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DDL Semplificazioni 2025: meno burocrazia per imprese, fisco più semplice e autorizzazioni veloci

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In un contesto economico sempre più complesso, fatto di adempimenti burocratici, vincoli amministrativi e rallentamenti normativi, il nuovo Disegno di Legge Semplificazioni 2025 rappresenta un punto di svolta per le imprese italiane. Approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 4 agosto e ora in attesa della bollinatura ufficiale da parte della Ragioneria dello Stato, questo provvedimento interviene su quattro macro-aree fondamentali: fisco, lavoro, ambiente e attività economiche.

L’obiettivo è ambizioso ma chiaro: ridurre il peso della burocrazia, velocizzare i procedimenti amministrativi e rendere più efficiente e sostenibile l’operatività delle imprese, dalle micro-realtà alle grandi aziende. Non si tratta solo di alleggerire gli obblighi documentali, ma anche di ridefinire i rapporti tra imprese e Pubblica Amministrazione, semplificando iter autorizzativi, dichiarativi e normativi.

Il DDL, nella versione attualmente disponibile, promette interventi concreti e operativi in tempi rapidi, destinati ad avere un impatto tangibile su professionisti, imprenditori e lavoratori.

In questo articolo analizziamo nel dettaglio le principali misure previste, con un’attenzione particolare agli effetti fiscali, alle semplificazioni sul lavoro, alle agevolazioni per l’attività economica e ai risvolti ambientali, evidenziando quali vantaggi concreti ne potranno derivare per chi opera quotidianamente nel tessuto produttivo italiano.

Semplificazioni fiscali

Il nuovo DDL Semplificazioni 2025 porta una ventata di innovazione sul fronte fiscale, con misure pensate per ridurre gli oneri documentali e velocizzare le procedure. Tra le novità più rilevanti figura l’introduzione di un codice identificativo per gli investimenti in Transizione 4.0 e 5.0. Con l’articolo 1, infatti, non sarà più necessario indicare in fattura il riferimento normativo per ottenere i relativi crediti d’imposta. Basterà riportare un semplice codice identificativo, definito con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, valido per gli investimenti effettuati successivamente alla pubblicazione del provvedimento stesso. Un passo in avanti concreto verso la digitalizzazione e la chiarezza operativa.

Un’altra misura importante riguarda le dichiarazioni fiscali scartate (art. 2): se una dichiarazione viene inviata nei termini ma respinta dal sistema, non sarà più soggetta a sanzione, a patto che venga ritrasmessa correttamente entro cinque giorni. Il termine esatto verrà stabilito con un decreto del MEF. Questa novità si estende anche al Testo Unico sulle violazioni tributarie, riducendo il rischio di penalità per meri errori tecnici.

Sul fronte IVA, l’articolo 3 introduce una semplificazione per i premi in beni e servizi, considerati ora non imponibili ai fini IVA, ma soggetti a un’imposta sostitutiva del 20%. Il versamento dovrà avvenire entro il 16 del mese successivo al pagamento o all’emissione della fattura, semplificando la gestione finanziaria per le imprese che utilizzano premi come incentivo.

Infine, con l’articolo 4, viene ampliata la possibilità di ridurre le sanzioni attraverso l’acquiescenza. In caso di rinuncia totale o parziale all’impugnazione dell’atto, le sanzioni potranno essere ridotte a un terzo, a patto che non si tratti di violazioni gravi, come quelle con uso di documentazione falsa o fatture inesistenti. Si tratta di una misura che favorisce la chiusura delle controversie e la riduzione del contenzioso.

Lavoro

Il Disegno di Legge Semplificazioni 2025 interviene con decisione anche in materia di lavoro, proponendo modifiche che mirano a snellire le procedure amministrative e a valorizzare la formazione tecnica e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Una delle novità principali è l’introduzione dell’obbligo di comunicazione per i lavoratori in CIG (Cassa Integrazione Guadagni) che intendano intraprendere un’altra attività lavorativa (art. 5). Questi lavoratori dovranno informare il proprio datore di lavoro in modo preventivo o contestuale all’avvio della nuova attività. L’obiettivo è evitare abusi e garantire maggiore trasparenza nei rapporti di lavoro.

Un’altra importante novità riguarda gli ITS Academy (art. 6), che avranno maggiore flessibilità nella selezione del corpo docente. Grazie alla possibilità di stipulare protocolli con le imprese, potranno coinvolgere professionisti con comprovata esperienza, favorendo un più stretto collegamento tra formazione e mondo del lavoro. Questo favorirà la qualità dell’insegnamento e l’occupabilità degli studenti.

In tema di sicurezza sul lavoro, il DDL modifica l’articolo 45 del D.Lgs. 81/2008 introducendo un nuovo comma (1-bis) che permette al medico competente di avvalersi, anche per la parte teorica della formazione, della collaborazione di personale infermieristico o di altri esperti qualificati, ampliando così il ventaglio delle figure professionali coinvolte nella formazione dei lavoratori (art. 7).

Infine, una delle misure più attese e concrete in termini di riduzione degli oneri burocratici è la modifica dell’articolo 16, comma 1, del D.Lgs. 151/2015: le amministrazioni pubbliche non potranno più richiedere alle aziende documenti già in loro possesso o archiviati in banche dati pubbliche. Questo principio di “once only” è un passo decisivo per limitare la duplicazione degli adempimenti e semplificare i rapporti tra impresa e Pubblica Amministrazione, liberando tempo e risorse per attività più produttive.

Attività economiche

Il DDL Semplificazioni 2025 introduce un pacchetto articolato di misure per agevolare l’avvio e la gestione delle attività economiche, intervenendo su autorizzazioni, tempi procedurali e adempimenti tecnici. Tra le modifiche più significative vi è la semplificazione dei contratti di sviluppo (art. 16), dove un decreto del MIMIT potrà stabilire regole accelerate per la concessione delle agevolazioni, riducendo tempi e incertezze per le imprese che intendono investire.

Sul fronte dell’urbanistica commerciale, l’articolo 17 conferma che, fino alla riforma del Codice della Strada, l’installazione di insegne di esercizio richiederà soltanto la SCIA al SUAP, corredata da asseverazione tecnica. È prevista inoltre una modulistica nazionale unica, per garantire uniformità su tutto il territorio.

Molto interessante la riforma della Conferenza di servizi (art. 18), che prevede una procedura “fast track”: 30 giorni per la risposta delle PA (45 per ambientale e sanitaria), riunione telematica entro 15 giorni e dissenso motivato obbligatorio, pena il silenzio-assenso. Ciò accelera in modo significativo i tempi per ottenere permessi e autorizzazioni, anche in settori complessi come quelli ambientali e sanitari.

Ulteriori semplificazioni riguardano specifici settori tecnici, come le autorizzazioni per opere in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale (art. 19), dove è introdotto il meccanismo del silenzio-assenso da parte dell’Agenzia delle Dogane dopo 30 giorni.

Per le microimprese con meno di cinque dipendenti, l’articolo 20 prevede una procedura dedicata per la notifica dei data breach, che sarà definita dal Garante della Privacy: un aiuto concreto per le realtà più piccole, spesso sopraffatte da adempimenti complessi.

Importanti anche le novità sulla circolazione stradale e la guida (art. 21), con l’ammissione dei medici pensionati qualificati nelle commissioni per l’idoneità alla guida, criteri più chiari per la gestione dei rifiuti dopo incidenti e semplificazioni per i test su veicoli in R&S (ricerca e sviluppo).

Nel settore marittimo, l’articolo 22 fornisce un’interpretazione autentica sul trasbordo del personale: non si considera disarmo dell’unità di provenienza se quest’ultima è ormeggiata e sotto custodia, rendendo più flessibili le operazioni degli armatori.

In ambito energetico e professionale, viene riformata la formazione per gli installatori FER (fonti di energia rinnovabile – art. 23): i corsi di aggiornamento saranno di almeno 24 ore e gli attestati trasmessi telematicamente alle Camere di Commercio, con modulistica standardizzata.

Infine, nel settore agricolo, l’articolo 24 agevola l’accesso alla qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP): nei primi 5 anni dalla domanda non sarà richiesto il requisito reddituale, favorendo l’ingresso di nuove generazioni nel settore primario e stimolando la nascita di nuove iniziative imprenditoriali in ambito rurale.

Vantaggi per le imprese

L’impatto delle semplificazioni previste dal DDL 2025 non si limita a un alleggerimento formale degli adempimenti: le misure disegnano un nuovo ecosistema normativo in cui le imprese possono operare con maggiore efficienza, riducendo costi occulti e rischi sanzionatori. La semplificazione fiscale – a partire dalla riforma del credito d’imposta Transizione 4.0 e 5.0 – libera risorse tecniche e amministrative, evitando errori formali che finora potevano compromettere l’accesso alle agevolazioni. L’introduzione del codice identificativo in fattura, ad esempio, sostituisce il complesso obbligo di citazione normativa e si traduce in meno contestazioni e meno incognite interpretative.

La gestione dei rapporti di lavoro sarà più fluida: niente più documenti duplicati da presentare alle PA, obblighi informativi più chiari (come per chi è in CIG) e una formazione professionale più integrata con il mondo produttivo, grazie all’ingresso di professionisti d’impresa negli ITS Academy. Queste misure incidono positivamente su due fronti: riducono i tempi di risposta della Pubblica Amministrazione e aumentano il livello di coerenza tra formazione e reali esigenze aziendali.

L’effetto più tangibile riguarda però le attività economiche e le autorizzazioni, dove la conferenza di servizi “fast track” e la SCIA per le insegne costituiscono un chiaro esempio di semplificazione a vantaggio di chi vuole aprire o rinnovare un’attività senza perdere mesi in iter amministrativi. Le microimprese, spesso le più penalizzate dalla burocrazia, avranno infine una corsia preferenziale anche nella gestione della privacy, grazie a procedure dedicate per i data breach.

Questi interventi, se attuati con coerenza e supportati da provvedimenti attuativi tempestivi, possono innescare un cambio di paradigma nel modo in cui l’impresa dialoga con lo Stato: da vincolo a partnership, con una PA che diventa alleata e non più ostacolo alla crescita.

Semplificazioni e PMI

Le piccole e medie imprese (PMI) rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo italiano e sono tra i soggetti più penalizzati dalla complessità normativa e dagli adempimenti ripetitivi. Il DDL Semplificazioni 2025 sembra finalmente cogliere questa criticità, proponendo una serie di misure calibrate proprio sulle esigenze delle realtà più agili, ma meno strutturate sul piano amministrativo.

Un primo esempio concreto è l’introduzione di una procedura dedicata per la notifica dei data breach (art. 20), pensata specificamente per le microimprese con meno di cinque dipendenti. Questa semplificazione, che sarà definita dal Garante per la Privacy, permette a molte attività di ridurre drasticamente i costi di consulenza e i rischi derivanti da errori nella gestione della sicurezza dei dati, spesso gestita internamente senza risorse IT dedicate.

Anche sul fronte delle autorizzazioni, i benefici per le PMI sono evidenti: la SCIA unica per l’installazione delle insegne, accompagnata da modulistica nazionale standard, consente un iter uniforme e più rapido su tutto il territorio, evitando differenze interpretative tra Comuni. In più, la conferenza di servizi accelerata permetterà anche alle aziende di piccole dimensioni di ottenere permessi in tempi certi, evitando di restare bloccate per settimane o mesi in attesa di un parere da parte delle amministrazioni coinvolte.

La semplificazione fiscale (codice identificativo per il credito Transizione 4.0 e 5.0, riduzione delle sanzioni per dichiarazioni scartate) riduce i margini d’errore e la dipendenza da consulenze esterne, mentre l’eliminazione dell’obbligo di presentare documenti già in possesso della PA (modifica art. 16, D.Lgs. 151/2015) rappresenta un passo concreto verso l’efficienza.

Per le PMI agricole, la deroga quinquennale al requisito reddituale per ottenere la qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP) è un’opportunità strategica: consente l’avvio di nuove attività senza le tradizionali barriere economiche iniziali, stimolando il ricambio generazionale e l’innovazione nei territori rurali.

In sintesi, questo DDL segna un vero cambio di passo per le PMI, spesso considerate nelle parole ma trascurate nei fatti. Se le misure annunciate saranno applicate in modo coerente, potremmo assistere a un reale snellimento delle procedure e a un rafforzamento del ruolo delle piccole imprese come motore dell’economia nazionale.

Provvedimenti attuativi

Se le intenzioni del Disegno di Legge Semplificazioni 2025 sono senza dubbio apprezzabili e le misure delineate promettono un cambiamento tangibile, resta però un punto critico: la tempestiva adozione dei provvedimenti attuativi. È infatti noto che molte riforme annunciate negli anni passati sono rimaste inattuate o applicate a metà proprio per la mancata emissione di decreti, circolari e regolamenti applicativi, spesso rinviati sine die.

Nel DDL, diverse misure fondamentali – come ad esempio il codice identificativo per gli investimenti in Transizione 4.0 e 5.0, o il termine dei 5 giorni per la ritrasmissione delle dichiarazioni fiscali scartate – sono subordinate all’adozione di provvedimenti da parte del MEF o dell’Agenzia delle Entrate. Senza questi atti esecutivi, le norme restano sulla carta e le imprese non potranno godere dei benefici promessi.

Lo stesso vale per le procedure semplificate per le microimprese in tema di privacy, che dovranno essere definite dal Garante per la protezione dei dati personali, oppure per la formazione FER degli installatori, la cui piena attuazione dipende dalla predisposizione dei nuovi corsi e della modulistica digitale.

Anche il decreto MIMIT per i contratti di sviluppo è un elemento chiave: da esso dipenderà la reale accelerazione dei tempi nei procedimenti per le agevolazioni industriali. In mancanza di tempi certi e vincolanti, il rischio è che le semplificazioni si trasformino in un nuovo strato normativo che si aggiunge, piuttosto che sostituirsi, a quello esistente.

In conclusione, per evitare che il DDL si risolva in una riforma parziale o disattesa, sarà indispensabile che i ministeri coinvolti, insieme alle agenzie competenti, agiscano con celerità e trasparenza, garantendo l’adozione puntuale di tutti gli strumenti operativi necessari. Solo così sarà possibile passare dalle promesse alla pratica e costruire un nuovo modello di rapporto tra Stato e impresa.

Conclusione

Il Disegno di Legge Semplificazioni 2025, appena approvato dal Consiglio dei Ministri e in attesa della bollinatura definitiva, si presenta come una riforma organica, concreta e attesa da anni da tutto il mondo imprenditoriale italiano. Intervenendo su quattro macro-aree strategiche, il DDL punta a liberare le imprese dal peso di una burocrazia che troppo spesso ha frenato innovazione, crescita e competitività.

Le misure previste non sono solo annunci: molte di esse introducono strumenti operativi immediati, come la SCIA unica, la conferenza di servizi accelerata, l’eliminazione della duplicazione documentale, la semplificazione dei crediti d’imposta e delle dichiarazioni fiscali. In particolare, le PMI e le microimprese, che costituiscono l’ossatura dell’economia italiana, potranno beneficiare in modo diretto di una serie di semplificazioni pensate su misura per le loro esigenze.

Tuttavia, la sfida vera inizia adesso. Affinché queste riforme non restino solo “buoni propositi”, sarà fondamentale l’impegno delle istituzioni nel rendere operative tutte le misure attraverso decreti attuativi rapidi, chiari e facilmente applicabili. Se questo passaggio sarà gestito con la dovuta attenzione, il DDL potrà rappresentare un cambio di paradigma, favorendo un clima di fiducia tra impresa e Pubblica Amministrazione e restituendo finalmente all’Italia un contesto normativo più moderno, efficiente e favorevole agli investimenti.

Per chi fa impresa oggi, questa potrebbe essere una vera occasione di ripartenza, soprattutto in un momento storico in cui la semplificazione non è più solo una scelta politica, ma una necessità economica e strategica.

Conto Termico 3.0: guida completa agli incentivi per privati, imprese e PA dal 25 dicembre 2025

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Dal 25 dicembre 2025, entra ufficialmente in vigore il Conto Termico 3.0, una misura attesa da tempo per incentivare la riqualificazione energetica degli edifici e la produzione di energia da fonti rinnovabili. Destinato a privati, pubbliche amministrazioni e enti del terzo settore, questo nuovo incentivo si propone come una versione potenziata e più accessibile del precedente Conto Termico 2.0, con un’attenzione particolare alla semplificazione delle procedure e all’incremento dei massimali di spesa ammessi.

Il tema è particolarmente rilevante perché unisce risparmio energetico, vantaggi economici e benefici fiscali. In un periodo in cui i costi dell’energia e le spese di gestione degli immobili sono in continua crescita, poter contare su un incentivo rapido, diretto e cumulabile con altre misure rappresenta un’opportunità concreta per famiglie, enti e amministrazioni locali. Ma come funziona il nuovo Conto Termico 3.0? Chi può accedervi? E soprattutto, come si presenta la domanda?

In questo articolo analizzeremo passo dopo passo chi può beneficiare dell’incentivo, quali sono gli interventi ammessi, come fare domanda, i vantaggi economici e fiscali, le novità introdotte rispetto alla versione precedente, normativa e riferimenti ufficiali.

Cos’è 

Il Conto Termico 3.0 rappresenta la nuova misura di incentivazione prevista dal Decreto 7 agosto 2025, pensata per sostenere gli interventi di piccole dimensioni finalizzati a migliorare l’efficienza energetica e la produzione di energia termica da fonti rinnovabili. Il provvedimento aggiorna l’attuale Conto Termico 2.0 secondo principi di semplificazione, efficacia e innovazione tecnologica, rispondendo agli obiettivi ambientali indicati nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC).

Il nuovo schema di incentivi entrerà in vigore il 25 dicembre 2025, esattamente 90 giorni dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, come previsto dall’articolo 31 del decreto. Fino a quella data, le domande per gli incentivi continueranno a essere regolate dal precedente Conto Termico 2.0, in base al DM 16 febbraio 2016.

Il Conto Termico 3.0 punta in particolare a stimolare la decarbonizzazione del settore civile, offrendo incentivi economici a pubbliche amministrazioni, privati cittadini ed enti del Terzo Settore. È previsto un aggiornamento periodico del meccanismo, che sarà definito con decreto del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, d’intesa con la Conferenza Unificata.

I soggetti beneficiari possono accedere a due principali categorie di interventi:

  • Efficienza energetica degli edifici (es. isolamento termico, infissi, illuminazione, domotica, ricarica veicoli elettrici, fotovoltaico e accumulo)

  • Produzione di energia termica da fonti rinnovabili (es. sostituzione caldaie, solare termico)

È importante notare che per i privati, gli interventi incentivati riguardano solo la produzione di energia termica da fonti rinnovabili, e non l’efficientamento degli edifici residenziali. Diversamente, per le PA e gli enti del Terzo Settore, entrambi i tipi di intervento sono incentivabili su edifici residenziali e non.

