Il Reddito di Libertà riparte. Dopo mesi di attesa e incertezze legate allo stanziamento delle risorse, la misura economica a favore delle donne vittime di violenza torna operativa, con importanti novità per il 2025. Grazie al decreto attuativo pubblicato in Gazzetta Ufficiale e alla nuova circolare INPS, sono stati finalmente sbloccati 32 milioni di euro per il triennio 2024-2026. Una cifra che promette di allargare la platea delle beneficiarie e di dare risposta a quelle migliaia di domande rimaste inevase negli anni precedenti.
Sommario
Il contributo – salito a 500 euro al mese per 12 mesi – rappresenta un aiuto concreto per affrontare spese legate all’abitazione, allo studio dei figli, alla formazione professionale e all’autonomia personale. Ma il Reddito di Libertà è molto più di un semplice sussidio: è uno strumento di emancipazione, pensato per restituire libertà e futuro a donne che hanno avuto il coraggio di dire basta.
In questo articolo scoprirai chi può fare domanda, quali sono i requisiti, come funziona la procedura, quali sono le nuove scadenze, le agevolazioni fiscali per chi supporta il sistema e i dati aggiornati sulle beneficiarie. Un approfondimento utile per chi vuole capire come funziona davvero questa misura e perché oggi è più importante che mai.
Reddito di Libertà
Il Reddito di Libertà torna al centro dell’attenzione con nuove risorse, nuove regole e un messaggio forte: offrire un’ancora concreta alle donne che vogliono ricostruire la propria vita dopo aver subito violenza. Si tratta di un contributo economico mensile pari a 500 euro (fino al 2023 era di 400 euro), erogato per un periodo massimo di 12 mesi, destinato a donne che hanno intrapreso un percorso di uscita da situazioni di abuso, spesso accompagnate da figli minori.
L’obiettivo principale della misura è quello di favorire l’autonomia economica e abitativa, consentendo alle beneficiarie di affrontare le spese per l’alloggio, la formazione, lo studio dei figli e tutte quelle necessità fondamentali per costruire una nuova vita libera e sicura. Una misura che non vuole essere assistenzialismo, ma un mezzo per ricostruire dignità e indipendenza.
La vera svolta è arrivata con il decreto del 2 dicembre 2024 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 52 del 4 marzo 2025), che ha finalmente sbloccato i fondi attesi da quasi un anno. Parliamo di 32 milioni di euro per il triennio 2024-2026, così distribuiti: 10 milioni per il 2024, 11 milioni sia per il 2025 che per il 2026. A partire dal 2027, lo stanziamento annuo sarà di 7 milioni di euro. Il successivo passo operativo è stato compiuto dall’INPS, che con la circolare n. 54 del 5 marzo 2025 ha stabilito modalità, tempistiche e requisiti per la presentazione delle domande, sia in fase transitoria sia a regime.
Nuova finestra per le domande respinte
Una delle novità più significative introdotte dalla recente circolare INPS n. 54/2025 è la creazione di una finestra transitoria, della durata di 45 giorni, aperta dal 5 marzo al 18 aprile 2025, destinata a riaccogliere tutte quelle domande precedentemente respinte per esaurimento dei fondi. Si tratta di una svolta attesa da tempo, considerando l’alto numero di richieste che negli anni passati non hanno trovato risposta a causa della limitata disponibilità economica.
Secondo i dati ufficiali del Dipartimento per le Pari Opportunità, dal 2020 al 2024 sono state presentate all’INPS 6.079 domande, ma ben 3.006 di queste sono rimaste senza risposta per carenza di risorse. Nel periodo 2020-2023, infatti, erano stati stanziati solo 13,85 milioni di euro, insufficienti a coprire il fabbisogno reale. Ora, grazie allo sblocco dei fondi previsto dal nuovo decreto, queste domande potranno essere riesaminate e ri-presentate.
Le domande vanno trasmesse esclusivamente tramite i Comuni, ai quali spetta il compito di verificare la sussistenza dei requisiti richiesti per accedere al beneficio. Il ruolo degli enti locali, quindi, si conferma centrale non solo nell’accoglienza delle istanze ma anche nel supporto alle donne nei percorsi di autonomia e inserimento.
Per chi è rimasta fuori negli anni passati, questa rappresenta un’occasione preziosa per ottenere un contributo che può davvero fare la differenza. Ma il tempo è limitato: il termine ultimo è il 18 aprile 2025.
Come e quando presentare domanda
Conclusa la fase transitoria del Reddito di Libertà, che termina il 18 aprile 2025, si apre una nuova fase “a regime” che stabilisce le modalità ordinarie di presentazione delle domande fino alla fine dell’anno.
