L’8 e il 9 giugno 2025 l’Italia sarà chiamata a un importante appuntamento con la democrazia diretta. Cinque quesiti referendari su lavoro e cittadinanza arriveranno alle urne, dando la possibilità ai cittadini di esprimersi su alcuni dei temi più caldi e dibattuti degli ultimi anni. In un periodo storico segnato da trasformazioni economiche, precarizzazione del lavoro e dibattiti sull’integrazione, questi referendum rappresentano uno snodo fondamentale per ridefinire diritti e tutele.
Sommario
La posta in gioco non è banale: si tratta di referendum abrogativi, strumenti previsti dalla Costituzione italiana che consentono di cancellare – totalmente o parzialmente – leggi già in vigore. Quattro dei cinque quesiti sono stati promossi dalla CGIL, il maggiore sindacato italiano, in collaborazione con movimenti della società civile. Il quinto, invece, porta la firma del partito +Europa e vede il sostegno di Possibile, PSI, Radicali Italiani e Rifondazione Comunista. Tutte le proposte hanno superato con ampio margine il quorum delle 500.000 firme, sintomo evidente di un interesse popolare crescente verso questi temi.
Nel cuore delle consultazioni troviamo questioni legate ai licenziamenti illegittimi, contratti a termine, tutele negli appalti e un potenziale cambio epocale nelle regole per ottenere la cittadinanza italiana.
In questo articolo vedremo nel dettaglio ognuno dei cinque quesiti, fornendo un’analisi giuridica e sociale, e spiegheremo anche come si vota dall’estero, per chi vive fuori dai confini nazionali ma non vuole rinunciare al proprio diritto democratico.
Cosa cambia con un sì al Referendum
Tra i quesiti più rilevanti del Referendum 2025 vi è quello che punta a cancellare il contratto a tutele crescenti introdotto dal Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23, uno dei pilastri del Jobs Act. Questa normativa si applica ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 in aziende con più di 15 dipendenti, limitando significativamente la possibilità di reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento giudicato illegittimo.
Votare “Sì” significherebbe tornare alla versione originale dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che consentiva – a discrezione del giudice – il reintegro del lavoratore licenziato ingiustamente. La modifica è stata più volte oggetto di richiami da parte della Corte Costituzionale e di numerose sentenze della Corte di Cassazione, che hanno messo in luce come le attuali norme possano compromettere il diritto alla tutela effettiva.
Un secondo quesito interviene sulle indennità di licenziamento nelle piccole imprese (fino a 15 dipendenti), dove oggi il risarcimento massimo previsto è di sei mensilità, anche in caso di licenziamento privo di giustificato motivo. Votando “Sì”, il tetto verrebbe abolito, lasciando al giudice la libertà di quantificare l’indennizzo in base alla gravità del caso concreto. Questo cambiamento interesserebbe un bacino di circa 3,7 milioni di lavoratori, secondo i dati della CGIL. Pur non prevedendo la reintegra, il quesito mira a garantire una giustizia più equa e proporzionata per chi subisce un licenziamento ingiusto in aziende di piccole dimensioni.
Come si vota dall’estero
Anche chi vive oltre i confini italiani potrà esercitare il proprio diritto di voto nei referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025, grazie al voto per corrispondenza, disciplinato dalla Legge 27 dicembre 2001, n. 459. Gli italiani iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) riceveranno automaticamente, senza necessità di richiesta, un plico elettorale al proprio indirizzo estero entro il 21 maggio 2025. Una volta espresso il voto, l’elettore dovrà inviare la scheda al consolato di riferimento, che dovrà riceverla entro le ore 16:00 locali di giovedì 5 giugno 2025, pena l’annullamento del voto.
Per chi invece preferisce votare in Italia, era possibile esprimere questa opzione comunicandolo al proprio Ufficio consolare entro il 10 aprile 2025. Questa possibilità è particolarmente utile per chi prevede di trovarsi temporaneamente in Italia in occasione delle votazioni.
C’è inoltre una terza categoria di votanti: i cittadini temporaneamente all’estero (per lavoro, studio o motivi medici) per un periodo di almeno tre mesi che comprenda la data del referendum. Questi soggetti, così come i familiari conviventi, hanno la facoltà di votare per corrispondenza previa richiesta al proprio Comune di iscrizione elettorale entro il 7 maggio 2025. La domanda può essere inviata via posta, email o PEC, allegando copia del documento di identità.
Per dettagli aggiornati e per scaricare i moduli ufficiali, è sempre consigliabile consultare il sito del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale o rivolgersi al consolato competente.
