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giovedì 30 Ottobre 2025

Rimborsi spese nel regime forfettario: sono davvero imponibili? Analisi critica dell’articolo 54 del TUIR

Chi lavora come libero professionista sa bene quanto possa essere complicato districarsi nel labirinto delle norme fiscali italiane. Uno dei temi più dibattuti degli ultimi mesi riguarda la tassabilità dei rimborsi spese analitici percepiti dai lavoratori autonomi, in particolare da coloro che operano in regime forfettario. A seguito delle modifiche normative intervenute nel 2024 e ulteriormente aggiornate con il Decreto Legge 17 giugno 2025, n. 84, la disciplina sembrava finalmente orientata verso una maggiore equità fiscale. Tuttavia, rimangono aperti dubbi interpretativi rilevanti, in particolare per i professionisti forfettari che si trovano a dover riaddebitare spese vive al proprio cliente, senza però godere di un’esenzione chiara e definitiva sull’imponibilità di tali rimborsi.

La questione ha importanti implicazioni pratiche e teoriche: è corretto far pagare imposte su un rimborso che non rappresenta un reddito vero e proprio, ma solo una mera restituzione di una spesa sostenuta nell’interesse del committente? Oppure siamo davanti all’ennesimo vuoto normativo che colpisce ancora una volta i piccoli professionisti?

In questo articolo analizzeremo criticamente le argomentazioni pro e contro la tassabilità dei rimborsi, con un focus sui lavoratori in regime forfettario, esaminando la normativa, le prassi e i dubbi applicativi più rilevanti, per cercare di fare chiarezza su una delle questioni fiscali più controverse del 2025.

Cosa dice la normativa

Prima di addentrarci nella questione della tassabilità dei rimborsi spese analitici per i lavoratori autonomi in regime forfetario, è necessario chiarire un punto fondamentale: il regime forfetario non rappresenta una categoria reddituale autonoma. Chi aderisce a questo regime continua a produrre reddito d’impresa o di lavoro autonomo, così come definito dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.). L’articolo 1, comma 54 della Legge n. 190/2014, infatti, stabilisce che i contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni possono applicare il regime forfetario, ma non ne modifica la qualificazione reddituale.

Quello che cambia, semmai, è il metodo di calcolo dell’imponibile: si applica una percentuale di redditività sui ricavi o compensi, senza possibilità di dedurre le spese effettivamente sostenute. Tuttavia, ciò non influisce sulla natura del compenso, che continua a essere determinato secondo le regole generali, come stabilito dall’art. 54 del T.U.I.R. In questo senso, anche per i contribuenti in regime forfetario, non tutti gli importi ricevuti costituiscono reddito imponibile.

L’art. 54, comma 2, lettera b) esclude espressamente dal reddito di lavoro autonomo i rimborsi analiticamente documentati e sostenuti per l’esecuzione di un incarico. Non vi è alcuna indicazione che tale norma si applichi solo ai soggetti in regime ordinario. Anzi, nella stessa disposizione si trovano altre esclusioni, come quelle relative ai contributi previdenziali addebitati al cliente, che nessuno ha mai messo in discussione in relazione alla loro validità per i contribuenti forfetari. Dunque, l’interpretazione letterale e sistematica della norma suggerisce che anche i lavoratori autonomi forfetari dovrebbero beneficiare della non imponibilità dei rimborsi analitici.

Interpello sul bollo

Una delle argomentazioni spesso richiamate per sostenere la tassabilità dei rimborsi spese analitici nel regime forfetario riguarda la risposta a interpello n. 428 del 2022. In tale occasione, l’Agenzia delle Entrate affermò che l’importo dell’imposta di bollo addebitata in fattura al cliente assume natura di ricavo o compenso, concorrendo così alla determinazione forfetaria del reddito.

Tuttavia, utilizzare questo orientamento per giustificare l’imponibilità dei rimborsi spese analitici documentati appare poco convincente e tecnicamente scorretto. La risposta dell’Agenzia, infatti, non si riferisce esclusivamente ai contribuenti forfetari, ma riguarda tutti coloro che emettono fatture non soggette a IVA (es. operazioni esenti ai sensi dell’art. 10 o escluse ex art. 15 del D.P.R. 633/1972). L’obbligo di applicare il bollo è quindi una regola generale, che prescinde dal regime fiscale adottato.

