreto sull’economia locale e sulla qualità dell’offerta enogastronomica isolana, favorendo realtà che abbiano una vera prospettiva di crescita e radicamento nel territorio.

Spese ammissibili

Il contributo a fondo perduto del 40% è destinato a coprire investimenti materiali mirati a migliorare la produttività, la qualità e la sostenibilità dei processi produttivi all’interno delle attività ristorative.

Il bando specifica con chiarezza quali tipologie di spesa possono essere incluse nella domanda: questo consente alle imprese di pianificare con precisione le proprie scelte di acquisto.

Tra le spese ammesse figurano:

  • Forni professionali, sia statici che ventilati, elettrici o a gas, inclusi quelli per pizza o panificazione artigianale;

  • Impianti di cottura e attrezzature per la lavorazione degli alimenti (frigoriferi industriali, abbattitori di temperatura, cuocipasta, friggitrici, ecc.);

  • Macchinari per la trasformazione dei prodotti agroalimentari (impastatrici, sfogliatrici, tritacarne, affettatrici, ecc.);

  • Attrezzature professionali per cucine, laboratori di pasticceria o panificazione (cappe, banchi refrigerati, tavoli inox, ecc.);

  • Impianti tecnologici a supporto dell’attività (es. sistemi di aspirazione, impianti di depurazione, software gestionali legati alla produzione).

Le spese devono essere nuove di fabbrica (no usato o leasing), acquistate da fornitori regolarmente registrati e documentate da fattura elettronica. È importante che l’investimento sia coerente con l’attività economica svolta e che venga effettuato dopo la presentazione della domanda e entro il termine previsto dal bando.

Non sono ammesse, invece, le spese per beni usati, automezzi, opere edilizie o spese di consulenza.

Un investimento ben pianificato e in linea con i requisiti può portare non solo al rimborso del 40% della spesa, ma anche a un tangibile salto di qualità nei servizi offerti ai clienti.

Come ottenere il contributo

Ottenere il contributo a fondo perduto del 40% richiede attenzione e precisione, ma la procedura è accessibile, soprattutto se seguita con il supporto di un consulente esperto. La domanda deve essere presentata esclusivamente in via telematica, attraverso la piattaforma dedicata messa a disposizione dalla Regione Sardegna o dal soggetto gestore del bando, come ad esempio SardegnaIT o SFIRS S.p.A. (in base alla struttura dell’avviso pubblico).

La procedura prevede generalmente i seguenti passaggi:

  1. Registrazione alla piattaforma e creazione del profilo impresa;

  2. Compilazione della domanda, con l’inserimento dei dati aziendali, descrizione dettagliata dell’investimento e documentazione allegata (preventivi, DURC, visura camerale, dichiarazioni);

  3. Firma digitale del legale rappresentante;

  4. Invio telematico nei termini indicati dal bando.

I fondi sono assegnati secondo l’ordine cronologico di presentazione, quindi chi prima presenta la domanda ha maggiori probabilità di ottenere il contributo. Le risorse sono infatti limitate, e il click-day potrebbe esaurirle rapidamente. È quindi fondamentale predisporre tutto in anticipo, anche perché la Regione non consente correzioni successive all’invio.

Una volta approvata la domanda, l’impresa può procedere con gli acquisti, effettuare i pagamenti (tracciabili) e presentare la rendicontazione finale, per ricevere l’erogazione del contributo.

Importante: i pagamenti devono avvenire esclusivamente tramite bonifico bancario e le fatture devono riportare una chiara indicazione del bene acquistato e del collegamento al bando regionale.

Vantaggi fiscali cumulabili

Uno degli aspetti più interessanti del contributo a fondo perduto del 40% è la sua cumulabilità con altri incentivi fiscali e agevolazioni, che permette alle imprese di massimizzare il risparmio e ridurre sensibilmente il costo reale dell’investimento.

1. Cumulabilità con il Credito d’Imposta per Beni Strumentali

Le spese per attrezzature e macchinari possono beneficiare del Credito d’Imposta per Investimenti in Beni Strumentali, previsto dalla Legge di Bilancio e attualmente vigente (verificare annualmente la percentuale aggiornata). Questo incentivo permette di recuperare, sotto forma di credito fiscale, una quota delle spese effettuate per beni nuovi, materiali e immateriali. Il credito è compatibile con i contributi a fondo perduto, purché il cumulo non superi il 100% del costo sostenuto.

2. Ammortamenti e deducibilità dei costi

I beni acquistati restano in ogni caso ammortizzabili e i costi sostenuti, al netto del contributo, deducibili dal reddito d’impresa. Questo consente un ulteriore alleggerimento del carico fiscale annuale, generando vantaggi nel lungo periodo.

3. IVA detraibile

L’IVA sulle fatture d’acquisto, se l’impresa è in regime ordinario, è interamente detraibile, rappresentando un ulteriore risparmio.

4. Compatibilità con bandi comunali o di filiera

In alcuni casi, i comuni o le reti territoriali della Sardegna attivano microbandi locali per l’ammodernamento delle attività commerciali o della filiera agroalimentare. Anche questi possono essere cumulati, sempre nel rispetto dei massimali previsti dal regolamento europeo “de minimis”.

Un corretto piano fiscale, elaborato con l’assistenza di un commercialista esperto, può trasformare un investimento da decine di migliaia di euro in un’operazione strategica a costi ridotti, con benefici tangibili in termini economici, produttivi e competitivi.

Vantaggi per le imprese

Accedere al contributo a fondo perduto del 40% rappresenta per le imprese della ristorazione in Sardegna molto più di un semplice aiuto economico: è una leva strategica per migliorare l’efficienza, la qualità e la competitività dell’attività. In un settore in cui la differenziazione dell’offerta e la rapidità di servizio fanno la differenza, investire in tecnologie moderne e attrezzature avanzate può portare a risultati immediati.

1. Riduzione dei costi operativi

Macchinari di nuova generazione, forni a basso consumo, impianti efficienti dal punto di vista energetico permettono di abbattere le bollette e ridurre gli sprechi, con un risparmio mensile che incide positivamente sul bilancio dell’attività.

2. Aumento della produttività e della qualità

Attrezzature professionali più performanti consentono di ottimizzare i tempi di preparazione, aumentare la produzione, mantenere standard qualitativi costanti e offrire un’esperienza superiore al cliente finale. Un investimento mirato può tradursi in più coperti serviti, meno errori e meno scarti.

3. Miglioramento dell’immagine aziendale

Rinnovare gli ambienti di lavoro, migliorare la sicurezza e mostrare attenzione all’innovazione può diventare anche un vantaggio comunicativo: l’impresa si posiziona come moderna, affidabile e attenta all’ambiente. Un elemento oggi molto apprezzato, soprattutto dal turismo enogastronomico.

4. Accesso facilitato ad altri mercati e collaborazioni

Le imprese più strutturate e tecnologicamente avanzate sono anche quelle che riescono più facilmente ad accedere a reti di distribuzione, partnership locali, eventi e finanziamenti futuri.

In breve, questo bando non è solo un aiuto temporaneo, ma un volano per la crescita sostenibile e duratura delle attività ristorative sarde.

Simulazione reale

Per capire realmente l’impatto di questo incentivo, vediamo un esempio concreto. Supponiamo che un ristorante medio in Sardegna decida di investire 25.000 euro in nuove attrezzature per la cucina: forno professionale, abbattitore, banco refrigerato, impastatrice e cappe con aspirazione certificata.

Ecco come si compone il risparmio:

  • Contributo a fondo perduto del 40%: 10.000 € a fondo perduto erogati dalla Regione;

  • Credito d’imposta beni strumentali (ipotizzando 20%): altri 3.000 € recuperabili in F24;

  • IVA detraibile (22%): pari a 4.500 € (se l’impresa è in regime ordinario);

  • Costo effettivo dell’investimento: 7.500 € su 25.000 € totali.

In pratica, l’impresa sostiene meno di un terzo del costo reale dell’investimento, ma ottiene il 100% del valore in termini di efficienza, qualità e benefici strutturali.

Questa simulazione dimostra che, con una buona pianificazione, l’investimento non è solo sostenibile, ma strategicamente conveniente. E con l’aumento del livello qualitativo dell’offerta, la competitività sul mercato cresce esponenzialmente.

Consigli pratici

Presentare una domanda per un contributo a fondo perduto non è solo una questione di compilazione formale: è una vera strategia aziendale, che richiede organizzazione, tempismo e una visione chiara degli obiettivi. Ecco i suggerimenti chiave per massimizzare le probabilità di ottenere il contributo del 40%.

1. Preparati con largo anticipo

Non aspettare l’ultimo momento. La documentazione da raccogliere è ampia: preventivi dettagliati, visura camerale aggiornata, DURC regolare, dichiarazioni sostitutive, relazione tecnica sull’investimento. Più sei pronto, più veloce sarai nel click-day.

2. Scegli fornitori affidabili

I preventivi devono essere chiari, intestati all’impresa richiedente, con una descrizione tecnica dettagliata del bene, prezzo, IVA e condizioni di pagamento. Evita documenti generici o fornitori non registrati: potrebbero invalidare la domanda.

3. Redigi una relazione tecnica convincente

Anche se non sempre obbligatoria, una breve relazione sull’utilità dell’investimento può fare la differenza. Spiega come le nuove attrezzature miglioreranno la produttività, ridurranno i consumi, potenzieranno l’attività.

4. Verifica con un consulente esperto

Il bando contiene tecnicismi e limiti normativi (come quelli del regolamento “de minimis”) che vanno analizzati da chi ha esperienza specifica. Un consulente fiscale può aiutarti a massimizzare il contributo, evitare errori e magari affiancarti nella rendicontazione finale.

5. Non trascurare la rendicontazione

Una volta ottenuto il via libera, l’investimento deve essere completato nei tempi stabiliti dal bando, con fatture chiare, bonifici tracciabili e collaudo (se previsto). Una rendicontazione imprecisa può comportare la revoca totale o parziale del contributo.

6. Archivia tutta la documentazione

Conserva ogni documento, digitale e cartaceo, per almeno 5 anni. Potresti essere soggetto a controlli, e avere tutto in ordine è fondamentale.

Considerazioni finali

In un momento storico in cui le imprese della ristorazione affrontano aumenti dei costi, concorrenza crescente e la necessità di stare al passo con l’innovazione, il contributo a fondo perduto del 40% offerto dalla Regione Sardegna rappresenta un’opportunità concreta e strategica per modernizzare la propria attività, ridurre i costi di gestione e migliorare la qualità del servizio offerto.

Hai la possibilità di rinnovare forni, impianti e attrezzature professionali con un investimento che viene coperto quasi per metà da fondi pubblici, e allo stesso tempo potrai beneficiare di agevolazioni fiscali aggiuntive, come il credito d’imposta per i beni strumentali, l’ammortamento e la detrazione dell’IVA.

Questa misura non è solo un incentivo economico, ma un vero piano di rilancio per il comparto enogastronomico sardo, che può aiutarti a distinguerti, attrarre nuovi clienti, offrire un servizio più efficiente e sostenibile e rendere il tuo locale più competitivo sul mercato locale e turistico.

Attenzione però: i fondi sono limitati e la procedura è a sportello, quindi è fondamentale muoversi subito, preparare per tempo la documentazione e affidarsi a professionisti del settore per aumentare le probabilità di successo.

Se desideri una consulenza personalizzata o vuoi sapere se il tuo investimento è finanziabile, contattaci subito: possiamo accompagnarti in ogni fase, dalla progettazione dell’intervento fino alla rendicontazione finale.

IRES al 20% per investimenti in tecnologia

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Risparmiare sulle tasse investendo in tecnologia oggi è possibile. Con la Legge di Bilancio 2025 arriva una misura fiscale che potrebbe cambiare la pianificazione di molte imprese italiane: l’IRES ridotta al 20% per chi investe in beni strumentali tecnologicamente avanzati e assume personale a tempo indeterminato. Una novità che rappresenta non solo un’opportunità di risparmio fiscale immediato, ma anche uno stimolo concreto alla digitalizzazione, all’innovazione e all’occupazione stabile.

Ma attenzione: l’agevolazione è accessibile solo a precise condizioni. Non tutte le imprese potranno beneficiarne e sono previste rigide regole, vincoli temporali e cause di decadenza.

In questo articolo analizziamo nel dettaglio come funziona l’aliquota IRES al 20%, chi può accedervi, quali investimenti sono validi, e come evitare di perdere l’agevolazione.

Introduzione

Nel panorama della fiscalità italiana, la Legge di Bilancio 2025 porta una novità che potrebbe segnare un punto di svolta per le imprese italiane: una riduzione dell’IRES al 20% per chi investe in beni strumentali tecnologici.

