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Inesistenza della Notifica Sentenza Commissione tributaria provinciale Genova, sez. 12, 12.06.2008 n. 125

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Cartella di pagamento. Notificazione a mezzo posta. Validità. Condizioni. Violazione delle disposizioni previste per la stesura della relazione di notifica. Conseguenze. Giuridica inesistenza della notificazione. Sanabilità. Esclusione.    Deve ritenersi giuridicamente inesistente la notifica a mezzo posta della cartella di pagamento che l’agente della riscossione ha direttamente notificato al contribuente ai sensi dell’art. 26 del D. P. R. N. 602/1973, senza avvalersi della indispensabile intermediazione dell’agente della notificazione e senza il rispetto delle formalità allo stesso riservate per la stesura della relazione di notifica dalla legge n. 890/1982. Tale situazione integra una vera e propria giuridica inesistenza della notifica a fronte della quale non è richiamabile l’applicazione della sanatoria del raggiungimento dello scopo prevista dall’art. 156 c. P. C. Solo per i casi di nullità degli atti processuali.    

Sentenza Commissione tributaria provinciale LIGURIA Genova, sez. 12, 12-06-2008, n. 125 – Pres. Bissaldi Furio – Rel. Piu Franco  

[Inesistenza della notifica]     

Cartella di pagamento. Notificazione a mezzo posta. Validità. Condizioni. Violazione delle disposizioni previste per la stesura della relazione di notifica. Conseguenze. Giuridica inesistenza della notificazione. Sanabilità. Esclusione.    Deve ritenersi giuridicamente inesistente la notifica a mezzo posta della cartella di pagamento che l’agente della riscossione ha direttamente notificato al contribuente ai sensi dell’art. 26 del D. P. R. N. 602/1973, senza avvalersi della indispensabile intermediazione dell’agente della notificazione e senza il rispetto delle formalità allo stesso riservate per la stesura della relazione di notifica dalla legge n. 890/1982. Tale situazione integra una vera e propria giuridica inesistenza della notifica a fronte della quale non è richiamabile l’applicazione della sanatoria del raggiungimento dello scopo prevista dall’art. 156 c. P. C. Solo per i casi di nullità degli atti processuali.   

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 11 gennaio 2008 FL. Vi. Ha chiesto l’annullamento delle cartelle di pagamento e relativa iscrizione a ruolo per IVA, IRAP e IRPEF per gli anni 1999, 2000 e 2001 emesse dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Genova 2 e della soc. Equitalia per un importo di Euro 296. 324,31 per i seguenti motivi: In primo luogo si contesta la giuridica inesistenza della cartella di pagamento in mancanza di una regolare notifica della stessa in ragione di quanto previsto dall’art. 148 c. P. C. In particolare manca l’indicazione dell’agente notificatore, la sottoscrizione dello stesso, non è indicata alcuna data e non è indicato alcun numero cronologico.

La mancanza di tali dati, secondo il ricorrente integrano una situazione giuridica di inesistenza dell’atto che non ammettono sanatoria nemmeno in ordine al raggiungimento dello scopo previsto solo per le nullità formali. La stessa, inoltre, risulta priva di sottoscrizione in violazione dell’art. 125 c. P. C. Trattandosi di atto di precetto deve, obbligatoriamente, essere sottoscritta.

Nel caso di specie nella stessa è riportata solo la dicitura Equitalia Polis S. P. A senza alcuna indicazione di soggetto munito di rappresentanza esterna. Viene eccepita, inoltre, l’assenza di motivazione in violazione dell’art. 3 legge 241/1990 e l’omessa indicazione del responsabile di procedimento richiamando il disposto della Corte Costituzionale n. 377 del 9. 11. 2007. Si contesta, inoltre, la legittimità del ruolo in quanto non sottoscritto dal titolare dell’Ufficio o da soggetto dallo stesso delegato.

Il ricorrente contesta, inoltre, l’avvenuta notifica degli avvisi di accertamento che costituiscono gli atti prodromici alle cartelle impugnate.

Evidenzia, inoltre, che è stata presentata istanza di condono a fronte della quale l’Ufficio avrebbe trattenuto la somma versata senza emettere alcun provvedimento neppure di diniego. L’Agenzia delle Entrate con le sue controdeduzioni osserva: Sulla questione della mancata notifica degli avvisi di accertamento pur premettendo che la competenza è dell’Agente per la riscossione, evidenzia la loro non veridicità essendo stati, gli stessi, notificati a mano del ricorrente in data 12. 2. 2006 ed avendo, il ricorrente, provveduto a presentare istanza di accertamento con adesione andato, peraltro, non a buon fine dando luogo alla successiva emissione delle cartelle non avendo impugnato gli accertamenti. Sulla domanda di condono l’Ufficio evidenzia che non risulta presentata alcuna domanda di condono e che, se sono state versate delle somme, le stesse possono essere richieste in restituzione.

Sulla mancata sottoscrizione del ruolo l’Ufficio evidenzia che tale atto è esclusivamente interno all’Amministrazione, non è atto recettizio e che, comunque, tale doglianza è assolutamente pretestuosa in quanto non documentata.

In fatto contesta anche la ricostruzione effettuata in ordine alla situazione determinata dal comportamento della consulente contabile. Ciò in considerazione della circostanza che in sede di accertamento il contribuente ha esibito documentazione in suo possesso mostrando di essere pienamente a conoscenza della procedura che lo riguardava.

La dichiarazione per l’anno 2006 è stata presentata, nel dicembre 2007, direttamente dalla sig. Lu. Quale rappresentante dell’intermediario As. Fe. , a testimonianza del fatto non che non è verificata una sparizione improvvisa del soggetto al quale il contribuente aveva affidato la sua contabilità. In ordine alla notificazione della cartella l’Ufficio non può rilevare che la stessa è stata notificata all’interessato in data 16. 10. 2007. Anche ammettendo l’esistenza di eventuali vizi formali non si può parlare di giuridica inesistenza di un atto che comunque è stato portato a conoscenza dell’interessato richiamando, in tal senso, la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione n. 19854/2004. Sulla mancanza di sottoscrizione evidenzia che la stessa risulta pienamente conforme al modello ministeriale nel quale è prevista l’indicazione della denominazione del Concessionario e non la sottoscrizione del legale rappresentante per motivi logici sulla procedura di cartolarizzazione di tali atti e della circostanza che l’indicazione del Concessionario consente anche di identificare il rappresentante pro tempore. Sulla mancata indicazione del responsabile del procedimento si richiama la normativa di cui alla legge 241/1990 secondo la quale è sempre responsabile il funzionario preposto all’Ufficio e, comunque, la sua omissione non prevede la nullità dell’atto.

La soc. Equitalia, con le sue deduzioni, osserva: Per quanto attiene alla notifica della cartella, la stessa è stata eseguita a mezzo posta ai sensi dell’art. 26 del DPR 602/1973 costituente norma speciale applicabile alla fattispecie tributaria. Come è dimostrato dalla cartolina di ricevimento recante la firma autografa del ricorrente.

