Nella bozza della Legge di Bilancio 2026 ha iniziato a circolare un emendamento che sta già facendo molto discutere: l’introduzione della cosiddetta “ritenuta universale” all’1% sui pagamenti tra imprese, anche in ambito B2B. Un provvedimento che, se approvato, introdurrebbe una nuova forma di ritenuta d’acconto obbligatoria su tutte le transazioni soggette a fattura elettronica tra partite IVA.
Sommario
L’obiettivo dichiarato del Governo è contrastare l’evasione fiscale in modo più capillare, attraverso un sistema automatico che permetta all’Agenzia delle Entrate di trattenere in tempo reale una percentuale su ogni pagamento tra soggetti IVA. Ma dietro questa misura si nasconde il rischio concreto di peggiorare la liquidità delle imprese, in particolare quelle medio-piccole, che si troverebbero ad anticipare imposte su incassi ancora non consolidati o di entità marginale.
Il provvedimento ha sollevato immediate critiche da parte delle associazioni di categoria e degli ordini professionali, che ne evidenziano l’impatto negativo su flussi di cassa, semplificazione e correttezza del sistema fiscale. Ma soprattutto, sta sorgendo una domanda cruciale tra imprenditori e professionisti: esistono strumenti legali per evitarla o mitigarla?
In questo articolo analizziamo nel dettaglio cos’è la ritenuta universale all’1%, a chi si applica, quali sono i rischi reali per le imprese e quali possibili strategie di difesa fiscale è possibile adottare.
Come funziona la ritenuta universale all’1%
La proposta della ritenuta universale dell’1% inserita tra gli emendamenti alla Legge di Bilancio 2026 rappresenta, nei fatti, una richiesta di anticipo fiscale alle imprese e ai professionisti. Secondo quanto dichiarato dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo, durante un webinar del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, la misura andrebbe intesa come “una sorta di scambio” rispetto a un altro intervento discusso in manovra: il blocco totale delle compensazioni tra crediti e debiti fiscali e contributivi.
La norma è ancora in bozza, ma prevede che dal 1° gennaio 2029 venga applicata una ritenuta d’acconto dell’1% su tutte le fatture emesse tra soggetti IVA, relative a cessioni di beni e prestazioni di servizi in ambito B2B. In pratica, il soggetto committente (cioè chi paga) tratterrà l’1% sull’imponibile, al netto dell’IVA, e sarà obbligato a versarlo direttamente all’Erario.
Importante precisare che questa ritenuta:
-
Non si applicherà alle partite IVA in regime forfettario;
-
Saranno esonerati anche i soggetti che aderiscono al concordato preventivo biennale o al regime di adempimento collaborativo;
-
Sarà limitata alle operazioni tra soggetti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione.
Secondo la relazione tecnica all’emendamento, l’obiettivo è duplice: ridurre l’assessment gap (cioè l’evasione da omessa dichiarazione) e contenere il collection gap (mancato versamento dell’imposta già dichiarata). Si punta così a un prelievo anticipato e diffuso, automatizzato tramite fattura elettronica, per migliorare la compliance fiscale.
Criticità e rischi della ritenuta universale
Se da un lato l’introduzione della ritenuta universale dell’1% mira a migliorare l’efficacia della riscossione fiscale, dall’altro lato comporta diversi problemi concreti per le imprese, specie le PMI e i professionisti in contabilità semplificata. Il primo e più evidente è l’impatto diretto sulla liquidità aziendale: ogni pagamento ricevuto sarà decurtato dell’1% (al netto dell’IVA), creando un’anticipazione forzata d’imposta che, in molti casi, potrebbe generare crediti fiscali difficilmente recuperabili in tempi brevi.
A differenza delle attuali ritenute d’acconto previste ad esempio per i lavoratori autonomi (che si applicano su compensi professionali e sono regolate dall’art. 25 del DPR 600/73), la ritenuta universale sarebbe automatizzata e trasversale, coinvolgendo qualsiasi transazione B2B. Inoltre, non si tratterebbe di una ritenuta “su richiesta” o limitata a specifiche prestazioni: la misura agirebbe sistematicamente su tutte le fatture.
Un ulteriore aspetto critico riguarda la gestione amministrativa.
Il committente dovrebbe:
-
Verificare se il fornitore è esonerato (forfettario, in concordato preventivo, ecc.);
-
Calcolare la ritenuta sull’imponibile;
-
Trattenerla e versarla all’Erario entro i termini previsti;
-
Rilasciare la certificazione al fornitore e tenerne traccia ai fini del modello 770.