Chi può accedere 

Il Conto Termico 3.0, in vigore dal 25 dicembre 2025, introduce importanti novità anche in termini di platea di beneficiari per quanto riguarda gli interventi di efficienza energetica sugli edifici, limitatamente a quelli di piccole dimensioni, come previsto dall’articolo 5 del decreto attuativo.

Sono ammessi ai benefici:

  • Le amministrazioni pubbliche, comprese le scuole, gli enti locali e le strutture della sanità pubblica.

  • Gli enti del Terzo Settore, assimilati alle amministrazioni pubbliche solo se non svolgono attività economica. Questo passaggio è fondamentale: solo le organizzazioni non lucrative, come associazioni riconosciute o fondazioni che operano senza finalità commerciali, possono beneficiare dell’incentivo su edifici pubblici o assimilabili.

  • I soggetti privati, esclusivamente per immobili appartenenti all’ambito terziario, come previsto dall’art. 2, lettera b del decreto. In pratica, possono accedere agli incentivi per interventi di efficienza energetica le imprese o professionisti che operano in edifici adibiti ad attività terziarie (uffici, negozi, studi professionali, alberghi, ecc.), ma non su edifici residenziali.

Resta quindi escluso, per i privati cittadini, il diritto a ricevere incentivi per il miglioramento energetico degli edifici a uso abitativo. Una distinzione importante, che rende il Conto Termico 3.0 più orientato al settore pubblico e produttivo, almeno per questa categoria di interventi.

Questa differenziazione permette di concentrare le risorse pubbliche su interventi strategici, promuovendo la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio pubblico e produttivo, con effetti positivi sull’ambiente e sull’economia.

Conto Termico 3.0

Il Conto Termico 3.0 consente di accedere a un sistema di incentivi economici diretti per una vasta gamma di interventi di riqualificazione energetica su edifici esistenti, parti di edifici o singole unità immobiliari, a condizione che siano dotati di impianto di climatizzazione invernale. Le spese ammissibili sono ben definite dal decreto e coprono sia le tecnologie più tradizionali che le soluzioni innovative orientate all’automazione e alla sostenibilità.

Gli interventi incentivabili comprendono:

  • Isolamento termico delle superfici opache (muri, tetti, solai) che delimitano il volume climatizzato, anche con l’eventuale installazione di ventilazione meccanica controllata (VMC).

  • Sostituzione di infissi e finestre (chiusure trasparenti) che confinano con l’ambiente climatizzato.

  • Installazione di schermature solari (fisse o mobili, non trasportabili) su finestre esposte da Est-Sud-Est a Ovest, utili per ridurre il surriscaldamento estivo e migliorare il comfort termico.

  • Trasformazione dell’edificio in edificio a energia quasi zero (nZEB), secondo le normative europee.

  • Sostituzione degli impianti di illuminazione interni ed esterni con sistemi ad alta efficienza.

  • Installazione di sistemi di building automation, compresi termoregolazione, contabilizzazione del calore e gestione intelligente dei consumi energetici.

  • Colonnine di ricarica per veicoli elettrici, anche ad uso pubblico, ma solo se abbinate alla sostituzione dell’impianto di climatizzazione con uno dotato di pompa di calore elettrica.

  • Impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo, sempre a condizione che siano installati insieme alla sostituzione dell’impianto di climatizzazione invernale con pompa di calore elettrica.

Questa struttura di spese incentivate riflette un approccio integrato alla riqualificazione energetica, dove l’obiettivo non è solo risparmiare energia, ma anche favorire la digitalizzazione degli edifici e l’integrazione con la mobilità elettrica.

Regole, limiti e modalità di accesso 

Il nuovo Conto Termico 3.0, che entrerà in vigore il 25 dicembre 2025, introduce regole precise e uniformi per l’accesso agli incentivi economici. Tali regole riguardano sia i limiti di spesa ammissibili che le modalità operative per la presentazione della domanda.

Quanto si può ottenere: massimali e deroghe

In linea generale, l’incentivo non può superare il 65% delle spese sostenute dal soggetto responsabile per l’intervento. Tuttavia, è prevista un’importante deroga per i comuni con meno di 15.000 abitanti e per gli edifici pubblici di ogni categoria catastale (ai sensi dell’art. 48-ter del DL 104/2020): in questi casi, l’incentivo può arrivare fino al 100% delle spese ammissibili, rispettando comunque i limiti previsti per potenza, superficie e importo massimo per ciascun intervento.

Modalità di erogazione degli incentivi

Gli interventi ammessi vengono incentivati attraverso rate annuali costanti, secondo quanto indicato nella Tabella 1 del decreto e negli allegati tecnici. Questo sistema garantisce una distribuzione equa degli importi nel tempo e consente una gestione più sostenibile delle risorse pubbliche.

Come presentare la domanda

Per accedere agli incentivi, il soggetto responsabile deve utilizzare esclusivamente il Portaltermico del GSE, compilando l’apposita scheda-domanda online. Sono previste due modalità di accesso:

  1. Accesso diretto: la domanda va presentata entro 90 giorni dalla conclusione dell’intervento. Sono previste deroghe sui tempi di pagamento, soprattutto per i soggetti privati, purché l’ultima quota versata copra almeno il 10% dell’intero importo dell’intervento.

  2. Prenotazione dell’incentivo: riservata a PA ed enti equivalenti. Può essere richiesta prima dell’inizio dei lavori, se:

    • esiste una diagnosi energetica con un atto amministrativo che attesti l’impegno a eseguire l’intervento;

    • è stato stipulato un contratto di prestazione energetica con una ESCO (Energy Service Company);

    • è stato assegnato l’appalto dei lavori, corredato dal verbale di consegna redatto dal direttore dei lavori.

La prenotazione è uno strumento fondamentale per garantire certezza di accesso al finanziamento prima dell’avvio dell’intervento, molto utile soprattutto per enti pubblici con vincoli di bilancio.

Misure per le imprese 

Il Conto Termico 3.0 introduce una serie di misure dedicate in modo specifico alle imprese, con l’obiettivo di incentivare interventi reali ed efficaci di efficientamento energetico. Le aziende, per accedere ai contributi, devono dimostrare un concreto risparmio di energia primaria, misurabile e certificato.

Condizioni per ottenere l’incentivo

Per essere ammessi, gli interventi devono garantire una riduzione dei consumi di energia primaria pari ad almeno:

  • 10% per singoli interventi;

  • 20% in caso di multi-intervento.

Il miglioramento delle prestazioni deve essere dimostrato attraverso due Attestati di Prestazione Energetica (APE) – uno ante intervento e uno post intervento – redatti da un tecnico abilitato con dichiarazione asseverata.

Sono esclusi dagli incentivi tutti gli interventi che prevedano l’uso di combustibili fossili, incluso il gas naturale, in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione nazionale.

Requisiti e limitazioni

Le imprese devono presentare una richiesta preliminare prima dell’avvio dei lavori, contenente:

  • Nome e dimensioni dell’impresa;

  • Descrizione dettagliata del progetto;

  • Ubicazione, cronoprogramma e costi;

  • Tipologia e importo dell’incentivo richiesto.

Inoltre, non possono beneficiare degli incentivi:

  • Le imprese in difficoltà economica (secondo le linee guida UE);

  • Le imprese soggette a ordini di recupero per incentivi dichiarati illegittimi dalla Commissione Europea.

Misure specifiche per il settore agricolo e forestale

Una deroga importante riguarda le aziende agricole e le imprese del settore forestale, per le quali sono ammessi:

  • Impianti a biomassa per climatizzazione invernale, serre, fabbricati rurali e processi produttivi;

  • Sistemi ibridi o bivalenti a pompa di calore;

  • Obbligo di contabilizzazione del calore per impianti oltre i 200 kW.

Spese ammissibili per le imprese

  • Sono finanziabili solo i costi direttamente connessi al miglioramento energetico o ambientale.

  • Per PMI, sono ammessi anche i costi per la redazione degli APE.

  • Il GSE pubblicherà un elenco dettagliato delle spese ammissibili nelle Regole Applicative.

Queste disposizioni mirano a garantire che l’incentivo sia effettivamente rivolto a interventi che generano un risparmio energetico concreto e misurabile, con l’obiettivo di supportare la transizione energetica anche nel comparto industriale.

Vantaggi fiscali

Il Conto Termico 3.0 non rappresenta solo un incentivo tecnico per la riqualificazione energetica, ma è anche una leva economica e fiscale strategica per imprese, pubbliche amministrazioni e soggetti del Terzo Settore. I vantaggi concreti si misurano sotto diversi aspetti: riduzione dei costi, maggiore efficienza e sostenibilità ambientale.

Vantaggi economici immediati

A differenza di altri bonus fiscali, il Conto Termico offre contributi diretti erogati in tempi certi dal GSE (Gestore dei Servizi Energetici), spesso entro 90-120 giorni dalla presentazione della domanda. Questo consente una liquidità immediata per sostenere l’investimento, evitando di dover attendere detrazioni su più anni.

  • Gli incentivi possono arrivare fino al 65% delle spese sostenute, e in alcuni casi al 100% per i comuni sotto i 15.000 abitanti o per specifici edifici pubblici.

  • È cumulabile con altri incentivi, a patto che non si superi il costo totale dell’investimento.

Risparmio sui consumi e ritorno sull’investimento

Gli interventi ammessi, soprattutto quelli legati alla building automation, all’isolamento termico o all’installazione di impianti fotovoltaici con accumulo, consentono una riduzione consistente delle bollette. Il tempo di ritorno dell’investimento (payback period) si abbrevia sensibilmente grazie alla combinazione tra incentivo e risparmio energetico.

Benefici ambientali e competitività

Contribuendo a ridurre il fabbisogno energetico e le emissioni di CO₂, il Conto Termico 3.0 si inserisce pienamente negli obiettivi di transizione ecologica previsti dal PNIEC e dalle direttive europee sul clima.
Per le imprese, migliorare la performance ambientale significa anche accedere più facilmente a fondi europei, bandi regionali e linee di finanziamento agevolato (ESG).

Infine, la riqualificazione degli edifici migliora anche il valore immobiliare, un aspetto spesso sottovalutato ma fondamentale nel medio-lungo periodo.

Come presentare la domanda

Per accedere agli incentivi previsti dal Conto Termico 3.0, il Soggetto Responsabile deve inoltrare una domanda al GSE (Gestore dei Servizi Energetici), utilizzando esclusivamente l’apposita piattaforma digitale denominata Portaltermico, già attiva per il Conto Termico 2.0 e aggiornata alle nuove disposizioni.

Portaltermico GSE: cosa serve per iniziare

Prima di accedere al portale, è necessario disporre di:

  • SPID o CNS per l’autenticazione;

  • Codice fiscale e dati anagrafici del soggetto responsabile;

  • Documentazione tecnica e amministrativa dell’intervento;

  • Copia delle fatture e delle quietanze di pagamento;

  • A.P.E. ante e post intervento (se richiesto).

La procedura è interamente digitale, e si svolge in modo guidato tramite la scheda-domanda che consente di caricare le informazioni richieste in base alla tipologia di intervento (art. 5 o 8 del decreto).

Due modalità di accesso agli incentivi

Il meccanismo prevede due opzioni distinte:

  1. Accesso diretto
    Riservato a tutti i soggetti (privati, PA, imprese). La domanda deve essere inviata entro 90 giorni dalla fine dei lavori, pena l’esclusione. Per i soggetti privati, è ammessa una dilazione dei pagamenti fino a 120 giorni, purché l’ultima quota versata superi il 10% della spesa complessiva.

  2. Prenotazione dell’incentivo
    Accessibile per PA ed enti assimilati, anche tramite ESCO. La prenotazione può essere presentata prima dell’inizio dei lavori, ma solo in presenza di specifica documentazione:

    • Diagnosi energetica con atto amministrativo che attesti l’impegno a realizzare gli interventi;

    • Contratto di prestazione energetica o di fornitura integrata con importi dettagliati;

    • Verbale di assegnazione dei lavori e consegna da parte del direttore dei lavori.

Una volta inoltrata la domanda, il GSE avvia la valutazione tecnico-amministrativa. Se l’esito è positivo, viene comunicata la concessione dell’incentivo e, nel caso dell’accesso diretto, parte il calendario dei pagamenti annuali, secondo le regole stabilite nel decreto e nei suoi allegati tecnici.

Conclusione

Il Conto Termico 3.0, in vigore dal 25 dicembre 2025, rappresenta un’evoluzione importante nell’ambito degli incentivi per la riqualificazione energetica e la produzione di energia termica da fonti rinnovabili. A differenza di molti altri strumenti fiscali, si distingue per la rapidità di erogazione, la trasparenza delle regole e la concretezza dei vantaggi sia economici che ambientali.

Grazie a un meccanismo digitale collaudato (Portaltermico GSE) e a criteri chiari, il nuovo schema consente a pubbliche amministrazioni, imprese, enti del terzo settore e privati (per le rinnovabili) di ottenere incentivi fino al 65% per interventi che generano risparmio reale, valorizzazione immobiliare e sostenibilità ambientale.

Per i piccoli comuni, le PMI e le aziende agricole, si aprono prospettive di sviluppo concrete grazie alla possibilità di investire in impianti innovativi, building automation, illuminazione efficiente, impianti fotovoltaici con accumulo, sistemi di ricarica elettrica e molto altro.

Allo stesso tempo, l’adozione di criteri di cumulabilità e la possibilità di prenotare gli incentivi prima dell’intervento rendono il Conto Termico 3.0 un vero e proprio strumento strategico di pianificazione energetica e finanziaria.

In un contesto in cui la transizione energetica non è più una scelta ma una necessità, il Conto Termico 3.0 si presenta come un alleato fondamentale per innovare, risparmiare e rispettare l’ambiente.

Bonus mamme lavoratrici 2025: requisiti, istruzioni INPS e come richiederlo

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Nel contesto economico attuale, dove il costo della vita continua ad aumentare e il lavoro femminile incontra ancora ostacoli legati alla conciliazione tra carriera e maternità, ogni misura di sostegno può fare la differenza. Il Bonus Mamme Lavoratrici 2025, istituito dall’articolo 6 del Decreto-legge 30 giugno 2025, n. 95 (convertito con modificazioni dalla Legge 8 agosto 2025, n. 118), rappresenta un aiuto concreto alle madri che lavorano. Con la Circolare INPS n. 139 del 28 ottobre 2025, l’Istituto ha finalmente chiarito modalità, requisiti e istruzioni operative per accedere al contributo economico mensile di 40 euro per ogni mese o frazione di mese di attività lavorativa.

A differenza di altri strumenti simili del passato, questo bonus ha un approccio semplificato, immediato e più inclusivo, rivolgendosi sia alle lavoratrici dipendenti che autonome con almeno due figli. Una misura temporanea, ma con un impatto sociale rilevante: oltre a integrare il reddito familiare, incentiva la partecipazione attiva delle madri al mondo del lavoro, sostenendo in modo diretto la genitorialità.

Scopriamo nei prossimi paragrafi chi ha diritto al Bonus Mamme 2025, come presentare la domanda, quando arriveranno i pagamenti e quali sono le possibili criticità e i vantaggi fiscali di questa misura.

A chi spetta 

Il Bonus Mamme Lavoratrici 2025 è un contributo economico mensile riconosciuto esclusivamente alle madri con almeno due figli e con reddito da lavoro. La misura è disciplinata dall’articolo 6, comma 2, del Decreto-legge n. 95/2025 e viene erogata dall’INPS previa presentazione della domanda. Ma chi ha davvero diritto al beneficio?

Possono accedere al bonus:

  • Le lavoratrici dipendenti, purché non impiegate in rapporti di lavoro domestico;

  • Le lavoratrici autonome, incluse quelle iscritte alle Casse professionali e alla Gestione separata INPS.

Un requisito fondamentale è il reddito da lavoro percepito nel 2025, che non deve superare i 40.000 euro annui. Inoltre, la lavoratrice deve avere un rapporto di lavoro attivo o un’attività autonoma in corso nel mese di riferimento.

La durata del beneficio varia in base al numero dei figli e all’età del più piccolo:

Va però specificato che le madri con tre o più figli titolari di contratto di lavoro a tempo indeterminato non ricevono il bonus nei mesi in cui tale contratto è attivo, poiché beneficiano già dell’esonero totale dei contributi IVS previsto dalla Legge di Bilancio 2024.

Esempi pratici per chiarire:

  • Una madre con due figli, il più piccolo dei quali compie 10 anni a settembre 2025, riceverà il bonus da gennaio a settembre.

  • Una madre con tre figli, il cui contratto diventa a tempo indeterminato a luglio, avrà diritto al bonus da gennaio a giugno.

  • Una madre con un figlio e secondo nato ad aprile, riceverà il bonus da aprile a dicembre.

Come presentare domanda

Per accedere al Bonus Mamme Lavoratrici 2025, è necessario presentare un’apposita domanda all’INPS, utilizzando i canali digitali messi a disposizione dall’Istituto. La procedura è semplice ma richiede attenzione, soprattutto per rispettare le scadenze previste.

Modalità di presentazione della domanda

La domanda va presentata esclusivamente in modalità telematica, attraverso uno dei seguenti canali:

  • Portale INPS (www.inps.it), accedendo con SPID, CIE o CNS, nella sezione dedicata ai “Contributi per madri lavoratrici”;

  • Patronati o CAF abilitati, che possono trasmettere la richiesta per conto della lavoratrice;

  • Contact Center INPS, chiamando il numero 803.164 (gratuito da rete fissa) o 06.164.164 da rete mobile.

Al momento della domanda, la lavoratrice deve autocertificare:

  • Il numero dei figli e la data di nascita del più piccolo;

  • Il proprio reddito da lavoro annuo previsto per il 2025 (che non deve superare i 40.000 euro);

  • Lo status lavorativo (dipendente o autonoma) e l’esistenza del rapporto o dell’attività nel periodo di riferimento.

Tempi e modalità di pagamento

Il bonus verrà erogato in un’unica soluzione nel mese di dicembre 2025, ma per chi presenta la domanda in ritardo, il pagamento potrà arrivare entro febbraio 2026. Questo per garantire all’INPS il tempo necessario per effettuare i controlli sui requisiti.

È importante ricordare che, in caso di dichiarazioni non veritiere, l’INPS procederà al recupero delle somme indebitamente percepite, oltre ad eventuali sanzioni.

Vantaggi fiscali 

Il Bonus Mamme Lavoratrici 2025 rappresenta non solo un aiuto economico diretto, ma anche un importante strumento di politica sociale e fiscale. Con una cifra mensile di 40 euro per ogni mese o frazione di mese lavorato, l’incentivo punta a valorizzare il ruolo delle madri all’interno del mercato del lavoro, con benefici tangibili sia sul piano individuale che familiare.

