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giovedì 30 Ottobre 2025

TCF 2025: Guida completa al nuovo modello di gestione del rischio fiscale per imprese e professionisti

Negli ultimi anni, il rapporto tra contribuenti e Amministrazione finanziaria ha subito un profondo mutamento, segnato da un passaggio dalla logica del controllo ex post a un sistema basato sulla prevenzione e sulla trasparenza. Al centro di questa trasformazione si colloca il Tax Control Framework (TCF): uno strumento operativo e strategico che ridefinisce il concetto di gestione del rischio fiscale. Nato inizialmente come presupposto tecnico per accedere al regime di adempimento collaborativo, il TCF ha ora assunto un ruolo centrale anche per le imprese non rientranti nel perimetro della cooperative compliance. L’obiettivo? Costruire un sistema strutturato di controllo interno in materia tributaria, capace di prevenire errori, minimizzare contenziosi e instaurare un dialogo costruttivo con l’Amministrazione finanziaria.

In questo scenario, la certificazione obbligatoria del TCF da parte di professionisti indipendenti, le nuove Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate e l’introduzione di misure transitorie nel 2025 tracciano un solco importante per imprese e professionisti. Un cambiamento culturale prima ancora che normativo, che richiede una ridefinizione dei modelli organizzativi e un ripensamento profondo delle responsabilità tributarie.

In questo articolo esploreremo le basi normative e la riforma del TCF, il ruolo centrale della certificazione, l’impatto per PMI, grandi aziende e professionisti, i benefici fiscali, reputazionali e operativi e le best practice per l’implementazione.

L’evoluzione normativa e l’ampliamento della platea

Il Tax Control Framework, introdotto inizialmente dal D.Lgs. 128/2015, ha segnato una svolta nel rapporto tra imprese e Fisco, affermando una logica di trasparenza preventiva e collaborazione strutturata. Questo nuovo approccio, mutuato da esperienze internazionali di cooperative compliance, nasce con l’obiettivo di favorire un dialogo costante tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti di grandi dimensioni, promuovendo la gestione anticipata dei rischi fiscali.

Tuttavia, l’accesso iniziale al regime era fortemente limitato: erano ammesse solo imprese con ricavi molto elevati e dotate di sofisticati sistemi di audit interni. A partire dal D.Lgs. 221/2023 e poi con il D.Lgs. 108/2024, il legislatore ha avviato una progressiva apertura del regime, abbassando le soglie dimensionali e introducendo l’art. 7-bis, che consente l’adozione del TCF anche su base volontaria, indipendentemente dal fatturato.

Con il DM 6 dicembre 2024, sono state fissate tappe graduali di accesso: soglia iniziale di 750 milioni (2024–2025), poi 500 milioni (2026–2027) e 100 milioni a partire dal 2028. A questo si è aggiunto un nuovo regime opzionale introdotto dal DM 9 luglio 2025, operativo dal 1° agosto 2025 (GU n. 164/2025), che ha rivoluzionato il sistema: anche le imprese sotto soglia possono ora adottare un TCF documentato e certificato, accedendo a benefici concreti, come l’esclusione da sanzioni amministrative e la protezione rafforzata in ambito penale.

Elemento centrale è la certificazione del TCF da parte di un professionista indipendente, unitamente alla presentazione telematica di tutta la documentazione richiesta (documenti strategici, mappa dei rischi, certificazione con data certa). Le Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate (prot. n. 321934 e n. 321940 del 2025) stabiliscono i contenuti minimi e le modalità operative per la mappatura, attraverso una Risk & Control Matrix dettagliata per livelli di rischio e controllo.

Questa trasformazione normativa rende il TCF uno strumento di compliance dinamica e permanente, integrato nella governance aziendale e destinato a modificare in profondità l’approccio delle imprese alla fiscalità.

Certificazione obbligatoria 

Uno degli aspetti più innovativi del nuovo regime basato sul TCF è l’introduzione della certificazione obbligatoria da parte di un professionista indipendente, elemento che trasforma radicalmente la figura del consulente fiscale, in particolare del commercialista e dell’avvocato tributarista. Il DM 212/2024 ha istituito un elenco nazionale dei certificatori, gestito dagli Ordini (CNDCEC e CNF), cui possono accedere esclusivamente soggetti iscritti alla sezione A dell’albo, in possesso di specifici requisiti di onorabilità, indipendenza e competenza tecnica.

