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martedì 29 Aprile 2025

Compensi professionali ereditati e IVA: obblighi, responsabilità e gestione corretta secondo l’Agenzia delle Entrate

Quando un professionista muore, oltre alle questioni ereditarie ordinarie, si apre un fronte fiscale spesso sottovalutato: la gestione dei compensi professionali maturati e non ancora riscossi. Si tratta di somme che, pur riferendosi a prestazioni rese dal defunto, devono essere incassate dagli eredi, i quali si trovano a dover affrontare obblighi complessi in materia di IVA, partita IVA e adempimenti tributari.

Recenti chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate hanno ridefinito il quadro normativo, imponendo agli eredi l’obbligo di riaprire la partita IVA del defunto per poter emettere regolare fattura e versare l’IVA dovuta. Le novità introdotte dal D.Lgs. 87/2024 e il nuovo ruolo del committente in caso di mancata fatturazione hanno reso ancora più importante conoscere la corretta procedura per evitare pesanti sanzioni.

In questo articolo ti offriamo una guida completa e aggiornata per capire, passo dopo passo, come gestire i compensi ereditati, quali sono gli errori più comuni da evitare, quali responsabilità gravano sugli eredi e come tutelarsi fiscalmente in caso di successioni complesse.

Compensi professionali ereditati

Quando si parla di compensi professionali ereditati, si fa riferimento ai corrispettivi maturati da un professionista deceduto prima della riscossione. Sono somme che derivano da incarichi già svolti e completati in vita dal professionista, ma che vengono incassate successivamente dagli eredi. È importante sottolineare che questi compensi non riguardano attività svolte dagli eredi stessi, bensì il completamento di un diritto economico già perfezionato prima della morte del dante causa.

Dal punto di vista fiscale, ciò comporta una serie di problematiche: in particolare, ci si deve chiedere se tali somme rientrino comunque nel reddito di lavoro autonomo, se siano soggette a IVA, e chi sia il soggetto obbligato agli adempimenti fiscali.

L’Agenzia delle Entrate ha affrontato il tema evidenziando che, nonostante la cessazione dell’attività da parte del professionista defunto, la riscossione dei compensi comporta obblighi tributari specifici in capo agli eredi o ai soggetti che materialmente percepiscono tali somme. La corretta gestione di questi proventi è fondamentale per evitare contestazioni o sanzioni da parte dell’amministrazione finanziaria.

Il trattamento IVA

L’Agenzia delle Entrate, nella risposta a interpello n. 429 del 2023, ha precisato che i compensi professionali percepiti dagli eredi devono essere considerati ai fini IVA. Nonostante il decesso del professionista comporti l’estinzione della partita IVA personale, gli obblighi fiscali relativi ai compensi maturati in vita si trasferiscono sugli eredi. In particolare, è richiesto che gli eredi emettano la fattura per l’incasso dei compensi, applicando l’IVA con l’aliquota vigente al momento della prestazione originaria.

L’Agenzia ha sottolineato che non si tratta di un nuovo esercizio dell’attività professionale da parte degli eredi, ma semplicemente della riscossione di crediti già acquisiti. Pertanto, gli adempimenti IVA devono essere assolti tramite il soggetto che ha assunto la gestione fiscale dell’eredità, il quale dovrà presentare la dichiarazione IVA relativa all’anno in cui i compensi vengono riscossi. Se la partita IVA del de cuius è stata chiusa, gli eredi dovranno riaprirla esclusivamente per finalizzare gli adempimenti collegati all’incasso dei compensi.

Obblighi per gli eredi

Una delle principali questioni riguarda la distinzione tra i compensi maturati dal professionista prima del decesso ma riscossi successivamente. L’Agenzia delle Entrate ha ribadito che, anche se il pagamento avviene dopo la morte, il diritto al compenso si considera sorto con la conclusione dell’attività professionale. Di conseguenza, il fatto generatore dell’obbligo IVA coincide con il momento in cui la prestazione è stata ultimata, non con la data effettiva di incasso.

Gli eredi, pertanto, devono emettere fattura indicando la data di ultimazione della prestazione, applicando l’aliquota IVA prevista per quel tipo di servizio alla data di completamento dell’incarico. Questo significa che eventuali variazioni normative intervenute dopo il decesso non influenzano l’imposizione fiscale relativa a quei compensi.

Inoltre, è fondamentale che gli eredi conservino tutta la documentazione comprovante la natura dei compensi ereditati e il loro collegamento a prestazioni già rese, al fine di tutelarsi in caso di controlli fiscali.

Compensi professionali ereditati e IVA - Commercialista.it

Caso pratico

Un caso emblematico ha riguardato un erede che, nel dicembre 2024, ha incassato una quota di un compenso professionale spettante al genitore deceduto nel 2011. La prestazione professionale era stata resa nei confronti di una società successivamente fallita, e il pagamento è avvenuto diversi anni dopo, in un momento in cui la partita IVA del professionista era già stata chiusa.

