Negli ultimi anni il Regime degli Impatriati è diventato uno degli strumenti più utilizzati per attrarre capitale umano in Italia, offrendo una consistente riduzione della base imponibile per i redditi da lavoro. Tuttavia, un recente chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate – la Risposta n. 274/2025 – ha evidenziato un importante limite applicativo del regime: i compensi differiti, come bonus pluriennali o piani di incentivazione azionaria (LTIP, Deferred Bonus), non possono godere dell’agevolazione fiscale se percepiti dopo il trasferimento all’estero, anche se riferiti a prestazioni lavorative svolte in Italia durante la permanenza nel regime agevolato.
Sommario
Questa precisazione ha suscitato notevole interesse nel mondo delle imprese e tra i professionisti del settore fiscale, in quanto impatta direttamente sulla pianificazione fiscale internazionale dei lavoratori impatriati, soprattutto quelli con carriere internazionali e mobilità elevata. Inoltre, mette in discussione la sostenibilità di alcuni meccanismi retributivi adottati dalle aziende per attrarre o trattenere talenti in Italia.
Nell’articolo che segue analizzeremo nel dettaglio cosa prevede la norma, cosa ha chiarito l’Agenzia, i rischi fiscali per i lavoratori e le implicazioni per le aziende. Vedremo anche come pianificare correttamente l’espatrio per evitare spiacevoli sorprese fiscali.
Incentivi maturati in Italia ma percepiti all’estero
La questione oggetto dell’interpello riguarda una situazione sempre più frequente tra i lavoratori altamente qualificati che si spostano tra diversi Paesi: cosa accade ai bonus differiti maturati in Italia ma percepiti dopo il trasferimento all’estero? La società italiana coinvolta nel caso aveva assunto, nel 2021, tre dipendenti provenienti dall’estero, i quali avevano acquisito la residenza fiscale italiana e usufruito del regime impatriati per il triennio 2021–2024.
Durante la loro permanenza in Italia, erano stati loro assegnati:
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un Long Term Incentive Plan (LTIP) nel 2022, con maturazione prevista nel 2025;
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un Deferred Bonus Plan nel 2023, con erogazione prevista anch’essa nel 2025.
Nel corso del 2024, però, i lavoratori avevano risolto il rapporto di lavoro con l’azienda e trasferito la residenza fiscale in Grecia. A questo punto, l’azienda, in qualità di sostituto d’imposta, ha interpellato l’Agenzia delle Entrate per sapere se questi compensi differiti potessero ancora beneficiare del regime agevolato previsto dall’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, dato che erano collegati a prestazioni lavorative effettuate in Italia mentre i lavoratori risultavano fiscalmente residenti.
L’azienda ha sostenuto che, sulla base del principio di territorialità del reddito (art. 3 e 23 del TUIR) e della Convenzione Italia-Grecia contro le doppie imposizioni, il reddito doveva ritenersi “prodotto in Italia” e quindi agevolabile. Un punto, questo, apparentemente logico ma che ha portato a una risposta sorprendente da parte dell’Agenzia.
La posizione dell’ADE
Con la Risposta n. 274 del 2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito in modo definitivo un punto fondamentale: il regime impatriati non si applica ai redditi percepiti dopo la perdita della residenza fiscale italiana, anche se riferiti ad attività lavorative svolte in Italia durante il periodo di validità del regime.
L’Amministrazione finanziaria ha infatti ribadito che, per fruire dell’agevolazione prevista dall’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, è necessario che il lavoratore sia fiscalmente residente in Italia al momento della percezione del reddito. In sostanza, il momento in cui il reddito “entra” nella disponibilità del contribuente è determinante, non importa se il bonus o l’incentivo si riferisce a prestazioni effettuate quando il lavoratore era residente.
La motivazione si basa sulla natura stessa del regime impatriati, che rappresenta un regime agevolativo personale connesso allo status di residente fiscale. Pertanto, se al momento dell’erogazione del bonus il contribuente risiede all’estero, viene meno il presupposto soggettivo per applicare l’agevolazione.
