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Bonus per l’adeguamento del parco macchine nell’autotrasporto 2025: 13 milioni di euro per imprese più sostenibili

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Nel contesto attuale in cui la transizione ecologica rappresenta una delle principali sfide per il sistema economico europeo, anche il settore dell’autotrasporto è chiamato a fare la propria parte. Il Governo italiano ha stanziato 13 milioni di euro per favorire la sostituzione del parco veicolare con mezzi meno inquinanti, più sicuri e in linea con gli standard ambientali europei. Questo incentivo, previsto dal Decreto 7 agosto 2025, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 20 ottobre 2025, rappresenta un’opportunità concreta per le imprese di autotrasporto di merci per conto terzi che vogliono ridurre il proprio impatto ambientale e rinnovare la flotta in ottica green.

Il contributo non è soltanto un aiuto economico, ma si inserisce in un più ampio quadro strategico volto a migliorare l’efficienza del trasporto su strada, ridurre le emissioni e promuovere l’innovazione nel settore logistico. Si tratta di una misura mirata, accessibile a precise categorie di imprese, con regole ben definite e tempistiche da rispettare per accedere ai fondi.

In questo articolo vedremo in dettaglio chi può richiedere il bonus, quali veicoli e investimenti sono ammessi, come e quando fare domanda, i vantaggi fiscali e finanziari per le imprese e soprattutto, come sfruttare questa occasione per risparmiare in modo legale e intelligente sulle tasse, ottimizzando al tempo stesso i costi aziendali.

Requisiti e soggetti beneficiari

Il Bonus per l’adeguamento del parco macchine Autotrasporto 2025 è una misura finanziata con uno stanziamento complessivo di 13 milioni di euro, destinato a sostenere gli investimenti delle imprese attive nel settore del trasporto merci su strada. Il contributo è finalizzato a incentivare la sostituzione dei veicoli obsoleti con mezzi nuovi, più efficienti e meno impattanti sull’ambiente.

I beneficiari di questo incentivo sono le imprese di autotrasporto di merci per conto di terzi che:

  • hanno sede legale o operativa sul territorio italiano,

  • risultano regolarmente iscritte al Registro Elettronico Nazionale (REN) e all’Albo degli Autotrasportatori di cose per conto di terzi,

  • hanno come attività prevalente l’autotrasporto di merci su strada.

Queste imprese devono avviare un processo di adeguamento del parco veicolare con l’obiettivo di renderlo più ecosostenibile, contribuendo alla progressiva eliminazione dal mercato dei veicoli più vecchi e inquinanti. È importante sottolineare che le risorse potranno essere incrementate con eventuali ulteriori stanziamenti nell’anno 2025, sempre con le stesse finalità ambientali.

Questa misura rappresenta un’opportunità concreta non solo per migliorare le performance ambientali delle aziende, ma anche per accrescere la competitività del settore e ridurre i costi di gestione grazie all’impiego di veicoli più moderni e performanti.

Spese ammissibili

Il Bonus Parco Macchine 2025 prevede una ripartizione precisa delle risorse finanziarie in base alle diverse tipologie di investimenti, con l’obiettivo di incentivare l’ammodernamento del parco veicolare in un’ottica di sostenibilità ambientale. Le agevolazioni sono concesse fino a esaurimento fondi per ciascuna categoria e vengono gestite tramite la società RAM Logistica, Infrastrutture e Trasporti S.p.A., incaricata dell’attività istruttoria.

Vediamo nel dettaglio le categorie di spesa ammesse e le risorse disponibili:

a) Acquisto di veicoli ecologici (1 milione di euro)

Sono finanziabili gli acquisti (anche in leasing) di veicoli commerciali nuovi di fabbrica, con massa pari o superiore a 3,5 tonnellate, a trazione alternativa:

  • Metano CNG,

  • Gas Naturale Liquefatto (LNG),

  • Ibridi (diesel/elettrico),

  • Elettrici (full electric).

Rientra in questa categoria anche la riconversione di veicoli termici in elettrici, ai sensi del Regolamento (CE) n. 651/2014.

b) Rottamazione e sostituzione con veicoli Euro VI (8,2 milioni di euro)

Si tratta della categoria più finanziata. È previsto un contributo per la rottamazione di veicoli vecchi, con contestuale acquisto di automezzi nuovi conformi:

  • Euro VI step E (Regolamento CE n. 595/2009),

  • Euro 6 E o Euro 6 E-bis (Regolamento CE n. 715/2007).

La sostituzione deve riguardare veicoli della stessa tipologia o superiore, per massa e destinazione.

c) Rimorchi, semirimorchi e intermodale (3,8 milioni di euro)

Sono ammissibili all’incentivo:

  • Rimorchi/semirimorchi per trasporto combinato ferroviario (UIC 596-5),

  • Veicoli con ganci nave per trasporto marittimo (MSC 479),

  • Allestimenti ATP avanzati per veicoli >7 tonnellate,

  • Contenitori intermodali per liquidi pericolosi (tipo ISO Tank 20ft o Swap Body 22–24ft), conformi agli standard ADR, ASME, ISO e CSC.

Importante: tutti i mezzi acquistati con contributo non possono essere venduti o noleggiati fino al 30 marzo 2029, pena la revoca del beneficio. Inoltre, i veicoli rottamati devono essere posseduti da almeno 12 mesi prima dell’entrata in vigore del decreto, altrimenti la domanda viene considerata inammissibile.

Come presentare domanda

Le imprese interessate ad accedere al Bonus Autotrasporto 2025 devono seguire una procedura precisa, articolata in prenotazione, verifica e rendicontazione finale. La validità delle domande è strettamente collegata alla disponibilità effettiva dei fondi, che viene monitorata e aggiornata periodicamente dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con avvisi pubblicati sul sito ufficiale.

Le domande saranno accettate fino a esaurimento risorse. Una volta raggiunto il tetto massimo, eventuali nuove istanze verranno prese in considerazione solo se si renderanno disponibili ulteriori fondi, oppure tramite rimodulazioni interne tra le varie aree di intervento, decise con decreto del Direttore Generale per la Sicurezza Stradale e l’Autotrasporto.

Documenti richiesti:

Al momento della domanda, è obbligatorio allegare:

  • il modulo compilato e firmato digitalmente dal legale rappresentante;

  • copia del contratto di acquisizione dei beni oggetto dell’investimento;

  • oppure, in alternativa, preventivo firmato per accettazione;

  • documento di identità del richiedente.

Verifica e controlli:

Il soggetto gestore (RAM S.p.A.) provvede a verificare l’ammissibilità delle domande e a stilare una graduatoria cronologica. In caso di documentazione incompleta o carente, sarà inviato un preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10-bis della Legge 241/1990, con 10 giorni di tempo per integrare o fornire chiarimenti.

Rendicontazione obbligatoria:

Una volta ottenuta la prenotazione del beneficio, l’impresa dovrà completare l’investimento e presentare tutta la documentazione tecnica e fiscale che ne certifichi la regolarità, entro il termine previsto dal decreto attuativo (da emanarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto). In mancanza di prova documentale o superamento dei termini, il contributo decade e i fondi vengono riassegnati alle imprese in graduatoria.

In nessun caso le somme erogate possono superare l’importo prenotato, e i beni acquisiti devono rispettare tutti i requisiti tecnici previsti. La prova delle caratteristiche dovrà essere fornita nella fase di rendicontazione, pena l’inammissibilità della domanda.

Vantaggi fiscali

Aderire al Bonus Autotrasporto 2025 non significa solo accedere a un contributo economico una tantum: si tratta di una vera e propria strategia di investimento con impatti positivi sul piano fiscale, finanziario e competitivo.

Infatti, le imprese che decidono di rinnovare il proprio parco veicolare secondo i criteri stabiliti dal decreto possono beneficiare di molteplici vantaggi di medio-lungo termine.

1. Risparmio immediato e agevolazioni fiscali

Oltre al contributo diretto previsto dal Bonus, le imprese possono ammortizzare più velocemente i beni strumentali acquistati, sfruttando i regimi di superammortamento o credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi (a seconda della normativa vigente). Inoltre, i mezzi a basso impatto ambientale consentono risparmi diretti sul carburante, riduzione delle accise in determinati casi e accesso a zone a traffico limitato (ZTL) senza costi aggiuntivi.

2. Migliore efficienza operativa e riduzione dei costi

L’acquisto di veicoli nuovi e tecnologicamente avanzati significa meno manutenzione straordinaria, consumi ridotti, maggiore affidabilità nelle consegne e sicurezza per i conducenti. Tutto questo si traduce in minori costi operativi e ottimizzazione dei tempi di trasporto, fattori chiave per la competitività aziendale.

3. Accesso facilitato a commesse pubbliche e private

Sempre più aziende e stazioni appaltanti, nel rispetto dei criteri ESG e dei CAM (Criteri Ambientali Minimi), premiano gli operatori del trasporto che investono in mezzi ecologici. Disporre di una flotta green può diventare un vantaggio competitivo decisivo in fase di gara o nella scelta di un fornitore.

4. Immagine aziendale e responsabilità sociale

In un mercato sempre più attento alla sostenibilità, mostrare impegno concreto nella riduzione delle emissioni di CO₂ rafforza l’identità aziendale, migliora l’immagine agli occhi di clienti e partner e contribuisce alla costruzione di una reputazione solida e allineata con le politiche ambientali europee.

Strategie operative 

Per accedere con successo al Bonus Parco Macchine Autotrasporto 2025, le imprese devono pianificare attentamente l’intero iter, adottando un approccio strategico che coniughi esigenze operative, benefici economici e scadenze normative. Questo non è un semplice “contributo una tantum”, ma un intervento strutturale per chi vuole davvero rinnovare la flotta aziendale e posizionarsi al meglio sul mercato del trasporto merci.

1. Analisi del parco veicolare esistente

Il primo passo è una valutazione tecnica dei mezzi attualmente in uso. Le imprese dovrebbero mappare i veicoli più obsoleti, individuare quelli da rottamare e calcolare il ritorno dell’investimento in termini di costi di manutenzione, carburante, impatto ambientale e valore residuo.

2. Preventivi mirati e soluzioni di finanziamento

Prima di presentare la domanda, è fondamentale ottenere preventivi dettagliati e conformi alle specifiche del decreto. Inoltre, molte aziende scelgono di abbinare il contributo statale a forme di leasing operativo o finanziario, per diluire l’investimento e ottimizzare la liquidità.

3. Verifica dei requisiti e tempistiche

Non basta acquistare un veicolo “green”: è essenziale che rispetti tutti i requisiti tecnici indicati nel decreto (ad es. Euro VI step E, alimentazione LNG, standard ADR per contenitori, ecc.). Inoltre, vanno rispettati i tempi di presentazione, prenotazione e rendicontazione, pena la decadenza dal beneficio.

4. Assistenza tecnica e consulenza fiscale

Vista la complessità normativa e le specifiche tecniche richieste, è consigliabile affidarsi a consulenti specializzati (come studi commercialisti esperti nel settore trasporti) per gestire correttamente tutta la pratica, evitare errori formali e garantire la massima tutela in caso di controlli o contestazioni.

Investire oggi nella transizione ecologica del proprio parco veicolare significa trasformare un obbligo ambientale in una leva di competitività, approfittando degli incentivi pubblici disponibili e riducendo sensibilmente l’impatto fiscale e operativo dell’innovazione aziendale.

Errori da evitare

L’accesso al Bonus Parco Macchine Autotrasporto 2025 può sembrare un’opportunità a portata di mano, ma la complessità normativa e la rigidità dei requisiti tecnici e temporali espongono le imprese a rischi concreti di decadenza dal contributo. Per questo è fondamentale evitare errori comuni che potrebbero compromettere l’intera operazione.

1. Tempistiche non rispettate

Uno degli errori più frequenti è la mancata osservanza delle scadenze stabilite dal decreto. La domanda va presentata entro i termini previsti e la rendicontazione deve avvenire puntualmente, con tutti i documenti richiesti. Anche un semplice ritardo nella consegna del contratto definitivo d’acquisto o della fattura può portare alla revoca del contributo prenotato.

2. Documentazione incompleta o non conforme

Molte domande vengono respinte per errori formali o documentazione mancante, come preventivi non firmati, mancanza della firma digitale o veicoli non conformi alle specifiche tecniche del decreto. L’assenza della prova di rottamazione valida, ad esempio, rende la domanda inammissibile per la quota maggiore degli incentivi (8,2 milioni di euro).

3. Cessione anticipata del bene

Altro errore grave è alienare, noleggiare o cedere i veicoli acquistati con contributo pubblico prima del 30 marzo 2029. Questo comporta la decadenza automatica del beneficio, con obbligo di restituzione delle somme erogate. Lo stesso vale se il mezzo viene trasferito anche solo temporaneamente a un soggetto terzo.

4. Difformità tra veicolo richiesto e veicolo consegnato

La fase di rendicontazione è fondamentale: il veicolo o attrezzatura acquistata deve rispondere esattamente ai parametri tecnici richiesti dal decreto (alimentazione, massa, standard ambientali, dotazioni di sicurezza ecc.). Se anche uno solo di questi elementi risulta non conforme, l’intera domanda decade, anche se la prenotazione del contributo era andata a buon fine.

5. Errori nella fase di prenotazione

Infine, sottovalutare l’importanza della fase di prenotazione può compromettere tutto. Le somme erogate non possono mai superare l’importo prenotato e non è possibile modificare in corso d’opera la tipologia di investimento. Ogni cambiamento deve essere preventivamente autorizzato, o si rischia la perdita del beneficio.

Essere consapevoli di questi errori comuni e delle cause di esclusione permette alle imprese di prepararsi in modo rigoroso, evitando brutte sorprese e massimizzando i vantaggi dell’incentivo.

Caso pratico

Per comprendere appieno l’impatto del Bonus Autotrasporto 2025, analizziamo il caso della LogiTrans Srl, una media impresa con sede operativa in Emilia-Romagna, specializzata nel trasporto merci su scala nazionale ed europea. Con una flotta composta da circa 25 mezzi, di cui molti Euro IV e V, l’azienda si è trovata di fronte alla necessità di modernizzare il parco veicolare per rispondere alle crescenti richieste di sostenibilità da parte dei clienti, soprattutto del comparto agroalimentare e chimico.

L’intervento finanziato

Dopo una prima analisi interna, LogiTrans ha individuato 6 veicoli obsoleti da sostituire. Ha deciso quindi di:

  • rottamare 4 mezzi Euro V con oltre 800.000 km,

  • acquistare 4 nuovi camion Euro VI step E tramite leasing,

  • acquisire 2 semirimorchi refrigerati ATP di ultima generazione, equipaggiati con sistemi di risparmio energetico.

Grazie all’assistenza di un consulente fiscale esperto in incentivi pubblici, l’impresa ha presentato la domanda entro i tempi e con la documentazione completa, prenotando così il contributo. Dopo pochi mesi ha ricevuto il conferimento del contributo totale pari a circa 110.000 euro a fondo perduto.

I benefici ottenuti

  • Risparmio immediato sull’acquisto, che ha permesso di liberare liquidità per altre attività aziendali.

  • Abbattimento dei costi di carburante e manutenzione sui nuovi veicoli, stimato in circa il 25% rispetto ai precedenti.

  • Incremento della competitività: l’azienda ha acquisito due nuovi contratti con committenti esteri grazie alla dimostrazione di possedere una flotta ecosostenibile.

  • Benefici fiscali legati all’ammortamento accelerato e all’accesso a ZTL e infrastrutture green senza costi aggiuntivi.

Questo esempio dimostra come l’utilizzo intelligente del Bonus possa trasformarsi in un vantaggio concreto e misurabile, non solo per il bilancio aziendale, ma anche per la reputazione e la sostenibilità a lungo termine.

Conclusione

Il Bonus Parco Macchine Autotrasporto 2025 rappresenta una delle più importanti misure a sostegno della transizione ecologica del trasporto su strada. Con 13 milioni di euro stanziati, requisiti chiari e incentivi mirati, le imprese che operano nel settore del trasporto merci per conto di terzi hanno l’opportunità di rinnovare la propria flotta, ridurre i costi, migliorare la competitività e posizionarsi come attori responsabili in un mercato sempre più attento alla sostenibilità.

L’esperienza dimostra che chi si muove per tempo, con una pianificazione corretta e una gestione documentale precisa, riesce ad accedere al contributo senza difficoltà e a trasformare l’incentivo in valore concreto per l’azienda. In un settore ad alta pressione come l’autotrasporto, questo bonus non è solo un aiuto statale, ma un investimento strategico verso un futuro più efficiente, sicuro e sostenibile.

Chi è pronto ad agire subito, supportato da professionisti esperti, può sfruttare al meglio questa occasione per ottimizzare il carico fiscale, accedere a ulteriori agevolazioni e rinnovare l’immagine aziendale nel rispetto dei nuovi standard ambientali europei.

Fabbricato pertinenziale e agevolazione montana: quando si perde il beneficio fiscale nei masi chiusi

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Nel sistema tributario italiano esistono norme pensate per incentivare l’attività agricola in zone svantaggiate, come le aree montane. Tra queste spicca l’agevolazione “montana” prevista dall’art. 9, comma 2 del DPR 601/1973, che consente di beneficiare di importanti vantaggi fiscali sull’acquisto di terreni rustici e fabbricati agricoli situati in montagna. Ma attenzione: il diritto al beneficio può decadere facilmente, anche per comportamenti in buona fede.

Lo ha chiarito con fermezza l’Agenzia delle Entrate nella Risposta a interpello n. 262 del 13 ottobre 2025, precisando che la concessione in uso gratuito di un fabbricato pertinenziale a soggetti terzi fa decadere l’agevolazione fiscale. Un caso che coinvolge un maso chiuso, cioè un compendio agricolo indivisibile tipico delle zone alpine, dove anche piccoli dettagli formali possono fare la differenza tra risparmio fiscale e sanzioni.

Nel corso di questo articolo analizzeremo nel dettaglio quando si perde l’agevolazione montana, cosa si intende per fabbricato pertinenziale, quali sono le condizioni richieste dalla normativa e come comportarsi per evitare di compromettere i benefici fiscali.