Inizialmente, il curatore fallimentare aveva previsto di adempiere agli obblighi fiscali mediante l’emissione di un’autofattura e il versamento diretto dell’IVA all’Erario. Tuttavia, a seguito delle modifiche normative intervenute nel 2024, si è resa necessaria una diversa procedura: è stato richiesto all’erede di emettere una regolare fattura, previa apertura di una posizione fiscale specifica.

L’erede, sulla base di precedenti orientamenti dell’Agenzia delle Entrate (in particolare la risposta n. 52/E del 2020), riteneva di non dover riattivare la partita IVA del de cuius né di aprirne una nuova a proprio nome. Per questo motivo aveva chiesto conferma della possibilità che fosse il curatore a gestire l’obbligo IVA tramite autofattura, senza ulteriori adempimenti da parte dell’erede. Questo contrasto ha reso necessario un nuovo chiarimento ufficiale da parte dell’Agenzia, per uniformare il trattamento fiscale di casi analoghi.

Obbligo di riapertura della partita IVA

L’Agenzia delle Entrate ha respinto l’interpretazione proposta dall’erede, ribadendo che la cessazione dell’attività professionale non si considera realmente conclusa finché non sono esauriti tutti gli obblighi fiscali collegati alle prestazioni effettuate. Questo vale anche nel caso in cui i compensi, pur maturati, non siano ancora stati incassati o fatturati al momento del decesso.

Secondo l’Agenzia, in presenza di compensi non fatturati, l’obbligo di emissione della fattura e il versamento dell’IVA si trasferiscono agli eredi. Tuttavia, la fattura deve essere emessa a nome del professionista deceduto. Per adempiere correttamente a questo obbligo, l’erede deve procedere alla riapertura della partita IVA intestata al de cuius, anche se chiusa anni prima.

In merito a situazioni simili, era già intervenuta la risposta n. 163/E dell’8 marzo 2021, che aveva chiarito come, qualora la partita IVA fosse stata chiusa prematuramente, l’erede avrebbe comunque dovuto riaprirla per regolarizzare la posizione fiscale. Solo se l’erede restasse inerte, rifiutando di emettere la fattura nonostante la richiesta del curatore fallimentare, quest’ultimo avrebbe l’obbligo di procedere autonomamente alla regolarizzazione secondo quanto previsto dall’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo n. 471/1997, norma che disciplina i casi di omessa fatturazione.

Conseguenze pratiche e fiscali per l’erede

La necessità di riaprire la partita IVA del de cuius comporta per l’erede una serie di adempimenti pratici e obblighi fiscali non trascurabili. Innanzitutto, è necessario presentare all’Agenzia delle Entrate l’istanza per la riattivazione della posizione fiscale intestata al defunto, indicando il codice fiscale e specificando che si tratta di un’operazione finalizzata esclusivamente alla regolarizzazione dei compensi maturati. L’apertura della partita IVA non implica l’esercizio di una nuova attività professionale da parte dell’erede, ma ha natura meramente strumentale.

Successivamente, l’erede deve emettere la fattura intestata al professionista deceduto, riportando la data di effettuazione della prestazione, applicare l’aliquota IVA corretta e provvedere al versamento dell’imposta nei termini ordinari.

È inoltre obbligatorio presentare la dichiarazione IVA per l’anno in cui avviene l’incasso, anche se si tratta dell’unico adempimento legato a quella partita IVA. Per evitare ulteriori problemi, è fondamentale conservare tutta la documentazione giustificativa, sia relativa alla prestazione originaria che agli atti di riscossione successivi, così da poter rispondere adeguatamente a eventuali controlli.

Questi adempimenti, se non correttamente gestiti, possono comportare sanzioni per omessa fatturazione o irregolare versamento dell’IVA, rendendo ancora più gravoso l’iter successorio dal punto di vista fiscale.

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Nuova procedura

Il quadro normativo è cambiato profondamente con il recente aggiornamento dell’articolo 6, comma 8, del Decreto Legislativo n. 471/1997, modificato dal D.Lgs. n. 87 del 14 giugno 2024. In particolare, sono state riviste le responsabilità del committente, ovvero del soggetto che riceve la prestazione professionale, nel caso in cui il prestatore (in questo caso, l’erede del professionista defunto) non provveda a emettere regolare fattura o commetta errori nella sua emissione.