La sua ricezione e la proposizione del ricorso sanano, ai seni dell’art. 156 c. P. C. , eventuali vizi come affermato anche dalla giurisprudenza della Cassazione – sent. 17914/07 – che ha fissato i seguenti principi: 1) se l’atto è conosciuto non è possibile contestare la notificazione – sez. Unite 19854/04 – 2) è inesistente la notifica effettuata in luogo o a persona assolutamente non riconducile al soggetto notificato – S. U. 17914/07) 3) Per il principio di salvaguardare la ragionevole durata del procedimento i casi di inesistenza è limitato a ipotesi assolutamente marginali (S. U. 22642/07 ). Sulla mancata indicazione del responsabile del procedimento si deve valutare che anche tenendo presente la decisione della Corte Costituzionale, la sua mancanza, secondo la più ricorrente giurisprudenza, non rende nullo l’atto, integrando una semplice irregolarità formale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Osserva la Commissione che ai fini della decisione del presente ricorso vada affrontata la questione della validità della notifica della cartella di pagamento, questione da ritenersi assorbente di ogni altro motivo del ricorso. La notifica della cartella di pagamento è disciplinata dal DPR 602/1973 contenente le disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito che trova applicazione, in virtù del disposto di cui all’art. 18 del d. Lgs. 46/1999 – alla riscossione coattiva di tutte le entrate dello Stato. L’art. 26 della suddetta norma rinvia in toto alle norme che disciplinano la notifica dell’avviso di accertamento ed, in particolare, all’art 60 del DPR 600/1973 che nel recepire, in quanto applicabili, le disposizioni di carattere generale contenute nella sezione IV del titolo sesto del codice di procedura civile in tema di notifica, disciplina la notifica a mezzo posta mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento. Tale modalità di notifica oltre ad essere disciplinata dagli artt. 148 e 149 del c. P. C. E dal principio base della notifica degli atti impositivi contenuto dalla lettera e dell’art. 60 del DPR 600/1973 è anche disciplinata dalla legge 890/1982 per le “notificazioni di atti a mezzo posta” secondo la quale – art. 1 – l’ufficiale giudiziario – agente notificatore – può avvalersi del servizio postale per la notificazione nel rispetto delle seguenti fasi: Compilazione della relata di notifica dell’atto impositivo indicando l’ufficio postale da cui parte l’atto – art. 149 del c. P. C. E art. 3 della legge 890/1982 -; apposizione della propria sottoscrizione sulla relata di notifica – art. 148 del c. P. C. – inserimento dell’atto da notificare nella busta al cui esterno deve essere riportata anche la sua sottoscrizione – art. 3 legge 890/1982 – compilazione dell’avviso di ricevimento – art. 2 della legge 890/1982; consegna della busta all’ufficio postale. L’obbligo di indicare, nella relata di notifica, gli elementi sopra indicati oltre ad essere sancito dall’art. 160 del c. P. C. , è stato ribadito anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 5305/1999 , si è così espressa: “Qualora nell’originale dell’atto da notificare la relazione sia priva della sottoscrizione dell’ufficiale giudiziario, la notificazione deve ritenersi inesistente e non semplicemente nulla, non essendo configurabile una notifica in senso giuridico ove manca il requisito indefettibile per l’attestazione dell’attività compiuta”.

Principio recepito anche dalla più recente giurisprudenza delle Commissioni tributarie tra cui la Commissione Provinciale di Milano che, con sentenza del 2. 12. 2007, ha stabilito che “la notifica può avvenire anche mediante invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento ma sempre per il tramite di un intermediario qualificato (l’ufficiale giudiziario) e non con il semplice ricorso al servizio postale” e con il rispetto delle singole formalità che “l’ufficiale deve compiere. A cominciare dalla stesura della relazione di notificazione sull’originale e sulla copia dell’atto”. Nel caso di specie tutto questo non è avvenuto come sostenuto sia dal ricorrente che dalla stessa soc. Equitalia che ha richiamato la circostanza di aver provveduto alla notifica a mezzo posta nel rispetto dell’art. 26 del dpr 602/73 direttamente senza avvalersi della indispensabile intermediazione dell’agente della notificazione e senza il rispetto delle formalità allo stesso riservate a cominciare dalla stesura della relazione di notificazione.

Tale situazione, come confermato dalla richiamata giurisprudenza della Cassazione, integra, a parere di questa Commissione, una condizione di inesistenza della notifica a fronte della quale non è richiamabile l’applicazione della sanatoria del raggiungimento dello scopo prevista dall’art. 156 del c. P. C. Solo per i casi di nullità con conseguente annullamento, in accoglimento del ricorso, della cartella impugnata.

Le particolarità del caso inducono alla compensazione delle spese tra le parti del presente giudizio. P. Q. M. Accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara nulla la cartella impugnata. Spese compensate.  

Versamento dell’IVA per cassa per Professionisti ed imprese

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Versamento dell'IVA per cassa per Professionisti ed imprese

Versamento dell’IVA per cassa per Professionisti ed imprese

il D. L. 29. 11. 2008, n. 185, conv. Con L. 28. 1. 2009, n. 2 disciplina che in caso di cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti di cessionari e com­mittenti che esercitano imprese, arti e professioni, l’lva relativa all’Erario sia esigibile solo al momento dell’incasso dei corrispettivi.

Il D. M. 26. 3. 2009 in vigore dal 28. 4. 2009 dà attuazione alla norma di cui all’art. 7, D. L. 185/2008 conv. Con modif. Con L. 2/2009 che prevede, il pagamento dell’lva al momento dell’effettiva riscossione del corrispettivo.

Soggetti interessati: per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dal 28. 4. 2009 nei confronti di cessionari e committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professio­ne da soggetti che nell’anno solare precedente hanno realizzato (o in caso di inizio attività prevedono di realizzare) un volume d’affari fino a euro 200mila, l’lva diventa esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi. L. ‘lva diventa comunque esigibile dopo un anno dall’effettuazione dell’operazione, salvo che il cessionario o il committente, prima del decorso dell’anno, sia stato assoggettato a proce­dure concorsuali o esecutive.

Soggetti esclusi: la disposizione dell’lva per cassa non si applica alle operazioni effettuate dai soggetti che si avvalgono di regimi speciali Iva né a quelle effettuate nei confronti di cessionari o committenti che utilizzano il meccanismo del reverse charge.

 

Indicazioni in fattura

la fattura che viene emessa deve riportare l’indicazione che si tratta di operazione con Iva ad esigibilità differita ex art. 7, D. L. 185/2008 conv. Con modif. Nella L. 2/2009.

Adempimenti del cedente/prestatore: le operazioni effettuate devono essere computate nella liquidazione periodica del mese/trimestre nel corso del quale è incassato il corrispettivo o scade il termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione.

 

Adempimenti del cessionario/committente: il diritto alla detrazione dell’lva decorre dal momento in cui il corrispettivo delle operazioni ricevute è stato pagato.

La C. M. 30. 4. 2009, n. 20/E ha precisato che il sistema dell’lva per cassa è facoltativo, in quanto il soggetto passivo (con volume d’affari non superiore a euro 200. 000 – D. M. 26. 3. 2009) può scegliere con riguardo ad ogni operazione se assoggettarla ad esigibilità immediata o differita. Inoltre, viene precisato che il regime dell’lva per cassa incide solo sul momento in cui l’imposta diventa, rispettivamente, esigibile e detraibile, non toccando gli altri adempimenti procedurali. Pertanto, rimane fermo l’obbligo di emettere fattura secondo le modalità e nei termini di cui all’art. 21, D. P. R. 633/1972 e di registrarla, tenendo presente che l’imponibile delle fatture emesse (anche con Iva differita) rileva per la determinazione del volume d’affari.

Guida Fiscale alla deducibilità del costo dei Mezzi di trasporto ed alla detraibilità dell’IVA

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Guida Fiscale alla deducibilità del costo dei Mezzi di trasporto ed alla detraibilità dell’IVA

Guida  Fiscale alla deducibilità del costo dei Mezzi di trasporto (art. 164 DPR 917/86 autovetture uso promiscuo – motocicli – automezzi – autocarri) ed alla detraibilità dell’IVA.

Le regole di deducibilità variano in funzione sia del tipo di veicolo che del suo utilizzo per l’esercizio dell’attività di impresa. In particolare, è possibile distinguere i mezzi di trasporto a seconda che siano utilizzati esclusivamente come strumentali nell’attività dell’impresa, oppure siano utilizzati “non esclusivamente” come strumentali, oppure siano utilizzati dagli agenti e rappresentanti in  via non esclusiva oppure siano dati in uso promiscuo a dipendenti.

 

FOCUS:

1.    Le limitazioni previste per le autovetture si estendono anche agli altri veicoli (es. Autocarri) che sono I stati adattati in modo tale che possano essere utilizzati per il trasporto privato di persone, aventi i requisiti tecnici stabiliti con Prow. Agenzia Entrate 6 dicembre 2006. Si tratta in sostanza di quei veicoli il cui rapporto tra la potenza del veicolo stesso e la portata  (peso lordo meno tara) sia superiore a 180.

2.    Ove è prevista forfetariamente una deducibilità limitata dei costi, si prescinde dalla prova della effettiva destinazione – ed in quale misura – del bene per finalità strettamente connesse con l’esercizio dell’attività commerciale o professionale. Quindi non è possibile per il contribuente dimostrare, nel caso specifico con istanza per la disapplicazione di norme antielusive (v. N. 7946), l’esclusiva destinazione del bene allo svolgimento dell’impresa o professione (Ris. Min.   27 luglio 2007 n. 190/E).   Tale interpretazione è stata criticata da autorevole dottrina, secondo la quale non dovrebbe essere  negato  l’accesso  all’interpello  suddetto,  proprio  perché  la  norma  che  limita  la deducibilità  è  di  carattere  lata  mente  antielusivo  (D.   Stevanato  in  Corriere  Tributario  n. 3412007 p. 2793).

