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sabato 7 Giugno 2025
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Lavoratori in Azienda: Cosa cambia con la Legge 76/2025 su utili, governance e partecipazione

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Group of business partners interacting while planning work at meeting

La Legge n. 76/2025, recentemente approvata, apre una nuova era per il mondo del lavoro e per le imprese italiane, introducendo importanti novità in tema di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili delle imprese. Una riforma che, oltre a promuovere l’inclusione economica e gestionale dei dipendenti, si propone come uno strumento strategico per aumentare la produttività aziendale e incentivare un clima di maggiore coesione interna. Il cuore della legge è proprio l’articolo 46 della Costituzione italiana, che da anni attendeva un’applicazione concreta e sistemica.

Il nuovo impianto normativo non è solo un aggiornamento teorico, ma un vero e proprio cambio di paradigma, che mira a consolidare la partecipazione dei lavoratori anche nella governance aziendale, riconoscendone il ruolo centrale all’interno dell’organizzazione produttiva. Le imprese, da parte loro, potranno godere di incentivi fiscali e contributivi, rafforzando così la propria competitività.

Ma cosa prevede nel dettaglio questa nuova legge? Come cambia il rapporto tra lavoratore e impresa? E quali sono i vantaggi, sia per i dipendenti che per i datori di lavoro? In questo articolo analizzeremo tutti i punti salienti della Legge 76/2025, soffermandoci su strumenti attuativi, benefici economici e scenari futuri, con un occhio particolare alla sostenibilità fiscale e all’ottimizzazione dei costi aziendali.

Partecipazione

La Legge 76/2025 ridefinisce il concetto di partecipazione dei lavoratori in azienda attraverso quattro modalità distinte, ognuna delle quali offre nuove possibilità di coinvolgimento diretto nella vita dell’impresa. Questo approccio multidimensionale si propone non solo di aumentare il senso di appartenenza dei dipendenti, ma anche di migliorare il rendimento complessivo del sistema produttivo.

1. Partecipazione gestionale:

È forse la più innovativa tra le forme introdotte. Prevede il coinvolgimento dei lavoratori nei consigli di amministrazione o di sorveglianza, a seconda della struttura societaria (sia monistica che dualistica), tramite rappresentanti nominati secondo le disposizioni dei contratti collettivi e degli statuti aziendali (artt. 3-4). Un cambio di passo significativo per un Paese storicamente restio ad accogliere modelli di cogestione simili a quelli tedeschi.

2. Partecipazione economica e finanziaria:

Consente ai lavoratori di beneficiare direttamente degli utili aziendali. Le imprese che destinano almeno il 10% degli utili ai dipendenti attraverso contrattazione collettiva possono accedere, per il 2025, a una tassazione agevolata su importi fino a 5.000 euro per lavoratore (art. 5). Inoltre, i dividendi derivanti da azioni attribuite al posto dei premi di risultato godono di una esenzione fiscale del 50% fino a 1.500 euro (art. 6), favorendo la diffusione dell’azionariato dei dipendenti.

3. Partecipazione organizzativa:

Si traduce nell’istituzione di commissioni paritetiche con compiti consultivi su innovazione, welfare, inclusione e qualità del lavoro (art. 7). Questa modalità promuove un dialogo costante tra impresa e lavoratori, incentivando anche la creazione di figure aziendali dedicate alla formazione e alla conciliazione vita-lavoro (art. 8). Un’attenzione particolare è riservata alle PMI con meno di 35 dipendenti, che potranno avvalersi degli enti bilaterali per attuare forme partecipative efficaci.

4. Partecipazione consultiva:

Valorizza il ruolo delle rappresentanze sindacali o dei lavoratori tramite la consultazione preventiva su decisioni aziendali strategiche (artt. 9-10). Le decisioni dovranno essere accompagnate da un parere scritto, obbligatoriamente allegato al verbale. Questo strumento aumenta la trasparenza del processo decisionale e rafforza la voce dei lavoratori su temi cruciali come ristrutturazioni, investimenti e piani industriali.

Incentivi fiscali e vantaggi

Uno dei punti di forza della Legge 76/2025 è la creazione di una cornice di vantaggi fiscali tangibili per le imprese che adottano modelli di partecipazione attiva dei lavoratori. L’obiettivo è duplice: da un lato, promuovere una governance più inclusiva; dall’altro, sostenere concretamente chi investe nel benessere e nella motivazione del personale.

Tra i principali incentivi previsti:

  • Imposta sostitutiva agevolata sui premi di partecipazione agli utili: per tutto il 2025, le imprese che riconoscono ai dipendenti una quota pari almeno al 10% degli utili, possono applicare un’imposta sostitutiva agevolata fino a un massimo di 5.000 euro annui per lavoratore (art. 5). Si tratta di un beneficio fiscale non trascurabile, in grado di ridurre il costo del lavoro e migliorare la fidelizzazione del personale.

  • Esenzione IRPEF del 50% sui dividendi derivanti da azioni assegnate in sostituzione dei premi di risultato: l’agevolazione, fino a 1.500 euro annui, rende l’azionariato dei dipendenti ancora più interessante (art. 6). Questa misura avvicina l’Italia a modelli europei consolidati, incentivando una partecipazione anche finanziaria alla vita aziendale.

  • Detrazioni e contributi per l’implementazione delle commissioni paritetiche e per l’introduzione di figure interne legate a formazione, inclusione e welfare (artt. 7-8). Tali spese potranno essere dedotte fiscalmente in base a specifici parametri, che verranno stabiliti con decreto attuativo.

Questi strumenti possono rappresentare una leva strategica anche per le PMI e le startup, che spesso dispongono di budget limitati ma puntano su team motivati e flessibili. La possibilità di offrire ai dipendenti partecipazioni agli utili, benefici fiscali e coinvolgimento decisionale può diventare un vantaggio competitivo, oltre che un modo per attrarre talenti e ridurre il turnover.

Come attuare la partecipazione

Attuare i meccanismi di partecipazione dei lavoratori previsti dalla Legge 76/2025 richiede un’attenta pianificazione da parte delle imprese, sia sotto il profilo giuridico che organizzativo. Fortunatamente, la legge fornisce strumenti flessibili e adattabili a diverse tipologie aziendali, con particolare attenzione alle PMI.

Le fasi operative principali includono:

  1. Revisione dello statuto e/o regolamenti aziendali: per introdurre formalmente i meccanismi partecipativi, è spesso necessario aggiornare gli atti societari, inserendo riferimenti a consigli con rappresentanza dei lavoratori o a sistemi di distribuzione degli utili.

  2. Contrattazione collettiva: molte delle forme di partecipazione, soprattutto economica e gestionale, devono essere regolate attraverso accordi collettivi aziendali o territoriali, in collaborazione con le RSU o i sindacati di riferimento.

  3. Creazione di commissioni paritetiche: l’art. 7 prevede l’istituzione di questi organismi, composti in modo bilanciato da rappresentanti dell’azienda e dei lavoratori. Possono occuparsi di innovazione, benessere organizzativo, inclusione e formazione continua.

  4. Implementazione dei piani di azionariato o premi di risultato: con l’ausilio di consulenti del lavoro e fiscalisti, è possibile strutturare piani di incentivazione legati agli utili, beneficiando delle agevolazioni fiscali previste.

Esempio pratico:

Immaginiamo una PMI manifatturiera con 50 dipendenti, che nel 2025 decide di destinare il 12% del proprio utile netto (pari a 500.000 euro) ai lavoratori. Vengono così distribuiti 60.000 euro in forma di premi individuali (1.200 euro a lavoratore), godendo dell’imposta sostitutiva agevolata prevista dall’art. 5. Parallelamente, l’impresa istituisce una commissione paritetica sulla sicurezza e il benessere, ottenendo detrazioni sulle spese di formazione sostenute.

Risultato? Maggiore coinvolgimento dei dipendenti, clima aziendale più sereno, miglioramento della produttività e risparmio fiscale netto stimato del 18% rispetto al regime ordinario. Un circolo virtuoso, sostenuto da norme chiare e vantaggiose.

Criticità, rischi e best practice

Sebbene la Legge 76/2025 offra grandi potenzialità in termini di efficienza, coesione e vantaggi fiscali, la sua applicazione non è priva di sfide. Alcune criticità possono derivare da resistenze culturali, altre da complicazioni operative e contrattuali. Vediamo quindi quali sono i principali rischi da monitorare e le strategie più efficaci per superarli.

Principali criticità:

  • Rigidità contrattuali: la necessità di regolamentare la partecipazione tramite contratti collettivi può allungare i tempi e complicare il processo, specialmente in assenza di rappresentanze sindacali strutturate.

  • Assenza di cultura partecipativa: molte imprese italiane, soprattutto le PMI, non hanno una tradizione di coinvolgimento attivo dei lavoratori. L’introduzione di questi meccanismi può essere vista come una perdita di controllo da parte della direzione.

  • Costi organizzativi iniziali: istituire commissioni, formare rappresentanti, aggiornare statuti e definire piani di premi può comportare costi e carichi gestionali aggiuntivi, almeno nella fase iniziale.

  • Rischio di conflittualità: se non ben gestita, la partecipazione potrebbe creare sovrapposizioni di ruoli o conflitti tra management e rappresentanti dei lavoratori, specie in contesti poco abituati al dialogo strutturato.

Best practice consigliate:

  1. Pianificazione integrata: prima di introdurre qualsiasi meccanismo partecipativo, è essenziale elaborare un piano strategico interno con il supporto di consulenti del lavoro, fiscalisti e legali.

  2. Formazione congiunta: avviare percorsi di formazione specifica sia per i lavoratori che per i dirigenti aziendali. Capire le finalità della legge e i benefici reciproci è il primo passo per un’applicazione efficace.

  3. Comunicazione trasparente: ogni fase del processo partecipativo dovrebbe essere accompagnata da una comunicazione chiara e strutturata, per evitare fraintendimenti e garantire coerenza tra le intenzioni della direzione e le aspettative dei dipendenti.

  4. Adozione progressiva: per le imprese meno strutturate è consigliabile partire da una singola forma di partecipazione, ad esempio quella economica, e poi estendere gradualmente gli strumenti partecipativi.

  5. Monitoraggio continuo: l’introduzione di un sistema di valutazione dei risultati e di feedback continuo aiuta a correggere eventuali disfunzioni e migliora il clima organizzativo nel medio-lungo termine.

Partecipazione in Europa

L’Italia, con l’introduzione della Legge 76/2025, compie un importante passo in avanti nel panorama europeo, colmando un ritardo storico rispetto a Paesi come la Germania e la Francia, dove la partecipazione dei lavoratori è ormai parte integrante della cultura d’impresa. Confrontare i modelli può offrire spunti utili per migliorare l’applicazione italiana e comprenderne le potenzialità evolutive.

Il modello tedesco: la Mitbestimmung

La Mitbestimmung, ovvero la cogestione tedesca, è uno dei sistemi più evoluti al mondo. Nelle grandi imprese tedesche (oltre 2.000 dipendenti), i rappresentanti dei lavoratori occupano la metà dei seggi nel consiglio di sorveglianza. Anche nelle aziende più piccole, esistono forme istituzionalizzate di partecipazione che includono comitati aziendali, consultazioni obbligatorie e diritto di veto su alcune decisioni.

Il vantaggio di questo modello è l’equilibrio tra capitale e lavoro, che ha contribuito alla solidità del sistema industriale tedesco. Tuttavia, la sua rigidità può essere un limite per le PMI o per settori in forte innovazione.

Il sistema francese: consultazione obbligatoria e azionariato diffuso

In Francia, la partecipazione è incentivata sia sotto forma consultiva che economico-finanziaria. Le aziende sopra una certa soglia dimensionale devono costituire comitati aziendali, obbligati ad essere consultati su numerose decisioni strategiche. Inoltre, lo Stato francese ha promosso l’azionariato dei dipendenti attraverso fondi specifici e incentivi fiscali.

Il sistema francese si distingue per un’elevata flessibilità e per il forte ruolo dello Stato come facilitatore, una lezione utile per l’Italia, che ora dovrà tradurre la Legge 76/2025 in pratiche concrete e sostenibili anche per le imprese più piccole.

E l’Italia?

Con questa riforma, l’Italia tenta di sintetizzare i punti di forza dei due modelli: dalla Germania trae ispirazione per il coinvolgimento nella governance, mentre dalla Francia eredita l’attenzione per la partecipazione economica e il ruolo delle commissioni. Tuttavia, molto dipenderà dai decreti attuativi, dalla contrattazione collettiva e dalla volontà concreta delle aziende di investire in questa trasformazione.

Formazione, controllo e sostegno

Affinché la partecipazione dei lavoratori diventi un elemento strutturale e non solo simbolico, la Legge 76/2025 prevede specifici strumenti di supporto istituzionale e finanziario, nonché un forte investimento nella formazione e nella governance condivisa. Questi elementi rappresentano la base operativa su cui potrà svilupparsi un nuovo equilibrio tra lavoratori, imprese e rappresentanze.

Formazione dei rappresentanti: competenze al centro

Uno dei pilastri della riforma è l’obbligo di formazione annuale per i membri delle commissioni paritetiche e per gli amministratori nominati dai lavoratori. L’art. 12 stabilisce un minimo di 10 ore l’anno, che possono essere finanziate tramite strumenti già esistenti come:

  • Fondo Nuove Competenze (per aggiornare le professionalità interne),

  • Enti bilaterali,

  • Fondi interprofessionali.

Questa previsione mira a professionalizzare il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori, superando l’improvvisazione e garantendo un dialogo realmente competente con la direzione aziendale. È anche un modo per rafforzare la qualità delle decisioni condivise.

Commissione nazionale permanente: vigilanza e sviluppo

L’art. 13 istituisce presso il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) una Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori, con tre funzioni chiave:

  1. Risoluzione di controversie interpretative sulla legge e sugli accordi collettivi;

  2. Supporto agli organismi paritetici aziendali, con proposte correttive o orientative;

  3. Monitoraggio e diffusione delle buone pratiche, tramite la redazione di relazioni biennali.

Questa struttura di governance istituzionale rafforza la coerenza e l’efficacia della riforma su scala nazionale.

Un fondo da 70 milioni e l’inclusione delle cooperative

Infine, l’art. 15 prevede la creazione di un fondo da 70 milioni di euro per l’anno 2025, destinato al finanziamento delle misure legate alla partecipazione, comprese la formazione e le agevolazioni fiscali. Un investimento significativo che dimostra l’impegno dello Stato nel sostenere l’attuazione concreta della legge.

Va segnalato anche che l’art. 14 estende, seppur con i necessari adattamenti, l’applicazione della legge alle società cooperative, un passo importante per integrare il tessuto economico italiano in modo più inclusivo e moderno.

PMI

La Legge 76/2025 non si rivolge soltanto alle grandi imprese strutturate, ma presta particolare attenzione anche alle PMI e microimprese, riconoscendo la loro centralità nel sistema produttivo nazionale. Per queste realtà, la partecipazione dei lavoratori può trasformarsi in una leva di innovazione, fidelizzazione e competitività, soprattutto se supportata da strumenti semplici, flessibili e finanziabili.

Un approccio adattabile

A differenza di quanto avviene nei grandi gruppi industriali, dove i modelli di cogestione e governance partecipativa sono più facili da istituzionalizzare, le PMI necessitano di modelli agili e calibrati sulle proprie dimensioni. La legge prevede infatti:

  • La possibilità di coinvolgere enti bilaterali di settore per favorire la partecipazione organizzativa (art. 8);

  • Forme di rappresentanza semplificate e meno burocratiche, con commissioni interne anche informali ma regolamentate;

  • Incentivi economici pensati anche per chi ha meno di 35 lavoratori, proprio per abbattere il primo scoglio organizzativo e finanziario.

I vantaggi per le PMI

Per una PMI, attivare un sistema di partecipazione può generare diversi vantaggi strategici:

  • Riduzione del turnover e maggiore fidelizzazione dei collaboratori;

  • Clima aziendale più sereno, con minori conflitti e migliore gestione dei processi interni;

  • Accesso ad agevolazioni fiscali concrete, come l’imposta sostitutiva agevolata e le esenzioni IRPEF su dividendi;

  • Miglioramento della reputazione aziendale, anche in ottica ESG (ambientale, sociale e di governance), fattore sempre più determinante per attrarre investitori e nuovi clienti.

Un’occasione per crescere insieme

Spesso le PMI italiane faticano ad attrarre risorse umane qualificate a causa della concorrenza delle grandi aziende. L’introduzione di strumenti partecipativi, con il supporto degli incentivi previsti dalla Legge 76/2025, può rappresentare una svolta culturale e gestionale, che permette di costruire un ambiente di lavoro più attrattivo, moderno e orientato alla crescita condivisa.

Conclusioni

La Legge 76/2025 rappresenta molto più di una semplice riforma normativa: è una trasformazione strutturale del modello di impresa italiana, che introduce un meccanismo organico e incentivato di partecipazione dei lavoratori alla vita economica e gestionale delle aziende. Non si tratta di un obbligo, ma di una grande opportunità, che le imprese lungimiranti sapranno cogliere.

Per i lavoratori, il nuovo scenario significa valorizzazione, ascolto, coinvolgimento reale e redistribuzione degli utili. Non solo una retribuzione più equa, ma anche la possibilità di essere parte attiva nelle decisioni strategiche che orientano il futuro dell’azienda.

Per le imprese, in particolare per le PMI, la partecipazione diventa una leva competitiva, utile per:

  • Migliorare il clima interno e ridurre il turnover;

  • Rafforzare la reputazione aziendale;

  • Accedere a vantaggi fiscali e contributivi immediati;

  • Innescare un ciclo virtuoso di produttività, innovazione e sostenibilità.

Tutto ciò è reso possibile grazie a una struttura normativa flessibile ma solida, sostenuta da fondi dedicati, formazione obbligatoria e un sistema di monitoraggio nazionale. Resta ora alle imprese e alle rappresentanze dei lavoratori il compito di attuare la legge in modo concreto, intelligente e adattato alle specificità del proprio contesto produttivo.

Chi saprà muoversi per primo potrà anticipare il cambiamento, trasformando la partecipazione in un vantaggio strategico e fiscale misurabile.

Regime Impatriati 2025: guida completa a proroga gratuita, requisiti e nuove regole fiscali

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Nel 2025 il regime fiscale agevolato per i lavoratori impatriati torna al centro dell’attenzione, ma con una novità importante: la possibilità di proroga gratuita per chi rientra in specifici requisiti. Questo tema è particolarmente rilevante per migliaia di professionisti e lavoratori italiani che hanno scelto di tornare in Italia dopo un’esperienza all’estero. Il vantaggio fiscale consiste in una tassazione agevolata del reddito da lavoro dipendente, autonomo o d’impresa prodotto sul territorio nazionale, con una base imponibile ridotta fino al 50%, o in alcuni casi anche al 10%.

Ma attenzione: dal 2024 il regime è stato ristretto e molti lavoratori rientrati rischiano di perdere il beneficio o non poterlo prorogare. Ecco quindi che il 2025 si profila come un anno cruciale per chi intende consolidare il proprio status fiscale agevolato. Capire chi può beneficiare della proroga gratuita, quali sono i requisiti soggettivi e temporali, e quali adempimenti burocratici servono per non perdere l’opportunità, diventa una priorità.

In questo articolo analizzeremo in dettaglio tutto ciò che serve sapere sul regime impatriati 2025, offrendo chiarimenti, riferimenti normativi, vantaggi concreti e suggerimenti pratici per ottimizzare la propria posizione fiscale.