Viene quindi scardinata la tesi dell’istante che faceva leva sulla territorialità del reddito: non è sufficiente che il reddito sia “prodotto” in Italia, ma è imprescindibile che il beneficiario sia ancora fiscalmente residente nel nostro Paese. In altre parole, il criterio temporale della percezione effettiva prevale su quello della maturazione del diritto economico.
Questa interpretazione, seppur rigorosa, chiarisce un aspetto spesso sottovalutato nella pianificazione degli espatri e nella gestione dei piani di incentivazione differita.

I chiarimenti dell’ADE
La Risposta n. 274/2025 conferma un principio già anticipato in altre pronunce, ma oggi reso ancor più rilevante: il regime impatriati si applica solo ai redditi percepiti durante il periodo di fruizione dell’agevolazione. L’Agenzia delle Entrate ha ribadito che, anche se i compensi differiti si riferiscono ad attività lavorative svolte in Italia, non è possibile estendere l’agevolazione a redditi percepiti dopo il trasferimento della residenza fiscale all’estero.
In base all’art. 51 del TUIR, per i redditi di lavoro dipendente vige il principio di cassa: ciò significa che il momento fiscalmente rilevante è quello della percezione effettiva, non della maturazione del diritto. Pertanto, se un bonus matura nel 2025 ma viene corrisposto quando il lavoratore ha già trasferito la residenza in Grecia, non potrà beneficiare del regime agevolato, anche se riferito ad attività svolta negli anni precedenti.
L’Agenzia richiama inoltre il paragrafo 7.9 della Circolare 33/E del 28 dicembre 2020, che già chiariva come i premi percepiti dopo la fuoriuscita dal regime impatriati siano tassati secondo le regole ordinarie. Non è prevista alcuna “proporzione” o retroattività dell’agevolazione.
Infine, viene confermato che, in base all’art. 15 della Convenzione Italia-Grecia contro le doppie imposizioni (Legge 445/1989), i redditi da lavoro dipendente restano imponibili anche in Italia se prodotti nel nostro territorio. Tuttavia, sarà poi la Grecia, in quanto nuovo Stato di residenza, a dover evitare la doppia imposizione, applicando i criteri convenzionali.
Implicazioni pratiche per lavoratori e aziende
Il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate non è solo una presa di posizione tecnica: ha forti ripercussioni pratiche per tutti i soggetti coinvolti. In primo luogo, i lavoratori impatriati devono essere consapevoli che, anche se hanno maturato bonus, premi o stock option durante la loro permanenza in Italia, non potranno usufruire delle agevolazioni fiscali se decidono di trasferire la residenza fiscale prima dell’erogazione effettiva di tali compensi. Questo comporta un aumento considerevole del carico fiscale, dovendo applicare le aliquote ordinarie IRPEF, che possono arrivare fino al 43% oltre alle addizionali.
Dal lato delle aziende, il rischio è duplice: da un lato devono gestire correttamente gli obblighi da sostituto d’imposta, individuando con precisione lo status fiscale del dipendente al momento dell’erogazione del bonus; dall’altro lato, devono rivalutare la struttura dei piani di incentivazione differita, spesso progettati senza considerare queste criticità. In particolare, nei contratti con professionisti internazionali e nei settori ad alta mobilità (tech, finanza, consulenza), sarà fondamentale inserire clausole contrattuali che regolino l’effettiva fruizione degli incentivi e le conseguenze fiscali di un eventuale espatrio.
Infine, dal punto di vista della pianificazione fiscale, diventa essenziale coordinare attentamente i tempi: una fuoriuscita anticipata dall’Italia, anche solo di pochi mesi, può generare una perdita significativa del vantaggio fiscale. Per questo motivo, una consulenza fiscale preventiva può fare la differenza tra un risparmio legittimo e un aggravio imprevisto.
