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Forfettari e reverse charge: dal 2025 IVA trimestrale e meno burocrazia

La gestione dell’IVA per i contribuenti in regime forfettario è da sempre uno degli argomenti più delicati e controversi del nostro sistema tributario. Da un lato, il regime forfettario è pensato per alleggerire il carico fiscale e burocratico delle partite IVA con ricavi contenuti. Dall’altro, le regole sull’imposta sul valore aggiunto diventano spesso fonte di confusione, soprattutto quando si parla di operazioni soggette a reverse charge, come quelle con fornitori esteri o in ambito edilizio.
Sommario
A partire dal 1° ottobre 2025, però, qualcosa cambierà. Il cosiddetto “Correttivo alla Riforma Fiscale”, recentemente approvato, introduce una novità significativa: anche i forfettari dovranno gestire il meccanismo del reverse charge con versamenti IVA trimestrali. Una svolta che nasce con l’obiettivo di semplificare e razionalizzare la gestione dell’IVA nei confronti dell’Erario, ma che solleva numerosi interrogativi sulla reale portata di questa misura.
Perché proprio ora questa modifica? Quali sono le operazioni interessate? E, soprattutto, si tratta di un cambiamento favorevole o di un ulteriore onere per i contribuenti minimi? In questo articolo analizziamo le ragioni della riforma, le novità normative e gli impatti concreti per professionisti e microimprese, con un occhio di riguardo al risparmio fiscale e alla compliance.
Reverse charge e forfettari
Il nuovo articolo 6 del decreto correttivo alla riforma fiscale introduce un’importante novità per i contribuenti in regime forfettario che effettuano operazioni in reverse charge. Fino ad oggi, infatti, i soggetti forfettari erano tenuti a versare l’IVA relativa a queste operazioni entro il giorno 16 del mese successivo all’acquisto, attraverso modello F24. Una scadenza ravvicinata che spesso creava difficoltà nella pianificazione finanziaria, soprattutto per i professionisti e le microimprese che operano con margini contenuti.
Con il nuovo decreto, in vigore per le operazioni effettuate a partire dal 1° ottobre 2025, viene finalmente concessa ai forfettari la possibilità di versare l’IVA secondo il calendario trimestrale già previsto per le imprese ordinarie dall’art. 7 del DPR 542/1999. Questo cambiamento non è casuale: come spiegato nella relazione illustrativa del provvedimento, la norma accoglie una precisa osservazione delle Commissioni Finanze di Camera e Senato, che hanno sottolineato l’opportunità di alleggerire il carico burocratico sui soggetti di dimensioni ridottissime.
La ratio dell’intervento risiede nella volontà di estendere ai forfettari una forma di semplificazione amministrativa, allineandoli – almeno per queste specifiche operazioni – al regime degli operatori strutturati. Un passo che sembra andare nella direzione di una maggiore equità fiscale e di una gestione più razionale dei flussi finanziari da parte delle partite IVA minori.
Soggettività passiva IVA e soglie di esonero
Nonostante l’appartenenza al regime agevolato, i contribuenti forfettari restano, a tutti gli effetti, soggetti passivi IVA. Questo significa che, pur non potendo esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta (ai sensi dell’art. 1, comma 58, della Legge 190/2014), sono comunque obbligati ad assolvere l’IVA nelle operazioni per le quali la normativa prevede il reverse charge. È il caso, ad esempio, degli acquisti di beni o servizi da fornitori comunitari o extra-UE, oppure di operazioni nel settore edile o energetico.
Un’importante eccezione a tale obbligo è rappresentata dagli acquisti intracomunitari di beni, che restano esenti dall’applicazione dell’IVA in reverse charge se, nel corso dell’anno solare, non viene superata la soglia dei 10.000 euro. Questa soglia si applica anche alle vendite a distanza effettuate da soggetti stabiliti in altri Stati membri dell’UE. Oltre questo limite, invece, scatta l’obbligo di integrazione della fattura e versamento dell’imposta da parte del forfettario, proprio come avviene per i soggetti in regime ordinario.