Decadenza dall’agevolazione montana

L’articolo 9 del DPR n. 601/1973 riconosce specifiche agevolazioni fiscali per l’acquisto di fondi rustici situati in territori montani, destinati a coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (IAP). Le agevolazioni consistono nel pagamento in misura fissa delle imposte di registro e ipotecaria, e nell’esenzione da imposta catastale e di bollo. Si tratta di misure pensate per sostenere l’agricoltura di montagna, spesso economicamente svantaggiata rispetto ad altri territori.

Tali vantaggi fiscali spettano anche a chi non è iscritto alla previdenza agricola, purché si impegni a coltivare personalmente il fondo per almeno cinque anni. È fondamentale però rispettare questo impegno, perché qualsiasi uso difforme dell’immobile, alienazione anticipata o cessazione della conduzione agricola entro il quinquennio comporta la decadenza dalle agevolazioni, con obbligo di restituzione delle imposte ordinarie, sanzioni e interessi.

Un esempio concreto arriva con la Risposta n. 262 del 13 ottobre 2025 dell’Agenzia delle Entrate, che affronta il caso di un contribuente che, dopo aver acquistato un maso chiuso (compendio agricolo tipico di alcune regioni alpine), intendeva concedere in comodato gratuito un appartamento pertinenziale alla propria compagna. Anche se il maso continuava ad essere coltivato e la persona convivente avrebbe partecipato all’attività agricola, l’uso del fabbricato da parte di un soggetto terzo è stato ritenuto sufficiente a far perdere l’agevolazione.

Infatti, per la legge, una pertinenza agricola deve avere un vincolo funzionale stabile e concreto con l’attività agricola. Secondo la Cassazione (sentenza n. 15739/2007), ciò si verifica solo quando il fabbricato è chiaramente destinato a supportare l’impresa agricola, come abitazione del conduttore, sede operativa, magazzino o struttura agrituristica. Concederlo a terzi rompe questo vincolo, facendo venir meno il requisito essenziale per il beneficio fiscale.

Pertinenze e destinazione agricola

Per comprendere perché la concessione di un fabbricato pertinenziale a terzi comporti la decadenza dalle agevolazioni fiscali previste dalla “legge montana”, è necessario chiarire cosa si intende giuridicamente per pertinenza e quale rapporto deve sussistere tra il fabbricato e l’attività agricola.

L’articolo 817 del Codice Civile stabilisce che un bene può essere considerato pertinenza solo se è destinato in modo durevole al servizio o ad ornamento di un altro bene principale, nel nostro caso il fondo agricolo. Tale qualificazione, come ricorda l’Agenzia delle Entrate nella Risposta n. 262/2025, non può basarsi su una semplice dichiarazione formale, ma deve riflettere un effettivo rapporto funzionale concreto e continuativo tra i due beni.

Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (tra cui la sentenza n. 15739/2007), i fabbricati possono essere ritenuti pertinenze agricole solo se sono strumentali all’attività agricola, ad esempio come:

  • abitazione del coltivatore diretto o dell’IAP;

  • sede operativa dell’impresa agricola;

  • struttura agrituristica regolarmente autorizzata;

  • oppure come magazzino per attrezzi e prodotti agricoli.

Nel caso analizzato nel 2025 dall’Agenzia, la concessione in comodato gratuito di un appartamento a una persona terza (seppure partner del contribuente), ha comportato un cambio di destinazione d’uso del fabbricato, rendendolo non più funzionalmente legato al fondo agricolo. Anche se l’utilizzo era privo di scopo commerciale e non vi era un trasferimento di proprietà, il solo fatto che il fabbricato non fosse più al servizio diretto dell’attività agricola ha fatto venire meno il presupposto essenziale per l’agevolazione, con conseguente decadenza e obbligo di restituzione delle imposte non versate.

Effetti fiscali della decadenza

Quando si verifica una decadenza dall’agevolazione fiscale prevista dalla legge montana, il contribuente è tenuto a versare tutte le imposte ordinarie che erano state inizialmente risparmiate, maggiorate di interessi legali e sanzioni, a partire dalla data dell’atto agevolato. Non si tratta solo di un rimborso tecnico, ma di una vera e propria rivalsa tributaria, che può gravare in modo significativo sul bilancio del beneficiario.

Nel caso trattato dalla Risposta a interpello n. 262/2025, il contribuente aveva acquistato un maso chiuso con l’agevolazione prevista dall’art. 9 del DPR 601/1973, dichiarando l’impegno quinquennale a condurre il fondo.

Tuttavia, la concessione in comodato gratuito di un fabbricato pertinenziale alla compagna ha determinato una violazione dell’impegno assunto, con conseguente perdita del beneficio.

Le imposte da restituire in questi casi possono includere:

  • imposta di registro applicata in misura ordinaria (anziché fissa);

  • imposta ipotecaria e catastale;

  • eventuali imposte di bollo esenti in fase di agevolazione;

  • interessi di mora calcolati su base annua;

  • sanzioni amministrative che possono arrivare fino al 30% dell’imposta dovuta, salvo riduzioni in caso di ravvedimento operoso.

Va sottolineato che l’Agenzia delle Entrate verifica la sussistenza dei requisiti anche a distanza di anni dall’acquisto, quindi qualsiasi modifica nella destinazione d’uso dei fabbricati deve essere attentamente valutata, possibilmente con l’assistenza di un commercialista o di un consulente fiscale esperto in materia agricola.

Uso personale non equivale a uso agricolo

Uno degli aspetti che genera più confusione tra i proprietari di immobili agricoli riguarda la differenza tra uso personale e uso agricolo. Molti ritengono, erroneamente, che concedere un fabbricato a un familiare o convivente non configuri una violazione degli obblighi connessi all’agevolazione fiscale, soprattutto se la persona è coinvolta, anche solo informalmente, nell’attività agricola. Tuttavia, la normativa e la prassi amministrativa sono molto chiare: ciò che conta è la destinazione funzionale e oggettiva del bene.

Nel caso esaminato nella Risposta n. 262/2025, il contribuente sosteneva che la concessione gratuita dell’appartamento alla compagna non avrebbe alterato il rapporto di pertinenzialità, sia perché nel maso era presente un altro alloggio per il conduttore, sia perché la compagna partecipava saltuariamente ai lavori agricoli.

Tuttavia, l’Agenzia ha respinto questa tesi, precisando che:

  • la partner è comunque un soggetto giuridicamente terzo rispetto al conduttore;

  • l’utilizzo dell’immobile non è strumentale in senso tecnico all’attività agricola;

  • l’assenza di corrispettivo economico (comodato gratuito) non cambia la natura dell’utilizzo.

In sostanza, l’uso residenziale privato non è sufficiente a mantenere il vincolo pertinenziale, se l’immobile non è adibito a funzioni essenziali dell’azienda agricola. Questo orientamento è coerente con la giurisprudenza della Cassazione e con la ratio della norma: le agevolazioni fiscali non premiano l’uso abitativo, ma esclusivamente l’impiego produttivo e agricolo del patrimonio immobiliare.

Strategie fiscali e precauzioni operative

La disciplina fiscale legata ai masi chiusi e alle agevolazioni montane è complessa e spesso sottovalutata dai contribuenti. Tuttavia, le conseguenze di un errore possono essere molto onerose. Per questo motivo, è fondamentale adottare un approccio preventivo e prudente, valutando attentamente ogni decisione che coinvolga la destinazione dei fabbricati rurali.

Ecco alcune strategie e buone pratiche per evitare la perdita dell’agevolazione:

  1. Analisi preventiva del vincolo pertinenziale
    Prima di concedere un immobile a terzi – anche gratuitamente – è necessario accertarsi che l’utilizzo previsto sia coerente con la funzione agricola del bene. In caso contrario, è consigliabile evitare la concessione o valutare alternative.

  2. Assistenza professionale qualificata
    Rivolgersi a un commercialista specializzato in fiscalità agricola o a un notaio esperto nella disciplina dei masi chiusi è essenziale per inquadrare correttamente ogni operazione, sia in fase di acquisto che di gestione.

  3. Evita concessioni non documentate o informali
    Anche se non registrato formalmente, un uso non agricolo di fatto da parte di terzi può emergere da controlli fiscali o segnalazioni, con il rischio di accertamenti retroattivi.

  4. Verifica annuale del rispetto degli impegni quinquennali
    Ogni anno è opportuno effettuare una ricognizione delle condizioni di mantenimento dell’agevolazione, soprattutto in caso di cambiamenti familiari o aziendali.

  5. Ravvedimento operoso in caso di irregolarità
    Se si rileva un utilizzo improprio del bene, è possibile regolarizzare la situazione attraverso il ravvedimento operoso, limitando l’impatto di sanzioni e interessi.

L’obiettivo deve essere sempre quello di mantenere la coerenza tra le dichiarazioni contenute nell’atto agevolato e l’effettivo utilizzo del bene nel tempo, evitando così spiacevoli sorprese future.

Conclusioni

Il caso analizzato nella Risposta n. 262 del 13 ottobre 2025 dell’Agenzia delle Entrate rappresenta un importante monito per tutti coloro che acquistano o gestiscono immobili agricoli in zone montane beneficiando delle agevolazioni previste dal DPR 601/1973. Anche decisioni apparentemente semplici, come concedere un appartamento in comodato a un familiare o partner, possono avere conseguenze fiscali significative, fino alla perdita dei vantaggi ottenuti in fase di acquisto.

È evidente che il legislatore ha inteso vincolare i benefici fiscali all’effettivo utilizzo agricolo dei fabbricati e dei terreni. La ratio della norma è chiara: premiare chi contribuisce alla valorizzazione e alla permanenza dell’attività agricola nelle zone montane, contrastando lo spopolamento e promuovendo uno sviluppo sostenibile.

Tuttavia, proprio per questo motivo, le condizioni d’accesso e di mantenimento del beneficio sono rigorose. Non si tratta solo di coltivare i terreni, ma anche di garantire che tutti i fabbricati siano funzionalmente integrati nell’attività agricola, senza eccezioni. La destinazione residenziale priva di legame operativo con il fondo agricolo è sufficiente a interrompere il vincolo pertinenziale e, di conseguenza, a far decadere il diritto all’agevolazione.

Per i proprietari di masi chiusi e aziende agricole in montagna, diventa quindi cruciale adottare un approccio consapevole, documentato e conforme alle regole, affidandosi a professionisti del settore in ogni fase: dall’acquisto alla gestione del patrimonio immobiliare rurale.

Successione immobile e bonus edilizi: quando gli eredi possono usufruire delle detrazioni fiscali

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Chi eredita un immobile può anche ereditare i bonus fiscali legati a lavori di ristrutturazione effettuati dal contribuente deceduto? È una domanda che molti si pongono quando si trovano coinvolti in una successione ereditaria. L’Agenzia delle Entrate, con il Principio di Diritto n. 7/2025, ha chiarito un aspetto cruciale su questo tema, destinato ad avere un impatto importante su migliaia di contribuenti.

Infatti, le detrazioni fiscali legate ai cosiddetti bonus edilizi (come il bonus ristrutturazioni) possono rappresentare un vantaggio economico considerevole. Tuttavia, la loro trasferibilità agli eredi non è automatica, e dipende da condizioni ben precise. La novità è che ora, con questo nuovo principio, l’Amministrazione fiscale ha fissato dei paletti chiari: solo l’erede che detiene materialmente e direttamente l’immobile può beneficiare delle detrazioni non ancora godute dal de cuius.

Questo chiarimento è fondamentale per evitare errori, ma soprattutto per pianificare correttamente una successione, sia dal punto di vista fiscale che patrimoniale.

Nell’articolo vedremo quali sono le regole attuali, cosa prevede l’articolo 16-bis del TUIR, come si trasmettono le detrazioni e cosa rischia chi le applica senza averne diritto.

Condizioni per subentrare nei bonus edilizi

Con il Principio di Diritto n. 7/2025, l’Agenzia delle Entrate ha messo nero su bianco un concetto già anticipato in precedenti documenti di prassi, come la Circolare n. 17/E del 2023: per poter usufruire delle detrazioni fiscali residue legate a interventi edilizi (bonus ristrutturazioni, superbonus, ecobonus, bonus verde), l’erede deve detenere materialmente e direttamente l’immobile oggetto dell’agevolazione.

Cosa significa in concreto? Che l’erede non può fruire della detrazione se, nell’anno fiscale di riferimento, l’immobile risulta locato o dato in comodato a terzi, anche solo per pochi mesi. La detenzione deve essere continua e diretta per l’intero anno solare, dal 1° gennaio al 31 dicembre. Se questa condizione non viene rispettata, la quota di detrazione relativa a quell’anno va persa.

Tuttavia, l’Agenzia precisa un dettaglio importante: non è necessario che l’erede detenga l’immobile già nell’anno in cui si apre la successione. Ciò che conta è la detenzione nell’anno in cui si intende applicare la detrazione. Ad esempio, se l’immobile viene liberato dalla locazione nel 2026, e un erede inizia a viverci stabilmente, potrà iniziare a detrarre le rate residue a partire da quell’anno.

Nel caso in cui siano più eredi a detenere direttamente l’immobile, il bonus fiscale sarà ripartito proporzionalmente in base alla quota e alla durata della detenzione per ciascun anno. Un altro chiarimento utile per evitare errori nella compilazione della dichiarazione dei redditi.

Articolo 16-bis del TUIR

Alla base del meccanismo delle detrazioni fiscali per lavori edilizi c’è l’articolo 16-bis del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che disciplina in maniera dettagliata le agevolazioni fiscali per interventi di recupero del patrimonio edilizio. Questo articolo è il fondamento normativo non solo del classico bonus ristrutturazioni, ma anche di altre agevolazioni connesse, come il bonus verde e alcune forme di ecobonus.

Secondo quanto previsto dal TUIR, la detrazione spettante al contribuente che sostiene le spese per lavori di ristrutturazione su unità immobiliari residenziali è pari al 36%, elevabile al 50% in determinati casi. Le spese agevolabili sono quelle sostenute per interventi su abitazioni singole o su parti comuni di edifici condominiali, purché si tratti di immobili a destinazione residenziale.

Quando però l’immobile oggetto di lavori viene trasferito, a titolo oneroso (compravendita) o gratuito (successione o donazione), e quote residue di detrazione non ancora utilizzate possono essere trasferite al nuovo titolare, ma solo se ricorrono precise condizioni. Nel caso della successione ereditaria, le detrazioni spettano unicamente all’erede che detiene direttamente l’immobile, come chiarito più volte dalla prassi dell’Agenzia.

È bene ricordare che, in assenza di un accordo tra le parti, il diritto alla detrazione segue la proprietà o il possesso materiale dell’immobile. In altre parole, non basta essere eredi o comproprietari: per fruire del bonus è necessario abitare realmente l’immobile o detenerlo con continuità per tutto l’anno fiscale.

Principio di Diritto n. 7/2025

Uno dei chiarimenti più significativi introdotti dall’Agenzia delle Entrate con il Principio di Diritto n. 7/2025 riguarda i casi in cui, al momento dell’apertura della successione, l’immobile oggetto della detrazione risulta affittato o dato in comodato a terzi. In queste situazioni, anche se gli eredi subentrano formalmente nella proprietà dell’immobile, non possono beneficiare della quota di detrazione spettante per quell’anno.

La regola è chiara: la detenzione materiale e diretta dell’immobile deve sussistere per l’intero periodo d’imposta (dal 1° gennaio al 31 dicembre). Non è sufficiente diventare proprietari: serve un uso effettivo e diretto del bene, inteso come abitazione propria o comunque uso personale esclusivo.

Se, ad esempio, al momento della morte del de cuius l’immobile è dato in locazione a un terzo, nessun erede potrà usufruire della quota di detrazione relativa all’anno in corso, nemmeno se l’affitto si conclude a metà anno. In questi casi, la quota annuale va persa definitivamente. Tuttavia, le quote residue degli anni successivi potranno essere utilizzate dall’erede che, cessata la locazione o il comodato, assumerà la detenzione diretta e materiale dell’immobile.

Questo chiarimento ha importanti conseguenze pratiche. È infatti frequente che gli immobili ereditati siano già oggetto di contratti di affitto o comodato. In tali casi, conviene pianificare con attenzione la gestione dell’immobile, valutando l’eventuale risoluzione anticipata del contratto se si intende usufruire dei benefici fiscali. Ricordiamo che questi possono arrivare fino a tanti migliaia di euro, distribuiti su più anni.

Detenzione successiva all’eredità

Un punto fondamentale ribadito dall’Agenzia delle Entrate è che l’erede può iniziare a beneficiare delle detrazioni residue anche in anni successivi all’apertura della successione, a condizione che in quegli anni detenga materialmente e direttamente l’immobile per tutto il periodo d’imposta. Questo significa che non è necessario abitare l’immobile già nell’anno in cui si eredita, ma è sufficiente acquisirne l’uso esclusivo in un anno fiscale successivo.

Ecco un esempio concreto: Tizio muore nel 2025, e lascia un appartamento in cui aveva eseguito lavori di ristrutturazione. Nessun erede può usufruire della detrazione per il 2025, perché l’immobile è affittato. Ma se nel 2026 l’affitto termina e uno degli eredi prende possesso diretto dell’abitazione, potrà iniziare a beneficiare delle rate residue a partire da quell’anno.

La normativa richiede però una condizione imprescindibile: la detenzione deve durare per l’intero anno fiscale, cioè dal 1° gennaio al 31 dicembre. Se l’erede subentra nella detenzione a metà anno, la quota di detrazione per quell’anno viene persa.

Inoltre, se più eredi detengono l’immobile nello stesso anno il beneficio fiscale va ripartito in base alla detenzione effettiva. Questa suddivisione può cambiare di anno in anno, seguendo le variazioni nella detenzione materiale del bene. Anche in questo caso, la regola non guarda tanto alla proprietà, quanto all’uso concreto dell’immobile.

Questo approccio, seppur rigido, ha il pregio di evitare abusi e consente un’applicazione coerente e controllabile delle agevolazioni fiscali previste.

Superbonus, Ecobonus e Bonus Verde

Uno dei passaggi più importanti del Principio di Diritto n. 7/2025 riguarda l’estensione delle regole sulla successione e detenzione anche ad altri bonus edilizi.

