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giovedì 30 Ottobre 2025

Tax Control Framework opzionale: vantaggi, requisiti e impatti sulla fiscalità d’impresa

Negli ultimi anni, l’evoluzione del rapporto tra contribuente e Amministrazione Finanziaria ha segnato un cambio di paradigma: da un approccio prettamente repressivo si è passati a un modello basato sulla collaborazione e la trasparenza, che trova uno dei suoi punti più avanzati nel Tax Control Framework opzionale (TCF).

Ma di cosa si tratta, concretamente? Il TCF è un sistema interno di gestione e controllo del rischio fiscale, che le imprese possono adottare su base volontaria con l’obiettivo di migliorare il presidio dei processi fiscali, ridurre il contenzioso e costruire un dialogo preventivo con il Fisco. Non è solo un adempimento tecnico, ma un vero e proprio strumento strategico di governance, che consente di rafforzare la reputazione aziendale, attrarre investitori e dimostrare affidabilità nei confronti degli stakeholder.

In un contesto normativo in continua evoluzione, dove il rischio fiscale può avere impatti rilevanti sul piano economico e reputazionale, dotarsi di un TCF rappresenta una leva competitiva. Soprattutto in vista delle crescenti aspettative normative in termini di compliance fiscale preventiva, trasparenza e sostenibilità.

In questo articolo esploreremo che cos’è il Tax Control Framework opzionale, come funziona, quali vantaggi offre alle imprese e quali sono i requisiti per adottarlo correttamente, prendendo spunto anche dalle ultime indicazioni dell’Agenzia delle Entrate e dai riferimenti normativi più recenti.

Introduzione

La riforma fiscale introdotta dalla legge delega n. 111/2023, attuata tramite i decreti legislativi n. 221/2023 e n. 108/2024, ha ridisegnato il rapporto tra contribuente e Amministrazione finanziaria. Al centro di questo cambiamento c’è una parola chiave: fiducia. L’approccio tradizionale, fondato su controlli ex post e sanzioni, sta lasciando spazio a un modello più evoluto di cooperative compliance, in cui la trasparenza e la gestione preventiva dei rischi fiscali diventano strumenti di dialogo e non di conflitto.

In questo scenario si colloca il Tax Control Framework opzionale (TCF), introdotto dall’art. 7-bis del D.lgs. 128/2015 (introdotto successivamente) e disciplinato nel dettaglio dal Decreto Ministeriale 9 luglio 2025. Si tratta di un modello pensato per le imprese che non superano i 100 milioni di euro di fatturato, quindi escluse dal regime di adempimento collaborativo tradizionale. Il TCF opzionale consente a queste aziende di dotarsi volontariamente di un sistema certificato di gestione e controllo del rischio fiscale, rafforzando la loro posizione nei confronti del Fisco e ottenendo benefici tangibili.

L’introduzione del TCF rappresenta un cambio di paradigma: si passa da una logica punitiva a una logica di prevenzione, compliance e miglioramento organizzativo. Le imprese che aderiscono non solo riducono il rischio di sanzioni, ma dimostrano anche una maturità fiscale che può migliorare la loro reputazione presso investitori, banche e stakeholder.

Il TCF diventa così un tassello centrale nella governance moderna d’impresa, contribuendo a rendere la fiscalità un asset strategico, piuttosto che un mero costo o vincolo normativo.

Requisiti, documentazione e certificazione

L’adozione del Tax Control Framework opzionale richiede un percorso strutturato e documentato, che va ben oltre una semplice formalità. Il contribuente che intende esercitare l’opzione deve trasmettere telematicamente una comunicazione all’Agenzia delle Entrate, efficace dall’inizio del periodo d’imposta. Tuttavia, perché l’opzione sia valida, è indispensabile che prima dell’invio l’impresa abbia già implementato e documentato integralmente il proprio sistema di controllo del rischio fiscale.

Ai sensi dell’art. 2, comma 3, del DM 9 luglio 2025, la documentazione da predisporre include:

  • una descrizione dell’attività dell’impresa;

  • la strategia fiscale, approvata dall’organo amministrativo in data anteriore all’opzione;

  • il Tax Compliance Model (documento di sistema);

  • la mappa dei processi aziendali;

  • la mappa dei rischi fiscali;

  • la certificazione del TCF.

Quest’ultima è un elemento cardine e rappresenta la vera innovazione rispetto al precedente “modello aperto”. Come previsto dall’art. 3, comma 5, la certificazione deve avere data certa anteriore all’esercizio dell’opzione. Inoltre, viene rilasciata da professionisti indipendenti, come dottori commercialisti o avvocati, che ne attestano la corretta implementazione e la coerenza con i presidi contabili adottati.

