In un contesto fiscale sempre più complesso e globale, il trattamento dei trust esteri con beneficiari residenti in Italia rappresenta uno degli argomenti più dibattuti e delicati tra i professionisti del settore. Con la Risposta all’interpello n. 239 del 2025, l’Agenzia delle Entrate torna a fare chiarezza su un caso specifico: un trust americano istituito con modalità proprie del sistema giuridico statunitense, in cui i beneficiari sono tutti residenti fiscalmente in Italia.
Sommario
Questa risposta è destinata a diventare un punto di riferimento importante per chi si trova coinvolto in strutture estere simili, sia per ragioni familiari che di pianificazione patrimoniale. La questione centrale riguarda l’applicazione delle norme fiscali italiane a strumenti giuridici stranieri: quando un trust è considerato “interposto”? Quando diventa “trasparente” ai fini fiscali? E, soprattutto, quali sono le implicazioni fiscali alla morte del disponente?
Attraverso questo articolo analizzeremo in dettaglio le caratteristiche del trust americano oggetto dell’interpello, i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, le implicazioni pratiche e fiscali per i beneficiari residenti in Italia e infine, le opportunità e i rischi legati a questo tipo di pianificazione patrimoniale internazionale.
Risposta n. 239/2025
Nel caso analizzato dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 239/2025, i soggetti istanti sono persone fisiche residenti in Italia, beneficiari finali di un trust statunitense istituito in California da un disponente – cittadino americano – che ha rivestito, fino alla propria morte, anche il ruolo di trustee e primo beneficiario del trust stesso. Alla morte del disponente, il trust ha mutato natura: da Grantor Trust, considerato fiscalmente “interposto” secondo il diritto statunitense (e quindi attribuibile al disponente), è divenuto un Non-Grantor Trust, ossia un trust che gestisce e detiene i beni autonomamente, con opacità fiscale negli USA.
Gli istanti si sono rivolti all’Agenzia non per chiarimenti in merito alla fiscalità diretta o indiretta del trust, né per quanto riguarda gli obblighi di monitoraggio fiscale (quali IVIE, IVAFE o quadro RW), ma per ottenere un parere specifico sulla qualificazione del trust ai fini dell’imposizione diretta italiana.
In altri termini: il trust deve essere considerato opaco, trasparente o interposto ai sensi del diritto tributario italiano, dopo la morte del disponente?
La valutazione si è basata sull’art. 73 del TUIR (D.P.R. 917/1986), che distingue tra:
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trust trasparenti, in cui il reddito è direttamente imputato ai beneficiari individuati;
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trust opachi, in cui il reddito è imputato e tassato in capo al trust stesso;
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trust interposti, cioè strutture fittizie usate per eludere l’imposizione fiscale.
L’Agenzia ha anche fatto riferimento alla Convenzione dell’Aja del 1985, ratificata in Italia con la Legge n. 364/1989, per valutare la validità della struttura secondo il diritto internazionale privato.
Trust non interposto e trasparente
Nella sua risposta, l’Agenzia delle Entrate ha effettuato una valutazione dettagliata della configurazione giuridica del trust post-mortem, basandosi sia sull’atto istitutivo, sia sulle condizioni operative del trustee subentrato. L’elemento chiave che ha portato all’esclusione della natura interposta del trust è stato l’accertamento dell’effettiva autonomia gestionale del nuovo trustee e della mancanza di legami personali o professionali con i beneficiari italiani.
Il trustee, secondo le clausole del trust, possiede ampi poteri gestori: può vendere, affittare, investire e perfino concedere prestiti sui beni in trust, agendo in piena indipendenza. Inoltre, le modalità di distribuzione dei redditi e del patrimonio sono già predeterminate nell’atto istitutivo, senza alcuna discrezionalità da parte del trustee sul “se” o “quanto” distribuire. Questo punto è centrale: secondo l’Agenzia, l’assenza di margine discrezionale sul diritto dei beneficiari alle distribuzioni rende la struttura fiscalmente trasparente.
Il trust è quindi trasparente, perché i beneficiari sono:
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chiaramente individuati;
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titolari di un diritto soggettivo alla percezione dei redditi e del patrimonio del trust;
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dotati di una capacità contributiva attuale, in quanto il loro diritto non è potenziale né condizionato.