1. Integrazione diretta del reddito

A differenza di altri strumenti come deduzioni o detrazioni, che agiscono sul calcolo dell’imposta, il Bonus Mamme viene erogato in denaro, direttamente sul conto corrente della beneficiaria. Questo significa liquidità immediata e maggiore semplicità di gestione, soprattutto in un contesto di aumento generalizzato dei costi per figli, scuola, sanità e trasporti.

2. Sostegno alla genitorialità e all’occupazione femminile

Il bonus è pensato per favorire la permanenza nel mondo del lavoro delle madri con due o più figli, contrastando il fenomeno delle dimissioni post maternità. Si tratta quindi di un sostegno alla genitorialità, ma anche di un incentivo alla continuità lavorativa, condizione essenziale per l’autonomia economica delle donne.

3. Complementarietà con altri strumenti fiscali

Il contributo è compatibile con altri benefici fiscali, come ad esempio:

  • Detrazioni per figli a carico;

  • Assegno unico universale;

  • Altri incentivi previsti dalla normativa vigente (come l’esonero contributivo totale per madri con 3 figli e contratto a tempo indeterminato).

Inoltre, non essendo considerato reddito imponibile ai fini IRPEF, non incide sul calcolo delle imposte né sull’ISEE, evitando penalizzazioni su altri benefici socio-economici.

Impatto economico

Il Bonus Mamme Lavoratrici 2025 è stato strutturato come misura temporanea e straordinaria, con un fondo stanziato complessivo pari a 480 milioni di euro per l’anno 2025, come previsto dal Decreto-legge 30 giugno 2025, n. 95, convertito con modificazioni dalla Legge 8 agosto 2025, n. 118. La gestione è affidata all’INPS, che provvede all’erogazione previa verifica dei requisiti, sulla base delle domande presentate.

Un intervento mirato e sostenibile

La misura è stata pensata come alternativa temporanea all’esonero contributivo totale per le lavoratrici madri introdotto dalla Legge di Bilancio 2024. In particolare, il bonus si rivolge a una platea di donne che non rientrano nella decontribuzione piena, come ad esempio:

  • Madri con contratti a termine;

  • Lavoratrici autonome o libere professioniste;

  • Lavoratrici dipendenti non a tempo indeterminato.

In questo modo, il Governo punta a intercettare categorie più vulnerabili, spesso escluse dai benefici strutturali o più complessi da ottenere.

Sostenibilità e copertura

Con una media potenziale di 1,2 milioni di beneficiarie stimate, e un contributo massimo teorico di circa 480 euro annui per ciascuna (pari a 40 euro x 12 mesi), la copertura di 480 milioni risulta congrua, anche tenendo conto di:

  • Eventuali cessazioni anticipate del rapporto di lavoro;

  • Domande non ammesse;

  • Periodi di inattività lavorativa.

L’INPS ha specificato che il contributo sarà concesso fino a esaurimento delle risorse disponibili, motivo per cui si consiglia alle lavoratrici aventi diritto di presentare la domanda il prima possibile.

Criticità, dubbi interpretativi e prospettive future

Nonostante il Bonus Mamme Lavoratrici 2025 rappresenti un segnale positivo in tema di sostegno alla maternità, non mancano alcune criticità e aree grigie, emerse già nelle prime settimane successive alla pubblicazione della Circolare INPS n. 139/2025.

1. Incertezza sulla cumulabilità con altri incentivi

Una delle principali domande riguarda la cumulabilità del bonus con altre misure di sostegno legate alla genitorialità e all’occupazione. Ad esempio, per le madri con tre o più figli con contratto a tempo indeterminato, il bonus non è riconosciuto, poiché si presume la fruizione dell’esonero contributivo totale IVS previsto dalla Legge di Bilancio 2024. Tuttavia, non sempre è chiaro se e quando i due benefici si escludano a vicenda, soprattutto nei casi di contratti misti o cambi di regime contrattuale durante l’anno.

2. Periodi di inattività e frazioni di mese

Altro nodo interpretativo riguarda il calcolo del bonus nei mesi in cui la lavoratrice è attiva solo per una frazione. Sebbene la norma riconosca il bonus anche per “frazione di mese”, non è stato ancora chiarito quale percentuale minima di attività sia necessaria per ottenere l’intero importo.

3. Tempistiche e incertezze sulla proroga

Il bonus ha natura temporanea, con validità limitata al 2025. Ciò apre l’interrogativo su una sua eventuale proroga nel 2026 o sulla trasformazione in misura strutturale, magari integrata all’interno dell’Assegno Unico o di altri strumenti di welfare familiare. Tuttavia, allo stato attuale non sono previste estensioni, anche se alcuni esponenti politici hanno già chiesto un ampliamento della platea e delle risorse.

4. Esclusione delle lavoratrici domestiche

Un limite piuttosto evidente è l’esclusione delle lavoratrici domestiche, categoria spesso a basso reddito e con forte presenza femminile. Questa scelta lascia scoperta una fascia di madri che, pur lavorando, non può beneficiare del contributo.

Conclusioni

Il Bonus Mamme Lavoratrici 2025 si inserisce in un panorama complesso ma in evoluzione, dove le misure di sostegno alla maternità cercano di adattarsi alle esigenze reali delle famiglie italiane. Con un importo mensile di 40 euro per ogni mese di lavoro attivo e una gestione semplificata da parte dell’INPS, questa misura offre un supporto diretto e accessibile per le madri lavoratrici con almeno due figli.

Nonostante alcune criticità interpretative e l’esclusione di categorie come le lavoratrici domestiche, il bonus rappresenta un aiuto concreto per chi ha difficoltà a conciliare maternità e lavoro, senza intaccare l’ISEE né influire sull’IRPEF. Il fatto che sia compatibile con altre agevolazioni e venga erogato in unica soluzione nel mese di dicembre 2025, lo rende particolarmente vantaggioso anche dal punto di vista della pianificazione familiare e fiscale.

Il consiglio per tutte le potenziali beneficiarie è quello di:

  • Verificare subito i requisiti (numero figli, età, reddito e status lavorativo);

  • Presentare la domanda quanto prima, per non rischiare di restare escluse in caso di esaurimento dei fondi.

Infine, è importante restare aggiornate su eventuali modifiche legislative o proroghe per il 2026, che potrebbero trasformare questo incentivo in uno strumento strutturale di sostegno alla genitorialità femminile nel nostro Paese.

Composizione negoziata della crisi d’impresa: guida completa 2025–2026 per evitare il fallimento e risanare l’azienda

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Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e le successive modifiche apportate fino al 2024, la composizione negoziata della crisi d’impresa si è affermata come uno strumento strategico per prevenire l’insolvenza e rilanciare l’attività economica. A differenza delle vecchie procedure fallimentari, la composizione negoziata è volontaria, riservata e stragiudiziale, pensata per offrire una vera seconda opportunità agli imprenditori in difficoltà.

Si tratta di una procedura che consente di avviare trattative con i creditori (banche, fornitori, INPS, Agenzia delle Entrate, ecc.), con l’assistenza di un esperto indipendente, al fine di raggiungere accordi sostenibili e risanare l’azienda, evitando il fallimento o la liquidazione giudiziale.

Il team di Commercialista.it ha già seguito con successo numerose aziende in crisi, riducendo o abbattendo debiti anche ingenti, negoziando con istituti bancari, enti previdenziali e fornitori strategici. Attraverso un approccio personalizzato e tecnico, riusciamo a trasformare una situazione critica in una concreta opportunità di ripresa.

In questo articolo ti spieghiamo cos’è la composizione negoziata della crisi, come funziona, a chi conviene davvero, e come, anche nel 2025 e nel 2026, può rappresentare l’unica vera alternativa al fallimento, in modo completamente legale, tutelato e riservato.

Cos’è la composizione negoziata

La composizione negoziata della crisi d’impresa è una procedura stragiudiziale introdotta con il Decreto Legge n. 118/2021, convertito nella Legge n. 147/2021, e successivamente integrata all’interno del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). A partire dal 15 novembre 2021, e con le ulteriori modifiche applicate fino al 2024, questo strumento è diventato un pilastro del sistema di prevenzione della crisi in Italia, particolarmente rilevante anche nel 2025–2026 grazie alle nuove linee guida del CNDCEC e agli aggiornamenti tecnologici delle piattaforme digitali.

La procedura è volontaria, riservata e pensata per quelle imprese che – pur trovandosi in una situazione di tensione finanziaria o squilibrio patrimoniale – sono ancora economicamente risanabili. Il fulcro del meccanismo è l’intervento di un esperto indipendente, scelto tramite piattaforma telematica nazionale e incaricato di facilitare le trattative tra l’impresa e i suoi principali creditori: banche, fornitori, Agenzia delle Entrate, INPS, enti locali, leasing, ecc.

Grazie alla composizione negoziata, è possibile evitare la liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”) e accedere a una soluzione più morbida, costruita su misura, che può culminare in:

  • un accordo di ristrutturazione dei debiti,

  • un piano attestato di risanamento,

  • una concordata semplificata o,

  • nei casi estremi, una liquidazione controllata.

Il tutto mantenendo la continuità aziendale, la riservatezza della trattativa e la possibilità di ottenere protezione cautelare nei confronti di eventuali azioni esecutive o aggressive da parte dei creditori.

Vantaggi concreti 

La composizione negoziata della crisi d’impresa offre una serie di vantaggi concreti, immediati e misurabili per l’imprenditore che decide di affrontare tempestivamente le difficoltà economiche. Non si tratta di una procedura teorica o formale, ma di un vero strumento operativo, pensato per evitare il fallimento e proteggere il patrimonio aziendale e personale.

Ecco i principali benefici che rendono questa procedura estremamente vantaggiosa nel 2025 e 2026:

  • Tutela immediata dai creditori: l’imprenditore può richiedere misure protettive (blocco delle azioni esecutive, pignoramenti, revoche bancarie), ottenendo così respiro finanziario per riorganizzarsi.

  • Trattativa diretta con i creditori: grazie alla mediazione dell’esperto, si possono avviare negoziazioni efficaci con INPS, Agenzia delle Entrate, banche e fornitori, al fine di abbattere o dilazionare i debiti, spesso con condizioni più favorevoli rispetto a quelle ottenibili da soli.

  • Nessuna pubblicità negativa: la procedura è riservata e confidenziale, non prevede l’iscrizione nel registro delle imprese come per le procedure concorsuali, evitando così danni d’immagine verso clienti e fornitori.

  • Costi ridotti rispetto al fallimento: la composizione negoziata ha un costo contenuto, legato principalmente al compenso dell’esperto e alla consulenza, molto inferiore rispetto a una liquidazione giudiziale.

  • Continuità aziendale garantita: l’imprenditore rimane in carica e mantiene la gestione dell’impresa, sotto la supervisione dell’esperto, evitando commissariamenti o sostituzioni nella governance.

  • Possibilità di accesso a finanziamenti e nuova finanza: in presenza di un piano credibile, banche e investitori possono decidere di sostenere il rilancio, anche con priorità di pagamento per i nuovi creditori, come previsto dall’art. 22 del D.L. 118/2021.

  • Personalizzazione del piano di risanamento: ogni percorso viene costruito su misura, sulla base delle specificità del settore, della dimensione aziendale e del contesto debitorio, rendendo più efficace l’intervento.

Abbattimento dei debiti e trattative efficaci 

Uno degli aspetti più delicati e determinanti della composizione negoziata della crisi d’impresa è la capacità di condurre trattative efficaci con i creditori e ottenere, ove possibile, un abbattimento parziale o una rimodulazione sostenibile del debito. La procedura prevede il coinvolgimento attivo dell’esperto indipendente, il cui ruolo non è solo tecnico, ma anche di facilitatore del dialogo tra l’impresa e i suoi principali soggetti creditori.

L’esperienza operativa dimostra che una trattativa ben condotta può portare a risultati molto concreti, come:

  • stralcio parziale di interessi e sanzioni, soprattutto con l’Agenzia delle Entrate e l’INPS;

  • dilazioni più ampie rispetto a quelle previste dalla normativa ordinaria;

  • riorganizzazione del debito bancario, con sospensione temporanea dei pagamenti o rinegoziazione dei termini;

  • accordi a saldo e stralcio con fornitori e creditori chirografari, soprattutto quando la continuità aziendale è ritenuta vantaggiosa anche per loro.

La strategia di abbattimento del debito è strettamente connessa alla credibilità del piano di risanamento: quanto più il piano dimostra sostenibilità, capacità di generare flussi e trasparenza nella gestione, tanto più i creditori sono disposti a fare concessioni. Inoltre, la cornice giuridica della composizione negoziata consente di negoziare in condizioni protette, riducendo il rischio di azioni legali o esecutive durante la trattativa.

Nel lavoro svolto dal nostro team, la gestione di queste trattative è sempre impostata su dati chiari, comunicazione strutturata e attenzione alle priorità dell’impresa. Questo approccio ha consentito, in numerosi casi, l’abbattimento fino al 60-70% del debito complessivo, evitando la liquidazione giudiziale e rilanciando l’attività.

Requisiti e soggetti ammessi

Uno dei grandi punti di forza della composizione negoziata della crisi d’impresa è la sua ampia accessibilità. A differenza delle vecchie procedure fallimentari, spesso riservate solo a determinate soglie dimensionali, la composizione negoziata è aperta a tutte le imprese iscritte al Registro delle Imprese, a prescindere dalla forma giuridica o dalla dimensione.

Ecco i soggetti che possono farvi ricorso nel 2025 e 2026:

  • Società di capitali e di persone (S.r.l., S.p.A., S.a.s., S.n.c.);

  • Imprese individuali, incluse quelle artigiane;

  • Startup e PMI innovative;

  • Imprese agricole (sotto alcune condizioni);

  • Gruppi di imprese, in modo coordinato;

  • Cooperative (se svolgono attività di impresa commerciale).

Non possono invece accedere le imprese che:

  • hanno già una procedura concorsuale aperta (es. liquidazione giudiziale, concordato in corso, amministrazione straordinaria);

  • sono cessate o hanno revocato l’attività;

  • hanno dichiarato lo stato di insolvenza o sono già oggetto di istanze di fallimento con esito favorevole.

Requisito fondamentale: l’impresa deve essere “in crisi ma risanabile”

La composizione negoziata non è una “scappatoia” per chi è già fallito, ma una seconda opportunità concreta per quelle imprese che, pur avendo problemi di liquidità, debiti scaduti e squilibri patrimoniali, possono essere salvate con un piano realistico e sostenibile.
Per questo, la procedura prevede il “test pratico per la verifica della continuità aziendale”, uno strumento online messo a disposizione dalle Camere di Commercio, che aiuta a valutare se l’impresa ha ancora chance di risanamento.

Anche una ditta individuale o una microimpresa può accedere, purché dimostri di avere ancora un minimo di attività in essere e un piano plausibile.

Quali debiti si possono abbattere

Uno dei vantaggi più concreti della composizione negoziata della crisi d’impresa è la possibilità di trattare e ristrutturare ogni tipologia di debito, con condizioni vantaggiose e senza dover ricorrere a un tribunale. Grazie alla presenza dell’esperto nominato, l’imprenditore ha uno strumento potente per sedersi al tavolo con i creditori e proporre soluzioni sostenibili, come dilazioni, stralci parziali o moratorie.

Debiti verso l’Agenzia delle Entrate

È possibile trattare debiti fiscali relativi a IVA, IRPEF, IRES, IRAP e ritenute non versate. Commercialista.it ha già ottenuto per i suoi assistiti dilazioni fino a 120 mesi, sospensioni temporanee delle cartelle esattoriali, e in alcuni casi stralci parziali con il supporto di strumenti transattivi (Art. 63 CCII). È anche possibile richiedere il blocco di fermi amministrativi e pignoramenti in corso.

Debiti verso l’INPS

Anche i debiti previdenziali possono essere oggetto di trattativa. L’esperienza dimostra che, se supportata da un piano credibile e sostenibile, l’INPS è disposta a rivedere le modalità di pagamento, sospendere azioni esecutive in corso e valutare soluzioni di rientro personalizzate. In alcuni casi, è stato possibile riattivare DURC sospesi, facilitando la ripresa dell’attività.

Debiti bancari e finanziari

Con le banche si possono negoziare ristrutturazioni di mutui, leasing, affidamenti e linee di credito. COMMERCIALISTA.IT assiste le imprese nella presentazione di piani finanziari credibili, ottenendo anche la conversione dei debiti in strumenti più gestibili (es. prestiti bullet, leasing rinegoziati, consolidamenti). È possibile richiedere la sospensione dei pagamenti per alcuni mesi, anche grazie alla protezione offerta dalla procedura.

Debiti verso fornitori

I fornitori sono spesso i creditori più delicati: da loro dipende la continuità produttiva. Attraverso la composizione negoziata, è possibile concordare pagamenti parziali, dilazionati o condizionati alla ripresa dell’attività, evitando interruzioni nella fornitura e mantenendo buoni rapporti commerciali. In molti casi, è possibile convincere i fornitori ad accettare pagamenti ridotti in cambio della continuità aziendale.

La chiave è la costruzione di un piano credibile, che mostri la reale possibilità di uscita dalla crisi. Il nostro team supporta l’imprenditore in ogni fase, curando la parte contabile, legale e negoziale per ottenere il miglior risultato possibile nella trattativa con ciascun creditore.

Procedura operativa 

Accedere alla composizione negoziata della crisi d’impresa è oggi più semplice e veloce grazie alla piattaforma telematica nazionale messa a disposizione dalle Camere di Commercio, attiva su tutto il territorio italiano. Il processo è interamente digitale, gratuito nella fase di invio della domanda, e può essere avviato esclusivamente dall’imprenditore (o da un suo professionista incaricato).

Ecco i passaggi principali per accedere alla procedura nel 2025–2026:

1. Accesso alla piattaforma

L’imprenditore (o il suo commercialista) deve accedere al portale ufficiale: https://composizionenegoziata.camcom.it, autenticandosi tramite SPID, CNS o CIE.

2. Compilazione del test pratico

Si avvia la procedura con la compilazione del cosiddetto test pratico per la verifica della continuità aziendale, che consente di capire se l’impresa ha ancora margini di risanamento economico e finanziario. Il test è obbligatorio e basato su indicatori chiave (EBITDA, indebitamento, cash flow, ecc.).

3. Caricamento documentazione

Vanno poi caricati una serie di documenti obbligatori:

  • Bilanci e dichiarazioni fiscali degli ultimi esercizi;

  • Situazione economico-patrimoniale aggiornata;

  • Elenco dei creditori e degli atti rilevanti;

  • Relazione sulle cause della crisi;

  • Bozza del piano di risanamento (anche solo preliminare).