Nella pratica, il forfettario dovrà procedere con l’integrazione della fattura del fornitore UE (o con l’emissione di autofattura nel caso di soggetti extra-UE), e versare la relativa IVA tramite modello F24. Le nuove regole introdotte dal Correttivo non modificano il principio di soggettività passiva, ma semplificano i termini di versamento, che passano da mensili a trimestrali. Un passaggio tecnico di grande rilievo, che potrebbe contribuire a migliorare la liquidità delle microimprese e a ridurre il rischio di errori nei versamenti.
Reverse charge per forfettari
Il meccanismo del reverse charge, o “inversione contabile”, è una modalità particolare di applicazione dell’IVA che trasferisce l’obbligo del versamento dell’imposta dal fornitore al cliente. Normalmente chi emette una fattura con IVA la versa all’Erario, ma con il reverse charge il fornitore emette una fattura senza IVA e sarà il cliente a integrarla con l’imposta e a versarla direttamente tramite modello F24.
Anche i contribuenti in regime forfettario, pur non detraendo l’IVA a monte, sono considerati soggetti passivi IVA e devono assolvere l’imposta quando acquistano beni o servizi soggetti al reverse charge. È il caso tipico degli acquisti da fornitori europei (es. consulenze da una web agency tedesca) o extra-europei (es. un servizio software dagli USA), ma anche delle prestazioni di subappalto nel settore edile.
Facciamo un esempio concreto: un forfettario acquista un servizio pubblicitario da Google Ireland. Riceve una fattura senza IVA, che va integrata manualmente con l’aliquota del 22%, e poi versa l’importo dell’IVA tramite modello F24. Il fatto che il forfettario non possa detrarre quella somma, lo rende di fatto un “contribuente secco”, che sostiene l’imposta come costo.
Questa regola, finora poco conosciuta e spesso ignorata, rappresenta una responsabilità importante. Il decreto correttivo non elimina questo obbligo, ma ne modifica il calendario: non più versamenti mensili, ma trimestrali, rendendo più gestibile l’intera operazione.
Dal mensile al trimestrale
Fino ad oggi, i contribuenti forfettari soggetti al reverse charge dovevano effettuare il versamento dell’IVA a debito entro il giorno 16 del mese successivo all’operazione. Una scadenza rigida e spesso problematica, soprattutto per chi ha una contabilità semplificata e risorse limitate per tenere sotto controllo le scadenze fiscali. Con il decreto correttivo, invece, arriva una semplificazione importante: dal 1° ottobre 2025, l’IVA da reverse charge potrà essere versata trimestralmente, allineandosi alle scadenze previste per i soggetti in regime ordinario che applicano la liquidazione trimestrale ai sensi dell’art. 7 del DPR 542/1999.
Questa modifica rappresenta un importante passo in avanti sul piano della semplificazione amministrativa. Consentire ai forfettari di avere più tempo per gestire gli adempimenti e pianificare i versamenti aiuta a ridurre lo stress da scadenze, migliora la gestione della cassa e diminuisce il rischio di dimenticanze o errori, che potrebbero tradursi in sanzioni. Non si tratta solo di un rinvio: trimestralità significa anche possibilità di compensare più facilmente debiti e crediti, laddove vi siano altri versamenti da effettuare nello stesso periodo.
Tuttavia, il beneficio va valutato caso per caso. Alcuni forfettari con volumi elevati di operazioni soggette a reverse charge potrebbero preferire mantenere la cadenza mensile, per evitare di accumulare importi significativi da versare in un’unica soluzione. Fortunatamente, la norma è flessibile: lascia infatti la libertà di scelta al contribuente, che potrà continuare a versare mensilmente se lo ritiene più conveniente.
Reverse charge e F24
Quando un contribuente in regime forfettario riceve una fattura soggetta a reverse charge, deve intervenire con un’azione contabile precisa: integrare la fattura oppure emettere un’autofattura, a seconda del caso. Se il fornitore è un soggetto passivo dell’Unione Europea, si procede con l’integrazione della fattura ricevuta, applicando l’aliquota IVA italiana corrispondente (generalmente il 22%). Se invece il fornitore è extra-UE, il forfettario deve emettere un’autofattura, sempre con l’IVA italiana applicata.