 

Utilizzo strumentale esclusivo e utilizzi assimilati

Sono integralmente deducibili le quote di ammortamento relative agli aeromobili da turismo, navi e imbarcazioni da diporto, autovetture ed autocaravan, ciclomotori e motocicli, a condizione che siano utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa. Rientrano in questa ipotesi i veicoli senza i quali l’attività stessa non può essere esercitata, come ad esempio, le autovetture per  le  imprese  che  effettuano  noleggi  e  le  imbarcazioni  da  diporto  utilizzate  dalle  scuole  per   l’addestramento alla navigazione (Circ. Min. 13 febbraio 1997 n. 37/E, Ris. Min. 23 marzo 2007 n.   59/E).   La deduzione integrale è prevista anche per i seguenti mezzi di trasporto:  autoveicoli immatricolati ed effettivamente utilizzati per il trasporto promiscuo di persone e cose. L’Amministrazione finanziaria assume che tale utilizzo c’è effettivamente, indipendentemente dall’immatricolazione, quando il veicolo ha un abitacolo che risulta, almeno per la metà della sua superficie e in modo permanente, riservato al trasporto di cose. Ciò avviene, per esempio, nel caso di  autoveicoli  sprovvisti  dei  sedili  posteriori,  oppure  nel  caso  di  autoveicoli  dotati  di  sedili posteriori la cui residua superficie dell’abitacolo, di estensione comunque non inferiore a quella destinata al trasporto di persone, sia esclusivamente riservata al trasporto di cose (Istruzioni Unico); agli autocarri, autobus, autoveicoli ad uso speciale per trasporti specifici (es. Autopompe, autoambulanze, autofunebri, autoveicoli uso ufficio, Ris. Min. 12 novembre 2001 n. 179/E); ai mezzi di trasporto adibiti ad uso pubblico (riconosciuto attraverso un atto proveniente dalla pubblica amministrazione).

 

Utilizzo strumentale non esclusivo (Promiscuo)

Per i veicoli aziendali strumentali ma utilizzati   in via non esclusiva, la Quota di ammortamento deducibile e i canoni di leasing o di noleggio sono soggetti a due distinte limitazioni; la prima concerne la percentuale di deducibilità ammessa – 40% dal 2007 – mentre la seconda riguarda l’ammontare massimo di costi cui applicare la percentuale suddetta, che è riportato nella tabella seguente, in cui si distingue in funzione delle modalità di acquisizione e del mezzo di trasporto (Circ. Min. L0 febbraio 1998 n. 48/E). In proposito, va rilevato che la percentuale va applicata all’ammontare della spesa  sostenuta a rilevanza fiscale, comprensiva degli oneri accessori di diretta imputazione, come l’IVA indetraibile, naturalmente entro i limiti riportati nella tabella. Non è inoltre ammesso l’ammortamento anticipato.

Le spese relative ai mezzi di trasporto (carburante, spese di manutenzione ecc. ) sono anch’esse  deducibili parzialmente (40%).   In ogni caso, nessun vincolo è previsto circa il numero di veicoli i cui costi sono deducibili dal reddito di impresa.    Per il periodo d’imposta in corso al 3 ottobre 2006, la percentuale del 40% è ridotta al 20%; poichè però in Unico 2007 è stato applicato il regime previgente (indeducibilità integrale), i maggiori Importi deducibili, rispetto a quelli ivi applicati, si potranno recuperare nel periodo d’imposta in corso al 27 giugno 2007, cioè con Unico 2008, e di essi si è potuto tener conto ai fini del versamento dell’acconto di novembre (seconda o unica rata).

Riepilogo dei limiti fiscali alla deducibilità
Mezzi Acquisto/Leasing (1) Noleggio (1) (2)
Autovetture e autocaravan 18. 075,99 3. 615,20
Motocicli 4. 131,66 774,69
Ciclomotori 2. 065,83 413,17
Note
(1)In caso di leasing il limite va applicato sull’ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di acquisto. A tal fine i canoni vanno assunti nell’ammontare risultante dal contratto di leasing, mentre per il costo da assumere ai fini della proporzione occorre aver riguardo al costo sostenuto dal concedente del bene (vedi esempio 2 successivo). Tutte le volte in cui il periodo di durata del contratto risulta inferiore all’anno, i limiti indicati devono essere ragguagliati ad anno. (2) Nei contratti di noleggio full service, nei quali il canone periodico è comprensivo anche del costo delle prestazioni accessorie (es. Manutenzione ordinaria, assicurazione, tassa di proprietà, sostituzione dell’autovettura in caso di guasto, ecc,), il costo da rapportare al limite di deducibilità deve essere nettato dei costi riferibili alle prestazioni accessorie, le quali sono deducibili, se inerenti. Secondo le regole proprie della categoria dei costi di appartenenza, senza limiti di importo (es. Assicurazione 40%). Se la parte relativa alla tariffa di noleggio non è evidenziata rispetto alle spese per i servizi accessori. Il costo addebitato dal prestatore del servizio dovrà essere considerato nella sua unitarietà ai fini del raffronto con il limite suesposto. La ripartizione delle quote è operata attraverso il riferimento ai listini che riportano le tariffe mediamente praticate per i contratti di noleggio e locazione. Che non prevedono prestazioni accessorie, relativi a veicoli della stessa specie o similari, in condizione di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo più prossimi.

Esempio 1.

Un’autovettura   viene   acquistata   al   prezzo   di   20. 000   euro.    Il   coefficiente   di ammortamento è pari al 25%. Poiché la quota di ammortamento deducibile è pari al 40% dell’ammortamento di un bene con costo  di acquisto non superiore a 18. 075,99 euro, la   quota di ammortamento fiscalmente ammessa in deduzione è la seguente: (18. 075,99 x 25%) x 40% = 2. 582,28.

Pertanto, risultano indeducibili 2. 417,72 euro, ovvero la differenza tra l’ammortamento sul costo effettivo e la parte fiscalmente ammessa.

Esempio 2.

Il contratto di leasing è stato stipulato da un’impresa con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare. I canoni dovranno essere corrisposti in 4 annualità (dal 1° luglio 2007 al30 giugno 2011)  per un totale di 36. 151,98 euro. Il numero dei giorni di durata del contratto é, quindi, pari a  1460.

Il costo sostenuto dal concedente per acquistare l’autovettura è stato di 30. 987,41 euro.   Premesso che nel 2007  l’utilizzazione del bene avviene per 184 giorni, i canoni ammessi in deduzione risultano dalle seguenti operazioni: 18. 075,99: 30. 987. 41 = 58,33%;  36. 151. 98 x 58,33% =  21. 087,45  ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo fiscalmente  rilevante dell’autovettura (21. 087. 45: 1. 460) x 184= 2. 657,69  2. 657,69 x 40% = 1. 063,08 (costo deducibile).

Per gli anni 2008, 2009 e 2010 i canoni ammessi in deduzione risultano cosi determinati:  (21. 087. 45:  1. 460l x 365 = 5. 271,99  5. 271,99 x 40% ‘” 2. 108,80 (costo deducibile).   Per il 2011 si effettua un’operazione analoga a Quella per il 2007.

Esempio 3.

Un’autovettura è stata acquistata al prezzo di 30. 987,41 euro ed è stata concessa in uso promiscuo   a1 dipendente per 4 mesi. Il coefficiente di ammortamento é pari al 25%.

La Quota di ammortamento proporzionalmente riferibile ai 4 mesi, ovvero 2. 582,28 (30. 987. 41 x  25%x4/12) è deducibile per intero quale spesa per prestazione di lavoro. Ciò avviene anche nel caso in cui l’importo suddetto fosse superiore a quello costituente reddito in capo al dipendente.

La Quota restante, pari a 5. 164. 57 euro, assume rilievo nei limiti del 58,33%, ossia (18. 075,99 :  30. 987,41)x 100; ed è quindi deducibile nei limiti del 40%, dunque per un importo pari a 1. 205,00 (58,33% x 5. 164,57 x 40%).

Esempio 4.

Trattamento analogo al precedente si applica nel caso di un’autovettura utilizzata promiscuamente da un collaboratore coordinato e continuativo: deducibilità integrale come spesa per prestazione di lavoro per la quota dei costi che costituisce reddito per il collaboratore e deducibilità parziale (40%) per la differenza, nei limiti previsti nella tabella.

Scadenza attivazione PEC per tutte le società di persone e di capitali entro 29.11.2011

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Scadenza attivazione PEC per tutte le società di persone e di capitali entro 29.11.2011

Si ricorda che entro il 29. 11. 2011 ai sensi dell’articolo 16 comma sesto D. L. 185/2008 Tutte Le imprese costituite in forma societaria sono tenute a indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nella domanda di iscrizione al registro delle imprese o analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrità del contenuto delle stesse, garantendo l’interoperabilità con analoghi sistemi internazionali.