4. Richiesta e nomina dell’esperto indipendente

La piattaforma trasmette la documentazione alla Camera di Commercio territorialmente competente, che provvede a nominare un esperto indipendente entro 5 giorni lavorativi, scegliendolo da un elenco nazionale (solitamente commercialisti, avvocati o revisori legali con requisiti specifici).

5. Avvio delle trattative

Una volta nominato, l’esperto fissa un primo incontro con l’imprenditore e pianifica le trattative con i creditori. Le trattative sono riservate, informali ma documentate, e possono durare fino a 180 giorni (prorogabili in casi particolari).

Cosa succede dopo la composizione negoziata

La composizione negoziata non è un fine, ma un mezzo per arrivare alla soluzione più adatta alla situazione dell’impresa. Al termine delle trattative (che possono durare fino a 180 giorni), si aprono diversi scenari a seconda dell’esito degli incontri con i creditori, del livello di collaborazione ottenuto e della sostenibilità del piano proposto.

Ecco le 4 principali vie d’uscita dalla composizione negoziata, secondo quanto previsto dal Codice della Crisi d’Impresa aggiornato al 2025:

1. Raggiungimento di un accordo con i creditori

È l’esito più auspicato. L’imprenditore riesce, con l’assistenza dell’esperto, a ottenere accordi individuali o collettivi con i principali creditori. In questo caso, il piano di risanamento viene attuato volontariamente, senza necessità di omologhe giudiziarie. È possibile formalizzare:

  • un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII),

  • un piano attestato di risanamento (art. 56),

  • oppure una transazione fiscale con l’Agenzia delle Entrate.

2. Mancato accordo ma continuità aziendale possibile

Se non si raggiunge un’intesa con tutti i creditori ma l’impresa ha comunque le risorse per andare avanti, l’imprenditore può uscire dalla procedura e proseguire l’attività, magari cercando nuove strade come:

  • la ristrutturazione extragiudiziale,

  • il concordato semplificato per la continuità (art. 25-sexies CCII), che si attiva su proposta dell’imprenditore, senza adesione dei creditori, ma con controllo del tribunale.

3. Crisi irreversibile e passaggio alla liquidazione controllata

Se l’esperto rileva che l’impresa non è più risanabile, può proporre l’accesso alla liquidazione controllata (art. 268 ss. CCII), una procedura semplificata, meno costosa e più veloce della liquidazione giudiziale (ex fallimento). In questo caso, l’obiettivo è salvaguardare il patrimonio residuo per soddisfare i creditori in modo ordinato e trasparente.

4. Accesso a nuovi strumenti agevolati

In certi casi, l’esito della composizione negoziata può aprire la strada all’accesso al Fondo per la continuità aziendale, previsto dalle normative collegate al PNRR, o a forme di nuova finanza garantita. Questo può permettere all’impresa di rilanciarsi grazie all’ingresso di capitali esterni.

In tutti questi casi, il supporto di un team esperto è fondamentale anche dopo la chiusura della composizione negoziata, assicurando che l’esito scelto sia coerente, sostenibile e fiscalmente vantaggioso.

Conclusione

La composizione negoziata della crisi d’impresa si conferma, anche nel biennio 2025–2026, come uno degli strumenti più rilevanti del diritto concorsuale moderno. La sua natura non giudiziale, volontaria e riservata consente di affrontare situazioni di crisi in modo flessibile, mantenendo la continuità aziendale e favorendo il dialogo costruttivo con i creditori.

Il suo corretto utilizzo richiede però una preparazione tecnica elevata, non solo nella redazione del piano di risanamento, ma anche nella gestione delle trattative e nella valutazione delle possibili uscite dalla procedura, siano esse accordi, piani attestati o, nei casi più critici, la liquidazione controllata.

La concreta efficacia della composizione negoziata dipende in larga parte dalla qualità della consulenza ricevuta: un team multidisciplinare in grado di coniugare competenze contabili, legali e fiscali è oggi indispensabile per guidare l’imprenditore lungo un percorso che rimane complesso, ma potenzialmente risolutivo.

Alla luce delle recenti esperienze applicative e delle evoluzioni normative, si può affermare che questo istituto rappresenti una vera opportunità per affrontare e gestire tempestivamente la crisi, evitando le conseguenze più gravi sul piano economico, giuridico e reputazionale.

Tax credit per imballaggi ecosostenibili 2025: domande al via dal 1° dicembre per il credito d’imposta del 36%

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Il passaggio verso la sostenibilità ambientale non è più soltanto una scelta etica, ma una vera e propria leva strategica per le imprese. A partire dal 1° dicembre 2025, le aziende italiane potranno beneficiare di un credito d’imposta del 36% per gli acquisti effettuati nel 2024 di prodotti e imballaggi realizzati con materiali riciclati, biodegradabili o compostabili. Una misura fortemente attesa, resa operativa dal Decreto del 17 novembre 2025, pubblicato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), che fissa modalità, termini e criteri per la richiesta del beneficio.

Questa agevolazione, introdotta già nel 2024 con il Decreto 2 aprile 2024, n. 132 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 117 del 21 maggio 2024, rappresenta uno strumento concreto per incentivare la transizione ecologica nel settore produttivo. Le imprese potranno ottenere un rimborso fiscale, sotto forma di tax credit, fino a un massimo di 20.000 euro annui per ciascun soggetto, nel rispetto del limite complessivo di spesa fissato a 5 milioni di euro.

Un’opportunità imperdibile per chi vuole risparmiare sulle tasse in modo legale, contribuendo al contempo alla riduzione dell’impatto ambientale della propria attività.

In questo articolo analizzeremo come funziona il tax credit, chi può accedervi, quali spese sono ammissibili, e soprattutto come presentare correttamente la domanda a partire dal 1° dicembre.

Come presentare la domanda 

Le imprese interessate ad accedere al credito d’imposta per imballaggi ecosostenibili dovranno tenere a mente una scadenza fondamentale: lo sportello telematico sarà attivo dalle ore 12:00 del 1° dicembre 2025 fino alle ore 12:00 del 30 gennaio 2026. In questo arco temporale, sarà possibile trasmettere la propria istanza esclusivamente attraverso la piattaforma informatica messa a disposizione da Invitalia, accessibile al seguente link: https://invitalia-areariservata-fe.npi.invitalia.it/home

Le domande dovranno riguardare solo le spese sostenute durante l’anno solare 2024, e dovranno essere accompagnate dalla documentazione comprovante l’acquisto di prodotti o imballaggi realizzati con materiali riciclati, biodegradabili o compostabili.

Un elemento distintivo del bando è che le istanze verranno valutate indipendentemente dall’ordine cronologico di invio. Ciò significa che non esiste un vantaggio per chi presenta prima la domanda: tutte le richieste ricevute entro i termini saranno esaminate in base ai requisiti e ai criteri stabiliti dal Decreto ministeriale, e non in base alla data o all’ora di presentazione.

Per eventuali richieste di chiarimento o assistenza, è possibile contattare direttamente il Ministero dell’Ambiente scrivendo a info.materialidirecupero@mase.gov.it.

Quali sono le spese ammesse

Il credito d’imposta del 36% per imballaggi ecosostenibili è rivolto esclusivamente alle imprese, indipendentemente dalla forma giuridica e dal settore economico di appartenenza, purché regolarmente costituite, iscritte al Registro delle imprese e in possesso dei requisiti generali per beneficiare di agevolazioni pubbliche.

L’agevolazione copre le spese sostenute nel corso del 2024 per l’acquisto di prodotti e imballaggi realizzati con materiali provenienti da processi di riciclo, o che siano biodegradabili e compostabili, in linea con gli standard ambientali richiesti dalla normativa.

In particolare, rientrano tra i beni ammissibili:

  • Imballaggi secondari e terziari riciclati o riciclabili;

  • Contenitori e packaging biodegradabili o compostabili certificati;

  • Prodotti realizzati in plastica riciclata post consumo, con tracciabilità garantita;

  • Altri materiali conformi alle specifiche tecniche previste dal decreto 2 aprile 2024, n. 132.

È fondamentale che i materiali acquistati siano accompagnati da certificazioni idonee, come ad esempio le certificazioni UNI EN 13432, OK Compost o equivalenti, che attestino le caratteristiche di biodegradabilità, compostabilità o provenienza da riciclo. Le spese devono essere documentate in modo preciso, con fatture elettroniche, documentazione tecnica e schede di prodotto.

Ogni impresa può ottenere fino a 20.000 euro annui di credito d’imposta, da utilizzare in compensazione tramite modello F24. Il limite complessivo delle risorse disponibili per l’intero incentivo è fissato a 5 milioni di euro per l’anno 2025.

Modalità di fruizione e compensazione

Una volta accolta la domanda, il credito d’imposta per imballaggi ecosostenibili verrà riconosciuto all’impresa beneficiaria e potrà essere utilizzato esclusivamente in compensazione, secondo quanto previsto dall’articolo 17 del D.Lgs. 241/1997, tramite il modello F24, da presentare attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate.

Il credito potrà essere utilizzato a partire dal periodo d’imposta successivo a quello di riconoscimento, quindi, verosimilmente, dal 2026 in poi, in base ai tempi di elaborazione delle istanze da parte del Ministero. L’importo utilizzabile non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile ai fini IRAP, ed è esente da imposizione fiscale, rendendolo uno strumento fiscalmente molto vantaggioso.

Inoltre, è importante sottolineare che il credito non è rimborsabile né cedibile a terzi. Non può quindi essere monetizzato direttamente, ma solo compensato con tributi e contributi dovuti (IVA, INPS, IRAP, ecc.). Questo aspetto richiede una corretta pianificazione fiscale, in modo che l’impresa possa effettivamente beneficiare della compensazione nel momento in cui il credito sarà disponibile.

Infine, ai fini del controllo, sarà necessario conservare tutta la documentazione comprovante la spesa (fatture, pagamenti, certificazioni ambientali, descrizioni tecniche), da esibire in caso di eventuali verifiche da parte dell’Amministrazione finanziaria o degli organi preposti.

Requisiti tecnici e certificazioni

Affinché le spese sostenute nel 2024 siano ritenute ammissibili al credito d’imposta per imballaggi ecosostenibili, i prodotti acquistati devono rispettare una serie di requisiti tecnici ben precisi, così come stabiliti dal Decreto 2 aprile 2024, n. 132. Le imprese dovranno quindi prestare grande attenzione alla tipologia di materiali utilizzati e alla documentazione da allegare alla domanda.

In particolare, i prodotti e gli imballaggi devono essere:

  • Realizzati interamente o in parte con materiali di recupero, derivanti da processi di riciclo post consumo;

  • Oppure biodegradabili e compostabili, secondo le normative ambientali europee e nazionali;

  • Conformi a standard tecnici specifici, che ne garantiscano la sostenibilità ambientale.

Tra le certificazioni più comunemente accettate per dimostrare la conformità dei materiali, si segnalano:

  • UNI EN 13432: per prodotti biodegradabili e compostabili;

  • OK Compost / OK Compost HOME: rilasciate da enti accreditati come TÜV Austria;

  • Plastica seconda vita (PSV): marchio che attesta l’uso di plastiche riciclate;

  • Certificazioni ambientali di filiera o prodotto, rilasciate da organismi notificati o accreditati.

Tutti i documenti devono essere acquisiti al momento dell’acquisto e conservati con attenzione, perché rappresentano una condizione essenziale per l’ammissibilità del credito. L’assenza o l’incompletezza della documentazione potrebbe comportare la decadenza dall’agevolazione, anche in caso di spese effettivamente sostenute.

Inoltre, nel modulo di domanda andranno caricati digitalmente i certificati, allegati alle fatture e ai giustificativi di spesa, attraverso la piattaforma di Invitalia.

Vantaggi fiscali e ambientali

Il credito d’imposta del 36% per l’acquisto di imballaggi ecosostenibili rappresenta una misura dal forte impatto strategico per le imprese italiane. Non si tratta soltanto di un’opportunità per ridurre il carico fiscale, ma anche di una leva per potenziare la reputazione aziendale, migliorare i processi produttivi e accedere a nuove occasioni commerciali orientate alla sostenibilità.

1. Vantaggio fiscale diretto

Grazie a questa misura, le imprese possono abbattere in modo significativo le imposte da versare, sfruttando la compensazione tramite F24. Un’azienda che ha sostenuto nel 2024 spese per 50.000 euro in imballaggi biodegradabili, ad esempio, potrà ottenere un credito fino a 18.000 euro, da utilizzare per compensare tributi e contributi.

2. Risparmio strutturale e pianificazione fiscale

L’incentivo è cumulabile con altri benefici, se compatibili, e può essere integrato in un piano di risparmio fiscale aziendale, rendendo più sostenibile il costo di transizione verso soluzioni green.

3. Valore reputazionale

Sempre più clienti, stakeholder e fornitori valutano le imprese anche sulla base delle scelte ambientali. Investire in packaging riciclato o compostabile rafforza l’immagine aziendale e consente di accedere a bandi, appalti e partnership dove la sostenibilità è un requisito premiante.

4. Allineamento agli obiettivi ESG

Infine, adottare soluzioni di economia circolare e materiali riciclati aiuta le imprese a raggiungere gli obiettivi ESG (Environmental, Social, Governance), oggi sempre più centrali per accedere a finanziamenti agevolati, fondi europei e investitori.

Errori da evitare

La possibilità di ottenere fino a 20.000 euro annui di credito d’imposta per l’acquisto di imballaggi sostenibili è senza dubbio allettante, ma va gestita con attenzione. Molte imprese, nella fretta di accedere all’agevolazione, rischiano di commettere errori formali o sostanziali che possono comportare la non ammissibilità della domanda o addirittura la perdita del credito già riconosciuto. Ecco gli errori più comuni da evitare:

1. Spese fuori periodo

Uno degli errori più frequenti è includere nella domanda spese sostenute fuori dal periodo previsto, ovvero al di fuori del 2024. Solo gli acquisti effettuati tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024 sono validi.

2. Mancanza di certificazioni

L’assenza delle certificazioni tecniche ambientali (come UNI EN 13432, OK Compost, Plastic Seconda Vita) è causa immediata di rigetto. Anche la semplice mancanza di allegati digitali in fase di domanda può comportare l’esclusione.

3. Documentazione incompleta o non coerente

È essenziale che le fatture elettroniche, le schede prodotto e le dichiarazioni del fornitore siano coerenti tra loro e descrivano chiaramente la natura ecosostenibile del bene acquistato. Anche un errore di descrizione può sollevare dubbi e causare scarti.

4. Accesso non conforme alla piattaforma Invitalia

La domanda deve essere presentata solo tramite l’apposito sportello online, attivo dal 1° dicembre 2025. Invii fuori piattaforma, via PEC o cartacei, non saranno presi in considerazione.

Preparare con attenzione la domanda, magari con il supporto di un commercialista esperto in incentivi ambientali, è quindi fondamentale per non perdere un’ottima occasione di risparmio fiscale.

Conclusioni

Il tax credit per imballaggi ecosostenibili rappresenta una concreta opportunità per le imprese italiane di concorrere alla transizione ecologica, riducendo al contempo il peso fiscale sull’attività aziendale.

Con un credito d’imposta del 36% sulle spese sostenute nel 2024 per l’acquisto di materiali riciclati, biodegradabili e compostabili, le aziende hanno la possibilità di abbattere i costi, migliorare la propria immagine green sul mercato e rispettare le sempre più stringenti normative ambientali.

Tuttavia, per ottenere l’agevolazione è necessario muoversi per tempo e con precisione. Il portale per la presentazione delle domande sarà attivo dal 1° dicembre 2025 al 30 gennaio 2026. Occorre predisporre tutta la documentazione richiesta, incluse le certificazioni ambientali, le fatture elettroniche e le schede tecniche dei prodotti acquistati.

In questo contesto, il supporto di un commercialista esperto in fiscalità ambientale può fare la differenza: dalla verifica delle spese ammissibili alla compilazione corretta della domanda sulla piattaforma Invitalia, fino alla pianificazione del risparmio fiscale derivante dalla compensazione del credito.

Investire oggi in soluzioni ecosostenibili non è solo una scelta etica, ma anche una strategia di lungo periodo per rendere competitiva e responsabile la propria impresa. Non perdere questa occasione: preparati ora per non arrivare impreparato a dicembre.

Bandi MIMIT 2025: contributi per Marchi+, Brevetti+ e Disegni+ – Calendario, requisiti e istruzioni per la domanda

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Proteggere l’innovazione e il design può fare la differenza nel successo di un’impresa. Ma spesso, registrare un marchio, brevettare un’idea o tutelare un disegno industriale comporta costi elevati. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha confermato anche per il 2025 una serie di incentivi destinati alle PMI italiane che vogliono proteggere il proprio patrimonio immateriale.

Con il Decreto Direttoriale del 6 agosto 2025 e l’avviso ufficiale pubblicato il 30 settembre 2025, il MIMIT ha definito calendario, regole e fondi disponibili per i bandi Marchi+, Brevetti+ e Disegni+. L’obiettivo è sostenere le micro, piccole e medie imprese (MPMI) nell’acquisizione e valorizzazione dei titoli di proprietà industriale, facilitando così l’accesso al mercato e la competitività.

In questo articolo analizziamo nel dettaglio le date di apertura per la presentazione delle domande nel 2025, la ripartizione dei fondi stanziati, i requisiti di accesso per ciascuna misura, le spese ammissibili, i consigli pratici per ottenere il contributo senza errori.

Fondi disponibili e date ufficiali

Per l’annualità 2025 il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha messo a disposizione delle imprese italiane una dotazione finanziaria complessiva di 32 milioni di euro, destinata a sostenere progetti di valorizzazione della proprietà industriale. Le misure rientrano nella strategia nazionale per incentivare la tutela di innovazioni tecnologiche, disegni industriali e marchi attraverso strumenti concreti e accessibili alle PMI.

La ripartizione dei fondi è la seguente:

  • Brevetti+: 20 milioni di euro, destinati a sostenere l’industrializzazione e la valorizzazione economica dei brevetti

  • Disegni+: 10 milioni di euro, per l’acquisizione di servizi specialistici finalizzati alla messa in produzione e commercializzazione di disegni e modelli industriali

  • Marchi+: 2 milioni di euro, dedicati alla registrazione di marchi a livello comunitario e internazionale

Le tre misure saranno operative secondo il seguente calendario per la presentazione delle domande dal:

  • 20 novembre 2025 per la misura Brevetti+

  • 4 dicembre 2025 per la misura Marchi+

  • 18 dicembre 2025 per la misura Disegni+

Sarà possibile accedere alle domande esclusivamente in modalità telematica, attraverso le piattaforme dedicate. L’ordine cronologico di presentazione costituisce uno dei criteri di ammissibilità, motivo per cui è fondamentale prepararsi con largo anticipo per non perdere l’opportunità di accedere agli incentivi.