Il compito del certificatore va ben oltre un’attestazione formale: si tratta di un’attività tecnico-giuridica altamente specializzata, che prevede l’analisi approfondita dei processi aziendali, dei flussi informativi e dei presidi di controllo, attraverso test periodici di efficacia operativa (ToE). La certificazione ha validità triennale, ma richiede aggiornamenti costanti e una reportistica documentata, con data certa anteriore all’esercizio dell’opzione TCF.

Il professionista certificatore è soggetto a responsabilità disciplinare, patrimoniale e, nei casi più gravi, anche penale, in caso di dichiarazioni infedeli, secondo un meccanismo simile al “visto pesante” del D.Lgs. 241/1997. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito (Telefisco 2025) che, pur non entrando nel merito del modello adottato, verifica rigorosamente completezza, tracciabilità e coerenza documentale, lasciando al professionista l’onere della valutazione sostanziale.

Questo spostamento di responsabilità trasforma il ruolo del commercialista in quello di garante terzo tra impresa e Amministrazione, ma apre anche a criticità operative: l’adozione di modelli standardizzati può risultare eccessivamente onerosa per le PMI, che dispongono di strutture più agili. Inoltre, l’asincronia temporale tra la durata biennale dell’opzione e quella triennale della certificazione impone una pianificazione attenta per non perdere i benefici.

Non va dimenticata la fase transitoria, con la proroga (ancora in corso di definizione) della scadenza per la certificazione al 30 giugno 2026 per le imprese che hanno già aderito nel 2024. A questo si aggiungono le tempistiche incerte legate all’attivazione graduale degli elenchi dei certificatori, che rischiano di rallentare le prime operazioni di rilascio delle attestazioni.

Infine, il DM 9 luglio 2025 prevede la decadenza dai benefici in caso di perdita dei requisiti o di mancato aggiornamento del TCF in presenza di cambiamenti organizzativi rilevanti (artt. 3 e 5). Questo vincolo rafforza la natura del TCF come processo evolutivo e non statico, rendendo la figura del professionista certificatore un punto cardine dell’intero impianto.

TCF 2025: Guida completa - Commercialista.it

Impatti pratici, criticità aperte e prospettive future

L’adozione del Tax Control Framework non si limita a garantire l’accesso a benefici sanzionatori o penali: i suoi effetti si estendono alla gestione strategica dell’impresa, alla reputazione sul mercato e alla qualità dei processi interni. Infatti, il vero valore aggiunto del TCF sta nella sua capacità di trasformare la compliance fiscale da adempimento formale a strumento competitivo. Un TCF certificato e coerente con le Linee guida dell’Agenzia delle Entrate rafforza la credibilità aziendale, facilita operazioni straordinarie come M&A, IPO o partnership internazionali, e aumenta la fiducia di investitori, istituti di credito e stakeholder.

Per i professionisti, in particolare i commercialisti, il nuovo scenario rappresenta una sfida e insieme un’opportunità: costruire una Risk & Control Matrix, predisporre la documentazione normativa, gestire gli interpelli preventivi e pianificare i test di efficacia richiede competenze avanzate in ambiti che vanno oltre il classico perimetro fiscale. Diventa quindi indispensabile dotarsi di strutture multidisciplinari, in grado di affrontare la compliance in chiave integrata, magari combinando il TCF con modelli come il Modello 231, l’AEO doganale o i sistemi di rendicontazione ESG.

Tuttavia, permangono criticità: in primis, l’assenza di un credito d’imposta per i costi di implementazione e certificazione, che può disincentivare le imprese medio-piccole. Inoltre, la sfasatura temporale tra durata biennale dell’opzione e triennale della certificazione rischia di generare vuoti normativi. Restano aperti anche nodi interpretativi: ad esempio, cosa accade se un’“area di miglioramento” segnalata dal certificatore non viene sanata tempestivamente? L’impresa decade dai benefici? Serve un intervento chiarificatore.

Un altro punto critico è la gestione dell’interpello: sebbene esso garantisca la neutralizzazione delle sanzioni in presenza di condotta conforme, è necessario stabilire con certezza quando la risposta dell’Agenzia possa essere considerata “presupposto” valido per accedere ai benefici TCF, soprattutto in casi di rischio fiscale grigio.