Regime Impatriati nel 2025

Nel 2025 il regime degli impatriati si articola in tre diverse casistiche, ognuna con requisiti specifici, modalità operative differenti e vantaggi fiscali variabili. Comprendere in quale delle tre categorie si rientra è fondamentale per determinare se si ha diritto alla proroga gratuita, alla proroga onerosa, o se si è soggetti alle nuove, più restrittive, regole entrate in vigore dal 2024.

1. Residenza trasferita in Italia tra il 30 aprile 2019 e il 31 dicembre 2023

Chi ha trasferito la residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023 può continuare a godere del vecchio regime agevolato previsto dall’articolo 16 del D.lgs. 147/2015. Questo include anche la possibilità di prorogare di ulteriori 5 anni l’agevolazione fiscale, portando il beneficio complessivo fino a 10 anni. La proroga avviene in modo automatico e gratuito, senza necessità di invio di alcuna domanda formale, a condizione che il contribuente possieda almeno un figlio minorenne o acquisti un immobile residenziale in Italia. Un’opportunità preziosa per chi rientra in questa finestra temporale, che permette un risparmio fiscale significativo e privo di oneri amministrativi.

2. Rientri avvenuti prima del 30 aprile 2019

Diverso il discorso per i lavoratori rientrati prima del 30 aprile 2019 e già beneficiari del regime agevolato al 31 dicembre 2019. Questi soggetti, se iscritti all’AIRE o cittadini UE, possono anch’essi ottenere una proroga di 5 anni, ma solo a seguito di un’apposita opzione da esercitare entro il 30 giugno dell’anno successivo alla fine del primo quinquennio. In più, devono effettuare un versamento contributivo, pari al 10% dei redditi agevolati (in caso di presenza di almeno un figlio o acquisto di un immobile) o al 5% se si hanno almeno tre figli minorenni. In questo caso, dunque, la proroga è possibile ma subordinata a specifici adempimenti formali e finanziari.

3. Trasferimenti dal 1° gennaio 2024 in poi

Infine, chi ha trasferito la residenza in Italia a partire dal 1° gennaio 2024 non potrà più accedere al vecchio regime, né tanto meno alla proroga quinquennale. Il nuovo impianto normativo, infatti, prevede l’agevolazione solo per 5 anni, non è prorogabile e si applica esclusivamente a chi possiede qualifiche professionali specifiche e non supera un reddito annuo lordo di 600.000 euro. Una stretta importante, che punta a limitare il regime impatriati a profili di particolare valore strategico, penalizzando di fatto molti professionisti e lavoratori rientrati in Italia con aspettative differenti.

Proroga gratuita

Il cuore del regime agevolato per gli impatriati nel 2025 è rappresentato dalla proroga automatica e gratuita, applicabile ai soggetti che abbiano trasferito la residenza in Italia tra il 30 aprile 2019 e il 31 dicembre 2023. Tuttavia, non è sufficiente rispettare solo la tempistica del rientro: la normativa prevede una serie di requisiti soggettivi e oggettivi che devono essere soddisfatti affinché l’agevolazione venga prorogata automaticamente di ulteriori cinque anni.

Requisiti soggettivi

Per prima cosa, il beneficiario deve essere stato già in possesso dei requisiti previsti dall’art. 16 del D.lgs. 147/2015. Ciò significa che al momento del primo trasferimento della residenza doveva:

  • non essere stato residente fiscalmente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti;

  • impegnarsi a risiedere fiscalmente in Italia per almeno due anni;

  • svolgere l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

Questi elementi sono considerati imprescindibili sia per l’accesso iniziale al regime, sia per la sua eventuale estensione gratuita.

Requisiti oggettivi per la proroga quinquennale

Affinché scatti la proroga gratuita per altri cinque anni, è necessario che il contribuente soddisfi almeno una delle due seguenti condizioni:

  1. Presenza di almeno un figlio minorenne al momento dell’accesso al beneficio;

  2. Acquisto di un immobile residenziale in Italia, effettuato successivamente al trasferimento della residenza e comunque entro il periodo di fruizione del regime agevolato.

Si tratta di requisiti oggettivamente verificabili, che devono essere documentati in caso di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate. È importante sottolineare che non è necessario presentare alcuna domanda, né fare opzioni esplicite: la proroga è del tutto automatica, e non richiede il versamento di alcun contributo o imposta sostitutiva.

Nuovo regime

A partire dal 1° gennaio 2024, il regime impatriati ha subito una profonda revisione legislativa, che ha ridotto significativamente i benefici e ristretto la platea dei potenziali beneficiari. La riforma ha avuto come obiettivo quello di limitare l’uso estensivo del beneficio, riservandolo solo a lavoratori con profili altamente qualificati e con un certo livello di reddito.

Il nuovo regime, infatti, prevede:

  • Durata massima del beneficio pari a 5 anni, senza possibilità di proroga, nemmeno in presenza di figli o acquisto di immobili;

  • Esclusione automatica per chi supera il reddito annuo lordo di 600.000 euro;

  • Necessità di possedere una qualifica professionale adeguata e coerente con le finalità dell’incentivo;

  • Maggiore controllo sull’effettiva attività lavorativa svolta in Italia e sull’integrazione nel tessuto produttivo locale.

Queste nuove regole sono un deciso passo indietro rispetto al vecchio impianto normativo. L’intento è stato quello di ridurre l’impatto fiscale per lo Stato e contrastare utilizzi distorti del regime. Tuttavia, la conseguenza concreta è che molti lavoratori altamente qualificati potrebbero non rientrare più nei requisiti, scoraggiando così il rientro in Italia di competenze preziose per il Paese.

Chi ha spostato la residenza in Italia dal 2024 in poi, quindi, non solo non potrà accedere alla proroga quinquennale gratuita o a pagamento, ma sarà soggetto a un regime molto più selettivo e con vantaggi limitati nel tempo.

Guida pratica

Capire quale regime impatriati si applica alla propria situazione può sembrare complesso, ma una visione d’insieme strutturata aiuta a chiarire rapidamente ogni dubbio. Qui di seguito proponiamo una tabella comparativa che riassume le tre casistiche previste nel 2025, evidenziando durata del beneficio, necessità di presentare opzioni formali, e requisiti soggettivi e oggettivi.

Questa tabella sintetica è utile come strumento decisionale rapido, ma per non commettere errori è necessario analizzare ogni passaggio con attenzione. Di seguito una guida operativa step-by-step per agire correttamente:

Guida operativa per identificare il proprio regime:

  1. Verifica la data di trasferimento della residenza anagrafica in Italia;

  2. Controlla se eri già beneficiario del regime al 31/12/2019 (per i rientri pre-2019);

  3. Valuta la presenza dei requisiti: figli minorenni o immobile acquistato;

  4. Per i rientri pre-2019, verifica se rientri nei soggetti obbligati al versamento del 5% o 10% e prepara la documentazione;

  5. Controlla le scadenze, in particolare la data del 30 giugno per le opzioni con versamento;

  6. In caso di rientro dal 2024, valuta attentamente la tua qualifica professionale e la soglia reddituale.

Seguendo questi passaggi è possibile evitare errori, non perdere opportunità e pianificare correttamente la propria posizione fiscale.

Vantaggi fiscali e simulazioni pratiche

Il vero motore dell’interesse verso il regime impatriati è il notevole risparmio fiscale che esso consente. Grazie alla riduzione della base imponibile IRPEF del 50%, o del 90% nei casi specifici, il contribuente può abbattere significativamente il carico tributario sul proprio reddito da lavoro. Questa agevolazione ha un impatto diretto e positivo sul reddito netto disponibile, rendendo il rientro in Italia molto più vantaggioso rispetto alla tassazione ordinaria.

Esempio 1: lavoratore con reddito di 100.000 euro annui

  • Regime ordinario: reddito pieno tassato secondo scaglioni IRPEF → carico fiscale stimato: circa 32.000 €;

  • Regime impatriati (50%): imponibile ridotto a 50.000 € → carico fiscale stimato: circa 13.000 €;

  • Risparmio fiscale annuo: circa 19.000 euro.

Esempio 2: manager con reddito di 180.000 euro annui

  • Regime ordinario: IRPEF stimata: oltre 61.000 €;

  • Regime impatriati (50%): imponibile ridotto a 90.000 € → IRPEF: circa 28.000 €;

  • Risparmio fiscale annuo: oltre 33.000 euro.

In presenza di tre figli minorenni, o in altri casi previsti dal regime precedente, la riduzione può arrivare al 90%: in questo scenario, l’imponibile IRPEF sarebbe solo il 10% del reddito lordo, e il risparmio salirebbe oltre l’80% dell’imposta dovuta normalmente.

Questi numeri evidenziano come il regime impatriati sia uno degli strumenti di pianificazione fiscale più potenti disponibili in Italia, soprattutto per chi rientra nelle fasce di reddito medio-alte. Tuttavia, è fondamentale conoscere i requisiti e rispettare ogni condizione per non incorrere in errori o decadenze.

Errori da evitare

Nonostante i vantaggi offerti dal regime impatriati, molti contribuenti commettono errori che possono compromettere la possibilità di beneficiare o prolungare l’agevolazione. Si tratta spesso di sviste formali o interpretazioni errate che, in caso di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, possono portare a revoche del beneficio, con conseguente richiesta di imposte arretrate, sanzioni e interessi.

1. Residenza anagrafica ≠ residenza fiscale

Uno degli errori più comuni è confondere la residenza anagrafica con quella fiscale. Per accedere al regime impatriati non basta iscriversi all’anagrafe italiana: è necessario dimostrare la residenza fiscale effettiva, cioè la presenza stabile e continuativa in Italia, oltre al centro degli interessi personali e professionali. È fondamentale che la residenza anagrafica e quella fiscale coincidano già dal momento del rientro.

2. Omissione o ritardo nell’opzione per la proroga con versamento

Chi rientra nella casistica pre-30 aprile 2019 deve esercitare l’opzione entro il 30 giugno dell’anno successivo alla fine del primo quinquennio. Saltare questa scadenza significa perdere irrimediabilmente la possibilità di proroga. Inoltre, il versamento del contributo (5% o 10%) deve essere effettuato correttamente e in tempo utile, indicando la causale giusta e conservando la ricevuta.

3. Acquisto immobile non conforme

Per i soggetti che puntano a ottenere la proroga automatica, è essenziale che l’acquisto dell’immobile residenziale avvenga successivamente al rientro e entro il termine di fruizione del regime. Immobili acquistati all’estero o prima del trasferimento non rilevano ai fini del beneficio.

4. Mancato rispetto del requisito dei figli

Altra criticità riguarda la presenza di figli: per poter accedere alla proroga, il figlio deve essere minorenne e risultare a carico. L’errata interpretazione di questo aspetto può invalidare la proroga automatica o rendere inefficace il versamento ridotto per la proroga onerosa.

5. Mancanza di documentazione

In caso di controllo, è fondamentale avere documentazione completa e coerente: iscrizione all’AIRE, contratti di lavoro, dichiarazioni dei redditi estere, certificati di nascita dei figli, rogiti notarili per l’immobile, ecc. L’assenza di prove può portare alla perdita del regime, anche se i requisiti erano in realtà soddisfatti.

Controlli e accertamenti fiscali

Uno degli aspetti più delicati nell’applicazione del regime impatriati è la corretta individuazione della residenza fiscale, concetto che va ben oltre la semplice iscrizione all’anagrafe comunale. In base all’art. 2 del TUIR, un soggetto è considerato fiscalmente residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia più di 183 giorni l’anno), è presente almeno uno dei seguenti tre criteri:

  1. Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente;

  2. Domicilio in Italia ai sensi del Codice Civile (centro principale degli affari e degli interessi);

  3. Residenza ai fini civilistici (dimora abituale).

La presenza di almeno uno di questi elementi è sufficiente a determinare la residenza fiscale italiana. Tuttavia, per beneficiare del regime impatriati, è spesso richiesto che il soggetto non sia stato residente fiscalmente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento, e che risieda stabilmente in Italia per almeno due anni consecutivi.

Controlli e accertamenti fiscali

Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli nei confronti dei beneficiari del regime impatriati. Le principali aree di verifica riguardano:

  • Effettiva permanenza in Italia, attraverso controlli incrociati su bollette, spese, iscrizioni scolastiche, tracciamenti bancari, ecc.;

  • Inesattezze nell’accesso al regime, come falsa indicazione del luogo di residenza precedente o rientri fittizi;

  • Veridicità dei requisiti per la proroga gratuita: presenza reale dei figli, data certa di acquisto dell’immobile, compatibilità con le tempistiche previste dalla legge.

In caso di contestazione, l’Agenzia può revocare il beneficio con effetto retroattivo, richiedendo la restituzione dell’IRPEF non versata più sanzioni e interessi. Per questo è fondamentale documentare tutto accuratamente, mantenere una posizione coerente e affidarsi a un professionista qualificato.

Conclusioni

Il regime impatriati rappresenta uno degli strumenti più importanti a disposizione dei lavoratori e professionisti che decidono di trasferire la propria residenza in Italia dopo un periodo all’estero. Tuttavia, nel 2025 la normativa si presenta più frammentata e complessa che mai: tra vecchi beneficiari, proroghe automatiche o con versamento e nuove regole dal 2024, è essenziale comprendere a quale casistica si appartiene, quali sono i requisiti da rispettare e quali adempimenti è necessario eseguire.

Dal punto di vista normativo, è evidente il cambio di rotta: lo Stato ha scelto di ridurre il perimetro dell’agevolazione fiscale, privilegiando i rientri avvenuti entro il 2023 e introducendo maggiori vincoli per i nuovi impatriati. In questo contesto, la proroga gratuita concessa automaticamente per i soggetti in possesso di figli o immobili residenziali rappresenta un’opportunità da non sottovalutare, ma da gestire con rigore e consapevolezza.

È altrettanto importante sottolineare che, anche in presenza di vantaggi rilevanti, il regime impatriati non si applica in modo automatico o illimitato: errori formali, documentazione carente o interpretazioni errate della normativa possono vanificare i benefici e generare contese con l’Agenzia delle Entrate.

In definitiva, per affrontare il 2025 in modo efficace e in regola, occorre:

  • conoscere a fondo la propria posizione fiscale pregressa;

  • verificare attentamente i requisiti richiesti dalla legge;

  • agire entro le scadenze previste;

  • evitare comportamenti approssimativi che potrebbero portare a rettifiche o accertamenti.

Una gestione accurata e consapevole del proprio rientro in Italia non solo permette di godere dei vantaggi previsti, ma riduce drasticamente il rischio di sanzioni e contestazioni future.

IVA 5% sui DPI: quando si applica l’agevolazione e come evitare errori fiscali

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Mascherine, guanti, tute e visiere: simboli della pandemia, ma anche strumenti oggi più che mai indispensabili in molti settori lavorativi. A distanza di anni dall’emergenza sanitaria da COVID-19, una domanda resta aperta: è ancora possibile applicare l’aliquota IVA agevolata del 5% ai dispositivi di protezione individuale (DPI) ceduti alle aziende? E soprattutto, a quali condizioni?

Una recente risposta dell’Agenzia delle Entrate rilancia il tema e scioglie ogni dubbio: sì, l’agevolazione è ancora valida, ma solo se i DPI vengono impiegati per finalità sanitarie e preventive, in coerenza con la normativa sulla sicurezza sul lavoro. Un chiarimento importante, che coinvolge migliaia di imprese attive nel commercio e nella distribuzione di articoli antinfortunistici e che apre le porte a nuove strategie di risparmio fiscale perfettamente legali.

In questo articolo analizzeremo la normativa di riferimento, i chiarimenti ufficiali, le implicazioni pratiche e i rischi legati a una gestione errata dell’aliquota. Esamineremo anche esempi reali di applicazione corretta e un confronto con quanto avviene nel resto d’Europa.

IVA agevolata al 5% sui DPI

Nel panorama fiscale italiano, l’aliquota IVA ridotta al 5% sui dispositivi di protezione individuale (DPI) si conferma una misura di grande rilevanza, soprattutto per le aziende impegnate nella tutela della salute dei propri lavoratori. Inizialmente introdotta in via temporanea per far fronte all’emergenza sanitaria da COVID-19, questa agevolazione è oggi oggetto di ulteriori chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, che ne estende l’applicabilità anche in situazioni lavorative ordinarie.

Il tema è tornato d’attualità grazie alla risposta a interpello n. 197 del 2024, con cui l’Agenzia delle Entrate ribadisce che l’IVA al 5% resta applicabile anche dopo la pandemia, a patto che i DPI siano ceduti con la finalità di garantire la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 81/2008. Mascherine, guanti, visiere protettive e altri strumenti, se distribuiti ai dipendenti per adempiere agli obblighi di sicurezza sul lavoro, beneficiano quindi ancora di questa aliquota ridotta.

Questa conferma risponde a un’esigenza pratica delle imprese: avere certezza sull’inquadramento fiscale delle forniture di DPI, non solo in contesto sanitario, ma anche industriale, commerciale e logistico. Un punto cruciale, soprattutto per i datori di lavoro che affrontano costi ricorrenti legati alla protezione del personale, e che ora possono continuare a pianificare l’approvvigionamento di questi materiali beneficiando di un trattamento fiscale favorevole.

Normativa e chiarimenti

Il cuore della questione nasce dal Decreto Rilancio (DL 34/2020), che ha inserito una misura fiscale straordinaria nella Tabella A, Parte II-bis, del DPR 633/72, prevedendo l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta al 5% per una serie di beni destinati al contenimento dell’emergenza sanitaria da COVID-19. Tra questi rientrano dispositivi di protezione individuale (DPI) e dispositivi medici (DM) come guanti, tute protettive, mascherine, calzari, visiere e simili, a patto che siano provvisti di marcatura CE e rispondano alle caratteristiche previste dalle normative di settore.

A sollevare il quesito all’Agenzia delle Entrate è una società che opera nel commercio all’ingrosso di articoli antinfortunistici, la quale distribuisce DPI a una platea molto ampia: aziende della grande distribuzione, rivenditori e clienti di diversi settori. Il dubbio nasce dal fatto che l’agevolazione era stata introdotta in un contesto emergenziale — ormai superato — e che i chiarimenti ufficiali erano stati rilasciati proprio durante la fase critica della pandemia.

La domanda principale è se l’aliquota del 5% sia ancora applicabile anche dopo la fine dell’emergenza, specie in casi in cui i DPI vengano ceduti non esclusivamente per uso sanitario, ma anche per finalità operative o preventive nei luoghi di lavoro. Un ulteriore interrogativo riguarda la possibilità che la destinazione sanitaria possa essere attestata da una dichiarazione dell’acquirente, al fine di legittimare l’uso dell’aliquota ridotta.

Agenzia delle Entrate

Nella risposta all’interpello n. 197/2024, l’Agenzia delle Entrate chiarisce in modo puntuale che l’aliquota IVA del 5% è tuttora applicabile anche in assenza di un’emergenza sanitaria formale, purché siano soddisfatti precisi requisiti oggettivi e funzionali. Il principio guida è che i beni interessati — come mascherine, guanti, tute, visiere — devono avere le caratteristiche tecniche per essere considerati DPI o DM, ed essere utilizzati con una finalità sanitaria, cioè per la prevenzione del contagio da virus o agenti patogeni.

In questo contesto, l’Agenzia ribadisce che non è rilevante il soggetto che cede o acquista i beni, né lo stadio della filiera (dal produttore al dettagliante). Ciò che conta è l’idoneità oggettiva del bene a svolgere una funzione protettiva, finalizzata alla tutela della salute. Questo approccio consente di mantenere l’agevolazione anche nelle cessioni alle aziende della GDO, ai grossisti e ad altri soggetti operanti in ambiti non sanitari, ma comunque potenzialmente esposti a rischi biologici o impegnati nella protezione dei propri dipendenti.

