9.1 C
Rome
giovedì 30 Ottobre 2025

Regime Impatriati: tutte le regole, i vincoli e le opportunità fiscali per chi rientra in Italia

Negli ultimi anni, l’Italia ha cercato di contrastare la cosiddetta “fuga dei cervelli” adottando misure fiscali di favore volte a incentivare il rientro dei lavoratori altamente qualificati. Con l’entrata in vigore dell’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 209/2023, il legislatore ha completamente riformulato il regime agevolativo per gli impatriati, rendendolo più selettivo e coerente con l’obiettivo dichiarato: attrarre capitale umano altamente specializzato, che abbia realmente maturato esperienza e competenze professionali all’estero.

Il nuovo regime, operativo dal 1° gennaio 2024, si applica ai contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a partire da tale data e sostituisce il precedente impianto normativo regolato dall’articolo 16 del D.Lgs. 147/2015. Tuttavia, rispetto al passato, i benefici sono oggi subordinati a requisiti più stringenti: non basta rientrare in Italia, ma è necessario dimostrare un effettivo distacco dal tessuto economico nazionale durante il periodo trascorso all’estero.

La finalità è chiara: evitare che il vantaggio fiscale venga sfruttato in maniera opportunistica da soggetti che, di fatto, non si sono mai realmente staccati dal contesto lavorativo italiano, garantendo così che l’agevolazione premi chi porta valore aggiunto, innovazione e know-how.

In questo articolo analizziamo in dettaglio tutte le regole del nuovo regime impatriati, i vincoli introdotti, le interpretazioni della prassi e le opportunità fiscali che ne derivano. Una guida completa per orientarsi nella normativa in vigore.

Vantaggi fiscali 

Il cuore del nuovo regime impatriati è rappresentato da un importante beneficio fiscale: la parziale esclusione dei redditi imponibili di lavoro dipendente, autonomo e assimilato prodotti in Italia. In termini pratici, il 50% del reddito percepito non concorre alla formazione del reddito complessivo, riducendo notevolmente la base imponibile su cui calcolare le imposte.

Tale percentuale di esclusione si riduce al 40% per i lavoratori con figli minori a carico, introducendo quindi un vincolo aggiuntivo che potrebbe rendere il regime meno vantaggioso per chi ha una famiglia a carico rispetto alla precedente normativa.

L’agevolazione ha una durata massima di cinque anni, con un tetto di reddito agevolabile fissato a 600.000 euro l’anno. Superato questo limite, il reddito eccedente torna a essere pienamente imponibile. Una novità che mira a limitare gli abusi del passato e a concentrare il beneficio su lavoratori con redditi mediamente elevati, ma non ultra-milionari.

Per poter accedere al regime, il lavoratore deve soddisfare una serie di requisiti stringenti e cumulativi:

  • Trasferire la residenza fiscale in Italia dal 2024 in poi (ai sensi dell’art. 2, comma 2 del TUIR);

  • Impegnarsi a mantenerla per almeno 4 periodi d’imposta consecutivi;

  • Svolgere la propria attività lavorativa prevalentemente in Italia;

  • Non essere stato residente fiscalmente in Italia nei 3, 6 o 7 anni precedenti, in base alla natura del rapporto con il datore di lavoro;

  • Possedere una qualifica di elevata specializzazione o qualificazione, secondo quanto definito dal D.Lgs. 108/2012 (per cittadini extra-UE) o dal D.Lgs. 206/2007 (per cittadini UE).

Il requisito della non residenza fiscale

Il fulcro del nuovo regime impatriati 2024 è rappresentato dal requisito della non residenza fiscale in Italia, che si presenta oggi in una forma molto più articolata e selettiva rispetto al passato.

Il legislatore, infatti, ha introdotto tre soglie temporali differenziate in funzione della pregressa relazione tra il lavoratore e il datore di lavoro italiano (o estero collegato).

La soglia minima è di tre periodi d’imposta. Questa si applica solo se il contribuente:

  • non ha mai lavorato per soggetti italiani;

  • non ha mai avuto rapporti lavorativi con aziende estere collegate a soggetti italiani;

  • rientra in Italia per iniziare un nuovo rapporto di lavoro con un datore totalmente indipendente.

In presenza di un collegamento societario tra il datore estero e quello italiano, la normativa – richiamando l’art. 2359, comma 1, n. 1) del Codice civile – estende l’obbligo di non residenza:

  • a sei periodi d’imposta, se il lavoratore non era mai stato impiegato in Italia per quella società (o gruppo) prima del trasferimento;

  • a sette periodi d’imposta, se in passato aveva già lavorato in Italia per lo stesso soggetto o per un altro appartenente allo stesso gruppo societario.