Si tratta di un incentivo fiscale altamente strategico, pensato per stimolare l’innovazione e la competitività delle imprese, in particolare quelle che scelgono di orientare i propri capitali verso la digitalizzazione e la transizione 4.0. Attualmente l’IRES, l’Imposta sul Reddito delle Società, ha un’aliquota ordinaria del 24%.

La riduzione al 20% rappresenta quindi un vantaggio fiscale immediato e concreto, soprattutto per le aziende più dinamiche, capaci di cogliere le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica.

Questa misura si inserisce nel solco di una più ampia strategia del Governo volta a sostenere la crescita economica e ad attrarre investimenti privati in settori chiave come l’automazione, l’intelligenza artificiale, la robotica, il cloud computing e la cybersecurity.

I benefici previsti non sono solo fiscali, ma anche economici e produttivi: le imprese che approfitteranno di questa riduzione potranno rafforzare il proprio posizionamento competitivo, aumentare l’efficienza operativa e stimolare l’occupazione qualificata.

Aliquota IRES ridotta al 20%

La misura introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 non è strutturale, ma limitata nel tempo: la riduzione dell’aliquota IRES al 20% si applicherà esclusivamente per il periodo d’imposta 2025. È una finestra temporale che offre un’occasione concreta per pianificare investimenti in modo strategico.

Il beneficio si rivolge a specifici soggetti passivi IRES che effettuano investimenti in beni strumentali tecnologicamente avanzati, rientranti tra quelli elencati nell’Allegato A della Legge 232/2016, ossia i beni materiali funzionali alla trasformazione digitale dei processi produttivi (macchinari interconnessi, sistemi automatizzati, sensori intelligenti, ecc.).

L’aliquota agevolata sostituisce l’ordinaria del 24% ma, attenzione: l’accesso a questo beneficio è subordinato al rispetto di precise condizioni. Non tutte le imprese potranno accedervi indiscriminatamente, ed è previsto un meccanismo di esclusione e decadenza. Ad esempio, non potranno beneficiare dell’agevolazione le imprese che si trovano in stato di liquidazione, fallimento o concordato preventivo.

Inoltre, il mancato rispetto delle condizioni poste dalla normativa – come l’effettiva messa in funzione dei beni tecnologici entro i termini previsti – comporta la perdita del beneficio e l’applicazione dell’aliquota ordinaria.

Queste restrizioni rendono cruciale per le imprese una pianificazione accurata, anche con il supporto di un consulente fiscale, per evitare di incorrere in errori o perdere l’opportunità di risparmio.

Una misura ponte

La riduzione dell’IRES al 20% introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 si inserisce in un contesto più ampio di revisione del sistema fiscale, anticipando in parte i principi contenuti nella legge delega n. 111 del 2023. Tale riforma, all’articolo 6, comma 1, lettera a), prevede infatti la possibilità di ridurre l’imposizione sui redditi societari quando gli utili vengono reinvestiti, in particolare per finalità considerate “qualificate”: innovazione tecnologica, assunzioni stabili, e partecipazione dei lavoratori agli utili.

In attesa dell’attuazione organica di questi principi, il legislatore ha introdotto per il solo periodo d’imposta 2025 una misura temporanea e sperimentale, che offre un’aliquota IRES ridotta al 20% in luogo dell’ordinaria del 24%, a favore di società ed enti che esercitano attività commerciali (anche non residenti) e che rispettano precise condizioni cumulative. Questo approccio “ponte” permette alle imprese di prepararsi in anticipo a una fiscalità premiale orientata alla produttività e alla responsabilità sociale.

Requisiti per accedere alla nuova IRES

Per poter beneficiare dell’IRES agevolata al 20% nel 2025, le imprese devono soddisfare una serie di condizioni cumulative, tutte finalizzate a garantire l’effettivo reinvestimento degli utili e la creazione di valore sul territorio nazionale. I requisiti sono suddivisi in ambiti ben precisi: gestione degli utili, destinazione degli investimenti, incremento occupazionale e stabilità produttiva.

1. Accantonamento utili

Le imprese devono accantonare almeno l’80% degli utili dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2024 in una riserva vincolata. Questo vincolo serve a impedire la distribuzione degli utili e a garantirne l’effettiva destinazione a scopi produttivi.

2. Destinazione degli investimenti

Almeno il 30% della riserva accantonata – e comunque non meno del 24% degli utili 2023, per un importo minimo di 20.000 euro – deve essere investito in beni strumentali nuovi, acquistati anche tramite leasing, destinati a strutture produttive ubicate in Italia. I beni devono rientrare:

  • negli Allegati A e B della Legge n. 232/2016 (beni materiali e immateriali per la Transizione 4.0);

  • oppure nell’articolo 38 del DL 19/2024 (Transizione 5.0).

Gli investimenti devono essere effettuati tra l’entrata in vigore della legge e la scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al 2025.

Incremento occupazionale

Oltre agli obblighi legati all’accantonamento e all’investimento degli utili, le imprese che desiderano accedere all’IRES ridotta al 20% devono rispettare una serie di requisiti occupazionali, a conferma della volontà del legislatore di legare la fiscalità premiale alla stabilità del lavoro e alla crescita dell’occupazione qualificata.

1. Mantenimento dell’organico

Nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024 – quindi, nel 2025 per la maggior parte dei soggetti – il numero di unità lavorative annue (ULA) non deve risultare inferiore alla media del triennio precedente. Questo parametro garantisce che l’impresa non benefici dell’agevolazione riducendo nel frattempo il personale.

2. Nuove assunzioni

La norma impone anche un incremento dell’occupazione stabile: devono essere effettuate nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato per un numero pari ad almeno l’1% dei dipendenti mediamente occupati nell’anno precedente (ovvero il 2024), e comunque non inferiore a una nuova assunzione. Questa clausola obbliga le imprese a contribuire attivamente al mercato del lavoro.

3. Assenza di Cassa Integrazione

Infine, l’impresa non deve aver fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni (CIG) nell’esercizio 2024 o in quello successivo. Fa eccezione solo la CIG ordinaria motivata da eventi transitori non imputabili all’azienda o ai dipendenti (ad esempio, intemperie stagionali).

L’inserimento di questi vincoli dimostra come la riduzione dell’IRES sia strettamente legata non solo a logiche di investimento, ma anche alla responsabilità sociale dell’impresa.

Cause di decadenza dall’IRES agevolata

La Legge di Bilancio 2025 stabilisce in modo molto chiaro che l’accesso all’aliquota IRES agevolata al 20% comporta anche obblighi di mantenimento delle condizioni per un certo periodo di tempo. Qualora queste condizioni vengano meno, l’impresa decade dal beneficio, con effetti retroattivi.

1. Distribuzione anticipata degli utili

Una delle principali cause di decadenza è la distribuzione, entro il secondo esercizio successivo al 2024, della quota di utili che era stata accantonata a riserva vincolata. Se ciò accade, l’agevolazione viene revocata e l’impresa sarà tenuta a versare la differenza d’imposta (tra il 24% ordinario e il 20% agevolato), con eventuali sanzioni e interessi.

2. Dismissione o delocalizzazione dei beni

Un’altra ipotesi di decadenza riguarda i beni strumentali acquistati: se questi vengono dismessi, ceduti a terzi, o destinati a finalità estranee all’attività d’impresa (oppure trasferiti stabilmente all’estero), entro il quinto periodo d’imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l’investimento, il beneficio decade. Anche in questo caso si applica il recupero del vantaggio fiscale fruito.

Queste norme anti-abuso hanno una funzione chiara: evitare che l’aliquota ridotta venga sfruttata a fini speculativi e garantire che gli investimenti e le risorse restino al servizio dell’attività produttiva in Italia, con effetti positivi nel medio-lungo periodo.

Chi è escluso dall’IRES agevolata

Nonostante la portata innovativa dell’IRES al 20% per le imprese che investono in tecnologia e occupazione, la Legge di Bilancio 2025 stabilisce con chiarezza che alcune categorie di soggetti sono escluse in modo assoluto dal beneficio, per motivi di coerenza fiscale, rischi di elusione o instabilità economica.

1. Soggetti in liquidazione o in procedura concorsuale

Sono esclusi:

  • le società in liquidazione ordinaria;

  • le imprese sottoposte a procedure concorsuali a carattere liquidatorio (fallimento, liquidazione giudiziale, concordato liquidatorio, ecc.).

La logica è chiara: l’agevolazione è destinata a soggetti attivi, in crescita e con una prospettiva di continuità operativa. Le imprese in fase di chiusura o insolvenza non possono dimostrare la capacità di generare valore nel medio-lungo periodo, e pertanto vengono escluse a priori.

2. Imprese che adottano regimi forfettari o semplificati

Sono inoltre esclusi i soggetti che determinano il proprio reddito imponibile in tutto o in parte con regimi forfettari, quindi:

  • regimi agevolati per le partite IVA (ex Legge 190/2014);

  • eventuali soggetti che applicano metodi presuntivi o semplificati.

In questo caso, l’esclusione deriva da una incompatibilità tecnica: l’agevolazione IRES si applica sul reddito effettivo d’impresa, e non su base forfettaria o semplificata, dove non è possibile verificare puntualmente né l’accantonamento degli utili, né la destinazione degli investimenti.

Queste esclusioni vanno considerate attentamente già in fase di pianificazione fiscale, per evitare errori nella valutazione di accesso al regime agevolato.

Casi particolari

La normativa sull’IRES agevolata al 20% prevede anche specifiche disposizioni per i soggetti che partecipano a regimi fiscali particolari. In questi casi, l’agevolazione non viene persa, ma va gestita in modo differente, secondo regole precise.

1. Consolidato fiscale nazionale o mondiale

Nel caso in cui l’impresa beneficiaria dell’IRES agevolata faccia parte di un gruppo in consolidato fiscale, l’importo agevolabile (cioè il reddito imponibile sul quale applicare l’aliquota ridotta) viene trasferito alla società o ente controllante. Tale importo sarà utilizzabile per abbattere il reddito complessivo del gruppo, fino a concorrenza del reddito eccedente le perdite fiscali riportate in diminuzione. Si tratta di una misura che permette di distribuire in modo efficiente il beneficio fiscale all’interno del gruppo, ottimizzando la tassazione.

2. Regime di trasparenza fiscale

Per le società che optano per il regime di trasparenza fiscale (tipico delle Srl partecipate da persone fisiche), il beneficio non si applica a livello societario, ma viene attribuito direttamente ai soci, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili. Ogni socio potrà quindi beneficiare, pro quota, dell’aliquota ridotta sul reddito attribuito.

3. Enti non commerciali

Anche gli enti non commerciali possono accedere alla misura, ma solo in riferimento alla quota di reddito derivante da attività d’impresa. Questo significa che la parte di reddito soggetta a IRES e derivante da attività istituzionali o passive non beneficia in alcun modo dell’agevolazione.

Queste regole garantiscono che l’incentivo possa essere applicato anche in contesti strutturati o ibridi, ma nel rispetto della tracciabilità e della coerenza fiscale.

Acconti d’imposta e decreto attuativo

Oltre a definire requisiti, esclusioni e cause di decadenza, la norma che introduce l’IRES agevolata al 20% per il 2025 disciplina anche due aspetti cruciali: il calcolo degli acconti d’imposta per l’anno successivo e la necessità di un decreto attuativo per rendere operativa la misura.

1. Determinazione dell’acconto per il 2026

Ai fini del versamento dell’acconto IRES dovuto per il periodo d’imposta successivo al 2025 (quindi per il 2026), la norma specifica che si dovrà considerare, come imposta del periodo precedente, l’IRES calcolata senza applicare la riduzione al 20%. In pratica, l’acconto dovrà essere calcolato tenendo conto dell’aliquota ordinaria del 24%, e non dell’aliquota agevolata.

Questa disposizione ha un obiettivo preciso: evitare che le imprese riducano eccessivamente l’acconto, basandosi su un’imposta straordinariamente più bassa, e poi si trovino in difficoltà nel 2026 in caso di ritorno all’aliquota ordinaria o mancato rispetto delle condizioni.

2. Il decreto attuativo del MEF

La norma prevede inoltre che sarà un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), di natura regolamentare, a definire nel dettaglio le modalità di attuazione dell’agevolazione. Questo provvedimento sarà fondamentale per chiarire aspetti operativi come:

  • documentazione da predisporre per accedere al beneficio;

  • modalità di verifica del rispetto dei requisiti;

  • comunicazioni e obblighi informativi da parte delle imprese.

In attesa del decreto, è essenziale che le imprese interessate inizino da subito a pianificare in modo preciso gli utili, gli investimenti e l’organico, per non trovarsi impreparate all’apertura della finestra agevolativa.