Ma il punto centrale è un altro: nel caso del bollo, si tratta di un costo proprio del prestatore del servizio, non di un onere sostenuto per conto del cliente. Lo chiarisce la stessa risposta n. 428: “l’obbligo di apporre il contrassegno sulle fatture è a carico del soggetto che le emette”. Si tratta quindi di un costo inerente all’attività del professionista, il quale, pur potendo riaddebitarlo in fattura, non cessa di esserne il soggetto passivo.

Al contrario, nei rimborsi spese analitici documentati, il professionista sostiene un costo in nome e per conto del cliente: si tratta di una spesa che non ha natura di compenso, e che, proprio per questo, è esclusa dal reddito secondo l’art. 54 del T.U.I.R. Pertanto, equiparare il bollo ai rimborsi analitici rappresenta un errore di inquadramento giuridico, che rischia di generare confusione e di giustificare, senza fondamento, una tassazione indebita a carico del professionista forfetario.

Rimborsi Spese e Regime Forfetario - Commercialista.it

Disparità con gli imprenditori

Un’altra argomentazione avanzata per sostenere la tassabilità dei rimborsi analitici per i forfetari riguarda l’asserita disparità di trattamento che si verificherebbe tra lavoratori autonomi e imprenditori in regime forfetario. Secondo questa tesi, poiché la norma che esclude i rimborsi dal reddito è contenuta nella parte del T.U.I.R. riferita ai redditi di lavoro autonomo (art. 54), i soggetti che producono reddito d’impresa resterebbero esclusi da tale agevolazione. Pertanto, estenderne l’applicazione agli autonomi forfetari (e non agli imprenditori forfetari) creerebbe una disparità di trattamento non giustificata.

Tuttavia, questa osservazione non regge ad un’analisi più approfondita. L’ordinamento tributario italiano è pieno di differenze strutturali tra le due categorie reddituali. Le spese di rappresentanza, ad esempio, sono deducibili in misura diversa: fino all’1% dei compensi per i professionisti e fino all’1,5% dei ricavi (entro i 10 milioni di euro) per gli imprenditori. Anche la deducibilità degli immobili è trattata in modo differente: gli imprenditori possono ammortizzarli, mentre i lavoratori autonomi – salvo casi particolari – no.

Queste differenze, quindi, non sono una novità e non costituiscono di per sé una violazione del principio di equità fiscale. Al contrario, rispecchiano la diversità funzionale tra le due tipologie di reddito. Pretendere che una norma contenuta nel titolo del T.U.I.R. relativo al lavoro autonomo debba valere anche per gli imprenditori, o altrimenti essere disapplicata, sarebbe un errore interpretativo.

Dunque, l’argomento della presunta “disparità di trattamento” non è sufficiente a escludere l’applicabilità dell’art. 54 ai lavoratori autonomi in regime forfetario. Anzi, una corretta lettura sistematica e costituzionalmente orientata spinge nella direzione opposta: garantire la neutralità fiscale dei rimborsi analitici anche in presenza di regimi agevolati, quando questi non hanno natura reddituale.

Relazione tecnica e invarianza

Tra le argomentazioni più sottili ma spesso invocate per giustificare la tassabilità dei rimborsi analitici per i soli contribuenti forfetari, figura quella contenuta nella Relazione tecnica di accompagnamento al D. Lgs. 192/2024. Secondo questa lettura, poiché la relazione dichiara espressamente che la disposizione sull’esclusione dei rimborsi “non determina effetti rispetto a quanto già disposto a legislazione vigente”, se ne dovrebbe dedurre che la norma non può riguardare i forfetari, i quali invece avrebbero effettivamente un beneficio fiscale dalla sua applicazione. In effetti, per un contribuente forfetario, l’introduzione della norma comporterebbe un effetto concreto: l’eliminazione della tassazione su somme che non hanno natura di compenso, mentre precedentemente erano soggette a imposizione piena.