Cos’è il Bando Marchi+

Il Bando Marchi+ rappresenta uno degli strumenti più efficaci messi in campo dal MIMIT per sostenere le PMI italiane nella tutela e valorizzazione dei propri marchi sui mercati internazionali. Si tratta di una misura a sportello che eroga contributi a fondo perduto destinati a coprire parte delle spese sostenute per la registrazione di marchi all’estero, sia a livello europeo che mondiale.

L’obiettivo principale del bando è facilitare la competitività internazionale delle imprese italiane, accompagnandole nei processi di registrazione dei marchi presso gli organismi ufficiali, attraverso l’acquisto di servizi specialistici esterni.

Le agevolazioni previste si articolano in due linee di intervento:

  • Misura A – Contributi per la registrazione di marchi dell’Unione Europea presso EUIPO (European Union Intellectual Property Office). Il contributo copre le spese relative a consulenze specialistiche, assistenza legale, ricerche di anteriorità e traduzioni necessarie.

  • Misura B – Contributi per la registrazione di marchi internazionali presso l’OMPI/WIPO (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale), con copertura delle stesse tipologie di servizi esterni utili al deposito e alla tutela del marchio in ambito extra-UE.

Il tetto massimo del contributo varia in base alla tipologia della misura richiesta e alle spese ammissibili, ma il vantaggio concreto per le imprese è duplice: risparmiare sui costi e ridurre i tempi per l’avvio del processo di internazionalizzazione.

Cos’è il Bando Brevetti+

Il Bando Brevetti+ è una misura strategica pensata per accompagnare le micro, piccole e medie imprese italiane nella trasformazione delle proprie invenzioni brevettate in soluzioni pronte per il mercato. Con un finanziamento a fondo perduto, il bando sostiene le aziende nello sviluppo di una vera e propria strategia brevettuale, puntando a rafforzare redditività, produttività e competitività.

L’intervento è destinato a finanziare servizi specialistici connessi alla valorizzazione economica di un brevetto, come ad esempio:

  • progettazione e ingegnerizzazione del prodotto

  • studio di fattibilità economica

  • analisi di mercato

  • tutela legale del brevetto

  • trasferimento tecnologico

  • industrializzazione del prototipo

Il contributo è concesso in conto capitale e si rivolge esclusivamente a brevetti già concessi o con almeno un rapporto di ricerca positivo, rilasciato da uno degli uffici di proprietà industriale competenti (UIBM, EPO o WIPO).

La misura si configura quindi come un potente strumento di leva per la crescita, in particolare per quelle imprese che operano in settori tecnologicamente avanzati o che intendono trasformare un’invenzione in un vantaggio competitivo tangibile.

Il Bando Brevetti+ 2025 aprirà ufficialmente il 20 novembre 2025 e i fondi disponibili – pari a 20 milioni di euro – verranno assegnati secondo l’ordine cronologico di presentazione, fino a esaurimento delle risorse.

Cos’è il Bando Disegni+

Il Bando Disegni+ è lo strumento promosso dal MIMIT per incentivare la valorizzazione economica di disegni e modelli industriali, premiando la creatività delle micro, piccole e medie imprese italiane. L’obiettivo principale è supportare le aziende nella trasformazione del design in un asset strategico, capace di generare valore, attrattività sul mercato e vantaggi competitivi.

L’agevolazione è concessa sotto forma di contributo a fondo perduto (conto capitale) per coprire le spese relative all’acquisto di servizi specialistici che facilitino l’industrializzazione e la commercializzazione dei disegni registrati.

Tra i principali servizi ammissibili rientrano:

  • realizzazione di prototipi

  • costruzione di stampi

  • consulenze tecniche e legali

  • supporto alla produzione e alla messa in commercio

  • attività di promozione e comunicazione del prodotto

Il bando è riservato a imprese titolari di disegni/modelli già registrati presso l’UIBM, l’EUIPO o l’OMPI, e le agevolazioni si riferiscono a progetti che prevedano un impatto diretto sul mercato, mediante l’utilizzo concreto e industriale del design.

Per il 2025, la misura dispone di una dotazione di 10 milioni di euro. Le domande potranno essere presentate a partire dal 18 dicembre 2025, secondo una procedura a sportello, quindi con accesso in base all’ordine cronologico di arrivo fino all’esaurimento delle risorse.

Come presentare domanda 

Per accedere ai contributi previsti dai bandi Marchi+, Brevetti+ e Disegni+ 2025, le micro, piccole e medie imprese devono seguire una procedura telematica strutturata e rispettare precisi criteri di ammissibilità definiti dal MIMIT. Il processo è a sportello, quindi la rapidità nel presentare la domanda può fare la differenza.

Requisiti generali per tutte e tre le misure

Le imprese devono:

  • essere PMI con sede legale e operativa in Italia

  • essere regolarmente iscritte al Registro delle Imprese

  • non trovarsi in stato di liquidazione o fallimento

  • essere in regola con gli obblighi contributivi (DURC)

  • non avere procedure pendenti per la restituzione di aiuti ritenuti illegittimi

Ogni misura ha poi requisiti specifici legati alla tipologia del titolo di proprietà industriale (brevetto, marchio o disegno), alla data di registrazione e alle attività progettuali già avviate.

Modalità di presentazione

La domanda deve essere compilata e inviata esclusivamente online, attraverso il portale ufficiale dedicato a ciascuna misura (link attivi il giorno di apertura dei bandi). È necessario essere in possesso di:

  • SPID o CNS per l’autenticazione

  • una PEC attiva

  • una firma digitale valida

Al momento della domanda, l’impresa deve allegare la documentazione tecnica e amministrativa prevista dal bando, tra cui:

  • relazione descrittiva del progetto

  • preventivi di spesa

  • documenti di identità del legale rappresentante

  • certificazioni o visure camerali

Il consiglio è di iniziare la preparazione della domanda con largo anticipo, considerando che l’invio è spesso soggetto a click day e che i fondi si esauriscono in tempi rapidi.

Consigli pratici e errori da evitare

Partecipare ai bandi Marchi+, Brevetti+ e Disegni+ rappresenta un’opportunità concreta per ricevere agevolazioni a fondo perduto su progetti di tutela della proprietà industriale. Tuttavia, le risorse sono limitate e vengono assegnate secondo l’ordine cronologico di arrivo delle domande. Ecco alcuni consigli pratici per aumentare significativamente le possibilità di ottenere il contributo:

1. Prepara la documentazione in anticipo

Molti candidati si attivano solo pochi giorni prima dell’apertura del bando, ma è un errore. La documentazione richiesta (relazione tecnica, preventivi, visure, attestazioni, ecc.) deve essere pronta prima del click day. Una buona organizzazione è la chiave.

2. Collabora con un consulente specializzato

Affidarsi a un commercialista o consulente in proprietà industriale può fare la differenza. I bandi sono molto tecnici e un errore nella domanda può portare all’inammissibilità. Un professionista può anche aiutarti a scrivere la relazione descrittiva in modo convincente e completo.

3. Verifica i requisiti del progetto

Non tutti i progetti sono idonei. Ad esempio, per Brevetti+ serve un brevetto già concesso o con ricerca brevettuale positiva. Per Marchi+ e Disegni+ la registrazione deve già essere avvenuta prima della domanda. Controlla bene i tempi e le condizioni prima di iniziare.

4. Non aspettare l’ultimo minuto per l’invio

Il portale può rallentare o bloccarsi nei primi minuti del giorno di apertura. È consigliabile effettuare prove tecniche nei giorni precedenti e inviare la domanda appena possibile dopo l’apertura del bando.

5. Prevedi un piano economico chiaro

Progetti vaghi o poco strutturati hanno meno probabilità di essere ammessi. Inserisci costi realistici, coerenti con il progetto, e preventivi dettagliati da fornitori specializzati.

Seguendo questi accorgimenti, aumenterai notevolmente le possibilità di ottenere il finanziamento e trasformare il tuo titolo di proprietà industriale in valore reale per l’impresa.

Vantaggi fiscali, economici e strategici

Registrare un marchio, un brevetto o un disegno industriale non è solo una questione formale. È un investimento strategico che può generare ricadute economiche tangibili e consolidare la posizione dell’impresa nel proprio mercato di riferimento. I bandi Marchi+, Brevetti+ e Disegni+ non fanno altro che facilitare questo percorso, riducendo drasticamente i costi di ingresso per la protezione della proprietà industriale.

1. Vantaggi economici

L’agevolazione copre fino all’80-90% delle spese ammissibili in alcune misure, permettendo alle PMI di acquisire servizi di alto livello a un costo molto ridotto. Si tratta di consulenze che normalmente sarebbero fuori portata per molte piccole imprese: studi legali specializzati, analisi di mercato, prototipazione avanzata, registrazioni internazionali.

2. Protezione legale e competitiva

Un marchio registrato o un brevetto valido offrono tutela giuridica esclusiva contro la concorrenza sleale e la contraffazione. Questo rafforza il posizionamento del brand e consente di agire legalmente contro chi copia o sfrutta indebitamente innovazioni e segni distintivi.

3. Valorizzazione dell’impresa

Avere titoli registrati (soprattutto brevetti) aumenta il valore dell’azienda anche in ottica di valutazioni aziendali, fusioni, acquisizioni o ingresso di investitori. Inoltre, permette di accedere ad altri incentivi fiscali come il Patent Box, che consente la detassazione parziale dei redditi derivanti da beni immateriali.

4. Accesso ai mercati esteri

Le misure internazionali dei bandi Marchi+ e Disegni+ sono pensate per favorire l’export e l’internazionalizzazione, facilitando l’ingresso nei mercati esteri con un brand protetto e riconosciuto a livello globale.

In sintesi, la proprietà industriale non è solo un costo, ma un asset strategico da valorizzare. I bandi MIMIT aiutano concretamente a farlo.

Riferimenti normativi e documenti ufficiali

Per partecipare con successo ai bandi Marchi+, Brevetti+ e Disegni+, è essenziale non solo rispettare le tempistiche e i requisiti, ma anche consultare attentamente i documenti ufficiali pubblicati dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) e da Unioncamere, soggetto gestore delle misure.

I principali atti di riferimento sono:

  • Decreto Direttoriale MIMIT del 6 agosto 2025: stabilisce le disposizioni generali per l’attivazione delle misure per l’annualità 2025, definendo obiettivi, criteri, modalità operative e risorse disponibili.

  • Avviso MIMIT del 30 settembre 2025: pubblicato sul sito ufficiale del Ministero, rende operative le misure e fissa in maniera definitiva il calendario per la presentazione delle domande, misura per misura.

  • Regolamenti attuativi delle singole misure (Marchi+, Brevetti+, Disegni+): disponibili sui siti ufficiali del MIMIT e di Unioncamere, contengono tutte le informazioni tecniche, compresi:

    • requisiti specifici

    • documentazione obbligatoria

    • spese ammissibili

    • modalità di rendicontazione

Dove trovare i documenti:

Tutti i documenti sono scaricabili dai seguenti siti istituzionali:

È inoltre consigliabile monitorare frequentemente i portali ufficiali nelle settimane precedenti l’apertura degli sportelli, in quanto potrebbero essere pubblicate FAQ, chiarimenti o aggiornamenti che incidono sulla compilazione della domanda.

Essere aggiornati e basarsi sempre sulle fonti normative primarie consente di evitare errori formali che possono compromettere l’ammissibilità della richiesta.

Conclusioni

Nel contesto economico attuale, dove innovazione e identità di marca sono fattori sempre più determinanti per la competitività, investire nella proprietà industriale non è più una scelta, ma una necessità. I bandi Marchi+, Brevetti+ e Disegni+ 2025 offrono alle PMI italiane l’occasione concreta di ottenere contributi a fondo perduto per proteggere le proprie invenzioni, il proprio design e la propria identità aziendale a livello nazionale e internazionale.

Con una dotazione finanziaria complessiva di 32 milioni di euro e una struttura ben collaudata, queste misure permettono di abbattere i costi di registrazione, acquisire servizi specialistici e accelerare il processo di valorizzazione economica dei propri asset immateriali.

Agire tempestivamente è fondamentale: le domande saranno accolte in ordine cronologico, a partire da:

  • 20 novembre 2025 per Brevetti+

  • 4 dicembre 2025 per Marchi+

  • 18 dicembre 2025 per Disegni+

Il nostro studio è a disposizione per assisterti in ogni fase del processo: dall’analisi preliminare del progetto, alla preparazione della documentazione, fino all’invio della domanda.

Non lasciare che una procedura complessa ti faccia perdere un’opportunità preziosa.

Cedolare secca e locazioni foresteria: la Cassazione chiede alle Sezioni Unite chiarezza sull’applicazione fiscale

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La cedolare secca è uno degli strumenti più utilizzati dai proprietari immobiliari per ridurre il carico fiscale derivante dagli affitti. Tuttavia, quando si parla di locazioni a uso foresteria, cioè affitti destinati a ospitare dipendenti di aziende per motivi lavorativi, la situazione si complica, soprattutto se il conduttore (l’affittuario) è una società. In questo contesto si è creato un vuoto interpretativo che ha generato incertezza tra contribuenti, professionisti e giudici tributari.

Con l’Ordinanza n. 30016 del 28 ottobre 2021, la sezione tributaria della Corte di Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, richiedendo un intervento chiarificatore per dirimere una contrapposizione giurisprudenziale: è possibile applicare la cedolare secca in caso di contratto di locazione ad uso foresteria stipulato con una società?

Questa ordinanza interlocutoria ha quindi un’importanza cruciale: potrebbe riscrivere la prassi su migliaia di contratti d’affitto e influire sulle scelte fiscali sia dei proprietari che degli affittuari.

Nell’articolo analizzeremo il contesto normativo, la giurisprudenza contrastante e le implicazioni pratiche per i contribuenti. Scopriremo anche quali strategie fiscali sono ancora legittime per risparmiare in modo legale e come orientarsi in attesa del pronunciamento delle Sezioni Unite.

Il caso concreto 

La questione oggetto dell’Ordinanza n. 30016/2021 trae origine da una vicenda concreta che coinvolgeva una persona fisica proprietaria di immobili. Quest’ultima aveva stipulato contratti di locazione con una università privata, destinando gli immobili ad abitazione e alloggio temporaneo per dipendenti, collaboratori o soggetti legati all’università da rapporti professionali. Si trattava, quindi, di contratti a uso foresteria, una tipologia ibrida che si colloca tra l’abitativo e il commerciale.

L’Agenzia delle Entrate, attenendosi all’orientamento restrittivo consolidato, ha negato l’applicabilità della cedolare secca. Secondo tale visione, la tassa piatta del 21% (o 10% in alcuni casi) non è ammessa né quando il locatore agisce nell’ambito di attività d’impresa, né quando il conduttore è un soggetto imprenditoriale o professionale.

Nel primo grado di giudizio la contribuente aveva ottenuto ragione, ma l’esito si è ribaltato nel secondo grado, dove i giudici hanno accolto la tesi dell’Amministrazione finanziaria. La contribuente ha così deciso di ricorrere in Cassazione, dove la sezione tributaria ha ritenuto necessario coinvolgere le Sezioni Unite, vista la forte divergenza interpretativa.

La Cassazione ha ripercorso la normativa di riferimento, ovvero l’articolo 3 del D.Lgs. 23/2011, che prevede la cedolare secca come regime facoltativo e sostitutivo dell’IRPEF, delle addizionali e delle imposte di registro e bollo, applicabile solo se:

  1. Il locatore è una persona fisica che non agisce come impresa;

  2. Il contratto ha a oggetto una locazione abitativa;

  3. L’uso non sia collegato a un’attività d’impresa o professionale, né da parte del locatore né del conduttore.

Cedolare secca e uso foresteria

Nell’Ordinanza interlocutoria n. 30016 del 28 ottobre 2021, la sezione tributaria della Corte di Cassazione non si è limitata a ribadire i presupposti normativi per l’accesso alla cedolare secca, ma ha introdotto un elemento cruciale di riflessione: è davvero possibile considerare “abitativa” una locazione a uso foresteria?

Secondo i giudici, la risposta non è affatto scontata. La locazione abitativa, così come intesa dal legislatore, presuppone che il conduttore utilizzi direttamente l’immobile come propria residenza o domicilio temporaneo. Al contrario, nel caso di locazioni foresteria, l’utilizzo del bene non è personale, ma funzionale all’attività del conduttore, che può essere una società o un ente. L’immobile viene infatti messo a disposizione di terzi soggetti (dipendenti, collaboratori, ospiti) per motivi organizzativi, lavorativi o formativi.

La Cassazione, con un approccio sistematico, ha evidenziato come questa fattispecie non risponda pienamente alla ratio del regime agevolativo della cedolare secca, che – secondo il legislatore – nasce con l’obiettivo di contrastare l’evasione fiscale nel mercato delle locazioni abitative, favorendo l’emersione del sommerso e incentivando la regolarizzazione dei contratti tra privati.

A rafforzare questa tesi interviene anche il comma 6-bis dell’articolo 3 del D.Lgs. 23/2011, che consente la cedolare secca solo in specifici casi eccezionali, come nel caso di immobili locati a cooperative edilizie o enti non commerciali, purché sublocati a studenti universitari o messi a disposizione dei comuni, e sempre senza aggiornamento del canone. La norma appare quindi pensata per esigenze sociali e abitative, non per finalità produttive o aziendali.

Contrasto giurisprudenziale

Uno degli aspetti più controversi emersi nel tempo riguarda il ruolo del conduttore, ovvero del soggetto che prende in affitto l’immobile. La giurisprudenza recente aveva infatti ammesso la possibilità che il contratto di locazione fosse stipulato nell’ambito dell’attività professionale del conduttore, senza per questo precludere l’accesso alla cedolare secca da parte del locatore.

Secondo tale orientamento, ciò che conta è la destinazione abitativa dell’immobile e il fatto che il locatore sia una persona fisica non imprenditore. Dunque, anche se il conduttore è un professionista o un soggetto imprenditoriale, l’agevolazione fiscale potrebbe comunque trovare applicazione, a patto che la destinazione dell’immobile resti abitativa e non commerciale.

L’Ordinanza n. 30016/2021, tuttavia, mette in discussione questa impostazione, mostrando un evidente cambio di rotta. La Cassazione evidenzia come la locazione ad uso foresteria, quando stipulata con una società, introduca elementi che si allontanano dallo spirito originario della cedolare secca. Il conduttore, infatti, non utilizza direttamente l’immobile, bensì lo concede a terzi (come dipendenti o collaboratori), in un’ottica prettamente aziendale o funzionale.