Infatti, la norma prevede che entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto tutte le imprese, già costituite in forma societaria alla medesima data di entrata in vigore, comunicano al registro delle imprese l’indirizzo di posta elettronica certificata.

L’iscrizione dell’indirizzo di posta elettronica certificata nel registro delle imprese e le sue successive eventuali variazioni sono esenti dall’imposta di bollo e dai diritti di segreteria.

Cassazione lo scudo del comportamento concludente a tutela del contribuente

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Cassazione lo scudo del comportamento concludente a tutela del contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ord. N. 9028 del 2011, ha stabilito la legittimità degli acquisti non imponibili Iva oltre i limiti del plafond anche in mancanza della compilazione del quadro VC della dichiarazione Iva, qualora la contabilità obbligatoria dell’azienda sia uniforme al regime scelto. Così il contribuente è ammesso a esercitare le opzioni relative al regime dell’Iva anche attraverso comportamenti concludenti.

 

Ord. N. 9028 del 19 aprile 2011 (ud. Del 23 marzo 2011) della Corte Cass.

Sez. Tributaria – Pres. E Rel. Cappabianca Iva – Esenzione – Acquisti oltre il plafond – Mancata iscrizione nel  quadro VC – Contabilità uniformata – Regime scelto – Non rileva – D. P. R. 26 ottobre 1973, n. 633, art. 8 – D. P. R. 10 novembre 1997, n. 442 – D. P. R. 22  dicembre 1986, n. 917, art. 109

 

Massima

L’opzione e  la  revoca  di  regimi  di  determinazione  delle imposte  dirette  e  dell’IVA  o  di  regimi  contabili   si   desumono   da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta  delle scritture contabili, e la loro validità è subordinata unicamente  alla  loro concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività.

Premesso – che, nell’ambito di controversia su  avviso  di  accertamento irpeg, iva e irap per l’anno 2002,  la  decisione  di  appello  indicata  in epigrafe, per la parte che ancora rileva, ha  ritenuto  la  legittimità:  a) della contestazione di acquisti in esenzione iva oltre il limite del plafond spettante, in violazione del D. P. R. N. 633 del 1972, art. 8, comma 1,  lett. C,  sul  presupposto  della  mancata  compilazione  del  quadro  “VC”  della dichiarazione e conseguente mancata  segnalazione  di  opzione  per  il  cd. Regime di “plafond mobile”; b) del recupero a tassazione di  costi  ritenuti non inerenti;     che la società contribuente, illustrando le proprie  ragioni  anche  con memoria, ha proposto ricorso per cassazione, in due motivi, avverso le sopra indicate determinazioni della sentenza impugnata; che  l’Agenzia  delle  Entrate  si   è   costituita   senza   depositare controricorso.

Rilevato

Con il primo motivo di ricorso, la società  contribuente ha dedotto “violazione e falsa applicazione del D. P. R. 26 ottobre  1973,  n. 633, art. 8 e del D. P. R. 10 novembre 1997, n.   442,  art.   1”  e,  ai  sensi dell’art. 366 bis c. P. C. , e formulato il seguente quesito di diritto: se “il D. P. R. N. 633 del 1972, art. 8 deve essere interpretato  nel  senso  che  il contribuente è ammesso ad esercitare le opzioni relative al regime  dell’iva anche per  il  tramite  di  comportamenti  concludenti,  dovendo,  pertanto, ricondursi a mera violazione formale l’omessa indicazione  dell’opzione  nel modello di dichiarazione – definibile ai sensi della L.   n.   413  del  1991, art. 52 – qualora la contabilità obbligatoria sia  adeguatamente  uniformata al regime scelto”;     – che, con il secondo motivo di  ricorso,  la  società  contribuente  ha dedotto “violazione e falsa applicazione del D. P. R.   22  dicembre  1986,  n. 917, art. 109” e, ai sensi dell’art. 366 bis c. P. C. , formulate) il  seguente quesito se “ai fini della sussistenza del criterio di  inerenza  di  cui  al D. P. R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109 è sufficiente una correlazione tra i costi sostenuti da l’impresa e l’attività svolta”.

 Osservato:

Che  il  primo  motivo  di  ricorso  –  dotato  di  quesito  di  diritto sufficientemente specifico e concreto – appare fondato, posto che, ai  sensi degli artt. 1 e  2  del  regolamento  di  riordine  della  disciplina  della materia, approvato con D. P. R. N. 442 del 1997,  l’opzione  e  la  revoca  di regimi di determinazione delle  imposte  dirette  e  dell’iva  o  di  regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o  dalle modalità  di  tenuta  delle  scritture  contabili,  e  la  loro  validità  è subordinata unicamente  al  La  loro  concreta  attuazione  sin  dall’inizio dell’anno o  dell’attività  (cfr.   Cass.   nn.   11170/06,  2810/05,  10599/03 9885/02), salva  l’applicazione  delle  sanzioni  previste  per  l’omessa  o irregolare comunicazione.     che il secondo motivo di ricorso è, invece, inammissibile,  giacchè  non ottempera alle prescrizioni imposte, a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 bis c. P. C. Sul quesito di diritto;     – che le SS. UU. Di questa Corte sono, infatti, chiaramente  orientate  a ritenere che i quesiti  di  diritto  –  dovendo  assolvere  la  funzione  di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso  specifico  e l’enunciazione  del  principio  giuridico  generale  –  non  possono  essere meramente generici e teorici (come quello in  rassegna),  ma  devono  essere calati nella fattispecie concreta, per  mettere  la  Corte  in  grado  poter comprendere dalla sola relativa lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile (v. Cass. S. U. N. 3519/08).

Considerato:

– che il primo motivo di ricorso va accolto  ed  il  secondo  disatteso, nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c. P. C. ;

– che la sentenza impugnata va, dunque, cassata, in relazione al  motivo accolto, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione  delle  spese del presente giudizio di legittimità, ad  altra  sezione  della  Commissione Tributaria  regionale  della  Lombardia,  chiamata  a  valutare  l’effettiva ricorrenza di comportamenti concludenti idonei ad  asseverare  l’intervenuta opzione, in relazione all’annualità in contestazione, per il cd.   regime  di “plafond mobile”.

P. Q. M.

A Corte: rigetta il secondo motivo di ricorso ed  accoglie  il primo ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche  per  la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad  altra sezione della Commissione Tributaria regionale della Lombardia.

Reati Tributari e raddoppio dell’ordinario termine di prescrizione

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Reati Tributari e raddoppio dell'ordinario termine di prescrizione

 Assistenza in ogni sede del giudizio tributario e penale

L’articolo 37 del Dl 223/2006, ha ampliato, raddoppiandola, la durata dell’ordinario termine decadenziale per l’attività di accertamento (fissato al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o, se questa è omessa, del quinto anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata), nel caso di violazioni che comportino obbligo di denuncia per iscritto, da parte dei pubblici ufficiali e degli incaricati in servizio, per uno dei reati previsti dal Dlgs 74/2000 (ad esempio, emissione di fatture false, distruzione di documenti contabili, e, sopra determinati importi, dichiarazione infedele, fraudolenta o omessa).

Esaminiamo ogni singola fattispecie, entro nel merito della normativa fornendo interpretazioni, parere e format di ricorsi, suffragati dalla recente giurisprudenza, dalla prassi e dalla dottrina.

Non è nostra abitudine prendere tutti i casi, assumiamo soli gli incarichi per i quali siamo sicuri di fornire in modo chiaro, univoco ed esaustivo, un servizio a tutela del cliente.

Fonti, prassi e giurisprudenza:

Articolo 37 del D. L. 223 del 2006

 

 

Novità del Contenzioso (Circ. 1/D.F. 21/09/2011)

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Novità del Contenzioso (Circ. 1/D.F. 21/09/2011)
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Introduzione del contributo unificato nel processo tributario – Art. 37 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 e art. 2 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre

 

NOVITA’ DEL CONTENZIOSO    (Circ. 1/D. F. 21/09/2011)

Per i ricorsi presentati dal 07/07/2011 occorre considerare le seguenti novità:

1)      In luogo della marca da bollo che si doveva apporre sull’originale da notificare all’Ufficio, è dovuto un “contributo unificato” CU (variabile da € 30 ad € 1. 500) commisurato al valore della lite (somma delle sole maggiori imposte o per gli atti di irrogazione la somma delle sanzioni); tale contributo va allegato al ricorso che si deposita in Commissione Tributaria CT;

2)     E’ obbligatorio che il difensore indichi nel ricorso la propria PEC (sanzione pari al 50% del CU);

3)     Per i ricorrenti occorre presentare alla CT la “nota di iscrizione a ruolo” (senza la quale il ricorso resta bloccato. ) su cui apporre nell’apposito spazio il CU;

4)     Il valore della lite deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nella conclusione del ricorso (sanzione di € 1. 500).