Secondo la nuova disciplina, il committente non è più obbligato a emettere un’autofattura sostitutiva né a versare direttamente l’IVA all’Erario in caso di omissioni o irregolarità. È sufficiente che comunichi l’irregolarità all’Agenzia delle Entrate entro 90 giorni dal momento in cui la fattura regolare avrebbe dovuto essere emessa. Questa comunicazione dovrà avvenire utilizzando il codice TD29 attraverso il Sistema di Interscambio (SDI), una modalità operativa che sarà disponibile dal 1° aprile 2025.

Con questo aggiornamento normativo viene superato, almeno in parte, quanto affermato nella risposta n. 52/E del 2020, dove si attribuiva al committente anche l’onere del versamento IVA in caso di inadempienza da parte degli eredi. Il nuovo sistema semplifica quindi gli adempimenti in capo al committente, riducendo i rischi e gli obblighi a suo carico, pur mantenendo la necessità di vigilare sulla correttezza fiscale dell’operazione.

Responsabilità dell’erede

La recente riforma normativa ha ridefinito in modo significativo le responsabilità degli eredi in relazione ai compensi professionali ereditati. In primo luogo, è stato confermato che il compenso dovuto per la prestazione professionale deve essere corrisposto al lordo dell’IVA. Questo significa che l’imposta sul valore aggiunto deve essere regolarmente applicata e inclusa nell’importo fatturato, anche se la prestazione è stata resa anni prima.

Compete all’erede riaprire la partita IVA del professionista defunto, emettere la fattura intestata al de cuius e adempiere a tutti gli obblighi fiscali correlati, inclusi il versamento dell’IVA e la presentazione della dichiarazione. Se l’erede, nonostante la richiesta del committente, non adempie a questi obblighi, il committente sarà tenuto solo a effettuare la comunicazione di irregolarità all’Agenzia delle Entrate, senza dover versare l’IVA al posto dell’erede.

Tuttavia, l’inazione dell’erede non lo mette al riparo da conseguenze: in caso di omesso adempimento, l’Amministrazione finanziaria potrà agire direttamente nei suoi confronti per il recupero dell’IVA non versata, applicando anche le relative sanzioni e interessi. Diventa quindi essenziale che gli eredi, anche in assenza di un’attività professionale propria, comprendano l’importanza di gestire correttamente gli obblighi tributari derivanti dall’eredità.

Sintesi operativa

Per evitare sanzioni, contestazioni e complicazioni fiscali, gli eredi che incassano compensi professionali maturati dal de cuius devono seguire una serie di passaggi chiari. Prima di tutto, è indispensabile riaprire la partita IVA intestata al professionista deceduto, anche se questa era stata chiusa anni prima. L’apertura deve essere effettuata esclusivamente per regolarizzare il singolo incasso o gli incassi legati a prestazioni rese prima del decesso.

Successivamente, l’erede deve emettere una fattura a nome del defunto, con l’applicazione dell’IVA secondo l’aliquota vigente alla data di effettuazione della prestazione. L’importo da fatturare deve essere comprensivo di IVA, quindi il compenso incassato dovrà essere suddiviso tra imponibile e imposta. Entro i termini previsti, l’erede dovrà versare l’IVA dovuta tramite i normali canali telematici e presentare la dichiarazione IVA relativa all’anno di incasso.

In caso di dubbi sulla corretta ricostruzione dei fatti (ad esempio data effettiva della prestazione, importi, aliquote), è altamente consigliato consultare un commercialista esperto in successioni e fiscalità professionale. Gli errori nella gestione di questi adempimenti possono infatti generare non solo sanzioni economiche, ma anche situazioni più complesse da sanare successivamente.

Conclusioni

La gestione dei compensi professionali ereditati è un terreno delicato, dove errori o sottovalutazioni possono tradursi in sanzioni pesanti e in situazioni fiscali complesse. Le recenti indicazioni dell’Agenzia delle Entrate hanno reso ancora più chiaro che l’incasso di questi proventi non può essere considerato neutro dal punto di vista fiscale: al contrario, impone agli eredi una serie di obblighi precisi, tra cui la riapertura della partita IVA del defunto, l’emissione della fattura e il corretto versamento dell’IVA.

È fondamentale agire tempestivamente non appena si viene a conoscenza della possibilità di incassare compensi residui: aspettare o ignorare le richieste del committente può solo peggiorare la situazione. Anche la corretta archiviazione di tutta la documentazione relativa alle prestazioni rese e ai pagamenti ricevuti diventa cruciale, sia per difendersi da eventuali accertamenti sia per dimostrare la propria buona fede in caso di contestazioni.

Affidarsi a un professionista esperto di fiscalità successoria può fare la differenza, soprattutto nei casi complessi o dove sono in gioco importi rilevanti. Una corretta gestione fin dall’inizio permette di tutelare il patrimonio ereditato e di evitare che il beneficio economico venga eroso da multe e interessi. In un ambito così tecnico e in continua evoluzione normativa, la prudenza fiscale non è mai troppa.

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