Le Linee guida settoriali (industria: provv. AE 29 ottobre 2025; assicurazioni: provv. AE 7 agosto 2025) fissano standard minimi comuni, con particolare attenzione alla mappatura dei rischi fiscali, anche quelli derivanti dai principi contabili applicati. In assenza di modelli di controllo come la legge 262/2005 o il Sarbanes-Oxley Act, l’impresa deve integrare il TCF con controlli contabili chiave, formalizzati nella risk and control matrix (RCMs).

Tax Control Framework opzionale - Commercialista.it

Durata, aggiornamenti e criticità

Uno degli aspetti più delicati del nuovo regime TCF opzionale riguarda la sua durata e le modalità di aggiornamento della certificazione e della mappatura dei rischi. Il Decreto Ministeriale 9 luglio 2025 stabilisce che l’opzione ha valenza biennale, con rinnovo tacito per altri due periodi d’imposta, salvo revoca esplicita da parte dell’impresa (art. 6 DM).

Fin qui, sembrerebbe un meccanismo semplice e lineare. Tuttavia, la frequenza di aggiornamento dei documenti imposti dalle Linee guida settoriali introduce un importante elemento di complessità. La certificazione del sistema TCF, infatti, ha durata triennale, ma la Risk and Control Matrix (RCMs) deve essere aggiornata almeno una volta all’anno. Questo significa che, durante un singolo ciclo di opzione, un’impresa potrebbe dover gestire più aggiornamenti della RCMs, anche senza dover necessariamente ottenere una nuova certificazione.

Questa non coincidenza temporale può generare un aggravio operativo e finanziario non trascurabile, soprattutto per le imprese di media dimensione, che rappresentano il target primario di questo strumento. In pratica, l’impresa deve essere in grado di aggiornare e mantenere in piena operatività la propria mappa dei rischi e il sistema di controllo interno, senza però potersi avvalere ogni volta dei benefici della nuova certificazione.

Le Linee guida chiariscono che tali aggiornamenti non richiedono una nuova certificazione, ma devono essere coerenti con il modello certificato e documentati in modo adeguato. Inoltre, la perdita di uno dei requisiti fondamentali – come indicato all’art. 5, comma 5 del DM – comporta la decadenza immediata dai benefici sanzionatori, con effetto retroattivo a inizio periodo d’imposta. Questo rafforza la necessità di un presidio costante e aggiornato, pena l’invalidazione dell’intero sistema.

In sintesi, il TCF opzionale è sì un’opportunità, ma richiede organizzazione, risorse e continuità, elementi che non tutte le imprese potrebbero sostenere con facilità.

Benefici del TCF opzionale

Uno degli elementi che rendono il Tax Control Framework opzionale particolarmente attrattivo per le imprese è la possibilità di accedere a benefici premiali rilevanti, soprattutto sul piano sanzionatorio e penale. Questi vantaggi sono previsti dagli articoli 4 e 5 del Decreto Ministeriale 9 luglio 2025, ma non sono automatici: richiedono il rispetto di specifiche condizioni, tra cui la presentazione di interpelli preventivi.

In particolare, l’art. 5 del decreto stabilisce che, qualora l’impresa presenti un interpello ex art. 11 della Legge n. 212/2000 in modo circostanziato e preventivo, questo può produrre due importanti effetti:

  1. Esclusione delle sanzioni amministrative in caso di errore, purché il comportamento sia coerente con quanto indicato nell’interpello.

  2. Esclusione della punibilità penale per il reato di dichiarazione infedele (art. 4 del D.lgs. 74/2000), ma solo entro i limiti degli elementi attivi indicati nell’istanza e nel rispetto dei requisiti di ammissibilità.

Il valore di questa previsione è duplice: da un lato tutela l’impresa in caso di incertezze normative o interpretative, dall’altro incentiva un rapporto trasparente e anticipato con il Fisco, coerente con la logica della cooperative compliance. Tuttavia, questi benefici si applicano solo se l’interpello è presentato agli uffici competenti (come individuati dai provvedimenti AE del 4.1.2016 n. 27 e del 1.3.2018 n. 47688) e prima del comportamento oggetto di analisi.

Va infine sottolineato che il mancato rispetto dei requisiti o la perdita degli stessi durante il periodo d’imposta comporta la decadenza dai benefici, con effetti retroattivi. Per questo è fondamentale che l’impresa mantenga aggiornato il proprio sistema di controllo e monitoraggio del rischio fiscale.

I vantaggi sono concreti e importanti, ma richiedono disciplina, tempestività e rigore documentale.

Tax Control Framework opzionale - Commercialista.it

Governance, reputazione e ESG

Oltre agli evidenti benefici sul piano sanzionatorio e penale, l’adozione del Tax Control Framework opzionale porta con sé una serie di vantaggi indiretti, che incidono in modo profondo sulla qualità della governance e sull’immagine dell’impresa nel mercato.