Come e quando si vota
Il voto per i referendum abrogativi del 2025 si svolgerà in due giornate: domenica 8 giugno dalle ore 7:00 alle 23:00 e lunedì 9 giugno dalle ore 7:00 alle 15:00. Gli elettori italiani riceveranno cinque schede, una per ciascun quesito referendario, ognuna di colore diverso per facilitare la distinzione. Su ogni scheda, l’elettore potrà esprimere la propria volontà barrando “Sì” per abrogare la norma in oggetto oppure “No” per mantenerla in vigore.
Un elemento fondamentale per l’efficacia di ciascun referendum è il quorum: la votazione sarà valida solo se partecipa almeno il 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Questo significa che anche l’astensione diventa una scelta politica, in quanto contribuisce indirettamente all’invalidazione del referendum, impedendo così l’abrogazione della norma. La storia recente italiana ci ha insegnato quanto questo elemento sia decisivo: numerosi referendum sono stati invalidati proprio per la mancata affluenza.
È dunque importante che ogni cittadino rifletta non solo sul contenuto dei quesiti, ma anche sull’importanza della partecipazione attiva alla vita democratica del Paese. I referendum del 2025, per la natura e la sensibilità dei temi trattati – come lavoro, tutele contrattuali e cittadinanza – toccano la quotidianità di milioni di persone. Informarsi e votare consapevolmente è un gesto che va ben oltre la semplice espressione di un parere.
Contratti a termine
Uno dei cinque quesiti referendari previsti per giugno 2025 interviene su un punto centrale della regolazione del lavoro precario: i contratti a tempo determinato. La proposta, se approvata, abrogherebbe parte del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, che ha riformato in senso più flessibile l’uso del lavoro a termine, eliminando in molti casi l’obbligo di specificare la causale nei contratti inferiori ai 12 mesi.
Attualmente, infatti, un datore di lavoro può assumere a tempo determinato fino a 12 mesi senza dover giustificare il motivo dell’assunzione. Solo superata tale soglia temporale, scatta l’obbligo di indicare una “causale”, ossia una motivazione oggettiva che giustifichi l’uso di un contratto a termine anziché uno a tempo indeterminato. Il quesito referendario mira a reintrodurre l’obbligo di causale anche per i contratti brevi, ripristinando una norma che garantiva maggiore trasparenza e tutela per i lavoratori.
Secondo i promotori del referendum, l’attuale disciplina favorisce un uso eccessivo e spesso arbitrario del lavoro precario, compromettendo la stabilità occupazionale e rendendo difficile per molti lavoratori – soprattutto giovani – pianificare il proprio futuro professionale e personale. Il ritorno all’obbligo della causale rappresenterebbe, nelle loro intenzioni, un argine alla precarietà sistemica, costringendo le aziende a motivare ogni scelta che deroghi alla stabilità del contratto.
D’altro canto, le imprese temono che l’abrogazione possa rallentare le assunzioni flessibili in settori stagionali o con picchi produttivi improvvisi. La scelta di votare “Sì” o “No” riflette quindi visioni opposte su come bilanciare flessibilità e diritti nel mercato del lavoro.
Responsabilità solidale negli appalti
Un altro quesito del Referendum 2025 riguarda un tema spesso sottovalutato ma molto rilevante per la sicurezza e i diritti nel mondo del lavoro: la responsabilità solidale negli appalti. Il quesito propone l’abrogazione di una norma che attualmente esclude la responsabilità solidale del committente nei confronti degli infortuni sul lavoro derivanti da rischi specifici delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. In pratica, se oggi si verifica un infortunio in un contesto di appalto, il committente non è sempre chiamato a rispondere insieme all’appaltatore o subappaltatore.
Votare “Sì” significherebbe ripristinare una responsabilità condivisa tra committente, appaltatore e subappaltatore. In altre parole, tutti i soggetti coinvolti nella filiera dell’appalto – inclusa l’impresa che commissiona il lavoro – sarebbero potenzialmente responsabili in caso di infortuni sul lavoro. Secondo i promotori del referendum, ciò garantirebbe una maggiore tutela per i lavoratori, incentivando una più attenta selezione dei fornitori e un controllo più rigoroso sulle condizioni di lavoro.
Dal punto di vista delle imprese, invece, l’abrogazione potrebbe rappresentare un aggravio di responsabilità e un aumento del contenzioso legale, in quanto il committente potrebbe essere coinvolto in situazioni gestite da aziende terze. I sostenitori del “No” ritengono che la norma attuale serva a limitare la responsabilità solo a chi ha un controllo diretto sull’attività lavorativa, evitando così ricadute ingiustificate su chi ha solo affidato l’opera.
Il quesito tocca quindi un equilibrio delicato tra garanzia della sicurezza sul lavoro e ripartizione delle responsabilità nelle catene produttive complesse, molto diffuse in settori come l’edilizia, la logistica e i servizi ambientali.