Infine, si discute in sede politica dell’opportunità di introdurre incentivi fiscali strutturali per facilitare l’adozione del TCF, specialmente da parte delle PMI. Un passo che potrebbe consolidare il nuovo regime e trasformarlo in standard operativo diffuso, contribuendo a ridurre il contenzioso, aumentare la prevedibilità fiscale e rafforzare il rapporto fiduciario tra contribuenti e amministrazione.

Integrazione del TCF con altri modelli di controllo

Una delle evoluzioni più interessanti del Tax Control Framework è la sua capacità di integrarsi con altri sistemi di controllo e compliance già esistenti in azienda. In particolare, il TCF si presta a essere armonizzato con il Modello 231/2001, l’AEO (Operatore Economico Autorizzato) in ambito doganale, i sistemi di controllo interno previsti dalla normativa bancaria e, più recentemente, i framework legati alla rendicontazione di sostenibilità (ESG).

L’integrazione con il Modello 231 consente di gestire sinergicamente i rischi fiscali con quelli penali, amministrativi e reputazionali. Non si tratta solo di evitare duplicazioni, ma di costruire un vero e proprio sistema integrato di controllo, capace di intercettare tempestivamente anomalie e gestire in modo efficiente i flussi informativi. In quest’ottica, le attività previste dal TCF (dalla mappatura dei rischi alla definizione dei controlli di primo e secondo livello) possono essere inserite nei protocolli 231 già operativi, migliorando la coerenza dell’intero sistema aziendale.

Anche il modello AEO, fondamentale per le imprese con attività internazionali, presenta sinergie con il TCF, in particolare per quanto riguarda la tracciabilità dei flussi, l’affidabilità dei sistemi informatici e la gestione documentale. Una corretta integrazione dei sistemi consente di ottenere benefici sia in ambito doganale sia fiscale, semplificando i rapporti con le autorità e aumentando il grado di fiducia istituzionale.

Infine, l’adozione del TCF può contribuire al percorso di compliance ESG, soprattutto per quanto riguarda la sostenibilità fiscale e la tax transparency, temi sempre più richiesti da investitori e stakeholder internazionali. Inserire la gestione del rischio fiscale nel bilancio di sostenibilità o nei report non finanziari significa valorizzare il proprio impegno etico, migliorare il rating ESG e rafforzare la reputazione aziendale.

Queste sinergie rafforzano la logica secondo cui la compliance non è più un costo, ma un investimento, capace di generare valore concreto e di rafforzare la competitività dell’impresa su scala nazionale e internazionale.

TCF 2025: Guida completa - Commercialista.it

TCF e PMI

Sebbene il Tax Control Framework sia nato per le grandi imprese, il nuovo regime opzionale introdotto con il DM 9 luglio 2025 apre definitivamente la strada anche alle PMI, che possono ora adottare un modello di gestione del rischio fiscale strutturato e certificato, accedendo a significativi benefici in termini di certezza giuridica, esonero sanzionatorio e tutela penale. Tuttavia, per le piccole e medie imprese, il passaggio al TCF richiede un approccio calibrato, che tenga conto della minore complessità organizzativa e delle risorse disponibili.

La prima sfida è rappresentata dalla semplificazione del modello: le PMI non possono limitarsi a copiare i framework delle multinazionali. Occorre progettare un TCF proporzionato alla realtà aziendale, focalizzato sui processi fiscali davvero critici (es. IVA, ritenute, transfer pricing, crediti d’imposta), evitando eccessi di formalismo. L’Agenzia delle Entrate, nelle sue Linee guida del 2025, consente infatti un certo grado di adattamento, purché resti garantita la tracciabilità, l’efficacia dei controlli e l’aggiornamento della documentazione.

In questa fase, il ruolo del commercialista o del consulente fiscale è fondamentale: non solo per certificare il modello, ma per costruirlo insieme all’imprenditore, attraverso strumenti pratici come checklist di controllo, mappatura dei rischi fiscali semplificata e test periodici, anche in collaborazione con software dedicati. Alcune piattaforme, già integrate con i sistemi gestionali, offrono moduli TCF-ready, in grado di velocizzare la raccolta dati e ridurre il carico operativo.

Un ulteriore strumento utile per le PMI è la formazione interna, anche con brevi sessioni rivolte al personale amministrativo, per garantire una corretta segnalazione degli alert e una cultura del rischio fiscale diffusa. È inoltre consigliabile impostare un calendario condiviso di aggiornamenti e revisioni del TCF, in modo da monitorarne costantemente l’efficacia senza appesantire l’operatività aziendale.

