In una recente e significativa sentenza, la Corte di Cassazione ha posto un limite importante all’azione dell’Agenzia delle Entrate: non si possono effettuare controlli fiscali all’interno degli studi professionali se ciò comporta una violazione del segreto professionale. Questo principio, che potrebbe sembrare ovvio a chi esercita una professione tutelata da riservatezza (come avvocati, commercialisti, notai, consulenti), è stato finalmente sancito in modo chiaro dalla Suprema Corte, offrendo una tutela più netta rispetto al passato.
Sommario
La decisione della Cassazione nasce da un caso concreto e ha risvolti importanti per chi svolge attività professionali autonome. Secondo la pronuncia, l’accesso dell’amministrazione finanziaria in un luogo protetto dal segreto professionale senza un’autorizzazione specifica e motivata da parte dell’autorità giudiziaria rappresenta una violazione illegittima della legge. In altre parole, l’Agenzia delle Entrate non può entrare a fare controlli negli studi professionali senza un permesso formale e giustificato. Si tratta di un precedente destinato a fare giurisprudenza, che chiarisce i confini tra poteri di accertamento del Fisco e diritti fondamentali del contribuente, tra cui la privacy e il diritto alla riservatezza.
Questa sentenza è un passo avanti nella definizione dei limiti delle attività ispettive e accresce la consapevolezza dei professionisti su quali siano i loro diritti in caso di verifiche fiscali. Ma cosa cambia, nella pratica, per gli studi professionali?
Tutela del segreto professionale
La recente pronuncia della Corte di Cassazione rappresenta una svolta epocale nella disciplina dei controlli fiscali negli studi professionali. Avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e altri professionisti iscritti a ordini tutelati dal segreto professionale possono finalmente contare su una protezione più solida contro accessi e sequestri indiscriminati da parte del Fisco. La Suprema Corte ha infatti stabilito che la riservatezza tra professionista e cliente non è una semplice cortesia istituzionale, ma un diritto pienamente garantito dall’ordinamento giuridico, anche in ambito tributario.
La vicenda che ha portato alla sentenza ha origine da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza presso uno studio legale. Durante l’ispezione, i militari hanno individuato un block-notes contenente nomi di clienti, compensi e altre informazioni riservate, ritenendolo rilevante ai fini dell’accertamento. L’avvocato, tuttavia, si è opposto al sequestro facendo valere il segreto professionale, previsto dalla legge per proteggere il rapporto fiduciario con i clienti. I finanzieri, dal canto loro, hanno esibito un’autorizzazione della Procura, rilasciata prima del controllo e in termini generici, che avrebbe consentito la deroga al segreto.
Il punto cruciale è proprio qui: quell’autorizzazione non era né specifica né riferita al caso concreto sollevato durante la verifica, e per questo non poteva giustificare il sequestro dei documenti. Ne è nato un contenzioso durato anni e arrivato fino in Cassazione, che ha definitivamente chiarito come, in assenza di un’autorizzazione dettagliata e motivata, il sequestro di atti coperti da segreto professionale è da considerarsi illegittimo.
Il principio della Cassazione
Con l’ordinanza n. 17228 del 26 giugno 2025, la Corte di Cassazione ha introdotto un principio destinato a fare giurisprudenza: non è più sufficiente un’autorizzazione generica della Procura per consentire sequestri che violano il segreto professionale. Quando un professionista – avvocato, commercialista, consulente o notaio – solleva formalmente l’eccezione di segretezza, la Guardia di Finanza deve interrompere immediatamente il controllo su quei documenti e rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere un decreto specifico, successivo all’opposizione e mirato ai documenti in questione.
Il provvedimento del magistrato, quindi, non può essere preventivo e generico, ma deve essere dettagliato, indicando con precisione quali atti possono essere visionati o acquisiti e per quali ragioni. Questo non impedisce l’azione dell’amministrazione finanziaria, ma la obbliga a rispettare regole procedurali più rigorose.
La ratio della decisione si fonda su un equilibrio: da un lato, la tutela della riservatezza e del rapporto fiduciario tra professionista e cliente, garantita dalla Costituzione e da norme deontologiche; dall’altro, la necessità per lo Stato di esercitare il potere di controllo fiscale in modo giuridicamente corretto e non arbitrario. La Cassazione afferma quindi un principio di civiltà giuridica: il potere pubblico deve rispettare i limiti imposti dal diritto, soprattutto quando sono in gioco diritti fondamentali come la privacy, la libertà professionale e la difesa.