Considerazioni finali

La riduzione dell’IRES al 20% per il periodo d’imposta 2025 rappresenta una leva fiscale potente per le imprese italiane che intendono investire in tecnologia e sviluppo. In un contesto di transizione digitale e innovazione industriale, questa misura consente non solo un risparmio immediato sulle imposte, ma anche un’opportunità per rafforzare la competitività sul lungo periodo.

Non si tratta, però, di un’agevolazione automatica. I requisiti sono numerosi, tecnici e da soddisfare in maniera puntuale e documentabile: dall’accantonamento vincolato degli utili, agli investimenti in beni strumentali 4.0 e 5.0, fino alle nuove assunzioni e alla stabilità dell’organico. Inoltre, vanno attentamente considerati i rischi di decadenza, le esclusioni soggettive, e i casi particolari legati a regimi di consolidato o trasparenza fiscale.

In questo scenario, la differenza la farà la pianificazione fiscale: analizzare il bilancio 2024, prevedere investimenti coerenti, valutare l’impatto occupazionale e impostare correttamente la gestione degli utili. Rivolgersi a un commercialista esperto diventa una scelta obbligata per non perdere questa opportunità e massimizzare i benefici fiscali in modo pienamente conforme alla normativa.

Il 2025 sarà un anno chiave per innovare, risparmiare e crescere. Chi si prepara adesso, potrà raccogliere i frutti domani.

Sardegna 2025: tutti i vantaggi di investire con ZES (50%) e fondo perduto (40%)

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Cala Luna cave by the sea

Sardegna: la nuova terra promessa per imprese e investitori grazie a ZES e contributi a fondo perduto.

Quando si parla di Sardegna, si pensa subito al mare cristallino, alla natura incontaminata e alla qualità della vita. Ma oggi c’è molto di più: la Sardegna è diventata una nuova frontiera per chi vuole investire e fare impresa in Italia.

Il motivo? Due strumenti di incentivo economico e fiscale che stanno attirando sempre più aziende: la Zona Economica Speciale (ZES) e i contributi a fondo perduto fino al 40% per progetti di investimento.

Il cuore della questione è semplice ma potentissimo: le imprese che scelgono di investire nelle aree ZES della Sardegna possono ottenere un credito d’imposta del 50%, mentre per determinati progetti strategici è disponibile un contributo a fondo perduto fino al 40% delle spese ammissibili. Tradotto: meno tasse, più liquidità, più competitività.

Queste misure rappresentano una risposta concreta alla storica marginalità economica dell’isola, trasformandola da territorio periferico a hub strategico per l’innovazione, l’industria green, la logistica e il turismo sostenibile.

Nell’articolo vedremo nel dettaglio cosa sono le ZES e come funzionano in Sardegna, come ottenere il credito d’imposta del 50%, come accedere al contributo a fondo perduto fino al 40%, i settori più incentivati, e infine, perché oggi è il momento perfetto per investire nell’isola.

ZES Sardegna

Le Zone Economiche Speciali (ZES) sono aree geografiche delimitate dove le imprese possono beneficiare di importanti agevolazioni fiscali e semplificazioni amministrative per favorire gli investimenti e la crescita economica.

Istituite con il Decreto-Legge n. 91/2017, le ZES rappresentano un vero e proprio strumento di politica economica per il rilancio del Mezzogiorno, e dal 2023 anche la Sardegna è entrata ufficialmente nel perimetro di queste zone privilegiate.

Uno degli incentivi più potenti previsti all’interno delle ZES è il credito d’imposta fino al 50% per gli investimenti effettuati dalle imprese. Nello specifico, si tratta di un beneficio fiscale che consente di recuperare fino alla metà del valore dell’investimento attraverso una compensazione diretta delle imposte dovute. Il credito può essere utilizzato per abbattere imposte come IRES, IRPEF, IVA e contributi previdenziali e assistenziali.

Chi può accedere?

Tutte le imprese – micro, piccole, medie e grandi – che realizzano investimenti produttivi nelle aree comprese nella ZES Sardegna, e che rispettano determinati requisiti, tra cui:

  • Essere regolarmente costituite e operative;

  • Non trovarsi in stato di difficoltà finanziaria;

  • Impegnarsi a mantenere l’attività nella ZES per almeno 5 anni.

Quali investimenti sono ammessi?

Il credito d’imposta si applica a spese per:

  • Acquisto di macchinari, impianti e attrezzature;

  • Costruzione o ristrutturazione di immobili strumentali all’attività;

  • Acquisto di terreni.

Grazie a questa misura, le aziende possono ridurre significativamente il carico fiscale e reinvestire più risorse nella crescita. È un’opportunità concreta per avviare o espandere un’impresa nel territorio sardo, con un vantaggio competitivo rilevante.

Contributi a fondo perduto fino al 40%

Oltre al credito d’imposta ZES, la Sardegna offre un altro strumento estremamente vantaggioso per chi vuole investire nell’isola: il contributo a fondo perduto fino al 40% delle spese ammissibili. Si tratta di un incentivo diretto, che non va restituito, e che può coprire una parte significativa dell’investimento iniziale, aumentando la redditività del progetto e riducendo il fabbisogno di capitale proprio o finanziamenti bancari.

Questi contributi rientrano nel più ampio quadro degli aiuti di Stato a finalità regionale, approvati dall’UE e coordinati a livello nazionale dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (ex MISE). In Sardegna, vengono erogati attraverso bandi regionali o tramite strumenti nazionali come il Contratto di Sviluppo, gli Incentivi “Smart&Start” o i fondi del PNRR, a seconda della tipologia e della dimensione del progetto.

Chi può accedere?

  • Imprese già costituite o da costituire, anche in forma di startup;

  • PMI e grandi imprese, a seconda del bando;

  • Settori strategici come agrifood, turismo, logistica, energia rinnovabile, nautica, IT e manifattura green.

Spese ammissibili:

  • Acquisto di macchinari e attrezzature;

  • Costruzione e ristrutturazione di immobili;

  • Innovazione tecnologica;

  • Spese per consulenze e studi di fattibilità.

Il contributo può variare dal 20% al 40%, con maggiorazioni previste per:

  • Progetti realizzati da giovani under 36 o donne;

  • Interventi in comuni svantaggiati o aree interne;

  • Investimenti ad alto impatto occupazionale o ambientale.

In sintesi, questo incentivo a fondo perduto consente di ridurre drasticamente l’investimento iniziale e di affrontare con meno rischio nuove sfide imprenditoriali in una terra ricca di potenziale ma ancora poco sfruttata. Un’occasione da non perdere.

Settori strategici in Sardegna

La Sardegna, grazie alla combinazione tra posizione geografica, patrimonio naturale, risorse umane qualificate e ora anche importanti incentivi economici, sta diventando una delle regioni italiane più interessanti per alcuni settori specifici ad alto potenziale. Le ZES e i contributi a fondo perduto vanno infatti a premiare gli investimenti in ambiti strategici per la transizione ecologica, la digitalizzazione e la valorizzazione del territorio.

1. Turismo sostenibile e ricettività

Il turismo è da sempre uno dei motori economici dell’isola, ma oggi le opportunità maggiori si trovano nella creazione di strutture eco-friendly, agriturismi, resort innovativi e servizi legati all’esperienza del viaggiatore. Investire in questo settore consente di accedere sia al credito d’imposta ZES che a contributi a fondo perduto, soprattutto nelle aree interne e meno battute dal turismo di massa.

2. Agroalimentare e filiere locali

La Sardegna vanta eccellenze come il pecorino, il pane carasau, il vino cannonau e l’olio extravergine d’oliva. Incentivi e agevolazioni premiano progetti per la modernizzazione degli impianti produttivi, la trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, la logistica e l’export.

3. Energia e green economy

Con l’obiettivo europeo di decarbonizzazione entro il 2050, la Sardegna si propone come laboratorio ideale per energie rinnovabili (solare, eolico, idrogeno verde), mobilità sostenibile e riqualificazione energetica degli edifici. In questo ambito, gli incentivi arrivano fino al massimo consentito, con priorità per chi innova.

4. Innovazione e digitale

Startup tecnologiche, laboratori di ricerca, data center, aziende che si occupano di cybersecurity, software, IA, biotech e industria 4.0 trovano nella Sardegna un territorio fertile, anche grazie alla presenza del polo universitario di Cagliari, del CRS4 e di infrastrutture digitali avanzate.

In conclusione, scegliere il settore giusto significa massimizzare il ritorno dell’investimento e sfruttare appieno le agevolazioni disponibili. Il mix di natura, qualità della vita, incentivi e potenziale di crescita rende la Sardegna una meta sempre più strategica per gli imprenditori lungimiranti.

Guida pratica

Accedere agli incentivi disponibili in Sardegna non è complicato, ma è fondamentale seguire correttamente le procedure e presentare una documentazione completa.

Ogni agevolazione ha regole specifiche, ma esistono passaggi comuni che permettono alle imprese di muoversi con metodo e senza errori.

1. Individuazione dell’incentivo giusto

Il primo passo è capire quale incentivo si adatta meglio al proprio progetto. Il credito d’imposta ZES si applica in automatico a investimenti effettuati in aree comprese nelle zone economiche speciali, mentre i contributi a fondo perduto sono legati a specifici bandi (regionali o nazionali) e a determinati settori.

Consiglio: farsi affiancare da un consulente fiscale esperto in incentivi o uno studio commerciale specializzato, per evitare di perdere opportunità per piccoli dettagli.

2. Predisposizione della documentazione

Per entrambe le tipologie di incentivo servono:

  • Business plan dettagliato, con proiezioni economiche e analisi costi-benefici;

  • Documentazione legale e amministrativa dell’impresa;

  • Preventivi e fatture per le spese previste;

  • Relazione tecnica sul progetto.

3. Presentazione della domanda

  • Per il credito d’imposta ZES, la domanda si presenta tramite la piattaforma dell’Agenzia delle Entrate, indicando gli investimenti agevolabili e allegando la documentazione.

  • Per i contributi a fondo perduto, la domanda va presentata all’ente che gestisce il bando (es. Regione Sardegna, Invitalia, MIMIT), spesso tramite piattaforme online dedicate.

4. Erogazione e controllo

Dopo l’approvazione, i contributi vengono erogati per stati di avanzamento lavori o a rendicontazione finale. Il credito d’imposta ZES, invece, può essere fruito in compensazione nel modello F24, a partire dall’anno successivo all’investimento. Sono previsti controlli documentali e, in alcuni casi, anche sopralluoghi.

In sintesi, la chiave è prepararsi bene, presentare una pratica chiara e documentata, e rispettare tempi e requisiti previsti. Chi lo fa in modo corretto può ottenere benefici economici importanti in tempi relativamente brevi.

Vantaggi fiscali, finanziari ed economici

La combinazione tra credito d’imposta ZES al 50% e contributi a fondo perduto fino al 40% rende la Sardegna una delle regioni italiane con il miglior rapporto tra investimento e incentivo pubblico. Non si tratta solo di una riduzione delle tasse, ma di un vero e proprio sistema integrato di vantaggi pensati per attrarre capitali, creare occupazione e rilanciare il tessuto economico locale.

1. Vantaggi fiscali immediati

Il credito d’imposta ZES consente alle imprese di compensare fino al 50% dell’investimento direttamente con le imposte da versare (IRES, IRPEF, IVA, INPS). Questo significa un abbattimento concreto del carico fiscale che si traduce in più liquidità disponibile per la crescita.

2. Contributi non rimborsabili

I contributi a fondo perduto permettono di ridurre il capitale iniziale necessario per avviare o ampliare un’attività. Coprendo fino al 40% delle spese, abbassano la soglia d’accesso agli investimenti e aumentano il margine operativo lordo fin dal primo anno.

3. Cumulabilità degli incentivi: un’opportunità senza precedenti

Uno degli aspetti più interessanti è che credito d’imposta e contributo a fondo perduto sono cumulabili, nel rispetto dei massimali previsti dalla normativa sugli aiuti di Stato. In pratica, un’impresa può ottenere sia il rimborso diretto di una parte delle spese, sia la detrazione fiscale sul restante investimento. Questo meccanismo può portare la copertura complessiva dell’investimento anche oltre il 70%, a seconda della tipologia di impresa e del progetto.

4. Semplificazioni amministrative e autorizzative

Nelle ZES sono previste procedure più snelle e tempi ridotti per autorizzazioni, concessioni edilizie e ambientali. Le imprese possono così avviare i lavori più velocemente, riducendo i tempi morti e migliorando il ritorno sugli investimenti (ROI).

5. Posizione strategica e mercato in crescita

La Sardegna si sta posizionando come hub strategico nel Mediterraneo, soprattutto per logistica, agroalimentare e turismo. Con l’aumento dei fondi europei e PNRR destinati all’isola, il trend è in forte crescita.