Strategie per evitare la doppia imposizione
Il rischio di doppia imposizione fiscale, quando si percepiscono emolumenti differiti dopo un trasferimento all’estero, è concreto e deve essere gestito con attenzione, sia dai lavoratori che dalle imprese. Sebbene l’Agenzia delle Entrate abbia confermato che tali redditi restano imponibili in Italia, la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Grecia (art. 15) – e più in generale le convenzioni OCSE – prevedono che sia lo Stato di residenza del contribuente al momento della percezione a dover eliminare l’eventuale doppia tassazione.
Questo significa che il lavoratore, residente in Grecia nel momento in cui riceve il bonus, dovrà dichiarare il reddito anche in Grecia e potrà, in teoria, ottenere un credito d’imposta per le imposte già versate in Italia. Tuttavia, l’effettiva neutralizzazione della doppia imposizione dipende dalle regole greche e dalla loro interpretazione dell’accordo bilaterale. È quindi importante che il lavoratore si affidi a un consulente fiscale internazionale per garantire che i due sistemi fiscali siano coordinati correttamente.
Un’altra strategia efficace può consistere nel posticipare l’espatrio fino a quando tutti i compensi legati al periodo italiano siano stati effettivamente erogati. In alternativa, le aziende possono valutare la rimodulazione dei piani di incentivazione, legando la data di pagamento alla permanenza fiscale del lavoratore in Italia.
Infine, per evitare rischi di contestazione e rettifiche fiscali, è consigliabile che le imprese mantengano documentazione chiara su ogni piano di incentivazione e sui criteri di maturazione, anche in previsione di eventuali controlli.

Principio di territorialità e regime impatriati
Il caso analizzato nella Risposta n. 274/2025 mette in luce un aspetto critico del sistema fiscale italiano: il disallineamento tra il principio di territorialità del reddito e le condizioni soggettive del regime impatriati. Da un lato, infatti, l’articolo 23, comma 1, lettera c) del TUIR afferma chiaramente che i redditi da lavoro dipendente si considerano prodotti in Italia se l’attività lavorativa è svolta nel territorio nazionale. Dall’altro, però, il regime impatriati subordina l’agevolazione alla residenza fiscale del contribuente al momento della percezione del reddito (principio di cassa ex art. 51 TUIR).
Questo crea una frizione normativa: il reddito può essere fiscalmente “italiano” (perché prodotto in Italia), ma non beneficiare del regime agevolato se il contribuente, al momento del pagamento, non è più residente. Ciò risulta particolarmente penalizzante per quei lavoratori che hanno effettivamente svolto la propria attività nel Paese, contribuendo all’economia nazionale, ma che vedono negata l’agevolazione a causa di un elemento formale come la residenza fiscale nel periodo di incasso.
Questa incoerenza può generare situazioni paradossali, in cui due lavoratori che hanno svolto lo stesso tipo di attività in Italia e maturato lo stesso incentivo si trovano a subire trattamenti fiscali opposti, solo per una differenza nei tempi di erogazione o nella data di espatrio. In assenza di una modifica normativa, il rischio è che queste distorsioni disincentivino i professionisti stranieri a stabilirsi in Italia o a partecipare a piani di incentivazione complessi.
Contrattazione aziendale e gestione del rischio fiscale
Alla luce dei chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, è evidente che le aziende devono assumere un ruolo più attivo nella strutturazione dei contratti e dei piani di incentivazione differita, soprattutto nei confronti dei lavoratori che rientrano nel regime impatriati. Le imprese che offrono bonus pluriennali, piani LTIP o stock option devono tenere conto non solo dei criteri di maturazione, ma anche della tempistica di erogazione in relazione alla residenza fiscale del beneficiario.