Questa interpretazione segna un cambiamento importante anche per la prassi operativa della Guardia di Finanza, che dovrà adattare i suoi metodi investigativi ai nuovi vincoli giurisprudenziali.

Conseguenze pratiche
Le ricadute pratiche della sentenza della Cassazione sono tutt’altro che teoriche: sono immediate, concrete e di enorme rilievo per il mondo delle professioni. L’articolo 7-quinquies dello Statuto del contribuente (Legge n. 212/2000) è chiaro: le prove acquisite in violazione di legge sono inutilizzabili in sede di accertamento tributario. Questo significa che, qualora la Guardia di Finanza sequestri documenti senza l’autorizzazione specifica prevista dalla Cassazione, l’intero atto impositivo basato su quei documenti è nullo.
Non si tratta di un principio astratto o di una tutela solo formale. Anche le stesse circolari interne della Guardia di Finanza ribadiscono la necessità di ottenere un provvedimento giudiziario ad hoc nei casi in cui venga eccepito il segreto professionale. Tuttavia, come dimostra il caso esaminato dalla Suprema Corte, le prassi operative non sempre rispettano le regole, causando contenziosi che si trascinano per anni e generano costi economici e danni reputazionali per i professionisti coinvolti.
Questa decisione rappresenta quindi un punto di svolta epocale. Rafforza in modo netto i diritti dei professionisti iscritti ad albi e ordini e sottolinea che il segreto professionale è un confine invalicabile, che lo Stato deve rispettare. Non sarà più possibile per gli organi di controllo effettuare accessi “a sorpresa” negli studi e procedere al sequestro indiscriminato di fascicoli, agende, note interne o appunti contenenti informazioni riservate. Il principio stabilito è chiaro: solo con autorizzazioni specifiche e giustificate si potrà oltrepassare questa barriera.
Una tutela che non protegge solo i professionisti, ma anche i diritti dei loro clienti e la trasparenza dell’intero sistema fiscale.
Nuove regole e cautele operative
La sentenza della Cassazione introduce un cambiamento sostanziale anche nella gestione quotidiana degli studi professionali. Se prima i controlli fiscali da parte della Guardia di Finanza potevano avvenire anche in modo piuttosto invasivo, oggi i professionisti possono contare su una linea di difesa giuridicamente solida: qualsiasi documento contenente dati coperti da segreto professionale non può essere acquisito senza un decreto motivato dell’autorità giudiziaria, successivo all’opposizione. Questo implica, per i professionisti, la necessità di essere informati, pronti e strutturati per opporre in modo corretto l’eccezione al momento dell’accesso.
Sarà quindi fondamentale dotarsi di procedure interne chiare e formazione del personale, affinché anche i collaboratori sappiano come comportarsi in caso di verifiche. La prima regola è: mai opporsi in modo generico, ma indicare puntualmente quali documenti sono coperti da segreto, perché e in che contesto sono stati prodotti. La Guardia di Finanza, dal canto suo, sarà obbligata a interrompere l’attività su quei documenti e chiedere l’autorizzazione giudiziaria.
Inoltre, la sentenza rende ancora più rilevante l’adozione di una corretta tenuta documentale, distinguendo nettamente tra documentazione fiscale e materiale coperto da riservatezza professionale. Questo approccio riduce il rischio di contestazioni e rafforza la posizione del professionista in sede di eventuale contenzioso.
In sintesi, non si tratta solo di un nuovo vincolo per il Fisco, ma di un’occasione per gli studi di rafforzare la compliance e la cultura della legalità, assicurando al tempo stesso una maggiore tutela del rapporto fiduciario con il cliente.

Potere fiscale e diritti del contribuente
La decisione della Cassazione segna anche un importante momento di riflessione sul rapporto tra poteri pubblici e diritti costituzionali. Per anni, il principio della collaborazione tra contribuente e amministrazione finanziaria è stato utilizzato anche come giustificazione per attività ispettive molto incisive, talvolta al limite della legalità. Con questa sentenza, invece, la Suprema Corte ristabilisce una gerarchia chiara: i diritti fondamentali del contribuente, come la riservatezza e il segreto professionale, non sono sacrificabili in nome dell’efficienza fiscale.
