Negli ultimi anni il dropshipping ha attratto migliaia di aspiranti imprenditori digitali in Italia. Un modello di business semplice all’apparenza: si vende un prodotto online senza possederlo fisicamente, delegando la spedizione a un fornitore terzo. Ma dietro questa apparente facilità si nasconde una realtà fiscale complessa, soprattutto quando si vendono beni in tutta Europa o si lavora con fornitori extra-UE.
Sommario
Una delle domande più frequenti è: “Devo aprire la partita IVA se faccio dropshipping?” oppure “Come gestisco l’IVA quando il mio fornitore è cinese ma il cliente è in Francia?”. Domande legittime, a cui è fondamentale rispondere correttamente per evitare sanzioni, irregolarità e blocchi dell’attività.
In questo articolo analizziamo in modo chiaro e completo la fiscalità del dropshipping, soffermandoci su regole IVA, obblighi dichiarativi, regimi fiscali compatibili e soluzioni per gestire correttamente il business.
Cos’è
Il dropshipping è un modello di commercio elettronico sempre più diffuso, nato negli Stati Uniti oltre un decennio fa, e oggi largamente utilizzato anche in Europa e in Italia. Si tratta di una forma di vendita al dettaglio in cui il venditore non possiede fisicamente i prodotti che commercializza. La caratteristica principale di questo modello è che la spedizione della merce avviene direttamente dal fornitore al cliente finale, saltando completamente la gestione del magazzino da parte del venditore.
In pratica, quando un e-commerce riceve un ordine, acquista il prodotto da un fornitore terzo – spesso localizzato in paesi extra-UE come la Cina – che si occupa dell’intera logistica: imballaggio, spedizione e consegna. Il venditore (definito anche “dropshipper”) agisce quindi da intermediario commerciale, focalizzandosi su aspetti come marketing, customer care e acquisizione clienti, senza mai gestire direttamente i beni.
Nel modello di dropshipping intervengono quindi tre soggetti chiave:
-
Il cliente finale, che effettua l’ordine online.
-
Il dropshipper, soggetto passivo d’imposta, che riceve l’ordine e lo trasmette al fornitore.
-
Il fornitore, che evade materialmente l’ordine spedendo il bene direttamente al cliente.
Questo sistema offre molti vantaggi operativi, ma comporta anche complessità a livello fiscale, soprattutto in materia di IVA, fatturazione e territorialità delle operazioni.
Obblighi e regimi fiscali applicabili
Dal punto di vista fiscale, il dropshipping è un’attività legalmente riconosciuta in Italia e rientra nella categoria del commercio elettronico indiretto. Questo significa che, pur essendo un’attività svolta online, riguarda la vendita di beni fisici con spedizione materiale al cliente finale.
Chi vuole iniziare a fare dropshipping deve affrontare alcuni adempimenti preliminari obbligatori:
-
Apertura della partita IVA, con codice ATECO 47.91.10 (“Commercio al dettaglio di prodotti via internet”);
-
Iscrizione al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio territorialmente competente;
-
Comunicazione dell’inizio attività al Comune, tramite presentazione della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività);
-
Eventuale iscrizione alla Gestione Commercianti INPS, in base alla forma giuridica e all’attività svolta;
-
Ulteriori autorizzazioni, in relazione alla tipologia di prodotti commercializzati (es. cosmetici, alimentari, elettronica, ecc.).
L’attività può essere esercitata sia in forma individuale sia tramite società. Le implicazioni fiscali cambiano in base alla forma scelta:
-
Società: contabilità ordinaria, tassazione tramite IRES e IRAP.
-
Ditta individuale: si può optare per il regime ordinario semplificato (tassazione IRPEF) oppure per il regime forfettario, con imposta sostitutiva al 15% (ridotta al 5% per i primi 5 anni, se si rispettano determinati requisiti).