Proprio questo elemento, l’assenza di un utilizzo diretto e personale, rappresenta, secondo i giudici di legittimità, un ostacolo all’applicazione del regime fiscale agevolato. La Corte mette quindi in evidenza un conflitto interpretativo rilevante, che incide direttamente sulla certezza del diritto per migliaia di proprietari immobiliari.

Alla luce di questa incertezza normativa e giurisprudenziale, la Cassazione ha ritenuto indispensabile l’intervento delle Sezioni Unite, affinché venga stabilito un principio univoco e chiarificatore.

Implicazioni fiscali

In attesa del pronunciamento delle Sezioni Unite della Cassazione, i proprietari di immobili che hanno scelto o stanno valutando la cedolare secca su contratti ad uso foresteria si trovano in una posizione delicata. Il rischio è di applicare un regime fiscale non corretto, con conseguenze economiche anche rilevanti: recuperi d’imposta, sanzioni e interessi.

Chi ha già optato per la cedolare in presenza di un contratto con una società, anche a fronte di un utilizzo abitativo (ma non personale) dell’immobile, potrebbe essere esposto a contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Il caso illustrato nell’ordinanza mostra chiaramente come l’Agenzia tenda ad assumere una posizione rigorosa, rifiutando l’applicazione del regime agevolato non solo quando il locatore agisce come impresa, ma anche quando il conduttore è un soggetto imprenditoriale.

Al tempo stesso, non mancano orientamenti giurisprudenziali più aperti, che hanno avallato la possibilità di applicare la cedolare secca anche in contratti dove il conduttore è un professionista o una società, purché la destinazione dell’immobile resti abitativa. Questo scenario di incertezza spinge molti contribuenti a cercare tutela attraverso il contenzioso, oppure a rinunciare preventivamente al regime agevolato per evitare accertamenti.

In ottica prudenziale, fino a quando non verrà sciolto il nodo interpretativo, può essere utile valutare:

  • La stipula di contratti chiari, che definiscano l’uso specifico dell’immobile;

  • Il ricorso al regime IRPEF ordinario, almeno temporaneamente, in caso di dubbi;

  • Il parere di un consulente fiscale esperto, per valutare caso per caso la strategia migliore.

L’intervento delle Sezioni Unite sarà determinante per restituire certezza ai proprietari e ai professionisti del settore immobiliare, aprendo (o chiudendo) definitivamente la strada alla cedolare secca per le locazioni foresteria.

Il principio di capacità contributiva

Uno degli argomenti chiave sollevati dalla Cassazione nell’Ordinanza n. 30016/2021 riguarda la ratio legis della cedolare secca, collegata al principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 Cost.). L’introduzione di un regime fiscale agevolato come la cedolare secca – spiega la Corte – si giustifica solo se sussiste un fondamento oggettivo e coerente con i principi generali del sistema tributario.

La cedolare secca, infatti, nasce con due obiettivi principali:

  1. Contrastare l’evasione fiscale nel settore delle locazioni abitative;

  2. Semplificare la tassazione per i piccoli proprietari privati che mettono a reddito i propri immobili, incentivando la registrazione regolare dei contratti.

In questa prospettiva, secondo la Corte, il regime sostitutivo ha senso solo se applicato in contesti in cui la locazione risponde a reali esigenze abitative. Quando l’immobile viene locato a una società per uso foresteria – quindi per essere messo a disposizione di dipendenti, collaboratori o ospiti in modo strumentale all’attività produttiva – viene meno la finalità sociale che giustifica la tassazione ridotta.

Il rischio è quindi quello di ampliare eccessivamente il perimetro applicativo della cedolare secca, snaturandone la funzione e generando una distorsione del principio di equità fiscale. In tal senso, la Cassazione invita a una lettura restrittiva, proprio per evitare un utilizzo strumentale della norma da parte di soggetti che, pur non esercitando direttamente un’attività imprenditoriale come locatori, stipulano contratti che rientrano nel circuito economico-produttivo.

Questa impostazione potrebbe portare a una stretta interpretativa definitiva, in cui la cedolare secca verrebbe riservata ai soli contratti in cui l’utilizzo dell’immobile sia diretto, personale e destinato ad abitazione in senso stretto.

L’intervento delle Sezioni Unite

Il rinvio operato dalla sezione tributaria della Cassazione alle Sezioni Unite rappresenta un passaggio di enorme rilievo per il diritto tributario. Quando la Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria, invoca l’intervento delle Sezioni Unite, significa che il contrasto giurisprudenziale è particolarmente rilevante e produce effetti diffusi e sistemici. Questo è certamente il caso delle locazioni ad uso foresteria e della loro compatibilità con il regime della cedolare secca.

L’auspicio è che l’intervento delle Sezioni Unite possa finalmente uniformare l’interpretazione normativa, mettendo fine a una pluralità di orientamenti che, negli ultimi anni, ha generato incertezza operativa per i contribuenti. Alcune sentenze, infatti, hanno ammesso la cedolare secca anche in presenza di conduttori professionali o societari, mentre altre – più restrittive – l’hanno negata, richiamando il carattere personale dell’uso abitativo richiesto dalla norma.

Se le Sezioni Unite dovessero accreditare l’interpretazione restrittiva, si consoliderebbe la prassi dell’Agenzia delle Entrate, che nega l’agevolazione in tutti i casi in cui il conduttore è una società, anche se l’immobile viene effettivamente usato come abitazione da terzi. In questo scenario, molti contratti stipulati negli ultimi anni con applicazione della cedolare secca potrebbero essere oggetto di accertamento e rettifica, con effetti anche retroattivi.

Al contrario, un’interpretazione più ampia potrebbe aprire la strada a nuove opportunità per i locatori privati, offrendo maggiore flessibilità fiscale anche in contesti professionali o aziendali, purché sia rispettata la destinazione abitativa dell’immobile.

Consigli pratici per i locatori

In questo contesto incerto, in cui la compatibilità della cedolare secca con i contratti ad uso foresteria è ancora in fase di valutazione da parte delle Sezioni Unite, i proprietari di immobili devono muoversi con attenzione per evitare rischi fiscali futuri. Una pianificazione prudente e strategica può fare la differenza tra una gestione efficiente del patrimonio e l’esposizione a contestazioni.

Il primo consiglio utile è quello di valutare attentamente la natura del conduttore. Se si tratta di una società o di un soggetto che utilizzerà l’immobile per finalità legate alla propria attività produttiva (come ospitalità di dipendenti o collaboratori), è opportuno considerare la possibilità che l’Agenzia delle Entrate contesti l’applicazione della cedolare secca.

In questi casi, si possono seguire due approcci principali:

  1. Applicare il regime IRPEF ordinario per evitare possibili rettifiche future, anche se più oneroso nel breve termine;

  2. Stipulare contratti con clausole dettagliate, che precisino chiaramente la destinazione esclusivamente abitativa dell’immobile, documentando l’effettivo uso da parte di persone fisiche, pur nell’ambito di contratti con soggetti giuridici.

In ogni caso, è consigliabile richiedere un parere fiscale personalizzato e, se necessario, valutare il ricorso all’interpello preventivo presso l’Agenzia delle Entrate. Questo strumento può offrire un grado maggiore di certezza, anche se non elimina completamente il rischio di cambiamento interpretativo a seguito della sentenza delle Sezioni Unite.

Infine, è importante monitorare costantemente gli sviluppi giurisprudenziali e normativi, poiché la sentenza della Corte potrebbe aprire (o chiudere) definitivamente una strada fiscale che, fino ad oggi, è rimasta in una zona grigia.

Conclusione

La questione dell’applicabilità della cedolare secca alle locazioni ad uso foresteria rappresenta oggi uno dei nodi interpretativi più rilevanti nel panorama fiscale italiano. L’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione è atteso con grande attenzione non solo dai contribuenti, ma anche da professionisti, giudici tributari e dall’Agenzia delle Entrate stessa.

L’esito di questa pronuncia avrà impatti diretti su:

  • La pianificazione fiscale dei proprietari immobiliari;

  • Le strategie contrattuali da adottare in presenza di conduttori societari;

  • La coerenza del sistema fiscale con i principi costituzionali, in particolare quello di capacità contributiva.

In un contesto in cui la lotta all’evasione si accompagna all’esigenza di semplificazione e certezza del diritto, è fondamentale evitare applicazioni distorte o troppo estensive di regimi agevolati. Allo stesso tempo, però, è necessario evitare che interpretazioni eccessivamente restrittive penalizzino chi, in buona fede, ha utilizzato strumenti fiscali legittimi per gestire in modo efficiente il proprio patrimonio immobiliare.

Fino al pronunciamento definitivo, resta centrale il ruolo dei consulenti fiscali nel guidare i contribuenti attraverso scelte consapevoli, bilanciando vantaggi fiscali e rischi interpretativi. Solo con una linea giurisprudenziale chiara e stabile si potrà garantire un’effettiva equità fiscale e una gestione corretta e trasparente del mercato delle locazioni.

Regime degli impatriati e bonus differiti: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate sulla tassazione dopo l’espatrio

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Negli ultimi anni il Regime degli Impatriati è diventato uno degli strumenti più utilizzati per attrarre capitale umano in Italia, offrendo una consistente riduzione della base imponibile per i redditi da lavoro. Tuttavia, un recente chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate – la Risposta n. 274/2025 – ha evidenziato un importante limite applicativo del regime: i compensi differiti, come bonus pluriennali o piani di incentivazione azionaria (LTIP, Deferred Bonus), non possono godere dell’agevolazione fiscale se percepiti dopo il trasferimento all’estero, anche se riferiti a prestazioni lavorative svolte in Italia durante la permanenza nel regime agevolato.

Questa precisazione ha suscitato notevole interesse nel mondo delle imprese e tra i professionisti del settore fiscale, in quanto impatta direttamente sulla pianificazione fiscale internazionale dei lavoratori impatriati, soprattutto quelli con carriere internazionali e mobilità elevata. Inoltre, mette in discussione la sostenibilità di alcuni meccanismi retributivi adottati dalle aziende per attrarre o trattenere talenti in Italia.

Nell’articolo che segue analizzeremo nel dettaglio cosa prevede la norma, cosa ha chiarito l’Agenzia, i rischi fiscali per i lavoratori e le implicazioni per le aziende. Vedremo anche come pianificare correttamente l’espatrio per evitare spiacevoli sorprese fiscali.

Incentivi maturati in Italia ma percepiti all’estero

La questione oggetto dell’interpello riguarda una situazione sempre più frequente tra i lavoratori altamente qualificati che si spostano tra diversi Paesi: cosa accade ai bonus differiti maturati in Italia ma percepiti dopo il trasferimento all’estero? La società italiana coinvolta nel caso aveva assunto, nel 2021, tre dipendenti provenienti dall’estero, i quali avevano acquisito la residenza fiscale italiana e usufruito del regime impatriati per il triennio 2021–2024.

Durante la loro permanenza in Italia, erano stati loro assegnati:

  • un Long Term Incentive Plan (LTIP) nel 2022, con maturazione prevista nel 2025;

  • un Deferred Bonus Plan nel 2023, con erogazione prevista anch’essa nel 2025.

Nel corso del 2024, però, i lavoratori avevano risolto il rapporto di lavoro con l’azienda e trasferito la residenza fiscale in Grecia. A questo punto, l’azienda, in qualità di sostituto d’imposta, ha interpellato l’Agenzia delle Entrate per sapere se questi compensi differiti potessero ancora beneficiare del regime agevolato previsto dall’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, dato che erano collegati a prestazioni lavorative effettuate in Italia mentre i lavoratori risultavano fiscalmente residenti.

L’azienda ha sostenuto che, sulla base del principio di territorialità del reddito (art. 3 e 23 del TUIR) e della Convenzione Italia-Grecia contro le doppie imposizioni, il reddito doveva ritenersi “prodotto in Italia” e quindi agevolabile. Un punto, questo, apparentemente logico ma che ha portato a una risposta sorprendente da parte dell’Agenzia.

La posizione dell’ADE

Con la Risposta n. 274 del 2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito in modo definitivo un punto fondamentale: il regime impatriati non si applica ai redditi percepiti dopo la perdita della residenza fiscale italiana, anche se riferiti ad attività lavorative svolte in Italia durante il periodo di validità del regime.

L’Amministrazione finanziaria ha infatti ribadito che, per fruire dell’agevolazione prevista dall’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, è necessario che il lavoratore sia fiscalmente residente in Italia al momento della percezione del reddito. In sostanza, il momento in cui il reddito “entra” nella disponibilità del contribuente è determinante, non importa se il bonus o l’incentivo si riferisce a prestazioni effettuate quando il lavoratore era residente.

La motivazione si basa sulla natura stessa del regime impatriati, che rappresenta un regime agevolativo personale connesso allo status di residente fiscale. Pertanto, se al momento dell’erogazione del bonus il contribuente risiede all’estero, viene meno il presupposto soggettivo per applicare l’agevolazione.

Viene quindi scardinata la tesi dell’istante che faceva leva sulla territorialità del reddito: non è sufficiente che il reddito sia “prodotto” in Italia, ma è imprescindibile che il beneficiario sia ancora fiscalmente residente nel nostro Paese. In altre parole, il criterio temporale della percezione effettiva prevale su quello della maturazione del diritto economico.

Questa interpretazione, seppur rigorosa, chiarisce un aspetto spesso sottovalutato nella pianificazione degli espatri e nella gestione dei piani di incentivazione differita.

I chiarimenti dell’ADE

La Risposta n. 274/2025 conferma un principio già anticipato in altre pronunce, ma oggi reso ancor più rilevante: il regime impatriati si applica solo ai redditi percepiti durante il periodo di fruizione dell’agevolazione. L’Agenzia delle Entrate ha ribadito che, anche se i compensi differiti si riferiscono ad attività lavorative svolte in Italia, non è possibile estendere l’agevolazione a redditi percepiti dopo il trasferimento della residenza fiscale all’estero.

In base all’art. 51 del TUIR, per i redditi di lavoro dipendente vige il principio di cassa: ciò significa che il momento fiscalmente rilevante è quello della percezione effettiva, non della maturazione del diritto. Pertanto, se un bonus matura nel 2025 ma viene corrisposto quando il lavoratore ha già trasferito la residenza in Grecia, non potrà beneficiare del regime agevolato, anche se riferito ad attività svolta negli anni precedenti.

L’Agenzia richiama inoltre il paragrafo 7.9 della Circolare 33/E del 28 dicembre 2020, che già chiariva come i premi percepiti dopo la fuoriuscita dal regime impatriati siano tassati secondo le regole ordinarie. Non è prevista alcuna “proporzione” o retroattività dell’agevolazione.

Infine, viene confermato che, in base all’art. 15 della Convenzione Italia-Grecia contro le doppie imposizioni (Legge 445/1989), i redditi da lavoro dipendente restano imponibili anche in Italia se prodotti nel nostro territorio. Tuttavia, sarà poi la Grecia, in quanto nuovo Stato di residenza, a dover evitare la doppia imposizione, applicando i criteri convenzionali.

Implicazioni pratiche per lavoratori e aziende

Il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate non è solo una presa di posizione tecnica: ha forti ripercussioni pratiche per tutti i soggetti coinvolti. In primo luogo, i lavoratori impatriati devono essere consapevoli che, anche se hanno maturato bonus, premi o stock option durante la loro permanenza in Italia, non potranno usufruire delle agevolazioni fiscali se decidono di trasferire la residenza fiscale prima dell’erogazione effettiva di tali compensi. Questo comporta un aumento considerevole del carico fiscale, dovendo applicare le aliquote ordinarie IRPEF, che possono arrivare fino al 43% oltre alle addizionali.

Dal lato delle aziende, il rischio è duplice: da un lato devono gestire correttamente gli obblighi da sostituto d’imposta, individuando con precisione lo status fiscale del dipendente al momento dell’erogazione del bonus; dall’altro lato, devono rivalutare la struttura dei piani di incentivazione differita, spesso progettati senza considerare queste criticità. In particolare, nei contratti con professionisti internazionali e nei settori ad alta mobilità (tech, finanza, consulenza), sarà fondamentale inserire clausole contrattuali che regolino l’effettiva fruizione degli incentivi e le conseguenze fiscali di un eventuale espatrio.

Infine, dal punto di vista della pianificazione fiscale, diventa essenziale coordinare attentamente i tempi: una fuoriuscita anticipata dall’Italia, anche solo di pochi mesi, può generare una perdita significativa del vantaggio fiscale. Per questo motivo, una consulenza fiscale preventiva può fare la differenza tra un risparmio legittimo e un aggravio imprevisto.

Strategie per evitare la doppia imposizione

Il rischio di doppia imposizione fiscale, quando si percepiscono emolumenti differiti dopo un trasferimento all’estero, è concreto e deve essere gestito con attenzione, sia dai lavoratori che dalle imprese. Sebbene l’Agenzia delle Entrate abbia confermato che tali redditi restano imponibili in Italia, la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Grecia (art. 15) – e più in generale le convenzioni OCSE – prevedono che sia lo Stato di residenza del contribuente al momento della percezione a dover eliminare l’eventuale doppia tassazione.

Questo significa che il lavoratore, residente in Grecia nel momento in cui riceve il bonus, dovrà dichiarare il reddito anche in Grecia e potrà, in teoria, ottenere un credito d’imposta per le imposte già versate in Italia. Tuttavia, l’effettiva neutralizzazione della doppia imposizione dipende dalle regole greche e dalla loro interpretazione dell’accordo bilaterale. È quindi importante che il lavoratore si affidi a un consulente fiscale internazionale per garantire che i due sistemi fiscali siano coordinati correttamente.

Un’altra strategia efficace può consistere nel posticipare l’espatrio fino a quando tutti i compensi legati al periodo italiano siano stati effettivamente erogati. In alternativa, le aziende possono valutare la rimodulazione dei piani di incentivazione, legando la data di pagamento alla permanenza fiscale del lavoratore in Italia.

Infine, per evitare rischi di contestazione e rettifiche fiscali, è consigliabile che le imprese mantengano documentazione chiara su ogni piano di incentivazione e sui criteri di maturazione, anche in previsione di eventuali controlli.

Principio di territorialità e regime impatriati

Il caso analizzato nella Risposta n. 274/2025 mette in luce un aspetto critico del sistema fiscale italiano: il disallineamento tra il principio di territorialità del reddito e le condizioni soggettive del regime impatriati. Da un lato, infatti, l’articolo 23, comma 1, lettera c) del TUIR afferma chiaramente che i redditi da lavoro dipendente si considerano prodotti in Italia se l’attività lavorativa è svolta nel territorio nazionale. Dall’altro, però, il regime impatriati subordina l’agevolazione alla residenza fiscale del contribuente al momento della percezione del reddito (principio di cassa ex art. 51 TUIR).