6. Qualità della vita e talenti locali

Fare impresa in Sardegna significa anche attrarre risorse umane qualificate, migliorare la reputazione del brand e godere di una qualità della vita unica, che può diventare un vantaggio competitivo per trattenere talenti e collaboratori.

In poche parole, oggi investire in Sardegna conviene davvero, non solo per gli incentivi, ma per un ecosistema che – grazie anche a queste politiche – è sempre più dinamico, moderno e proiettato al futuro.

Aree ZES in Sardegna

La Zona Economica Speciale della Sardegna è stata istituita ufficialmente nel 2023, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 agosto 2023, che ha definito le aree ammesse e le relative agevolazioni. L’obiettivo è quello di favorire lo sviluppo industriale, logistico e turistico attraverso la concessione di incentivi fiscali e semplificazioni amministrative in territori strategici.

Le aree ZES in Sardegna si concentrano prevalentemente nelle zone portuali e retroportuali, nonché nelle aree industriali attrezzate.

Tra le principali aree incluse:

  • Cagliari – Porto Canale e zona industriale di Macchiareddu: perfetta per logistica, agroalimentare e industria leggera.

  • Porto Torres: vocata per chimica verde, cantieristica, energie rinnovabili.

  • Olbia – Golfo Aranci: turismo, nautica e logistica.

  • Oristano e Santa Giusta: agroindustria e cerealicolo.

  • Arbatax e Tortolì: valorizzazione delle aree interne con focus su turismo ed energia.

Queste zone sono state selezionate per la loro posizione strategica, la presenza di infrastrutture logistiche (porti, strade, interporti), e la possibilità di riutilizzare aree industriali dismesse o sottoutilizzate. L’idea è quella di trasformare la Sardegna in una piattaforma logistica nel Mediterraneo, in grado di attrarre investimenti internazionali e facilitare l’export delle eccellenze locali.

Ogni area ZES è gestita da una cabina di regia regionale, in stretto coordinamento con Invitalia e il Ministero per il Sud. Questo permette una maggiore rapidità nei procedimenti autorizzativi e un supporto tecnico costante alle imprese che vogliono insediarsi.

Casi studio reali

Per comprendere a fondo la portata degli incentivi ZES e dei contributi a fondo perduto, è utile guardare ai primi casi concreti di imprese che hanno scelto la Sardegna come destinazione dei propri investimenti. Non si tratta solo di grandi multinazionali, ma anche di PMI locali e startup innovative che hanno saputo cogliere le opportunità offerte.

Esempio 1: industria alimentare a Macchiareddu (Cagliari)

Una media impresa attiva nella trasformazione e confezionamento di prodotti tipici sardi ha realizzato un nuovo stabilimento produttivo nell’area ZES di Macchiareddu. Investimento totale: circa 1,8 milioni di euro. Grazie al credito d’imposta del 50% e a un contributo a fondo perduto del 35% ottenuto tramite bando regionale, l’azienda ha coperto l’85% dell’investimento con risorse pubbliche. In due anni ha raddoppiato la produzione e assunto 12 nuovi dipendenti.

Esempio 2: startup energetica a Porto Torres

Una startup green ha avviato un progetto sperimentale di produzione di idrogeno verde in collaborazione con enti di ricerca locali. Il progetto ha ricevuto finanziamenti PNRR e rientra nelle aree ZES. Qui, la cumulabilità tra contributo e credito d’imposta ha permesso di coprire oltre il 70% dei costi iniziali, accelerando lo sviluppo tecnologico e l’avvio delle attività operative.

Esempio 3: resort eco-sostenibile in Ogliastra

Una società attiva nel turismo sostenibile ha beneficiato di un contributo a fondo perduto del 40% per la costruzione di un eco-resort tra mare e montagna. L’area, pur non essendo industriale, è inclusa nelle zone svantaggiate prioritarie. L’intervento ha ottenuto inoltre il credito ZES per l’acquisto di attrezzature e veicoli elettrici, abbattendo significativamente i costi di start-up.

Questi esempi dimostrano che le agevolazioni non sono solo teoriche, ma già attive e funzionanti. Con un progetto solido e ben pianificato, è possibile ottenere coperture pubbliche molto elevate e realizzare investimenti sostenibili, innovativi e redditizi.

Considerazioni finali

In un contesto economico nazionale in cui le imprese sono costantemente alla ricerca di strumenti per migliorare la competitività, la Sardegna si presenta oggi come una delle realtà più promettenti, grazie alla combinazione tra incentivi fiscali strutturati, contributi pubblici a fondo perduto e semplificazioni burocratiche.

L’introduzione delle Zone Economiche Speciali ha trasformato alcune aree dell’isola in poli attrattivi per investimenti industriali, tecnologici e turistici, sostenuti da un credito d’imposta del 50% che incide in modo diretto sulla fiscalità d’impresa. A questo si aggiungono contributi a fondo perduto fino al 40%, cumulabili con il credito, che permettono una copertura degli investimenti iniziali anche superiore al 70%.

I settori strategici – turismo sostenibile, agroalimentare, green economy, innovazione tecnologica – trovano nell’isola non solo incentivi, ma anche territori vocati, manodopera specializzata, infrastrutture in crescita e una qualità della vita unica.

I primi esempi reali mostrano come, con una pianificazione attenta e il corretto supporto tecnico, sia già oggi possibile realizzare progetti di successo con un elevato tasso di ritorno economico e sociale.

La Sardegna non è più solo una terra di bellezza naturale, ma si sta affermando come un laboratorio di sviluppo economico sostenibile, dove politiche pubbliche, capitale privato e visione strategica possono convergere in modo virtuoso.

Tassazione palladio: guida completa alle plusvalenze e al trattamento fiscale secondo il TUIR

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Negli ultimi anni, l’interesse per i metalli preziosi come strumenti di investimento è cresciuto esponenzialmente. Oltre all’oro e all’argento, anche metalli come il palladio stanno guadagnando sempre più attenzione tra gli investitori, attratti dalle performance in borsa e dal loro impiego in ambiti strategici, come l’industria automobilistica e tecnologica. Tuttavia, mentre l’oro da investimento gode di un regime fiscale agevolato, il palladio segue tutt’altra strada.

Una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (n. 3554 del 2023) ha fatto chiarezza sul trattamento fiscale applicabile alla cessione del palladio. In particolare, ha stabilito che le plusvalenze derivanti dalla cessione di palladio da parte di privati sono tassabili, a differenza di quanto avviene per l’oro da investimento che, ai sensi del D.Lgs. n. 41/2000, è esente da imposizione in determinate condizioni.

Questo articolo si propone di approfondire nel dettaglio il regime fiscale della cessione del palladio, evidenziando le differenze con altri metalli preziosi, illustrando cosa si intende per plusvalenza tassabile e fornendo indicazioni pratiche su come comportarsi per non incorrere in sanzioni, ma anche per ottimizzare legalmente il proprio carico fiscale.

La tassazione delle plusvalenze da palladio

La cessione a titolo oneroso di metalli preziosi come il palladio, quando effettuata da soggetti privati, può generare una plusvalenza fiscalmente rilevante. Secondo l’articolo 67, comma 1, lettera c-ter del TUIR, le plusvalenze derivanti dalla vendita di metalli preziosi in forma grezza (come lingotti, grani, polveri o lamine) o monetata (ad esempio, Marenghi o Sterline) rientrano tra i redditi diversi e sono quindi imponibili. Esulano invece da questo regime le plusvalenze realizzate tramite la cessione di gioielli, semilavorati o pietre preziose, che non sono considerate alla stregua di investimenti finanziari.

Per determinare la base imponibile, si applica quanto stabilito dall’articolo 68, comma 6 del TUIR: la plusvalenza tassabile è data dalla differenza tra il corrispettivo di vendita e il costo o valore di acquisto, comprensivo degli oneri sostenuti per acquisizione o produzione, ma esclusi gli interessi passivi. Nel caso di acquisti ripetuti nel tempo, si applica il criterio LIFO (Last In, First Out), come stabilito dall’art. 67, comma 1-bis del TUIR: si presume che i beni ceduti siano quelli acquistati più di recente. Questa presunzione vale solo per beni fungibili, come i metalli preziosi.

Se il contribuente non riesce a documentare il costo d’acquisto, l’intero importo incassato sarà considerato plusvalenza imponibile, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 92, lettera c) della Legge 213/2023 (Legge di Bilancio 2024). Tali plusvalenze sono soggette a imposta sostitutiva del 26%, purché non si tratti di attività commerciale, abituale o occasionale.

Infine, va segnalato che in caso di vendita a un prezzo inferiore rispetto all’acquisto, si genera una minusvalenza, che però non sempre è compensabile.

Cosa si intende per metalli preziosi

Uno degli aspetti più critici nella tassazione delle plusvalenze da metalli preziosi riguarda proprio la definizione giuridica di cosa debba intendersi per “metallo prezioso”. Il TUIR, ovvero il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, pur individuando la categoria reddituale delle plusvalenze sui metalli preziosi, non fornisce una definizione precisa né di “metallo prezioso” né dello “stato grezzo” del bene.

A colmare questa lacuna interviene il D.Lgs. n. 251/1999, che regolamenta i titoli e i marchi di identificazione dei metalli preziosi. In base a tale normativa, rientrano nella categoria: oro, argento, platino e palladio. A confermare questa classificazione è anche la Convenzione internazionale sul controllo e la marcatura degli oggetti in metalli preziosi, che ribadisce gli stessi quattro elementi come unici metalli rientranti nella definizione.

Anche l’Agenzia delle Entrate, in una lettura sistematica della normativa, ha chiarito – con riferimento alla Circolare n. 165/1998 – che l’elenco lì contenuto (oro, argento, platino) è meramente esemplificativo e non esaustivo. Ne consegue che anche il palladio, nonostante inizialmente escluso, debba essere considerato a pieno titolo un metallo prezioso soggetto a tassazione in caso di plusvalenza.

Di conseguenza, altri metalli diversi da questi quattro, anche se rari o costosi, non dovrebbero essere inclusi nel perimetro delle plusvalenze tassabili, a meno di modifiche normative future. Questo aspetto è centrale per gli investitori che intendano diversificare su più metalli: sapere quali sono effettivamente soggetti a imposizione consente di pianificare al meglio l’investimento.

Palladio vs Oro da investimento

Uno degli aspetti più significativi per chi investe in metalli preziosi riguarda il diverso trattamento fiscale riservato al palladio rispetto all’oro da investimento. Se il primo è soggetto a tassazione in caso di plusvalenze, il secondo beneficia di un regime di esenzione previsto dal D.Lgs. n. 41/2000, che recepisce la direttiva europea 98/80/CE. Questa norma stabilisce che le cessioni di oro da investimento sono esenti da IVA e, in determinate condizioni, anche non imponibili ai fini delle imposte dirette.

L’oro da investimento è definito dalla legge come oro in forma di lingotti o placche con un titolo pari o superiore a 995 millesimi, e deve essere detenuto con finalità di riserva di valore. Questo lo distingue nettamente da gioielli o oro industriale. La finalità “di investimento” è dunque essenziale per beneficiare delle agevolazioni.

Il palladio, invece, pur essendo a tutti gli effetti un metallo prezioso, non gode di alcuna esenzione simile. Le plusvalenze generate dalla sua vendita da parte di un privato sono tassate come redditi diversi, con imposta sostitutiva del 26%, salvo che il contribuente non dimostri di aver sostenuto una perdita (minusvalenza).

Questa differenza di trattamento non è solo teorica: ha importanti implicazioni pratiche. Un investitore che acquista oro può godere di un vantaggio fiscale significativo in fase di dismissione dell’investimento. Chi sceglie il palladio, invece, deve valutare attentamente la strategia di uscita e tenere traccia documentale del prezzo e della data di acquisto per non vedersi tassato sull’intero importo ricevuto.

Come dichiarare

Nel caso in cui un contribuente realizzi una plusvalenza da cessione di palladio, è fondamentale sapere come e dove dichiararla all’interno del Modello Redditi Persone Fisiche. Trattandosi di un reddito diverso, la plusvalenza va indicata nel quadro RT, dedicato ai redditi derivanti da cessioni di partecipazioni, titoli e altri strumenti finanziari, nonché da operazioni su metalli preziosi.

Più precisamente, la plusvalenza generata dalla vendita del palladio va indicata nella Sezione II del quadro RT, dedicata alle plusvalenze realizzate fuori dall’esercizio di attività d’impresa.

Il contribuente dovrà inserire:

  • Il corrispettivo lordo di cessione;

  • Il costo documentato di acquisto, oppure zero se non è disponibile (in tal caso, tutta la somma incassata è tassabile);

  • L’imposta sostitutiva del 26%, che sarà calcolata sulla plusvalenza netta (corrispettivo – costo).