Per i ricorsi presentati dal 01/04/2012 di valore non superiore ad € 20. 000 è necessario (pena la sua ammissibilità) presentare prima “reclamo” all’Ufficio, il quale ha 90 giorni per accogliere o meno il reclamo; decorso tale termine senza esito, il reclamo produce gli effetti del ricorso.

Gli accertamenti emessi dal 01/10/2011, relativi ai periodi 2007 e successivi, sono resi “esecutivi” decorsi 270 giorni dalla notifica del ricorso (60 gg per ricorso, 30 gg per consegna somma all’agente riscossione, 180 gg di sospensione generalizzata). In caso di ricorso occorre pagare 1/3 delle sole maggiori imposte, a meno che si chieda la “sospensione” giudiziale alla CTP (art. 47 D. Lgs. 546/92), la quale deve decidere entro 180 gg dalla data di presentazione dell’istanza.

Non conta il comportamento concludente quando la revoca della concessione agevolativa deve essere effettuata nella dichiarazione annuale

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Non conta il comportamento concludente quando la revoca della concessione agevolativa deve essere effettuata nella dichiarazione annuale

Nella causa indicata in premessa è stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c. P. C. , comunicata al P. M. E notificata agli avvocati delle parti costituite: “La Immobiliare Otto s. R. L. , incorporante la Immobiliare  XXXXX s. P. A. , ricorre per cassazione con quattro motivi avverso la sentenza n. 105/15/08, depositata in data 11-6-2008 della Commissione Tributaria Regionale della Calabria, confermativa della sentenza della CTR di Reggio Calabria che respingeva il ricorso della Immobiliare  XXXXX s. P. A. Avverso l’avviso di rettifica con il quale era disconosciuto il credito IVA esposto nel 1987 ed era stata irrogata una sanzione pecuniaria sull’assunto che avendo la stessa società effettuato l’opzione per la dispensa dagli adempimenti per operazioni esenti, non poteva detrarre l’IVA assolta sugli acquisti

 

Sentenza di Cassazione Civile n. 19974 del 29-09-2011

Svolgimento del processo

Nella causa indicata in premessa è stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c. P. C. , comunicata al P. M. E notificata agli avvocati delle parti costituite: “La XXXXX s. R. L. , incorporante la Immobiliare  XXXXX s. P. A. , ricorre per cassazione con quattro motivi avverso la sentenza n. 105/15/08, depositata in data 11-6-2008 della Commissione Tributaria Regionale della Calabria, confermativa della sentenza della CTR di Reggio Calabria che respingeva il ricorso della Immobiliare  XXXXX s. P. A. Avverso l’avviso di rettifica con il quale era disconosciuto il credito IVA esposto nel 1987 ed era stata irrogata una sanzione pecuniaria sull’assunto che avendo la stessa società effettuato l’opzione per la dispensa dagli adempimenti per operazioni esenti, non poteva detrarre l’IVA assolta sugli acquisti.

La ricorrente con il primo motivo deduce violazione del D. P. R. N. 633 del 1972, art. 36 bis. Premesso che aveva comunicato all’ufficio con dichiarazione di variazione dati l’inizio di una attività di costruzioni edili oggettivamente non rientrante tra quelle esenti ai sensi dell’art. 10 D. P. R. Citato, afferma che la statuizione della CTR secondo cui la revoca della opzione di dispensa dagli adempimenti per tale attività non poteva essere revocata che tramite la denuncia IVA annuale o quella di inizio attività, era errata in quanto la comunicazione citata costituiva revoca implicita della opzione o comunque un comportamento concludente in tal senso.

L’assunto non è condivisibile, in quanto la norma citata, D. P. R. N. 633 del 1972, art. 36 bis, dichiara espressamente che la revoca della concessione agevolativa deve essere effettuata con la dichiarazione annuale, ed ha effetto dall’anno successivo alla dichiarazione.

Tale disposizione attiene alla esigenza di chiarezza e certezza in ordine alla posizione fiscale del contribuente, a fronte di una concessione di particolare rilievo, tanto da essere considerata in ogni caso irrevocabile per tre anni a partire dall’inizio della dispensa.

Non è quindi ammessa alcuna revoca implicita o con atto da intendersi come equipollente. Infondato è pure il secondo motivo, che assume violazione di legge per non avere la CTR ritenuto applicabile il D. P. R. N. 442 del 1997, art. 1, retroattivo in forza della interpretazione di cui al L. N. 342 del 2000, art. 4, secondo cui la opzione e la revoca di regimi di determinazione di imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente, in quanto la comunicazione di variazione di attività non può di per sè essere riconosciuta tale, essendo possibile anche in caso in cui la attività principale non implichi necessariamente il compimento di operazioni esenti la effettuazione di siffatte operazioni ove siano funzionalmente legate in modo non occasionale al fine produttivo (Cass. N. 912 del 2006) ed in ogni caso il comportamento concludente ai sensi della legge citata non può consistere in una mera prospettazione, ma in una condotta obiettiva in concreto tenuta, obiettivamente verificabile, la cui prova è a carico del contribuente e che non è stata data,come espressamente rilevato dalla Commissione. Su tali considerazioni, il terzo motivo (violazione dell’art. 112 c. P. C. ) è infondato in quanto.

La Commissione ha considerato il rilievo della avvenuta comunicazione di cui sopra ritenendolo assorbito dalla asserita tassatività della disposizione di legge, il quarto ed il quinto sono infondati in quanto la motivazione è sufficiente ed esaustiva anche se sintetica in quanto fondata in via diretta ed esclusiva sul testo normativo.

Motivi della decisione che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che, pertanto, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso deve essere rigettato; nulla per le spese, in mancanza di costituzione della Agenzia.

P. Q. M. La Corte rigetta il ricorso.

Accolto ricorso avverso ripresa a tassazione di somme per asserita inesistenza di rapporti commerciali

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La ripresa a tassazione di somme (L. 508. 080. 000) per asserita inesistenza di rapporti commerciali con la soc. XXXXXXXXX era illegittima, sia in forza dei giudicati esterni formatisi sulla medesima questione con decisioni di merito sull’Iva 1991/1992 e sull’Irpeg 1991, sia in considerazione dello scarso credito dato dall’amministrazione stessa alle proprie tesi (non avendole più coltivate con ulteriori impugnazioni).

Sentenza Cassazione Civile n. 19702 del 27-09-2011

Svolgimento del processo Con sentenza dell’11 aprile 2005 la CTR – Lazio ha accolto l’appello proposto dalla soc.  XXXXX  XXXXX (già  XXXXX  XXXXX) nei confronti dell’Agenzia delle entrate, annullando l’avviso di accertamento notificato il 7 dicembre 1998 per il recupero di maggiori Irpeg e Ilor relative all’anno d’imposta 1992. Ha motivato la decisione ritenendo che:

a) la ripresa a tassazione di somme (L. 508. 080. 000) per asserita inesistenza di rapporti commerciali con la soc. XXXXXXXX2 era illegittima, sia in forza dei giudicati esterni formatisi sulla medesima questione con decisioni di merito sull’Iva 1991/1992 e sull’Irpeg 1991, sia in considerazione dello scarso credito dato dall’amministrazione stessa alle proprie tesi (non avendole più coltivate con ulteriori impugnazioni);

b) il recupero a tassazione per interessi attivi (L. 3. 667. 770) maturati su depositi cauzionali L. N. 392 del 1978, ex art. 11, era illegittimo essendo la presunzione di fruttuosità prevista per le sole locazioni abitative, e non per quelle “ad uso diverso”, e mancando l’attualità della retrocessione delle cauzioni con gli accessori;

c) il recupero a tassazione per interessi attivi (L. 40. 673. 487) maturati su rimborsi fiscali era illegittimo non essendo i relativi crediti certi, liquidi ed esigibili;

d) la ripresa a tassazione di somme (L. 151. 974. 165) per asserita indeducibilità delle “penalità per ritardata consegna ai clienti” era illegittima trattandosi di costi strettamente inerenti all’attività dell’impresa e fondati su contratti, così come i relativi ricavi.

Con atto notificato prima presso la soc.  XXXXX  XXXXX il 17 maggio 2006 e poi presso i suoi difensori il 31 maggio 2006, l’Agenzia delle entrate e il Ministero dell’economia e delle finanze hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La soc. Contribuente resiste con controricorso notificato il 10 luglio 2006.

Le parti si difendono con ulteriori memorie.