Questo crea una frizione normativa: il reddito può essere fiscalmente “italiano” (perché prodotto in Italia), ma non beneficiare del regime agevolato se il contribuente, al momento del pagamento, non è più residente. Ciò risulta particolarmente penalizzante per quei lavoratori che hanno effettivamente svolto la propria attività nel Paese, contribuendo all’economia nazionale, ma che vedono negata l’agevolazione a causa di un elemento formale come la residenza fiscale nel periodo di incasso.

Questa incoerenza può generare situazioni paradossali, in cui due lavoratori che hanno svolto lo stesso tipo di attività in Italia e maturato lo stesso incentivo si trovano a subire trattamenti fiscali opposti, solo per una differenza nei tempi di erogazione o nella data di espatrio. In assenza di una modifica normativa, il rischio è che queste distorsioni disincentivino i professionisti stranieri a stabilirsi in Italia o a partecipare a piani di incentivazione complessi.

Contrattazione aziendale e gestione del rischio fiscale

Alla luce dei chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, è evidente che le aziende devono assumere un ruolo più attivo nella strutturazione dei contratti e dei piani di incentivazione differita, soprattutto nei confronti dei lavoratori che rientrano nel regime impatriati. Le imprese che offrono bonus pluriennali, piani LTIP o stock option devono tenere conto non solo dei criteri di maturazione, ma anche della tempistica di erogazione in relazione alla residenza fiscale del beneficiario.

Un primo strumento utile è la contrattazione individuale o collettiva, che può prevedere clausole esplicite sulle condizioni per l’erogazione dei bonus, legandole, ad esempio, alla permanenza del dipendente in Italia fino a una certa data o alla possibilità di anticipare l’erogazione nei casi in cui si preveda un trasferimento all’estero. Questo tipo di flessibilità contrattuale può aiutare a mantenere il beneficio fiscale e a evitare che il lavoratore venga penalizzato da scelte organizzative o da tempistiche indipendenti dalla sua volontà.

Inoltre, le aziende dovrebbero coinvolgere fin da subito i consulenti fiscali nella fase di progettazione dei piani retributivi, per garantire conformità normativa e ottimizzazione fiscale. È anche raccomandabile che le imprese predispongano informative chiare ai dipendenti, spiegando in modo trasparente le implicazioni fiscali legate ai bonus differiti e alla residenza fiscale.

In un contesto di crescente mobilità internazionale del lavoro, la gestione proattiva del rischio fiscale non è solo una misura di compliance, ma diventa un fattore competitivo per attrarre e trattenere talenti.

Riflessione normativa

La Risposta n. 274/2025 solleva una questione di fondo che va oltre il singolo caso: la necessità di un intervento normativo chiarificatore. L’attuale disciplina sul regime impatriati, pur essendo pensata per attrarre lavoratori altamente qualificati in Italia, non tiene adeguatamente conto delle dinamiche retributive moderne, spesso basate su sistemi di incentivazione a medio-lungo termine.

Il contrasto tra il principio di cassa (art. 51 del TUIR) e la maturazione economica del diritto al compenso porta a una perdita secca del beneficio fiscale in caso di semplice fuoriuscita temporale dal territorio italiano, anche in assenza di delocalizzazione artificiosa. Questa rigidità rischia di vanificare l’efficacia del regime agevolato, soprattutto in contesti aziendali internazionali, dove la mobilità è parte integrante del percorso professionale.

Una possibile soluzione normativa potrebbe consistere nell’introdurre una deroga mirata al principio di cassa per i redditi derivanti da piani di incentivazione riferiti ad attività svolta nel periodo di validità del regime impatriati, anche se percepiti successivamente. In alternativa, si potrebbe prevedere un meccanismo di proroga limitata del regime per consentire la fruizione dell’agevolazione anche in fase di erogazione post-residenza.

Queste modifiche non solo garantirebbero maggiore equità fiscale, ma renderebbero il sistema più competitivo rispetto ad altri Paesi europei che già prevedono regimi agevolati più flessibili e compatibili con la realtà dei lavoratori globali. La direzione dovrebbe essere quella di un fisco che segue la sostanza economica e non si ferma alla forma giuridica.

Conclusione

Il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 274/2025 rappresenta un punto di svolta per chi usufruisce del regime fiscale per impatriati e beneficia di emolumenti differiti come bonus pluriennali, stock option e piani di incentivazione a lungo termine. Il messaggio è chiaro: il beneficio fiscale si perde se il reddito viene percepito dopo il trasferimento della residenza fiscale all’estero, indipendentemente dal fatto che sia stato maturato durante il periodo di residenza in Italia.

Questa impostazione, basata sul rigido principio di cassa, impone a lavoratori e imprese una pianificazione fiscale estremamente precisa. I lavoratori devono valutare con attenzione quando espatriare, mentre le aziende devono considerare la residenza fiscale del dipendente al momento dell’erogazione dei compensi differiti, non solo al momento della loro maturazione.

Nel contesto attuale, in cui la mobilità internazionale dei lavoratori è in costante aumento, sarebbe auspicabile un intervento normativo che armonizzi le agevolazioni fiscali con le prassi retributive reali, evitando penalizzazioni che rischiano di rendere il regime impatriati meno attrattivo. Nel frattempo, diventa cruciale per tutti gli attori coinvolti adottare un approccio proattivo e strategico alla fiscalità internazionale, per non perdere opportunità di risparmio legittimo e per garantire il rispetto delle regole.

Bonus assunzioni 2025 in scadenza e novità 2026: guida agli incentivi per risparmiare sul costo del lavoro

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Il 2025 si avvicina alla chiusura e con esso anche molte agevolazioni fiscali e contributive pensate per favorire l’occupazione, soprattutto per giovani, donne e lavoratori svantaggiati. In particolare, il Bonus assunzioni 2025 previsto dal DL Coesione rappresenta un’importante opportunità per le imprese italiane, ma è soggetto a una scadenza ben precisa: 31 dicembre 2025. Allo stesso tempo, lo sguardo è già rivolto al futuro, perché nella bozza della Legge di Bilancio 2026 il Governo ha annunciato un nuovo sgravio contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato, che dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2026.

Questo articolo guida il lettore attraverso tutte le novità in arrivo e le opportunità ancora disponibili nel 2025, evidenziando le differenze tra i diversi bonus, i requisiti richiesti, le zone agevolate come le ZES (Zone Economiche Speciali), e le modalità pratiche per beneficiare di questi strumenti.

Con un’attenzione particolare agli aspetti fiscali, ai vantaggi economici e agli scenari occupazionali futuri, vedremo come le imprese possono pianificare in modo strategico le assunzioni per ottenere risparmi significativi sul costo del lavoro, rispettando le normative vigenti.

Incentivi assunzioni 2025

Nonostante gli incentivi previsti dal DL Coesione 2024 rappresentino un’opportunità concreta per abbattere il costo del lavoro, le misure si sono scontrate con ritardi attuativi e vincoli burocratici, che ne hanno limitato l’efficacia, soprattutto nelle Zone Economiche Speciali (ZES). In particolare, gli importi maggiorati degli sgravi contributivi, fino a 650 euro mensili nelle ZES rispetto ai 500 euro nel resto d’Italia, sono subordinati all’autorizzazione della Commissione europea, ottenuta solo il 31 gennaio 2025. Questo ha generato incertezza tra i datori di lavoro, soprattutto quelli che avevano avviato assunzioni nella finestra precedente confidando nella decorrenza stabilita dal DL, e non dal primo decreto interministeriale.

Le criticità non finiscono qui. Per quanto riguarda il bonus giovani under 35, il beneficio è riconosciuto solo per assunzioni a tempo indeterminato o stabilizzazioni effettuate tra il 1° settembre 2024 e il 31 dicembre 2025, ma con una decorrenza posticipata al 31 gennaio 2025 per le ZES. Questo restringe di fatto il periodo utile per fruire dell’incentivo e genera confusione normativa e operativa.

Situazione analoga per il bonus donne, articolato su tre categorie, con accesso differenziato a seconda della residenza e dello stato occupazionale. Particolarmente penalizzate risultano le donne disoccupate da almeno 6 mesi residenti nelle ZES, per cui lo sgravio decorre solo dopo l’autorizzazione UE, escludendo retroattivamente chi ha assunto prima di tale data.

Infine, si segnala la rigidità della procedura INPS: nei casi con incentivo maggiorato, la domanda deve essere presentata prima dell’assunzione, pena l’inammissibilità. In assenza di istruzioni chiare, molti datori di lavoro rischiano di perdere il beneficio. Inoltre, per le donne impiegate in settori svantaggiati, la durata dell’agevolazione è stata limitata a 12 mesi, nonostante la norma originaria ne prevedesse 24.

Chiarimenti ufficiali dalle circolari INPS

A fronte delle numerose incertezze operative e normative legate ai bonus assunzioni 2025, è stato fondamentale l’intervento dell’INPS, che ha fornito le istruzioni attuative con una serie di circolari pubblicate tra maggio e giugno 2025, specificando modalità, requisiti e limiti per fruire degli sgravi contributivi previsti dal DL Coesione.

In particolare, la circolare INPS n. 90 del 12 maggio 2025, dedicata al Bonus Giovani, ha chiarito che l’incentivo è riconosciuto per le assunzioni a tempo indeterminato di giovani under 35 che non abbiano mai avuto un contratto stabile. La stessa circolare specifica che il beneficio si applica anche in caso di stabilizzazione di contratti a termine, purché effettuata entro il 31 dicembre 2025. Ulteriori chiarimenti e aggiornamenti sono stati forniti con la circolare INPS n. 104 del 18 giugno 2025, che ha corretto alcune interpretazioni restrittive sulla decorrenza nelle ZES e sulle modalità di presentazione delle domande.

Per quanto riguarda invece il Bonus Donne, la circolare INPS n. 91 del 12 maggio 2025 ha confermato le tre categorie di lavoratrici agevolabili, chiarendo che lo sgravio può arrivare fino a 650 euro mensili nelle ZES, ma solo per assunzioni effettuate dopo l’autorizzazione della Commissione europea (31 gennaio 2025). La circolare ha anche precisato che per fruire degli incentivi maggiorati, le aziende devono presentare la domanda prima dell’assunzione, e che non è prevista applicazione retroattiva per i contratti avviati prima della data di decorrenza riconosciuta.

Queste istruzioni rappresentano un punto di riferimento essenziale per imprese e consulenti del lavoro, ma restano alcune zone d’ombra, specialmente sul piano procedurale, che potrebbero essere chiarite solo con ulteriori messaggi INPS o FAQ ministeriali.

Cosa prevede la bozza della Legge di Bilancio

Con uno sguardo rivolto al futuro, la bozza della Legge di Bilancio 2026 attualmente all’esame del Parlamento introduce un nuovo incentivo all’occupazione stabile. L’articolo 37 del testo prevede infatti il riconoscimento di un esonero parziale dai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, per assunzioni effettuate nel corso dell’anno 2026. Si tratta di una misura destinata a supportare la creazione di posti di lavoro a tempo indeterminato, con lo scopo di consolidare la ripresa occupazionale nel post-pandemia e contrastare la precarietà.

Nel dettaglio, il nuovo bonus si applicherà sia:

  • alle nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato (escluse le figure dirigenziali);

  • sia alle trasformazioni di contratti a termine in contratti stabili, purché avvengano nel 2026.

La durata massima dello sgravio sarà di 24 mesi, ma i dettagli sull’entità dell’esonero, le categorie beneficiarie, i limiti individuali e le condizioni di accesso saranno definiti da un apposito decreto ministeriale attuativo. Il Governo auspica che l’emanazione del decreto avvenga con maggiore rapidità rispetto a quanto accaduto per il DL Coesione 2024, proprio per evitare ritardi e incertezze che hanno penalizzato i bonus 2025.

Sul piano finanziario, la misura prevede un limite di spesa ben definito:

  • 154 milioni di euro per il 2026,

  • 400 milioni per il 2027,

  • 271 milioni per il 2028.

Questo lascia intendere una programmazione triennale e una volontà politica di rendere strutturale, almeno in parte, il sostegno all’occupazione stabile, specialmente per le categorie più vulnerabili.

Come pianificare le assunzioni 

Con l’introduzione del nuovo Bonus Assunzioni 2026, le imprese si trovano di fronte a un bivio strategico: sfruttare fino in fondo gli incentivi 2025 in scadenza a dicembre, oppure posticipare parte delle assunzioni all’anno successivo per accedere al nuovo esonero contributivo previsto dalla Legge di Bilancio? La risposta dipende da diversi fattori, ma un’analisi comparativa può aiutare a fare chiarezza.

Il Bonus Assunzioni 2025, come stabilito dal DL Coesione, offre sgravi importanti – fino a 650 euro mensili nelle ZES – ma presenta diverse criticità: vincoli stringenti sulle tempistiche di domanda, autorizzazioni europee tardive, e procedure INPS complesse. Tuttavia, è già pienamente operativo (al netto di alcune difficoltà applicative), e offre anche incentivi alle stabilizzazioni, elemento utile in caso di rapporti a termine in scadenza.

Dall’altra parte, il Bonus 2026 appare più snello nel disegno normativo: niente limiti territoriali, nessuna suddivisione per categorie specifiche, e possibilità di incentivo anche per trasformazioni da tempo determinato a indeterminato. Resta però l’incognita: fino all’emanazione del decreto attuativo, non conosciamo l’importo effettivo dell’esonero né eventuali condizioni particolari. Inoltre, la disponibilità delle risorse è limitata e soggetta a monitoraggio, con il rischio di esaurimento dei fondi.

Per le aziende, la scelta migliore è valutare attentamente i tempi e le modalità delle assunzioni previste, considerando il calendario delle scadenze, le condizioni dei candidati (età, genere, stato occupazionale) e il territorio in cui si opera. In alcuni casi sarà vantaggioso anticipare le assunzioni al 2025 per non perdere incentivi già attivi; in altri, potrà essere più utile attendere il 2026 per evitare le rigidità attuali e accedere a una misura potenzialmente più semplice da gestire.

Consigli pratici 

Per le imprese interessate a ridurre il costo del lavoro in modo legale ed efficace, la pianificazione è fondamentale. I bonus assunzioni 2025 e le novità 2026 offrono opportunità interessanti, ma occorre muoversi con precisione e consapevolezza. Ecco alcune strategie operative utili:

1. Verifica immediata dei requisiti dei candidati

Analizza il profilo dei potenziali assunti: età, sesso, residenza e status occupazionale. Per il 2025, ad esempio, l’età inferiore ai 35 anni o la disoccupazione prolungata sono criteri chiave. Verifica anche se l’azienda ha sede in una ZES, dove gli incentivi sono più alti.

2. Controllo puntuale delle tempistiche

Assunzioni nelle ZES? Ricorda: l’incentivo decorre solo dal 31 gennaio 2025, quindi eventuali contratti attivati prima non sono agevolabili. Non perdere la scadenza del 31 dicembre 2025 per attivare le assunzioni ammesse agli sgravi attuali.

3. Presentazione tempestiva delle domande INPS

In caso di incentivo maggiorato, la domanda deve essere presentata prima dell’assunzione. Prepara la documentazione con anticipo ed evita ritardi: l’INPS potrebbe respingere richieste tardive o incomplete.

4. Valutazione della trasformazione dei contratti a termine

Se hai lavoratori a tempo determinato, valuta la trasformazione a tempo indeterminato entro il 2025 per usufruire degli sgravi esistenti. In alternativa, considera una pianificazione nel 2026, se il decreto attuativo del nuovo bonus sarà favorevole.

5. Monitoraggio costante delle novità normative

Tieni sotto controllo circolari INPS, decreti attuativi e aggiornamenti ministeriali. Piccoli cambiamenti procedurali possono fare la differenza tra ottenere l’incentivo o perderlo.

6. Supporto da parte del consulente del lavoro o del commercialista

Affidarsi a un professionista è essenziale. Le normative sono complesse e in continua evoluzione: una verifica preventiva della documentazione e delle condizioni aziendali può evitare errori e sanzioni.

ZES e assunzioni agevolate

Le Zone Economiche Speciali (ZES) continuano a rappresentare un elemento chiave nella strategia del Governo per incentivare l’occupazione e rilanciare lo sviluppo economico nelle aree svantaggiate, in particolare nel Sud Italia. Proprio in queste zone, gli incentivi alle assunzioni previsti dal DL Coesione 2024 sono stati rafforzati con importi maggiorati fino a 650 euro mensili per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato.

Tuttavia, come già evidenziato, i vantaggi offerti nelle ZES sono subordinati a requisiti specifici e soggetti a vincoli procedurali stringenti. Innanzitutto, il periodo utile per accedere agli sgravi è stato ridotto rispetto al resto del territorio nazionale, a causa della necessaria autorizzazione della Commissione europea, arrivata solo il 31 gennaio 2025. Di conseguenza, le assunzioni effettuate prima di questa data non possono beneficiare degli incentivi, nemmeno retroattivamente.

Inoltre, la maggiore entità dell’agevolazione comporta un obbligo procedurale aggiuntivo: la presentazione della domanda all’INPS deve avvenire prima della stipula del contratto, pena l’esclusione dal beneficio. Un errore nella tempistica può quindi costare caro, annullando il vantaggio economico previsto.

Per le imprese con sede nelle ZES, è quindi fondamentale agire con attenzione:

  • Verificare l’effettiva localizzazione dell’unità produttiva in una zona agevolata;

  • Raccogliere la documentazione necessaria in anticipo;

  • Pianificare assunzioni e trasformazioni contrattuali nel rispetto delle tempistiche ufficiali;

  • Coordinarsi strettamente con il proprio consulente del lavoro per non perdere le agevolazioni disponibili.

Queste zone, se correttamente sfruttate, possono offrire un vantaggio competitivo notevole in termini di riduzione del costo del lavoro, ma richiedono precisione e tempestività nella gestione.

Sgravi contributivi e impatto sul bilancio aziendale

Gli incentivi alle assunzioni come quelli previsti per il 2025 e quelli in arrivo per il 2026, non rappresentano soltanto un’opportunità di risparmio immediato sul costo del lavoro, ma producono effetti positivi concreti anche sul bilancio aziendale. Capire come questi sgravi agiscono a livello contabile e fiscale è essenziale per una corretta pianificazione economico-finanziaria.

Dal punto di vista operativo, lo sgravio contributivo riduce direttamente la quota di contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. Si tratta quindi di un risparmio in termini di costi fissi, che può incidere in modo significativo, soprattutto se applicato su più lavoratori e per periodi prolungati (fino a 24 mesi).

Questa riduzione:

  • migliora il margine operativo lordo (EBITDA), aumentando la redditività aziendale;

  • può rendere più competitivo il costo del lavoro, incentivando nuove assunzioni senza gravare eccessivamente sulla struttura dei costi;

  • non è considerata un aiuto in denaro, ma una riduzione di oneri, quindi non rientra tra le voci tassabili ai fini IRES o IRAP.