L’Agenzia delle Entrate chiarisce infatti che i principi esposti non si applicano soltanto al bonus ristrutturazioni previsto dall’articolo 16-bis del TUIR, ma anche alle detrazioni relative a:

  • Superbonus (art. 119 D.L. 34/2020)

  • Ecobonus (interventi di riqualificazione energetica)

  • Bonus verde (interventi su giardini e aree esterne)

Questo significa che anche per queste tipologie di detrazione, le rate residue non fruite dal defunto possono essere utilizzate dagli eredi solo se sussiste la detenzione materiale e diretta dell’immobile. In caso contrario, per gli anni in cui manca questa condizione, le detrazioni si perdono definitivamente.

Un esempio pratico: se un contribuente deceduto aveva iniziato a fruire del superbonus in dieci rate annuali, gli eredi potranno godere solo delle rate future, ma esclusivamente se uno di loro vive effettivamente nell’immobile o lo detiene direttamente per tutto l’anno fiscale di riferimento. Se l’immobile resta locato o in comodato, nessuna detrazione spetta per quell’anno.

Questa estensione non è banale. I bonus come il superbonus possono arrivare a coprire fino al 110% delle spese, e perdere anche solo una rata può significare migliaia di euro di agevolazioni in meno. Diventa quindi fondamentale gestire con attenzione la fase post-successione, valutando se e quando entrare in detenzione diretta per non perdere il beneficio fiscale.

Come gestire le detrazioni residue

Nel caso in cui un immobile oggetto di bonus edilizi venga ereditato da più soggetti, è fondamentale comprendere bene chi può effettivamente usufruire delle detrazioni residue e come vanno ripartite.

L’Agenzia delle Entrate, attraverso il Principio di Diritto n. 7/2025, specifica che il diritto alla detrazione non spetta a tutti gli eredi indistintamente, ma solo a quelli che detengono materialmente e direttamente l’immobile per l’intero anno di riferimento.

In presenza di più eredi, possono verificarsi diverse situazioni:

  • Solo uno degli eredi detiene l’immobile → in questo caso, solo lui può beneficiare dell’intera quota annuale della detrazione.

  • Due o più eredi convivono nell’immobile → la detrazione si suddivide proporzionalmente tra loro in base alla durata e modalità della detenzione nell’anno.

  • Nessun erede detiene l’immobile (es. è locato a terzi) → la detrazione non spetta a nessuno per quell’anno, e la quota viene persa.

Un errore comune è quello di ritenere che la detrazione debba essere suddivisa in automatico in base alla quota di eredità. Questo non è corretto: la ripartizione va fatta in base all’effettiva detenzione, non alla mera titolarità della proprietà.

Per evitare problematiche, è consigliabile che gli eredi definiscano accordi chiari, anche in forma scritta, su chi deterrà l’immobile e chi potrà beneficiare delle detrazioni. Questo è particolarmente utile quando si vuole ottimizzare la fruizione dei bonus o evitare contestazioni in sede di dichiarazione dei redditi.

Inoltre, se nel corso degli anni cambia l’erede che detiene l’immobile, il diritto alla detrazione si adeguerà di anno in anno, seguendo le modifiche della detenzione materiale. Questo richiede un monitoraggio puntuale e una corretta gestione dei documenti per non commettere errori.

Conclusioni

La normativa e i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con il Principio di Diritto n. 7/2025 mettono in evidenza un principio chiave: ereditare un immobile non significa automaticamente ereditare i relativi bonus edilizi. Per poter beneficiare delle rate residue di detrazione, è necessario rispettare requisiti precisi, primo fra tutti la detenzione materiale e diretta dell’immobile per l’intero anno fiscale di riferimento.

Questo comporta la necessità di valutare con attenzione la gestione dell’immobile dopo la successione. Se l’immobile è affittato o in comodato, la detrazione per quell’anno si perde. Se invece uno degli eredi entra in possesso diretto, può iniziare a recuperare le quote residue, a partire dall’anno in cui questa detenzione ha inizio. In presenza di più eredi, è fondamentale suddividere correttamente le detrazioni in base alla detenzione effettiva e non alle semplici quote ereditarie.

Chi si trova a ereditare immobili con lavori edilizi in corso o conclusi dovrebbe, quindi, verificare attentamente lo stato delle detrazioni residue, i contratti in essere (locazione o comodato), e pianificare insieme a un consulente fiscale le strategie più efficaci per non perdere i vantaggi previsti dalla legge.

Affidarsi a un commercialista esperto in materia di fiscalità immobiliare può fare la differenza tra ottenere migliaia di euro di agevolazioni o rinunciarvi inconsapevolmente per errori evitabili.

Autoimprenditorialità 2025: al via i nuovi bandi Invitalia per giovani, professionisti e startup

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In un contesto economico che richiede sempre più iniziativa, flessibilità e capacità di adattamento, tornano le misure di incentivo all’autoimprenditorialità promosse da Invitalia. A partire dal 15 ottobre 2025 sarà infatti attiva la nuova piattaforma digitale per presentare le domande e accedere ai bandi dedicati a giovani under 35, professionisti e lavoratori autonomi che vogliono creare o rafforzare la propria attività.

Si tratta di un’occasione importante per chi intende avviare un’impresa o consolidare un progetto professionale, sfruttando un pacchetto di agevolazioni pubbliche che vanno dai contributi a fondo perduto ai finanziamenti agevolati. Non si parla solo di sostegno economico, ma anche di un modello di sviluppo che mette al centro il talento, l’innovazione e l’inclusione territoriale.

Ma quali sono i requisiti per partecipare? Quali tipologie di attività sono finanziabili? E soprattutto: come si presenta correttamente la domanda senza rischiare l’esclusione?

In questo articolo analizzeremo nel dettaglio come funziona il nuovo bando Invitalia per l’autoimprenditorialità, quali vantaggi fiscali e finanziari può offrire, e quali sono le strategie per trasformare un’idea in un’impresa sostenibile.

Un miliardo per l’autoimprenditorialità

L’intervento più significativo a sostegno dell’autoimprenditorialità arriva direttamente dal Ministero del Lavoro. La ministra Marina Calderone ha annunciato lo stanziamento di un miliardo di euro per rilanciare l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, con particolare attenzione ai giovani under 35, ai professionisti e agli aspiranti imprenditori.

A partire dal 15 ottobre 2025 sarà attiva la nuova piattaforma online, realizzata da Invitalia, che permetterà la presentazione delle domande di accesso ai finanziamenti.

L’obiettivo è chiaro: incentivare la nascita di nuove imprese, la creazione di studi professionali anche in forma associata, e il lancio di startup innovative ad alto potenziale. Il sostegno offerto non sarà solo economico: oltre a contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati, i candidati selezionati avranno accesso a percorsi formativi e di tutoraggio personalizzati, pensati per rafforzare le competenze manageriali e supportare la sostenibilità dei progetti.

Il riferimento normativo dell’iniziativa è il Decreto 11 luglio 2025, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 193 del 21 agosto 2025, che ha definito struttura, criteri e modalità operative dell’intervento.

La gestione è affidata a Invitalia, che coordinerà due linee di intervento principali:

  • Autoimpiego Centro-Nord, per progetti imprenditoriali nelle regioni centro-settentrionali;

  • Resto al Sud 2.0, evoluzione potenziata del noto incentivo, destinata alle regioni del Mezzogiorno.

Questa suddivisione territoriale mira a garantire equità di accesso e a valorizzare i diversi tessuti economici regionali.

Autoimpiego Centro-Nord e Resto al Sud 2.0

Il nuovo piano per l’autoimprenditorialità si articola in due macro-programmi distinti, pensati per adattarsi alle esigenze economiche e sociali delle diverse aree del Paese.

Da un lato, Autoimpiego Centro-Nord è rivolto a chi intende avviare un’attività imprenditoriale o professionale nelle regioni settentrionali e centrali.Dall’altro, Resto al Sud 2.0 rappresenta un’evoluzione della misura già attiva negli anni scorsi, con un focus rinnovato sul Mezzogiorno, le aree interne e le isole.

Autoimpiego Centro-Nord

Questa misura si rivolge principalmente a:

  • Giovani under 35

  • Donne inattive

  • Disoccupati di lunga durata

  • Professionisti e lavoratori autonomi senza partita IVA attiva

È destinata a chi vuole avviare nuove attività economiche o professionali, inclusi studi associati e microimprese. Il sostegno può arrivare fino a 75.000 euro per singolo beneficiario, sotto forma di contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso agevolato.

Resto al Sud 2.0

Rivolta invece ai residenti (o a chi si trasferisce) nelle regioni del Sud, nelle aree terremotate del Centro Italia e nelle isole, questa versione aggiornata dell’incentivo amplia i settori ammessi, includendo anche attività professionali e digitali. Le agevolazioni possono arrivare a fino a 100.000 euro per persona, con una quota significativa a fondo perduto.

Entrambi i programmi includono percorsi di accompagnamento personalizzato, formazione gestionale e tutoraggio, strumenti essenziali per evitare il fallimento nei primi anni di attività e per favorire la crescita sostenibile delle imprese.

Come presentare domanda

Dal 15 ottobre 2025 sarà operativa la nuova piattaforma digitale di Invitalia, sviluppata per gestire in modo rapido, trasparente e centralizzato la raccolta delle domande relative ai due bandi. La procedura sarà interamente online, e l’accesso sarà consentito tramite SPID, CNS o CIE del richiedente. Una volta effettuato l’accesso, si potrà compilare la domanda seguendo un percorso guidato.

Fasi della domanda

  1. Registrazione al portale Invitalia
    Dopo l’autenticazione, sarà necessario completare il profilo personale o aziendale con i dati anagrafici, fiscali e bancari.

  2. Compilazione del progetto
    Il cuore della domanda sarà la scheda progetto, dove il richiedente dovrà descrivere:

    • L’idea imprenditoriale

    • L’analisi di mercato

    • Il piano economico-finanziario

    • I fabbisogni di spesa e le fonti di copertura

  3. Caricamento documentazione
    Sarà necessario allegare:

    • Documento d’identità e codice fiscale

    • Business plan dettagliato

    • Eventuale certificazione di status (es. disoccupazione, residenza in area ammessa)

    • CV del proponente

  4. Invio e ricevuta
    Una volta completata e verificata, la domanda potrà essere inviata e sarà rilasciata una ricevuta elettronica con il numero di protocollo.

Attenzione: errori formali, omissioni o allegati non conformi possono comportare l’esclusione. È fondamentale rileggere e validare ogni passaggio prima dell’invio. Invitalia prevede anche un sistema di prevalutazione automatica che segnalerà eventuali criticità prima della trasmissione definitiva.

Vantaggi fiscali e finanziari

Uno degli aspetti più strategici dei bandi Invitalia è rappresentato dai vantaggi economici e fiscali che consentono di alleggerire il carico iniziale di costi e di sostenere la fase più critica di ogni iniziativa imprenditoriale: l’avvio. Gli strumenti finanziari messi a disposizione sono pensati per massimizzare la liquidità disponibile e ridurre la dipendenza da capitale esterno.

Contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati

I progetti approvati potranno beneficiare di:

  • Contributi a fondo perduto, che non devono essere restituiti e che coprono una parte significativa dell’investimento iniziale.

  • Finanziamenti a tasso zero o agevolato, con periodi di preammortamento e rientro pluriennale.

Questi strumenti, combinati, permettono di ottenere fino al 90% di copertura del fabbisogno finanziario, abbattendo la necessità di capitale proprio e facilitando l’accesso a fornitori, locali, attrezzature e servizi professionali.

Incentivi fiscali e semplificazioni

Inoltre, in molti casi i beneficiari possono accedere a ulteriori vantaggi fiscali, tra cui:

  • Regime forfettario agevolato per le nuove partite IVA

  • Esenzioni o riduzioni IRAP per i primi anni

  • Deducibilità immediata degli investimenti iniziali

  • Accesso a crediti d’imposta per l’innovazione e la digitalizzazione

Queste misure consentono una riduzione del carico fiscale legale e trasparente, aumentando la competitività e lasciando più risorse a disposizione per investimenti, assunzioni o marketing.

Risultato? Un progetto imprenditoriale sostenibile anche senza grandi capitali iniziali, e con un ritorno sull’investimento più rapido e concreto.

Formazione e tutoraggio

Uno dei punti di forza del nuovo piano Invitalia per l’autoimprenditorialità è rappresentato dall’offerta di percorsi formativi e di tutoraggio su misura per i beneficiari.

Non basta, infatti, ricevere un contributo economico: avviare e far crescere un’attività richiede competenze trasversali, dalla gestione finanziaria al marketing, dalla fiscalità alla digitalizzazione.

Formazione personalizzata e gratuita

Ogni beneficiario selezionato avrà accesso a un percorso formativo gratuito, calibrato sul tipo di attività e sul livello di esperienza del proponente. I moduli previsti includono:

  • Pianificazione aziendale e business model

  • Contabilità base e gestione fiscale

  • Strategie di vendita e comunicazione digitale

  • Uso di strumenti digitali e gestionali

Questi corsi saranno erogati sia in modalità online che in presenza, con una formula flessibile che consente di conciliare studio e avvio operativo.

Tutoraggio individuale

A ogni progetto sarà affiancato un tutor esperto selezionato da Invitalia, che accompagnerà l’imprenditore nei primi 24 mesi di attività. Il tutoraggio serve a:

  • Monitorare lo sviluppo del progetto

  • Risolvere criticità gestionali o burocratiche

  • Offrire consulenza su scelte strategiche

  • Facilitare l’accesso a ulteriori bandi e incentivi

Questa presenza costante rappresenta un fattore di riduzione del rischio di fallimento, che nel caso delle nuove attività è particolarmente elevato nei primi tre anni. Non si tratta solo di supporto tecnico, ma anche di un’occasione di crescita personale e professionale.

Criticità e rischi da evitare

Nonostante le grandi opportunità offerte dai nuovi bandi Invitalia, è fondamentale affrontare il percorso con consapevolezza e preparazione. Molti progetti, infatti, vengono esclusi o non superano le prime fasi di valutazione non per mancanza di qualità, ma per errori formali, carenze progettuali o sottovalutazioni dei requisiti richiesti.

I principali errori da evitare

Tra gli errori più frequenti che comportano l’esclusione ci sono:

  • Documentazione incompleta o errata: ogni allegato deve essere conforme ai requisiti del bando.

  • Business plan poco realistico: progetti troppo ambiziosi o privi di basi finanziarie solide vengono penalizzati.

  • Assenza di coerenza tra obiettivi e spese: il piano economico deve rispecchiare fedelmente la proposta imprenditoriale.

  • Requisiti soggettivi non soddisfatti: ad esempio, età, residenza o status occupazionale non in linea con quanto richiesto.

Per evitare queste criticità, è consigliabile affidarsi a un consulente esperto (come un commercialista specializzato in bandi e finanza agevolata) che possa guidare nella redazione dei documenti e nel controllo dei requisiti.

Valutazione e tempi di risposta

Le domande saranno valutate in ordine cronologico di presentazione, fino a esaurimento delle risorse. Invitalia ha dichiarato che i tempi di risposta saranno contenuti entro 60 giorni, ma eventuali integrazioni o errori possono allungare la procedura. Prepararsi in anticipo è quindi cruciale per evitare ritardi e sfruttare appieno i fondi disponibili.

Startup innovative

Nel quadro delle politiche di incentivo all’autoimprenditorialità, le startup innovative occupano un ruolo centrale.

I bandi Invitalia 2025 non solo ne prevedono l’ammissibilità, ma ne favoriscono attivamente la nascita e lo sviluppo, riconoscendo in esse un fattore strategico per la crescita economica e l’occupazione qualificata.

Secondo quanto previsto dal decreto dell’11 luglio 2025, le startup innovative possono accedere sia al programma Autoimpiego Centro-Nord sia a Resto al Sud 2.0, con possibilità di ottenere:

  • Finanziamenti maggiorati rispetto alle imprese tradizionali

  • Accesso preferenziale a percorsi di tutoraggio avanzati

  • Supporto per la proprietà intellettuale, brevetti e marchi

  • Collegamenti con incubatori e acceleratori convenzionati con Invitalia

Per essere considerata “innovativa”, una startup deve rispettare i requisiti previsti dal DL 179/2012, come operare in settori ad alto contenuto tecnologico, investire in R&S o avere team altamente qualificati. La registrazione alla sezione speciale del Registro delle Imprese delle “startup innovative” è obbligatoria per beneficiare delle agevolazioni dedicate.

Una via concreta per i giovani imprenditori

Le startup rappresentano una risposta concreta alla disoccupazione giovanile e alla fuga di talenti. Con i fondi Invitalia, i giovani potranno trasformare un’idea in un progetto scalabile, sostenibile e competitivo, anche senza capitali iniziali elevati. In un’epoca dominata dall’innovazione, creare una startup non è più solo una scelta coraggiosa, ma anche strategica.

Conclusione

Il rilancio dei bandi Invitalia per l’autoimprenditorialità e l’autoimpiego rappresenta una delle misure più significative degli ultimi anni per favorire l’inserimento lavorativo, la valorizzazione dei talenti e la creazione di nuove imprese in Italia. Con uno stanziamento di un miliardo di euro, il Governo mette a disposizione risorse concrete, non solo in termini finanziari, ma anche formativi e strategici.

Che si tratti di giovani under 35, liberi professionisti, disoccupati o aspiranti imprenditori, le opportunità offerte da Autoimpiego Centro-Nord e Resto al Sud 2.0 possono rappresentare il punto di svolta per costruire un’attività autonoma, innovativa e sostenibile. I vantaggi sono reali: contributi a fondo perduto, finanziamenti agevolati, formazione gratuita, tutoraggio personalizzato e vantaggi fiscali tangibili.

Tuttavia, il successo non è garantito: serve preparazione, precisione nella candidatura e una solida progettazione imprenditoriale. Per questo motivo, è consigliabile farsi affiancare da professionisti esperti in bandi pubblici, business plan e fiscalità. Agire in anticipo e con le idee chiare può fare la differenza tra l’ottenere un finanziamento e veder sfumare un’occasione irripetibile.

Segna la data: il 15 ottobre 2025 parte la piattaforma per inviare le domande.

Un’opportunità da cogliere per trasformare le idee in realtà.