Motivi della decisione

1. 1. -Preliminarmente, si rileva che infondatamente la difesa della soc.  XXXXX  XXXXX eccepisce la tardivìtà del ricorso essendo stato proposto con notificazione richiesta ed eseguita ex art. 330 c. P. C. , il 31 maggio 2006, allorquando era spirato, sin dal 27 maggio 2006, il termine di cui all’art. 327 c. P. C. Infatti, la notifica del ricorso per cassazione alla parte personalmente, anzichè al difensore costituito nel giudizio nel quale è stata resa la sentenza impugnata, non ne determina l’inesistenza giuridica, ma semplicemente la nullità, sanabile in forza della rinnovazione della notifica, sia quando il ricorrente vi provveda di propria iniziativa, anticipando l’ordine contemplato dall’art. 291 c. P. C. , sia quando agisca in esecuzione di esso, senza che rilevi che alla rinnovazione si provveda posteriormente alla scadenza del termine per impugnare (Sez. 5, n. 9242 del 2004). Inoltre, se la parte intimata si è costituita in giudizio, la nullità deve ritenersi sanata “ex tunc” secondo il principio generale dettato dall’art. 156 c. P. C. , comma 2, (Sez. 5, n. 1156 del 2008).

2. – Pregiudizialmente, e d’ufficio, si rileva la carenza di legittimazione processuale dell’altro soggetto rappresentato dall’avvocatura erariale, il Ministero dell’economia e delle finanze, che non è stato parte nel giudizio di secondo grado ed è oramai estraneo al contenzioso tributario dopo la creazione delle agenzie fiscali. L’intervento ministeriale in cassazione è dunque inammissibile e il ricorso dell’avvocatura dello stato va esaminato unicamente riguardo all’Agenzia delle entrate, che è la sola a essere legittimamente impugnante. Il ricorso per parte ministeriale non incide concretamente sul presente giudizio e dunque le relative spese possono essere compensate tra gli interessati.

3. -Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo, l’Agenzia delle entrate fondatamente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c. C. , e art. 324 c. P. C. , oltre a vizio di motivazione, in ordine al giudicato esterno ritenuto dai giudici d’appello riguardo alle decisioni su Iva 1991/1992 e su Irpeg 1991, oramai definitive e favorevoli per la contribuente.

3. 1. – Va, in primo luogo, riaffermato il principio che nel giudizio in materia di accertamento a imposte dirette dovute da un’impresa, in relazione all’emissione di fatture per operazioni ritenute inesistenti, non assume rilevanza preclusiva il giudicato esterno formatosi in controversie, aventi per oggetto l’impugnazione di avvisi di rettifica Iva “fondati sul medesimo presupposto”, definite nel senso dell’infondatezza della contestazione del fisco. Ciò in quanto tali ultimi giudizi hanno inciso su un rapporto giuridico diverso sia dal punto di vista oggettivo, perchè concernente una differente obbligazione tributaria, che dal punto di vista soggettivo, essendo diverso, nell’assetto normativo del tempo, l’ufficio finanziario preposto al relativo accertamento (Sez. 5, n. 5943 del 2007). Analogamente e in fattispecie inversa, si è ritenuto il giudicato, formatosi in materia di tributi indiretti, non è preclusivo delle questioni concernenti il diverso rapporto giuridico d’imposta in tema di Iva, anche se relativo alla stessa annualità e scaturente dalla medesima indagine di fatto (Sez. 5, n. 25200 del 2009). Dunque, la CTR non coglie nel segno quando applica alla contribuente, per Irpeg e Ilor relative all’anno d’imposta 1992, il favorevole giudicato di merito formatosi in materia di Iva per gli anni 1991 e 1992.

3. 2. – Inoltre, riguardo alle favorevoli decisioni per l’anno d’imposta 1991 (Irpeg e Iva) rispetto a Irpeg e Ilor 1992, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato tributario può operare solo rispetto a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi d’imposta (es. Le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente (in riferimento a tali elementi, cfr. Sez. U, n. 13916 del 2006). Orbene, il giudicato avente per oggetto il riconoscimento della regolarità dei rapporti commerciali con la soc. Computer Security non può comportare la sua automatica l’estensione ad altra annualità, in quanto il rapporto tributario postula l’accertamento di ulteriori presupposti di fatto potenzialmente mutevoli, quali, ad esempio, l’avvenuto pagamento di diverse prestazioni e la effettività delle stesse nell’anno 1992, estraneo all’oggetto del giudicato per l’anno precedente.

3. 3. – Nè potrebbe parlarsi, riguardo ai rapporti della contribuente con la soc. Computer Security, di una doppia “ratio decidendi” atteso che il passaggio della sentenza d’appello circa lo scarso credito dato dalla amministrazione alle proprie tesi, non avendole più coltivate con ulteriori impugnazioni, non assume la veste di argomento autonomo e fondante. Si tratta, come è evidente, di un passaggio meramente dialogico, privo di contenuto decisorio e confinato in una sfera estranea al valore precettivo della pronuncia, a fronte di una “exceptio litis ingressum impediens” come il ritenuto giudicato esterno (cfr. , in generale sulle pregiudiziali, Cass. N. 1188 del 1966, n. 3469 del 1976, n. 273 del 1984; nel processo tributario, v, n. 3365 del 1984; in materia di giurisdizione, v, Sez. U n. 2865 del 2009).

3. 4. – Il primo motivo va, dunque, accolto riguardo alla censura di violazione di legge, restando assorbita la contestuale censura di vizio motivazionale.

4. – Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 41 della c. D. Legge sull’equo canone, nonchè vizio di motivazione, in ordine alla negata presunzione di fruttuosità dei depositi cauzionali per le locazioni non abitative.

4. 1. -Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. Com’è noto, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte e autonome rationes decidendi ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Nella specie la CTR ha ritenuto che il recupero a tassazione per interessi attivi maturati su depositi cauzionali L. N. 392 del 1978, ex art. 11, era illegittimo, poichè la presunzione di fruttuosità non era prevista per le locazioni “ad uso diverso” (prima ratio) e perchè mancava l’attualità della necessaria retrocessione delle cauzioni con gli accessori (seconda ratio). Ne consegue che, non impugnata la seconda ratio decidendi circa la non. Attualità della retrocessione delle cauzioni con gli accessori, è inammissibile, per difetto d’interesse, l’unica censura sulla sola negata fruttuosità dei depositi cauzionali per le locazioni non abitative, atteso che, anche in caso di fondatezza di essa, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base dell’altra ratio, oramai consolidatasi perchè non impugnata (Cass. N. 12372 del 200 6 e n. 3386 del 2011).

4. 2. – inoltre, sotto altro profilo d’inammissibilità, è orientamento costante che la parte ricorrente, la quale invochi clausole contrattuali con inerenti versamenti, per il principio dell’autosufficienza del ricorso, abbia l’onere di trascriverle integralmente, o almeno nelle parti salienti e rilevanti ai fini della decisione, perchè al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura (Cass. N. 15279 del 2003, in generale; cfr, nella giurisprudenza tributaria, Cass. N. 13587 del 2010 e n. 6923 del 2011). L’odierna ricorrente non ha riprodotto alcunchè circa i patti negoziali sui depositi cauzionali in contestazione e posti a fondamento dell’atto impositivo.

5. – Con il terzo motivo, l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 75 T. U. I. R. , nonchè vizio di motivazione, in ordine al tempo della tassazione degli interessi attivi sui rimborsi d’imposta. La ricorrente osserva che erroneamente i giudici d’appello ritengono che la tassabilità operi solo dal momento di emissione del relativo provvedimento; ritiene, in senso contrario, che la certezza del credito deriva dalla stessa richiesta di rimborso, mentre l’unica incertezza riguarda l’annualità dell’erogazione, con conseguente necessaria applicazione del criterio di competenza.

5. 1. – Il motivo è fondato, dovendosi dare continuità all’orientamento già espresso da questa Sezione, secondo cui, in tema di determinazione del reddito d’impresa – ai sensi del D. P. R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 56, comma 3, e art. 75, comma 1, – gli interessi sui crediti d’imposta concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui vengono a maturazione, secondo la regola generale del criterio di competenza (Sez. 5, n. 18173 del 2002).