È essenziale conservare tutta la documentazione relativa all’acquisto del metallo, incluse fatture, ricevute o estratti conto, poiché, in assenza di prova del prezzo d’acquisto, il rischio è che l’intero importo percepito venga assoggettato a tassazione.

Nel caso in cui il contribuente realizzi invece una minusvalenza, questa può essere utilizzata in compensazione con plusvalenze realizzate nello stesso periodo d’imposta o nei successivi quattro anni, sempre nel quadro RT, ma solo se si tratta di redditi della stessa natura.

Attenzione: la mancata dichiarazione della plusvalenza può comportare non solo il recupero dell’imposta evasa, ma anche l’applicazione di sanzioni amministrative. Per questo, è consigliabile avvalersi dell’assistenza di un commercialista esperto in materia di fiscalità degli investimenti.

Investire in palladio

Il mercato dei metalli preziosi come il palladio può sembrare, a prima vista, simile a quello dell’oro o dell’argento, ma presenta delle peculiarità fiscali che, se ignorate, possono trasformare un investimento profittevole in una fonte di problemi con il Fisco. Vediamo allora quali sono gli errori più comuni commessi dagli investitori non professionisti quando operano con il palladio.

Il primo errore è non considerare la tassabilità della plusvalenza. Molti ritengono erroneamente che, essendo il palladio un metallo prezioso, sia soggetto allo stesso trattamento dell’oro da investimento, che invece è esente da imposizione in determinati casi.

Come abbiamo visto, il palladio è invece tassabile in base all’art. 67 del TUIR. Non dichiarare la plusvalenza nel quadro RT può comportare accertamenti fiscali, sanzioni e interessi di mora.

Un secondo errore è non documentare il costo di acquisto. In assenza di una prova certa, l’intero valore incassato dalla cessione viene considerato imponibile. Per evitarlo, è fondamentale conservare tutta la documentazione fin dal momento dell’acquisto: fatture, contratti, ricevute o anche l’estratto conto di una piattaforma di trading riconosciuta.

Altro errore è confondere i metalli industriali con quelli “preziosi” ai fini fiscali. Solo platino, palladio, oro e argento rientrano in questa categoria. Investire in metalli non inclusi in questa lista può sembrare più conveniente, ma attenzione: potrebbero essere soggetti a regole differenti o addirittura non considerate dal legislatore.

Infine, c’è chi non considera la possibilità di compensare le minusvalenze, perdendo così un’opportunità per ridurre il carico fiscale. Conoscere e applicare le regole sulla compensazione può fare una grande differenza.

Come risparmiare sulle tasse

Investire in palladio può essere molto redditizio, soprattutto nei momenti in cui la domanda industriale cresce e il prezzo sale. Tuttavia, come abbiamo visto, le plusvalenze sono tassabili al 26% e non godono delle esenzioni riservate all’oro da investimento. Ecco perché diventa fondamentale adottare alcune strategie legali per ottimizzare il carico fiscale.

Una delle prime strategie consiste nel documentare sempre il costo di acquisto, così da evitare che il Fisco imponga la tassazione sull’intero corrispettivo di vendita. Può sembrare banale, ma è una delle sviste più comuni. Acquistare tramite operatori professionali, banche o piattaforme certificate facilita la conservazione di documenti validi in caso di controllo.

Un altro strumento utile è la pianificazione delle vendite. Se si possiedono anche altri asset finanziari in perdita (azioni, ETF, criptovalute), si può decidere di realizzare le minusvalenze nello stesso anno in cui si vende il palladio in utile, così da compensare le due voci all’interno del quadro RT. Questo consente di ridurre l’imponibile o, in alcuni casi, azzerarlo.

Interessante anche la possibilità di utilizzare le minusvalenze residue degli anni precedenti (entro 4 anni), per compensare nuove plusvalenze da palladio.

Infine, in alcuni casi, può risultare vantaggioso valutare un regime dichiarativo alternativo, come il regime del risparmio amministrato o gestito, offerto da alcuni intermediari finanziari. In questo modo, è l’intermediario stesso a calcolare e versare l’imposta, semplificando la gestione fiscale per l’investitore.

Vantaggi fiscali

Anche se il palladio, a differenza dell’oro da investimento, non gode di un’esenzione diretta dalle imposte, ciò non significa che non vi siano vantaggi fiscali indiretti che l’investitore può sfruttare attraverso un’attenta pianificazione.

In molti casi, questi benefici si manifestano proprio nella possibilità di gestire in modo strategico le plusvalenze, riducendo l’imposizione legale, ma anche sfruttando le flessibilità offerte dalla normativa.

Uno dei principali vantaggi è la possibilità di compensare le plusvalenze con minusvalenze di pari natura, come previsto dall’art. 68 del TUIR. Questa compensazione può avvenire sia all’interno dello stesso anno fiscale, sia utilizzando minusvalenze maturate nei quattro anni precedenti, evitando così un’imposizione piena al 26% sulla plusvalenza da cessione del palladio.

Un altro vantaggio è legato alla flessibilità nel momento della vendita: l’investitore può decidere quando realizzare la plusvalenza, scegliendo un anno in cui ha minori redditi imponibili o più perdite da utilizzare. Questa possibilità di ottimizzazione temporale è un vantaggio spesso sottovalutato ma molto efficace.

Inoltre, nel caso di investimenti detenuti tramite intermediari finanziari abilitati, è possibile optare per il regime del risparmio gestito o amministrato, che solleva l’investitore da obblighi dichiarativi e può portare a una migliore gestione fiscale complessiva. In questo scenario, le imposte vengono calcolate e versate direttamente dall’intermediario, riducendo il rischio di errori o omissioni.

Infine, va ricordato che l’investimento in palladio, se ben documentato e inserito all’interno di un portafoglio diversificato, può diventare un strumento di bilanciamento fiscale utile a gestire gli impatti globali dell’imposizione su altri strumenti finanziari più tassati.

Considerazioni finali

La cessione di palladio, come abbiamo visto, non è priva di implicazioni fiscali. A differenza dell’oro da investimento, il palladio è soggetto a tassazione in caso di plusvalenza, secondo le regole previste dagli articoli 67 e 68 del TUIR. Si tratta di un reddito diverso, tassato al 26% tramite imposta sostitutiva, a meno che non si tratti di minusvalenze o il contribuente sia in grado di attuare una compensazione fiscale.

La documentazione del costo di acquisto è essenziale per evitare di pagare tasse su tutto il ricavato della vendita. Inoltre, è possibile adottare strategie legali di ottimizzazione fiscale, come la gestione delle tempistiche di vendita, l’utilizzo delle minusvalenze pregresse e il ricorso a regimi dichiarativi gestiti da intermediari abilitati.

Conoscere in profondità il trattamento fiscale del palladio permette non solo di evitare errori e sanzioni, ma anche di costruire un piano di investimento più intelligente e sostenibile, in grado di tutelare il capitale e aumentare la redditività netta. In un periodo di alta incertezza finanziaria, strumenti come il palladio possono rappresentare un’interessante opportunità di diversificazione, purché gestiti con attenzione alla normativa tributaria.

Per chi desidera approfondire o pianificare un investimento in metalli preziosi come il palladio, il supporto di un commercialista esperto in fiscalità degli investimenti può fare la differenza tra un investimento vincente e un’imposta inattesa.

Bonus edilizi 2025: guida completa a detrazioni, requisiti e novità fiscali

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La Legge di Bilancio 2025 ha confermato e in parte rimodulato il complesso sistema dei bonus edilizi, introducendo alcune importanti novità che riguardano sia le aliquote di detrazione, sia i limiti di spesa e le condizioni di accesso. Con il nuovo anno restano in vigore i principali incentivi per le ristrutturazioni, il risparmio energetico, l’acquisto di mobili ed elettrodomestici, ma si affiancano nuove regole per i contribuenti con redditi elevati e criteri tecnici più stringenti per accedere ad agevolazioni come l’Ecobonus e il Sismabonus acquisti.

Questa guida fornisce un quadro completo e aggiornato dei bonus edilizi 2025, analizzando nel dettaglio le detrazioni previste per singole categorie di intervento, i requisiti richiesti, la documentazione necessaria e le principali compatibilità tra agevolazioni. Particolare attenzione è riservata ai nuovi limiti introdotti per i redditi superiori ai 75.000 euro, che impongono un approccio più attento nella pianificazione fiscale degli interventi.

Attraverso riferimenti normativi puntuali e una lettura operativa delle disposizioni in vigore, l’articolo intende offrire uno strumento utile sia ai contribuenti privati, sia ai professionisti del settore edilizio e fiscale.

Bonus ristrutturazioni

Il Bonus Ristrutturazioni 2025 continua a rappresentare una delle agevolazioni fiscali più importanti per chi intende effettuare lavori di manutenzione, restauro o ammodernamento della propria abitazione.

Ai sensi dell’art. 16-bis, comma 1 del D.P.R. 917/1986 (TUIR), sono agevolabili una vasta gamma di interventi, che spaziano dalla manutenzione ordinaria (solo per le parti comuni dei condomìni), alla manutenzione straordinaria, restauro conservativo, ristrutturazione edilizia, fino alla realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali, unica eccezione ammessa alla regola degli immobili esistenti.

La norma prevede una detrazione fiscale del 36% su un massimo di spesa pari a 48.000 euro per unità immobiliare. Tuttavia, la Legge di Bilancio 2025 (art. 1, comma 55) ha previsto una serie di modifiche temporanee e migliorative.

In particolare, per le spese sostenute nel corso del 2025, la detrazione sale fino al 50% (anziché 36%) se l’intervento è effettuato da soggetti che hanno un diritto reale sull’immobile adibito ad abitazione principale.

A partire dal 2026 e fino al 2027, invece, l’aliquota standard sarà del 30%, ma salirà al 36% per chi effettua interventi sulla propria abitazione principale. Resta confermato, per gli interventi di recupero edilizio, un massimale di spesa agevolabile pari a 96.000 euro per unità immobiliare.

È fondamentale ricordare che i bonus si applicano esclusivamente su edifici già esistenti, con l’unica eccezione – come detto – della nuova costruzione di autorimesse o posti auto pertinenziali.

Demolizione e ricostruzione

Negli ultimi anni, complice anche l’obsolescenza di molti edifici, sono sempre più frequenti gli interventi di demolizione e ricostruzione.

Ma attenzione: per beneficiare delle detrazioni edilizie previste dal TUIR (art. 16-bis), è necessario che questi interventi vengano qualificati come ristrutturazione edilizia e non come nuova costruzione.

La definizione ufficiale è contenuta all’art. 3, comma 1, lett. d) del DPR 380/2001, che distingue le due casistiche in base alle caratteristiche tecniche e al titolo abilitativo.

Se la demolizione e ricostruzione avviene senza aumenti di volumetria, l’intervento è sempre considerato ristrutturazione edilizia, quindi completamente agevolabile con il bonus ristrutturazioni, sismabonus ed eventualmente ecobonus.

Nel caso di demolizione con ampliamento volumetrico, l’intervento può essere ugualmente considerato ristrutturazione (e quindi agevolato) solo se il Comune lo riconosce come tale nel titolo abilitativo. Se ciò avviene, si possono ottenere le detrazioni anche sulla parte ampliata, ma solo per il bonus ristrutturazioni e sismabonus.

L’ecobonus, invece, resta applicabile esclusivamente alle spese riferibili alla volumetria preesistente.

Infine, se l’intervento prevede un ampliamento senza demolizione, l’agevolazione spetta solo per la parte esistente dell’edificio: l’ampliamento è infatti considerato nuova costruzione e quindi non è agevolabile.

Questa distinzione è fondamentale per evitare errori e contestazioni in fase di controllo: la qualificazione urbanistica determina l’accesso o meno ai bonus.

Bonus acquisto immobili ristrutturati

Tra le agevolazioni previste dal TUIR, una delle più interessanti per chi intende comprare casa nel 2025 è senza dubbio il Bonus per l’acquisto di edifici residenziali ristrutturati. Si tratta di una detrazione a regime – quindi senza scadenza temporale – prevista dall’art. 16-bis, comma 3 del TUIR, che consente di risparmiare una parte importante delle imposte dovute se si acquista un’unità abitativa ristrutturata da un’impresa.

L’agevolazione spetta solo se l’acquisto avviene entro 18 mesi dalla fine dei lavori e se i lavori hanno interessato l’intero fabbricato (non le singole unità) attraverso restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia. Inoltre, se l’intervento ha comportato un ampliamento, la detrazione è riconosciuta solo sulla parte riferibile all’edificio preesistente.

La detrazione Irpef è pari al 25% del prezzo di acquisto (comprensivo di IVA) risultante dall’atto notarile, fino a un massimo di 96.000 euro per unità immobiliare. Se si acquistano due unità con lo stesso atto, il limite si applica per ciascun immobile, incluse le pertinenze.