Efficienza energetica e rinnovabili: tutte le agevolazioni del Conto Termico 3.0

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In un periodo storico in cui la transizione ecologica è al centro dell’agenda politica ed economica, il nuovo Conto Termico 3.0 rappresenta una svolta concreta e attesa per cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. Con incentivi che coprono fino al 65% delle spese sostenute questa misura si propone come uno strumento strategico per favorire l’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili termiche.

A distanza di quasi un decennio dal Conto Termico 2.0 (DM 16 febbraio 2016), il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ha finalmente approvato, con l’intesa raggiunta in Conferenza Unificata il 5 agosto 2025, il nuovo schema di decreto che dà vita alla versione aggiornata del meccanismo. Un sistema più snello, digitalizzato e accessibile, che punta a semplificare le procedure e ad ampliare la platea dei beneficiari, includendo anche nuove tipologie di interventi.

Ma cosa cambia concretamente con il Conto Termico 3.0? Quali sono le principali novità introdotte, e quali opportunità reali offre in termini di risparmio fiscale, benefici ambientali e ritorno economico dell’investimento?

In questo approfondimento analizziamo tutto quello che c’è da sapere: dalla normativa di riferimento alle categorie di interventi ammessi, fino alle modalità di accesso agli incentivi.

Le principali novità del Conto Termico 3.0

Il Conto Termico 3.0 introduce una serie di novità rilevanti che lo rendono uno strumento decisamente più moderno e inclusivo rispetto alla versione precedente. L’obiettivo è ampliare la platea dei beneficiari, agevolare la realizzazione di interventi integrati e garantire una maggiore flessibilità operativa, anche alla luce dell’evoluzione tecnologica e delle esigenze di efficientamento più complesse.

Una prima novità riguarda l’estensione dei soggetti ammessi all’incentivo: oltre alle Pubbliche Amministrazioni (PA), possono ora accedervi i soggetti privati (sia per edifici residenziali che non residenziali), gli Enti del Terzo Settore (ETS), e i membri delle configurazioni di Autoconsumo Collettivo di Energia Rinnovabile (CACER). Proprio a questi ultimi è riconosciuta una premialità specifica, per stimolare interventi coordinati su edifici condominiali o complessi multifamiliari, incentivando l’autoproduzione e l’efficienza condivisa.

Sul piano tecnico, vengono ammessi nuovi interventi come l’integrazione di infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici, ma solo se parte di progetti multi-intervento in cui sia presente anche un intervento di riqualificazione energetica. Altri esempi includono l’installazione congiunta di impianti solari fotovoltaici e pompe di calore, la sostituzione di generatori con sistemi di teleriscaldamento efficiente o micro-cogenerazione, nonché l’ampliamento dell’uso delle pompe di calore “add-on” anche in impianti non factory made.

Infine, viene introdotto un sistema di adeguamento automatico dei massimali di spesa, legato ai prezzi di mercato rilevati dall’ISTAT. Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) avrà il compito di monitorare e aggiornare tali parametri, garantendo che gli incentivi restino coerenti con i reali costi degli interventi.

Chi può accedere

Il Conto Termico 3.0 conferma e amplia l’accesso agli incentivi per una platea molto eterogenea di soggetti. Possono usufruirne le Pubbliche Amministrazioni (PA), gli Enti del Terzo Settore (ETS), le imprese e i soggetti privati (persone fisiche o giuridiche), compresi coloro che operano in configurazioni di autoconsumo collettivo di energia da fonti rinnovabili (CACER).

Un elemento particolarmente rilevante riguarda la possibilità di assimilazione degli ETS alle Pubbliche Amministrazioni, nel caso in cui siano privi di attività economica. In questo modo, tali soggetti possono beneficiare di una gamma più ampia di interventi ammissibili e accedere agli incentivi tramite prenotazione, modalità solitamente riservata agli enti pubblici. Questo rappresenta un vantaggio competitivo significativo, soprattutto per fondazioni e associazioni che operano in ambito socio-ambientale o culturale.

Gli interventi incentivati si suddividono in due grandi categorie:

  1. Efficientamento energetico: lavori finalizzati alla riduzione dei consumi su edifici di qualunque destinazione d’uso, compresa la riqualificazione degli edifici NZEB (Nearly Zero Energy Buildings).

  2. Produzione di energia termica da fonti rinnovabili: esclusivamente per edifici non residenziali.

La misura del beneficio economico varia tra il 40% e il 65% delle spese ammissibili, con l’applicazione di massimali per ciascuna tipologia di intervento. In alcuni casi specifici il contributo può arrivare fino al 100% delle spese sostenute, qualora l’intervento soddisfi i requisiti tecnici e normativi previsti.

Limiti di spesa e accesso agli incentivi

Uno degli aspetti più concreti del Conto Termico 3.0 riguarda i limiti di spesa annuali fissati dal legislatore, con l’obiettivo di assicurare la sostenibilità economica del meccanismo incentivante. Per il 2025, i soggetti privati (persone fisiche e giuridiche) possono accedere a un plafond complessivo massimo di 500 milioni di euro, mentre le Pubbliche Amministrazioni hanno a disposizione 400 milioni di euro, di cui 20 milioni riservati esclusivamente alla realizzazione delle diagnosi energetiche. Questi importi saranno soggetti a monitoraggio costante da parte del GSE (Gestore dei Servizi Energetici), l’ente preposto all’istruttoria e all’erogazione dei contributi.

Per ottenere l’incentivo, i soggetti interessati devono seguire una procedura amministrativa, che prevede la presentazione telematica della domanda attraverso il portale GSE, allegando tutta la documentazione richiesta. L’incentivo viene riconosciuto solo dopo l’istruttoria positiva del GSE, e viene erogato in unica soluzione (se l’importo è inferiore a 5.000 euro) o in rate annuali, in funzione del tipo di intervento e del suo importo.

Un’importante novità introdotta con il Conto Termico 3.0 è la semplificazione delle pratiche, particolarmente utile per interventi di piccole dimensioni. Sono previste modalità più snelle per:

  • Impianti di potenza termica ≤ 35 kW e impianti solari ≤ 50 m², che rientrano nel cosiddetto “catalogo GSE”, con iter abbreviato;

  • Diagnosi energetiche delle PA, che potranno accedere a modelli standardizzati;

  • Prenotazione degli incentivi, riservata agli edifici pubblici (o assimilati) e in particolare agli immobili collocati in aree colpite da eventi calamitosi.

Queste semplificazioni mirano a rendere più accessibile ed efficiente l’intero iter, eliminando molti ostacoli burocratici che avevano rallentato la diffusione del Conto Termico 2.0.

Risparmio fiscale, economico e ambientale

Investire in interventi di efficientamento energetico attraverso il Conto Termico 3.0 significa non solo ottenere un contributo a fondo perduto, ma anche generare un ritorno economico strutturale nel medio-lungo periodo. Il principale vantaggio immediato è l’incentivo in conto capitale, che può coprire dal 40% al 65% delle spese sostenute, arrivando in casi specifici fino al 100% per le Pubbliche Amministrazioni e gli ETS assimilati. Ciò rappresenta una forma diretta di risparmio, ben diversa dalle tradizionali detrazioni fiscali spalmate in 10 anni.

A livello fiscale, il Conto Termico non rientra tra i contributi imponibili per i soggetti che non svolgono attività d’impresa, mentre per le imprese può essere gestito come contributo in conto impianti, secondo quanto previsto dalla normativa civilistica e fiscale. In ogni caso, si tratta di una misura complementare rispetto ad altre agevolazioni (come il Superbonus, ora in forte rimodulazione), e che può essere utilizzata strategicamente anche in progetti multi-intervento o nell’ambito di comunità energetiche.

Dal punto di vista economico e finanziario, l’investimento in efficienza energetica permette una riduzione immediata dei costi in bolletta, sia per riscaldamento che per raffrescamento, oltre a un aumento del valore dell’immobile, soprattutto se si migliora la classe energetica dell’edificio.

Infine, il beneficio è anche ambientale: grazie all’utilizzo di fonti rinnovabili e all’adozione di tecnologie ad alta efficienza, si riducono drasticamente le emissioni di CO₂ e altri inquinanti, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi climatici europei e nazionali.

Conto Termico 3.0 vs Superbonus ed Ecobonus

Molti contribuenti si chiedono quale sia la misura fiscale più vantaggiosa tra Conto Termico 3.0, Superbonus ed Ecobonus. In realtà, si tratta di strumenti differenti per natura, modalità di accesso e tempistiche, e ognuno risponde a esigenze specifiche.

Il Conto Termico 3.0 è un incentivo in conto capitale, ovvero un contributo diretto erogato dal GSE, che copre una parte delle spese sostenute (dal 40% al 65%, fino al 100% per la PA e gli ETS assimilati). Il rimborso avviene in tempi brevi, solitamente entro 60 giorni dalla chiusura dell’istruttoria, anche in un’unica soluzione se l’importo è inferiore a 5.000 euro. Si rivolge a una vasta gamma di soggetti, tra cui privati, imprese, PA, enti del terzo settore e configurazioni di autoconsumo collettivo.

Il Superbonus, invece, è un’agevolazione sotto forma di detrazione IRPEF del 110% (ora rimodulata in misura decrescente), da ripartire in più anni. Ha regole più complesse, è soggetto a continue modifiche normative e non prevede liquidità immediata, se non attraverso meccanismi di cessione del credito o sconto in fattura.

L’Ecobonus, infine, è una detrazione fiscale “classica” dal 50% al 65%, dedicata a interventi di miglioramento energetico su edifici esistenti. Anche in questo caso, il beneficio si recupera in 10 anni, senza contributo diretto.

La scelta tra i tre strumenti dipende quindi da variabili come tipologia di intervento, soggetto beneficiario, tempistiche e accesso alla liquidità. Il Conto Termico 3.0, grazie alla sua semplicità e velocità di rimborso, si sta imponendo come soluzione preferibile per interventi mirati e per chi non ha capienza fiscale.

Conclusione

Il Conto Termico 3.0 rappresenta una delle leve più interessanti e concrete per accelerare la transizione energetica in Italia, con benefici evidenti non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e fiscale. L’estensione dei soggetti beneficiari, l’inclusione di nuove tipologie di interventi, la semplificazione delle procedure e l’adeguamento dei massimali alle reali dinamiche di mercato rendono questo incentivo uno strumento particolarmente efficace e accessibile.

Per i privati, si tratta di un’occasione per ridurre i consumi, aumentare il valore del proprio immobile e accedere a contributi significativi, in tempi relativamente brevi. Per le imprese e gli ETS, è una leva strategica per migliorare la sostenibilità operativa e ridurre i costi fissi. Le Pubbliche Amministrazioni, infine, possono beneficiare di contributi fino al 100% per riqualificare edifici pubblici, scuole, strutture sanitarie e molto altro.

Considerata la disponibilità dei fondi e la crescente attenzione a livello europeo e nazionale verso l’efficienza energetica, approfittare subito di questa misura significa anticipare il cambiamento, trasformando un costo in un investimento duraturo e sostenibile.

Per orientarsi al meglio e ottenere il massimo vantaggio, è consigliabile rivolgersi a professionisti del settore in grado di valutare la fattibilità tecnica e fiscale dell’intervento e accompagnare passo dopo passo il processo di richiesta del contributo.

Bonus Veicoli Elettrici 2025: fino a 11.000 € per privati e imprese, domande dal 22 ottobre

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Il 2025 segna una svolta per chi desidera cambiare auto o veicolo commerciale e passare a un modello a emissioni zero. Con il nuovo Bonus veicoli elettrici, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica mette a disposizione un contributo a fondo perduto fino a 11.000 euro per i privati e fino a 20.000 euro per le microimprese che decidono di acquistare un veicolo completamente elettrico, rottamando un mezzo termico fino a Euro 5.

Le domande si potranno presentare a partire dal 22 ottobre 2025, tramite la piattaforma online gestita da Sogei. Il bonus è proporzionato all’ISEE, non è cumulabile con altri incentivi statali o europei e prevede rigide scadenze e requisiti documentali per evitare l’esclusione.

Non si tratta solo di un incentivo, ma di una reale occasione di risparmio, che si affianca ad altri vantaggi fiscali: esenzione bollo, deduzioni, accesso agevolato alle ZTL, riduzione dei costi di gestione e molto altro.

In questo articolo scoprirai chi può accedere al bonus, come fare domanda, quali sono le regole per i venditori, e come ottenere il massimo vantaggio fiscale e ambientale da questa importante misura finanziata anche con fondi del PNRR.

Bonus Veicoli Elettrici 2025

Acquistare un veicolo elettrico nel 2025 sarà ancora più conveniente grazie al nuovo Bonus veicoli elettrici, un incentivo a fondo perduto rivolto sia ai privati cittadini che alle PMI, introdotto con l’obiettivo di favorire la transizione ecologica e il rinnovo del parco auto circolante. La misura, ufficializzata dal Decreto MASE dell’8 agosto 2025 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 208 dell’8 settembre 2025, permette di ottenere un sostegno economico rilevante, proporzionato al proprio ISEE, per l’acquisto di veicoli elettrici a emissioni zero, a fronte della rottamazione di vecchi veicoli con motore termico.

L’apertura della piattaforma per la presentazione delle domande è stata posticipata dal 15 al 22 ottobre 2025, come reso noto da una comunicazione ufficiale del MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica). Questa nuova scadenza dà a tutti gli interessati qualche giorno in più per prepararsi e presentare la domanda correttamente sulla piattaforma informatica gestita da Sogei.

La dotazione finanziaria complessiva è pari a quasi 600 milioni di euro (597.320.000€), una somma importante che potrà essere rafforzata con fondi del PNRR, senza bisogno di modificare ulteriormente il decreto. Ma attenzione: i fondi non sono illimitati, e chi presenta prima la domanda avrà maggiori probabilità di accedere al bonus.

Chi può ottenere il Bonus

Il Bonus veicoli elettrici 2025 è un incentivo a fondo perduto destinato a persone fisiche e microimprese che vogliono acquistare veicoli 100% elettrici, a emissioni zero, con l’obiettivo di sostituire mezzi inquinanti appartenenti a classi ambientali obsolete (fino a Euro 5). I beneficiari possono accedere al bonus solo se soddisfano precisi requisiti patrimoniali, geografici e fiscali.

Per i privati cittadini, il bonus è riservato all’acquisto di un solo veicolo nuovo di categoria M1 (auto per trasporto persone con massimo 8 posti, escluso il conducente), con alimentazione esclusivamente elettrica (BEV), e con prezzo di listino non superiore a 35.000 euro (IVA e optional esclusi).

Il contributo è concesso una sola volta per nucleo familiare, e varia in base all’ISEE:

  • 11.000 euro per chi ha un ISEE fino a 30.000 euro e risiede in un’area urbana funzionale;

  • 9.000 euro per ISEE compreso tra 30.000 e 40.000 euro, sempre con residenza in area urbana funzionale.

Inoltre, per accedere all’incentivo è obbligatoria la rottamazione di un veicolo termico della stessa categoria M1, omologato fino a Euro 5, intestato da almeno sei mesi al richiedente o a un altro componente maggiorenne dello stesso nucleo familiare (definito ai fini ISEE). Il nuovo veicolo dovrà restare intestato al beneficiario per almeno 24 mesi.

Le microimprese, invece, possono ottenere fino a due contributi per l’acquisto di veicoli commerciali elettrici di categoria N1 o N2, con una copertura pari al 30% del prezzo (IVA esclusa), fino a un massimo di 20.000 euro per veicolo. Anche qui, è obbligatoria la rottamazione di un mezzo della stessa categoria, intestato da almeno sei mesi alla microimpresa. Il veicolo acquistato dovrà restare nella disponibilità dell’impresa per almeno due anni.

Infine, è bene sapere che gli incentivi non sono cumulabili con altri bonus nazionali o europei destinati all’acquisto degli stessi veicoli, sia per i privati che per le imprese. Nel caso delle microimprese, i contributi rientrano nella disciplina sugli aiuti di Stato “de minimis”, anche per il settore agricolo.

Come fare domanda 

La richiesta del Bonus veicoli elettrici 2025 dovrà essere effettuata esclusivamente online attraverso la piattaforma informatica gestita da Sogei, accessibile a partire dal 22 ottobre 2025. La registrazione è il primo passaggio obbligatorio sia per i privati che per le microimprese, e richiede l’inserimento di specifiche dichiarazioni sostitutive e dati documentali, fondamentali per l’accesso al contributo.

Per le persone fisiche, è necessario:

  • compilare una dichiarazione sostitutiva (ai sensi dell’art. 47 del DPR 445/2000) attestando la residenza in un’area urbana funzionale;

  • inserire la targa del veicolo da rottamare, intestato al richiedente da almeno sei mesi;

  • specificare se il bonus verrà generato per sé o per un altro componente maggiorenne del medesimo nucleo familiare ISEE.

Al termine della registrazione, il sistema calcolerà l’importo del bonus spettante:

  • 11.000 euro per ISEE fino a 30.000 euro;

  • 9.000 euro per ISEE fino a 40.000 euro.

Ogni nucleo familiare potrà beneficiare una sola volta del contributo.

Per le microimprese, la procedura è più articolata. In fase di registrazione è obbligatorio allegare una dichiarazione sostitutiva contenente:

  • i dati dell’impresa (attiva, iscritta al Registro Imprese, con meno di 10 dipendenti e fatturato < 2 milioni €);

  • la regolarità contributiva e fiscale;

  • l’importo totale di aiuti “de minimis” ricevuti negli ultimi 36 mesi;

  • la targa del veicolo da rottamare (intestato da almeno sei mesi al titolare);

  • la sede legale in area urbana funzionale.

Una volta completata la registrazione, la microimpresa potrà generare il bonus sulla piattaforma, inserendo il prezzo del veicolo elettrico da acquistare tra quelli presenti nell’elenco dei venditori convenzionati. L’incentivo potrà coprire fino al 30% del prezzo di acquisto (IVA esclusa), con un massimale di 20.000 euro per veicolo, rispettando i limiti previsti dal Regolamento “de minimis”. Ogni microimpresa ha diritto a un massimo di due bonus.

Attenzione: i bonus vengono scontati direttamente in fattura dal venditore e non possono essere cumulati con altri incentivi statali o europei per gli stessi veicoli.