Cittadinanza Italiana
Il quinto quesito referendario in programma per l’8 e 9 giugno 2025 interviene su un tema che da anni alimenta un ampio dibattito pubblico: l’accesso alla cittadinanza italiana per cittadini stranieri extracomunitari. In particolare, il referendum propone di dimezzare il requisito di residenza legale, riducendolo da 10 a 5 anni, per poter presentare domanda di cittadinanza. La norma attuale è contenuta nella Legge n. 91 del 1992, che stabilisce, tra gli altri criteri, un periodo minimo di dieci anni di residenza continuativa e legale per i maggiorenni non comunitari.
L’obiettivo della proposta è quello di snellire e rendere più accessibile l’iter per ottenere la cittadinanza, specialmente in un contesto in cui molte persone, pur vivendo da anni in Italia, integrandosi nel tessuto sociale e contribuendo all’economia, rimangono prive dei diritti civili e politici garantiti ai cittadini italiani. Secondo i promotori, un abbassamento del limite a 5 anni rappresenterebbe un passo verso una maggiore inclusione, in linea con quanto avviene in diversi Paesi europei.
D’altra parte, i contrari alla proposta temono che una simile modifica possa portare a una “corsa alla cittadinanza” priva di sufficienti garanzie di integrazione, alimentando tensioni sociali e criticità amministrative. La questione tocca corde profonde: identità nazionale, coesione sociale, politiche migratorie. E il voto referendario rappresenta, in questo senso, un’opportunità per definire una visione collettiva su che cosa significhi essere cittadini in Italia oggi.
Ruolo e limiti
Il referendum abrogativo è uno degli strumenti principali di democrazia diretta previsti dalla Costituzione italiana, precisamente all’articolo 75. Esso consente ai cittadini di proporre l’eliminazione, totale o parziale, di una legge già approvata dal Parlamento. Non si tratta dunque di un referendum “propositivo” (come avviene in altri ordinamenti), ma esclusivamente abrogativo: l’obiettivo è cancellare norme in vigore.
Per essere valido, un referendum abrogativo deve rispettare alcuni requisiti fondamentali:
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Deve raccogliere almeno 500.000 firme di elettori oppure essere promosso da cinque consigli regionali.
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Non può riguardare leggi tributarie o di bilancio, di amnistia e indulto, o di ratifica di trattati internazionali.
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La proposta viene valutata preliminarmente dalla Corte di Cassazione, che verifica la regolarità della raccolta firme, e dalla Corte Costituzionale, che ne valuta l’ammissibilità sul piano giuridico.
Una volta approvato, il referendum viene indetto ufficialmente con decreto del Presidente della Repubblica. Per essere efficace, deve raggiungere il quorum: almeno il 50% + 1 degli aventi diritto al voto devono recarsi alle urne. Se il quorum non viene raggiunto, il referendum non ha effetto, indipendentemente dal numero dei “Sì”.
Questo strumento ha avuto un ruolo cruciale in molte decisioni storiche italiane: dal divorzio nel 1974, al nucleare nel 1987, fino ai servizi pubblici e all’acqua nel 2011. Il Referendum 2025 si inserisce in questa lunga tradizione di partecipazione popolare alle scelte legislative.
L’iter tecnico e legislativo
Arrivare al voto referendario non è un processo immediato: è il risultato di un percorso complesso e articolato, che garantisce il rispetto dei criteri costituzionali e delle norme di legge. L’intero iter inizia con la raccolta delle firme, che per i referendum abrogativi deve raggiungere almeno 500.000 sottoscrizioni autenticate di elettori. In alternativa, cinque Consigli regionali possono proporre direttamente il referendum.
Una volta raccolte le firme, esse vengono depositate presso la Corte di Cassazione, che ne verifica l’autenticità e la validità formale. Se tutto è in regola, la Corte procede a trasmettere il quesito alla Corte Costituzionale, che ha il compito di valutare l’ammissibilità del quesito. Non tutti i quesiti referendari infatti possono essere ammessi: la Corte deve assicurarsi che il quesito sia chiaro, omogeneo e conforme ai limiti stabiliti dalla Costituzione (ad esempio non può riguardare leggi tributarie o trattati internazionali).
Se anche la Corte Costituzionale dà parere favorevole, il referendum può essere indetto con decreto del Presidente della Repubblica, che stabilisce la data della consultazione. Di norma, i referendum si svolgono tra il 15 aprile e il 15 giugno, come nel caso del Referendum 2025, fissato per l’8 e 9 giugno.
Da quel momento si apre ufficialmente il periodo di campagna referendaria, in cui i promotori e i contrari alla proposta possono intervenire nel dibattito pubblico, attraverso i mezzi di comunicazione e strumenti informativi, in base a regole di par condicio stabilite dall’AGCOM.