Non è obbligatorio il pagamento tramite bonifico “parlante”, ma se si versano acconti prima del rogito, per fruire della detrazione è necessario che sia stato registrato almeno il preliminare che ne attesti l’importo.

Infine, se l’acquirente destina l’immobile ad abitazione principale, può beneficiare dell’aliquota di detrazione maggiorata, a condizione che tale destinazione venga dichiarata nel rogito e realizzata entro la dichiarazione dei redditi dell’anno dell’acquisto.

Ecobonus 2025

L’Ecobonus 2025, introdotto dall’art. 14 del D.L. 63/2013, è una detrazione fiscale destinata a chi effettua interventi di efficientamento energetico su edifici esistenti, anche non abitativi, purché regolarmente accatastati (o in fase di accatastamento) e dotati di impianto termico. Questo incentivo si affianca a quello previsto dall’art. 16-bis del TUIR, ma si differenzia per tipologia di intervento, beneficiari e massimali agevolabili.

L’agevolazione, prorogata fino al 2027, non è applicabile agli edifici di nuova costruzione: in conformità con la normativa UE, questi devono già rispettare requisiti minimi di prestazione energetica e sono quindi esclusi dai benefici.

Sono invece agevolabili gli interventi su edifici esistenti, come:

  • sostituzione di infissi,

  • coibentazione delle superfici opache (pareti, tetti),

  • installazione di pannelli solari termici,

  • caldaie a condensazione o pompe di calore.

Per accedere alla detrazione è necessario che l’edificio abbia un impianto di riscaldamento funzionante o riattivabile (non richiesto per solare termico, schermature solari o generatori a biomassa). Il diritto spetta a proprietari, nudi proprietari, affittuari, comodatari, nonché ai familiari conviventi o conviventi di fatto che sostengano le spese e siano intestatari di fatture e bonifici.

Trasferimento immobile: secondo l’art. 9 del D.M. 6 agosto 2020 (“Decreto Requisiti”), le quote residue della detrazione passano all’acquirente, salvo diverso accordo nel rogito.

Particolare attenzione va posta in caso di:

  • Ristrutturazione SENZA demolizione e con ampliamento: detrazione ammessa solo sulla parte esistente, escluse le riqualificazioni globali.

  • Demolizione con ampliamento: Ecobonus limitato alla volumetria originaria.

  • Demolizione senza ampliamento: agevolazione pienamente fruibile.

In tutti i casi in cui sia presente un ampliamento, è necessario separare contabilmente le spese, oppure fornire una certificazione tecnica rilasciata dall’impresa esecutrice, attestante gli importi riferibili esclusivamente alla parte agevolabile.

Sismabonus acquisti

Il Sismabonus Acquisti 2025 rappresenta una delle agevolazioni più rilevanti per chi acquista immobili in zone a rischio sismico 1, 2 o 3. È rivolto agli acquirenti di unità immobiliari derivanti da interventi di demolizione e ricostruzione, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione, con riduzione certificata del rischio sismico.

La misura è stata prorogata fino al 31 dicembre 2027, con possibilità di usufruire della detrazione del 75% o dell’85%, a seconda del miglioramento sismico conseguito.

La detrazione spetta anche se l’intervento configura una nuova costruzione, quindi è applicabile anche in presenza di:

  • aumento di volumetria rispetto all’edificio originario;

  • delocalizzazione su altro terreno all’interno dello stesso Comune.

L’acquisto deve avvenire entro 30 mesi dalla fine lavori e l’agevolazione è legata al singolo atto di compravendita.

Se l’immobile è destinato ad abitazione principale dopo il rogito, l’acquirente può beneficiare della detrazione maggiorata del 50%, a condizione che tale destinazione venga realizzata entro la dichiarazione dei redditi dell’anno di acquisto (in attesa di conferma ufficiale dell’Agenzia delle Entrate).

Chi versa acconti entro il 31 dicembre 2024 (con preliminare registrato), può ancora accedere alle vecchie aliquote più favorevoli (75%-85%), purché il rogito sia stipulato entro il 31 dicembre 2027.

Per ottenere il beneficio:

  • l’intervento deve prevedere una riduzione di almeno una classe di rischio sismico, asseverata da tecnici abilitati (progettista, direttore lavori, collaudatore);

  • il progetto deve essere allegato alla SCIA o al permesso di costruire;

  • la documentazione deve essere depositata allo Sportello Unico e consegnata al committente prima della stipula dell’atto.

In caso di ritardo nell’asseverazione, l’acquirente perde il diritto alla detrazione.

L’agevolazione è valida anche per immobili al grezzo, purché siano ultimati almeno i lavori strutturali con miglioramento sismico.

Compatibilità:

  • È cumulabile con l’Ecobonus fruito dall’impresa, se si distinguono le spese tra i due interventi.

  • Non è cumulabile con il bonus acquisto per immobili ristrutturati né con il bonus box auto non pertinenziali.

  • Se l’intervento è qualificato come ristrutturazione edilizia, si può accedere anche al Bonus mobili, ma solo per l’arredo della parte agevolata.

Bonus mobili 2025

La Legge di Bilancio 2025 ha prorogato fino al 31 dicembre 2025 il Bonus Mobili ed Elettrodomestici, una delle detrazioni più richieste da chi ristruttura casa.

La misura consente di recuperare parte delle spese sostenute per arredare immobili oggetto di interventi di recupero edilizio, rappresentando una forma di risparmio fiscale concreta e immediatamente accessibile.

L’agevolazione spetta ai contribuenti Irpef che effettuano lavori di ristrutturazione edilizia (art. 16-bis, comma 1 del TUIR) o che acquistano immobili ristrutturati da imprese (art. 16-bis, comma 3). I lavori devono essere iniziati non prima del 1° gennaio dell’anno precedente a quello in cui si sostengono le spese per l’acquisto di mobili o grandi elettrodomestici.

Non è necessario che le spese per mobili siano proporzionali a quelle per i lavori: si tratta infatti di un beneficio aggiuntivo e autonomo.

Il Bonus Mobili prevede una detrazione del 50% su un tetto massimo di spesa pari a 5.000 euro per unità immobiliare, da suddividere in 10 rate annuali di pari importo.

Questo limite è riferito all’anno in cui si acquistano i beni, e non all’intero intervento edilizio.

Per quanto riguarda gli elettrodomestici, sono ammessi solo se in classe energetica non inferiore a:

  • A per i forni,

  • E per lavatrici, lavastoviglie e lavasciuga,

  • F per frigoriferi e congelatori.

Il pagamento deve essere effettuato con bonifico bancario o carta di credito, e le spese devono essere documentate con fattura contenente natura, qualità e quantità dei beni acquistati.

Ricordiamo che il Bonus mobili è compatibile:

  • con il bonus ristrutturazioni classico,

  • con il bonus acquisto case ristrutturate,
    ma non è cumulabile con il Sismabonus acquisti, se l’intervento non è qualificato come ristrutturazione edilizia.

Limiti alle detrazioni per i redditi alti

Una delle novità più significative della Legge di Bilancio 2025 (art. 1, comma 10, L. 207/2024) riguarda i nuovi limiti alle detrazioni fiscali applicabili ai contribuenti con un reddito complessivo superiore a 75.000 euro annui. Queste restrizioni coinvolgono anche le agevolazioni per interventi edilizi, imponendo plafond massimi di spesa detraibile, calcolati secondo una nuova formula che tiene conto del reddito e del nucleo familiare.

Il limite si calcola così:

Importo base × Coefficiente familiare, dove:

  • L’importo base è:

    • 14.000 euro per redditi compresi tra 75.000 e 100.000 euro;

    • 8.000 euro per redditi superiori a 100.000 euro.

  • Il coefficiente familiare varia in base ai figli fiscalmente a carico:

    • 0,50 nessun figlio;

    • 0,70 con 1 figlio a carico;

    • 0,85 con 2 figli a carico;

    • 1,00 con 3 o più figli o presenza di almeno un figlio disabile.

Esempio pratico: un contribuente con reddito di 95.000 euro e due figli a carico avrà un tetto massimo di spesa detraibile pari a 11.900 euro (14.000 × 0,85), indipendentemente dall’importo totale delle spese sostenute.

Restano escluse dal conteggio alcune voci fondamentali, tra cui:

  • Spese sanitarie;

  • Investimenti in start-up e PMI innovative;

  • Rate di bonus edilizi sostenute fino al 31/12/2024;

  • Interessi passivi su mutui agrari o per abitazione principale stipulati entro il 31/12/2024.

Questa misura non limita la detrazione in sé, ma riduce l’importo massimo di spesa detraibile per ciascun contribuente in base al suo profilo reddituale e familiare. Pertanto, è fondamentale valutare attentamente quali spese portare in detrazione, privilegiando quelle con aliquote più alte, come il Sismabonus o l’Ecobonus.

Considerazioni finali

Il panorama dei bonus edilizi 2025 si presenta articolato, ma ancora molto vantaggioso per chi intende effettuare interventi di recupero, riqualificazione energetica o miglioramento antisismico del proprio immobile. Grazie alla proroga di numerose agevolazioni e all’introduzione di regole più precise, è ancora possibile ottenere notevoli risparmi fiscali, ma è fondamentale conoscere bene i requisiti tecnici, le tempistiche e i limiti normativi.

Con la stretta fiscale prevista per i contribuenti ad alto reddito e l’introduzione di plafond personalizzati per le detrazioni, diventa sempre più importante valutare caso per caso la strategia migliore per massimizzare il vantaggio fiscale: scegliere gli interventi più redditizi, rispettare la normativa tecnica e fiscale, e soprattutto farsi assistere da professionisti esperti.

Se hai in programma una ristrutturazione o l’acquisto di un immobile ristrutturato, questo è ancora un ottimo momento per agire, ma con consapevolezza. Ogni bonus ha le sue regole, le sue eccezioni e le sue compatibilità: conoscere queste variabili può fare la differenza tra un’opportunità sfruttata al massimo e un’occasione persa.

Il nostro consiglio? Affidati sempre a un consulente fiscale aggiornato, capace di guidarti passo dopo passo nella gestione delle pratiche, evitando errori formali e ottimizzando il tuo risparmio.

Compensi sportivi dilettanti 2025: esenzioni INPS, IRPEF e agevolazioni co.co.co.

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Negli ultimi anni, e in particolare con l’entrata in vigore della Riforma dello Sport (D.Lgs. 36/2021 e successivi aggiornamenti), il panorama fiscale e contributivo per i lavoratori sportivi dilettanti è cambiato profondamente. Un settore che fino a poco tempo fa godeva di ampi margini di esenzione, oggi è regolato da una normativa più chiara e strutturata, ma anche più rigorosa. Questo cambiamento ha generato dubbi e preoccupazioni tra società, associazioni sportive e gli stessi atleti.

In questo articolo vedremo quali compensi erogati agli sportivi dilettanti sono esenti da tassazione o contribuzione INPS, approfondendo le soglie previste, le differenze tra le varie figure (co.co.co, volontari, collaboratori amministrativi-gestionali), e le agevolazioni ancora disponibili. Analizzeremo anche il nuovo inquadramento contributivo dei collaboratori coordinati e continuativi nel settore sportivo, con particolare attenzione alla riduzione contributiva prevista fino al 2027.

Se sei il presidente di una ASD o SSD, un consulente o uno sportivo che collabora con un ente sportivo dilettantistico, questo articolo ti darà tutte le risposte per gestire in modo corretto e conveniente i compensi sportivi, evitando errori fiscali e sanzioni.

Esenzione INPS

Uno dei principali vantaggi fiscali per chi opera nel settore dello sport dilettantistico riguarda l’esenzione contributiva prevista per i collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.). Secondo la normativa vigente (art. 35 del D.Lgs. 36/2021), i compensi percepiti da un lavoratore sportivo dilettante in forma di co.co.co. sono esenti da contribuzione INPS fino a un massimo di 5.000 euro lordi annui. Si tratta di una soglia cumulativa, valida per tutti i rapporti intrattenuti con diversi enti sportivi nel corso dell’anno.

Una volta superato questo tetto, scatta l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS e il conseguente versamento dei contributi previdenziali, calcolati con aliquota ordinaria al 24% (ridotta per chi è iscritto ad altre gestioni). L’onere contributivo segue la regola generale di ripartizione 2/3 a carico dell’ente sportivo e 1/3 a carico del collaboratore.

Importante sottolineare che la responsabilità di monitorare il superamento della soglia ricade sul lavoratore stesso, il quale deve auto dichiarare il superamento del limite a ciascun ente sportivo. Per tutelarsi, le ASD e SSD dovrebbero richiedere formalmente questa dichiarazione prima di procedere ai pagamenti.