Indipendentemente dal regime, la gestione dell’IVA rappresenta la sfida più complessa. Le vendite possono avvenire in ambito B2C o B2B, sia verso clienti italiani, sia europei o extra-UE. In ciascuno di questi casi, le regole IVA cambiano, e una gestione errata può comportare sanzioni o problemi di compliance fiscale.
Gestione dell’IVA nel dropshipping
La gestione dell’IVA rappresenta l’aspetto più delicato e complesso per chi opera nel dropshipping, anche se si è in regime forfettario (che normalmente esonera dall’applicazione dell’IVA). Questo perché le vendite possono avvenire in molteplici scenari internazionali, ciascuno con regole fiscali differenti. È quindi fondamentale individuare con precisione dove avviene il consumo del bene, chi è il cliente e dove risiede.
Ecco i casi più frequenti che un dropshipper può incontrare:
-
Cliente consumatore finale in Italia → si applica l’IVA italiana.
-
Cliente consumatore finale in un altro paese UE → soglia OSS: se superi 10.000 euro di vendite annue complessive in altri Stati UE, sei obbligato a versare l’IVA del paese del cliente tramite il regime OSS (One Stop Shop).
-
Cliente consumatore finale extra-UE → la cessione è non imponibile IVA ex art. 8 DPR 633/72, ma bisogna documentarla correttamente.
-
Cliente business (B2B) in Italia → normale emissione di fattura con IVA.
-
Cliente business in UE → cessione intracomunitaria non imponibile IVA (art. 41 DL 331/1993), ma con obbligo di verifica della partita IVA VIES e compilazione dell’INTRASTAT.
-
Cliente business extra-UE → cessione fuori campo IVA, ma da documentare in dogana.
Un’ulteriore complicazione è legata alla fatturazione elettronica: anche i forfettari, dal 2024, devono emettere e-fattura se superano i 25.000 € di ricavi. Va inoltre ricordato che, dal 1° gennaio 2025, entrerà in vigore una franchigia IVA UE per le piccole imprese che operano oltreconfine, con lo scopo di semplificare la gestione dell’imposta per chi vende in altri Stati membri. Sarà necessario seguire da vicino l’evoluzione normativa.

Regime OSS e vendite a privati UE
Con l’aumento delle vendite online verso l’estero, la Commissione Europea ha introdotto il regime OSS (One Stop Shop) per semplificare la gestione dell’IVA nei casi di vendite a consumatori privati residenti in altri Stati UE. Questo meccanismo è particolarmente utile per i dropshipper che, pur avendo sede in Italia, raggiungono clienti in più Paesi europei.
In base alle regole attualmente in vigore, se le vendite a distanza verso altri Stati UE superano la soglia complessiva annua di 10.000 euro, il venditore è obbligato ad applicare l’IVA del Paese del cliente finale.
Per evitare l’apertura di una posizione IVA in ogni singolo Paese, si può aderire al regime OSS, che consente di:
-
Dichiarare tutte le vendite B2C intra-UE tramite un’unica dichiarazione trimestrale OSS;
-
Versare l’IVA direttamente all’Agenzia delle Entrate italiana, che si occupa poi di redistribuirla agli altri Stati membri;
-
Evitare adempimenti IVA nei singoli Stati di destinazione della merce.
L’iscrizione all’OSS è facoltativa, ma fortemente consigliata una volta superata la soglia, poiché rappresenta la soluzione più semplice per rimanere conformi dal punto di vista fiscale.
Attenzione: anche se l’adesione all’OSS semplifica la vita dell’imprenditore, non lo esonera da obblighi di corretta fatturazione, registrazione delle operazioni e conservazione delle prove del luogo di destinazione della merce.
Territorialità IVA e fornitori extra-UE
Nel dropshipping internazionale, spesso il fornitore si trova fuori dall’Unione Europea e la merce viene spedita direttamente al cliente finale europeo. In questi casi è essenziale comprendere chi è l’importatore ai fini doganali e IVA, perché da questa identificazione dipendono obblighi e responsabilità fiscali.