Questo rappresenta un riequilibrio importante. Non si mette in discussione la legittimità dei controlli fiscali, ma si afferma che devono essere condotti nel rispetto delle garanzie previste dalla legge, soprattutto quando sono in gioco informazioni sensibili. Il messaggio della Corte è inequivocabile: il fine – anche se pubblico e rilevante – non giustifica qualsiasi mezzo.
Il contribuente, soprattutto se professionista, torna quindi al centro del sistema, non più come soggetto passivo da ispezionare, ma come individuo titolare di diritti che lo Stato deve rispettare. Questo orientamento rafforza anche l’idea di uno Stato di diritto, in cui gli abusi di potere vengono riconosciuti e corretti attraverso il controllo giurisdizionale.
In ultima analisi, si può parlare di una vera e propria affermazione della civiltà giuridica nel diritto tributario, che pone le basi per una stagione più trasparente e bilanciata nei rapporti tra contribuenti e amministrazione finanziaria.
Strumenti e strategie di tutela
Alla luce della nuova pronuncia della Cassazione, diventa fondamentale per ogni studio professionale adottare un approccio strategico e consapevole per gestire correttamente un accesso fiscale. Il primo strumento di tutela è, ovviamente, la conoscenza della normativa e della giurisprudenza recente, inclusa l’ordinanza n. 17228/2025. Sapere che il sequestro di documenti coperti da segreto professionale è illegittimo senza una specifica autorizzazione del giudice, consente al professionista di opporsi in modo tempestivo e motivato, evitando errori che potrebbero compromettere la validità dell’opposizione.
È consigliabile predisporre una checklist operativa interna che stabilisca come comportarsi in caso di verifica, indicando:
- chi può interfacciarsi con gli ispettori,
- come identificare i documenti protetti da segreto,
- in che modo formalizzare l’opposizione,
- quando e come chiedere l’intervento di un legale.
Oltre agli aspetti procedurali, anche la gestione documentale deve essere rivista: separare chiaramente i fascicoli dei clienti (contenenti informazioni riservate) dalla documentazione puramente contabile o amministrativa può fare la differenza nel momento in cui viene contestato un sequestro. Meglio ancora se i documenti sensibili sono archiviati con modalità che rendano evidente la loro natura riservata, ad esempio con appositi fascicoli siglati, note di riservatezza o digitalizzazione protetta.
Infine, è sempre utile documentare ogni fase del controllo, anche tramite relazioni interne o PEC, in modo da avere una traccia formale da esibire in caso di successivo contenzioso. Il rispetto delle forme, in questi casi, può diventare lo strumento più efficace di difesa fiscale.
Conclusione
La sentenza n. 17228/2025 della Corte di Cassazione rappresenta un punto di svolta fondamentale nei rapporti tra professionisti e fisco. Per la prima volta con questa chiarezza, si stabilisce che il segreto professionale non può essere violato da controlli generici, nemmeno se autorizzati preventivamente. Solo un decreto del magistrato, successivo all’opposizione e riferito a documenti specifici, può legittimare l’acquisizione di atti coperti da riservatezza.
In un periodo storico in cui i controlli fiscali si sono intensificati e dove spesso i professionisti si trovano in balia di interpretazioni arbitrarie delle norme, questa sentenza ridisegna i confini del potere ispettivo dello Stato e rafforza la posizione dei contribuenti. Non si tratta di un via libera all’elusione, ma di un richiamo forte al rispetto delle regole e alla necessità di equilibrio tra esigenze erariali e diritti costituzionali.
Per gli studi professionali, questo rappresenta anche un’opportunità: quella di rafforzare la propria organizzazione interna, aggiornare le procedure di gestione documentale, formare il personale e soprattutto conoscere a fondo i propri diritti. Essere preparati significa evitare abusi e prevenire contenziosi, proteggendo non solo sé stessi, ma anche la fiducia dei propri clienti.
Il messaggio della Cassazione è chiaro: la legalità vale per tutti, anche per il Fisco. E chi conosce le regole, oggi più che mai, è in grado di difendersi meglio.