Un esempio pratico fornito dal Registro Attività Sportive Dilettantistiche (RASD) chiarisce il concetto: se un istruttore percepisce 5.000 euro da due ASD diverse, i compensi vanno cumulati. Superata la soglia, scatta l’obbligo contributivo e ogni ASD deve versare la quota di propria competenza.

Riduzione del 50% dell’imponibile INPS

Un’importante agevolazione prevista per i lavoratori sportivi dilettanti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa è la riduzione del 50% dell’imponibile contributivo, valida fino al 31 dicembre 2027. Questa misura ha lo scopo di incentivare la regolarizzazione dei rapporti nel settore sportivo, contenendo al tempo stesso il peso degli oneri sociali per enti e collaboratori.

Come funziona la riduzione?

La riduzione si applica solo sulla parte di compensi eccedente i 5.000 euro annui, soglia entro la quale permane l’esenzione totale da contributi.

In pratica:

  • I primi 5.000 euro ricevuti nel corso dell’anno sono esenti da contribuzione INPS.

  • Sulla parte eccedente, si dimezza l’imponibile: si calcola quindi il 50% del surplus oltre i 5.000 euro.

  • Su questo importo ridotto si applica l’aliquota contributiva del 24%, prevista per la Gestione Separata INPS.

Esempio pratico:

Un lavoratore sportivo percepisce 10.000 euro annui da una ASD. Il calcolo dei contributi sarà:

  • I primi 5.000 euroesenti.

  • I successivi 5.000 euro → imponibile ridotto al 50% = 2.500 euro.

  • Su 2.500 euro si applica il 24% → 600 euro di contributi totali.

La ripartizione segue la regola standard:

  • 2/3 a carico della ASD/SSD = 400 euro

  • 1/3 a carico del lavoratore = 200 euro

Questa agevolazione consente di contenere sensibilmente i costi previdenziali pur garantendo una copertura contributiva minima.

Esenzione fiscale IRPEF

Un altro importante beneficio per chi lavora nel mondo dello sport dilettantistico è l’esenzione IRPEF sui compensi fino a 15.000 euro annui. La norma, introdotta con la riforma del lavoro sportivo, rappresenta una forte agevolazione per migliaia di collaboratori e istruttori sportivi che prestano attività per ASD, SSD ed enti del Terzo Settore (ETS) iscritti al RUNTS, purché operino nel campo dello sport dilettantistico.

In base alla normativa (art. 36 del D.Lgs. 36/2021), i compensi percepiti per prestazioni sportive dilettantistiche non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini IRPEF fino alla soglia di 15.000 euro lordi annui. Questo significa che, entro tale limite, il collaboratore non dovrà pagare tasse sul reddito ricevuto, indipendentemente dal regime fiscale adottato (ordinario o forfettario).

La soglia di 15.000 euro va considerata cumulativamente, sommando tutti i compensi percepiti per incarichi sportivi presso più enti o società nel corso dell’anno solare. Una volta superata questa soglia, solo la parte eccedente sarà soggetta a tassazione secondo il regime fiscale personale del collaboratore.

È bene ricordare che l’esenzione si applica anche agli enti del Terzo Settore iscritti al RUNTS, ma esclusivamente per le attività legate allo sport dilettantistico.

Questa agevolazione rappresenta un importante strumento di sostegno economico e semplificazione fiscale, incentivando l’impegno sportivo e la collaborazione con le strutture dilettantistiche.

Volontari e collaboratori gestionali

Nel variegato mondo dello sport dilettantistico, accanto ai lavoratori sportivi con contratto di collaborazione (co.co.co.), troviamo anche due figure importanti ma molto diverse sotto il profilo fiscale e contributivo: i volontari e i collaboratori amministrativo-gestionali. È fondamentale conoscere le distinzioni per evitare errori di inquadramento e relative sanzioni.

Volontari: nessun compenso, nessuna imposizione

I volontari, come definiti dal Codice del Terzo Settore e confermati dal D.Lgs. 36/2021, non percepiscono alcun compenso, fatta eccezione per il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. Queste spese devono essere direttamente connesse all’attività svolta e non possono mai rappresentare una forma di retribuzione.

Non essendo lavoratori, i volontari:

  • non sono soggetti a IRPEF

  • non versano contributi INPS

  • non hanno obbligo di iscrizione a gestioni previdenziali

Questa figura è tipica di molte ASD e SSD, ma va gestita con attenzione per evitare che il “volontariato” mascheri una prestazione di lavoro subordinato o autonomo.

Collaboratori gestionali e amministrativi: non sportivi, ma retribuiti

Diverso il discorso per i collaboratori amministrativi-gestionali, ovvero figure che si occupano della gestione interna delle associazioni (segreterie, contabilità, rapporti con enti, ecc.). Questi soggetti non rientrano tra i lavoratori sportivi, pertanto non possono beneficiare dell’esenzione IRPEF fino a 15.000 euro, né della soglia INPS di 5.000 euro.

Sono da considerarsi lavoratori co.co.co. ordinari, e quindi soggetti:

  • alla tassazione IRPEF integrale

  • all’obbligo contributivo INPS senza agevolazioni

Obblighi per ASD, SSD ed enti sportivi

Con l’introduzione della riforma del lavoro sportivo, le responsabilità a carico di associazioni, società sportive dilettantistiche ed enti del Terzo Settore sono aumentate. Gestire correttamente i collaboratori sportivi, volontari o gestionali non è più una prassi “informale”, ma un’attività che richiede rigore amministrativo, fiscale e previdenziale.

Ecco i principali adempimenti richiesti ai datori di lavoro sportivo dilettantistico:

1. Contratto e comunicazione preventiva al RASD

Ogni rapporto di collaborazione sportiva deve essere formalizzato attraverso un contratto scritto. Inoltre, va effettuata una comunicazione preventiva al Registro delle Attività Sportive Dilettantistiche (RASD), almeno 24 ore prima dell’inizio della prestazione.

2. Monitoraggio delle soglie di esenzione

L’ente deve richiedere al collaboratore una dichiarazione dei compensi percepiti presso altri soggetti, per verificare il superamento:

  • della soglia INPS dei 5.000 euro

  • della soglia IRPEF dei 15.000 euro

Questo è fondamentale per applicare correttamente le esenzioni e, se necessario, attivare la contribuzione previdenziale.

3. Certificazione Unica e versamenti INPS

Anche se il compenso è esente da IRPEF, le ASD e SSD sono obbligate a emettere la Certificazione Unica (CU). Se si superano i limiti di esenzione previdenziale, l’ente dovrà inoltre:

  • iscrivere il collaboratore alla Gestione Separata INPS

  • versare i contributi previdenziali entro i termini

Vantaggi, criticità e consigli

La riforma del lavoro sportivo, pur avendo introdotto nuove complessità burocratiche, ha anche confermato e rafforzato importanti vantaggi fiscali e contributivi per il settore dilettantistico. La possibilità di erogare compensi esenti da IRPEF fino a 15.000 euro e da contributi INPS fino a 5.000 euro, rappresenta uno strumento prezioso per sostenere le attività sportive senza gravare eccessivamente sui bilanci delle ASD, SSD ed ETS.

Allo stesso tempo, è fondamentale evitare errori che potrebbero trasformarsi in sanzioni per omessi versamenti, irregolarità contrattuali o inquadramenti errati. Tra le criticità più comuni segnaliamo:

  • Mancata o tardiva comunicazione al RASD

  • Assenza di dichiarazioni scritte da parte dei collaboratori

  • Superamento inconsapevole delle soglie di esenzione

  • Utilizzo improprio della figura del volontario non retribuito

Come risparmiare in modo legale?

  •  Formalizzare sempre i rapporti con contratti scritti e comunicazioni preventive
  • Richiedere ai collaboratori autodichiarazioni annuali sui compensi percepiti
  • Utilizzare correttamente le agevolazioni contributive e fiscali disponibili
  •  Affidarsi a un commercialista esperto in fiscalità sportiva per ottimizzare la gestione

Conoscere e applicare correttamente la normativa permette non solo di essere in regola, ma anche di massimizzare il risparmio fiscale, valorizzare il lavoro sportivo e garantire una gestione sostenibile delle attività associative.

Come gestire correttamente i compensi sportivi

Per garantire una gestione corretta, sicura e ottimizzata dei compensi nello sport dilettantistico, è fondamentale adottare un approccio organizzato. Anche se la normativa offre numerose agevolazioni, ogni errore amministrativo o fiscale può comportare sanzioni, richieste di regolarizzazione o, nei casi più gravi, accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate o dell’INPS.

Ecco una checklist operativa che ogni ASD, SSD o ente sportivo dovrebbe seguire per rispettare la normativa vigente:

1. Verifica dell’inquadramento del collaboratore

Prima di attivare un rapporto di collaborazione, stabilisci se si tratta di:

  • Lavoratore sportivo (es. istruttore, allenatore)

  • Collaboratore amministrativo-gestionale

  • Volontario (non retribuito)

Ogni figura ha un regime fiscale e contributivo diverso.

2. Redazione e firma del contratto

Predisponi un contratto scritto chiaro e conforme al D.Lgs. 36/2021, specificando:

  • Mansione e durata

  • Compenso pattuito

  • Ente committente

  • Regime fiscale e previdenziale applicabile

3. Comunicazione preventiva al RASD

Ogni rapporto deve essere comunicato almeno 24 ore prima dell’inizio. È un adempimento essenziale per la regolarità del contratto.

4. Richiesta di autodichiarazione

Per applicare le esenzioni:

  • Chiedi al collaboratore una dichiarazione scritta sui compensi percepiti da altri enti

  • Archivia tale dichiarazione per eventuali controlli

5. Monitoraggio delle soglie

Controlla che il collaboratore:

  • Non superi i 5.000 euro per la soglia INPS (Gestione Separata)

  • Non superi i 15.000 euro per l’esenzione IRPEF Superate le soglie, applica i versamenti e la tassazione dovuti.

6. Gestione CU e versamenti

A prescindere dal regime fiscale, l’ente deve:

  • Emettere la Certificazione Unica annuale

  • Effettuare i versamenti INPS se dovuti, entro le scadenze

Considerazioni finali

Il quadro normativo attuale, ridefinito dalla Riforma dello Sport, ha segnato una svolta epocale per il settore dilettantistico, imponendo un nuovo approccio nella gestione dei compensi. Non si tratta più di semplici rimborsi spese o collaborazioni saltuarie, ma di rapporti strutturati che richiedono precisione, trasparenza e competenza.

Le esenzioni fino a 5.000 euro da contribuzione INPS e fino a 15.000 euro da tassazione IRPEF, insieme alla riduzione contributiva del 50% fino al 2027, rappresentano strumenti concreti di ottimizzazione dei costi per ASD, SSD ed ETS, ma non devono essere confusi con una deregulation. Ogni soglia va gestita correttamente, ogni compenso va tracciato, ogni contratto deve essere regolarmente comunicato.

Non basta “essere in regola”, oggi bisogna essere anche efficienti: valutare la forma contrattuale più adatta, monitorare i limiti annui per ciascun collaboratore, differenziare correttamente tra lavoratori sportivi, volontari e collaboratori gestionali.

Per chi opera in questo ambito, l’assistenza di un commercialista esperto in fiscalità sportiva non è più un’opzione, ma una necessità. Solo così si può garantire una gestione sostenibile, conforme e ottimizzata, proteggendo l’ente sportivo, i suoi tesserati e il futuro delle attività svolte.

Se hai dubbi su come inquadrare correttamente i tuoi collaboratori, su quali esenzioni applicare o come risparmiare legalmente sui contributi, contattaci per una consulenza dedicata. Lavorare bene si può, anche nello sport dilettantistico.

Reddito di Libertà: Riattivato il sostegno economico per le donne vittime di violenza

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Il Reddito di Libertà riparte. Dopo mesi di attesa e incertezze legate allo stanziamento delle risorse, la misura economica a favore delle donne vittime di violenza torna operativa, con importanti novità per il 2025. Grazie al decreto attuativo pubblicato in Gazzetta Ufficiale e alla nuova circolare INPS, sono stati finalmente sbloccati 32 milioni di euro per il triennio 2024-2026. Una cifra che promette di allargare la platea delle beneficiarie e di dare risposta a quelle migliaia di domande rimaste inevase negli anni precedenti.

Il contributo – salito a 500 euro al mese per 12 mesi – rappresenta un aiuto concreto per affrontare spese legate all’abitazione, allo studio dei figli, alla formazione professionale e all’autonomia personale. Ma il Reddito di Libertà è molto più di un semplice sussidio: è uno strumento di emancipazione, pensato per restituire libertà e futuro a donne che hanno avuto il coraggio di dire basta.

In questo articolo scoprirai chi può fare domanda, quali sono i requisiti, come funziona la procedura, quali sono le nuove scadenze, le agevolazioni fiscali per chi supporta il sistema e i dati aggiornati sulle beneficiarie. Un approfondimento utile per chi vuole capire come funziona davvero questa misura e perché oggi è più importante che mai.