Attenzione però: per le aziende che adottano il criterio di competenza economica, lo sgravio contributivo va correttamente rilevato tra le sopravvenienze attive o riduzioni di costi del personale nei bilanci d’esercizio, evitando errori contabili che potrebbero generare rilievi in sede di controllo fiscale.

Infine, nel caso in cui l’incentivo venga revocato (es. per non rispetto dei requisiti o irregolarità nella domanda), l’azienda deve restituire i contributi maggiorati di sanzioni e interessi, con potenziali ripercussioni sul bilancio e sulla reputazione fiscale.

In sintesi, sfruttare gli sgravi non è solo una questione di risparmio contributivo, ma anche un’operazione di ottimizzazione economica che può portare benefici significativi, se gestita correttamente a livello amministrativo e contabile.

Bonus assunzioni

La richiesta di incentivi alle assunzioni può portare a importanti benefici economici, ma solo se gestita correttamente. In caso contrario, le aziende rischiano la perdita totale del beneficio, sanzioni e, in alcuni casi, l’obbligo di restituire quanto già fruito. Ecco gli errori più frequenti riscontrati nella prassi operativa e come evitarli.

1. Assunzione prima della presentazione della domanda

È l’errore più grave, soprattutto per i bonus con importi maggiorati (come quelli delle ZES). In questi casi, la domanda all’INPS deve essere presentata prima della firma del contratto. Saltare questo passaggio equivale a perdere l’incentivo.

2. Assunzioni fuori dai limiti temporali

Molte aziende non tengono conto delle date esatte di decorrenza, soprattutto per le ZES, dove l’incentivo decorre solo dal 31 gennaio 2025. Assunzioni effettuate anche pochi giorni prima non sono agevolabili, nemmeno con interpretazioni favorevoli.

3. Documentazione incompleta o errata

Un’anagrafica incompleta del dipendente, l’assenza della certificazione dello stato di disoccupazione o errori nel codice fiscale possono portare al rigetto della domanda o al blocco della procedura. È fondamentale controllare ogni dettaglio prima dell’invio.

4. Errori nella scelta della categoria agevolata

Sbagliare nella classificazione (es. confondere una donna disoccupata da 6 mesi con una da 24) può portare a richieste per importi non spettanti e quindi a revoche con sanzioni. Serve una verifica attenta dei requisiti.

5. Mancato rispetto dei requisiti aziendali

Gli sgravi contributivi sono concessi solo se l’azienda rispetta determinate condizioni, come il DURC regolare, il rispetto dei contratti collettivi e il divieto di licenziamenti nei mesi successivi all’assunzione agevolata. Ogni irregolarità può invalidare il beneficio.

Per evitare queste criticità è consigliabile creare una checklist interna per ogni assunzione agevolata e coinvolgere tempestivamente il consulente del lavoro o il commercialista, che può verificare i requisiti e seguire l’intero iter procedurale in modo corretto.

Conclusione

Il 2025 e il 2026 si configurano come anni decisivi per le politiche attive del lavoro in Italia, con strumenti fiscali e contributivi pensati per incentivare l’assunzione di giovani, donne e lavoratori svantaggiati. Tuttavia, come abbiamo visto, non basta conoscere l’esistenza dei bonus: è fondamentale comprendere come, quando e per chi applicarli, evitando errori formali e cogliendo ogni finestra utile.

Le aziende che sapranno pianificare in anticipo le proprie assunzioni, monitorare le istruzioni INPS e muoversi con il supporto di consulenti esperti, potranno ottenere risparmi significativi e consolidare il proprio capitale umano. Non solo: con il nuovo bonus previsto per il 2026, si aprono scenari favorevoli anche per le trasformazioni contrattuali, in un’ottica di stabilizzazione del personale e di sostenibilità aziendale.

Ora è il momento di agire: verifica la tua situazione aziendale, analizza i profili da assumere, programmi le assunzioni entro le scadenze previste e preparati a sfruttare anche le nuove misure del 2026 con consapevolezza e strategia.

In un contesto economico dove ogni margine di risparmio è cruciale, gli incentivi alle assunzioni possono fare la differenza. A condizione, però, di saperli usare bene.

Affitti brevi 2026: nuove tasse al 26% nella Legge di Bilancio

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Il 2026 si preannuncia come un anno di svolta per chi affitta immobili a breve termine in Italia. Il Disegno di Legge di Bilancio, approvato in bozza dal Consiglio dei Ministri il 17 ottobre 2025, introduce importanti modifiche fiscali per i cosiddetti “affitti brevi”, un settore in costante crescita e spesso oggetto di dibattiti, controlli e nuove regolamentazioni.

Al centro delle novità c’è la cedolare secca, regime fiscale agevolato finora molto utilizzato da chi affitta case o appartamenti per periodi inferiori ai 30 giorni. Ma ora il governo punta a ridefinirne i confini e l’aliquota per limitare l’utilizzo abusivo di questo strumento e favorire una maggiore equità fiscale.

Chi opera nel settore dell’extra-alberghiero si troverà a dover affrontare nuove regole, nuove soglie e più controlli. Un tema caldo, che tocca non solo la fiscalità ma anche le politiche abitative delle grandi città, i rapporti con le piattaforme come Airbnb e Booking, e la concorrenza con il settore alberghiero tradizionale.

Ma cosa prevede davvero il nuovo testo? Quali saranno le ripercussioni fiscali per chi affitta una o più case per periodi brevi? E soprattutto: come è possibile risparmiare sulle tasse in modo legale anche nel nuovo scenario normativo del 2026?

Scopriamolo in dettaglio, analizzando la norma in bozza, le prospettive per l’approvazione finale e le strategie per adattarsi dei cambiamenti in arrivo.

Tassazione affitti brevi 2026

Il Disegno di Legge di Bilancio 2026, attualmente in fase di approvazione parlamentare, introduce un cambiamento importante per la tassazione degli affitti brevi: l’aliquota della cedolare secca passa dal 21% al 26%. Si tratta di un aumento significativo, che impatterà sia i proprietari privati che affittano immobili per periodi inferiori ai 30 giorni, sia gli intermediari immobiliari e le piattaforme digitali come Airbnb, Booking e simili.

Le modifiche sono contenute nell’articolo 7 del DDL, che interviene sull’articolo 4 del DL 50/2017. Oltre all’innalzamento dell’aliquota, viene anche abrogata la riduzione al 21% prevista nel 2023 per un solo immobile locato con finalità turistiche. Questo vuol dire che, dal 2026, la tassazione sarà uniforme al 26% su tutti gli affitti brevi, senza distinzione tra prima e successive unità.

Ulteriore novità riguarda la ritenuta d’acconto applicata dagli intermediari che gestiscono i pagamenti: anch’essa sarà pari al 26%, allineandosi alla nuova aliquota della cedolare. Questa ritenuta sarà versata al Fisco a titolo di acconto, salvo che il locatore opti esplicitamente per la cedolare secca.

Resta fermo che la cedolare secca è un regime facoltativo, sostitutivo di Irpef e relative addizionali per i redditi da locazione, e consente anche l’esenzione da imposta di registro e bollo per i contratti. Tuttavia, scegliere questo regime significa rinunciare all’aggiornamento Istat del canone, anche se previsto nel contratto.

Questo pacchetto di modifiche mira chiaramente a ridurre l’attrattività fiscale degli affitti brevi e a contrastare l’uso distorto di un regime pensato inizialmente per i piccoli locatori.

Affitti brevi e impatto fiscale

L’aumento della cedolare secca al 26% rappresenta un cambio di scenario che avrà conseguenze concrete sulla redditività degli affitti brevi, soprattutto per i piccoli proprietari che fino ad oggi hanno potuto beneficiare di un’imposizione agevolata. Un esempio pratico rende evidente l’effetto della riforma: su un affitto breve da 10.000 euro lordi l’anno, la tassazione passerà da 2.100 euro (21%) a 2.600 euro, con un aggravio di 500 euro che può incidere sensibilmente sul margine netto.

Chi gestisce più immobili, in particolare nelle città turistiche, dovrà rivedere le proprie strategie di pricing o valutare il passaggio a regimi diversi, come la tassazione ordinaria IRPEF o il regime d’impresa. Quest’ultimo, peraltro, comporta obblighi contabili e fiscali ben più complessi, oltre al pagamento dell’IVA e alla tenuta della contabilità.

Anche le piattaforme online e gli intermediari dovranno adattarsi, modificando le ritenute applicate sui compensi e aggiornando i sistemi informatici per allinearsi al nuovo quadro normativo. La nuova aliquota del 26% a titolo di acconto rischia di generare crediti d’imposta in eccesso nei casi in cui il reddito complessivo del contribuente sia inferiore, creando squilibri nei flussi di cassa.

Per chi affitta occasionalmente una seconda casa o un immobile ereditato, la nuova tassazione potrebbe rendere meno conveniente la locazione breve rispetto ad altre forme di utilizzo, come l’affitto a medio termine o la vendita.

Senza una corretta pianificazione fiscale, molti rischiano di incorrere in sanzioni, maggiori imposte e perdita di benefici precedentemente acquisiti. Diventa quindi essenziale, per chi opera in questo settore, farsi assistere da un professionista per valutare il miglior regime fiscale da adottare in base al proprio caso specifico.

Cedolare secca o regime ordinario

Quando si affitta un immobile per brevi periodi, come nel caso degli affitti turistici inferiori ai 30 giorni, è possibile scegliere tra due modalità di tassazione: il regime della cedolare secca oppure il regime ordinario IRPEF. La scelta non è banale e può avere un impatto significativo sul guadagno netto dell’attività.

La cedolare secca è un regime facoltativo e consiste nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF, delle relative addizionali (comunale e regionale) e delle imposte di registro e di bollo sui contratti di locazione. Fino al 2025, l’aliquota era del 21%, ma con la Legge di Bilancio 2026 salirà al 26%. Questa modalità è più semplice, non richiede contabilità, ed è spesso scelta da chi affitta saltuariamente o non supera determinati limiti di reddito.

Il regime ordinario IRPEF, invece, prevede la tassazione secondo le aliquote progressive (23%, 25%, 35%, 43%) e permette di dedurre le spese sostenute, come quelle per manutenzione, arredamento, provvigioni all’agenzia e spese condominiali. È più conveniente per chi ha molti costi da scaricare o un reddito imponibile basso.

In sintesi:

  • La cedolare secca conviene per chi ha pochi costi da dedurre, affitti limitati e vuole semplicità.

  • Il regime ordinario IRPEF conviene se si hanno molte spese documentate, si gestiscono più immobili o si svolge attività in modo continuativo.

Con l’aumento dell’aliquota al 26%, sarà fondamentale rivalutare caso per caso quale regime sia più vantaggioso: una scelta sbagliata potrebbe ridurre la redditività dell’investimento.

Simulazioni pratiche

Per comprendere a fondo l’impatto della nuova tassazione al 26% sugli affitti brevi introdotta dalla Legge di Bilancio 2026, è utile osservare alcuni casi concreti. Le simulazioni qui sotto mostrano la differenza tra la tassazione al 21% (in vigore fino al 2025) e quella al 26% prevista per il 2026.

Caso 1: Proprietario con 1 appartamento affittato saltuariamente

  • Introiti annui: €10.000

  • Cedolare secca al 21% (fino al 2025): €2.100 di imposte

  • Cedolare secca al 26% (dal 2026): €2.600

  • Differenza: +€500 (pari al +23,8%)

Caso 2: Proprietario con 2 immobili affittati in località turistica

  • Introiti annui totali: €30.000

  • Imposta al 21%: €6.300

  • Imposta al 26%: €7.800

  • Differenza: +€1.500 (pari al +23,8%)

Caso 3: Proprietario con reddito basso (sotto €15.000 annui)

In questo caso, se si optasse per il regime ordinario IRPEF, le aliquote applicabili sarebbero al 23%. Tuttavia, con le detrazioni e la no tax area, il contribuente potrebbe pagare meno rispetto al 26% della cedolare secca.
Risultato: il regime ordinario potrebbe diventare più conveniente.

Caso 4: Gestione tramite piattaforma (Airbnb)

  • L’intermediario applicherà la ritenuta del 26% sul corrispettivo incassato

  • Se il proprietario non ha optato per la cedolare secca, la ritenuta sarà considerata acconto IRPEF, con possibile saldo o conguaglio a fine anno

  • In caso di redditi bassi, si genera credito IRPEF che potrà essere usato l’anno successivo o rimborsato

Come si evince dalle simulazioni, l’aumento dell’aliquota pesa soprattutto su chi affitta occasionale ma con buoni introiti.

Per molti sarà il momento di valutare:

  • La convenienza del regime ordinario

  • La possibilità di trasformare l’attività in impresa vera e propria

  • O la riduzione del numero di immobili destinati all’affitto breve

Strategie legali

Con l’entrata in vigore della nuova aliquota del 26% sulla cedolare secca per gli affitti brevi, molti proprietari e host si chiedono come difendere la redditività dell’attività. La buona notizia è che esistono diverse strategie perfettamente legali per ottimizzare il carico fiscale, senza rischiare sanzioni o errori.

Ecco alcune delle principali:

1. Valutare il regime ordinario IRPEF se si hanno spese da dedurre

Se l’attività comporta costi rilevanti (spese di ristrutturazione, arredo, utenze, provvigioni ad agenzie o piattaforme, manutenzione, spese condominiali ecc.), il regime ordinario IRPEF potrebbe risultare più vantaggioso della cedolare secca, soprattutto con redditi medio-bassi.

2. Affitto in forma imprenditoriale: aprire partita IVA per dedurre tutto

Chi affitta più immobili in modo organizzato e continuativo dovrebbe valutare l’apertura di partita IVA con regime semplificato o forfettario. In questo modo, potrà dedurre tutte le spese legate all’attività e beneficiare anche di un regime fiscale agevolato (15% o 5% per le startup, nel forfettario).

3. Affidarsi a un property manager con ritenuta d’acconto

Delegare la gestione a un intermediario (come un property manager) consente di applicare la ritenuta d’acconto e ridurre il rischio di sanzioni per errori fiscali. Inoltre, l’intermediario può occuparsi della contabilità e della corretta dichiarazione dei redditi.

4. Registrare sempre il contratto e conservare la documentazione

Anche se gli affitti brevi non richiedono registrazione obbligatoria del contratto, è sempre consigliabile produrre un contratto scritto, conservarlo e tener traccia dei pagamenti, in modo da poter giustificare il reddito in caso di controlli dell’Agenzia delle Entrate.

5. Attenzione alla soglia dei 4 appartamenti

Ricorda che, secondo le normative attuali (art. 4 DL 50/2017), se si affittano più di 4 appartamenti per brevi periodi, si è considerati locatori imprenditoriali. In questo caso è obbligatoria la partita IVA e l’applicazione del regime d’impresa.

In definitiva, per ridurre le tasse in modo legale nel 2026 è fondamentale:

  • Conoscere bene la propria situazione reddituale

  • Analizzare costi e ricavi

  • Farsi seguire da un commercialista esperto in fiscalità immobiliare e locazioni brevi

Affitti brevi 2026

Con l’inasprimento fiscale previsto nella Legge di Bilancio 2026, aumentano anche i controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate e il rischio di sanzioni per chi gestisce affitti brevi in modo non conforme. L’obiettivo del Governo è duplice: contrastare l’evasione fiscale e regolare un mercato sempre più esteso, che spesso sfugge ai radar del Fisco.

Piattaforme obbligate a comunicare dati e trattenere imposte

Dal 2024, con l’introduzione del Registro nazionale delle locazioni brevi e la piena applicazione delle norme europee (DAC7), le piattaforme digitali come Airbnb, Booking, Vrbo e simili sono obbligate a comunicare al Fisco italiano:

  • l’identità del locatore

  • l’ubicazione dell’immobile

  • il numero di notti prenotate

  • il corrispettivo incassato

Nel 2026, con la nuova aliquota al 26%, queste piattaforme saranno inoltre tenute ad applicare la ritenuta d’acconto sul compenso versato al proprietario, se quest’ultimo non comunica l’opzione per la cedolare secca. In caso di omissioni, le piattaforme stesse rischiano sanzioni pecuniarie.

Le sanzioni per il locatore: cosa si rischia?

Chi non dichiara correttamente i redditi da affitto breve rischia:

  • Sanzioni amministrative fino al 240% dell’imposta evasa

  • Accertamento sintetico del reddito da parte dell’Agenzia delle Entrate

  • Esclusione retroattiva dalla cedolare secca e tassazione ordinaria più interessi e sanzioni

  • Problemi con il Comune per mancate comunicazioni o assenza del Codice Identificativo Nazionale (CIN)

Pagamenti tracciabili e contratti: serve la massima precisione

Dal 2026 sarà ancora più importante:

  • Incassare i canoni solo con mezzi tracciabili (bonifici, carte, PayPal, ecc.)

  • Conservare copia del contratto scritto (anche se non registrato) e delle ricevute di pagamento

  • Verificare l’invio corretto dei dati da parte degli intermediari

  • Tenere sotto controllo le dichiarazioni dei redditi, con l’aiuto di un professionista

In conclusione, il nuovo assetto normativo richiede maggiore attenzione e precisione. Gestire affitti brevi “alla leggera” non è più sostenibile: è il momento di professionalizzare l’attività o rivedere il proprio modello di business.

Conclusione

La Legge di Bilancio 2026 introduce un cambiamento significativo nella tassazione degli affitti brevi, con l’innalzamento dell’aliquota della cedolare secca al 26% e l’abolizione dell’agevolazione al 21% per il primo immobile. Un passaggio che avrà effetti concreti sulla redditività di chi affitta case o appartamenti per periodi inferiori ai 30 giorni, sia occasionalmente che in modo professionale.

Oltre all’aumento del carico fiscale, si intensificano i controlli dell’Agenzia delle Entrate, la tracciabilità delle operazioni tramite piattaforme digitali e le sanzioni in caso di irregolarità. Questo nuovo scenario impone una pianificazione fiscale più attenta, in grado di evitare errori e ottimizzare la gestione del patrimonio immobiliare.

Che tu gestisca un solo appartamento o un portafoglio più ampio di immobili, il 2026 rappresenta un punto di svolta. È il momento giusto per rivedere il proprio regime fiscale, valutare la convenienza tra cedolare secca e tassazione ordinaria, strutturare correttamente l’attività se ricorrono i presupposti dell’impresa e farsi affiancare da un commercialista esperto in locazioni brevi per non farsi trovare impreparati

Chi agisce oggi ha più possibilità di adattarsi senza traumi alla nuova normativa e continuare a guadagnare in modo legale e sostenibile.

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