Importante anche il riferimento alla circolare n. 26/E del 2020, che stabilisce che i beni agevolabili devono rientrare nell’elenco tassativo dei codici doganali individuati dall’ADM (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), specificati e aggiornati da documenti successivi, come la circolare n. 5/D del 2023. Se un bene è incluso in questi elenchi ed è impiegato per finalità protettive, l’aliquota agevolata è applicabile per tutta la filiera commerciale.

Finalità sanitaria

Uno degli aspetti più rilevanti per gli operatori economici che commercializzano DPI è come dimostrare la finalità sanitaria dell’impiego dei beni, soprattutto quando i clienti finali potrebbero utilizzarli sia per esigenze di sicurezza sul lavoro sia per altri fini. Su questo punto, la società istante ha chiesto chiaramente se fosse sufficiente una dichiarazione dell’acquirente, con la quale si attesta che i prodotti acquistati saranno destinati alla protezione sanitaria dei dipendenti.

L’Agenzia delle Entrate, pur non escludendo la possibilità di ricorrere a una dichiarazione come elemento probatorio, ha precisato che la finalità sanitaria non è un requisito soggettivo, bensì oggettivo: conta l’idoneità tecnica del bene a prevenire la diffusione di virus, come previsto dalla normativa sui DPI e dai codici doganali aggiornati. In altre parole, non serve che vi sia un utilizzo effettivo in ambito sanitario, ma che il bene abbia le caratteristiche tecniche per essere utilizzato a tal fine.

Tuttavia, in caso di controlli, la dichiarazione dell’acquirente può costituire un utile supporto documentale per confermare che la cessione è avvenuta con l’intento di rispettare le normative di sicurezza e prevenzione. Le Entrate fanno anche riferimento al principio già espresso nella circolare ADM n. 45/2020: salvo prova contraria, si può ritenere soddisfatto il requisito della destinazione sanitaria quando non emerga in modo chiaro e univoco il contrario. Questa interpretazione garantisce una certa flessibilità operativa e tutela i fornitori da contestazioni ingiustificate.

Agevolazione IVA

Uno dei dubbi più diffusi tra le aziende è se l’agevolazione IVA del 5% sui DPI, prevista inizialmente per il contenimento del COVID-19, sia ancora applicabile in un contesto in cui l’emergenza sanitaria è ufficialmente terminata. L’Agenzia delle Entrate, nella sua risposta all’interpello, risponde in modo chiaro: l’aliquota ridotta continua ad applicarsi, in quanto nessuna disposizione normativa ha abrogato o modificato l’articolo 124 del DL 34/2020.

Nonostante la pandemia sia stata declassata e molte delle misure straordinarie siano cessate, né il legislatore nazionale né quello europeo hanno introdotto modifiche alla norma che disciplina l’IVA agevolata per i beni “sanitari”. Al contrario, la circolare ADM n. 5/D del 14 febbraio 2023 ha aggiornato l’elenco dei prodotti agevolabili e i relativi codici doganali, confermando l’intento di mantenere l’efficacia dell’agevolazione anche in un contesto post-emergenziale.

Questo orientamento rispecchia un mutamento culturale nelle prassi aziendali: la tutela della salute nei luoghi di lavoro è diventata una priorità trasversale, non più limitata a situazioni di emergenza. Le imprese continuano a dotarsi volontariamente di DPI per proteggere il personale, non solo da agenti patogeni, ma anche da contaminazioni e rischi ambientali.

Di conseguenza, l’aliquota agevolata si configura non come una deroga temporanea, ma come una misura strutturale, in linea con l’evoluzione delle normative sulla sicurezza e la prevenzione. Ciò rappresenta un vantaggio economico non trascurabile per le aziende, che possono pianificare approvvigionamenti e budget in modo più efficiente, godendo di un regime IVA più favorevole.

Vantaggi fiscali

Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate ha un impatto diretto e concreto sulla gestione fiscale e operativa delle aziende che producono, distribuiscono o acquistano dispositivi di protezione individuale. In particolare, la conferma della validità dell’aliquota IVA del 5% per i DPI utilizzati a scopo sanitario rappresenta un’opportunità da sfruttare con attenzione.

Per le aziende fornitrici, significa poter continuare a offrire prodotti essenziali alla sicurezza sul lavoro con un trattamento fiscale agevolato lungo tutta la filiera, dal produttore al consumatore finale. Questo può tradursi in prezzi più competitivi, maggiore appetibilità commerciale e un vantaggio fiscale diretto per gli acquirenti. Dal punto di vista operativo, è fondamentale che i fornitori conservino adeguata documentazione, come la marcatura CE dei prodotti e, se disponibile, la dichiarazione dell’acquirente che attesti la destinazione sanitaria dei beni.

Per le aziende acquirenti, invece, il vantaggio consiste nella possibilità di contenere i costi per l’acquisto di dispositivi obbligatori o fortemente consigliati per la tutela della salute dei dipendenti. Tale risparmio, unito al rispetto delle normative previste dal Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/2008), contribuisce al miglioramento dell’ambiente di lavoro e alla riduzione del rischio di sanzioni per mancata protezione del personale.

Infine, a livello di compliance fiscale, le imprese devono prestare attenzione alla corretta classificazione doganale dei beni e alla loro riconducibilità all’elenco aggiornato delle voci agevolate, al fine di evitare contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria. La strategia ideale consiste in un’accurata verifica della documentazione tecnica e fiscale, oltre che nella formazione continua del personale contabile su questi aspetti.

Esempi pratici

Per comprendere concretamente come applicare l’aliquota IVA del 5% in modo conforme, è utile esaminare alcuni casi aziendali reali o esemplificativi che mostrano le buone pratiche adottate da imprese operanti nella distribuzione e fornitura di dispositivi di protezione individuale.

Un primo esempio riguarda un grossista di abbigliamento tecnico e antinfortunistico che fornisce tute protettive e guanti in nitrile a catene della GDO. L’azienda, in fase di cessione, allega alla fattura copia delle schede tecniche con riferimenti ai codici doganali riconosciuti dalla circolare ADM 5/D del 2023. Inoltre, per i clienti più strutturati, raccoglie una dichiarazione scritta sulla destinazione sanitaria del prodotto (es. “utilizzo interno per la protezione del personale addetto alla logistica”). Questo permette di dimostrare la congruità della scelta fiscale in caso di verifica.

Un altro caso riguarda un’azienda manifatturiera che acquista mascherine FFP2 da un fornitore nazionale. Queste mascherine sono impiegate nei reparti produttivi a contatto con sostanze volatili e polveri sottili, ma anche per la prevenzione sanitaria. In sede di controllo, l’impresa dimostra la corretta applicazione dell’IVA agevolata allegando il DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) che prevede l’uso obbligatorio di DPI certificati CE, nonché l’elenco degli articoli ordinati con codice TARIC e la relativa marcatura.

Infine, un distributore online di DPI ha predisposto un sistema di etichettatura interna per distinguere i prodotti agevolabili da quelli con aliquota ordinaria, evitando errori automatici nel calcolo dell’IVA durante la fatturazione. Questo sistema informatizzato riduce notevolmente il rischio di contestazioni e rende il processo più trasparente.

IVA sui DPI in Europa

La disciplina IVA applicata ai dispositivi di protezione individuale ha subito, in tutta l’Unione Europea, significative modifiche durante la pandemia da COVID-19. Tuttavia, l’evoluzione normativa nei vari Paesi è stata disomogenea, con approcci differenti tra chi ha mantenuto aliquote agevolate e chi le ha revocate al termine dell’emergenza sanitaria. In questo contesto, l’Italia si distingue per aver mantenuto in vigore l’aliquota ridotta del 5%, confermandola anche dopo la fine dell’emergenza.

In Germania, ad esempio, nel 2020 era stata prevista l’esenzione temporanea dall’IVA per dispositivi medici e DPI, ma tale misura è stata interrotta nel 2021, con il ritorno all’aliquota ordinaria (attualmente al 19%). Una dinamica simile si è verificata in Francia, dove l’aliquota era stata ridotta al 5,5% per le mascherine e i gel igienizzanti, ma oggi molte tipologie di DPI sono nuovamente soggette all’aliquota normale del 20%.

In Spagna, invece, è stata prorogata più volte l’aliquota ridotta al 4% per mascherine chirurgiche, ma la misura si è limitata a pochi prodotti sanitari ben definiti e con durata temporanea. Anche in Paesi Bassi e Belgio, le agevolazioni hanno avuto carattere eccezionale e sono state ritirate una volta superato il picco pandemico.

L’Italia, mantenendo l’agevolazione al 5% sui DPI anche post-Covid, adotta un approccio più stabile e strutturale, basato sull’idoneità tecnica dei prodotti e sull’oggettiva finalità sanitaria. Questo offre certezza normativa agli operatori economici, favorendo anche la competitività delle imprese italiane nel commercio intra-UE. Tuttavia, impone al tempo stesso un rigoroso rispetto delle regole documentali e doganali.

Conclusione 

L’applicazione dell’aliquota IVA al 5% sui DPI rappresenta una delle agevolazioni fiscali più significative ancora in vigore nel contesto post-pandemico. La recente conferma dell’Agenzia delle Entrate ribadisce l’intento del legislatore di promuovere la sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso un beneficio fiscale tangibile, esteso non solo al settore sanitario ma anche a tutte quelle aziende che, con responsabilità, adottano misure di prevenzione.

Tuttavia, questa opportunità non è priva di insidie. È fondamentale conoscere con precisione i requisiti tecnici, doganali e documentali dei beni coinvolti, per evitare errori che potrebbero tradursi in sanzioni economiche rilevanti. Non basta che il prodotto “assomigli” a un DPI: deve essere certificato, marcato CE e destinato a finalità sanitarie, anche solo potenziali.

Per imprenditori, responsabili acquisti, uffici fiscali e commercialisti, si tratta di una tematica da gestire con approccio tecnico e strategico, supportati da consulenze professionali e aggiornamento costante. Un’agevolazione così concreta, se sfruttata correttamente, può fare la differenza nella pianificazione fiscale e nella competitività dell’impresa, sia sul mercato italiano che in ambito europeo.

Se operi nel commercio, nella distribuzione o nell’acquisto di DPI, questo è il momento giusto per verificare la corretta applicazione dell’IVA agevolata, aggiornare le procedure interne e proteggere i tuoi margini. Noi di Commercialista.it siamo al tuo fianco per aiutarti a farlo in modo sicuro, conforme e vantaggioso.

Aiuti ISMEA 2025: nuove regole per il rinvio delle rate in caso di calamità naturali

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Hand holding light bulb against nature on green leaf with icons energy sources for renewable, sustainable development. Ecology concept. Elements of this image furnished by NASA.

Negli ultimi anni, il settore agricolo italiano è stato messo a dura prova da una frequenza crescente di eventi calamitosi: alluvioni, siccità prolungate, gelate improvvise, grandinate devastanti. Queste emergenze climatiche non solo danneggiano i raccolti, ma compromettono la stabilità economica di migliaia di imprenditori agricoli. Per fronteggiare simili difficoltà, l’intervento pubblico si rivela essenziale.

In questo contesto, ISMEA – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare – svolge un ruolo centrale, soprattutto nel supportare le imprese agricole attraverso agevolazioni finanziarie, contributi e meccanismi di rinvio dei pagamenti. Proprio su questo fronte, dal 1° luglio 2025 entreranno in vigore nuove regole che disciplinano il rinvio delle rate in caso di calamità naturali. Una misura attesa, che punta a semplificare le procedure e garantire maggiore tutela alle imprese agricole colpite.

Questa novità rappresenta un passo importante verso una gestione più flessibile e rapida delle difficoltà finanziarie innescate da eventi eccezionali.

In questo articolo approfondiremo in modo chiaro e dettagliato le nuove regole ISMEA, evidenziando i vantaggi, i requisiti, e le modalità operative previste. Scopriremo insieme come accedere al rinvio, quali condizioni sono necessarie e cosa cambia rispetto al passato. Inoltre, faremo luce sulle implicazioni fiscali e strategiche per gli agricoltori, evidenziando le opportunità di risparmio e tutela economica.

Le nuove regole ISMEA

Dal 1° luglio 2025 entreranno in vigore le nuove disposizioni ISMEA relative al rinvio dei pagamenti rateali per le aziende agricole danneggiate da eventi calamitosi. Tali regole rappresentano una svolta normativa significativa, poiché definiscono in modo preciso le condizioni che legittimano la sospensione delle rate, garantendo trasparenza e uniformità su scala nazionale.

Va subito chiarito che queste regole si applicano alla generalità degli strumenti finanziari offerti da ISMEA, escludendo esplicitamente le vendite con pagamento rateale legate alla Banca delle Terre Agricole, che seguono regimi autonomi di aiuto.

L’accesso al beneficio del rinvio è subordinato al verificarsi di eventi oggettivamente gravi, tra cui:

  • Eventi meteorologici eccezionali, come alluvioni o siccità estreme, che abbiano portato al riconoscimento dello stato di calamità;

  • Fitopatie ed epizoozie che abbiano colpito le coltivazioni o gli allevamenti, comportando danni ingenti all’attività produttiva;

  • Calamità naturali gravi, quali terremoti o maremoti, con impatto diretto sulle strutture aziendali e i mezzi di produzione;

  • Fatti di usura o estorsione, purché certificati tramite provvedimenti giudiziari, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 20, commi 7 e 7-bis della legge 44/1999.

Questi criteri rappresentano un tentativo di limitare gli abusi e, al contempo, tutelare le aziende effettivamente in difficoltà, definendo un perimetro chiaro per la sospensione temporanea delle obbligazioni contrattuali. L’intervento normativo assume particolare rilievo in un contesto in cui l’instabilità climatica e i rischi legati alla criminalità continuano a incidere pesantemente sul mondo agricolo.

Criteri di accesso

Non tutte le imprese agricole avranno automaticamente diritto al rinvio delle rate. Le nuove regole ISMEA fissano una serie di requisiti specifici, pensati per garantire che l’agevolazione sia destinata esclusivamente a chi versa in una reale difficoltà, ma si trovi in una condizione amministrativa e contrattuale regolare.

In particolare, potranno essere ammesse all’istruttoria solo le istanze che rispettano almeno una delle seguenti condizioni:

  1. Imprese in regolare ammortamento del debito, oppure che abbiano presentato l’istanza prima della scadenza della diffida stragiudiziale eventualmente ricevuta da ISMEA. Superata questa soglia, l’accesso al rinvio potrà avvenire solo dopo aver saldato almeno il 50% della morosità contestata nella diffida;

  2. Aziende non in risoluzione contrattuale, ovvero che non abbiano accumulato più di due rate annuali o quattro rate semestrali di insolvenza. Anche in questo caso, qualora le soglie vengano superate, sarà necessario pagare la differenza prima di poter accedere al beneficio.

Un ulteriore vincolo temporale riguarda le rate effettivamente rinviabili: saranno ammissibili solo quelle scadute nei 12 mesi successivi al verificarsi dell’evento calamitoso. Questo limite mira a collegare direttamente il danno subito con la richiesta di sostegno, evitando un uso retroattivo o strumentale della misura.

Unica eccezione significativa è prevista nei casi di estirpazione delle piante o abbattimento del bestiame, documentati tramite decreto. In queste situazioni, ISMEA potrà valutare il rinvio fino a due annualità (o quattro semestralità) supplementari, considerando la gravità dell’impatto sulla redditività futura dell’azienda.

Modalità di richiesta

Una volta accertata l’idoneità a presentare l’istanza, le aziende agricole dovranno allegare documentazione specifica, soprattutto nel caso in cui la richiesta si basi su fatti gravi come usura o estorsione. In tali casi (di cui al punto 4 delle condizioni), è infatti obbligatorio allegare il provvedimento giudiziale di sospensione, che farà da riferimento per il calcolo del rinvio.

Tuttavia, ISMEA si riserva la possibilità di concedere termini più favorevoli rispetto a quelli contenuti nel provvedimento, al fine di facilitare il rientro in bonis del soggetto richiedente.

È fondamentale sottolineare che nei tre anni finali del piano di ammortamento non è possibile presentare istanza di rinvio delle rate. In tali casi limite, è prevista la possibilità di proporre un piano di rientro a breve termine, da inoltrare tramite PEC all’indirizzo: ismea@pec.ismea.it.

Nel caso in cui venga approvato il rinvio delle rate, il mancato rispetto della nuova rateizzazione non comporta automaticamente la decadenza del beneficio. La risoluzione del contratto potrà avvenire solo se si verificano le condizioni negoziali originarie previste.

In piena aderenza alla normativa sugli aiuti di Stato, ISMEA offre tre modalità alternative per rideterminare il piano di ammortamento:

  • a) Rinvio e rimodulazione: sospensione delle rate, creazione di un nuovo piano con rata costante e durata decisa dall’utente, nel rispetto della durata residua del piano originario.

  • b) Rinvio e allungamento: destinato ai finanziamenti con durata iniziale inferiore al massimo consentito (fino a 30 anni). Prevede un’estensione del piano originale, mantenendo il tasso iniziale.

  • c) Rinvio ed estensione: consente una sola proroga nel piano di ammortamento, allungando la durata del numero di rate rinviate. In questo caso, si applica il tasso originario fino al limite massimo e poi il tasso di mercato per il periodo residuo.

Oltre a queste opzioni, per agevolare ulteriormente la gestione del debito, ISMEA consente:

  • la conversione della periodicità delle rate (da semestrale ad annuale o viceversa),

  • lo spostamento delle scadenze per allinearle al ciclo produttivo dell’azienda.

Importante notare che non verranno applicati interessi di mora sulle rate oggetto di rinvio, rappresentando un vantaggio economico rilevante.

Vantaggi fiscali

Le nuove misure ISMEA non rappresentano solo un supporto emergenziale, ma si configurano come un vero e proprio strumento strategico di resilienza finanziaria per il settore agricolo italiano. In un contesto dominato dall’incertezza climatica e da eventi straordinari sempre più frequenti, poter contare su una gestione flessibile del debito diventa essenziale per la sopravvivenza economica delle imprese rurali.

Da un punto di vista fiscale, il rinvio delle rate non comporta l’applicazione di interessi di mora e questo significa minori oneri finanziari per l’impresa agricola. Inoltre, l’assenza di conseguenze contrattuali automatiche in caso di mancato rispetto della nuova rateizzazione – se non al verificarsi delle condizioni negoziali originarie – protegge le aziende da una rapida escalation verso la risoluzione del contratto e la perdita del sostegno finanziario. Questo permette una maggiore stabilità contabile e patrimoniale, utile anche per la pianificazione fiscale pluriennale.

A livello strategico, le tre opzioni offerte da ISMEA (rimodulazione, allungamento ed estensione) consentono alle imprese di scegliere la modalità più adatta al proprio ciclo produttivo e alla redditività prevista, evitando pressioni immediate sulla liquidità. Ad esempio, le aziende che operano in settori a raccolto biennale o con flussi di cassa stagionali potranno rimodulare il piano di ammortamento secondo scadenze più coerenti con le loro esigenze operative.

Infine, la possibilità di richiedere la conversione della periodicità delle rate e lo spostamento delle scadenze offre ulteriore flessibilità, garantendo una pianificazione finanziaria personalizzata, senza compromettere l’accesso ad altri strumenti di aiuto o incentivi fiscali regionali e nazionali.

Criticità operative e rischi

Sebbene le nuove regole ISMEA offrano opportunità concrete di sostegno, la gestione della pratica non è priva di insidie. Una delle criticità principali riguarda la corretta e tempestiva presentazione dell’istanza. Il rispetto delle tempistiche, infatti, è determinante: l’istanza deve essere presentata prima della scadenza indicata nella diffida stragiudiziale, pena la necessità di saldare almeno metà della morosità contestata per essere comunque ammessi all’istruttoria. Questo aspetto, spesso trascurato, può compromettere irrimediabilmente l’accesso al beneficio.