Una volta determinato l’importo dell’IVA dovuta, si procede con il versamento tramite il modello F24. L’operazione non è banale, soprattutto per chi non ha un commercialista di riferimento.
È fondamentale indicare correttamente:
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Il codice tributo 6006 (giugno), 6009 (settembre) ecc., a seconda del mese o trimestre di riferimento;
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Il periodo di riferimento, nel formato “MM/AAAA”;
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La sezione “Erario”, in quanto l’IVA è un’imposta statale;
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L’importo esatto dell’IVA dovuta, arrotondato ai centesimi.
Con il correttivo, a partire dal 1° ottobre 2025, il versamento potrà essere effettuato entro il 16 del mese successivo alla fine del trimestre. Per esempio, l’IVA relativa a operazioni di ottobre-novembre-dicembre si verserà entro il 16 gennaio. Questa nuova cadenza impone al forfettario di avere un controllo trimestrale preciso sulle operazioni soggette a reverse charge e di predisporre un riepilogo dettagliato delle stesse, magari con l’aiuto di un gestionale o del proprio consulente.
Acquisti UE ed extra-UE
Nel mondo globalizzato di oggi, anche un piccolo professionista in regime forfettario può trovarsi facilmente a interagire con fornitori esteri: software, consulenze, pubblicità online, servizi cloud. Quando il fornitore è un soggetto passivo IVA comunitario, si parla di acquisto intracomunitario, mentre se proviene da un Paese extra-UE si tratta di acquisto da fornitore estero. Entrambe le situazioni attivano, per il contribuente forfettario, l’obbligo del reverse charge.
Nel caso di acquisti intracomunitari, il fornitario emette una fattura senza IVA (ai sensi dell’art. 41 DL 331/1993). Il forfettario dovrà integrare la fattura ricevuta con l’aliquota IVA prevista in Italia e versare l’importo tramite F24. Tuttavia, come già visto, se il totale degli acquisti intracomunitari nell’anno solare è inferiore a 10.000 euro, il reverse charge non si applica: la fattura va trattata come se fosse ricevuta da un fornitore nazionale.
Diverso è il caso degli acquisti extra-UE, come quelli da Google LLC, Amazon AWS o Adobe Inc. In queste situazioni, il contribuente forfettario è tenuto a emettere un’autofattura, poiché il fornitore non è registrato in Italia. Anche qui l’IVA è dovuta e va versata con modello F24, ma non vi è alcuna soglia di esonero: ogni operazione è rilevante, anche per importi minimi.
Questa distinzione è fondamentale perché, con l’entrata in vigore della trimestralità a partire da ottobre 2025, sarà necessario organizzare un monitoraggio puntuale e differenziato tra operazioni UE e extra-UE, per rispettare le corrette modalità di integrazione e versamento.
Armonizzazione tra regimi
L’introduzione della liquidazione trimestrale dell’IVA per le operazioni in reverse charge rappresenta molto più di una semplice semplificazione burocratica: è il segnale di un tentativo di armonizzazione tra il regime forfettario e quello ordinario. Per anni, i forfettari sono stati visti come un “blocco a parte” del sistema fiscale italiano, quasi scollegati dalle logiche IVA, sebbene ne conservassero la soggettività passiva.
Il Correttivo sembra voler ridefinire questo confine: pur mantenendo il carattere agevolato del regime (con tassazione sostitutiva, esonero IVA attiva e contabilità semplificata), si introduce un elemento di allineamento alle regole generali, laddove si manifestano operazioni particolari, come quelle soggette a reverse charge.
Questo può essere letto come un primo passo verso una maggiore coerenza e trasparenza del regime forfettario, che oggi è spesso al centro di contestazioni e abusi. Uniformare le scadenze, i modelli di versamento e le regole operative può aiutare i piccoli contribuenti a muoversi con maggiore consapevolezza e l’Amministrazione finanziaria a monitorare in modo più efficace le operazioni.