Ai sensi dell’art. 73, comma 2, del TUIR, in presenza di un trust trasparente, i redditi prodotti dal trust sono imputati e tassati direttamente in capo ai beneficiari, in proporzione alla quota loro spettante.
L’Agenzia ricorda che la trasparenza non si basa solo sull’individuazione anagrafica del beneficiario, ma sul fatto che esista un diritto esigibile alla percezione del reddito, condizione che nel caso specifico è pienamente soddisfatta.

Implicazioni fiscali
La qualificazione del trust americano come trasparente comporta conseguenze fiscali dirette e significative per i beneficiari residenti in Italia. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 73, comma 2, del TUIR, in presenza di un trust trasparente i redditi non sono tassati in capo al trust, ma vengono imputati direttamente ai beneficiari individuati, in proporzione alla quota loro spettante.
Questo implica che:
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ogni beneficiario italiano è tenuto a dichiarare nella propria dichiarazione dei redditi la quota di proventi (di qualsiasi natura) generati dal trust;
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tali redditi sono soggetti alla tassazione ordinaria IRPEF, secondo gli scaglioni di reddito del beneficiario, senza alcun regime agevolato;
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anche se i redditi non vengono effettivamente distribuiti dal trustee, essi sono comunque fiscalmente rilevanti, poiché il diritto a riceverli è certo e attuale.
Un aspetto fondamentale è che la capacità contributiva principio cardine del sistema tributario italiano, si ritiene realizzata non al momento della percezione materiale dei redditi, ma nel momento in cui il beneficiario acquisisce il diritto giuridico a riceverli. Da ciò deriva la tassazione “per trasparenza”, indipendentemente dall’effettiva distribuzione.
Per evitare contestazioni e sanzioni, i beneficiari devono quindi prestare particolare attenzione all’esatta determinazione delle quote di partecipazione, verificando attentamente i documenti del trust e le comunicazioni ricevute dal trustee.
Trust trasparente, opaco o interposto
Per determinare il corretto trattamento fiscale di un trust estero con beneficiari italiani, è fondamentale comprendere le differenze tra trust trasparente, opaco e interposto, sulla base della normativa italiana (art. 73 del TUIR) e della prassi consolidata dell’Agenzia delle Entrate.
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Trust trasparente: si ha quando i beneficiari sono nominativamente individuati e hanno diritto attuale e certo a ricevere il reddito. In questo caso, il trust è considerato un mero strumento di gestione e i redditi prodotti vengono imputati direttamente ai beneficiari, indipendentemente dalla distribuzione materiale. Questo è il caso del trust analizzato nella Risposta 239/2025.
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Trust opaco: si ha quando il trust produce redditi ma i beneficiari non sono identificati oppure non hanno un diritto attuale a riceverli. In tale situazione, il trust è soggetto passivo d’imposta e paga le tasse in autonomia in Italia, come se fosse un ente autonomo.
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Trust interposto: è un’ipotesi patologica in cui il trust è solo formalmente esistente, ma in sostanza non svolge una reale funzione di separazione patrimoniale. Tipicamente si tratta di trust in cui il disponente o i beneficiari esercitano un controllo totale sui beni o sul trustee, rendendo la struttura inefficace e potenzialmente elusiva. In questi casi, i redditi si imputano direttamente al disponente o ai beneficiari, a seconda delle circostanze.
Nella risposta n. 239/2025, l’Agenzia ha chiarito che il trust americano in oggetto non è interposto, perché il trustee agisce con piena autonomia e i beneficiari non esercitano alcuna influenza sulla gestione. Di conseguenza, in presenza di beneficiari individuati e con diritto certo ai redditi, la struttura è trasparente ai fini fiscali italiani.
Queste distinzioni sono fondamentali per impostare correttamente strategie di pianificazione patrimoniale internazionale, evitando il rischio di riqualificazioni fiscali e relative sanzioni.

Obblighi dichiarativi e rischi fiscali
La qualificazione di un trust estero come trasparente ai fini fiscali italiani impone ai beneficiari residenti in Italia una serie di obblighi dichiarativi e comportamentali da non sottovalutare. Come indicato dall’Agenzia delle Entrate, i redditi del trust devono essere inclusi nella dichiarazione dei redditi annuale (modello Redditi PF) dei beneficiari, anche se non ancora effettivamente percepiti.