Un altro errore comune riguarda la documentazione incompleta o incoerente. Nei casi di calamità, fitopatie o provvedimenti giudiziari (come nel caso di usura o estorsione), è essenziale allegare tutta la documentazione richiesta, inclusi certificati ufficiali, decreti e perizie, per dimostrare l’effettiva connessione tra l’evento e il danno subito. Qualsiasi discrepanza può rallentare l’istruttoria o portare al rigetto della domanda.

Va inoltre tenuto presente che, nei tre anni finali del piano di ammortamento, non si può accedere al rinvio: molte aziende, in assenza di questa informazione, presentano istanze che vengono inevitabilmente respinte. In alternativa, può essere richiesto un piano di rientro a breve termine, ma anche in questo caso bisogna agire per tempo e inviare una PEC correttamente formulata.

Infine, un altro rischio è legato alla scarsa conoscenza delle opzioni di rimodulazione disponibili: molte aziende, per mancanza di consulenza adeguata, scelgono modalità meno vantaggiose dal punto di vista finanziario. È quindi fondamentale farsi assistere da un consulente specializzato, in grado di analizzare l’impatto delle diverse opzioni sul cash flow, sui margini di profitto e sugli impegni futuri. Una scelta mal ponderata oggi, infatti, può pesare per anni sulla redditività dell’impresa.

Casi pratici e simulazioni

Per comprendere appieno l’efficacia delle nuove misure ISMEA, è utile analizzare alcuni casi pratici che evidenziano come il rinvio delle rate e la rimodulazione del debito possano incidere positivamente sulla sostenibilità finanziaria delle aziende agricole.

Caso 1 – Azienda vitivinicola colpita da gelate tardive

Un’azienda agricola situata in Toscana, con un piano di ammortamento in corso di 20 anni, subisce una grave gelata nel mese di aprile, con conseguente perdita dell’80% del raccolto. Grazie alla dichiarazione di calamità naturale emessa dalla Regione, l’impresa può richiedere il rinvio delle rate previste nei 12 mesi successivi. Il consulente propone la modalità “rinvio e rimodulazione”, ottenendo una sospensione temporanea dei pagamenti e un nuovo piano con rate costanti, mantenendo il tasso originario. L’effetto immediato è un alleggerimento della pressione sulla liquidità aziendale e la possibilità di reinvestire in interventi fitosanitari e preventivi per l’anno successivo.

Caso 2 – Allevamento suinicolo con focolaio di peste suina

Nel Nord Italia, un’azienda zootecnica è costretta, per decreto, all’abbattimento dell’intero allevamento. La produzione crolla e l’azienda, che ha già usufruito di un precedente rinvio, può comunque richiedere l’estensione del piano di ammortamento fino a due annualità in più. L’opzione scelta, “rinvio ed estensione”, consente all’allevatore di contenere il debito residuo e spalmare il peso delle rate su un periodo più lungo, evitando il default. L’ammortamento si allunga di due anni e il tasso applicato resta invariato fino al raggiungimento del limite massimo di 30 anni.

Caso 3 – Piccola azienda frutticola in morosità

Un produttore di pesche e albicocche del Mezzogiorno si trova in leggera morosità, con due rate semestrali non pagate. Riceve diffida da ISMEA e decide di agire tempestivamente: salda la metà del debito contestato e, supportato dal consulente, inoltra l’istanza per il rinvio, scegliendo la formula “rinvio e allungamento”. Ottiene così una nuova scadenza dilazionata, e un piano personalizzato che gli permette di rientrare in bonis e partecipare ad altri bandi pubblici regionali.

Questi esempi dimostrano che, se gestite correttamente, le nuove misure ISMEA possono evitare il tracollo finanziario anche in presenza di gravi difficoltà, e in certi casi rappresentano una seconda opportunità per ricostruire il futuro dell’impresa agricola.

Impatto sul settore agricolo

Le nuove regole sul rinvio delle rate ISMEA, in vigore dal 1° luglio 2025, non devono essere considerate solo come un intervento emergenziale, ma come un tassello fondamentale nella costruzione di un’agricoltura più resiliente e sostenibile.

Le sfide globali degli ultimi anni – dalla pandemia alla crisi climatica – hanno dimostrato quanto sia vulnerabile il sistema agricolo italiano. Le imprese si trovano spesso a dover fronteggiare eventi straordinari senza strumenti di protezione adeguati, ed è in questo vuoto che ISMEA sta cercando di intervenire in modo strutturale.

Secondo i dati del CREA e dell’Istat, negli ultimi cinque anni si è registrato un aumento del 60% di richieste di indennizzo legate a eventi climatici estremi. Questo dato, unito alla crescente instabilità dei mercati agricoli e al rialzo dei costi di produzione, rende essenziale l’adozione di strumenti flessibili di gestione del credito.

Le nuove modalità di rinvio rate proposte da ISMEA rispondono a questa esigenza, offrendo stabilità nei flussi finanziari, maggiore previsione nella pianificazione e una riduzione del rischio di default, soprattutto per le piccole e medie aziende a conduzione familiare, che costituiscono il cuore del comparto agricolo italiano.

A livello macroeconomico, la misura consente allo Stato di limitare gli effetti sistemici di crisi agricole locali, riducendo la pressione su fondi di emergenza e ammortizzatori sociali. Inoltre, favorisce l’accesso al credito agevolato e incentiva gli investimenti in tecnologie agricole più sostenibili, digitalizzazione e assicurazioni climatiche, creando un circolo virtuoso che contribuisce alla modernizzazione del comparto.

In questo senso, ISMEA non agisce solo come ente erogatore, ma si trasforma in attore strategico dello sviluppo agricolo nazionale, capace di fare da ponte tra istituzioni, imprese e finanza.

Conclusione

In un mondo agricolo sempre più soggetto a eventi imprevedibili, dalle emergenze climatiche alle minacce sanitarie, le nuove regole ISMEA rappresentano una rete di sicurezza concreta e indispensabile. Non si tratta soltanto di un’agevolazione finanziaria temporanea, ma di una risposta strutturata e lungimirante per garantire continuità produttiva e sostenibilità economica alle imprese colpite da crisi improvvise.

Grazie alle opzioni di rinvio, rimodulazione e allungamento del piano di ammortamento, le aziende agricole possono respirare, riorganizzare i propri impegni e investire nella ripresa, senza il rischio di compromettere definitivamente la propria posizione finanziaria. Tuttavia, la chiave per sfruttare al meglio queste opportunità è una gestione consapevole e tempestiva, supportata da consulenti specializzati capaci di orientarsi tra normative complesse e scenari variabili.

Chi agisce per tempo e con gli strumenti giusti può non solo superare la crisi, ma trasformarla in un’occasione di rilancio e innovazione. ISMEA fornisce gli strumenti, Commercialista.it ti offre la strategia. Il futuro della tua impresa agricola si costruisce oggi, con competenza, pianificazione e tutela.

Contributi Agricoli e Contratto di Soccida: le nuove istruzioni INPS 2025

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Nel mondo agricolo, il contratto di soccida rappresenta una forma tradizionale di collaborazione, in particolare nel settore zootecnico. Tuttavia, la sua applicazione ha spesso generato dubbi e contenziosi in ambito fiscale e previdenziale. Con la circolare n. 94 del 24 maggio 2025, l’INPS introduce un vero e proprio giro di vite, chiarendo requisiti, controlli e criteri per accedere alle agevolazioni contributive agricole.

La nuova disciplina punta a distinguere le realtà agricole autentiche da quelle che utilizzano impropriamente la soccida come strumento elusivo, soprattutto nei casi di “soccida monetizzata” o di conferimenti privi di sostanza economica. Tra i principali obiettivi c’è quello di garantire un trattamento equo e trasparente per chi opera in buona fede e secondo le regole, premiando la tracciabilità, l’autoproduzione e l’effettiva mutualità tra le parti contrattuali.

In questo articolo troverai un’analisi approfondita delle novità INPS 2025, le implicazioni per imprese e cooperative, le istruzioni pratiche per evitare rischi, e un confronto con altri modelli contrattuali nel settore agricolo. Un contenuto indispensabile per chi vuole mantenere i benefici contributivi e operare in sicurezza, senza incorrere in riclassificazioni o sanzioni.

Inquadramento previdenziale

Uno dei punti chiave introdotti dalla circolare INPS n. 94/2025 riguarda la corretta qualificazione previdenziale delle imprese che impiegano il contratto di soccida, in particolare nell’ambito dell’allevamento zootecnico. Il tema centrale è la distinzione tra attività agricola in senso proprio – che consente l’inquadramento nella Gestione Contributiva Agricola – e attività commerciale, che comporta invece l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti (ex Gestione DM). Tale distinzione non è meramente formale, ma ha impatti significativi in termini di aliquote contributive, accesso alle agevolazioni per zone montane o svantaggiate e controlli ispettivi.

La circolare richiama espressamente l’art. 2135 del Codice Civile e il D.Lgs. n. 228/2001, che definiscono l’imprenditore agricolo come colui che esercita attività dirette alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento di animali o attività connesse, purché si tratti di autoproduzione. In tal senso, la condizione di “prevalenza” dei prodotti derivanti dall’attività aziendale rispetto a quelli acquistati da terzi diventa determinante. L’INPS ha rilevato – in occasione di controlli e ispezioni – situazioni in cui il contratto di soccida veniva utilizzato strumentalmente per celare operazioni di compravendita di animali, facendo quindi decadere il requisito dell’autoproduzione.

La circolare chiarisce inoltre che, qualora gli accordi rispettino fedelmente quanto previsto dagli articoli 2178, 2181 e 2184 del Codice Civile – che regolano i diritti e i doveri delle parti nella soccida – la produzione risultante non può essere considerata come “acquisita dal mercato”. In tal caso, si mantiene l’inquadramento agricolo e si evitano rischi di riclassificazione. Si tratta di un passaggio cruciale per tutelare il diritto alle agevolazioni e prevenire contenziosi con l’ente previdenziale.

Agevolazioni

Un altro ambito rilevante interessato dalle istruzioni INPS riguarda le cooperative agricole e i loro consorzi, che da sempre rappresentano una parte fondamentale della filiera agroalimentare italiana, soprattutto nelle aree rurali e montane. La circolare n. 94/2025 interviene chiarendo l’applicazione concreta di norme pregresse, in particolare l’art. 2 della Legge n. 240/1984 e l’art. 9, comma 5, della Legge n. 67/1988, che prevedono agevolazioni contributive per le cooperative che trasformano prodotti agricoli conferiti da soci attivi in zone svantaggiate.

Secondo la nuova interpretazione, per accedere a tali benefici è imprescindibile che i prodotti provengano da un’attività agricola autentica e documentabile del socio conferente. La circolare specifica che anche nel caso di utilizzo del contratto di soccida – purché non si tratti di una “soccida monetizzata” con finalità meramente commerciali – si può conservare il diritto alle riduzioni contributive. Il requisito fondamentale è che la produzione avvenga nell’ambito di un ciclo associato e non mediante un semplice acquisto di bestiame o materie prime.

Inoltre, la trasformazione deve essere materialmente svolta dalla cooperativa: non è sufficiente la provenienza da zona svantaggiata. Questo passaggio evita che vengano indebitamente richieste agevolazioni su prodotti di terzi o non effettivamente lavorati dal soggetto beneficiario. L’INPS, infine, ha incaricato le proprie sedi territoriali di riesaminare i contenziosi già in atto, al fine di valutare, alla luce dei nuovi chiarimenti, eventuali annullamenti in autotutela di provvedimenti di riclassificazione o richieste di contributi non coerenti con la normativa.

Requisiti e agevolazioni

Per agevolare la comprensione e l’applicazione delle nuove istruzioni INPS, è fondamentale ricorrere a una sintesi operativa che aiuti imprese, cooperative e professionisti a identificare rapidamente il corretto inquadramento previdenziale e la possibilità di beneficiare delle agevolazioni contributive. La circolare INPS n. 94/2025 fornisce infatti un vero e proprio schema di interpretazione che ruota attorno a due concetti chiave: prevalenza dell’attività agricola effettiva e comportamento conforme al contratto di soccida.

1. Imprese agricole (soccida semplice o parziaria)

Le imprese che adottano contratti di soccida devono dimostrare che la produzione proviene da cicli aziendali interni, e che il bestiame non è stato acquistato da terzi ma deriva da un’attività associata. Il rispetto degli articoli 2178, 2181 e 2184 del Codice Civile garantisce la qualifica agricola e l’inquadramento nella Gestione Contributiva Agricola, evitando il passaggio alla più onerosa Gestione Commercianti (DM).

2. Cooperative agricole

Le cooperative possono beneficiare delle riduzioni contributive se i prodotti lavorati provengono prevalentemente dai soci attivi e sono trasformati direttamente. Anche in caso di soccida monetizzata, la condizione essenziale è che il conferimento sia reale e derivante da attività agricola svolta dal socio in zone montane o svantaggiate.

3. Soccida monetizzata

In questo caso non vi è scambio in natura ma solo liquidazione in denaro. Se il contratto è rispettato correttamente, non si configura un acquisto di mercato e non si perde la qualifica agricola, né si incide negativamente sulle agevolazioni.

4. Soccida con conferimento di pascolo

Trattandosi di un rapporto più simile a uno scambio commerciale che associativo, questa forma contrattuale può portare alla perdita del requisito di prevalenza, compromettendo le agevolazioni per le zone svantaggiate.

Verifiche e rischi

Uno dei temi più rilevanti introdotti dalla circolare INPS n. 94/2025 è il rafforzamento delle attività di controllo e la maggiore attenzione alla coerenza sostanziale tra forma contrattuale dichiarata e comportamento effettivo delle parti.

L’Istituto sottolinea infatti che la sola esistenza formale di un contratto di soccida non è sufficiente per ottenere o mantenere i benefici contributivi previsti dalla normativa agricola.

È necessario che la collaborazione tra soccidante e soccidario sia concretamente attuata secondo le previsioni civilistiche, e che l’attività agricola venga documentata con precisione.

Nel dettaglio, le sedi territoriali INPS sono tenute a verificare:

  • La tracciabilità del bestiame, inclusa l’origine e la gestione zootecnica interna all’azienda;

  • La presenza di scritture private regolarmente sottoscritte e datate, coerenti con le pratiche aziendali;

  • La congruenza tra i movimenti economici e i dati dichiarati nei registri contabili e zootecnici;

  • La documentazione comprovante l’effettiva trasformazione dei prodotti, in caso di cooperative.

Nel caso in cui emergano discrepanze sostanziali, l’INPS può procedere a:

  • Riclassificazione dell’impresa con passaggio forzato alla Gestione Commercianti (con aliquote più elevate);

  • Recupero dei contributi non versati, anche per annualità precedenti, con applicazione di sanzioni e interessi;

  • Revoca delle agevolazioni per le zone montane o svantaggiate.

Tali rischi impongono un’attenta revisione delle pratiche contrattuali in essere e una puntuale predisposizione della documentazione a supporto dell’attività agricola svolta. In questa fase, il ruolo del commercialista e del consulente del lavoro è cruciale per prevenire contestazioni e tutelare la posizione previdenziale dell’azienda.

Strategie di adeguamento

Le nuove istruzioni dell’INPS non vanno lette solo in chiave sanzionatoria, ma anche come un’occasione per le imprese agricole e le cooperative di rivedere i propri processi, contratti e sistemi documentali in modo da consolidare la propria posizione previdenziale e usufruire in sicurezza delle agevolazioni previste. In questo senso, è fondamentale adottare un approccio preventivo, strutturato e consapevole.

La prima azione da intraprendere è una revisione completa dei contratti di soccida attivi, con l’assistenza di un commercialista esperto in diritto agrario.

Occorre verificare che:

  • il contratto sia redatto in modo conforme agli articoli del Codice Civile;

  • vi sia una chiara divisione dei compiti tra soccidante e soccidario;

  • il bestiame oggetto del contratto sia effettivamente gestito in forma associata e non acquistato da terzi.

Successivamente, bisogna rafforzare la documentazione di supporto, predisponendo:

  • registri zootecnici aggiornati (movimentazioni, nascite, vendite);

  • documenti fiscali coerenti con le attività agricole (fatture, quietanze, schede di stalla);

  • dichiarazioni e scritture private firmate da entrambe le parti.

Per le cooperative, è altrettanto importante mantenere tracciabilità dell’intero ciclo di trasformazione, dimostrando che il prodotto è effettivamente conferito da soci attivi, coltivato o allevato in zone svantaggiate e non semplicemente acquistato da operatori terzi.

Infine, è utile formare il personale amministrativo e attivare audit interni periodici, soprattutto in vista di eventuali ispezioni INPS. Questo approccio consente non solo di evitare errori, ma anche di ottimizzare la posizione fiscale e previdenziale dell’impresa, nel pieno rispetto della legalità.

Soccida semplice vs parziaria

Nel panorama normativo agricolo italiano, la soccida rappresenta un istituto contrattuale ancora oggi molto diffuso, soprattutto in ambito zootecnico. Tuttavia, la distinzione tra soccida semplice e soccida parziaria ha rilevanza non solo civilistica, ma anche previdenziale. Comprenderne le differenze è fondamentale per applicare correttamente le istruzioni INPS 2025 e non incorrere in errori che potrebbero costare caro all’impresa.

Soccida semplice

Regolata dall’art. 2170 del Codice Civile, prevede che il soccidante (di norma il proprietario del bestiame) affidi gli animali al soccidario, che provvede alla cura e alla gestione. Il soccidario riceve una parte dei prodotti (come latte o lana) o degli utili derivanti dalla vendita del bestiame. In questo schema, i beni restano formalmente di proprietà del soccidante, e non vi è una vera e propria comunione di mezzi.

Dal punto di vista previdenziale, questa forma è spesso utilizzata per mascherare un’attività commerciale travestita da agricola. Ed è proprio in questi casi che l’INPS ha effettuato controlli serrati, riclassificando l’impresa nella Gestione DM.

Soccida parziaria

È una forma più “forte” di associazione (art. 2172 c.c.), in cui entrambi i soggetti apportano beni o lavoro e condividono utili e rischi. Si tratta di una collaborazione più autentica e bilanciata, spesso considerata più coerente con la qualifica di impresa agricola, anche ai fini dell’inquadramento contributivo.

Secondo la circolare INPS 94/2025, se il contratto è rispettato nella sostanza e nella forma, la soccida parziaria può continuare a beneficiare delle agevolazioni contributive agricole, essendo considerata parte integrante dell’autoproduzione aziendale.

Giurisprudenza e casi concreti

La corretta applicazione del contratto di soccida è stata oggetto, nel corso degli anni, di numerosi contenziosi tra aziende agricole e INPS. La casistica è ampia e spesso la differenza tra inquadramento agricolo o commerciale si è giocata sulla prova sostanziale del comportamento effettivo delle parti, come richiamato anche dalla circolare INPS n. 94/2025. In tale contesto, la giurisprudenza ha avuto un ruolo determinante nel fissare alcuni principi consolidati.

Uno dei temi più dibattuti riguarda il carattere associativo del contratto: quando mancano la comunione d’intenti e la condivisione effettiva dei rischi e degli utili, molti giudici hanno ritenuto invalida la qualificazione agricola. In particolare, si ricordano diverse pronunce in cui la soccida veniva usata formalmente, ma il bestiame era acquistato da terzi e il soccidario si comportava come un dipendente mascherato. In tali casi, i giudici hanno dato ragione all’INPS, confermando la riclassificazione nella Gestione Commercianti.

Interessante è anche la posizione della Cassazione, che ha chiarito (es. sentenza n. 23504/2017) che “l’onere della prova del carattere agricolo dell’attività grava sul contribuente”. In assenza di documentazione e dimostrazione di un’autentica attività mutualistica, le agevolazioni decadono.