Dal 18 aprile al 31 dicembre 2025, tutte le donne in possesso dei requisiti previsti dalla normativa potranno presentare richiesta per ottenere il contributo, comprese coloro che non avevano partecipato alla fase transitoria o che, pur avendo i requisiti, non avevano ancora inoltrato domanda.
A partire dal 2026, il sistema entrerà definitivamente a regime, con una finestra aperta tutto l’anno: sarà infatti possibile presentare domanda in qualsiasi momento, dal 1° gennaio al 31 dicembre, sempre tramite il Comune di residenza, che ha il compito di verificare la presenza dei requisiti e trasmettere la documentazione all’INPS.
Un aspetto importante chiarito dal decreto attuativo (art. 2) riguarda la gestione delle risorse: i fondi sono ripartiti tra le Regioni, ma ogni Regione ha la possibilità di incrementare la propria dotazione economica con risorse proprie.
Queste somme possono essere trasferite direttamente all’INPS, al fine di coprire un maggior numero di richieste o rispondere a un aumento della domanda locale. Questo meccanismo consente un adattamento più flessibile e reattivo alle specifiche esigenze territoriali.
Infine, anche le domande eventualmente non accolte per mancanza di fondi durante l’anno potranno essere riproposte successivamente, mantenendo così attivo il canale di accesso al beneficio anche nei casi di incapienza temporanea del budget disponibile.
A chi spetta il Reddito di Libertà
Per accedere al Reddito di Libertà non basta semplicemente trovarsi in una situazione di disagio economico. Il decreto e la circolare INPS sottolineano con forza l’importanza della regolarità e completezza dei requisiti, che devono essere accertati dai servizi sociali territoriali e dai centri antiviolenza riconosciuti.
Possono accedere al beneficio le donne che:
-
Sono state vittime di violenza accertata e documentata;
-
Risiedono sul territorio italiano, siano esse cittadine italiane, cittadine comunitarie, oppure cittadine di Stati extracomunitari, purché in possesso di un permesso di soggiorno regolare. Sono comprese anche le donne con status di rifugiata politica o protezione sussidiaria;
-
Si trovano in condizione di povertà legata a uno stato di bisogno straordinario o urgente, condizione che deve essere dichiarata e certificata dal servizio sociale professionale del Comune di riferimento;
-
Sono seguite da un centro antiviolenza riconosciuto dalla Regione e da un servizio sociale pubblico.
L’iter per la presentazione della domanda prevede che la beneficiaria si rivolga al Comune di residenza, dove i servizi sociali territoriali – in collaborazione con i centri antiviolenza – certificano il possesso dei requisiti. Il Comune provvede poi a trasmettere la documentazione all’INPS, che eroga direttamente il contributo economico sul conto corrente indicato dalla richiedente.
È quindi fondamentale non solo avere i requisiti richiesti, ma anche essere seguite da un percorso istituzionale già attivo, per garantire che l’aiuto economico sia parte di un progetto di emancipazione reale e strutturato.
Le criticità del passato e le sfide ancora aperte
Nonostante le buone intenzioni alla base del Reddito di Libertà, l’applicazione concreta della misura ha incontrato, fin dalla sua nascita, una serie di criticità strutturali che ne hanno limitato l’efficacia e la diffusione. Uno dei problemi più evidenti è stato lo scarso stanziamento di risorse nei primi anni: basti pensare che, tra il 2020 e il 2023, i fondi complessivamente messi a disposizione sono stati solo 13,85 milioni di euro, insufficienti a coprire l’enorme richiesta proveniente dai territori. Di conseguenza, più della metà delle domande presentate (3.006 su 6.079) non sono state accolte per mancanza di copertura finanziaria.
A questa limitazione si è aggiunto anche il problema di procedure frammentate e poco omogenee: ogni Comune ha adottato modalità operative differenti, generando confusione tra le beneficiarie e spesso rallentando l’invio delle domande. Inoltre, la mancanza di comunicazione diretta tra centri antiviolenza, servizi sociali e INPS ha spesso reso difficile l’accompagnamento completo delle donne lungo il percorso di richiesta.
Con il nuovo decreto del 2 dicembre 2024 e la circolare INPS del marzo 2025, si punta a superare queste inefficienze. Lo stanziamento di 32 milioni per il triennio 2024-2026 garantisce maggiore stabilità economica, e l’apertura della finestra annuale a regime, insieme alla possibilità per le Regioni di integrare con fondi propri, permette un approccio più flessibile e su misura per i bisogni locali.
Tuttavia, resta centrale l’obiettivo di costruire una rete stabile e ben coordinata tra tutti gli attori coinvolti, affinché il Reddito di Libertà diventi davvero un pilastro delle politiche di sostegno alle donne e non una misura emergenziale di breve durata.