Tuttavia, se questo fosse stato davvero l’intento del legislatore – escludere i forfetari dall’ambito applicativo della norma – ci si aspetterebbe una esplicita previsione normativa o quantomeno una chiara precisazione nella Relazione stessa. Nulla di tutto ciò si trova nel testo legislativo o negli atti ufficiali. E, come ben insegna il principio “ubi lex voluit, dixit”, quando il legislatore ha voluto escludere esplicitamente qualcuno da una norma, lo ha fatto in modo chiaro.

Inoltre, la Relazione illustrativa alla legge delega n. 111/2023, che ha ispirato il decreto, chiarisce senza ambiguità che l’obiettivo del legislatore era superare la criticità per i lavoratori autonomi di dover considerare come compensi somme che in realtà sono spese sostenute per conto del committente. Tali spese sono descritte come “proprie del committente”, e la loro imposizione in capo al professionista viene vista come un’anomalia.

Un ulteriore aspetto da considerare è il contrasto di interessi tra professionista e committente, richiamato nella stessa Relazione. Questo meccanismo è considerato dal legislatore una garanzia contro possibili abusi: il committente non ha alcun interesse a rimborsare spese non realmente sostenute dal prestatore. Ed è evidente che tale contrasto non viene meno solo perché il lavoratore autonomo opera in regime forfetario. La ratio della norma, quindi, è valida anche per i forfetari, e anzi, sarebbe illogico escluderli proprio laddove la criticità da correggere si manifesta con maggiore forza, non potendo questi dedurre i costi.

In conclusione, l’argomento dell’invarianza finanziaria non appare sufficiente a negare l’applicazione della nuova disciplina ai lavoratori autonomi forfetari. La lettura sistematica della normativa, unita alla volontà espressa nella legge delega, porta invece a ritenere che l’esclusione dei rimborsi spese analitici dal reddito debba valere anche per loro.

Rimborsi Spese e Regime Forfetario - Commercialista.it

Questione aperta e incertezza

Alla luce dell’analisi condotta finora, pare difficile sostenere in maniera convincente che l’art. 54, comma 2, lett. b) del T.U.I.R. non si applichi ai lavoratori autonomi forfetari. Le tre argomentazioni comunemente avanzate per escluderli – la risposta ad interpello sul bollo, la presunta disparità con gli imprenditori forfetari, e il principio di invarianza finanziaria – non reggono a un esame tecnico rigoroso.

L’unico elemento che potrebbe essere preso in seria considerazione è quello legato al possibile impatto, seppur limitato, sul gettito fiscale, che l’estensione dell’esclusione potrebbe comportare. Tuttavia, si tratta di un effetto numericamente contenuto: secondo le stime contenute nella Relazione tecnica, l’ammontare dei rimborsi spese documentati per i professionisti ordinari ammontava nel 2022 a circa 9,6 milioni di euro, e considerando che circa la metà delle partite IVA in Italia opera in regime forfetario, è evidente come l’eventuale perdita di gettito sia marginale, specie in relazione agli effetti positivi in termini di equità e neutralità fiscale.

D’altra parte, una lettura strettamente letterale dell’articolo 54 non offre alcuna base per escludere i forfetari. Non vi è traccia di un’esclusione esplicita, né elementi interpretativi sufficientemente solidi per affermarne una in via implicita. La stessa Relazione illustrativa alla legge delega n. 111/2023 evidenzia chiaramente che il legislatore ha inteso superare la criticità legata alla tassazione di spese che non rappresentano compensi, e non ha distinto, né in positivo né in negativo, tra forfetari e ordinari.

In questo scenario, l’assenza di un chiarimento ufficiale dell’Agenzia delle Entrate alimenta un clima di incertezza, che rischia di penalizzare ingiustamente i professionisti più piccoli. In attesa di tale intervento, non manca chi sostiene, legittimamente, che vi siano validi argomenti per escludere tali rimborsi dal reddito imponibile, anche nel regime forfetario. E laddove si dovesse aprire un contenzioso, non è da escludere che le Commissioni Tributarie possano riconoscere la fondatezza di tale impostazione, sulla base del principio di capacità contributiva e della corretta qualificazione del reddito.