L’impatto potenziale sulle imprese
I quesiti referendari del 2025 non riguardano solo i lavoratori, ma hanno ripercussioni dirette anche sul mondo imprenditoriale. Se approvati, i cambiamenti proposti toccherebbero diversi aspetti della gestione del personale, con potenziali effetti su flessibilità contrattuale, costi del lavoro, rischio legale e organizzazione aziendale.
Nel caso dell’abrogazione del contratto a tutele crescenti, le aziende con oltre 15 dipendenti si troverebbero di fronte a un rischio maggiore di reintegra del dipendente licenziato, in caso di giudizio sfavorevole. Questo potrebbe incentivare una maggiore cautela nelle assunzioni a tempo indeterminato e una revisione delle politiche HR. Allo stesso modo, l’eliminazione del tetto alle indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese potrebbe aumentare la variabilità economica delle vertenze, incidendo sulla pianificazione finanziaria, in particolare per micro e piccole imprese.
L’eventuale reintroduzione dell’obbligo di “causale” nei contratti a termine, anche sotto i 12 mesi, viene interpretata da molti imprenditori come un rallentamento nell’attivazione di rapporti di lavoro flessibili, particolarmente utilizzati nei settori con forte stagionalità (turismo, agricoltura, logistica). Alcuni osservatori sostengono che questo potrebbe generare un aumento del lavoro nero o dell’uso di forme contrattuali atipiche.
Sul fronte degli appalti, la responsabilità solidale estesa ai committenti in caso di infortuni potrebbe comportare un aumento dei controlli e dei costi assicurativi, oltre a una selezione più rigida delle imprese subappaltatrici.
Pur non essendo misure direttamente rivolte alle imprese, gli effetti dei quesiti toccano l’equilibrio tra diritti del lavoro e sostenibilità imprenditoriale, un nodo centrale nel dibattito economico italiano.
Come informarsi e partecipare in modo consapevole
Uno dei presupposti essenziali per il buon funzionamento della democrazia è che i cittadini abbiano accesso a informazioni corrette, complete e imparziali. Questo vale in modo particolare per i referendum, dove non si elegge una persona o un partito, ma si è chiamati a decidere sul contenuto tecnico di una legge. Nel caso del Referendum 2025, i cinque quesiti trattano tematiche complesse come diritto del lavoro, responsabilità giuridica e cittadinanza, rendendo ancora più importante l’approfondimento preventivo.
Per orientarsi in modo consapevole, il primo punto di riferimento è il sito del Ministero dell’Interno, che pubblicherà le informazioni ufficiali sui quesiti, la scheda elettorale, le modalità di voto, il quorum e i risultati. Anche il Ministero degli Affari Esteri, per chi vota dall’estero, fornisce aggiornamenti e moduli utili.
Un ruolo centrale è affidato alla comunicazione istituzionale e ai media pubblici: la RAI e altre emittenti dovranno garantire uno spazio equo ai comitati favorevoli e contrari, nel rispetto della normativa sulla par condicio. A questi si aggiungono i comitati promotori, che hanno siti dedicati con argomentazioni, documenti e FAQ, e i principali quotidiani e portali giuridici, che offrono analisi e confronti.
È importante anche leggere i testi delle norme che si intendono abrogare, per valutare cosa effettivamente cambia in caso di vittoria del “Sì”. Il dibattito può essere vivace e polarizzato, ma un elettore informato deve sapere distinguere tra slogan e contenuto normativo.
Partecipare al referendum è un diritto, ma anche una responsabilità. Informarsi in modo accurato è il primo passo per esercitarlo con consapevolezza.
Considerazioni finali
Il Referendum 2025 non è solo un momento elettorale: è un’occasione di riflessione collettiva sul modello di società e di lavoro che vogliamo costruire nei prossimi anni. I cinque quesiti toccano ambiti chiave della convivenza civile: le tutele contro i licenziamenti illegittimi, le garanzie nei contratti precari, la sicurezza nei cantieri e l’accesso alla cittadinanza per chi vive in Italia da anni senza pieni diritti.
Al di là delle opinioni personali, ciò che conta è la partecipazione consapevole: capire cosa si vota, cosa comporta un “Sì” o un “No”, e quali effetti concreti potrebbero scaturirne sul piano giuridico, economico e sociale. Anche chi decide di non votare assume, di fatto, una posizione: contribuisce a far mancare il quorum, lasciando in vigore le leggi attuali.
Il voto del 8 e 9 giugno 2025 rappresenta un banco di prova per la democrazia diretta, per il coinvolgimento popolare nei processi legislativi e per la capacità del Paese di affrontare con maturità temi delicati e divisivi. L’invito è quello di informarsi, confrontarsi e scegliere in modo libero, rispettando il pluralismo e il diritto di ogni cittadino di esprimere – o meno – la propria voce alle urne.