Questo comporta che:
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I beneficiari devono ottenere dal trustee una rendicontazione dettagliata dei redditi prodotti dal trust nel periodo d’imposta;
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Devono conoscere la propria quota di partecipazione al reddito, per calcolare correttamente l’imposta dovuta;
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Devono verificare l’eventuale presenza di redditi di fonte estera soggetti a regole particolari (come il credito d’imposta per imposte pagate all’estero, art. 165 TUIR).
In assenza di distribuzione effettiva, è frequente che i beneficiari italiani non siano nemmeno consapevoli dell’obbligo di dichiarazione, con il rischio di:
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accertamenti fiscali retroattivi;
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sanzioni per omessa dichiarazione di redditi esteri;
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obblighi integrativi in caso di trust dotati di attività patrimoniali estere soggette a monitoraggio fiscale (quadro RW).
Per evitare questi rischi, è essenziale instaurare un rapporto chiaro con il trustee e farsi assistere da un consulente fiscale esperto in materia di fiscalità internazionale dei trust, in modo da:
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identificare con precisione i flussi reddituali imputabili;
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compilare correttamente il quadro RH e/o RW;
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valutare eventuali operazioni di regolarizzazione fiscale spontanea, ove necessario.
Pianificazione patrimoniale
L’utilizzo di un trust estero, come nel caso del trust americano istituito in California, può rappresentare una valida soluzione di pianificazione patrimoniale, specialmente in contesti familiari internazionali, per proteggere beni, garantire la successione generazionale e mantenere il controllo su determinati asset. Tuttavia, la presenza di beneficiari residenti fiscalmente in Italia apre una serie di criticità che non possono essere trascurate, soprattutto sotto il profilo della trasparenza fiscale e del monitoraggio degli asset esteri.
Uno dei vantaggi principali del trust è la separazione giuridica tra i beni conferiti nel trust e il patrimonio personale del disponente, il che può offrire protezione contro rischi patrimoniali, successioni conflittuali o incapacità future. Inoltre, se correttamente strutturato, può assicurare continuità gestionale e fiscale anche in caso di decesso del disponente.
Tuttavia, dal punto di vista fiscale italiano, è essenziale che:
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la struttura del trust sia chiara e ben documentata;
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i poteri del trustee siano effettivamente esercitati in modo indipendente;
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i beneficiari siano formalmente e sostanzialmente distinti dal trustee e dal disponente, per evitare contestazioni di interposizione.
Nel caso specifico analizzato dall’Agenzia, la presenza di beneficiari italiani con diritto certo ai redditi, insieme alla mancanza di poteri discrezionali del trustee, ha determinato la trasparenza fiscale del trust. Questa trasparenza, se ben gestita, consente ai contribuenti di operare in modo pienamente legale, ma richiede accurata attenzione agli obblighi dichiarativi e una pianificazione integrata tra le normative dei diversi Paesi coinvolti.
In sintesi, il trust può essere un ottimo strumento, ma solo se è gestito con rigore tecnico e legale, evitando improvvisazioni o strutture “di comodo” che possono esporre i beneficiari a verifiche e pesanti sanzioni.
Convenzione dell’Aja del 1985
Un elemento giuridico fondamentale nella valutazione dei trust esteri, come quello americano oggetto dell’interpello 239/2025 è rappresentato dalla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, relativa alla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento, ratificata dall’Italia con la Legge n. 364 del 16 ottobre 1989.
Questa convenzione ha reso possibile, anche per ordinamenti di tipo civil law come quello italiano (dove il trust non è una figura nativa), il riconoscimento formale dei trust costituiti secondo leggi straniere (common law). In particolare, l’articolo 6 della Convenzione stabilisce che il trust è regolato dalla legge scelta dal disponente, che ne determina effetti, struttura, poteri del trustee e diritti dei beneficiari.
Nel caso in esame, il trust è stato costituito in California, e quindi regolato dalla normativa statunitense. In virtù della Convenzione, l’Italia riconosce pienamente la validità giuridica del trust, purché la struttura sia documentata in modo adeguato e non contrasti con l’ordine pubblico.