Registrazione dei venditori

Un ruolo chiave nella gestione del Bonus veicoli elettrici 2025 è affidato ai venditori autorizzati, che fungono da tramite operativo tra lo Stato e i beneficiari dell’incentivo. Solo gli esercenti registrati sulla piattaforma ufficiale Sogei possono applicare direttamente lo sconto in fattura ai privati e alle microimprese, ricevendo poi il rimborso dello Stato.

La registrazione dei venditori è avvenuta dal 18 al 22 settembre 2025, ed è stata riservata ai seguenti soggetti:

  • rivenditori di veicoli a motore per il trasporto di persone (auto, minivan, ecc.);

  • rivenditori di veicoli a motore per il trasporto di merci (furgoni, mezzi commerciali leggeri);

  • titolari di partita IVA con codice ATECO prevalente compatibile con l’iniziativa, come verificabile dal cassetto fiscale dell’Agenzia delle Entrate.

Al momento dell’iscrizione, i venditori hanno dovuto inserire:

  • il codice fiscale dell’azienda;

  • l’elenco dei punti vendita attivi;

  • il codice IBAN dedicato per il ricevimento dei rimborsi, in conformità con le regole sulla tracciabilità dei pagamenti previste dalla Legge 136/2010.

Per garantire la trasparenza e la qualità ambientale dell’iniziativa, il MASE potrà inoltre pubblicare, nella sezione “Bandi e Avvisi” del proprio sito ufficiale (www.mase.gov.it), un elenco di veicoli agevolabili, selezionati in base al cosiddetto eco-score. Questo punteggio valuta l’impronta di carbonio del veicolo lungo tutto il ciclo di vita (produzione, utilizzo, smaltimento), premiando i modelli realmente più sostenibili.

Ogni punto vendita deve anche indicare un link diretto alla propria vetrina online con i veicoli elettrici acquistabili attraverso il bonus. La piattaforma metterà a disposizione del pubblico una pagina di ricerca dei venditori aderenti, per facilitare l’accesso all’iniziativa e garantire la massima trasparenza.

Validazione del Bonus 

Ottenere il Bonus veicoli elettrici 2025 non basta: per trasformare il voucher in un reale sconto sul prezzo d’acquisto, è obbligatoria la validazione presso un venditore autorizzato. Questo passaggio deve avvenire entro 30 giorni dalla generazione del bonus sulla piattaforma, altrimenti l’importo torna disponibile nel plafond residuo nazionale, e il beneficiario perde il diritto all’incentivo.

Chi non riesce a validare in tempo potrà ripetere la richiesta, ma solo se ci sono ancora fondi disponibili. Tuttavia, la data limite assoluta per la validazione e sottoscrizione del contratto di acquisto è fissata al 30 giugno 2026.

Cosa deve fare il venditore per validare il bonus:

  • inserire sulla piattaforma il codice del voucher, il prezzo del veicolo, l’importo dell’IVA, e l’acconto versato dal cliente (importo che non può includere il bonus stesso);

  • caricare i dati entro 30 giorni dalla generazione del bonus;

  • indicare la data di consegna del nuovo veicolo e la data di rottamazione del mezzo termico usato.

Il veicolo da rottamare deve essere consegnato contestualmente a quello nuovo e non potrà in alcun caso essere rimesso in circolazione. I venditori, entro 30 giorni dalla consegna, hanno l’obbligo di far prendere in carico il mezzo usato da un centro di demolizione autorizzato, e di avviare la cancellazione per demolizione presso lo Sportello Telematico dell’Automobilista (STA), come previsto dal DPR 358/2000.

Tutte le fatture emesse devono essere in formato elettronico e, dove previsto, conformi alle regole dello split payment IVA (art. 1, comma 629, legge 190/2014).

Questo meccanismo garantisce che solo i veicoli realmente dismessi vengano sostituiti, evitando abusi e contribuendo al ricambio ecologico del parco auto circolante.

Rimborso ai venditori

I venditori di veicoli elettrici che partecipano al programma di incentivazione 2025 svolgono un ruolo cruciale nel meccanismo del Bonus a fondo perduto: sono loro, infatti, a scontare immediatamente in fattura l’importo del contributo, anticipando l’agevolazione al cliente finale. Ma come viene rimborsato il venditore?

Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) provvede al rimborso dei contributi spettanti, in relazione ai bonus riconosciuti e sulla base dei dati inseriti sulla piattaforma informatica gestita da Sogei. Tutte le operazioni devono essere perfettamente tracciate e conformi ai requisiti previsti, sia a livello nazionale che comunitario, trattandosi di fondi riconducibili al PNRR.

Le modalità operative per l’effettivo rimborso, così come le procedure di verifica e controllo da parte del Ministero, saranno definite tramite:

  • FAQ ufficiali;

  • Circolari esplicative;

  • Linee guida pubblicate dalla Direzione Generale GEFIM (Gestione Finanziaria, Monitoraggio, Rendicontazione e Controllo del MASE).

Questi documenti, aggiornati progressivamente, garantiranno l’uniformità delle pratiche e il rispetto dei principi di trasparenza, correttezza fiscale e coerenza con il Si.Ge.Co., ovvero il Sistema di Gestione e Controllo del PNRR, vincolante per tutte le misure finanziate in ambito nazionale ed europeo.

Per i rivenditori, è dunque fondamentale seguire attentamente le istruzioni ufficiali, aggiornare tempestivamente la piattaforma con tutti i dati richiesti e conservare la documentazione probatoria dell’intera transazione, inclusi:

  • contratto di vendita;

  • dichiarazioni ISEE;

  • certificazione della rottamazione;

  • fatture elettroniche e quietanze.

Solo il rispetto rigoroso di questi adempimenti consente il rimborso puntuale del contributo, proteggendo il venditore da errori e contestazioni future.

Aspetti e vantaggi fiscali 

Il Bonus veicoli elettrici 2025, oltre a rappresentare un contributo economico diretto all’acquisto di auto e mezzi commerciali a emissioni zero, comporta anche importanti benefici fiscali, soprattutto per chi intende investire in mobilità sostenibile in modo strategico.

I vantaggi sono rilevanti sia per le persone fisiche che per le microimprese, e vanno ben oltre il solo incentivo a fondo perduto.

Per i privati:

Sebbene il bonus non sia cumulabile con altri incentivi nazionali o europei, l’acquisto di un veicolo elettrico comporta risparmi fiscali indiretti, tra cui:

  • Esenzione o riduzione del bollo auto (varia in base alla Regione di residenza): in molte regioni italiane i veicoli elettrici godono di esenzione totale per 5 anni;

  • Esenzione IPT (Imposta Provinciale di Trascrizione) all’atto dell’immatricolazione;

  • Detrazioni fiscali eventualmente connesse all’installazione di infrastrutture di ricarica (colonnine elettriche domestiche), che possono rientrare nel Bonus colonnine 2025 o nei bonus edilizi (es. Superbonus per impianti).

Per le microimprese:

Il vantaggio fiscale per le aziende è ancora più rilevante. Oltre al contributo del 30% sul prezzo d’acquisto, infatti:

  • l’investimento in veicoli elettrici è interamente deducibile ai fini IRES/IRAP, se inerente all’attività aziendale;

  • le spese legate all’uso dei veicoli (manutenzione, energia, assicurazione) possono anch’esse essere dedotte, in base alla normativa fiscale vigente;

  • i veicoli elettrici sono esclusi dai vincoli sulle emissioni CO₂ per la deducibilità dei costi auto;

  • si possono cumulare benefici locali (ZTL, parcheggi agevolati, accesso gratuito ad aree urbane).

Inoltre, per le imprese agricole e le microimprese che rientrano nel regime “de minimis agricolo”, il rispetto dei massimali di aiuti permette comunque di pianificare il rinnovo del parco mezzi con vantaggi economici significativi, in modo fiscalmente efficiente.

L’investimento in un veicolo elettrico, quindi, non è solo ecologico, ma può diventare un’operazione finanziaria e fiscale vantaggiosa, soprattutto se integrato con una pianificazione fiscale professionale.

Conclusione

Il Bonus veicoli elettrici 2025 rappresenta una delle misure più significative introdotte dal Governo per favorire la transizione ecologica e il rinnovamento del parco circolante italiano. Con una dotazione di quasi 600 milioni di euro, il contributo a fondo perduto offre vantaggi tangibili, non solo sul piano ambientale, ma anche sotto il profilo economico e fiscale, rivolgendosi in modo mirato sia alle famiglie con ISEE basso o medio, sia alle microimprese che vogliono innovare i propri mezzi operativi.

La misura si inserisce in una più ampia strategia nazionale di riduzione delle emissioni e promozione di soluzioni di mobilità a impatto zero, con una struttura chiara, ma che richiede attenzione a tempistiche, requisiti e adempimenti documentali. È fondamentale, quindi, muoversi per tempo, registrarsi sulla piattaforma Sogei e rispettare le scadenze per non perdere il diritto al contributo.

Che si tratti di un’auto privata o di un veicolo commerciale, acquistare un veicolo elettrico nel 2025 non è solo una scelta responsabile, ma anche un’opportunità concreta di risparmio. Con il supporto di un commercialista esperto, è possibile massimizzare il beneficio e pianificare un’operazione pienamente conforme e vantaggiosa.

Reverse Charge e Regime Forfettario: guida completa per operazioni interne, intra-UE ed extra-UE

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Nel panorama fiscale italiano, uno dei regimi più utilizzati dai professionisti e dalle piccole imprese è quello forfettario, scelto per la sua semplicità gestionale e per le agevolazioni fiscali. Tuttavia, nonostante la sua apparente facilità, il regime forfettario presenta alcune complessità, soprattutto quando entra in gioco il meccanismo del Reverse Charge, ovvero l’inversione contabile.

La questione si complica ulteriormente quando il contribuente forfettario effettua operazioni internazionali, sia intra-UE che extra-UE. È proprio in questi casi che si aprono dubbi importanti: come si applica il Reverse Charge? Deve essere emessa la fattura? Serve l’integrazione? Va compilato l’Esterometro? E l’IVA va versata?

In questo articolo andremo ad analizzare punto per punto come deve comportarsi un contribuente in regime forfettario quando si trova di fronte a operazioni soggette al meccanismo del Reverse Charge, sia sul piano interno che in ambito intra-UE e extra-UE.

Reverse Charge interno

Nel regime forfettario, i soggetti che effettuano cessioni di beni o prestazioni di servizi in Italia non applicano l’IVA nelle proprie fatture e non sono soggetti al meccanismo del Reverse Charge. Questo significa che, in caso di operazioni attive, il forfettario deve comunque emettere fattura, senza addebitare l’IVA, riportando l’annotazione obbligatoria “Operazione in franchigia da IVA ex art. 1, commi da 54 a 89, L. 190/2014”. L’operazione rimane, quindi, esclusa dal campo di applicazione dell’inversione contabile.

Il quadro cambia quando il contribuente in regime forfettario riceve una fattura soggetta a Reverse Charge, ad esempio da un fornitore che rientra nei settori in cui l’inversione contabile è obbligatoria (come edilizia o pulizie). In questo caso, il forfettario, pur essendo in un regime che lo esonera dal versamento e dalla detrazione dell’IVA, è comunque tenuto a integrare la fattura ricevuta con l’IVA dovuta e a versarla.

Il versamento non può essere compensato, poiché il forfettario non ha diritto alla detrazione, e va effettuato entro i termini previsti dalla normativa. Un’importante novità introdotta dal D.Lgs. n. 81/2025 stabilisce che, a partire dalla sua entrata in vigore, l’IVA dovuta in regime di Reverse Charge potrà essere versata entro il secondo mese successivo alla fine di ciascun trimestre solare, e non più entro il 16 del mese successivo alla ricezione della fattura. Questo rappresenta un alleggerimento temporale importante per i contribuenti forfettari.

Reverse Charge esterno intra-UE

Quando un contribuente in regime forfettario effettua operazioni con controparti stabilite in altri Paesi dell’Unione Europea, la gestione IVA diventa più articolata. Per quanto riguarda le cessioni di beni a soggetti passivi IVA comunitari, queste si considerano non intra-UE, bensì assimilate a cessioni interne, come chiarito dall’art. 41, comma 2-bis del D.L. n. 331/1993. Pertanto, la fattura va emessa senza IVA, includendo la dicitura: “Operazione non costituisce cessione intra-UE ai sensi dell’art. 41, comma 2-bis, D.L. n. 331/1993”, oltre all’annotazione relativa al regime forfettario.

Se invece la cessione avviene nei confronti di un consumatore finale comunitario, valgono le stesse regole: fattura senza IVA e menzione del regime agevolato.

Per le prestazioni di servizi rese a soggetti passivi IVA UE, il contribuente forfettario deve essere iscritto al VIES e fatturare in regime di Reverse Charge, indicando che l’operazione è “non soggetta ad IVA ex art. 7-ter, D.P.R. n. 633/1972”. Se il committente è un privato, la fattura resta priva di IVA, con sola indicazione del regime forfettario.

Dal lato acquisti, se il forfettario compra beni intra-UE, deve verificare se ha superato la soglia annua dei 10.000 euro. Se non la supera, l’operazione è trattata come interna e soggetta ad IVA nel Paese del fornitore. Se la soglia è superata (o se il forfettario ha optato per l’applicazione ordinaria dell’IVA), sarà necessario integrare la fattura con l’IVA italiana e versarla, senza possibilità di detrazione. Grazie al D.Lgs. n. 81/2025, il versamento può avvenire entro il secondo mese successivo al trimestre.

Infine, gli acquisti di servizi intra-UE richiedono sempre l’integrazione e il versamento dell’IVA, senza riferimento alla soglia. Se il fornitore UE è in regime speciale per piccole imprese, non si tratta di acquisto intra-UE, come da art. 38, comma 5, lett. d) D.L. 331/1993.

Reverse Charge esterno extra-UE

Quando un contribuente in regime forfettario effettua operazioni con controparti extra-UE, le regole fiscali si allineano a quelle ordinarie previste per i soggetti passivi IVA, con alcune precisazioni specifiche per chi gode del regime agevolato.

Nel caso di esportazione di beni verso Paesi extra-UE, il contribuente forfettario non applica l’IVA in fattura e non è tenuto ad addebitarla a titolo di rivalsa. Si tratta di operazioni non imponibili, in quanto le esportazioni rientrano nel campo dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, ma il contribuente forfettario – non essendo un soggetto IVA “pieno” – non può esercitare il diritto alla detrazione, né beneficiare di rimborsi o plafond.

Diverso il caso delle importazioni di beni extra-UE, dove il forfettario agisce come qualsiasi altro soggetto passivo IVA e deve versare l’IVA direttamente in dogana al momento dello sdoganamento. Non è prevista l’inversione contabile per queste operazioni, e il tributo viene gestito tramite i canali doganali ordinari.

Per quanto riguarda le prestazioni di servizi rese verso clienti business (B2B) extra-UE, si applica la regola generale della territorialità di cui all’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972: la fattura è emessa senza IVA, con l’annotazione “operazione non soggetta”, poiché il luogo di tassazione si considera fuori dall’Italia.

In caso contrario, ovvero quando il forfettario acquista servizi da un fornitore extra-UE, egli è tenuto ad emettere autofattura, integrare con l’IVA dovuta e procedere al versamento entro i termini previsti, ovvero entro il secondo mese successivo al trimestre secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 81/2025.

Commissioni bancarie estere

Molti contribuenti in regime forfettario si trovano regolarmente a ricevere commissioni da parte di intermediari esteri come PayPal, SumUp, Satispay, Amazon Pay e altri strumenti di pagamento elettronico. Questi operatori, essendo istituti finanziari, rendono prestazioni di natura finanziaria, le quali sono considerate esenti da IVA in base all’art. 10, comma 1, n. 1 del D.P.R. n. 633/1972.

Dal punto di vista territoriale, secondo l’art. 7-ter del D.P.R. 633/1972, tali prestazioni sono rilevanti in Italia se il committente – cioè il contribuente forfettario – è stabilito nel territorio dello Stato. Di conseguenza, anche se il prestatore è stabilito in un altro Paese (UE o extra-UE), l’operazione va gestita con i meccanismi previsti per gli acquisti di servizi da soggetti non residenti.

Secondo l’art. 17, comma 2, se il prestatore è UE, il forfettario deve procedere con l’integrazione della fattura; se è extra-UE, deve emettere autofattura. Tuttavia, non trattandosi di operazioni imponibili ma esenti, non si applica IVA, ma va indicato il riferimento normativo corretto.

L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 12/E del 2010, ha chiarito che anche per le operazioni esenti rilevanti in Italia, il committente nazionale deve emettere documento integrativo o autofattura, annotandolo nei registri IVA (pur essendone formalmente esonerato) ma senza riportarlo nel quadro VJ della dichiarazione IVA.

Infine, ai fini dell’esterometro, il forfettario deve trasmettere entro il 15 del mese successivo un documento elettronico TD17 tramite SDI, con aliquota IVA 0%, natura IVA “N4”, e indicazione normativa: art. 10, comma 1, n. 1, D.P.R. 633/1972.

Riepilogo operativo

La corretta gestione del Reverse Charge da parte dei contribuenti in regime forfettario richiede attenzione a diversi aspetti tecnici e pratici.

Ecco un quadro sintetico ma esaustivo delle azioni da compiere nelle diverse casistiche operative:

Operazioni interne ricevute con Reverse Charge:

  • Integrare la fattura ricevuta con l’aliquota IVA dovuta;

  • Versare l’IVA entro il secondo mese successivo al trimestre di riferimento (D.Lgs. n. 81/2025);

  • Nessun diritto alla detrazione, quindi l’IVA è un costo effettivo.

Acquisti di beni intra-UE:

  • Se non superata la soglia dei 10.000 €: IVA applicata nel Paese del fornitore;

  • Se superata la soglia o se si è optato per l’IVA ordinaria:

    • Integrare la fattura e versare l’IVA in Italia;

    • Trasmettere l’esterometro con documento TD18.

Acquisti di servizi intra-UE:

  • Sempre territorialmente rilevanti in Italia, indipendentemente dalla soglia;

  • Iscrizione obbligatoria al VIES;

  • Integrare la fattura ricevuta con l’IVA e versarla;

  • Inviare esterometro TD17.