In questo contesto, il concetto di “gruppo” assume un’importanza strategica. Ai sensi dell’art. 5, comma 2 del D.Lgs. 209/2023, sono considerate collegate le imprese sotto controllo diretto, indiretto o comune.

È quindi fondamentale analizzare non solo la struttura societaria formale, ma anche i rapporti di controllo sostanziale, spesso meno visibili ma ugualmente rilevanti ai fini fiscali.

Regime Impatriati: Tutte le regole - Commercialista.it

“Prima del trasferimento”

Uno degli snodi più delicati del nuovo Regime Impatriati riguarda l’interpretazione temporale della locuzione “prima del trasferimento” contenuta nell’articolo 5, comma 2 del D.Lgs. 209/2023. Comprendere il momento esatto da cui far decorrere l’analisi dei rapporti lavorativi pregressi è essenziale, perché determina l’applicazione della soglia minima o rafforzata di non residenza fiscale (3, 6 o 7 anni).

A fare chiarezza sono intervenute le recenti risposte a interpello n. 41/2025 e n. 142/2025 dell’Agenzia delle Entrate, che escludono una lettura restrittiva del termine. Secondo tali pronunce, “prima del trasferimento” non si riferisce solo all’anno solare precedente il rientro in Italia, ma include anche il periodo che intercorre tra l’inizio dell’anno del rientro e la data effettiva di acquisizione della residenza fiscale in Italia.

Questo significa che, ad esempio, se un lavoratore trasferisce la propria residenza fiscale in Italia il 1° agosto 2024, per valutare eventuali collegamenti con soggetti esteri appartenenti al gruppo del datore italiano, occorrerà esaminare l’intero arco temporale compreso tra il 1° gennaio e il 31 luglio 2024.

Se in tale periodo il soggetto ha prestato attività lavorativa, anche occasionale o autonoma, per un’azienda estera appartenente al gruppo, si applicherà la soglia di non residenza rafforzata di sei o sette anni, in base all’eventuale lavoro pregresso in Italia con lo stesso gruppo. Questo approccio estensivo impedisce l’uso strategico del rientro “a cavallo d’anno” per ottenere un accesso facilitato all’agevolazione.

Sospensione e attività autonoma

Uno scenario piuttosto comune tra i lavoratori impatriati è quello della sospensione del rapporto di lavoro con un datore italiano durante un periodo di distacco all’estero. A questo proposito, la risposta a interpello n. 142/2025 ha offerto un chiarimento importante: la mera esistenza formale di un contratto sospeso non impedisce l’accesso al regime impatriati, purché manchi una continuità operativa reale.

In sostanza, se il contratto con il datore italiano è stato sospeso, senza corresponsione di retribuzioni, contributi o prestazioni effettive, e non vi è un legame societario tra il soggetto estero presso cui si lavora e il datore italiano, il contribuente può beneficiare della soglia minima dei tre anni di non residenza. La chiave interpretativa si basa sull’effettiva discontinuità lavorativa e societaria, non sulla sola esistenza di un vincolo contrattuale giuridicamente in essere ma non attivo.

Discorso diverso invece per i lavoratori autonomi. Con la risposta a interpello n. 53/2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la continuità sostanziale dell’attività svolta rileva ai fini dell’estensione del periodo di non residenza richiesto, indipendentemente dalla forma giuridica del rapporto.

Se un contribuente cessa un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto estero ma prosegue l’attività in forma autonoma per lo stesso soggetto (o per un’impresa appartenente allo stesso gruppo ai sensi dell’art. 2359 c.c.), il regime agevolativo potrà essere applicato solo se siano rispettati i sei o sette anni di non residenza, in funzione della pregressa esperienza in Italia.

Questo approccio dimostra come il legislatore e la prassi mirino a premiare non solo la forma, ma la sostanza dei percorsi professionali, evitando scorciatoie o simulazioni.

Convenzioni internazionali

Nel nuovo assetto normativo del regime impatriati, un tema particolarmente rilevante ma spesso sottovalutato è quello della rilevanza delle convenzioni contro le doppie imposizioni ai fini della determinazione della residenza fiscale nei periodi antecedenti al rientro in Italia. La questione è cruciale, in quanto incide direttamente sulla possibilità di accedere o meno all’agevolazione.

Il D.Lgs. 209/2023, all’art. 5, comma 6, stabilisce che solo per i periodi d’imposta fino al 2023 i cittadini italiani non iscritti all’AIRE possano dimostrare la loro residenza fiscale estera secondo i criteri convenzionali internazionali, attraverso l’applicazione delle tie-breaker rules previste dalle convenzioni contro le doppie imposizioni.