Al contrario, sono state confermate in alcuni casi le agevolazioni per cooperative o aziende che dimostravano:

  • tracciabilità del bestiame;

  • esecuzione del contratto secondo le regole codicistiche;

  • conferimento effettivo dei prodotti da parte di soci attivi.

Questi precedenti confermano quanto sia importante una documentazione solida, coerente e verificabile. Non basta dichiarare, occorre provare.

Quale contratto scegliere?

Nel contesto dell’attività agricola, soprattutto nel settore zootecnico, la scelta della forma contrattuale può incidere profondamente non solo sull’operatività aziendale, ma anche sull’accesso alle agevolazioni previdenziali e fiscali. La soccida è solo una delle molte opzioni a disposizione degli imprenditori agricoli, e va valutata attentamente rispetto ad alternative come il comodato, l’affitto agrario o l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro o capitali.

Soccida

È un contratto associativo, disciplinato dal Codice Civile, in cui due soggetti collaborano per l’allevamento di animali, condividendo utili e rischi. È indicata nei casi in cui si voglia instaurare una relazione mutualistica, ma richiede un’attenta gestione documentale e contrattuale per non perdere la qualifica agricola.

Affitto agrario

Regolato dalla Legge n. 203/1982, è molto usato per la conduzione di fondi rustici. L’affittuario paga un canone, assume i rischi e gestisce autonomamente l’azienda. È un contratto più semplice da gestire rispetto alla soccida, ma non consente di “spartire” gli utili con il concedente.

Comodato d’uso gratuito

Spesso usato tra familiari o tra soci di cooperative. Consente di cedere gratuitamente l’uso di terreni o strutture. Attenzione: se utilizzato impropriamente per mascherare attività commerciali, può essere contestato dall’INPS o dall’Agenzia delle Entrate.

Associazione in partecipazione

Prevista dall’art. 2549 c.c., può essere utilizzata anche in agricoltura, ma è vista con cautela dagli enti ispettivi. Il rischio è che venga assimilata a rapporti di lavoro subordinato, con conseguenti obblighi contributivi.

Conclusione operativa

La soccida resta una soluzione valida, soprattutto in zootecnia, ma solo se gestita in modo trasparente, documentato e in linea con la prassi agricola. In alternativa, è fondamentale valutare attentamente i benefici e i rischi degli altri modelli contrattuali, anche con il supporto di un commercialista esperto in fiscalità agricola.

Checklist operativa

A seguito della pubblicazione della circolare n. 94/2025, è fondamentale che le imprese agricole, le cooperative e i professionisti del settore si dotino di strumenti concreti per assicurare la piena conformità alle nuove regole INPS e mantenere i vantaggi contributivi previsti. Di seguito, una checklist operativa utile per verificare il rispetto delle condizioni chiave:

Contratto di soccida

  • È redatto in forma scritta e registrata?

  • Rispettano entrambi i soggetti le disposizioni degli articoli 2178, 2181 e 2184 c.c.?

  • È chiara la suddivisione di utili, prodotti e rischi?

Bestiame e produzione

  • Il bestiame è effettivamente allevato in azienda e non acquistato da terzi?

  • È tracciabile l’origine degli animali nel registro zootecnico?

  • I prodotti derivano da attività interna e non da acquisti esterni?

Documentazione e registri

  • Esiste corrispondenza tra movimenti zootecnici e contabili?

  • Sono presenti le fatture, ricevute e scritture giustificative coerenti con l’attività agricola?

  • Le scritture private sono firmate da entrambe le parti e aggiornate?

Cooperative e consorzi

  • I prodotti sono effettivamente conferiti da soci attivi?

  • La trasformazione è realizzata internamente alla cooperativa?

  • La zona di provenienza rientra tra quelle montane o svantaggiate secondo la normativa?

Aspetti fiscali e previdenziali

  • L’impresa è correttamente inquadrata nella Gestione Contributiva Agricola?

  • Sono state effettuate verifiche ispettive negli ultimi 5 anni?

  • Esiste un piano di audit interno o un controllo periodico dei contratti attivi?

Questa lista, se accompagnata da una consulenza qualificata, consente di prevenire errori, evitare riclassificazioni dannose e difendere in modo solido l’accesso ai benefici INPS. In un contesto normativo in continuo cambiamento, la prevenzione è la vera forma di risparmio fiscale.

Conclusione

Le istruzioni fornite dall’INPS con la circolare n. 94/2025 rappresentano un momento di svolta per le imprese zootecniche e le cooperative agricole che fanno uso del contratto di soccida. L’obiettivo dell’Istituto è duplice: da un lato, prevenire abusi nell’uso di uno strumento contrattuale storicamente diffuso, dall’altro, garantire equità nell’accesso alle agevolazioni contributive, riservate a chi opera in modo trasparente, tracciabile e conforme alla normativa.

Per le aziende corrette e strutturate, si aprono nuove opportunità: mantenere l’inquadramento nella Gestione Agricola, ottenere riduzioni per le zone svantaggiate, evitare riclassificazioni e contenziosi. Tuttavia, il rischio di perdere questi benefici è concreto per chi opera senza una documentazione adeguata o con contratti di facciata.

La parola d’ordine è prevenzione: dotarsi di consulenza esperta, redigere i contratti in modo corretto, mantenere i registri aggiornati e rispondere con prontezza a eventuali ispezioni. In un sistema agricolo sempre più complesso e controllato, affidarsi a professionisti specializzati in fiscalità agricola è la strategia vincente per trasformare un obbligo in un vantaggio competitivo.

Estromissione agevolata immobili: scadenza al 31 maggio 2025

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Il 31 maggio 2025 rappresenta una data cruciale per gli imprenditori individuali: scade infatti il termine per beneficiare dell’estromissione agevolata degli immobili strumentali. Parliamo di una misura prevista dalla Legge di Bilancio 2024, che consente di trasferire beni immobili strumentali dal patrimonio dell’impresa a quello personale dell’imprenditore, a condizioni fiscali fortemente vantaggiose.

L’estromissione riguarda sia gli immobili strumentali per natura (come magazzini, laboratori, opifici), sia quelli per destinazione, cioè utilizzati nell’attività d’impresa pur non essendo qualificati formalmente come tali. Il vantaggio? Poter “togliere” l’immobile dalla sfera aziendale senza subire l’ordinaria tassazione sulle plusvalenze realizzate in sede di fuoriuscita dal patrimonio dell’impresa. In pratica, un’uscita agevolata con imposte sostitutive ridotte.

Questa opzione è rivolta esclusivamente alle imprese individuali in attività al 31 ottobre 2023, che risultino titolari degli immobili al 1° gennaio 2024. Il termine del 31 maggio 2025 segna la scadenza per effettuare l’estromissione con comportamento concludente, ad esempio attraverso l’annotazione in contabilità o l’utilizzo privato del bene, purché in modo coerente e documentato.

Ma cosa significa concretamente estromettere un immobile? Quali sono le imposte da pagare? E soprattutto, quali benefici fiscali si possono ottenere rispetto a una normale cessione o dismissione? In questo articolo analizzeremo nel dettaglio i vantaggi, gli adempimenti, le condizioni di accesso e i casi dubbi.

Cos’è

L’estromissione è un’operazione contabile e fiscale che consiste nel trasferimento di un bene (nel nostro caso un immobile) dal patrimonio dell’impresa individuale a quello personale dell’imprenditore. Questo accade, ad esempio, quando un immobile che era stato acquistato e utilizzato per l’attività produttiva non viene più impiegato per tale scopo e l’imprenditore decide di “privatizzarlo”.

Normalmente, questa operazione comporta delle conseguenze fiscali rilevanti: l’estromissione è equiparata a una cessione a titolo oneroso, per cui viene calcolata l’eventuale plusvalenza tra il valore normale del bene e il suo valore contabile. Tale plusvalenza è soggetta alla tassazione IRPEF ordinaria, oltre a IVA e imposte indirette dove applicabili. In pratica, in assenza di regimi agevolati, estromettere un immobile può essere molto costoso.

La legge di Bilancio 2024, tuttavia, ha riproposto un regime di estromissione agevolata, già utilizzato in passato, che permette di effettuare tale operazione con il pagamento di un’imposta sostitutiva ridotta dell’8% (che può salire al 10,5% per soggetti con ricavi superiori a 5 milioni di euro). Non si applica l’IRPEF ordinaria, e sono previste anche semplificazioni ai fini IVA e imposte di registro.

Questo meccanismo consente quindi di trasferire l’immobile nella sfera privata dell’imprenditore con un carico fiscale limitato, liberandosi dell’obbligo di gestirlo come bene d’impresa e migliorando la propria pianificazione patrimoniale e fiscale. È una strategia molto apprezzata, soprattutto in vista di una cessazione o riorganizzazione dell’attività.

Modalità operative e scadenze

Per esercitare correttamente l’estromissione agevolata, l’imprenditore individuale deve agire entro una scadenza improrogabile: il 31 maggio 2025.

Non si tratta di una semplice dichiarazione d’intenti, ma di un vero e proprio comportamento concludente, che deve emergere da un’annotazione contabile.

Più precisamente:

  • per i soggetti in contabilità ordinaria, l’estromissione deve risultare annotata nel libro giornale;

  • per coloro in contabilità semplificata, l’annotazione va fatta nel registro dei beni ammortizzabili.

Con questa semplice registrazione contabile, l’imprenditore segnala che l’immobile è uscito dal patrimonio aziendale ed è passato nella sfera privata. È importante sottolineare che non è necessario alcun atto notarile, in quanto l’immobile resta intestato allo stesso soggetto (l’imprenditore), e non cambia la titolarità civilistica, ma solo la qualificazione fiscale del bene.

L’opzione ha effetto retroattivo al 1° gennaio 2025, anche se esercitata entro il 31 maggio. Questo significa che, dal punto di vista fiscale, l’immobile viene considerato privato per tutto l’anno 2025, e quindi il relativo reddito dovrà essere dichiarato nel quadro RB del modello Redditi PF o nel quadro B del modello 730, come per qualunque altro immobile personale.

Tuttavia, affinché l’estromissione sia considerata effettiva e completata, è necessario indicarla nella dichiarazione dei redditi 2025, specificamente nel quadro RQ del modello Redditi, indicando il valore del bene e calcolando l’imposta sostitutiva. Il versamento non è immediatamente vincolante, ma se non eseguito nei termini, l’imposta sarà comunque iscritta a ruolo, con tutte le conseguenze del caso.

Immobili ammessi

L’estromissione agevolata riguarda esclusivamente gli immobili strumentali dell’imprenditore individuale, distinguibili in due macro-categorie: strumentali per natura e strumentali per destinazione.

Ma cosa significa in pratica?

  • Gli immobili strumentali per natura sono quelli che, per caratteristiche oggettive, non possono avere altro uso se non quello produttivo, come capannoni, laboratori, stabilimenti industriali o uffici accatastati in categoria A/10, C/1, C/3, D/1 ecc.

  • Gli immobili strumentali per destinazione sono invece quelli che, pur non essendo strutturalmente “aziendali”, vengono effettivamente utilizzati per l’attività d’impresa, come ad esempio un appartamento adibito a studio professionale o sede amministrativa.

Rientrano nell’agevolazione anche:

  • gli immobili nei quali l’attività dell’impresa è esercitata direttamente;

  • quelli acquistati per l’attività e successivamente non più utilizzati, per esempio in seguito a trasferimento della sede o cessazione dell’attività;

  • eventualmente, anche immobili acquistati a scopo d’investimento, se la loro destinazione risulta coerente con l’attività dell’impresa al momento dell’acquisto.

È importante ricordare che non sono ammessi all’estromissione agevolata gli immobili merce, ossia quelli costruiti o acquistati per la rivendita, e nemmeno quelli posseduti da società di persone o di capitali. Per queste ultime esiste un regime distinto, ovvero l’assegnazione agevolata ai soci, che ha regole simili ma include anche gli immobili merce, escludendo invece quelli strumentali per destinazione.

Questa distinzione è fondamentale per evitare errori nell’applicazione del beneficio, soprattutto nei casi più complessi, come nel caso di imprenditori che svolgono l’attività in forma ibrida o mista.

Imposte ridotte e semplificazioni

L’estromissione agevolata offre importanti benefici fiscali, che la rendono una delle operazioni più convenienti per l’imprenditore individuale che desidera trasferire immobili nel proprio patrimonio personale senza incorrere nella piena tassazione ordinaria. La disciplina è sostanzialmente parallela a quella prevista per l’assegnazione agevolata dei beni ai soci nelle società, e si traduce in una serie di agevolazioni fiscali specifiche:

  1. Imposta sostitutiva ridotta: l’eventuale plusvalenza realizzata (cioè la differenza tra il valore normale dell’immobile e il suo valore contabile) non è tassata con le normali aliquote IRPEF, ma con un’imposta sostitutiva dell’8%. Se però l’impresa ha realizzato ricavi superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente, l’aliquota sale al 10,5%.

  2. Valore catastale in luogo del valore normale: per determinare la base imponibile della plusvalenza su cui applicare l’imposta sostitutiva, è possibile utilizzare il valore catastale dell’immobile anziché il valore di mercato. Questo è un vantaggio non da poco, perché il valore catastale è generalmente inferiore al valore normale, riducendo così la tassazione. La facoltà è prevista dall’art. 9, comma 3, del TUIR.

  3. Registro dimezzato: l’imposta di registro, normalmente dovuta in misura proporzionale, viene ridotta della metà. Questa agevolazione si applica solo se l’estromissione comporta atti che la rendono soggetta a registrazione.

  4. Imposte ipotecaria e catastale fisse: indipendentemente dal valore dell’immobile o dalla tipologia catastale, le imposte ipotecaria e catastale sono applicate in misura fissa, e non proporzionale. Questo rappresenta un ulteriore risparmio, specialmente per immobili di valore elevato.

Nel complesso, l’estromissione agevolata consente all’imprenditore di “privatizzare” l’immobile aziendale a costi fiscali contenuti, evitando un’esposizione fiscale ordinaria che in alcuni casi potrebbe essere anche molto penalizzante. È una strategia utile anche per anticipare una futura cessione o successione.

Scadenze e versamenti

Per beneficiare in pieno dell’estromissione agevolata degli immobili strumentali, è fondamentale rispettare puntualmente le scadenze previste dalla norma. Le date da segnare in agenda sono tre e ognuna ha una funzione chiave nel perfezionamento dell’operazione.

  • 31 ottobre 2024Termine di riferimento per la titolarità dell’immobile: alla data del 31 ottobre 2024, l’immobile deve già far parte del patrimonio dell’impresa. Questo significa che deve risultare annotato in inventario (per le imprese in contabilità ordinaria) o nel registro dei beni ammortizzabili (per quelle in contabilità semplificata). Se l’immobile è stato acquisito successivamente, l’estromissione agevolata non sarà possibile.

  • 1° gennaio 2025Decorrenza degli effetti fiscali: da questa data è possibile effettuare l’estromissione, e gli effetti sono retroattivi all’intero anno 2025. Tuttavia, è indispensabile che l’imprenditore sia ancora titolare dell’attività al 1° gennaio 2025, condizione necessaria per accedere all’agevolazione.

  • 31 maggio 2025Scadenza ultima per eseguire l’estromissione: entro questa data, l’imprenditore deve adottare un comportamento concludente, annotando l’operazione nei registri contabili e perfezionando successivamente l’opzione in dichiarazione.

Quanto al pagamento dell’imposta sostitutiva, la norma prevede una dilazione su due rate:

  • il 60% dell’importo dovuto deve essere versato entro il 30 novembre 2025, termine che coincide con il versamento del saldo delle imposte sui redditi;

  • il 40% residuo deve essere saldato entro il 30 giugno 2026.

Il rispetto di queste scadenze è essenziale per non decadere dall’agevolazione. In caso di mancato pagamento, l’importo sarà iscritto a ruolo, con possibile aggravio di interessi e sanzioni.

Vantaggi

L’estromissione agevolata offre agli imprenditori individuali una via fiscalmente efficiente per riorganizzare il proprio patrimonio immobiliare, soprattutto in vista di una cessazione d’attività, una trasformazione societaria o un passaggio generazionale.

Tra i benefici principali, possiamo evidenziare:

  • Tassazione agevolata con imposta sostitutiva dell’8% (o 10,5% se i ricavi superano i 5 milioni di euro), molto inferiore all’aliquota IRPEF ordinaria;

  • Possibilità di calcolare la plusvalenza non sul valore di mercato, ma sul valore catastale (art. 9, comma 3, TUIR), che è solitamente inferiore e quindi riduce ulteriormente l’imposizione;

  • Imposta di registro dimezzata, che si applica se l’operazione richiede una registrazione formale;

  • Imposte ipotecarie e catastali in misura fissa, indipendentemente dal valore dell’immobile;

  • Nessun obbligo di stipulare un atto notarile, poiché non cambia l’intestazione civilistica del bene, ma solo la sua qualificazione fiscale;

  • Retroattività degli effetti al 1° gennaio 2025, che consente di anticipare la gestione privatistica del bene su tutto l’anno.

Inoltre, estromettere un immobile significa semplificare la contabilità, ridurre il rischio di futuri contenziosi fiscali e rendere l’attività più flessibile dal punto di vista patrimoniale. In un’ottica strategica, è una mossa di grande valore anche per proteggere il patrimonio personale da eventuali rischi aziendali futuri.

Conclusione

L’estromissione agevolata degli immobili strumentali è una misura fiscale temporanea e vantaggiosa, che consente agli imprenditori individuali di ottimizzare il carico tributario e allo stesso tempo di riorganizzare il proprio patrimonio immobiliare. È una finestra strategica che permette di ridurre le imposte, liberare l’azienda da beni non più funzionali e pianificare il futuro con maggiore serenità, anche in vista di una successione, una chiusura o una ristrutturazione dell’attività.

Il termine del 31 maggio 2025 si avvicina rapidamente e, come spesso accade con le misure agevolative, chi si muove per tempo ha più possibilità di trarne beneficio pieno. Le condizioni sono chiare: l’immobile deve risultare d’impresa al 31 ottobre 2024, l’estromissione deve avvenire con comportamento concludente a partire dal 1° gennaio 2025, e l’imposta sostitutiva va versata tra novembre 2025 e giugno 2026.

Rivolgersi al proprio commercialista o consulente fiscale è fondamentale per verificare la documentazione, valutare la convenienza dell’operazione e rispettare tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa.

In un periodo in cui ogni euro risparmiato può fare la differenza, l’estromissione agevolata rappresenta un’opportunità concreta di alleggerimento fiscale e razionalizzazione patrimoniale. Ignorarla potrebbe significare rinunciare a un importante vantaggio economico.

Cagliari vince l’Oscar della Salute: arte, cibo e comunità per curare l’anima e la mente

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A woman stands in profile as a serene tree melds with her silhouette against a vivid sunset, embodying a connection to nature and tranquility.

Cosa accade quando la creatività incontra la salute pubblica? E se a curare l’anima non fossero solo le terapie tradizionali, ma anche il potere trasformativo dell’arte, dell’ascolto e della comunità? A dare una risposta concreta è Cagliari, che ha conquistato la scena nazionale ricevendo una menzione speciale all’Oscar della Salute 2025 per il progetto innovativo “ArteS – Arte e Salute”.

Nel cuore del capoluogo sardo, un centro polivalente trasforma da anni l’arte in strumento terapeutico per persone con fragilità psichiche, dando voce, dignità e possibilità di rinascita attraverso pittura, teatro, scrittura e dialogo. Un modello vincente che ha colpito anche la giuria del XXII Meeting Nazionale “Città per la Salute”, portando Cagliari tra le eccellenze italiane in ambito socio-sanitario.