Tutto ciò aggrava gli adempimenti per le imprese, che già operano in un contesto burocratico complesso. Inoltre, genera un’asimmetria fiscale: chi emette la fattura incassa meno (pur avendo dichiarato un imponibile pieno), mentre chi la paga assume l’onere della trattenuta e del versamento.

Come evitare la ritenuta universale
La ritenuta universale all’1%, se entrerà effettivamente in vigore dal 2029, non sarà applicata in modo indiscriminato. La bozza della norma prevede importanti esenzioni, che possono essere sfruttate da imprese e professionisti per tutelare la propria liquidità e semplificare la gestione fiscale. Le due vie principali per evitarla sono:
1. Concordato Preventivo Biennale (CPB)
Si tratta di un istituto introdotto con la Riforma Fiscale, destinato soprattutto a lavoratori autonomi e imprese minori. Chi aderisce al CPB accetta un reddito d’imposta predefinito (concordato con l’Agenzia delle Entrate) per due anni, indipendentemente dall’andamento reale. In cambio, ottiene semplificazioni e vantaggi fiscali, tra cui – secondo l’emendamento – l’esonero dalla ritenuta universale.
Questo strumento può diventare strategico per le partite IVA ordinarie che operano in modo trasparente e vogliono evitare prelievi forzosi sui flussi di cassa.
2. Adempimento Collaborativo
Un regime riservato a imprese con ricavi superiori a 1 miliardo di euro (soglia che sarà abbassata progressivamente fino a 100 milioni), basato su un dialogo costante con il Fisco e su un sistema di tax compliance avanzato. Anche in questo caso, l’adesione garantisce l’esonero dalla ritenuta universale.
Altri soggetti esonerati
-
Regime forfettario: esclusione totale prevista;
-
Operazioni fuori campo IVA o non soggette a fatturazione elettronica, su cui si attendono chiarimenti ufficiali.
In sostanza, aderire a uno di questi regimi non solo migliora il rapporto con il Fisco, ma permette di non subire un prelievo anticipato potenzialmente penalizzante. Tuttavia, la scelta va valutata attentamente insieme al proprio consulente, in base al volume d’affari, alla redditività e alla struttura fiscale dell’impresa.
Professionisti e PMI a rischio squilibrio
L’introduzione della ritenuta universale all’1% sui pagamenti tra soggetti IVA rischia di avere un impatto sproporzionato proprio su quella fascia di contribuenti che rappresenta l’ossatura economica del Paese: i piccoli professionisti, gli artigiani e le PMI. Parliamo di soggetti che, pur operando in contabilità ordinaria o semplificata, non rientrano nel forfettario e nemmeno nei regimi “premianti” come il concordato preventivo biennale.
Per questi operatori, la ritenuta all’1% rappresenterebbe un prelievo obbligatorio a monte, su flussi di cassa spesso già sotto pressione. A differenza delle grandi imprese, che possono contare su strumenti avanzati di pianificazione fiscale, le PMI non dispongono sempre delle risorse per ottimizzare la propria posizione fiscale e gestire con precisione i crediti IRPEF o IRES derivanti dalle ritenute subite.
Inoltre, si rischia una doppia penalizzazione:
-
A livello finanziario, per via della riduzione immediata degli incassi;
-
A livello operativo, per l’aumento degli adempimenti amministrativi sia in fase di emissione che di ricezione delle fatture.
Un altro problema concreto riguarda la distorsione competitiva. Le imprese aderenti ai regimi esonerati (come il CPB o l’adempimento collaborativo) potrebbero offrire prezzi più competitivi, grazie al fatto di non subire la trattenuta, mentre le altre si vedrebbero costrette ad aumentare i margini per compensare la perdita di liquidità.
Infine, va considerato che una misura di questo tipo, pensata per contrastare l’evasione, potrebbe invece penalizzare proprio i contribuenti più corretti, lasciando invariata la posizione di chi già opera fuori dai circuiti ufficiali.

La logica fiscale della ritenuta universale
L’obiettivo dichiarato dell’introduzione della ritenuta universale all’1% è duplice: contrastare l’evasione fiscale e aumentare l’efficienza della riscossione, agendo preventivamente sull’incasso dell’imposta, prima ancora che venga dichiarata o versata. Una logica che rientra in una più ampia strategia dell’Agenzia delle Entrate per ridurre i margini di elusione e migliorare la tax compliance.
Nel nostro ordinamento non è la prima volta che si ricorre a meccanismi di prelievo anticipato.