Reddito di Libertà

Il Reddito di Libertà torna al centro dell’attenzione con nuove risorse, nuove regole e un messaggio forte: offrire un’ancora concreta alle donne che vogliono ricostruire la propria vita dopo aver subito violenza. Si tratta di un contributo economico mensile pari a 500 euro (fino al 2023 era di 400 euro), erogato per un periodo massimo di 12 mesi, destinato a donne che hanno intrapreso un percorso di uscita da situazioni di abuso, spesso accompagnate da figli minori.

L’obiettivo principale della misura è quello di favorire l’autonomia economica e abitativa, consentendo alle beneficiarie di affrontare le spese per l’alloggio, la formazione, lo studio dei figli e tutte quelle necessità fondamentali per costruire una nuova vita libera e sicura. Una misura che non vuole essere assistenzialismo, ma un mezzo per ricostruire dignità e indipendenza.

La vera svolta è arrivata con il decreto del 2 dicembre 2024 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 52 del 4 marzo 2025), che ha finalmente sbloccato i fondi attesi da quasi un anno. Parliamo di 32 milioni di euro per il triennio 2024-2026, così distribuiti: 10 milioni per il 2024, 11 milioni sia per il 2025 che per il 2026. A partire dal 2027, lo stanziamento annuo sarà di 7 milioni di euro. Il successivo passo operativo è stato compiuto dall’INPS, che con la circolare n. 54 del 5 marzo 2025 ha stabilito modalità, tempistiche e requisiti per la presentazione delle domande, sia in fase transitoria sia a regime.

Nuova finestra per le domande respinte

Una delle novità più significative introdotte dalla recente circolare INPS n. 54/2025 è la creazione di una finestra transitoria, della durata di 45 giorni, aperta dal 5 marzo al 18 aprile 2025, destinata a riaccogliere tutte quelle domande precedentemente respinte per esaurimento dei fondi. Si tratta di una svolta attesa da tempo, considerando l’alto numero di richieste che negli anni passati non hanno trovato risposta a causa della limitata disponibilità economica.

Secondo i dati ufficiali del Dipartimento per le Pari Opportunità, dal 2020 al 2024 sono state presentate all’INPS 6.079 domande, ma ben 3.006 di queste sono rimaste senza risposta per carenza di risorse. Nel periodo 2020-2023, infatti, erano stati stanziati solo 13,85 milioni di euro, insufficienti a coprire il fabbisogno reale. Ora, grazie allo sblocco dei fondi previsto dal nuovo decreto, queste domande potranno essere riesaminate e ri-presentate.

Le domande vanno trasmesse esclusivamente tramite i Comuni, ai quali spetta il compito di verificare la sussistenza dei requisiti richiesti per accedere al beneficio. Il ruolo degli enti locali, quindi, si conferma centrale non solo nell’accoglienza delle istanze ma anche nel supporto alle donne nei percorsi di autonomia e inserimento.

Per chi è rimasta fuori negli anni passati, questa rappresenta un’occasione preziosa per ottenere un contributo che può davvero fare la differenza. Ma il tempo è limitato: il termine ultimo è il 18 aprile 2025.

Come e quando presentare domanda

Conclusa la fase transitoria del Reddito di Libertà, che termina il 18 aprile 2025, si apre una nuova fase “a regime” che stabilisce le modalità ordinarie di presentazione delle domande fino alla fine dell’anno.

Dal 18 aprile al 31 dicembre 2025, tutte le donne in possesso dei requisiti previsti dalla normativa potranno presentare richiesta per ottenere il contributo, comprese coloro che non avevano partecipato alla fase transitoria o che, pur avendo i requisiti, non avevano ancora inoltrato domanda.

A partire dal 2026, il sistema entrerà definitivamente a regime, con una finestra aperta tutto l’anno: sarà infatti possibile presentare domanda in qualsiasi momento, dal 1° gennaio al 31 dicembre, sempre tramite il Comune di residenza, che ha il compito di verificare la presenza dei requisiti e trasmettere la documentazione all’INPS.

Un aspetto importante chiarito dal decreto attuativo (art. 2) riguarda la gestione delle risorse: i fondi sono ripartiti tra le Regioni, ma ogni Regione ha la possibilità di incrementare la propria dotazione economica con risorse proprie.

Queste somme possono essere trasferite direttamente all’INPS, al fine di coprire un maggior numero di richieste o rispondere a un aumento della domanda locale. Questo meccanismo consente un adattamento più flessibile e reattivo alle specifiche esigenze territoriali.

Infine, anche le domande eventualmente non accolte per mancanza di fondi durante l’anno potranno essere riproposte successivamente, mantenendo così attivo il canale di accesso al beneficio anche nei casi di incapienza temporanea del budget disponibile.

A chi spetta il Reddito di Libertà

Per accedere al Reddito di Libertà non basta semplicemente trovarsi in una situazione di disagio economico. Il decreto e la circolare INPS sottolineano con forza l’importanza della regolarità e completezza dei requisiti, che devono essere accertati dai servizi sociali territoriali e dai centri antiviolenza riconosciuti.

Possono accedere al beneficio le donne che:

  • Sono state vittime di violenza accertata e documentata;

  • Risiedono sul territorio italiano, siano esse cittadine italiane, cittadine comunitarie, oppure cittadine di Stati extracomunitari, purché in possesso di un permesso di soggiorno regolare. Sono comprese anche le donne con status di rifugiata politica o protezione sussidiaria;

  • Si trovano in condizione di povertà legata a uno stato di bisogno straordinario o urgente, condizione che deve essere dichiarata e certificata dal servizio sociale professionale del Comune di riferimento;

  • Sono seguite da un centro antiviolenza riconosciuto dalla Regione e da un servizio sociale pubblico.

L’iter per la presentazione della domanda prevede che la beneficiaria si rivolga al Comune di residenza, dove i servizi sociali territoriali – in collaborazione con i centri antiviolenza – certificano il possesso dei requisiti. Il Comune provvede poi a trasmettere la documentazione all’INPS, che eroga direttamente il contributo economico sul conto corrente indicato dalla richiedente.

È quindi fondamentale non solo avere i requisiti richiesti, ma anche essere seguite da un percorso istituzionale già attivo, per garantire che l’aiuto economico sia parte di un progetto di emancipazione reale e strutturato.

Le criticità del passato e le sfide ancora aperte

Nonostante le buone intenzioni alla base del Reddito di Libertà, l’applicazione concreta della misura ha incontrato, fin dalla sua nascita, una serie di criticità strutturali che ne hanno limitato l’efficacia e la diffusione. Uno dei problemi più evidenti è stato lo scarso stanziamento di risorse nei primi anni: basti pensare che, tra il 2020 e il 2023, i fondi complessivamente messi a disposizione sono stati solo 13,85 milioni di euro, insufficienti a coprire l’enorme richiesta proveniente dai territori. Di conseguenza, più della metà delle domande presentate (3.006 su 6.079) non sono state accolte per mancanza di copertura finanziaria.

A questa limitazione si è aggiunto anche il problema di procedure frammentate e poco omogenee: ogni Comune ha adottato modalità operative differenti, generando confusione tra le beneficiarie e spesso rallentando l’invio delle domande. Inoltre, la mancanza di comunicazione diretta tra centri antiviolenza, servizi sociali e INPS ha spesso reso difficile l’accompagnamento completo delle donne lungo il percorso di richiesta.

Con il nuovo decreto del 2 dicembre 2024 e la circolare INPS del marzo 2025, si punta a superare queste inefficienze. Lo stanziamento di 32 milioni per il triennio 2024-2026 garantisce maggiore stabilità economica, e l’apertura della finestra annuale a regime, insieme alla possibilità per le Regioni di integrare con fondi propri, permette un approccio più flessibile e su misura per i bisogni locali.

Tuttavia, resta centrale l’obiettivo di costruire una rete stabile e ben coordinata tra tutti gli attori coinvolti, affinché il Reddito di Libertà diventi davvero un pilastro delle politiche di sostegno alle donne e non una misura emergenziale di breve durata.

Donazioni e sostegno alle donne

Accanto all’azione dello Stato, un ruolo sempre più rilevante è giocato da imprese, fondazioni, associazioni e cittadini privati che scelgono di sostenere economicamente i centri antiviolenza o progetti di reinserimento per donne vittime di violenza. E questo impegno sociale può essere anche premiato dal punto di vista fiscale.

Le donazioni effettuate a enti del Terzo Settore, fondazioni e organizzazioni senza scopo di lucro regolarmente iscritte al RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) possono beneficiare di detrazioni e deduzioni fiscali, come previsto dal Codice del Terzo Settore (D.Lgs. 117/2017).

In particolare:

  • I privati cittadini possono detrare dall’IRPEF il 30% delle donazioni effettuate, fino a un massimo di 30.000 euro annui;

  • Le imprese possono invece dedurre integralmente l’importo donato dal reddito d’impresa, entro il limite del 10% del reddito complessivo dichiarato.

Inoltre, alcune Regioni e Comuni prevedono ulteriori agevolazioni locali per chi sostiene economicamente progetti legati alla lotta contro la violenza di genere.

Oltre al vantaggio fiscale, per le imprese si tratta di un’opportunità di rafforzare la responsabilità sociale d’impresa (CSR), migliorando la propria reputazione e contribuendo a un cambiamento sociale concreto. In un’epoca in cui i consumatori sono sempre più attenti all’etica dei brand, questo tipo di azioni può rappresentare un vero valore aggiunto.

Il profilo delle beneficiarie

Per comprendere a fondo l’impatto del Reddito di Libertà, è essenziale conoscere chi sono le donne che presentano domanda per questo contributo. A fare luce sul profilo delle beneficiarie ci pensa il XXIII Rapporto Annuale INPS, che ha elaborato un dataset su 6.054 donne che hanno richiesto il Reddito di Libertà tra il 2021 e i primi mesi del 2024.

I dati rivelano una realtà variegata, ma con alcune tendenze molto chiare:

  • Quasi il 42% delle richiedenti è nata all’estero, a testimonianza di come la violenza di genere colpisca trasversalmente e come le donne straniere spesso si trovino in condizioni di maggiore vulnerabilità economica e sociale.

  • Il 27,45% delle donne è nata in regioni del Sud o nelle Isole, il 21,42% al Nord e il 9,4% al Centro. Tuttavia, se si guarda alla residenza effettiva, il 46% delle beneficiarie vive nel Mezzogiorno e nelle Isole, segno di una maggiore concentrazione di situazioni critiche in queste aree.

  • Per quanto riguarda l’età, la fascia più rappresentata è quella tra 35 e 54 anni (61% complessivo), con il 36% tra i 35 e i 44 anni e il 26% tra i 45 e i 54 anni. Le donne tra i 25 e i 34 anni costituiscono il 22% delle richiedenti, mentre solo il 10% ha più di 55 anni e appena il 5% meno di 25.

Questa fotografia statistica evidenzia come il Reddito di Libertà si rivolga a una popolazione adulta, spesso con figli a carico e radicata nel territorio, che necessita di un aiuto concreto per rompere un ciclo di dipendenza e isolamento.

Considerazioni finali

Il Reddito di Libertà rappresenta oggi una delle misure più concrete e simbolicamente potenti nel panorama delle politiche sociali italiane. Ma per trasformarsi da strumento emergenziale a presidio strutturale, servono visione, risorse costanti e soprattutto una rete solida di collaborazione tra Stato, Regioni, Comuni, centri antiviolenza e società civile.

Il recente sblocco dei fondi e l’avvio della finestra transitoria segnalano un passo avanti importante, ma le sfide restano numerose. Prima tra tutte, quella della continuità finanziaria: il passaggio a un’erogazione annuale stabile e la possibilità per le Regioni di integrare con risorse proprie rappresentano una base solida, ma non ancora sufficiente per coprire tutto il fabbisogno reale.

In parallelo, è fondamentale semplificare le procedure, garantendo moduli uniformi, canali di comunicazione rapidi tra enti, e soprattutto un maggiore supporto informativo per le donne che, spesso, ignorano l’esistenza stessa del Reddito di Libertà. La formazione degli operatori sociali e il rafforzamento della rete dei centri antiviolenza sono investimenti imprescindibili.

Infine, il ruolo delle imprese e dei privati cittadini, anche attraverso le agevolazioni fiscali sulle donazioni, deve essere incoraggiato e comunicato meglio. Perché la lotta alla violenza di genere non è solo un dovere dello Stato, ma una responsabilità collettiva.

Il Reddito di Libertà non libera solo economicamente: restituisce possibilità, scelta, dignità. E per questo, deve diventare parte integrante di una strategia nazionale permanente per l’emancipazione femminile.

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