Ma l’arte, in Sardegna, non è sola. A contribuire a questo ecosistema del benessere c’è anche il patrimonio culturale, alimentare e identitario dell’isola, valorizzato da realtà come Tutela Sarda, che promuove la dieta locale, il km zero e uno stile di vita che protegge corpo e mente.

L’esperienza cagliaritana racconta allora molto più di un singolo progetto: è la prova tangibile che cura e cultura possono camminare insieme, migliorando la qualità della vita, rafforzando la comunità e costruendo una sanità più empatica e sostenibile.

Introduzione

Cagliari conquista la scena nazionale aggiudicandosi un prestigioso riconoscimento nel campo della salute pubblica e del benessere mentale. Si tratta dell’Oscar della Salute 2025, conferito nell’ambito del XXII Meeting Nazionale “Città per la Salute” svoltosi a Bergamo. Tra oltre un centinaio di iniziative valutate da una commissione scientifica, spicca “ArteS – Arte e Salute Spazio polivalente di ascolto e creatività”, un progetto che unisce la potenza trasformativa dell’arte con le esigenze della salute mentale e dell’inclusione sociale.

A ricevere la menzione speciale per Originalità e Innovazione, è stato il Comune di Cagliari in collaborazione con la cooperativa sociale Panta Rei Sardegna, che da anni gestisce il centro ArteS, uno spazio dedicato alla creatività, all’ascolto e all’accoglienza. Un progetto nato con l’obiettivo di offrire percorsi espressivi e terapeutici, capaci di rompere l’isolamento, rafforzare il senso di comunità e promuovere la salute mentale attraverso linguaggi alternativi: pittura, teatro, musica e narrazione.

Questo riconoscimento nazionale testimonia come l’arte, se ben inserita in un contesto terapeutico e sociale, può diventare strumento di rigenerazione personale e collettiva, superando il semplice concetto di attività ricreativa. L’esperienza di Cagliari dimostra che l’innovazione nel settore socio-sanitario non passa solo per la tecnologia, ma anche attraverso modelli relazionali nuovi, basati sull’ascolto, sull’inclusività e sul rispetto dei tempi e delle fragilità di ciascuno.

ArteS

Nel cuore di Cagliari, il centro ArteS rappresenta molto più di un semplice laboratorio creativo: è un luogo di rinascita, consapevolezza e inclusione, operativo da anni grazie alla collaborazione tra il Comune e la cooperativa sociale Panta Rei Sardegna. Qui, persone affette da disagio psichico possono intraprendere un percorso di espressione, crescita e reinserimento sociale attraverso linguaggi artistici diversificati: pittura, teatro, scrittura, musica. L’arte si trasforma in strumento di ascolto e guarigione, capace di abbattere i muri dell’isolamento e dello stigma.

Il progetto ha come obiettivo la riconquista dell’autonomia personale, il recupero della dignità sociale e la creazione di legami comunitari forti. Gli utenti del centro non sono semplici beneficiari, ma veri protagonisti del cambiamento, autori di opere e iniziative che hanno ricadute positive sull’intero tessuto urbano. L’approccio di ArteS si distingue per la capacità di mettere al centro la persona, con i suoi tempi, bisogni e potenzialità, in un clima di accoglienza e valorizzazione.

A sottolineare l’importanza di questo risultato è intervenuta anche l’assessora alla Salute del Comune di Cagliari, Anna Puddu, che ha dichiarato:

“Un riconoscimento importante non solo per l’Amministrazione, che crede e investe nel progetto, ma soprattutto per le tante persone che ogni giorno animano il centro. La menzione della Rete Città Sane ci stimola a continuare su questa strada, rafforzando la sinergia tra pubblico e privato che ha dato prova di essere vincente”

Questa sinergia tra istituzioni pubbliche e realtà del terzo settore si conferma un modello virtuoso per affrontare la fragilità psichica con strumenti innovativi, umani e sostenibili.

L’Oscar della Salute

Il prestigioso riconoscimento conferito ad ArteS nell’ambito dell’Oscar della Salute 2025 non è frutto del caso. Il progetto cagliaritano è stato selezionato tra oltre un centinaio di iniziative presentate da comuni di tutta Italia durante il XXII Meeting Nazionale “Città per la Salute”, tenutosi a Bergamo. La commissione scientifica ha valutato i progetti in base a criteri di originalità, impatto sociale, sostenibilità e innovazione nelle politiche urbane per la salute pubblica.

Tra i 12 progetti più meritevoli a livello nazionale, ArteS si è distinto proprio per il suo approccio multidimensionale alla salute mentale, che non si limita a fornire assistenza, ma promuove attivamente il benessere psicosociale attraverso strumenti non convenzionali. L’arte, in questo contesto, non è solo decorazione o intrattenimento: diventa terapia, dialogo, partecipazione, e agisce su più livelli—individuale, relazionale e comunitario.

L’Oscar della Salute assume un significato ancora più profondo se inserito in un’epoca storica in cui la salute mentale è diventata una priorità sociale ed economica, soprattutto dopo le fragilità emerse con la pandemia. In questo scenario, progetti come ArteS mostrano come sia possibile passare dalla logica emergenziale a quella preventiva e inclusiva, valorizzando le potenzialità del capitale umano e culturale dei territori.

Il premio non celebra solo un progetto, ma una visione di salute pubblica avanzata, dove arte, cittadinanza attiva, servizi sociali e comunità si intrecciano per costruire modelli di cura più umani, partecipati e sostenibili.

Tutela Sarda

L’arte che cura l’anima, come nel caso del progetto ArteS, non si esprime solo nei linguaggi visivi o performativi, ma è anche profondamente legata al modo in cui viviamo, ci nutriamo, ci riconosciamo nel territorio e nella nostra identità collettiva. In questo senso, la valorizzazione dei prodotti tipici locali e la promozione dello stile di vita sardo, portati avanti da realtà come Tutela Sarda, assumono un ruolo chiave nella promozione della salute, anche mentale.

La Sardegna è terra di longevità, e non a caso è una delle celebri “Blue Zones” del pianeta: qui, fattori come alimentazione genuina, legame con la terra, relazioni comunitarie forti e vita all’aria aperta si fondono in uno stile di vita che protegge corpo e mente. Tutela Sarda, con la sua attività di difesa e promozione dei prodotti sardi di qualità, non si limita a fare marketing territoriale: diffonde una cultura del benessere profondo, dove ciò che mangiamo e ciò che scegliamo di sostenere economicamente diventa parte di una scelta consapevole per vivere meglio.

Integrare questi principi con progetti come ArteS significa chiudere il cerchio del benessere integrato: arte per l’anima, cibo per il corpo, identità per la mente. Un modello di sviluppo umano e sostenibile che parte dalla cultura, passa per la comunità, e arriva alla salute.

Cagliari come modello

Il successo del progetto ArteS e il riconoscimento ricevuto all’Oscar della Salute 2025 mostrano con chiarezza che un’altra sanità è possibile, più umana, più creativa, più vicina alle persone. Il valore dell’iniziativa cagliaritana va ben oltre il confine cittadino o regionale: rappresenta un modello replicabile per tutte le amministrazioni italiane che vogliono affrontare in modo nuovo le sfide legate alla salute mentale e al benessere psicosociale.

ArteS dimostra che con modesti investimenti, ma una visione chiara, è possibile trasformare spazi urbani in luoghi di cura non convenzionali, dove arte, ascolto e partecipazione si fondono in percorsi terapeutici efficaci e coinvolgenti. Il progetto ha inoltre dimostrato quanto sia strategico coinvolgere il terzo settore, come la cooperativa Panta Rei, per attivare reti territoriali capaci di durare nel tempo e di adattarsi alle esigenze locali.

In un’epoca in cui il disagio psicologico è in forte crescita, soprattutto tra i giovani, le politiche pubbliche devono andare oltre la semplice assistenza medica e puntare su interventi culturali, educativi e relazionali. Progetti come ArteS offrono una via concreta per integrare i servizi sanitari tradizionali con esperienze artistiche e comunitarie, contribuendo a costruire città più sane, inclusive e creative.

Se Cagliari è riuscita a distinguersi a livello nazionale, è anche grazie a un’amministrazione che ha saputo credere nel valore della cultura e nella forza dei linguaggi non verbali per prendersi cura delle persone. Un esempio che potrebbe e dovrebbe ispirare molte altre realtà italiane.

Arte, stile di vita e salute globale

L’esperienza di Cagliari con il progetto ArteS si inserisce in una tendenza sempre più riconosciuta a livello internazionale: la salute non è solo assenza di malattia, ma uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, come ribadisce da anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). In quest’ottica, la promozione della salute richiede approcci interdisciplinari e centrati sulla persona, che integrino medicina, cultura, educazione e partecipazione comunitaria.

Negli ultimi anni, l’OMS ha pubblicato studi e linee guida che evidenziano il ruolo dell’arte e delle attività culturali nella prevenzione e nel trattamento dei disturbi mentali. In particolare, è stato riconosciuto il valore di pratiche come il teatro, la musica, la danza, la narrazione e le arti visive come strumenti efficaci per ridurre l’ansia, combattere la depressione, migliorare le capacità cognitive e sociali, e rafforzare il senso di appartenenza. Il progetto ArteS incarna perfettamente questa visione: mette al centro l’individuo, non come paziente da curare, ma come soggetto da ascoltare, esprimere e valorizzare.

Accanto all’espressione artistica, la qualità dello stile di vita è un altro pilastro della salute globale. La Sardegna, con la sua dieta tradizionale, le relazioni comunitarie forti e il legame con la terra, offre un modello concreto di “salute integrata”. Il lavoro di valorizzazione portato avanti da Tutela Sarda si intreccia quindi con queste dinamiche: promuovere una cultura del cibo locale e genuino non è solo un atto economico o turistico, ma anche un investimento in salute pubblica.

Cultura, arte, alimentazione, ambiente e partecipazione non sono settori isolati, ma assi di una stessa strategia per il benessere individuale e collettivo. Ed è proprio su questa connessione che l’Italia – e non solo – dovrebbe investire nei prossimi anni.

Conclusioni

Il successo del progetto ArteS non è solo un traguardo per la città di Cagliari, ma un esempio concreto di come la cultura possa trasformarsi in cura e generare un impatto positivo e duraturo sulla società. Questo riconoscimento, simbolicamente potente, mette in luce un’idea evoluta di salute: una condizione che nasce dalla connessione armonica tra corpo, mente, territorio e relazioni umane.

In un tempo in cui i sistemi sanitari sono sempre più sotto pressione e le fragilità psichiche emergono con forza, serve una nuova visione del benessere, capace di coniugare prevenzione, inclusione e partecipazione. ArteS, con la sua formula innovativa basata sull’espressione artistica e sull’ascolto, rappresenta una risposta efficace e replicabile a queste sfide. Allo stesso tempo, l’impegno di realtà come Tutela Sarda, che difendono e promuovono un’identità culturale e alimentare fondata sulla qualità, la sostenibilità e la relazione con il territorio, arricchisce questo ecosistema di salute con valori concreti e quotidiani.

In sintesi, l’Oscar della Salute assegnato a Cagliari ci ricorda che prendersi cura delle persone significa anche prendersi cura dei contesti in cui vivono, offrendo loro strumenti per esprimersi, nutrirsi bene, sentirsi parte di una comunità. Ed è proprio su queste basi – arte, territorio, ascolto e tradizione – che si costruisce un futuro più sano, solidale e umano per tutti.

Bonus ZES Unica 2025: come funziona, a chi spetta e come richiederlo entro il 30 maggio

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Se sei un imprenditore, un agricoltore o un professionista che opera o intende investire nel Mezzogiorno, c’è una scadenza che non puoi permetterti di ignorare: il 30 maggio 2025. Entro questa data, infatti, è possibile presentare domanda per accedere al Bonus Zes Unica 2025, un incentivo fiscale tra i più rilevanti dell’anno, pensato per sostenere la crescita economica delle regioni del Sud attraverso un credito d’imposta sugli investimenti produttivi.

Parliamo di un’occasione reale per ottenere un rimborso parziale — ma sostanzioso — delle spese sostenute per impianti, macchinari, attrezzature, fabbricati e beni strumentali destinati ad attività economiche in specifiche aree geografiche chiamate Zone Economiche Speciali (ZES). Per il 2025 il Governo ha messo a disposizione 2,2 miliardi di euro per la ZES Unica e 50 milioni per il settore agricolo, risorse che verranno assegnate alle imprese che presenteranno una domanda conforme e completa.

Ma chi può richiederlo? Quali sono le condizioni da rispettare?  In questo articolo ti spieghiamo tutto, con esempi pratici, casi reali e indicazioni operative per accedere all’agevolazione in modo semplice, sicuro e vantaggioso.

Introduzione

Fino al 30 maggio 2025, le imprese che operano all’interno delle aree Zes (Zone Economiche Speciali) possono presentare domanda per accedere al Bonus Zes Unica e al Bonus Zes Agricoltura. Si tratta di un’importante misura fiscale sotto forma di credito d’imposta, pensata per incentivare nuovi investimenti produttivi nel Sud Italia. L’agevolazione è destinata a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica e dal regime contabile adottato, che realizzano investimenti in beni strumentali nuovi tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2025, purché questi impianti siano situati all’interno dell’area Zes Unica.

Questo bonus è uno strumento centrale della politica industriale e fiscale del Governo per favorire la crescita economica, ridurre il divario Nord-Sud e attrarre capitali privati. In particolare, rientra nella strategia della nuova Zes Unica per il Mezzogiorno, introdotta a partire dal 1° gennaio 2024, che unifica e semplifica il funzionamento delle precedenti otto Zes regionali. L’obiettivo è rendere l’intero territorio del Sud una piattaforma attrattiva per investimenti nazionali ed esteri, attraverso benefici fiscali concreti, semplificazioni amministrative e incentivi mirati.

Chi può richiedere il bonus

Il Bonus Zes Unica 2025 è un incentivo fiscale sotto forma di credito d’imposta destinato alle imprese che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi, da destinare a strutture produttive localizzate all’interno della Zes Unica per il Mezzogiorno. Questa grande area speciale comprende sette regioni italiane: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. L’incentivo è applicabile anche al Bonus Zes Agricoltura, pensato appositamente per il settore agricolo e con un fondo dedicato di 50 milioni di euro.

La misura è stata confermata dalla legge di bilancio 2025, che ha fissato un budget complessivo di 2,2 miliardi di euro per il credito Zes Unica. Possono accedere tutte le imprese – senza distinzione di settore, dimensione o forma giuridica – che effettuano investimenti tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2025, purché gli stessi abbiano un costo minimo di 200.000 euro. Il tetto massimo agevolabile è fissato invece a 100 milioni di euro per ciascun progetto.

Per poter beneficiare del bonus, le imprese devono comunicare all’Agenzia delle Entrate l’ammontare delle spese effettivamente sostenute o previste, entro e non oltre il 30 maggio 2025. Questa comunicazione rappresenta il primo passo indispensabile per accedere all’agevolazione e deve essere trasmessa in modalità telematica. È essenziale che i beni oggetto dell’investimento siano nuovi e strettamente collegati all’attività produttiva dell’impresa, pena la decadenza dal beneficio.

Investimenti ammessi

Il Bonus Zes Unica 2025 è pensato per sostenere in maniera concreta le imprese che desiderano rafforzare o avviare nuove attività produttive nel Mezzogiorno. Il credito d’imposta può essere richiesto per acquisti di beni strumentali nuovi, come macchinari, impianti, attrezzature, fabbricati strumentali, oppure per interventi su immobili già esistenti destinati all’attività industriale, artigianale, agricola o di servizi. L’incentivo si applica sia alle strutture già operative, sia a quelle in fase di realizzazione o progettazione, purché situate nei territori inclusi nella Zes Unica.

Questo elemento è centrale: l’investimento, per essere agevolabile, deve essere collocato fisicamente nell’area Zes e destinato all’attività produttiva. Non è quindi sufficiente che l’impresa abbia la sede legale in una delle regioni del Sud, ma è essenziale che l’impianto produttivo oggetto dell’investimento sia localizzato nella Zes.

Tuttavia, non tutte le imprese possono accedere al bonus. L’Agenzia delle Entrate, nelle sue istruzioni operative, ha chiarito che restano escluse le attività rientranti nei seguenti settori:

  • industria siderurgica,

  • industria carbonifera e della lignite,

  • trasporti (con l’eccezione dei settori di magazzinaggio e supporto ai trasporti),

  • produzione e distribuzione di energia e delle infrastrutture energetiche,

  • banda larga,

  • settori finanziari, creditizi e assicurativi.

Queste limitazioni sono state introdotte per rispettare le normative europee in materia di concorrenza e aiuti di Stato. Si tratta quindi di una misura mirata, che punta a sostenere gli investimenti realmente produttivi e innovativi, capaci di generare occupazione e sviluppo nei territori del Sud.

Come presentare domanda

Per accedere al Bonus Zes Unica 2025, le imprese interessate devono presentare una specifica comunicazione all’Agenzia delle Entrate entro il termine improrogabile del 30 maggio 2025. Tale comunicazione deve contenere l’elenco dettagliato delle spese già sostenute dall’inizio dell’anno, nonché una previsione degli investimenti che si intendono effettuare fino al 15 novembre 2025. È importante che l’intero processo venga eseguito esclusivamente in via telematica, utilizzando gli strumenti messi a disposizione dal Fisco.

A tale scopo, l’Agenzia ha predisposto il software ZES UNICA2025, disponibile sul proprio sito ufficiale, che guida passo dopo passo l’impresa (o il soggetto intermediario) nella compilazione della domanda.

All’interno del modulo elettronico devono essere inseriti con precisione:

  • i dati identificativi dell’impresa,

  • l’ubicazione degli impianti,

  • l’elenco dei beni strumentali acquistati o da acquistare,

  • gli importi delle spese sostenute o previste,

  • e l’indicazione del credito d’imposta richiesto.

La domanda può essere inviata direttamente dall’impresa oppure tramite un intermediario abilitato (commercialista, consulente fiscale o CAF).

Il corretto e tempestivo invio della comunicazione rappresenta una condizione indispensabile per l’ottenimento dell’agevolazione: in assenza di essa, il credito non sarà riconosciuto. Una volta esaurito il plafond disponibile, l’Agenzia delle Entrate provvederà a ripartire le risorse tra i richiedenti, eventualmente in misura proporzionale.

Compensazione e vincoli

Una volta che l’Agenzia delle Entrate ha validato la domanda e assegnato l’importo del credito d’imposta Zes Unica 2025, l’impresa beneficiaria può iniziare a utilizzarlo secondo le regole ordinarie previste dall’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/1997, ossia tramite il modello F24, in compensazione con altri tributi o contributi dovuti. Il credito potrà essere portato in compensazione a partire dal giorno lavorativo successivo a quello di ricezione della comunicazione di riconoscimento del credito.

Non sono previsti limiti annui alla compensazione del credito, ma è fondamentale che:

  • il credito sia indicato nel quadro RU della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è stato riconosciuto;

  • siano rispettati gli obblighi di tracciabilità delle spese sostenute, che dovranno essere adeguatamente documentate;

  • le attività produttive e i beni agevolati siano mantenuti per almeno cinque anni, o tre anni in caso di piccole imprese, pena la revoca del beneficio.

Il credito d’imposta non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile IRAP, e non incide ai fini del calcolo del rapporto di deducibilità degli interessi passivi e dei componenti negativi ai sensi degli articoli 61 e 109 del TUIR. È inoltre cumulabile con altri incentivi, a condizione che tale cumulo non comporti il superamento del costo complessivo sostenuto per l’investimento.