Tuttavia, il riconoscimento giuridico non implica automaticamente l’equiparazione fiscale: spetta all’Agenzia delle Entrate interpretare la natura e gli effetti fiscali del trust, alla luce delle regole italiane. Ecco perché è essenziale, come nel caso dell’interpello 239/2025, valutare se il trust sia opaco, trasparente o interposto, indipendentemente dalla sua validità giuridica.
La Convenzione, quindi, apre la porta alla legittimità dei trust esteri in Italia, ma è la normativa fiscale interna in primis l’art. 73 del TUIR a stabilire come questi strumenti vengano tassati e quale sia il regime applicabile ai beneficiari italiani.
Vantaggi fiscali
Nonostante l’apparente rigidità del fisco italiano nei confronti dei trust esteri, è importante evidenziare che, se correttamente strutturato e gestito, un trust trasparente con beneficiari residenti in Italia può offrire vantaggi fiscali concreti e del tutto legittimi, soprattutto in un’ottica di pianificazione patrimoniale e successoria.
Uno dei primi vantaggi è la possibilità di evitare l’imposizione successoria immediata alla morte del disponente. Infatti, in molti ordinamenti esteri (tra cui gli USA), il passaggio dei beni dal disponente al trust alla sua morte non comporta l’apertura di una successione nel senso tradizionale italiano, poiché il patrimonio è già segregato.
Questo può significare:
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nessuna applicazione immediata dell’imposta di successione in Italia, salvo che i beni siano situati in Italia o che il trust venga considerato fiscalmente rilevante;
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possibilità di diluire nel tempo la distribuzione dei beni e dei redditi, permettendo una pianificazione più efficiente della tassazione IRPEF per i beneficiari.
Inoltre, nel caso di trust trasparenti, è possibile per i beneficiari italiani fruire del credito d’imposta per imposte eventualmente pagate all’estero sui redditi del trust, evitando la doppia imposizione (art. 165 TUIR). Questo è particolarmente utile per trust che generano redditi da fonti estere soggette a tassazione nel Paese di origine.
Altro vantaggio indiretto, ma strategico, è che il trust consente di:
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centralizzare la gestione patrimoniale, evitando frammentazioni tra eredi;
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proteggere gli asset da aggressioni di terzi, specie se il trustee è indipendente;
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preservare la riservatezza rispetto al contenuto e alla destinazione del patrimonio, nei limiti consentiti dalla normativa sul monitoraggio fiscale (quadro RW).
Attenzione però: tutti questi vantaggi sono fruibili solo se la struttura è conforme alle regole italiane, fiscalmente trasparente e ben documentata. In caso contrario, il rischio di contestazioni e riqualificazioni è elevato.
Conclusione
Il caso trattato dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 239/2025 rappresenta un esempio concreto di come le autorità fiscali italiane stiano affrontando, con crescente attenzione e precisione, le complesse interazioni tra strumenti giuridici esteri e la normativa tributaria nazionale.
La qualificazione di un trust americano come “trasparente” ai fini dell’imposizione italiana, in presenza di beneficiari individuati residenti in Italia, ha un impatto rilevante non solo sotto il profilo fiscale ma anche nella gestione del patrimonio familiare.
In particolare, conferma che:
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non sempre i trust esteri sono visti con sospetto dall’amministrazione finanziaria;
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il riconoscimento della struttura è possibile, purché essa rispetti i principi di autonomia gestionale, chiarezza nei diritti dei beneficiari e coerenza giuridica;
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la trasparenza fiscale, se ben compresa e gestita, non è necessariamente un ostacolo, ma può essere uno strumento di pianificazione fiscale legittima e vantaggiosa.
Resta fondamentale il ruolo del professionista, sia in fase di strutturazione che di monitoraggio continuo, per evitare errori dichiarativi, omissioni o riqualificazioni dannose. Una gestione errata può comportare rilevanti conseguenze sanzionatorie, mentre una corretta impostazione garantisce compliance, protezione patrimoniale e ottimizzazione fiscale.
In un’epoca di crescente trasparenza e cooperazione tra amministrazioni fiscali internazionali, il trust estero non è più una zona grigia, ma uno strumento potente, a patto che sia utilizzato con competenza, documentazione adeguata e rispetto delle regole italiane.