Acquisti di servizi extra-UE:

  • Emissione autofattura con indicazione dell’IVA o dell’esenzione, se prevista;

  • Versamento IVA se dovuta;

  • Invio esterometro TD17.

Commissioni bancarie estere (es. PayPal, Stripe, ecc.):

  • Trattandosi di operazioni esenti, si emette autofattura senza IVA;

  • Inserire la natura IVA N4 e riferimento a art. 10, c. 1, n. 1, DPR 633/72;

  • Invio TD17 entro il 15 del mese successivo.

Strumenti consigliati:

  • Software di fatturazione elettronica aggiornato ai codici TD17, TD18, TD19;

  • Pianificazione trimestrale per il versamento IVA dovuta;

  • Monitoraggio della soglia dei 10.000 € negli acquisti UE.

Sanzioni e rischi 

Anche se il regime forfettario è concepito per semplificare la vita dei contribuenti, non li esonera da responsabilità importanti nei confronti del Fisco, soprattutto quando entrano in gioco le operazioni soggette a Reverse Charge. Un errore nella gestione di questi adempimenti – spesso percepiti come marginali – può portare a sanzioni economiche rilevanti, anche per importi modesti di IVA non correttamente trattata.

Ad esempio, se un contribuente forfettario non integra o non autofattura correttamente una prestazione di servizi ricevuta da un fornitore estero (UE o extra-UE), o omette l’invio del documento elettronico TD17/TD18/TD19, può incorrere in una sanzione prevista dall’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997, che va da 500 a 2.000 euro per ogni operazione omessa o irregolare.

Inoltre, in caso di mancato versamento dell’IVA dovuta (quando applicabile), la sanzione è pari al 30% dell’imposta non versata, oltre agli interessi legali. Per i contribuenti forfettari, che non possono detrarre l’IVA, questo comporta un costo diretto e non recuperabile.

È bene ricordare che l’obbligo di trasmettere l’Esterometro (nei termini previsti) è stato esteso anche ai forfettari, e la sua omissione o trasmissione fuori termine comporta sanzioni fisse: 2 euro per ogni fattura, fino a un massimo di 400 euro mensili, riducibili del 50% se la trasmissione avviene entro 15 giorni dalla scadenza.

Questi rischi evidenziano l’importanza di conoscere le regole e di adottare strumenti adeguati per una gestione corretta, anche in un regime semplificato come quello forfettario.

Aspetti fiscali 

Dal punto di vista fiscale, l’applicazione del Reverse Charge ha implicazioni particolari per chi opera nel regime forfettario, poiché quest’ultimo è caratterizzato da una forte semplificazione contabile e da regole fiscali “a forfait”, cioè con un’imposizione calcolata su una base ridotta e una tassazione sostitutiva. Tuttavia, quando il contribuente forfettario è coinvolto in operazioni soggette a inversione contabile, viene chiamato ad adempiere obblighi tipici del regime ordinario IVA, ma senza godere dei relativi benefici.

Il primo aspetto critico è che il forfettario non può detrarre l’IVA, nemmeno se sostenuta in operazioni soggette a Reverse Charge. Di conseguenza, l’imposta che egli versa all’Erario in questi casi rappresenta un costo reale, non recuperabile in alcun modo.

Questo vale, ad esempio, per:

  • l’acquisto di servizi intra-UE o extra-UE,

  • l’acquisto di beni intra-UE sopra la soglia dei 10.000 euro,

  • le fatture soggette a Reverse Charge interno (es. da settori come edilizia, pulizie, etc.).

Il secondo elemento rilevante è il momento del versamento. A partire dal D.Lgs. n. 81/2025, il legislatore ha introdotto una misura favorevole: il versamento dell’IVA in Reverse Charge può avvenire entro il secondo mese successivo al trimestre di riferimento, allineandolo così al regime dei versamenti periodici per le operazioni IVA.

Infine, sotto il profilo delle deduzioni fiscali, l’IVA versata tramite Reverse Charge non è deducibile nemmeno ai fini delle imposte dirette, poiché i forfettari determinano il reddito imponibile applicando un coefficiente di redditività al volume d’affari, senza possibilità di dedurre costi analitici, salvo i contributi previdenziali.

In sintesi, pur in un regime agevolato, il Reverse Charge espone il forfettario a oneri fiscali concreti, che vanno gestiti con attenzione per evitare impatti negativi sulla marginalità.

Conclusione

Il regime forfettario, pur essendo uno strumento fiscale pensato per semplificare la gestione contabile e alleggerire il carico amministrativo delle partite IVA di minori dimensioni, non esonera il contribuente da obblighi complessi quando si entra nel campo delle operazioni soggette a Reverse Charge.

Come abbiamo visto, la corretta applicazione dell’inversione contabile richiede:

  • la conoscenza delle regole territoriali IVA,

  • la capacità di distinguere tra prestazioni e cessioni,

  • l’utilizzo corretto dei codici TD17, TD18 e TD19 per l’Esterometro,

  • il rispetto dei nuovi termini di versamento IVA trimestrali introdotti dal D.Lgs. n. 81/2025,

  • e un’attenta gestione delle commissioni e dei servizi digitali ricevuti dall’estero, anche quando si tratta di operatori noti come PayPal o Amazon.

Inoltre, il fatto che i forfettari non possano detrarre l’IVA li espone a costi reali in caso di errori o omissioni, senza alcuna possibilità di recupero. Per questo è fondamentale adottare strumenti adeguati di fatturazione elettronica, pianificare i controlli periodici e, se necessario, affidarsi a un commercialista esperto per evitare sanzioni e perdite economiche.

Il consiglio finale è quindi semplice ma cruciale: non sottovalutare l’impatto del Reverse Charge, anche in un regime che promette semplificazione. Per non trasformare un’opportunità fiscale in un rischio concreto, serve attenzione, competenza e aggiornamento costante.

Lavorare su barche con bandiera estera in acque italiane: tasse, conti e obblighi fiscali

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Negli ultimi anni, sempre più italiani decidono di lavorare su yacht, navi da diporto o imbarcazioni commerciali battenti bandiera estera, pur operando buona parte dell’anno, spesso 6 o 8 mesi, in acque territoriali italiane. Si tratta di cuochi, marinai, steward, capitani, tecnici della manutenzione o personale di bordo impiegato nel settore nautico, che si ritrovano spesso in un limbo fiscale.

La domanda che sorge spontanea è: a quale paese devo dichiarare il mio reddito? All’Italia, perché sono italiano e lavoro vicino casa? Oppure al paese della bandiera della barca? E ancora: quali imposte devo pagare e dove? Posso usare un conto italiano o devo aprirne uno all’estero?

Capire come comportarsi è essenziale non solo per evitare pesanti sanzioni da parte del fisco italiano, ma anche per sfruttare a proprio vantaggio eventuali vantaggi fiscali legati ai trattati internazionali.

In questo articolo andremo a chiarire in modo dettagliato, e con riferimenti normativi, quale paese ha diritto di tassare il reddito e come organizzarsi dal punto di vista fiscale e bancario, tenendo conto della residenza fiscale, della bandiera della nave, e della durata del lavoro svolto in Italia o all’estero.

Residenza fiscale 

Nel caso di un lavoratore che opera su una barca con bandiera estera, ma naviga in acque italiane per buona parte dell’anno (es. 8 mesi), la residenza fiscale è il primo fattore che determina a quale Stato spetti il diritto di tassazione.

Secondo l’art. 2 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), un soggetto è fiscalmente residente in Italia se, per la maggior parte dell’anno (183 giorni, o 184 in caso di anno bisestile), risiede anagraficamente in Italia, oppure ha in Italia il domicilio o la dimora abituale.
Se sei quindi iscritto all’anagrafe italiana, vivi stabilmente in Italia, e il tuo centro di interessi economici e familiari è qui, sei considerato residente fiscalmente in Italia, anche se lavori su una nave straniera.

La Corte di Cassazione ha più volte confermato che il principio di “effettività” prevale su quello formale: anche se sei spesso all’estero, ma torni regolarmente in Italia, qui mantieni la famiglia, il conto corrente e la tua vita quotidiana, allora l’Italia ha diritto a tassare i tuoi redditi ovunque prodotti (c.d. worldwide taxation).

In sintesi:

  • Se sei residente fiscalmente in Italia → devi dichiarare in Italia anche i redditi prodotti lavorando su una nave con bandiera estera, a prescindere dal luogo in cui effettivamente lavori.
  •  Se non sei residente (es. iscritto all’AIRE e non torni in Italia) → puoi rientrare in un regime diverso, legato al paese di effettiva residenza.

Bandiera della nave 

Lavorare su una barca con bandiera estera (come Malta, Isole Cayman, Panama, Francia o altri) può far pensare che, automaticamente, il reddito generato debba essere dichiarato e tassato nel paese della bandiera. Tuttavia, non è così semplice.

La “bandiera” indica lo Stato sotto la cui giurisdizione è registrata l’imbarcazione, e determina la normativa tecnica, civile, penale e in parte lavorativa applicabile a bordo (soprattutto per quanto riguarda la sicurezza e il contratto di lavoro marittimo – STCW e MLC 2006). Ma non determina la fiscalità del lavoratore a bordo, che resta soggetta alla residenza fiscale personale.

L’unico caso in cui la bandiera diventa rilevante per le tasse è quando si tratta di navi commerciali o mercantili in alto mare, e il lavoratore risulta fiscalmente residente in un altro paese con cui l’Italia ha stipulato una Convenzione contro le doppie imposizioni (modello OCSE). Ad esempio, l’art. 15 di queste convenzioni prevede che il reddito da lavoro dipendente su nave o aereo in traffico internazionale sia tassato nello Stato della sede effettiva del datore di lavoro, o della bandiera.

Tuttavia, questo non vale se lavori su una barca da diporto in acque italiane o nel Mediterraneo, per un armatore estero ma con base operativa in Italia, e tu sei residente fiscalmente in Italia: in questo caso devi comunque dichiarare in Italia.

In sintesi:

  • La bandiera della barca non ti esonera dall’obbligo di dichiarazione fiscale in Italia se sei residente.

  • È invece importante nel determinare la legge del contratto di lavoro (paese che tutela il rapporto lavorativo).

Dichiarazione dei redditi e tassazione

Se sei residente fiscalmente in Italia, sei soggetto al principio della tassazione mondiale (art. 3 del TUIR). Questo significa che devi dichiarare in Italia tutti i redditi ovunque prodotti, inclusi quelli da lavoro svolto all’estero o su mezzi esteri come una nave battente bandiera straniera.

Cosa succede nel tuo caso specifico?

Se lavori su una barca con bandiera estera, ma il lavoro si svolge in prevalenza in acque territoriali italiane, o comunque in aree dove il controllo effettivo delle operazioni è italiano, l’Agenzia delle Entrate può ritenere che il reddito sia prodotto in Italia (art. 23 del TUIR). Inoltre, se il tuo datore di lavoro è estero e non ha una stabile organizzazione in Italia, la tassazione avviene in dichiarazione dei redditi come reddito da lavoro dipendente estero.

In questo caso, dovrai:

  1. Compilare il Quadro RC del Modello 730 o il Quadro RL/RW del Modello Redditi PF.

  2. Calcolare le imposte IRPEF con le aliquote italiane (dal 23% al 43%, più addizionali regionali e comunali).

  3. Se hai pagato già tasse all’estero, potrai richiedere un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero (art. 165 TUIR), purché ci sia un accordo di doppia imposizione.

Importante: se non ricevi una busta paga estera, ma sei pagato in modo informale (es. bonifici su conto), è tua responsabilità dichiarare il reddito come autodichiarazione, documentandolo con contratti, estratti conto e conferme scritte.

In sintesi:

  • Devi dichiarare in Italia il reddito.

  • Se già tassato all’estero, potresti evitare la doppia imposizione.

  • Serve documentazione precisa (contratto di lavoro, pagamenti, eventuali tasse estere).

Conto corrente estero o italiano 

Molti lavoratori marittimi impiegati su navi estere credono sia necessario, o addirittura obbligatorio, aprire un conto estero per ricevere il proprio stipendio. In realtà, non c’è alcun obbligo normativo di aprire un conto corrente all’estero, a meno che il datore di lavoro non lo imponga per prassi aziendale o per esigenze logistiche.

Se sei residente fiscalmente in Italia, puoi ricevere regolarmente il tuo stipendio su un conto corrente italiano, purché siano rispettate alcune condizioni di tracciabilità. Tuttavia, in molti casi, specie se il datore di lavoro è una società registrata in paesi come Malta, Isole Cayman o Panama, viene richiesto un IBAN estero (tipicamente in valuta diversa dall’euro) per facilitare i pagamenti internazionali e ridurre i costi di transazione.

Cosa comporta avere un conto estero?

  • Nessun divieto, ma devi dichiararlo in Italia se il saldo supera i 15.000 euro anche per un solo giorno nell’anno: in tal caso sei obbligato a compilare il quadro RW nella dichiarazione dei redditi, ai fini del monitoraggio fiscale (art. 4 DL 167/1990).

  • Sei tenuto al pagamento dell’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie all’Estero), pari a 34,20 euro annui per ogni conto estero detenuto da persona fisica residente.

  • Se ricevi pagamenti in valuta estera, dovrai convertire gli importi in euro ai fini della dichiarazione, secondo il tasso di cambio medio mensile pubblicato da Banca d’Italia.

In sintesi:

  • Puoi ricevere il compenso su un conto italiano senza problemi.
  • Se usi un conto estero, devi dichiararlo correttamente in Italia.
  • L’omessa dichiarazione del conto estero è considerata violazione fiscale, con sanzioni molto pesanti (dal 3% al 15% del saldo non dichiarato).

Controlli e sanzioni 

Molti lavoratori del settore nautico, specie quelli impiegati su barche estere, sottovalutano il rischio di non dichiarare i redditi percepiti all’estero, ritenendo che non siano rintracciabili dal fisco italiano. Ma questa è una falsa sicurezza. Oggi, grazie allo scambio automatico di informazioni tra Stati (Common Reporting Standard – CRS), l’Agenzia delle Entrate riceve segnalazioni dirette da moltissimi paesi esteri, anche extra-UE, su conti correnti, redditi e investimenti detenuti all’estero da soggetti italiani.

Se sei residente in Italia, e percepisci redditi da lavoro svolto su una barca con bandiera estera (anche se pagato su conto estero), ma non li dichiari, rischi:

  1. Sanzioni amministrative dal 90% al 180% delle imposte evase (art. 1, D.Lgs. 471/1997).

  2. Accertamenti fiscali retroattivi fino a 5 anni (7 se non hai presentato la dichiarazione).

  3. In caso di redditi elevati non dichiarati, puoi incorrere anche in reati penali tributari (es. dichiarazione infedele o omessa – D.Lgs. 74/2000), con rischio di denuncia penale e processo.

Inoltre, l’Agenzia può incrociare dati tra:

  • Residenza anagrafica.

  • Domicilio fiscale.

  • Conti bancari italiani ed esteri.

  • Contratti di lavoro marittimo registrati.

  • Informazioni da autorità portuali, capitanerie, registri navali.

Chi lavora regolarmente per 6–8 mesi l’anno in acque italiane, pur sotto bandiera straniera, rientra facilmente nel radar dei controlli, soprattutto se percepisce compensi elevati non giustificati in dichiarazione.

Se in passato non hai dichiarato questi redditi, è possibile regolarizzare la posizione attraverso il ravvedimento operoso, con sanzioni ridotte.

Detrazioni, credito d’imposta e strategie utili 

Anche se il lavoro svolto su una barca con bandiera estera e in acque italiane è tassabile in Italia per chi vi è fiscalmente residente, esistono diverse strategie perfettamente legali per ridurre le imposte dovute, sfruttando norme già previste dal sistema tributario.

1. Credito d’imposta per le imposte pagate all’estero

Se il tuo reddito è già stato tassato nel paese della bandiera della nave (es. Malta), puoi richiedere in Italia un credito per imposte estere (art. 165 del TUIR), evitando la doppia imposizione.
È fondamentale documentare:

  • l’importo del reddito percepito,

  • le imposte pagate all’estero,

  • e la convenzione contro le doppie imposizioni (se presente).

2. Deduzioni per spese professionali

Se sei inquadrato come lavoratore autonomo o a contratto, potresti dedurre spese relative all’attività nautica:

  • corsi di formazione marittima (STCW, MLC),

  • abbigliamento tecnico,

  • strumenti di bordo personali,

  • spese di viaggio per imbarco.

3. Regimi agevolati per rientro in Italia (per chi lavora all’estero da anni)

Se sei iscritto all’AIRE e stai pensando di rientrare in Italia, potresti usufruire dei regimi per lavoratori impatriati (art. 16 D.Lgs. 147/2015), con tassazione agevolata del 30% o del 10% del reddito per 5 anni.

4. Previdenza integrativa e versamenti deducibili

Puoi dedurre dal reddito imponibile fino a 5.164,57 € all’anno se versi contributi a fondi pensione, anche privati o esteri (purché conformi).

Attenzione: tutte queste agevolazioni devono essere correttamente documentate e indicate in dichiarazione. Un commercialista esperto può aiutarti a massimizzare il risparmio fiscale senza rischi.

Casi particolari 

Iscrizione AIRE: quando cambia tutto

Se sei un cittadino italiano ma iscritto all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) e vivi stabilmente all’estero per più di 183 giorni l’anno, potresti non essere fiscalmente residente in Italia. In questo caso:

  • non sei soggetto alla tassazione mondiale italiana;

  • dichiari i redditi solo nel paese di residenza fiscale effettiva (ad esempio, Malta o Spagna);

  • puoi evitare l’obbligo di dichiarare redditi esteri in Italia, salvo che tu non mantenga interessi economici sostanziali in Italia (es. famiglia, immobili, attività economiche).

Attenzione: la sola iscrizione all’AIRE non basta, serve anche la dimostrazione dell’effettiva residenza all’estero.

Bandiere extra-UE (es. Panama, Isole Cayman, Bahamas)

Se lavori su imbarcazioni battenti bandiere di paesi extra-UE, potresti essere soggetto a sistemi di contrattualizzazione offshore. Questi sistemi spesso non prevedono una tassazione nel paese della bandiera. Tuttavia, se sei residente in Italia, il reddito è comunque tassabile in Italia, a prescindere dalla fiscalità del paese di bandiera.