Resta ora da capire se questa evoluzione si limiterà al reverse charge, oppure se nei prossimi anni si assisterà a un progressivo avvicinamento tra i due mondi fiscali: quello agevolato e quello ordinario. Un equilibrio complesso, ma potenzialmente virtuoso, se accompagnato da strumenti digitali, formazione e assistenza dedicata.
Conclusioni
La riforma introdotta dal Correttivo alla riforma fiscale rappresenta un segnale forte: anche i contribuenti in regime forfettario non sono più esclusi dalle logiche evolutive del sistema IVA. La possibilità di versare l’IVA in reverse charge su base trimestrale offre un vantaggio concreto in termini di semplificazione, ma richiede maggiore attenzione nella gestione contabile e amministrativa.
Il messaggio per i forfettari è chiaro: nonostante il regime agevolato, alcune operazioni richiedono una preparazione fiscale puntuale, l’uso di strumenti adeguati e, spesso, il supporto di un professionista. Sottovalutare le regole sul reverse charge può portare a errori costosi e sanzioni evitabili.
Questa norma è solo una delle tante tappe verso una fiscalità più moderna e inclusiva, dove anche le microimprese devono trovare spazio, ma con regole chiare e sostenibili. Restare aggiornati, pianificare e non sottovalutare la complessità delle operazioni transfrontaliere sarà sempre più importante.
Per questo motivo, chi opera nel forfettario dovrebbe cogliere questa opportunità per rivedere i propri strumenti di gestione, formarsi (o formare il proprio consulente), e impostare un sistema che sia sì semplificato, ma anche conforme, consapevole e a prova di controlli.
Reverse Charge nel Regime 398/91: Obblighi IVA in Italia e all’Estero secondo la Circolare 14/E/2015

Reverse Charge e commercio di oro: condizioni e limiti applicativi

Reverse Charge vs. Regime del Margine
Nel settore del commercio di oro, il reverse charge può essere utilizzato esclusivamente quando la cessione è finalizzata alla fusione o a ulteriori trasformazioni del metallo. Se l'oro è venduto direttamente a consumatori finali, il regime del margine è quello appropriato. Questo regime speciale, disciplinato dall'articolo 36 del Decreto Legge n. 41/1995, si applica alla tassazione della differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita del bene, anziché sull'intero valore del bene stesso.Condizioni per l'Applicazione del Reverse Charge
Il meccanismo del reverse charge, previsto dall'articolo 17 del DPR n. 633/1972, trasferisce l'obbligo del pagamento dell'IVA dal venditore all'acquirente, ma solo in determinate operazioni, generalmente per prevenire l'evasione fiscale. Tuttavia, per poter applicare il reverse charge nel commercio dell'oro, devono essere soddisfatte specifiche condizioni: il venditore deve essere iscritto all'albo degli operatori professionali del mercato dell’oro e l'oro ceduto deve essere destinato a processi industriali di trasformazione.Il Caso Specifico: Controllo e Accertamento
Il caso oggetto della sentenza della Cassazione ha riguardato un'orefice che applicava il reverse charge alla vendita di oggetti d'oro. Dopo un controllo della Guardia di Finanza, l'Agenzia delle Entrate ha contestato l'applicazione errata del reverse charge, sostenendo che il corretto regime fiscale da applicare fosse quello del margine, poiché l'oro era venduto a consumatori finali e non destinato a fusione.Decisioni Giudiziarie e Conferme Normative
Sia la Commissione Tributaria Provinciale di Torino che la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte hanno confermato che il reverse charge non poteva essere applicato nel caso specifico, ribadendo l'obbligo di rispettare le condizioni normative previste. La Corte di Cassazione ha ulteriormente consolidato questo orientamento, sottolineando che il reverse charge si applica solo quando l'oro venduto è destinato a processi che avviano un nuovo ciclo economico, come la fusione.Conclusione: Legittimità dell'Accertamento
La Corte di Cassazione ha dunque confermato la legittimità dell’accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, in quanto la contribuente non aveva dimostrato che l’oro venduto fosse destinato a operatori industriali per la trasformazione. Questo chiarimento rafforza la necessità di applicare il corretto regime fiscale nel commercio dell'oro, in base alla destinazione finale dei beni.Il reverse charge nel settore energetico: chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate

L'Agenzia delle entrate ha fornito nuove indicazioni in merito all'applicazione del meccanismo del reverse charge (inversione contabile) nel settore delle cessioni di gas ed energia elettrica.