Esempi significativi sono:
Reverse charge
Usato in ambito IVA, prevede che l’imposta venga autoliquidata dal destinatario della fattura, anziché dal fornitore. Serve a contrastare l’evasione nell’ambito delle operazioni “a catena”, come nel settore edile o tecnologico. Anche qui, il principio è quello di spostare il momento dell’obbligo fiscale più vicino al pagamento effettivo, evitando che l’imposta venga incassata e poi non versata.
Split payment
Adottato per operazioni con la PA e grandi società pubbliche, lo split payment impone che l’IVA venga trattenuta dall’ente pubblico committente e versata direttamente all’Erario, anziché al fornitore. Anche in questo caso, il fornitore riceve un pagamento decurtato dell’IVA, che però non gestisce più direttamente.
In entrambi i casi, come nella ritenuta universale, l’intento è tagliare fuori l’anello debole della catena fiscale, cioè il rischio che il soggetto passivo incassi ma non versi.
La differenza sostanziale con la ritenuta universale è che questa non riguarda l’IVA, ma l’imposta diretta, e quindi ha effetti diretti sulla base imponibile IRPEF o IRES. Inoltre, mentre split payment e reverse charge si applicano a specifici settori o soggetti, la ritenuta universale avrebbe un ambito molto più ampio e trasversale, interessando potenzialmente milioni di operazioni B2B ogni anno.
Le reazioni di commercialisti e associazioni
L’emendamento sulla ritenuta universale all’1% non ha tardato a sollevare forti critiche da parte del mondo professionale e imprenditoriale. In particolare, i commercialisti e le principali associazioni di categoria hanno espresso preoccupazione per l’impatto negativo che questa misura potrebbe avere sull’economia reale e sulla gestione fiscale quotidiana delle imprese.
Durante il webinar organizzato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (CNDCEC)– dove è intervenuto anche il viceministro Maurizio Leo – sono emerse diverse perplessità:
-
La ritenuta anticipata penalizza le imprese in regola, anziché colpire quelle irregolari;
-
Si introduce un ulteriore adempimento burocratico, che complica anziché semplificare;
-
Il meccanismo genera inefficienze nei flussi di cassa, riducendo la liquidità disponibile.
Secondo i rappresentanti dei professionisti, si tratterebbe di una misura che scarica sulle imprese – e non sull’amministrazione finanziaria – il peso del contrasto all’evasione, aumentando la complessità di una macchina fiscale già difficile da gestire.
Anche Confartigianato, CNA e Confcommercio hanno preso posizione, chiedendo al Governo di valutare misure alternative, più equilibrate e meno penalizzanti per chi già opera nella legalità. In particolare, si teme che il provvedimento possa disincentivare l’emersione e favorire pratiche elusive, come lo spostamento verso i regimi forfettari (esenti dalla ritenuta), alterando la concorrenza nel mercato.
La speranza delle categorie è che, nella stesura definitiva della Legge di Bilancio 2026, l’emendamento venga modificato o eliminato, o quanto meno accompagnato da correttivi strutturali che ne mitigano l’impatto.
Conclusione
La proposta di ritenuta universale all’1% inserita nella Legge di Bilancio 2026 rappresenta una svolta significativa nel rapporto tra Fisco e imprese. Dietro la finalità dichiarata di contrastare l’evasione si cela però il rischio concreto di introdurre un meccanismo fiscale penalizzante per i soggetti più virtuosi e regolari, soprattutto nel mondo delle PMI, dei professionisti e degli artigiani.
È evidente che il Governo sta puntando verso un sistema di tassazione sempre più anticipata, automatica e controllata, sfruttando le potenzialità della fatturazione elettronica e dei flussi digitali. Tuttavia, ogni intervento normativo deve tener conto delle dinamiche reali dell’economia, della liquidità delle imprese e della necessità di semplificare, non complicare, gli adempimenti fiscali.
In attesa della versione definitiva della norma, il consiglio per imprese e professionisti è di iniziare già ora un confronto strategico con il proprio commercialista, valutando:
-
L’adesione a regimi agevolati come il Concordato Preventivo Biennale;
-
L’impatto effettivo della misura sul proprio cash flow;
-
La gestione corretta dei crediti d’imposta, per non restare esposti finanziariamente.
Solo una pianificazione fiscale proattiva e consapevole potrà trasformare questo possibile svantaggio in un’occasione di ottimizzazione e trasparenza. Restare aggiornati, analizzare i rischi e scegliere il regime fiscale più adatto sono oggi più che mai strumenti essenziali per restare competitivi.