Traffico internazionale (navi che operano fuori dalle acque territoriali)

In base alle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni (modello OCSE, art. 15), se lavori su una nave impiegata in traffico internazionale (es. crociere o cargo tra più paesi), e il datore di lavoro ha sede in un paese convenzionato, il reddito può essere tassato solo nel paese della sede del datore di lavoro.

Tuttavia, se operi prevalentemente in acque italiane o del Mediterraneo e sei residente in Italia, questa eccezione non si applica.

Lavoro stagionale in mare (es. 6–8 mesi)

La stagionalità non modifica la residenza fiscale. Anche se lavori in mare per 8 mesi e poi torni in Italia, resti fiscalmente residente in Italia. Devi dichiarare tutto e pagare le imposte in Italia, salvo casi molto specifici.

Casi pratici 

Vediamo ora alcune situazioni che chiariscono quando si è obbligati a dichiarare in Italia il reddito percepito lavorando su una barca estera, e quando invece non lo si deve fare.

CASO 1 – Obbligo di dichiarazione in Italia

Luca, 35 anni, è italiano, vive con la famiglia in Italia, non è iscritto all’AIRE. Lavora 8 mesi all’anno come tecnico su una barca con bandiera francese, che opera principalmente tra la Liguria e la Costa Azzurra. Riceve lo stipendio su un conto italiano e non ha versato tasse in Francia.

Risultato:

  • È residente fiscale in Italia.

  • Il reddito va interamente dichiarato in Italia come reddito da lavoro estero.

  • Dovrà compilare il modello 730 o Redditi PF, e pagare IRPEF + addizionali.

  • Se versa contributi previdenziali, potrà dedurli; in caso contrario, sarà tassato al lordo.

CASO 2 – Reddito già tassato all’estero, ma residente in Italia

Giulia, 42 anni, lavora su una barca con bandiera maltese. È residente in Italia, ma il datore di lavoro maltese le ha già trattenuto le imposte. Ha ricevuto una busta paga regolare e ha anche un conto estero.

Risultato:

  • Deve comunque dichiarare il reddito in Italia.

  • Potrà compensare le imposte pagate a Malta con il credito d’imposta (art. 165 TUIR).

  • È tenuta a dichiarare il conto estero nel quadro RW se supera 15.000€.

CASO 3 – Esenzione da dichiarazione in Italia

Marco, 40 anni, lavora da 10 anni su una barca battente bandiera Cayman. È iscritto all’AIRE e vive stabilmente alle Canarie (Spagna), dove ha anche la famiglia e un contratto registrato con società locale. Non torna in Italia se non per brevi vacanze.

Risultato:

  • È fiscalmente residente all’estero.

  • Il reddito non va dichiarato in Italia.

  • È soggetto alla normativa fiscale spagnola o del paese della fonte di reddito.

  • Non ha obbligo di dichiarazione in Italia, salvo detenzione di beni o conti in Italia.

CASO 4 – Situazione a rischio: residenza fittizia estera

Andrea, 28 anni, ha lavorato per 7 mesi su una barca con bandiera panamense. Si è iscritto all’AIRE solo l’anno scorso, ma vive ancora in Italia gran parte dell’anno. Riceve i pagamenti su un conto a Dubai e non ha mai dichiarato nulla.

Risultato:

  • L’Agenzia delle Entrate potrebbe considerarlo residente di fatto in Italia, poiché mantiene domicilio e interessi economici in Italia.

  • Rischia accertamento fiscale per omessa dichiarazione e sanzioni (dal 90% al 180% dell’imposta evasa).

  • Consigliata una regolarizzazione tramite ravvedimento operoso.

Come regolarizzarsi

Se hai lavorato o stai lavorando su una barca battente bandiera estera, sei residente in Italia e non hai ancora dichiarato il reddito percepito, è fondamentale agire tempestivamente per evitare sanzioni, accertamenti o – nei casi più gravi – procedimenti penali.

La normativa fiscale italiana ti offre due strumenti principali per sistemare la tua posizione in modo spontaneo:

1. Ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997)

Se non hai dichiarato i redditi (anche da più anni), puoi farlo ora versando:

  • le imposte dovute,

  • gli interessi legali (calcolati giorno per giorno),

  • una sanzione ridotta (da 1/10 a 1/5 di quella ordinaria, a seconda di quanto tempo è passato).

Questo vale anche per:

  • la mancata dichiarazione di conti correnti esteri (RW),

  • l’omesso versamento dell’IVAFE,

  • la non indicazione di eventuali investimenti esteri.

Esempio pratico: se non hai dichiarato un reddito di 30.000 € nel 2022 e lo fai oggi, pagherai l’IRPEF dovuta, ma con una sanzione ridotta anche dell’85% rispetto a un accertamento d’ufficio.

2. Dichiarazione integrativa (entro 5 anni)

Se hai già fatto la dichiarazione dei redditi, ma non hai incluso il reddito estero o l’hai indicato in modo errato, puoi inviare una dichiarazione integrativa per correggere l’errore e regolarizzare la posizione. Anche qui si applicano le sanzioni ridotte.

3. Assistenza professionale

È fortemente consigliato rivolgersi a un commercialista esperto in fiscalità internazionale e marittima, perché:

  • bisogna recuperare contratti, prove di pagamento, eventuali certificazioni estere;

  • va fatta una ricostruzione precisa della posizione;

  • si può valutare se ci sono elementi per dimostrare la non residenza fiscale in Italia, nei casi dubbi.

Non fare nulla è l’opzione peggiore, perché l’Agenzia delle Entrate ha sempre più strumenti per incrociare dati bancari e di movimento. Mettersi in regola oggi può evitare problemi molto più gravi domani.

Conclusioni 

Lavorare su una barca con bandiera estera per lunghi periodi, soprattutto se in acque italiane o nel Mediterraneo, non ti esonera automaticamente dagli obblighi fiscali italiani. Il criterio della residenza fiscale è il punto cardine: se vivi in Italia, hai qui il tuo centro degli interessi personali e familiari, o non sei regolarmente iscritto all’AIRE, il reddito percepito deve essere dichiarato in Italia, anche se pagato all’estero o in valuta diversa.

La bandiera della nave, il tipo di contratto, la durata del lavoro e la provenienza del reddito sono tutti elementi da valutare con attenzione, ma nessuno di questi da solo è sufficiente a stabilire l’esenzione fiscale. Ignorare questi aspetti può portare a sanzioni gravi, accertamenti retroattivi e problemi contributivi che compromettono anche la pensione futura.

Se non hai ancora dichiarato nulla, è possibile regolarizzare la tua posizione tramite ravvedimento operoso o dichiarazione integrativa, con penalità ridotte.
Se stai valutando di intraprendere questo tipo di lavoro, è fondamentale partire con una pianificazione fiscale e contributiva adeguata, affidandoti a un consulente esperto in fiscalità internazionale e nautica.

In un settore in continua evoluzione, essere trasparenti e corretti con il fisco è la miglior strategia di tutela personale e professionale, anche per chi naviga tra confini e giurisdizioni diverse.

Navigare sì, ma con rotta sicura… anche verso il fisco.

Bonus Casa 2026: proroga confermata delle detrazioni al 50% e 36% per ristrutturazioni e prima casa

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Il Bonus Casa torna al centro del dibattito politico e fiscale con l’avvicinarsi della Legge di Bilancio 2026. Mentre milioni di italiani si chiedono se convenga ristrutturare oggi o aspettare il nuovo anno, il Governo sembra orientato a confermare le attuali aliquote del 50% e 36%, evitando così il temuto taglio automatico delle detrazioni.

L’ipotesi più probabile è quella di una proroga selettiva, con incentivi più vantaggiosi per chi ristruttura la prima casa. Una decisione che potrebbe incidere notevolmente sulle scelte di famiglie, giovani coppie e investitori immobiliari, oltre che sull’intero comparto dell’edilizia.

In questo articolo analizziamo tutte le anticipazioni, i possibili scenari e i vantaggi fiscali previsti dal nuovo Bonus Casa 2026, con un occhio attento alle implicazioni per contribuenti, imprese e professionisti. Se stai pensando di ristrutturare, risparmiare legalmente sulle tasse o valorizzare il tuo immobile, questo è il momento giusto per informarti e agire con consapevolezza.

Bonus casa 2026

Il 2026 si avvicina e con esso si intensificano le discussioni attorno ai bonus edilizi. In particolare, cresce l’attenzione per la possibile proroga delle attuali aliquote del 50% e del 36%, applicate rispettivamente alle ristrutturazioni edilizie e agli interventi di manutenzione straordinaria o ordinaria (quest’ultima per i condomìni).

Le indiscrezioni più recenti indicano che il Governo sia orientato a confermare l’attuale assetto normativo, mantenendo così un punto fermo per contribuenti e operatori del settore. La misura sarebbe inserita all’interno del disegno di legge di Bilancio 2026, atteso nei prossimi giorni in Consiglio dei Ministri.

L’obiettivo? Dare continuità ad agevolazioni fiscali ormai consolidate, garantendo così stabilità economica e pianificazione a lungo termine per famiglie, imprese e professionisti coinvolti nei lavori di riqualificazione edilizia. In questo scenario, si prevede anche un’attenzione particolare verso la prima casa, con misure più favorevoli per chi effettua lavori nella propria abitazione principale.

Il tema è caldo anche a causa dell’intervento di ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili), che ha sollecitato il Governo a proseguire su questa strada. In un momento in cui il settore delle costruzioni rappresenta un pilastro della crescita economica nazionale, la conferma del Bonus Casa appare una scelta tanto strategica quanto necessaria.

Correttivi previsti dal Governo

Il Governo sembra intenzionato a prorogare il Bonus Casa anche per il 2026, ma non senza correttivi. Durante l’audizione alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dichiarato che l’esecutivo punta a una proroga “selettiva”, con un’attenzione particolare rivolta alla prima casa. Nelle bozze del Disegno di Legge di Bilancio, al momento in lavorazione, si sta infatti delineando uno scenario che confermerebbe le aliquote attuali, ma legandole a requisiti più stringenti.

Il Bonus al 50% verrebbe garantito a chi effettua interventi sull’abitazione principale e ne detiene la proprietà o un altro diritto reale (usufrutto, nuda proprietà, uso o abitazione). Per chi, invece, ristruttura una seconda casa, l’agevolazione resterebbe fruibile ma con una riduzione dell’aliquota al 36%.

Un compromesso che permette di evitare un taglio più drastico: senza interventi legislativi, infatti, dal 1° gennaio 2026 le detrazioni sarebbero automaticamente scese al 36% per la prima casa e al 30% per la seconda, rendendo i lavori meno convenienti.

Anche il bonus mobili, attualmente al 50%, e il bonus barriere architettoniche al 75% sono destinati a subire un rallentamento, così come il superbonus, previsto in calo al 65%.

In questo contesto, ANCE ha espresso il proprio sostegno alla proroga delle aliquote nella forma attuale, ritenendola una misura necessaria per evitare un freno all’intero comparto edilizio.

Impatto sul comparto edilizio

Negli ultimi anni, il Bonus Casa si è rivelato uno strumento fondamentale per stimolare il settore edilizio, ma anche per favorire una riqualificazione diffusa del patrimonio immobiliare italiano, spesso obsoleto sotto il profilo energetico e strutturale.

Le detrazioni fiscali per lavori di manutenzione, ristrutturazione e riqualificazione energetica hanno incentivato milioni di contribuenti a investire sulla propria casa, con un duplice effetto positivo: rilancio dell’economia reale e valorizzazione del patrimonio abitativo nazionale.

Il Governo, pur consapevole della necessità di contenere la spesa pubblica e rispettare i vincoli europei in materia di finanza pubblica, riconosce che un taglio netto delle agevolazioni rischierebbe di bloccare una fetta significativa degli investimenti privati nel settore edilizio. Ecco perché si sta studiando una forma di proroga che garantisca la continuità delle agevolazioni, seppure in forma selettiva, privilegiando la prima casa e i piccoli interventi, ma lasciando comunque spazio per gli altri immobili, seppur con aliquote ridotte.

A questo si aggiunge un tema cruciale: l’effetto moltiplicatore del Bonus Casa, che genera un ritorno fiscale diretto e indiretto per l’erario, tra IVA, imposte dirette e contributi previdenziali legati all’aumento di attività nel settore.

Un motivo in più per cui, secondo diverse associazioni di categoria, tra cui ANCE, la proroga delle aliquote attuali non è una concessione, ma una scelta strategica per mantenere il ciclo virtuoso attivato negli ultimi anni.

Cosa accade senza proroga

Senza un intervento normativo, dal 1° gennaio 2026 scatterà automaticamente una riduzione delle detrazioni fiscali, come previsto dalla normativa attuale. In assenza della proroga all’esame del Governo, l’aliquota per le ristrutturazioni sulla prima casa scenderà dal 50% al 36%, mentre quella sulla seconda casa scivolerà addirittura al 30%.

Questa riduzione renderebbe molto meno conveniente avviare lavori edili, specialmente per famiglie a basso o medio reddito che contano sulla leva fiscale per affrontare investimenti importanti. In uno scenario del genere, il rischio è quello di una frenata generalizzata del comparto edilizio, con ricadute su occupazione, entrate fiscali e crescita economica.

I dati degli ultimi anni dimostrano infatti come i bonus edilizi abbiano generato miliardi di euro di investimenti, alimentando l’indotto e favorendo anche la regolarizzazione di lavori che altrimenti rischierebbero di essere eseguiti in nero.

Ma il taglio delle agevolazioni avrebbe anche un altro effetto negativo: rallenterebbe il processo di riqualificazione energetica e messa in sicurezza del patrimonio immobiliare italiano, in aperta contraddizione con gli obiettivi ambientali dell’Unione Europea.

A livello fiscale, infine, lo Stato rischierebbe di perdere più in termini di minori entrate dirette e indirette rispetto al risparmio ottenuto riducendo i bonus. Per questo la proroga in discussione assume un valore strategico, oltre che sociale e ambientale.

Bonus Casa e nuove generazioni

Il Bonus Casa non è solo un incentivo fiscale, ma rappresenta anche una leva sociale, capace di facilitare l’accesso alla casa per giovani coppie e famiglie che vogliono acquistare e ristrutturare la propria abitazione principale.

In un mercato immobiliare sempre più selettivo e con prezzi ancora sostenuti, poter contare su una detrazione fiscale del 50% per i lavori di ristrutturazione rappresenta un aiuto concreto, soprattutto in una fase economica incerta come quella attuale. Non a caso, molte famiglie italiane hanno deciso negli ultimi anni di ristrutturare piuttosto che acquistare ex novo, anche grazie a queste agevolazioni.

La proroga selettiva proposta dal Governo, con priorità alla prima casa, va proprio nella direzione di tutelare le categorie più fragili, tra cui giovani, single, nuclei familiari a basso reddito e cittadini residenti nei piccoli comuni. Inoltre, mantenere il bonus nella forma attuale potrebbe contribuire a rivitalizzare molte aree urbane degradate, spingendo le persone a investire su immobili esistenti piuttosto che costruire ex novo, in linea con i principi della sostenibilità e del riuso.

Anche per questo il Bonus Casa si intreccia con politiche abitative più ampie e, se ben gestito, può diventare uno strumento di rilancio sociale ed economico, oltre che un aiuto fiscale. Una sua riduzione o eliminazione rischierebbe, al contrario, di allargare il divario sociale tra chi può investire sulla casa e chi no.

Bonus edilizi

Nel panorama europeo, l’Italia si distingue da anni per la generosità delle detrazioni fiscali legate al settore edilizio. Il Bonus Casa, insieme agli altri incentivi come il Superbonus, ha rappresentato uno degli strumenti più efficaci per stimolare l’economia interna durante e dopo la pandemia.

Tuttavia, questa strategia non è priva di critiche, sia a livello nazionale che europeo. La Commissione Europea ha infatti più volte chiesto all’Italia di rivedere la spesa pubblica legata ai bonus edilizi, ritenendola eccessiva e potenzialmente insostenibile nel lungo periodo.

In altri Paesi dell’Unione, le agevolazioni per la riqualificazione immobiliare esistono, ma con caratteristiche differenti: ad esempio, in Francia e Germania i contributi sono spesso legati a criteri di efficientamento energetico certificato o a soglie reddituali dei beneficiari. Inoltre, in molti Stati UE, tali incentivi sono concessi in forma diretta (contributi a fondo perduto) piuttosto che sotto forma di detrazione fiscale pluriennale.

Nonostante ciò, l’approccio italiano ha avuto il merito di mobilitare rapidamente il settore delle costruzioni, attirando investimenti e contribuendo alla crescita del PIL. Alla luce di questo, la proroga delle attuali aliquote del Bonus Casa, seppur in forma selettiva, potrebbe rappresentare un compromesso accettabile anche in sede europea, permettendo all’Italia di continuare a sostenere il comparto edilizio senza eccedere nei costi per lo Stato.

In definitiva, il confronto con l’Europa suggerisce che la chiave per la sostenibilità fiscale sia una gestione mirata e ben regolamentata, più che un taglio indiscriminato delle agevolazioni.

Impatto sulle imprese e professionisti

Il Bonus Casa non rappresenta solo un vantaggio per i proprietari di immobili, ma ha un effetto moltiplicatore diretto su tutta la filiera dell’edilizia e dei servizi connessi. Ogni intervento di ristrutturazione, anche modesto, coinvolge infatti artigiani, imprese edili, installatori, tecnici, architetti, geometri, ingegneri e consulenti fiscali, generando occupazione e movimentando risorse.

Secondo le stime dell’ANCE, ogni miliardo investito nei bonus edilizi ha prodotto negli ultimi anni fino a 15 miliardi di valore aggiunto nell’economia nazionale. Inoltre, la possibilità di usufruire delle detrazioni ha spinto molte aziende a regolarizzarsi e innovarsi, adottando materiali e tecniche costruttive più sostenibili, come l’efficienza energetica, l’isolamento termico o gli impianti green.

Un eventuale ridimensionamento del Bonus Casa, soprattutto se repentino, metterebbe a rischio migliaia di posti di lavoro e ridurrebbe la capacità delle piccole e medie imprese di pianificare investimenti, assumere personale o crescere.