Donazioni e sostegno alle donne
Accanto all’azione dello Stato, un ruolo sempre più rilevante è giocato da imprese, fondazioni, associazioni e cittadini privati che scelgono di sostenere economicamente i centri antiviolenza o progetti di reinserimento per donne vittime di violenza. E questo impegno sociale può essere anche premiato dal punto di vista fiscale.
Le donazioni effettuate a enti del Terzo Settore, fondazioni e organizzazioni senza scopo di lucro regolarmente iscritte al RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) possono beneficiare di detrazioni e deduzioni fiscali, come previsto dal Codice del Terzo Settore (D.Lgs. 117/2017).
In particolare:
-
I privati cittadini possono detrare dall’IRPEF il 30% delle donazioni effettuate, fino a un massimo di 30.000 euro annui;
-
Le imprese possono invece dedurre integralmente l’importo donato dal reddito d’impresa, entro il limite del 10% del reddito complessivo dichiarato.
Inoltre, alcune Regioni e Comuni prevedono ulteriori agevolazioni locali per chi sostiene economicamente progetti legati alla lotta contro la violenza di genere.
Oltre al vantaggio fiscale, per le imprese si tratta di un’opportunità di rafforzare la responsabilità sociale d’impresa (CSR), migliorando la propria reputazione e contribuendo a un cambiamento sociale concreto. In un’epoca in cui i consumatori sono sempre più attenti all’etica dei brand, questo tipo di azioni può rappresentare un vero valore aggiunto.
Il profilo delle beneficiarie
Per comprendere a fondo l’impatto del Reddito di Libertà, è essenziale conoscere chi sono le donne che presentano domanda per questo contributo. A fare luce sul profilo delle beneficiarie ci pensa il XXIII Rapporto Annuale INPS, che ha elaborato un dataset su 6.054 donne che hanno richiesto il Reddito di Libertà tra il 2021 e i primi mesi del 2024.
I dati rivelano una realtà variegata, ma con alcune tendenze molto chiare:
-
Quasi il 42% delle richiedenti è nata all’estero, a testimonianza di come la violenza di genere colpisca trasversalmente e come le donne straniere spesso si trovino in condizioni di maggiore vulnerabilità economica e sociale.
-
Il 27,45% delle donne è nata in regioni del Sud o nelle Isole, il 21,42% al Nord e il 9,4% al Centro. Tuttavia, se si guarda alla residenza effettiva, il 46% delle beneficiarie vive nel Mezzogiorno e nelle Isole, segno di una maggiore concentrazione di situazioni critiche in queste aree.
-
Per quanto riguarda l’età, la fascia più rappresentata è quella tra 35 e 54 anni (61% complessivo), con il 36% tra i 35 e i 44 anni e il 26% tra i 45 e i 54 anni. Le donne tra i 25 e i 34 anni costituiscono il 22% delle richiedenti, mentre solo il 10% ha più di 55 anni e appena il 5% meno di 25.
Questa fotografia statistica evidenzia come il Reddito di Libertà si rivolga a una popolazione adulta, spesso con figli a carico e radicata nel territorio, che necessita di un aiuto concreto per rompere un ciclo di dipendenza e isolamento.
Considerazioni finali
Il Reddito di Libertà rappresenta oggi una delle misure più concrete e simbolicamente potenti nel panorama delle politiche sociali italiane. Ma per trasformarsi da strumento emergenziale a presidio strutturale, servono visione, risorse costanti e soprattutto una rete solida di collaborazione tra Stato, Regioni, Comuni, centri antiviolenza e società civile.
Il recente sblocco dei fondi e l’avvio della finestra transitoria segnalano un passo avanti importante, ma le sfide restano numerose. Prima tra tutte, quella della continuità finanziaria: il passaggio a un’erogazione annuale stabile e la possibilità per le Regioni di integrare con risorse proprie rappresentano una base solida, ma non ancora sufficiente per coprire tutto il fabbisogno reale.
In parallelo, è fondamentale semplificare le procedure, garantendo moduli uniformi, canali di comunicazione rapidi tra enti, e soprattutto un maggiore supporto informativo per le donne che, spesso, ignorano l’esistenza stessa del Reddito di Libertà. La formazione degli operatori sociali e il rafforzamento della rete dei centri antiviolenza sono investimenti imprescindibili.
Infine, il ruolo delle imprese e dei privati cittadini, anche attraverso le agevolazioni fiscali sulle donazioni, deve essere incoraggiato e comunicato meglio. Perché la lotta alla violenza di genere non è solo un dovere dello Stato, ma una responsabilità collettiva.
Il Reddito di Libertà non libera solo economicamente: restituisce possibilità, scelta, dignità. E per questo, deve diventare parte integrante di una strategia nazionale permanente per l’emancipazione femminile.