Queste regole convenzionali consentono, in caso di doppia residenza, di risolvere il conflitto individuando un unico Stato di residenza fiscale prevalente (in genere in base a criteri come la residenza abituale, il centro degli interessi vitali, il domicilio permanente, ecc.).

Tuttavia, a partire dal 2024, questa possibilità non è più contemplata.

In assenza di un’esplicita estensione normativa, la residenza fiscale viene valutata esclusivamente secondo i criteri interni previsti dall’art. 2, comma 2, del TUIR, che tengono conto di:

  • iscrizione all’anagrafe della popolazione residente;

  • domicilio;

  • residenza ai sensi del codice civile.

Ciò significa che, anche se un contribuente risultasse residente all’estero in base a una convenzione contro le doppie imposizioni, potrebbe comunque essere considerato residente fiscale in Italia secondo il diritto interno, precludendo così l’accesso al regime impatriati. Una rigidità normativa che impone grande cautela nella pianificazione del rientro.

Regime Impatriati: Tutte le regole - Commercialista.it

Ruolo del professionista

Alla luce della complessità del nuovo regime impatriati introdotto dal D.Lgs. 209/2023, risulta evidente come l’accesso legittimo al beneficio fiscale non possa essere lasciato al caso o a una lettura superficiale della norma. L’applicazione del regime richiede un’attenta valutazione preventiva, che tenga conto di ogni singolo elemento della posizione del contribuente, sia sul piano formale che sostanziale.

In questo scenario, il ruolo del professionista fiscale è diventato più centrale che mai. Non si tratta soltanto di verificare la documentazione anagrafica o contrattuale, ma di ricostruire il percorso lavorativo e fiscale del soggetto nel tempo, analizzando:

  • la residenza fiscale pregressa, nei termini richiesti dai commi 2 e 6 dell’art. 5;

  • i rapporti lavorativi avuti con soggetti italiani e/o esteri;

  • l’eventuale esistenza di legami societari ai sensi dell’art. 2359 c.c.;

  • la natura effettiva dell’attività svolta (dipendente, autonoma, professionale);

  • la qualifica del soggetto, che deve possedere elevata specializzazione o qualificazione ai sensi del D.Lgs. 108/2012 o del D.Lgs. 206/2007.

Ogni errore o sottovalutazione può comportare l’inapplicabilità dell’agevolazione, con conseguenze significative in termini di accertamenti fiscali e recuperi d’imposta. Per questo motivo, in molti casi è opportuno predisporre interpelli preventivi rivolti all’Agenzia delle Entrate, al fine di ottenere una posizione ufficiale e tracciabile su casi specifici o borderline.

In definitiva, l’approccio metodico, prudente e documentato rappresenta la via più sicura per accedere al regime impatriati in modo legittimo e sostenibile anche in caso di controlli successivi.

Conclusione

Il nuovo regime impatriati in vigore dal 1° gennaio 2024 rappresenta un cambio di paradigma: non più un’agevolazione generalizzata per chiunque rientri in Italia, ma un incentivo mirato, pensato per attrarre lavoratori con competenze elevate e realmente maturate all’estero. L’accesso al beneficio è oggi subordinato a requisiti più selettivi, controlli più stringenti e una maggiore attenzione alla sostanza economica delle situazioni personali e professionali.

Tuttavia, proprio questa selettività rende il regime più credibile, più trasparente e potenzialmente più efficace nel trattenere sul lungo termine capitale umano qualificato. Per i contribuenti in possesso dei requisiti, l’agevolazione resta significativa e concreta, con un’esclusione del 50% (o 40%) del reddito imponibile fino a 600.000 euro all’anno per cinque anni. Ma ottenere il beneficio richiede una preparazione accurata, una valutazione professionale documentata e, spesso, un confronto preventivo con l’Amministrazione Finanziaria.

In conclusione, il nuovo regime non è per tutti, ma è una grande opportunità per chi può dimostrarne i presupposti. In questo contesto, affidarsi a un commercialista esperto in fiscalità internazionale è non solo utile, ma decisivo. Perché ogni dettaglio conta, e solo una gestione tecnica e preventiva può garantire il corretto e sicuro accesso all’agevolazione.

RICHIEDI UNA CONSULENZA AI NOSTRI PROFESSIONISTI

Abbiamo tutte le risorse necessarie per aiutarti a raggiungere i tuoi obiettivi.
Non esitare, contatta i nostri professionisti oggi stesso per vedere come possiamo aiutarti.
Oppure scrivici all'email info@commercialista.it

Iscriviti alla Newsletter

Privacy

Focus Approfondimenti

Altri Articoli

Iscriviti

Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere aggiornato sul mondo delle normative e legge per il fisco e tributi!

No grazie!