D’altra parte, una proroga chiara e stabile, come quella prevista nella bozza del DDL di Bilancio 2026, permetterebbe al settore di lavorare in un contesto di prevedibilità e continuità, essenziale per evitare il cosiddetto “effetto fisarmonica”, con periodi di boom alternati a blocchi improvvisi.

È evidente quindi che il Bonus Casa, nella sua forma attuale o riformata, rappresenta un pilastro dell’economia reale, che coinvolge migliaia di micro-attività sul territorio e sostiene l’occupazione in modo trasversale.

Conclusione

Alla luce delle anticipazioni sul Disegno di Legge di Bilancio 2026, il Bonus Casa si conferma come uno degli strumenti centrali della politica fiscale italiana, capace di coniugare esigenze economiche, sociali e ambientali.

La proroga selettiva delle aliquote al 50% e al 36%, in favore principalmente della prima casa, sembra oggi la soluzione più concreta e sostenibile per mantenere attivo un meccanismo che ha dimostrato tutta la sua efficacia negli ultimi anni.

Tuttavia, la stabilità normativa resta un nodo cruciale: troppe modifiche o incertezze possono disincentivare gli investimenti, rallentare l’indotto e generare confusione tra contribuenti e operatori. È quindi auspicabile che la nuova legge di Bilancio introduca regole chiare, durature e facilmente accessibili, per permettere a famiglie, imprese e professionisti di pianificare interventi in modo sereno e conforme alle normative.

In ogni caso, valutare le opportunità offerte dal Bonus Casa 2026 richiede una corretta informazione fiscale e spesso l’assistenza di esperti del settore.

Chi sta pensando di ristrutturare casa o di approfittare dei vantaggi fiscali, farebbe bene a muoversi in anticipo, per sfruttare al massimo i benefici previsti e prepararsi agli eventuali aggiornamenti normativi.

In un contesto economico dove ogni euro conta, la conoscenza e la pianificazione sono le vere chiavi del risparmio legale e intelligente.

Chiusura Resto al Sud dal 15 ottobre 2025: novità della Circolare 37/2025 e nuove misure in arrivo

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Il 15 ottobre 2025 segna una data importante per l’imprenditoria nel Mezzogiorno: lo sportello dell’incentivo “Resto al Sud” chiuderà ufficialmente, come stabilito dalla Circolare n. 37/2025 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 228 del 3 ottobre 2025. Una notizia che interessa migliaia di aspiranti imprenditori e startup del Sud Italia, le cui possibilità di accedere a finanziamenti agevolati per avviare attività produttive si stanno esaurendo.

L’incentivo, gestito da Invitalia, ha sostenuto per anni la nascita di nuove imprese nel Meridione, rappresentando un volano fondamentale per l’economia di regioni come Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, ma anche Abruzzo, Molise, Sardegna e alcune aree del Lazio. Ora, con la chiusura dello sportello, molte opportunità rischiano di svanire, se non si interviene con nuove misure di sostegno.

L’articolo che segue analizza i motivi della chiusura, i dati aggiornati sulle richieste e le approvazioni, e soprattutto quali sono le conseguenze concrete per chi vuole fare impresa nel Sud Italia dopo il 15 ottobre.

Origine e finalità della misura “Resto al Sud”

La misura “Resto al Sud” è stata introdotta con il Decreto-Legge 91/2017, convertito con modificazioni dalla Legge n. 123 del 3 agosto 2017, con l’obiettivo di promuovere la crescita economica e l’occupazione giovanile nelle regioni del Mezzogiorno. In particolare, il provvedimento si rivolgeva a giovani imprenditori tra i 18 e i 35 anni (poi estesi fino a 55), incentivando la nascita di nuove attività produttive in settori strategici come agricoltura, artigianato, turismo, industria e servizi.

Il finanziamento dell’iniziativa è stato reso possibile grazie alle risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC), programmazione 2014-2020, per un totale di 1.250 milioni di euro, suddivisi in tranche annuali secondo una ripartizione stabilita dalla delibera CIPE n. 74 del 7 agosto 2017. L’allocazione dei fondi ha seguito un andamento decrescente nel tempo, partendo da 462 milioni nel 2019 fino a 17 milioni nel 2025, segnale evidente di una progressiva riduzione delle risorse disponibili.

Nel corso degli anni, “Resto al Sud” ha permesso il finanziamento di oltre 13.000 progetti, contribuendo in modo significativo alla nascita di nuove imprese e all’inclusione lavorativa di categorie svantaggiate. Tuttavia, con una nota ufficiale del 19 settembre 2025, Invitalia ha comunicato l’esaurimento imminente dei fondi disponibili, determinando così la chiusura dello sportello a partire dal 15 ottobre 2025, come previsto dalla normativa vigente.

Chiusura dello sportello

La chiusura dello sportello “Resto al Sud”, resa ufficiale dalla Circolare n. 37/2025 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è diretta conseguenza dell’esaurimento dei fondi destinati alla misura. La comunicazione, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 228 del 3 ottobre 2025, prende atto della nota di Invitalia del 19 settembre 2025, che ha certificato l’impossibilità di accogliere nuove domande per carenza di risorse.

Come stabilito dall’art. 2, comma 3 del D. Lgs. 123/1998, a partire dal 15 ottobre 2025 non sarà più possibile presentare richieste di accesso alle agevolazioni “Resto al Sud”. Tuttavia, le domande già inviate prima di tale data mantengono il diritto a essere esaminate, purché rientrino nei limiti delle disponibilità finanziarie residue, come precisato anche all’art. 1, comma 6 del D.L. 91/2017.

La Circolare fornisce inoltre un dettaglio delle risorse impiegate negli anni, evidenziando una progressiva riduzione delle dotazioni annuali: da 462 milioni nel 2019 si è passati a soli 17 milioni nel 2025. Questa pianificazione in calo è indice di un ciclo di agevolazione ormai in fase conclusiva. Il decreto specifica anche che, a partire dalla stessa data del 15 ottobre 2025, verranno attivati nuovi strumenti di sostegno imprenditoriale: lo sportello per la ricezione delle domande relative alle misure “ACN” e “Resto al Sud 2.0”, previste dal D.L. 60/2024, sarà operativo.

In sintesi, la chiusura dello sportello non rappresenta una fine assoluta, ma una transizione verso nuove forme di agevolazione, presumibilmente più mirate e aggiornate alle esigenze del tessuto economico attuale.

I numeri di “Resto al Sud”

Dal lancio ufficiale nel 2018 fino alla data di chiusura del 15 ottobre 2025, la misura “Resto al Sud” ha rappresentato una delle politiche pubbliche più incisive a sostegno dell’imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno. I dati forniti da Invitalia testimoniano un successo significativo, soprattutto nei primi anni di operatività, con numeri che hanno superato ogni previsione iniziale.

Secondo l’ultima rilevazione aggiornata a settembre 2025, sono state presentate oltre 35.000 domande, con più di 13.400 progetti finanziati, per un totale complessivo di circa 650 milioni di euro erogati. L’investimento medio per singolo progetto si è attestato intorno ai 48.000 euro, tra contributo a fondo perduto e finanziamento bancario garantito.

Il programma ha generato un impatto concreto anche in termini occupazionali: si stima la creazione di circa 48.000 nuovi posti di lavoro, diretti e indiretti, soprattutto in ambiti a basso tasso di industrializzazione. Le regioni che hanno beneficiato maggiormente dell’incentivo sono Campania, Sicilia e Calabria, seguite da Puglia, Sardegna e Abruzzo.

Nonostante alcune criticità iniziali, come la lentezza nelle erogazioni e la difficoltà di accesso al credito bancario per i beneficiari, la misura si è dimostrata efficace nel contrastare lo spopolamento giovanile e nell’attivare processi di micro-imprenditorialità in territori spesso privi di alternative occupazionali. Con la chiusura dello sportello, si conclude una fase importante di questa strategia di rilancio del Sud, ma si apre al contempo una riflessione su come rinnovare e potenziare tali strumenti in futuro.

Diritti, limiti e restituzione documentale

Con la chiusura ufficiale dello sportello “Resto al Sud” a partire dal 15 ottobre 2025, non sarà più possibile inoltrare nuove domande di agevolazione, come previsto dall’art. 2, comma 3, del D. Lgs. 123/1998. Tuttavia, i soggetti che hanno già presentato richiesta prima di tale data potranno ancora accedere ai benefici, ma solo entro il limite delle risorse finanziarie residue disponibili, come stabilito dall’art. 1, comma 16, del D.L. 91/2017.

Questo significa che non è garantita l’approvazione automatica delle domande presentate in extremis. La valutazione seguirà l’ordine cronologico di presentazione, fino a completo esaurimento dei fondi. Coloro la cui richiesta non potrà essere finanziata, secondo quanto indicato nella Circolare n. 37/2025, riceveranno indietro la documentazione trasmessa, ma a proprie spese.

È importante sottolineare che l’esame delle pratiche in corso non si interrompe, ma prosegue regolarmente fino alla definizione finale. Tuttavia, la tempistica potrebbe dilatarsi, vista la fase di transizione verso le nuove misure “ACN” e “Resto al Sud 2.0”.

Per chi ha già ricevuto l’approvazione del finanziamento, restano invariati gli obblighi previsti dal contratto di agevolazione: avvio dell’attività, rendicontazione delle spese, e monitoraggio dei risultati. In altre parole, la chiusura riguarda solo le nuove richieste, non gli interventi già in corso.

Questa fase di chiusura richiede quindi attenzione: sarà fondamentale, per i professionisti e per i potenziali beneficiari, monitorare costantemente lo stato della propria domanda e valutare le tempistiche di subentro delle nuove misure agevolative.

Arriva “Resto al Sud 2.0”

Mentre la prima versione di “Resto al Sud” chiude i battenti, il Governo ha già messo in campo nuove misure per garantire la continuità del sostegno all’imprenditorialità nelle regioni del Mezzogiorno. Dal 15 ottobre 2025, contestualmente alla chiusura dello sportello precedente, sarà infatti attivo il nuovo sportello per la presentazione delle domande relative a “Resto al Sud 2.0” e alla misura “ACN”, entrambe istituite dal Decreto-Legge n. 60/2024.

Sebbene al momento manchino i decreti attuativi definitivi, le linee guida trapelate indicano che “Resto al Sud 2.0” sarà un’evoluzione della misura originaria, con maggiore attenzione all’innovazione tecnologica, alla digitalizzazione, alla sostenibilità ambientale e all’imprenditoria femminile. Saranno incentivati progetti ad alto valore aggiunto, anche in collaborazione con università, incubatori e reti di impresa, per favorire la crescita di un ecosistema imprenditoriale moderno e competitivo.

Un’altra novità rilevante riguarda i beneficiari: potrebbero essere ammessi anche professionisti già attivi, a differenza della misura precedente che si concentrava solo su chi non aveva partita IVA attiva nei 12 mesi precedenti. Inoltre, si ipotizza l’introduzione di un fondo rotativo e di un credito d’imposta automatico per le nuove imprese nei primi tre anni di attività.

Parallelamente, la misura “ACN” dovrebbe offrire un ulteriore canale di finanziamento per le aree interne e i territori a rischio di spopolamento, con l’obiettivo di contrastare la desertificazione imprenditoriale.

Il passaggio da “Resto al Sud” a “Resto al Sud 2.0” segna dunque una fase di rinnovamento più che di interruzione, e rappresenta un’opportunità concreta per rilanciare lo sviluppo del Mezzogiorno, tenendo conto delle nuove sfide economiche e ambientali.

Vantaggi fiscali 

Uno degli aspetti più apprezzati del programma “Resto al Sud” è stato il mix di agevolazioni a fondo perduto e finanziamenti agevolati, che ha reso l’avvio di nuove imprese molto più accessibile rispetto agli strumenti tradizionali di credito bancario. In particolare, il contributo a fondo perduto copriva fino al 50% delle spese ammissibili, mentre la restante parte veniva finanziata tramite prestito a tasso zero, con garanzia pubblica, senza richiesta di garanzie personali da parte del beneficiario.

Dal punto di vista fiscale, i beneficiari non hanno dovuto inserire i contributi ricevuti nel proprio reddito imponibile, grazie al regime agevolato previsto per i contributi pubblici non soggetti a tassazione. Inoltre, le imprese neocostituite potevano accedere al regime forfettario, con aliquota al 5% per i primi 5 anni, ottenendo così un duplice vantaggio: meno tasse e più liquidità per investire.

Ora che si affacciano all’orizzonte le nuove misure “Resto al Sud 2.0” e “ACN”, è fondamentale pianificare in anticipo, anche con l’assistenza di un commercialista esperto, per valutare:

  • La compatibilità tra la propria idea imprenditoriale e i nuovi requisiti attesi;

  • La preparazione della documentazione, business plan, statuti societari, e contratti;

  • L’eventuale adeguamento della forma giuridica, per poter accedere al massimo delle agevolazioni disponibili;

  • L’ottimizzazione fiscale dell’impresa, sfruttando i nuovi crediti d’imposta previsti dal D.L. 60/2024.

Chi si prepara oggi potrà trovarsi in una posizione di vantaggio quando gli sportelli riapriranno, evitando corse dell’ultimo minuto e aumentando sensibilmente le probabilità di ottenere il finanziamento.

Settori e nuovi incentivi 

Con l’arrivo delle nuove misure “Resto al Sud 2.0” e “ACN”, sarà fondamentale scegliere con attenzione il settore in cui avviare l’attività imprenditoriale, tenendo conto non solo del potenziale di crescita economica, ma anche dell’allineamento con le priorità strategiche del legislatore. Le esperienze pregresse mostrano chiaramente che alcuni comparti hanno registrato maggiore successo in termini di approvazione delle domande e impatto economico.

Tra i settori più promettenti per il Sud nei prossimi anni troviamo:

  • Turismo esperienziale e sostenibile: il turismo resta il motore trainante di molte regioni del Sud, ma l’interesse crescente verso esperienze autentiche, a basso impatto ambientale e legate al territorio apre la strada a nuove formule di business.

  • Agroalimentare innovativo e filiere corte: trasformazione di prodotti locali, agricoltura biologica, agritech e valorizzazione dei prodotti DOP/IGP sono ambiti che coniugano tradizione e innovazione, rispondendo anche a esigenze ambientali.

  • Green economy ed energia rinnovabile: con i nuovi obiettivi europei sul clima e la transizione energetica, le imprese che operano in settori come fotovoltaico, bioedilizia, mobilità sostenibile e gestione dei rifiuti avranno un accesso privilegiato ai fondi.

  • Servizi digitali e innovazione tecnologica: sviluppo software, e-commerce, cybersecurity, digital marketing, intelligenza artificiale e blockchain sono comparti in crescita anche nel Sud, grazie a smart working e banda larga sempre più diffusa.

  • Welfare territoriale e servizi alla persona: con l’invecchiamento della popolazione e la carenza di servizi pubblici in molte aree interne, crescono le opportunità per imprese sociali, centri assistenziali, servizi educativi e sanitari.

Chi saprà orientarsi tra queste tendenze e costruire un progetto credibile, scalabile e coerente con gli obiettivi della politica economica nazionale, avrà maggiori probabilità di ottenere i nuovi fondi e consolidare un’attività sostenibile nel tempo.

Pianificazione e consulenza

Il successo di un progetto imprenditoriale, soprattutto quando legato a finanziamenti pubblici come “Resto al Sud”, non dipende solo dall’idea, ma dalla capacità di pianificare ogni aspetto operativo e fiscale con precisione e professionalità. Le nuove misure in arrivo, come “Resto al Sud 2.0” e “ACN”, porteranno con sé bandi complessi, tempistiche strette e requisiti tecnici aggiornati. In questo scenario, improvvisare significa esporsi a errori costosi o, peggio, all’esclusione dalla misura.

Una consulenza esperta è fondamentale per:

  • Verificare la fattibilità fiscale e finanziaria del progetto;

  • Predisporre correttamente il business plan, uno degli elementi centrali della valutazione da parte di Invitalia e degli enti preposti;

  • Ottimizzare la forma giuridica della futura impresa (es. ditta individuale, SRL, cooperativa, ecc.) in base ai vantaggi fiscali e contributivi previsti;

  • Assistere nella raccolta e corretta presentazione della documentazione, evitando ritardi o rigetti per vizi formali;

  • Impostare una gestione fiscale coerente, fin dalla fase di avvio, sfruttando bonus, crediti d’imposta e regimi agevolati (forfettario, start-up innovative, ecc.);

  • Monitorare costantemente l’evoluzione normativa, dato che le disposizioni attuative possono cambiare anche dopo l’apertura degli sportelli.

Molti degli errori più comuni nei progetti “Resto al Sud” sono derivati da mancanze di tipo formale, errori nel piano finanziario o da una gestione superficiale dei rapporti con le banche partner. Affidarsi a un commercialista esperto nel settore delle agevolazioni per il Sud è oggi più che mai una scelta strategica, non un costo.

Conclusione

La chiusura dello sportello “Resto al Sud” il 15 ottobre 2025 segna la conclusione di una misura che, negli ultimi sette anni, ha contribuito in modo decisivo a rilanciare l’imprenditorialità nel Mezzogiorno. Grazie a questo strumento, migliaia di giovani e professionisti hanno potuto trasformare progetti in imprese reali, creando occupazione e valorizzando i territori più fragili del Paese.

Ma non si tratta di una fine, bensì di un cambio di paradigma. Il passaggio verso nuove misure come “Resto al Sud 2.0” e il programma “ACN” (Autoimprenditorialità Centro-Nord) apre la strada a incentivi più moderni, digitalizzati e orientati a filiere innovative, con un ampliamento della platea dei beneficiari e strumenti fiscali più evoluti.

Guardando al 2026, chi intende avviare un’attività nel Sud Italia dovrà affrontare questa nuova fase con visione strategica e preparazione. Investire oggi in una consulenza tecnico-fiscale adeguata può determinare il successo nella richiesta di contributi, soprattutto in un contesto di risorse limitate e crescente concorrenza.

Il Mezzogiorno resta una terra ricca di potenziale. Con il giusto supporto professionale, può diventare un polo di innovazione, sviluppo sostenibile e rinascita economica.

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