Il punto centrale è: chi è il soggetto che introduce fisicamente il bene in UE? Se il dropshipper acquista il bene dal fornitore extra-UE e ne decide la spedizione diretta al cliente europeo, allora, dal punto di vista doganale e IVA, è lui il soggetto che effettua l’importazione.
Di conseguenza:
-
Deve essere intestatario della dichiarazione doganale;
-
Sarà debitore dell’IVA all’importazione (salvo uso del meccanismo del reverse charge o dell’IVA assolta in dogana);
-
È responsabile della corretta documentazione fiscale dell’operazione.
La situazione si complica se la spedizione viene gestita direttamente dal fornitore extra-UE a nome proprio: in tal caso potrebbe configurarsi una vendita diretta del fornitore estero al consumatore, e il dropshipper diventerebbe solo un procacciatore o intermediario commerciale, con diverse implicazioni fiscali (e potenzialmente anche rischi di riqualificazione).
Inoltre, dal 1° luglio 2021, per effetto della riforma del pacchetto IVA e-commerce, è stato introdotto il regime IOSS (Import One Stop Shop), obbligatorio per la vendita B2C di beni di valore inferiore a 150 € importati da paesi extra-UE. Anche in questo caso, è il venditore (cioè il dropshipper) che deve raccogliere e versare l’IVA nel paese di destinazione del cliente, tramite l’adesione facoltativa al regime IOSS.

Fatturazione nel dropshipping
Nel dropshipping, come in tutto il commercio elettronico indiretto, la vendita avviene online ma comporta la spedizione fisica di beni al cliente. In questo contesto, le regole fiscali italiane prevedono una semplificazione della fatturazione nei confronti dei consumatori finali (B2C): non c’è obbligo di emettere fattura, né di scontrino o ricevuta fiscale, salvo che il cliente non ne faccia esplicita richiesta al momento dell’acquisto (art. 22, comma 1, n. 1 DPR 633/72).
Tuttavia, è obbligatorio:
-
Tenere un registro dei corrispettivi giornalieri, anche in modalità elettronica;
-
Emettere fattura in caso di vendite B2B (verso soggetti con partita IVA);
-
Conservare la documentazione doganale in caso di importazioni da Paesi extra-UE.
Nel caso in cui il dropshipper importi beni da fornitori extra-UE, sarà lui a dover emettere un’autofattura per l’importazione, oppure fare riferimento all’IVA pagata in dogana, con obbligo di registrazione.
Attenzione anche all’obbligo di fatturazione elettronica: dal 1° luglio 2022 è esteso ai forfettari che superano i 25.000 euro di ricavi annuali. E dal 1° gennaio 2024, l’obbligo è generalizzato anche per tutti i contribuenti in regime forfettario. Questo comporta l’adozione del Sistema di Interscambio (SDI) anche per chi svolge dropshipping in forma semplificata.
Infine, è importante chiarire che, nonostante il fornitore gestisca la spedizione, è il dropshipper ad avere il rapporto contrattuale con il cliente: quindi la responsabilità fiscale resta sua, inclusi eventuali obblighi di fatturazione, garanzie e assistenza post-vendita.
Errori fiscali
Nel dropshipping, l’apparente semplicità del modello di business spesso induce gli operatori a sottovalutare gli aspetti fiscali, commettendo errori anche gravi che possono portare a verifiche fiscali, accertamenti IVA e sanzioni economiche molto pesanti.
Ecco gli errori più comuni da evitare:
-
Operare senza partita IVA: molti iniziano vendendo online senza aprire posizione fiscale, convinti che si possa “provare” il dropshipping senza obblighi. In realtà, l’abitualità dell’attività e l’intenzione di lucro rendono obbligatoria l’apertura della partita IVA fin da subito.
-
Ignorare le regole sulla territorialità IVA: vendere a clienti europei o extra-UE senza applicare correttamente le norme su OSS, IOSS o importazioni può comportare IVA non versata e sanzioni fino al 180% dell’imposta dovuta.