Un primo strumento utile è la contrattazione individuale o collettiva, che può prevedere clausole esplicite sulle condizioni per l’erogazione dei bonus, legandole, ad esempio, alla permanenza del dipendente in Italia fino a una certa data o alla possibilità di anticipare l’erogazione nei casi in cui si preveda un trasferimento all’estero. Questo tipo di flessibilità contrattuale può aiutare a mantenere il beneficio fiscale e a evitare che il lavoratore venga penalizzato da scelte organizzative o da tempistiche indipendenti dalla sua volontà.
Inoltre, le aziende dovrebbero coinvolgere fin da subito i consulenti fiscali nella fase di progettazione dei piani retributivi, per garantire conformità normativa e ottimizzazione fiscale. È anche raccomandabile che le imprese predispongano informative chiare ai dipendenti, spiegando in modo trasparente le implicazioni fiscali legate ai bonus differiti e alla residenza fiscale.
In un contesto di crescente mobilità internazionale del lavoro, la gestione proattiva del rischio fiscale non è solo una misura di compliance, ma diventa un fattore competitivo per attrarre e trattenere talenti.
Riflessione normativa
La Risposta n. 274/2025 solleva una questione di fondo che va oltre il singolo caso: la necessità di un intervento normativo chiarificatore. L’attuale disciplina sul regime impatriati, pur essendo pensata per attrarre lavoratori altamente qualificati in Italia, non tiene adeguatamente conto delle dinamiche retributive moderne, spesso basate su sistemi di incentivazione a medio-lungo termine.
Il contrasto tra il principio di cassa (art. 51 del TUIR) e la maturazione economica del diritto al compenso porta a una perdita secca del beneficio fiscale in caso di semplice fuoriuscita temporale dal territorio italiano, anche in assenza di delocalizzazione artificiosa. Questa rigidità rischia di vanificare l’efficacia del regime agevolato, soprattutto in contesti aziendali internazionali, dove la mobilità è parte integrante del percorso professionale.
Una possibile soluzione normativa potrebbe consistere nell’introdurre una deroga mirata al principio di cassa per i redditi derivanti da piani di incentivazione riferiti ad attività svolta nel periodo di validità del regime impatriati, anche se percepiti successivamente. In alternativa, si potrebbe prevedere un meccanismo di proroga limitata del regime per consentire la fruizione dell’agevolazione anche in fase di erogazione post-residenza.
Queste modifiche non solo garantirebbero maggiore equità fiscale, ma renderebbero il sistema più competitivo rispetto ad altri Paesi europei che già prevedono regimi agevolati più flessibili e compatibili con la realtà dei lavoratori globali. La direzione dovrebbe essere quella di un fisco che segue la sostanza economica e non si ferma alla forma giuridica.
Conclusione
Il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 274/2025 rappresenta un punto di svolta per chi usufruisce del regime fiscale per impatriati e beneficia di emolumenti differiti come bonus pluriennali, stock option e piani di incentivazione a lungo termine. Il messaggio è chiaro: il beneficio fiscale si perde se il reddito viene percepito dopo il trasferimento della residenza fiscale all’estero, indipendentemente dal fatto che sia stato maturato durante il periodo di residenza in Italia.
Questa impostazione, basata sul rigido principio di cassa, impone a lavoratori e imprese una pianificazione fiscale estremamente precisa. I lavoratori devono valutare con attenzione quando espatriare, mentre le aziende devono considerare la residenza fiscale del dipendente al momento dell’erogazione dei compensi differiti, non solo al momento della loro maturazione.
Nel contesto attuale, in cui la mobilità internazionale dei lavoratori è in costante aumento, sarebbe auspicabile un intervento normativo che armonizzi le agevolazioni fiscali con le prassi retributive reali, evitando penalizzazioni che rischiano di rendere il regime impatriati meno attrattivo. Nel frattempo, diventa cruciale per tutti gli attori coinvolti adottare un approccio proattivo e strategico alla fiscalità internazionale, per non perdere opportunità di risparmio legittimo e per garantire il rispetto delle regole.