Implementare un TCF significa, innanzitutto, dotarsi di procedure fiscalmente trasparenti, formalizzate e tracciabili. Questo approccio migliora la gestione interna dei processi aziendali, rendendo l’impresa più solida, più controllabile e meglio strutturata anche agli occhi di banche, investitori, clienti e fornitori. In particolare, la predisposizione di una mappa dei rischi aggiornata e l’esistenza di presidi contabili ben definiti offrono garanzie concrete sulla capacità dell’impresa di rispettare le normative e gestire eventuali criticità fiscali in modo proattivo.

Un altro aspetto da non sottovalutare è il profilo ESG (Environmental, Social and Governance). Le Linee guida dell’Agenzia delle Entrate evidenziano come la gestione responsabile del rischio fiscale sia oggi considerata una componente fondamentale della sostenibilità aziendale, soprattutto nella parte “Governance”. Questo significa che un TCF ben strutturato può contribuire a migliorare il rating ESG dell’impresa, elemento sempre più rilevante per attrarre capitali, partecipare a bandi pubblici e soddisfare i criteri richiesti da clienti multinazionali.

Infine, integrando il TCF con altri modelli organizzativi, come quello previsto dal D.lgs. 231/2001, è possibile rafforzare il sistema di controllo interno e prevenire il rischio di responsabilità amministrativa da reato. Ciò si traduce in una maggiore resilienza aziendale e in un rafforzamento della reputazione nel lungo periodo.

In un mercato sempre più orientato alla trasparenza e alla sostenibilità, il TCF si configura non solo come strumento fiscale, ma come leva strategica per la competitività.

Costi, oneri e sostenibilità 

Nonostante il Tax Control Framework opzionale sia stato progettato come strumento di compliance accessibile anche alle imprese non “grandi”, nella pratica permangono ostacoli significativi che potrebbero limitarne l’adozione su larga scala, soprattutto tra le PMI.

Il primo elemento critico riguarda i costi di implementazione e mantenimento del sistema. La predisposizione della documentazione richiesta — tra cui il Tax Compliance Model, la mappa dei rischi, la RCMs e, soprattutto, la certificazione professionale — comporta un onere economico rilevante. Non tutte le imprese sono strutturate per sostenere questi processi in autonomia e potrebbero dover ricorrere a consulenti esterni, con impatti diretti sul budget.

Inoltre, la necessità di aggiornamenti periodici, in particolare della Risk and Control Matrix (almeno una volta all’anno) e della certificazione (ogni tre anni), richiede un impegno continuativo e una struttura organizzativa capace di gestire il sistema in modo stabile e professionale. Per molte PMI, questa complessità rischia di vanificare l’obiettivo di semplificazione e accessibilità del nuovo strumento.

Altro punto critico è la scarsa automatizzazione del processo di adesione e gestione: non esistono (almeno per ora) piattaforme centralizzate o modelli digitali standardizzati per supportare le imprese nel percorso di adozione del TCF. Questo obbliga ciascuna realtà a costruire un sistema “su misura”, aumentando la variabilità nei contenuti e, di conseguenza, l’incertezza su cosa effettivamente sia considerato conforme.

Se non adeguatamente calibrato, il TCF rischia di trasformarsi da opportunità a fardello, vanificando lo scopo per cui è nato: promuovere trasparenza, fiducia e prevenzione in modo realmente sostenibile.

Conclusione 

Il Tax Control Framework opzionale rappresenta una delle novità più significative introdotte dalla recente riforma fiscale italiana in materia di compliance e governance d’impresa. La sua struttura, ispirata ai principi della cooperative compliance, mira a estendere anche alle imprese di dimensioni intermedie la possibilità di dialogare preventivamente con l’Amministrazione finanziaria, riducendo i rischi fiscali e migliorando la qualità dei processi interni.

Se ben implementato, il TCF può generare vantaggi concreti e misurabili: dall’esclusione delle sanzioni amministrative alla non punibilità penale in specifici casi, fino al miglioramento del rating reputazionale ed ESG. È però evidente che, per trasformarsi da mero adempimento a leva strategica, il sistema deve essere sostenibile e accessibile, soprattutto per le PMI, che rappresentano l’ossatura del tessuto produttivo italiano.

La standardizzazione delle Linee guida settoriali, la semplificazione degli oneri documentali e la digitalizzazione delle procedure saranno fattori determinanti per garantire una reale diffusione del TCF opzionale. In assenza di questi interventi, lo strumento rischia di rimanere prerogativa di aziende già strutturate, vanificando l’obiettivo di democratizzare l’accesso a un modello di fiscalità collaborativa.

In conclusione, il TCF opzionale è una scommessa sulla trasparenza e sulla responsabilità fiscale, ma il suo successo dipenderà dalla capacità del legislatore e dell’Amministrazione finanziaria di modellarlo sulle esigenze reali delle imprese. Solo così potrà contribuire a rafforzare la cultura della compliance in Italia e a rendere la fiscalità un fattore di competitività, fiducia e sostenibilità.

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