In definitiva, anche per le PMI il TCF può rappresentare una leva di crescita e rafforzamento reputazionale, a patto che l’implementazione sia guidata da logiche di proporzionalità, sostenibilità economica e consapevolezza operativa.

Struttura, contenuti e applicazione operativa del TCF

Le Linee guida dell’Agenzia delle Entrate, pubblicate con i provvedimenti del 10 gennaio e del 7 agosto 2025 (prot. n. 321934 e n. 321940 per il settore assicurativo), rappresentano il riferimento tecnico imprescindibile per la corretta implementazione del Tax Control Framework. Questi documenti definiscono in modo dettagliato i contenuti minimi del TCF, le modalità di costruzione della Risk & Control Matrix (RCM) e i criteri di mappatura dei rischi fiscali e contabili.

Al centro del modello operativo si colloca proprio la RCM, che deve distinguere tra controlli a livello di entità (entity-level) e controlli a livello di attività (activity-level). Ogni rischio fiscale identificato deve essere associato a presidi di primo livello (interni all’operatività aziendale) e di secondo livello (controlli di supervisione), con indicazione del rischio residuo e della frequenza dei test di efficacia (ToE). Il tutto deve essere documentato in modo tracciabile e aggiornato, anche attraverso il servizio web predisposto dall’Agenzia, che consente la compilazione assistita e l’upload dei documenti previsti.

Il pacchetto documentale richiesto dal DM 9 luglio 2025, e richiamato dalle Linee guida, include almeno:

  • Documento di attività e strategia fiscale

  • Documento TCF vero e proprio

  • Mappe dei processi e dei rischi

  • Cronoprogramma dei controlli

  • Certificazione rilasciata da professionista indipendente, con data certa anteriore all’opzione

  • Dichiarazione sostitutiva attestante la veridicità del sistema

L’effettiva validità dell’opzione è subordinata al caricamento completo della documentazione tramite il modello telematico previsto dal DM e approvato dall’Agenzia. Ogni elemento dev’essere coerente con la dimensione aziendale e con il principio di effettività: la semplice presenza del documento, infatti, non basta. È necessaria la prova della concreta operatività del modello, misurabile tramite test e audit periodici.

Le Linee guida rappresentano dunque uno strumento operativo, ma anche una checklist di conformità per imprese e professionisti: non rispettare anche uno solo degli standard minimi può comportare l’inammissibilità dell’opzione, con perdita automatica dei benefici fiscali, penali e reputazionali connessi.

Per questo motivo è essenziale che le aziende adottino un approccio metodico, affiancandosi a consulenti con competenze specifiche in ambito TCF, risk management e controllo interno, capaci di tradurre i requisiti normativi in strumenti concreti e sostenibili.

Conclusione

Il Tax Control Framework si configura oggi come molto più di un semplice adempimento normativo: rappresenta un nuovo paradigma di relazione tra imprese e fisco, fondato su trasparenza, prevenzione e responsabilità condivisa. Le recenti riforme hanno reso il TCF accessibile a una platea ben più ampia di contribuenti, aprendo la strada a una gestione fiscale strutturata e certificata, anche per le PMI.

La possibilità di ottenere benefici concreti è solo una parte del valore aggiunto. Il vero potenziale risiede nella capacità del TCF di integrare la compliance fiscale nella strategia aziendale, contribuendo a migliorare la reputazione, aumentare l’affidabilità sul mercato e ridurre il rischio di contenziosi.

Tuttavia, il successo dell’adozione del TCF dipende da due fattori determinanti:

  1. La capacità dell’impresa di modellare il sistema in base alle proprie specificità, evitando sia soluzioni standardizzate eccessivamente onerose sia approcci formali privi di sostanza.

  2. La competenza e il ruolo attivo dei professionisti, chiamati a svolgere un’attività di certificazione rigorosa, ma anche di affiancamento consulenziale, capace di tradurre le Linee guida in strumenti operativi sostenibili.

È il momento, quindi, per imprese e consulenti di rivedere la propria governance fiscale, investire in modelli interni solidi e cogliere le opportunità offerte da un sistema che, se ben implementato, può garantire più certezza, meno rischi e maggiore competitività. In un contesto sempre più orientato alla trasparenza e alla rendicontazione, il TCF diventa una scelta strategica, non solo per il fisco, ma per il futuro stesso dell’impresa.

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