-
Fatturazione errata o assente: l’emissione della fattura è obbligatoria nei rapporti B2B e nei casi in cui il cliente la richiede. La mancata fatturazione o l’errata registrazione dei corrispettivi può comportare sanzioni dal 90% al 180% dell’imposta relativa.
-
Non verificare il fornitore extra-UE: affidarsi a fornitori sconosciuti senza accordi chiari su spedizione, IVA e dogana può portare a problemi nella dichiarazione doganale, con il dropshipper che rischia di risultare comunque importatore ai fini fiscali.
-
Non dichiarare correttamente i ricavi: anche in regime forfettario è obbligatorio registrare correttamente i compensi percepiti. L’omessa dichiarazione comporta sanzioni proporzionali al reddito non dichiarato e interessi legali.
Per evitare questi rischi, è consigliabile impostare l’attività con il supporto di un commercialista esperto in e-commerce e fiscalità internazionale, dotarsi di una contabilità precisa e rimanere sempre aggiornati sulle novità normative.
Vantaggi fiscali
Nonostante le complessità legate alla gestione IVA e alla fiscalità internazionale, il dropshipping può offrire importanti vantaggi fiscali, specialmente nelle fasi iniziali dell’attività. Il primo beneficio è la possibilità, per chi rispetta determinati requisiti, di accedere al regime forfettario.
Questo regime agevolato, previsto per le persone fisiche con ricavi inferiori a 85.000 euro annui, consente di:
-
Pagare una imposta sostitutiva ridotta al 15% (5% per i primi 5 anni, se si hanno i requisiti);
-
Non applicare l’IVA sulle vendite (semplificando la gestione);
-
Esentarsi dagli obblighi di contabilità ordinaria, con notevole risparmio su costi amministrativi e consulenziali;
-
Evitare l’IRAP e accedere a contributi INPS ridotti, in alcuni casi.
Un altro vantaggio fiscale è legato alla natura scalabile e digitale del business: il dropshipping permette di avviare l’attività con investimenti iniziali minimi, senza necessità di magazzino, personale o struttura fisica. Questo consente di rientrare facilmente nei limiti previsti dai regimi agevolati.
Inoltre, se ben strutturata, l’attività può beneficiare di un’ottimizzazione dell’IVA grazie all’utilizzo dei regimi OSS e IOSS, che semplificano la gestione delle vendite UE ed extra-UE e consentono un’unica dichiarazione trimestrale.
Infine, per chi decide di crescere e costituire una società, è possibile valutare forme giuridiche più efficienti a livello fiscale, come la SRL semplificata, che offre protezione patrimoniale e accesso a deduzioni e ammortamenti.
Conclusione
Il dropshipping rappresenta una straordinaria opportunità di business per chi desidera avviare un’attività online con investimenti contenuti e ampia flessibilità operativa. Tuttavia, dietro l’apparente semplicità del modello, si nasconde una struttura fiscale complessa, soprattutto per quanto riguarda la gestione dell’IVA, la territorialità delle operazioni e gli adempimenti internazionali.
Come abbiamo visto, la corretta scelta del regime fiscale, l’adozione dei meccanismi OSS/IOSS, la definizione del ruolo dell’importatore, la fatturazione elettronica e il rispetto delle normative doganali sono tutti elementi cruciali per evitare errori, sanzioni e rischi di riqualificazione fiscale.
Allo stesso tempo, se pianificata correttamente, l’attività può usufruire di importanti vantaggi fiscali, specialmente grazie al regime forfettario, che consente di iniziare in modo snello e fiscalmente vantaggioso. Con la giusta consulenza e una strategia contabile efficace, il dropshipping può trasformarsi in un’attività altamente scalabile, sostenibile e redditizia.
Il consiglio, per chi vuole lavorare seriamente in questo settore, è quello di affidarsi a un commercialista esperto in fiscalità internazionale e digitale, capace di guidare l’imprenditore nella scelta della miglior struttura giuridico-fiscale, nella gestione delle operazioni e nel pieno rispetto delle normative italiane ed europee.