Proroga e ambito di applicazione
Il reverse charge, introdotto per contrastare l'evasione fiscale, è stato prorogato fino al 31 dicembre 2026. Esso si applica, tra le altre, alle cessioni di gas ed energia elettrica effettuate a soggetti passivi rivenditori o a soggetti che utilizzano i beni nel territorio italiano.
Aggiornamenti dei prezzi e reverse charge
Un punto cruciale chiarito dall'Agenzia riguarda i casi in cui, a seguito di un aggiornamento dei prezzi, si verifichi un aumento della base imponibile su cessioni di energia elettrica avvenute prima del 2015. In questi casi, i maggiori compensi ricevuti dovranno essere fatturati applicando l'Iva in modo ordinario, in quanto in origine non era stato applicato il reverse charge.
Principio di diritto e coerenza con la normativa
Questa interpretazione si basa sul principio di diritto n. 2/2024 e trova fondamento nella normativa vigente. L'Agenzia ribadisce che il reverse charge rappresenta una deroga alle regole ordinarie e che, in generale, l'obbligo di versare l'Iva grava sul cessionario o committente e non sul cedente o prestatore.
Esclusioni
Il regime del reverse charge non si applica alle note di credito emesse prima dell'entrata in vigore del meccanismo stesso.
In sintesi
L'Agenzia delle Entrate, con il suo ultimo principio di diritto, ha fornito ulteriori chiarimenti sull'applicazione del reverse charge nel settore energetico, garantendo una maggiore certezza giuridica per i contribuenti.
Il meccanismo del Reverse Charge: come funziona e in quali casi si applica

Che cosa significa in pratica?
Nel normale regime IVA, il venditore di un bene o servizio addebita l'IVA all'acquirente e successivamente la versa all'erario. Nel meccanismo del reverse charge, invece, non è il venditore a dover versare l'IVA, ma è direttamente l'acquirente che si occupa di auto-liquidare l'IVA dovuta sull'operazione. Questo significa che l'acquirente registra nella sua contabilità sia l'IVA a debito (come se fosse il venditore) sia l'IVA a credito (come se fosse l'acquirente), neutralizzando di fatto l'impatto dell'operazione sulla liquidazione periodica dell'IVA.- il venditore emette fattura senza addebitare l’imposta (come normalmente dovrebbe fare);
- l’acquirente integra la fattura ricevuta con l’aliquota di riferimento per il tipo di operazione fatturata e, allo stesso tempo, procede con la duplice annotazione nel registro acquisti (fatture di acquisto) e nel registro vendite (fatture emesse).
In quali casi si applica?
Il reverse charge si applica principalmente in due ambiti:- Operazioni intracomunitarie: per l'acquisto di beni e servizi da parte di soggetti IVA in stati membri dell'UE diversi da quello dell'acquirente.
- Specifici settori o tipologie di operazioni nazionali: in Italia, ad esempio, il reverse charge si applica a specifici settori come l'edilizia, la vendita di oro e prodotti elettronici, o la cessione di quote di emissioni di gas serra e altri casi specificati dalla normativa.
Obiettivi del reverse charge
Gli obiettivi principali di questo meccanismo sono:- Ridurre le frodi fiscali, in particolare quelle connesse al carosello IVA, una pratica fraudolenta che sfrutta il meccanismo dell'IVA nelle operazioni intracomunitarie.
- Semplificare gli adempimenti per le imprese che effettuano operazioni commerciali oltre i confini nazionali.
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