Questo meccanismo di fruizione semplice e trasparente permette alle imprese di ridurre in tempi rapidi il carico fiscale, liberando risorse da reinvestire in crescita, innovazione e nuova occupazione, contribuendo così all’effettiva rinascita industriale delle aree meridionali.

Vantaggi

Il Bonus Zes Unica 2025 rappresenta un’occasione strategica per le imprese che intendono espandere la propria capacità produttiva o trasferire parte delle attività nel Mezzogiorno, beneficiando di un supporto fiscale significativo. Per comprendere meglio l’impatto concreto di questo incentivo, vediamo alcuni casi pratici di applicazione.

Immaginiamo un’impresa manifatturiera con sede legale a Milano che decide di aprire un nuovo impianto produttivo a Bari. L’investimento complessivo previsto per l’acquisto di macchinari industriali, attrezzature, e la ristrutturazione di un capannone esistente ammonta a 1,5 milioni di euro.

Presentando domanda entro il 30 maggio e localizzando l’intervento nell’area Zes Unica, l’azienda potrà beneficiare di un credito d’imposta pari a una percentuale rilevante di tale somma (la percentuale esatta sarà definita con decreto attuativo). Questo si traduce in centinaia di migliaia di euro di tasse risparmiate, utilizzabili in compensazione su imposte e contributi nei mesi successivi.

Un secondo esempio riguarda una cooperativa agricola in Sicilia, che decide di ammodernare i propri impianti di trasformazione dei prodotti locali. Con un investimento di 600.000 euro in nuovi macchinari per la lavorazione e il confezionamento, e grazie all’accesso al Bonus Zes Agricoltura, la cooperativa potrà coprire una parte importante della spesa sostenuta, liberando così risorse da reinvestire in marketing, personale e innovazione di prodotto.

Questi esempi dimostrano come l’incentivo fiscale non solo riduce il carico tributario, ma diventa uno strumento di crescita competitiva, incoraggiando lo sviluppo industriale in aree storicamente svantaggiate, innescando processi virtuosi di occupazione, formazione e internazionalizzazione.

Bonus Zes Agricoltura

Accanto al più ampio Bonus Zes Unica, la Legge di Bilancio 2025 ha introdotto un’ulteriore misura dedicata al comparto agroalimentare: il Bonus Zes Agricoltura. Questo incentivo è pensato per sostenere le imprese del settore primario e della trasformazione alimentare che operano nelle regioni del Sud, fornendo un credito d’imposta ad hoc, con un fondo separato da 50 milioni di euro.

Le modalità di accesso, scadenze e vincoli sono analoghi a quelli previsti per il bonus principale: anche qui occorre trasmettere la comunicazione telematica entro il 30 maggio 2025, utilizzando il software “ZES UNICA2025” e inserendo con precisione le voci di investimento e gli importi. Tuttavia, la differenza principale sta nella destinazione degli investimenti, che in questo caso devono riguardare beni e strutture esclusivamente dedicate all’attività agricola, zootecnica o di trasformazione dei prodotti agricoli.

Rientrano tra le spese agevolabili:

  • l’acquisto di trattrici, mietitrebbie, impianti di irrigazione e serre automatizzate,

  • l’ammodernamento di stalle, magazzini, silos e impianti di trasformazione,

  • le tecnologie per il risparmio energetico e la digitalizzazione delle attività agricole.

Questa misura rappresenta un’opportunità rilevante per aziende agricole di ogni dimensione, cooperative e consorzi del Sud che vogliono innovare, aumentare la produttività e migliorare la sostenibilità ambientale delle proprie attività.

Il Bonus Zes Agricoltura, dunque, si configura non solo come una leva fiscale, ma anche come strumento di modernizzazione dell’agricoltura meridionale, in linea con gli obiettivi europei del Green Deal e della transizione ecologica.

Controlli e cause di decadenza

Come ogni agevolazione fiscale di rilievo, anche il Bonus Zes Unica 2025 è soggetto a controlli rigorosi da parte dell’Agenzia delle Entrate, con l’obiettivo di prevenire abusi e garantire che il credito venga fruito correttamente e solo da chi ne ha effettivamente diritto. L’impresa beneficiaria deve rispettare una serie di obblighi documentali e sostanziali, il cui mancato adempimento può comportare la decadenza totale o parziale del beneficio ottenuto.

Tra i principali vincoli da rispettare:

  • Conservazione della documentazione: l’impresa deve mantenere tutta la documentazione relativa agli investimenti (fatture, contratti, pagamenti tracciabili) per almeno 5 anni.

  • Mantenimento dell’investimento: i beni acquistati devono rimanere nell’unità produttiva per almeno 5 anni (ridotti a 3 per le piccole imprese), altrimenti il credito sarà revocato e dovrà essere restituito con interessi.

  • Divieto di cessione o dismissione dei beni agevolati prima del periodo minimo previsto.

  • Utilizzo reale e coerente: i beni devono essere effettivamente destinati all’attività produttiva dichiarata e non semplicemente acquistati a fini speculativi.

L’Agenzia può procedere a verifiche documentali o ispezioni presso l’impianto, anche successivamente all’erogazione del credito, e in caso di anomalie può revocare l’incentivo e avviare un procedimento di recupero con applicazione di sanzioni amministrative.

Inoltre, se viene accertato che i dati forniti nella comunicazione telematica non corrispondono alla realtà, il credito non sarà riconosciuto, anche se l’investimento è stato effettivamente realizzato.

Queste regole anti-abuso, pur rigide, servono a garantire la serietà degli investimenti e a tutelare le risorse pubbliche, assicurando che il Bonus Zes venga destinato esclusivamente a progetti concreti, tracciabili e di impatto territoriale.

Zone ZES

La ZES Unica è stata introdotta a partire dal 1° gennaio 2024 e ha sostituito le precedenti otto Zone Economiche Speciali regionali, unificandole in un’unica grande area agevolata che copre l’intero territorio del Mezzogiorno italiano. Questa nuova configurazione punta a semplificare le procedure e a rendere più accessibili i benefici fiscali, ampliando il potenziale bacino di imprese coinvolgibili.

Le regioni che fanno parte della ZES Unica e nelle quali devono essere localizzati gli investimenti per poter accedere al credito d’imposta sono:

  • Abruzzo (solo alcuni comuni specifici)

  • Basilicata

  • Calabria

  • Campania

  • Molise

  • Puglia

  • Sardegna

  • Sicilia

Attenzione: non tutte le aree all’interno di queste regioni sono automaticamente incluse. È fondamentale verificare se il comune o l’area produttiva interessata dall’investimento rientra nella perimetrazione ufficiale della ZES, consultando la mappa aggiornata disponibile sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche di Coesione o sul portale ZES.

Questa estensione territoriale ampia consente di attivare progetti di investimento anche nei comuni più piccoli o marginali, incentivando la decentralizzazione industriale e lo sviluppo economico su scala regionale.

Esempi pratici

Il credito d’imposta ZES Unica può essere utilizzato in modo estremamente flessibile, adattandosi a diverse strategie aziendali. Ecco alcuni scenari pratici per comprendere meglio come le imprese possono massimizzare il beneficio.

1. PMI manifatturiera che amplia il proprio stabilimento

Un’impresa campana che produce componenti meccanici decide di ampliare il proprio capannone industriale in provincia di Avellino. Investe 800.000 euro in attrezzature CNC, nuove linee di montaggio e un sistema di automazione. Richiedendo il credito ZES, potrà compensare in pochi mesi circa il 40-50% dell’importo investito sotto forma di imposte non dovute.

2. Azienda agricola che investe in innovazione tecnologica

Una cooperativa agricola in Puglia acquista nuovi impianti di irrigazione smart, un essiccatoio solare per i prodotti agricoli e attrezzi connessi a sistemi IoT. Il costo totale è di 500.000 euro. Grazie al Bonus ZES Agricoltura, potrà recuperare parte dell’investimento e rendere più sostenibile ed efficiente l’intera filiera.

3. Impresa del Nord che apre una sede produttiva al Sud

Un’azienda lombarda decide di decentralizzare la produzione per avvicinarsi ai porti del Sud Italia e ridurre i costi logistici. Costruisce un nuovo impianto in Sicilia e investe 2 milioni di euro. Oltre al beneficio fiscale diretto, l’impresa diventa più competitiva nella logistica internazionale, con un risparmio fiscale di centinaia di migliaia di euro.

4. Startup tecnologica che investe in un incubatore ZES

Una startup calabrese nel settore della biochimica applicata all’agricoltura avvia un laboratorio in un incubatore autorizzato ZES. Acquista strumentazione scientifica e ristruttura una struttura già esistente con un budget di 300.000 euro. Senza il bonus, non avrebbe avuto liquidità per partire. Il credito d’imposta consente di alleggerire il carico iniziale, attrarre investitori e creare posti di lavoro.

5. Artigiano che modernizza l’officina con tecnologia 4.0

Un piccolo artigiano molisano decide di acquistare macchinari compatibili con i sistemi Industria 4.0, per automatizzare la produzione. L’investimento di 250.000 euro è coperto in parte dal Bonus ZES, con l’ulteriore vantaggio della cumulabilità con altri incentivi 4.0.

Questi casi dimostrano che il credito ZES non è solo per le grandi imprese, ma può diventare una leva formidabile anche per realtà più piccole, innovative o legate al territorio. A patto, ovviamente, di rispettare i requisiti e presentare domanda nei tempi previsti.

Conclusione

Il Bonus Zes Unica 2025, insieme al Bonus Zes Agricoltura, rappresenta una delle misure fiscali più importanti dell’anno per chi opera o vuole operare nel Mezzogiorno d’Italia. Grazie a un credito d’imposta strutturato, modulabile e accessibile, le imprese possono abbattere il peso fiscale su investimenti anche rilevanti, accelerare l’innovazione, modernizzare impianti produttivi e creare nuova occupazione. Il tutto in territori dove la crescita è una priorità nazionale e strategica.

La domanda va presentata entro e non oltre il 30 maggio 2025. Dopo questa scadenza, non sarà più possibile accedere alle risorse stanziate per quest’anno.

È quindi fondamentale che le imprese:

  • verifichino la localizzazione del proprio impianto all’interno della ZES,

  • quantifichino correttamente gli investimenti sostenuti o pianificati,

  • e si avvalgano, se necessario, di consulenti fiscali e commercialisti esperti per trasmettere in modo corretto la richiesta.

Il Bonus Zes è più di una detrazione: è un’opportunità concreta per ridisegnare il futuro produttivo del Sud, valorizzando le imprese che scelgono di credere nel rilancio del territorio.

Agire per tempo, con competenza e visione, può fare la differenza tra restare fermi e diventare protagonisti della rinascita economica meridionale.

Decreto Infrastrutture 2025: incentivi, fondi e semplificazioni per imprese, trasporti e fonti rinnovabili

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Nel 2025 il Governo accelera sulla modernizzazione del Paese con un provvedimento strategico: il Decreto Infrastrutture (DL 73/2025). Questo nuovo decreto non è solo un atto normativo, ma un vero e proprio pacchetto di misure concrete per rilanciare investimenti, efficienza e sostenibilità nei settori chiave della nostra economia: autotrasporti, appalti pubblici e fonti rinnovabili.

Tra gli strumenti introdotti, spiccano fondi per il rinnovo dei veicoli aziendali, semplificazioni per l’affidamento diretto di lavori pubblici, mappature accelerate delle zone idonee per impianti FER, e indennizzi automatici per le imprese danneggiate da ritardi operativi. Un vero e proprio cambio di passo a beneficio di PMI, imprese energetiche e operatori infrastrutturali, che ora potranno contare su iter più snelli, risparmi fiscali e nuove tutele contrattuali.

Il DL 73/2025 si inserisce perfettamente nella logica del PNRR e del PNIEC 2030, tracciando un percorso chiaro per raggiungere gli obiettivi europei in materia di clima, competitività e sostenibilità. In questo articolo analizziamo tutte le misure, i vantaggi fiscali ed economici, e le prospettive future per chi vuole cogliere al volo queste opportunità.

Trasporto merci

Il Decreto Infrastrutture 2025 (DL 73/2025) interviene con decisione a favore delle imprese di autotrasporto, un settore strategico per l’economia nazionale ma storicamente afflitto da criticità legate ai tempi di pagamento e alla vetustà del parco veicoli. Due le novità principali introdotte dall’articolo 4 del decreto.

1. Indennizzo automatico per i ritardi nel carico e scarico

Una misura di grande impatto è l’introduzione di un indennizzo automatico di 100 euro per ogni ora (o frazione di ora) di ritardo nelle operazioni di carico e scarico oltre i 90 minuti di franchigia. Questa indennità sarà dovuta in solido dal committente e dal caricatore, alleggerendo l’onere della prova per l’impresa di autotrasporto e rendendo automatico il diritto al risarcimento. L’importo sarà inoltre rivalutato annualmente secondo l’indice ISTAT FOI, assicurando un adeguamento all’inflazione. Si tratta di una misura storica che tutela le imprese da lunghe attese non retribuite e aumenta la certezza nei rapporti contrattuali.

2. Sanzioni per ritardi nei pagamenti

Viene inoltre inserito un nuovo comma 15-bis all’art. 83-bis del DL 112/2008, che consente all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) di sanzionare i ritardi nei pagamenti da parte dei committenti, su iniziativa del creditore o del Comitato centrale per l’Albo degli autotrasportatori. Una stretta che mira a ridurre i fenomeni di insolvenza e le pratiche scorrette nei rapporti commerciali.

3. 12 milioni per il rinnovo dei veicoli

Infine, il decreto stanzia 6 milioni di euro annui per il 2025 e il 2026 per favorire l’ammodernamento del parco veicolare delle imprese del trasporto merci. Le modalità operative saranno dettagliate in un successivo decreto del Ministero delle Infrastrutture, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

L’obiettivo è promuovere la sostituzione di veicoli obsoleti con mezzi più sicuri, efficienti e meno inquinanti, anche in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione.

Appalti pubblici

Un’altra importante area d’intervento del DL 73/2025 riguarda le semplificazioni normative negli appalti pubblici, con l’obiettivo di accelerare gli interventi in situazioni di emergenza e garantire una maggiore tempestività da parte della Pubblica Amministrazione. L’articolo 2 del decreto prevede deroghe specifiche al Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 36/2023), attivabili in presenza di eventi eccezionali come alluvioni, terremoti, frane o altri disastri naturali.

Affidamento diretto sopra soglia in casi eccezionali

Tra le novità più significative vi è la possibilità di affidamento diretto anche per appalti sopra soglia, bypassando così le ordinarie procedure di gara. Questo strumento, seppur temporaneo e vincolato alla sussistenza di condizioni emergenziali, rappresenta una semplificazione radicale che potrebbe ridurre i tempi di avvio dei cantieri da mesi a settimane, a beneficio soprattutto delle imprese di costruzione, manutenzione e fornitura impegnate nei territori colpiti.

Esclusione automatica delle offerte anomale

Un’altra misura rilevante riguarda le gare con meno di cinque partecipanti: in questi casi, il decreto consente l’esclusione automatica delle offerte anomale, rafforzando la tutela della concorrenza e impedendo che gare scarsamente partecipate vengano viziate da ribassi eccessivi o sospetti. La norma mira a tutelare l’equità e la qualità degli interventi, oltre a garantire maggiore certezza e trasparenza nell’affidamento degli appalti pubblici in situazioni critiche.

Queste disposizioni, benché temporanee, possono tradursi in opportunità concrete per le imprese, riducendo la burocrazia e offrendo percorsi più rapidi per partecipare a progetti infrastrutturali di rilievo.

Fonti rinnovabili

Il DL 73/2025 punta anche ad accelerare in modo significativo la realizzazione degli impianti da fonti di energia rinnovabile (FER), un obiettivo strategico per rispettare le scadenze del PNIEC 2030 e del PNRR. Con l’articolo 13 del decreto, viene modificato l’art. 12 del D.lgs. 190/2024, introducendo una vera e propria rivoluzione in termini di identificazione e gestione delle aree idonee per la costruzione di impianti rinnovabili.

Zone industriali come aree di accelerazione

La novità principale consiste nel fatto che le aree industriali, così come definite dagli strumenti urbanistici a livello comunale, sovracomunale o regionale, sono automaticamente riconosciute come zone di accelerazione per l’autorizzazione e la costruzione degli impianti. Ciò elimina uno dei principali ostacoli procedurali che, fino ad oggi, rallentava i progetti: l’attesa delle delibere regionali per definire le aree idonee.

Mappatura ufficiale pubblicata dal GSE

Inoltre, il decreto attribuisce al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) il compito di pubblicare, entro 10 giorni dalla promulgazione del decreto (cioè entro il 31 maggio 2025), una mappatura cartografica ufficiale e digitale delle aree idonee. Questa rappresentazione sarà consultabile online e avrà valore legale, permettendo alle imprese di avviare i progetti con iter semplificato e tempi certi, senza più dover attendere decisioni a livello regionale.

Un cambiamento epocale per il settore energetico

Queste modifiche introducono una vera e propria semplificazione strutturale che potrà facilitare l’accesso a incentivi pubblici, accelerare l’ottenimento delle autorizzazioni ambientali e promuovere una maggiore attrattività per gli investimenti nel settore delle energie pulite. Il risultato atteso è una crescita più rapida e diffusa degli impianti solari, eolici e di altre tecnologie green, in coerenza con gli impegni europei sul clima.

Vantaggi fiscali

Le misure contenute nel DL 73/2025 non si limitano a semplificare i procedimenti o ad assegnare risorse: hanno anche un impatto diretto e significativo sul piano fiscale ed economico per le imprese, sia nel breve che nel medio periodo. I risparmi indiretti, le maggiori tutele contrattuali e i fondi mirati offrono un terreno fertile per investimenti, efficienza e competitività.

Riduzione degli oneri improduttivi nel settore trasporti

Per le imprese dell’autotrasporto, la monetizzazione dei tempi di attesa con l’indennizzo automatico da 100 euro/ora rappresenta un vantaggio economico concreto: riduce le perdite causate dalle soste non retribuite e migliora la gestione della liquidità aziendale. Allo stesso modo, l’introduzione delle sanzioni per ritardi nei pagamenti potenzia la certezza dei flussi di cassa, rafforzando il potere contrattuale delle PMI e dei piccoli operatori.

Incentivi al rinnovo dei mezzi e risparmio energetico

I fondi stanziati per il rinnovo del parco veicolare (12 milioni complessivi tra 2025 e 2026) permetteranno di acquistare veicoli più moderni ed efficienti, con consumi ridotti, minori emissioni e costi di manutenzione più bassi. Questa transizione favorisce il rispetto delle normative ambientali europee e può contribuire ad accedere a ulteriori crediti d’imposta ambientali o strumenti di finanza agevolata.

Accesso semplificato a fondi e iter più veloci

Le deroghe negli appalti pubblici permettono alle imprese di partecipare più facilmente a gare, riducendo i tempi e i costi di partecipazione. In parallelo, la mappatura immediata delle aree idonee per le rinnovabili consente alle imprese del settore energia e impiantistica di avviare nuovi progetti senza attese burocratiche. Questo genera una riduzione dei costi di progettazione e una velocizzazione del ritorno sugli investimenti.

In sintesi, il decreto crea un contesto favorevole in cui le imprese possono programmare lo sviluppo con maggiore sicurezza, sfruttando opportunità reali di risparmio fiscale, maggiore efficienza operativa e minore esposizione al rischio regolatorio.

Impatto macroeconomico

Il Decreto Infrastrutture 2025, pur essendo una misura tecnica, avrà effetti rilevanti anche su scala macroeconomica, configurandosi come uno degli strumenti più efficaci per stimolare investimenti e modernizzazione in settori chiave della produttività italiana. I comparti dell’autotrasporto, della logistica, dell’edilizia pubblica e dell’energia rinnovabile sono tutti asset strategici per il rilancio del PIL e la sostenibilità del sistema economico.