5. 2. -Nessuna norma di legge autorizza una deroga, per gli interessi sui crediti d’imposta, ai criteri di imputazione per competenza fissati dall’art. 56 T. U. I. R. Per gli interessi e dall’art. 75 T. U. I. R. Per tutti i componenti positivi e negativi del reddito d’impresa. Invero, già nel D. P. R. N. 597 del 1973, art. 74, i proventi – tra i quali si annoverano anche gli interessi attivi sui crediti e in particolare sui crediti d’imposta – concorrono a formare il reddito d’impresa nell’esercizio di competenza, a meno che la loro esistenza non sia ancora certa o il loro ammontare non sia ancora determinabile in modo oggettivo. Ma, poichè detti interessi trovano titolo e criterio di determinazione (quanto al tasso applicabile) nella legge, non è configurabile un’incertezza che giustifichi l’applicazione della seconda parte della norma. Tale previsione è meglio esplicitata, con riguardo agli interessi, proprio nel T. U. I. R. , che all’art. 75, comma 1, conferma il criterio di competenza per tutti i componenti positivi e negativi del reddito d’impresa, e all’art. 56, comma 3, stabilisce che tutti gli interessi attivi concorrono a formare il reddito per l’ammontare maturato nell’esercizio; nulla v’è, pertanto, che preveda il criterio di cassa in questa materia (sent. Ult. Cit. ).

5. 3. -Il terzo motivo va, dunque, accolto riguardo alla censura di violazione di legge, restando assorbita la contestuale censura di vizio motivazionale.

6. -Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1382 c. C. E dell’art. 66 T. U. I. R. , nonchè vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta deducibilità delle “penalità per ritardata consegna ai clienti”. L’Ufficio assume che dette penalità sarebbero indeducibili perchè, essendo fondate sull’inosservanza di obblighi contrattuali, avrebbero natura sanzionatoria.

6. 1. -La censura dell’Agenzia delle entrate non è fondata. In base al TUIR, le spese e gli altri componenti negativi, di norma, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi od altri proventi che concorrono a formare il reddito. La giurisprudenza di questa Sezione ha, da tempo, chiarito che un costo può essere deducibile dal reddito d’impresa solo se e in quanto sia funzionale alla produzione del reddito stesso. Ciò posto, la correlazione fra costo e reddito è stata senz’altro esclusa con riferimento al pagamento di sanzioni pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente (v. , per le infrazioni stradali, Sez. 5, n. 7071 del 2000 e n. 7317 del 2003; per gli interessi su somme pagate a titolo di sanzione, Sez. 5, n. 11766 del 2009. Cfr. , per taluni distinguo in tema di condono edilizio, Sez. 5, n. 18860 del 2007).

6. 2. – Sulla stessa linea interpretativa, da ultimo, si è ritenuto che non sono deducibili dal reddito d’impresa le sanzioni irrogate dagli organismi garanti della concorrenza e del mercato per avere l’impresa contribuente posto in essere pratiche concordate per falsare la concorrenza sul mercato (Sez. 5, n. 5050 del 2010 e n. 8135 del 2011). L’orientamento passato in rassegna, e in particolare le recenti decisioni sulla indeducibilità delle sanzioni antitrust, pongono l’accento sul fatto che l’illecito spezza il nesso d’inerenza, atteso che “la spesa non nasce più nell’impresa”, ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale. La sanzione per la violazione di un divieto da parte di un’impresa non deriva da un’attività connessa al corretto esercizio dell’impresa stessa e non può pertanto qualificarsi come fattore produttivo, trattandosi di condotta non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vita aziendale, “ma antitetica rispetto al corretto svolgimento di tale attività”. Pretendere, pertanto, che una sanzione costituisca un costo deducibile dal reddito imprenditoriale significherebbe neutralizzare interamente la ratio punitiva delle sanzioni pecuniarie, trasformandole in un risparmio d’imposta, cioè in un premio per le imprese che abbiano agito in violazione di norme imperative.

6. 3. – Cosa totalmente diversa sono le penalità contrattuali stabilite, ex art. 1382 c. C. , per le ritardate consegne ai clienti. Coitì è noto, la clausola penale mira soltanto a determinare preventivamente il risarcimento dei danni in relazione all’ipotesi pattuita, che può consistere nel ritardo o nell’inadempimento (Sez. 2, n. 23706 del 2009). E’, dunque, un patto accessorio del contratto con funzione sia di coercizione all’adempimento, sia di predeterminazione della misura del risarcimento in caso d’inadempimento (Sez. 2, n. 6561 del 1991). La clausola penale, quindi, non ha natura e finalità sanzionatoria o punitiva, ma assolve la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria, tant’è che, se l’ammontare fissato nella clausola penale venga a configurare, secondo l’apprezzamento discrezionale del giudice, un abuso o uno sconfinamento dell’autonomia privata oltre determinati limiti di equilibrio contrattuale, può essere equamente ridotta. Pertanto, si è ritenuto che deve escludersi che la clausola penale possa essere ricondotta all’istituto nord-americano dei “punitive damages”, avente una finalità sanzionatoria e punitiva che è incompatibile con un astratto sindacato del giudice sulla sproporzione tra l’importo liquidato e il danno effettivamente subito (Sez. 3, n. 1183 del 2007). Ciò comporta il superamento di isolati e remoti arresti che attribuivano alla penale anche carattere sanziona-torio e punitivo (Sez. 1, n. 2020 del 1976); il tutto ha rilevanti ricadute sul piano fiscale.

6. 4. – Invero, proprio la circostanza che le somme sono dovute in forza di apposita clausola penale inserita nel contratto con la clientela, riconduce, pur sempre, l’erogazione alle pattuite vicende del rapporto, e porta ad escludere, oltretutto, l’interruzione del nesso sinallagmatico, risultando la stessa evoluzione delle vicende contrattuali costituire espressione dinamica della attività d’impresa, le cui conseguenze sono disciplinate preventivamente e consensualmente dalle parti contraenti che, per l’appunto, hanno pure quantificato l’onere economico, in ipotesi, posto a carico del contraente ritardatario. E’ appena il caso di ricordare che per legge rilevano, a favore del contribuente, tanto “il mancato conseguimento di ricavi o altri proventi”, quanto “il sostenimento di spese, perdite od oneri a fronte di ricavi o altri proventi”. In conclusione, le penalità previste in contratto per ritardata consegna sono, in tesi generale, deducibili in quanto inerenti all’attività dell’impresa.

6. 5. – Nè la odierna ricorrente ha invocato un diverso atteggiarsi in concreto delle “penalità per ritardata consegna ai clienti” nei contratti di fornitura della società contribuente, nulla avendo osservato sul punto e avendo comunque omesso, in difetto di autosufficienza, di riportare le relative clausole ex art. 1382 e. E, il che rileva negativamente ai fini del pure denunciato vizio motivazionale.

7. -In conclusione, disattesi i mezzi secondo e quarto, la decisione impugnata è affetta dalle violazioni di legge denunciate nei mezzi primo e terzo e va quindi cassata, in relazione ai soli due motivi accolti. Alla pronuncia segue il rinvio della vertenza alla CTR- Lazio, che, in diversa composizione, dovrà procedere a nuovo esame attenendosi ai principi innanzi affermati. La regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità resta riservata al giudice del rinvio.

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per parte ministeriale e compensa le spese inerenti; accoglie i motivi primo e terzo del ricorso dell’Agenzia, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla CTR – Lazio in diversa composizione.

Sentenza Cassazione Civile n.19692 del 27-09-2011 accertamenti sulla base di versamenti riscontrati su due conti correnti bancari intestati al contribuente persona fisica

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Sentenza Cassazione Civile n.19692 del 27-09-2011 accertamenti sulla base di versamenti riscontrati su due conti correnti bancari intestati al contribuente persona fisica

Con ricorso alla C. T. P. Di Catania T. S. Impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di quella città, all’esito di verifica parziale eseguita dalla G. D. F. Aveva rettificato nei suoi confronti il reddito dichiarato per l’anno 1997, accertando, sulla base di versamenti riscontrati su due conti correnti bancari a lui intestati, e ritenuti non giustificati, un maggior reddito di lavoro autonomo di L. 634. 000. 000.

Sentenza di  Cassazione Civile  n. 19692 del 27-09-2011

Svolgimento del processo Con ricorso alla C. T. P. Di Catania T. S. Impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di quella città, all’esito di verifica parziale eseguita dalla G. D. F. Aveva rettificato nei suoi confronti il reddito dichiarato per l’anno 1997, accertando, sulla base di versamenti riscontrati su due conti correnti bancari a lui intestati, e ritenuti non giustificati, un maggior reddito di lavoro autonomo di L. 634. 000. 000.

A sostegno dell’impugnazione deduceva il ricorrente l’illegittimità sotto molteplici aspetti della procedura di acquisizione dei dati bancari, e comunque l’infondatezza dell’accertamento stante l’inapplicabilità nei suoi confronti della presunzione di cui al D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, operante solo per i lavoratori autonomi e gli esercenti attività d’impresa (categorie alle quali egli era estraneo), e in ogni caso trovando tutti i versamenti contestati adeguata giustificazione.