Guida operativa 

In attesa di un chiarimento formale da parte dell’Agenzia delle Entrate, i lavoratori autonomi in regime forfetario si trovano davanti a un dilemma operativo di non poco conto: come trattare i rimborsi spese analitici documentati nelle proprie fatture? Includerli nel calcolo del reddito imponibile soggetto a imposta sostitutiva, oppure escluderli, ritenendo applicabile la nuova formulazione dell’art. 54, comma 2, lett. b), anche in ambito forfetario?

Dal punto di vista contabile, il forfetario non ha l’obbligo di distinguere tra costi deducibili e non deducibili, poiché il reddito imponibile viene determinato applicando il coefficiente di redditività ai compensi percepiti. Tuttavia, la questione diventa centrale quando nella fattura emessa dal professionista compare un importo per “spese anticipate” (es. viaggi, alloggio, trasferte), supportato da documentazione analitica ma intestata al prestatore e non al committente.

L’inserimento di tali importi nel totale fattura, come avviene di norma, determina un aumento del “compenso complessivo” che viene poi sottoposto a tassazione secondo le regole del regime forfetario. In assenza di una norma di esclusione specifica (come avviene invece per i contributi previdenziali addebitati in fattura), il rischio fiscale rimane aperto.

Alcuni professionisti adottano un’impostazione prudenziale: includono tutto nel reddito imponibile, rinunciando all’esclusione dei rimborsi, per evitare potenziali rilievi in sede di controllo. Altri, invece, sostengono anche con il supporto del proprio consulente fiscale che vi siano fondati motivi giuridici per escludere tali rimborsi, stante il tenore letterale della norma e i principi sistematici sopra analizzati. In questi casi, il documento fiscale viene integrato da una annotazione esplicita (“rimborso spese analitiche escluse dal reddito ai sensi dell’art. 54, c. 2, lett. b, T.U.I.R.”), accompagnata da un fascicolo documentale a supporto delle spese sostenute.

In mancanza di un orientamento uniforme, si impone la necessità di valutazioni caso per caso, in base al tipo di attività, all’entità delle spese rimborsate, e al rischio fiscale percepito dal contribuente. Ma è evidente che una situazione normativa così ambigua non è degna di un sistema fiscale moderno e orientato alla compliance.

Conclusioni

La questione della tassabilità dei rimborsi spese analitici per i lavoratori autonomi in regime forfetario si inserisce in un più ampio scenario di riforma fiscale che, seppur ambizioso nei principi, lascia ancora zone d’ombra operative di non poco conto. L’intervento normativo introdotto con l’art. 54, comma 2, lett. b) del T.U.I.R., così come riformulato dal D. Lgs. 192/2024 e integrato dal D.L. 84/2025, sembra chiaramente orientato a eliminare una distorsione impositiva storica, eppure l’Agenzia delle Entrate non ha ancora espresso una posizione ufficiale sulla sua applicabilità ai contribuenti forfetari.

L’analisi condotta dimostra che le principali argomentazioni avanzate per escludere i forfetari dal beneficio della non imponibilità non reggono ad un esame tecnico e sistematico. Tanto più che la legge delega sottolinea la necessità di superare la criticità fiscale legata all’assimilazione a compensi di somme che, nei fatti, sono meri rimborsi per spese sostenute nell’interesse del cliente.

In questo quadro, appare sempre più urgente un intervento chiarificatore dell’Amministrazione finanziaria, che possa uniformare le prassi applicative ed evitare contenziosi inutili. Fino ad allora, il professionista in regime forfetario dovrà valutare con attenzione il proprio comportamento, potendo però contare su solide basi normative per escludere i rimborsi documentati dal proprio reddito imponibile, adottando nel contempo cautele documentali e formali idonee a difendere la propria posizione in caso di accertamento.

Come spesso accade nel nostro sistema fiscale, in attesa della chiarezza normativa, a guidare l’azione quotidiana resta solo il buonsenso professionale.

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