Stimolo agli investimenti e moltiplicatore economico

I fondi per il rinnovo veicoli e le semplificazioni autorizzative per gli impianti FER hanno un effetto moltiplicatore sull’economia: ogni euro investito in questi ambiti attiva catene di fornitura che coinvolgono manifattura, installazione, tecnologia e servizi professionali. Allo stesso modo, la velocizzazione delle procedure di gara pubblica genera cantieri più rapidi, contratti attivi e circolazione di capitale in ambito edilizio e infrastrutturale.

Aumento dell’attrattività per capitali privati

La chiarezza normativa, la riduzione dei tempi autorizzativi e la definizione certa delle aree idonee migliorano la reputazione del sistema Italia agli occhi degli investitori. Ciò è particolarmente importante nel contesto della transizione energetica, dove operatori internazionali cercano contesti regolatori affidabili per localizzare impianti e filiere.

Competitività e resilienza delle PMI

Infine, il decreto fornisce leve concrete per rafforzare la resilienza delle piccole e medie imprese italiane, spesso penalizzate da burocrazia, ritardi nei pagamenti e accesso limitato ai fondi pubblici. Grazie al DL 73/2025, possono invece contare su tempi più certi, incentivi dedicati e procedure alleggerite, elementi fondamentali per pianificare la crescita in modo strutturale.

Nuove opportunità settoriali

L’efficacia del DL 73/2025 dipenderà ora dalla prontezza nell’emanazione dei decreti attuativi, che dovranno definire in dettaglio criteri, procedure e soggetti abilitati a beneficiare delle nuove misure. Alcuni provvedimenti sono attesi già entro l’estate 2025 e riguarderanno:

  • Le modalità di erogazione dei fondi per il rinnovo veicoli (Ministero Infrastrutture e MEF).

  • La mappatura digitale delle aree idonee FER, a cura del GSE.

  • I protocolli operativi per gli appalti pubblici in emergenza, validi anche per eventi climatici estremi sempre più frequenti.

Evoluzione normativa e PNRR

Molte delle disposizioni si intrecciano con le scadenze e gli obiettivi del PNRR e del PNIEC 2030, quindi potrebbero essere estese o stabilizzate nei prossimi mesi, anche alla luce delle interlocuzioni con la Commissione Europea. L’eventuale inserimento delle misure nei prossimi collegi pluriennali di bilancio garantirebbe stabilità normativa e amplierebbe la platea dei beneficiari.

Settori coinvolti nei prossimi aggiornamenti

I settori che dovranno monitorare con maggiore attenzione l’evoluzione saranno:

  • Autotrasporto e logistica urbana, per gli incentivi ambientali e le deroghe contrattuali.

  • Edilizia pubblica e green building, in vista dell’accelerazione dei cantieri.

  • Energia, agrivoltaico e impianti industriali, che potranno sfruttare le nuove aree FER “pre-identificate”.

Conclusione

Il Decreto Infrastrutture 2025 si configura come uno strumento normativo orientato all’operatività immediata, capace di fornire risposte concrete alle imprese in tre ambiti fondamentali: mobilità, appalti e transizione energetica. Le misure adottate non solo facilitano la gestione quotidiana delle aziende, ma offrono anche prospettive strategiche per programmare crescita e investimenti, soprattutto per chi saprà cogliere per tempo le opportunità legate ai fondi pubblici e alle semplificazioni procedurali.

La capacità del Governo di tradurre rapidamente queste norme in azioni attuative sarà determinante per trasformare il decreto in un volano di rilancio economico e di innovazione.

In un’epoca di transizione ecologica e digitale, le imprese italiane hanno ora strumenti concreti per essere protagoniste di un cambiamento reale.

IVA e Fotografia d’Autore: Regole, aliquote e strategie per le cessioni da parte di terzi

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Quando si parla di fotografia d’autore, si entra in un mondo fatto di creatività, visione, unicità. Ma quando la fotografia diventa anche oggetto di commercio, è inevitabile che incontri il rigore della normativa fiscale. Uno dei temi più delicati in questo ambito riguarda proprio l’applicazione dell’IVA alle cessioni di fotografie artistiche, soprattutto quando a vendere non è direttamente l’autore, ma una galleria, una società o un altro soggetto terzo.

Molti operatori del settore si domandano: È possibile applicare l’aliquota ridotta del 10% anche se a cedere l’opera è una società? Cosa cambia se l’autore è un dipendente? E se la fotografia è stampata su supporti diversi dalla carta? A queste domande ha recentemente risposto anche l’Agenzia delle Entrate, confermando un quadro normativo tutt’altro che semplice, ma che è fondamentale conoscere per evitare errori e ottimizzare la fiscalità delle vendite.

In questo articolo, approfondiremo le norme IVA applicabili alle fotografie d’autore, analizzeremo casi reali, pronunce ufficiali, strategie legittime per operare in sicurezza, e rifletteremo su come il futuro della normativa europea e italiana possa influenzare il lavoro di fotografi, galleristi e imprese creative.

Cessioni di fotografie

Il caso esaminato trae origine da un interpello presentato da un’impresa operante nel settore della produzione e commercializzazione di opere d’arte – in particolare fotografie d’autore, uniche o in serie limitata. L’artista, autore delle immagini, è lavoratore dipendente della società, e le opere vengono realizzate con tecniche professionali sotto la sua diretta supervisione. Le fotografie, una volta prodotte, sono stampate in formati personalizzati e accompagnate da un certificato di autenticità, spesso numerate e in tiratura limitata (mai superiore a 30 copie).

L’impresa chiede se possa applicare l’aliquota IVA ridotta al 10% sulle cessioni delle suddette fotografie, anche se formalmente a cederle è la società e non l’autore in persona. Il riferimento normativo chiave in questo contesto è il n. 127-septiesdecies della Tabella A, Parte III allegata al DPR 633/1972, secondo cui godono dell’aliquota agevolata le cessioni di “fotografie d’autore” se tirate dallo stesso autore o sotto la sua direzione, firmate e numerate, e in non più di 30 esemplari complessivi, come previsto anche dall’art. 39 del DL 41/1995.

Un punto di snodo fondamentale è che, pur essendo la società il soggetto giuridico che cede l’opera, la produzione delle fotografie avviene sotto la direzione effettiva dell’autore-dipendente, e le immagini sono firmate, numerate e certificate, conformemente a quanto prescritto dalla legge per l’applicazione dell’aliquota agevolata.

L’interpretazione dell’ADE

L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti molto precisi sul regime IVA applicabile alle cessioni di fotografie d’autore, soprattutto quando effettuate da soggetti diversi dall’artista. Nel caso esaminato, come anticipato, la cessione è operata da una società che impiega l’autore in qualità di dipendente. Nonostante l’opera venga effettivamente realizzata sotto la supervisione dell’artista, firmata, numerata e certificata – come richiesto dalla normativa – il soggetto cedente rimane la società. E qui si apre la questione centrale.

Secondo quanto chiarito dall’Agenzia nella risposta n. 188 del 2022 e ribadito in altri documenti ufficiali, il numero 127-septiesdecies della Tabella A, Parte III del DPR 633/1972, così come l’art. 39 del DL 41/1995, stabiliscono chiaramente che l’aliquota IVA del 10% si applica esclusivamente alle cessioni effettuate dagli autori, dai loro eredi o dai legatari. Questo principio è coerente con la normativa europea, in particolare con l’articolo 311 della Direttiva IVA e l’Allegato IX, parte A, punto 7), che ammette l’aliquota ridotta solo per opere realizzate dall’artista stesso o sotto il suo controllo, firmate e numerate, entro il limite di 30 esemplari, ma cedute da lui stesso o da chi ne ha titolo diretto (eredi o legatari).

Anche se le fotografie realizzate dalla società rispettano tutti i requisiti formali (unicità, tiratura limitata, firma e numerazione), manca il presupposto soggettivo richiesto dalla legge: il cedente non è l’autore, né un suo erede o legatario. Di conseguenza, l’aliquota IVA applicabile è quella ordinaria del 22%. L’intento agevolativo del legislatore è, quindi, limitato a specifici soggetti e non può essere esteso per analogia ad altri operatori, come le società datrici di lavoro.

Il formato incide sull’aliquota IVA?

Un aspetto molto interessante – e innovativo – sollevato dal caso in esame riguarda la stampa delle fotografie su supporti diversi dalla carta, come vetro, metallo o tessuto. L’istante, infatti, intende ampliare l’offerta commerciale della società introducendo formati artistici moderni e compatibili con le tendenze contemporanee di interior design e collezionismo. Ma questa scelta può influire sull’applicazione dell’aliquota IVA?

In linea teorica, la Direttiva 2006/112/CE (art. 311, Allegato IX, parte A, punto 7) e la relativa normativa italiana (art. 39 del DL 41/1995) non limitano il supporto fisico delle fotografie d’autore oggetto di aliquota agevolata. Anzi, si fa esplicitamente riferimento a “qualsiasi formato e supporto”: la fotografia può quindi essere stampata non solo su carta, ma anche su altri materiali, purché siano rispettati i requisiti fondamentali: realizzazione diretta dell’autore o sotto il suo controllo, firma, numerazione, e limite massimo di 30 esemplari.

Tuttavia, come già evidenziato nei paragrafi precedenti, la questione non è tanto il supporto fisico quanto il soggetto cedente. Anche qualora l’opera venga stampata su vetro o metallo, e mantenga le caratteristiche tipiche dell’opera d’arte, se la cessione non è effettuata dall’autore, da un erede o da un legatario, non si può applicare l’aliquota del 10%. È irrilevante, dunque, che la fotografia sia artistica, personalizzata o innovativa nel supporto: ciò che conta è il legame giuridico e fiscale tra l’autore e il soggetto che vende.

In sintesi, l’innovazione tecnologica e artistica non modifica il trattamento fiscale previsto dalla legge. Fino a eventuali modifiche legislative o all’attuazione della delega prevista dalla Legge n. 111/2023, le fotografie artistiche stampate su materiali diversi dalla carta continuano a essere soggette all’aliquota IVA ordinaria del 22%, se cedute da società o soggetti diversi da autore, erede o legatario.

Autore persona fisica e società

Nel sistema fiscale italiano – come anche nella disciplina IVA europea – il soggetto che effettua la cessione di un bene o di un’opera d’arte è un elemento fondamentale per determinare l’aliquota IVA applicabile. Nel caso delle fotografie artistiche, l’aliquota agevolata del 10% è concessa esclusivamente quando il cedente è l’autore, oppure un suo erede o legatario. Ma cosa cambia, quindi, se a vendere è una società, anche se l’opera è realizzata dal suo dipendente artista?

Il problema nasce dal fatto che la normativa non premia soltanto l’aspetto artistico o qualitativo dell’opera, bensì tutela il rapporto diretto tra autore e acquirente. Secondo la Corte di Giustizia dell’UE, infatti, il criterio determinante per l’applicazione dell’IVA ridotta non è il valore artistico, bensì la paternità e la titolarità giuridica dell’opera al momento della cessione. L’opera deve essere ceduta da chi ha creato, o ha ereditato il diritto d’autore sull’opera stessa.

Nel caso di una società, per quanto l’autore sia un dipendente e quindi la creazione avvenga sotto la sua supervisione, la titolarità dell’opera – ai fini fiscali – è dell’impresa, che risulta quindi soggetto cedente. Ed è proprio questo a impedire l’applicazione dell’aliquota ridotta. Non è sufficiente, quindi, che la fotografia sia firmata, numerata o certificata; ciò che conta è la qualifica soggettiva di chi effettua la cessione, che deve rientrare tra quelli tassativamente indicati dalla normativa: autore, erede o legatario.

Questo limite, sebbene possa sembrare penalizzante per le aziende creative, è coerente con l’impianto generale della normativa IVA, che mira a evitare distorsioni concorrenziali e a preservare la tracciabilità artistica e fiscale dell’opera d’arte.

Aliquota agevolata

Se la legge stabilisce in modo rigido che l’aliquota IVA ridotta si applica solo alle cessioni effettuate dall’autore, dagli eredi o dai legatari, viene naturale chiedersi: esistono modalità legittime per far sì che anche altri soggetti possano beneficiare dell’agevolazione? È possibile, ad esempio, che una società agisca per conto dell’artista mantenendo intatta la titolarità soggettiva della cessione?

Una prima ipotesi – teoricamente praticabile – è quella della mediazione o commissione in nome e per conto dell’autore. In questo schema, l’opera non viene venduta direttamente dalla società, ma dall’autore stesso, che può avvalersi della società come mandataria o agente. La fattura viene così emessa dall’autore, e l’aliquota IVA applicabile può legittimamente essere quella agevolata del 10%, sempre che siano rispettate le condizioni formali: tiratura massima di 30 copie, firma, numerazione e stampa diretta o sotto il controllo dell’artista.

Un’altra possibilità è la cessione preliminare del diritto d’autore all’artista, che a sua volta effettua la cessione finale al cliente. Tuttavia, queste operazioni devono essere perfettamente documentate e non apparire come mere simulazioni, pena il rischio di contestazioni fiscali. L’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza tributaria sono infatti molto attente a evitare elusioni, soprattutto nel settore artistico, dove il confine tra operazione reale e operazione artificiosa può diventare sottile.

In alternativa, alcune società valutano la creazione di una figura fiscale autonoma per l’artista, ad esempio con partita IVA individuale, separando le attività dell’autore da quelle della società. Anche questa strategia va ponderata con cura, tenendo conto degli obblighi contributivi, del regime fiscale adottato (forfettario o ordinario) e dell’impatto gestionale.

In sintesi, strategie per beneficiare dell’aliquota ridotta esistono, ma devono essere costruite su basi contrattuali solide, con una consulenza fiscale qualificata e nel pieno rispetto della normativa IVA.

Mercato dell’arte

La rigidità della normativa IVA italiana, che limita l’aliquota agevolata del 10% alle sole cessioni effettuate dagli autori, eredi o legatari, ha un impatto concreto non solo sul piano fiscale, ma anche sull’economia culturale del Paese. Le prime a subirne le conseguenze sono le gallerie d’arte e le società che operano nella promozione degli artisti, che si trovano costrette ad applicare l’IVA ordinaria del 22%, rendendo le opere fotografiche meno competitive sul mercato.

Questa distorsione fiscale ha un effetto a catena: i prezzi finali al pubblico aumentano, il margine commerciale si riduce, e l’interesse degli acquirenti – soprattutto internazionali – si affievolisce. In un contesto globale in cui molti paesi europei applicano regimi IVA più favorevoli, l’Italia rischia di diventare meno attrattiva per collezionisti, investitori e galleristi stranieri.

Le gallerie che rappresentano artisti emergenti, per esempio, faticano a valorizzare economicamente le opere se non possono usufruire dell’aliquota ridotta. La situazione si aggrava nel caso delle fotografie contemporanee, dove il valore aggiunto è spesso dato dalla presentazione, dalla stampa su materiali innovativi e dalla curatela professionale, tutti elementi forniti proprio da soggetti terzi (come le società d’arte), che però non rientrano tra i soggetti agevolati.

Inoltre, la disparità di trattamento tra un’opera ceduta dall’autore e la stessa opera ceduta dalla società che l’ha commissionata rischia di scoraggiare l’organizzazione professionale dell’arte. È un freno allo sviluppo del settore creativo, che ha bisogno di essere competitivo non solo artisticamente, ma anche sul piano fiscale.

Alla luce di tutto ciò, appare sempre più urgente una revisione normativa, capace di coniugare esigenze di gettito fiscale con la necessità di sostenere il sistema artistico nazionale, aprendo l’aliquota ridotta anche ad altri soggetti professionalmente coinvolti nella diffusione culturale.

Esempi pratici

Per fotografi, galleristi e società che operano nella produzione o vendita di opere fotografiche, la scelta del modello operativo può determinare notevoli differenze fiscali.

Vediamo alcuni esempi pratici e come impostare correttamente l’attività:

Esempio 1 – Autore persona fisica che vende direttamente

Un fotografo professionista, con partita IVA, realizza un’opera numerata (es. 1/10), la firma e la vende direttamente al cliente. In questo caso:

  • Se rispetta i requisiti (tiratura ≤ 30, firma, controllo diretto), può applicare IVA al 10%.

  • L’opera va accompagnata da certificato di autenticità e indicazione del numero della tiratura.

Vantaggio: competitività sul prezzo finale e maggiore margine operativo.

Esempio 2 – Società che vende opere del proprio dipendente

Una SRL impiega un fotografo dipendente che produce opere artistiche secondo i requisiti di legge. Tuttavia, la cessione al cliente finale avviene tramite la società stessa.

  • Anche se l’opera è numerata e firmata, la società non è l’autore, né erede o legatario.

  • Deve applicare IVA ordinaria al 22%.

Svantaggio: minore competitività sul mercato e rischio di erosione dei margini.

Esempio 3 – Vendita tramite mandato con rappresentanza

Il fotografo incarica la galleria (o la società) di vendere “in nome e per conto” proprio. La vendita avviene quindi formalmente a nome dell’autore.

  • Se i requisiti dell’opera sono rispettati, si applica l’aliquota agevolata del 10%.

  • La galleria riceve una provvigione (con IVA al 22%) e l’artista emette la fattura.

Soluzione efficace, ma richiede accordi contrattuali chiari e tracciabilità fiscale.

Checklist operativa per il 2025:

Con l’entrata in vigore della legge delega (L. 111/2023), è possibile che l’IVA agevolata venga estesa. Nell’attesa:

  • Documentare accuratamente ogni opera: tiratura, supporto, firma, certificazione.

  • Valutare un modello di vendita in nome dell’artista.

  • Tenere aggiornati i contratti e le clausole sui diritti d’autore.

  • Monitorare il recepimento della Direttiva UE 2022/542, che potrebbe ampliare l’ambito soggettivo.

Questi esempi aiutano a comprendere che la stessa fotografia può subire un trattamento fiscale molto diverso a seconda di chi la vende e come viene venduta. Per questo motivo, il supporto di un commercialista esperto in arte e fiscalità è fondamentale per massimizzare i benefici e prevenire errori sanzionabili.

Conclusione

Il mondo della fotografia d’autore si trova oggi in una posizione complessa, stretto tra l’evoluzione tecnologica e artistica del settore e una normativa fiscale che, pur volendo tutelare l’originalità e il valore dell’opera, non sempre riesce a stare al passo con le nuove modalità di produzione e vendita.

Come abbiamo visto, l’aliquota IVA agevolata del 10% resta prerogativa esclusiva degli autori, degli eredi o dei legatari, e non può essere applicata da società o gallerie che, pur contribuendo in modo sostanziale alla valorizzazione e alla diffusione dell’opera, non rientrano nella categoria dei soggetti legittimati dalla normativa. L’opera può essere artistica, numerata, firmata e stampata su materiali di pregio – ma se la cede una società, l’IVA è al 22%.

Tuttavia, strumenti giuridici legittimi esistono, e con una buona pianificazione fiscale è possibile impostare modelli di business compatibili con il regime agevolato, evitando errori formali e contenziosi. Allo stesso tempo, il settore resta in attesa dell’attuazione della legge delega IVA (Legge 111/2023), che potrebbe aprire nuovi orizzonti a livello normativo e consentire una maggiore inclusione fiscale degli operatori professionali dell’arte.

In un contesto globale dove la competitività fiscale è determinante anche per il mondo culturale, è fondamentale che artisti, gallerie, società e consulenti fiscali agiscano in sinergia per costruire modelli virtuosi, che valorizzino il patrimonio creativo italiano senza incorrere in sanzioni.

La fotografia è arte, è cultura, è economia. E merita una fiscalità che ne riconosca la complessità.

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