Il giudice adito rigettava il ricorso, il contribuente proponeva gravame e la CTR della Sicilia con sentenza n. 80/18/08, depositata il 22. 5. 2008 e non notificata, rigettava l’appello.

Per la cassazione della sentenza di secondo grado proponeva quindi ricorso il T. , articolando sei motivi, all’accoglimento dei quali si opponeva l’intimata con controricorso. Con successiva nota, debitamente notificata alla controparte, il ricorrente provvedeva altresì al deposito di ulteriore documentazione relativa alle pronunce favorevoli ottenute con riferimento agli avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio relativamente ad altre annualità.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente rileva il Collegio che la documentazione depositata dal ricorrente ex art. 372 c. P. C. , e relativa a sentenze favorevoli al contribuente emesse a seguito di distinte impugnazioni di avvisi di accertamento adottati dall’Ufficio per altre annualità, sulla base del medesimo p. V. C. Della Guardia di Finanza, risulta irrilevante ai fini della definizione del presente giudizio. Ed invero detta documentazione è costituita da due sentenze della CTP di Catania relative rispettivamente agli anni 1998 e 2000, non ancora passate in giudicato, e da altre due sentenze passate in giudicato, ma relative comunque a distinti atti impositivi, riguardanti differenti annualità perchè emessi per gli anni 1995 e 1996 (sulla insussistenza del giudicato in caso di distinti procedimenti conseguenti ad autonomi avvisi di accertamento relativi a diverse annualità d’imposta, v. Cass. 16. 5. 2007, n. 11226, secondo la quale: “La sentenza del giudice tributario con la quale si accerta il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta può fare stato anche con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene te qualificazioni giuridiche o altri elementi preliminari correlati ad un interesse protetto avente H carattere della durevolezza, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni d’imposta debba fondarsi su dati e ricostruzioni contabili diversi”). In proposito, invero, è appena il caso di rilevare che l’effetto preclusivo conseguente al giudicato esterno, quale limite all’esercizio della giurisdizione, va verificato sulla base di una rigorosa verifica che investa tutti indistintamente i presupposti ai quali l’ordinamento ricollega l’effetto suddetto, e così in particolare il fatto che i due giudizi tra le stesse parti, si riferiscano al medesimo rapporto giuridico (v. Cass. SS. UU. 16. 6. 2006, n. 13916; Cass. Sez. V civ. Sent. 30. 11. 2009, n. 25200). Nel caso di specie, fondandosi i diversi accertamenti su dati contabili diversi, l’esito della verifica non può che indurre ad escludere l’esistenza di un giudicato che sia di impedimento all’autonoma definizione della presente controversia. Nè in contrario senso può in alcun modo invocarsi il fatto che anche nei predetti giudizi, così come nel presente procedimento, oggetto di discussione sia stata la natura dell’attività svolta dal T. , quale ipotetica questione pregiudiziale ai fini della risoluzione della problematica relativa all’applicabilità al caso di specie della presunzione di cui al D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, perchè anzi questo profilo della controversia in esame, investendo una questione di diritto, più di ogni altro resta sottratto al rischio di violazione dell’art. 2909 c. C. , riguardando l’intangibilità del giudicato di cui alta citata norma, il solo “accertamento” di fatto contenuto nella precedente sentenza, e non certo la risoluzione di questioni giuridiche, sempre rimesse all’autonoma determinazione del giudicante.

2. Tanto premesso, il ricorso risulta infondato. Il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti sulla base dei versamenti rilevati sui conti correnti bancari a lui intestati, deducendo: 1) l’illegittimità della procedura di acquisizione dei dati bancari perchè integrante duplicazione di precedente acquisizione di analoghi dati già realizzatasi nell’ambito di verifica riguardante la società XXXXX s. R. L. (della quale egli era socio), per mancanza di motivazione dell’ autorizzazione prescritta per gli accertamenti bancari, per violazione dei termini di durata prescritti dalla legge per l’attività di verifica e per la mancata instaurazione del contraddittorio; 2) l’illegittimità dell’accertamento per l’inapplicabilità nei suoi confronti delle presunzioni di cui al D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2; 3) l’infondatezza dell’atto impositivo trovando tutti i versamenti contestati puntuale giustificazione nella documentazione prodotta a conforto delle somme incassate per lo smobilizzo di titoli, la restituzione di somme oggetto di precedenti finanziamenti in favore delle società XXXXX, XXXXX e XXXXX, e la vendita di un immobile. A seguito dei rigetto dell’impugnazione, confermato dalla CTR con la sentenza di cui innanzi, il ricorrente ha articolato i seguenti motivi di ricorso: 2/a) Omessa motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c. P. C. , n. 5) con riguardo alla asserita inidoneità della documentazione prodotta, a superare la presunzione di cui al D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2. A questo proposito giova subito rilevare che la documentazione in questione risulta esaminata dal giudice di merito, che ha concluso che “. La documentazione prodotta, per giustificare parte dei versamenti, appare incompleta e contraddittoria ed in ogni caso non si ritiene sufficiente ed idonea per superare l’indicata presunzione”. Ciò premesso, il motivo in esame è inammissibile in quanto rivolto a conseguire una nuova e diversa valutazione dei documenti prodotti nel giudizio di merito (ex muitis v. Cass. 2. 2. 2007, n. 2272; 11. 7. 2007, n. 15489), documenti tra l’altro solo genericamente richiamati in ricorso attraverso la riassuntiva esposizione dei loro contenuti, in violazione de principio di autosufficienza del ricorso che impone, laddove la doglianza esposta faccia riferimento a documenti che si assume non essere stati adeguatamente valutati dal giudicante, la trascrizione fedele quanto meno delle parti più rilevanti e significative degli atti richiamati (ex multis v. Cass. Ord. 30. 7. 2010, n. 17915; sent 17. 5. 2006, n. 11501). Al riguardo è appena il caso di rilevare che: la causale dei rilevanti versamenti eseguiti in favore del contribuente dalle società XXXXX srl, XXXXXXXXXXX srl, e Consorzio XXXXX srl in nessun modo emerge dalle indicazioni fornite in ricorso circa le risultanze degli estratti conto relativi ai rapporti bancari intrattenuti dalle predette società; l’accredito di somme sui due conti correnti intestati al T. E interessati dall’attività di verifica svolta dalla G. D. F. Per liquidazione di titoli non può ritenersi emergere dagli “estratti delle richiamate “interrogazioni” riportate in ricorso; la riferibilità dei versamenti in contestazione, ai proventi della vendita immobiliare conclusa dal contribuente, non risulta dalle scarne e sintetiche estrapolazioni dal contratto trascritte in ricorso. 2/b) Violazione e falsa applicazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dovendosi ritenere la presunzione legale di cui alla citata norma, inapplicabile nel caso di specie non svolgendo il contribuente attività di lavoro autonomo, nè attività d’impresa, bensì mera attività di collaborazione coordinata e continuativa come amministratore della XXXXXX s. R. L. Il motivo è infondato, dovendo trovare risposta negativa il quesito di diritto in proposito formulato dal ricorrente. Ed invero il D. P. R. N. 600 del 1973, artt. 32 e 38, hanno portata generale e pertanto riguardano la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia a natura dell’attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengano, la qual cosa in particolare è da ritenersi per quanto relativo all’applicabilità della presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2. Nè in contrario senso può fondatamente invocarsi il riferimento ai “ricavi” e alle scritture contabili contenuto nella suddetta norma, giacchè esso risulta limitativo unicamente della possibilità per l’ufficio di desumere reddito dai “prelevamenti”, non potendosi certamente in via generale e per qualsiasi contribuente presumere la produzione di un reddito da una spesa, e potendo viceversa una simile presunzione trovare giustificazione per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali te spese non giustificate possono infatti ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti. Ciò senza peraltro che l’utilizzo dei termini suddetti possa in alcun modo impedire all’ufficio di desumere per qualsiasi contribuente che i “versamenti” operati sui propri conti correnti, e privi di giustificazione, costituiscano reddito, dovendosi ritenere tale attività accertativa pienamente consentita dalla norma in esame e assolutamente ragionevole. 2/c) Violazione dell’art. 112 c. P. C. , sotto svariati profili, e così in particolare: – in ordine alla dedotta violazione della L. N. 212 del 2000, art. 6, comma 4, per aver i verificatori nuovamente richiesto l’acquisizione dei conti correnti del contribuente, pur trattandosi di dati già in precedenza richiesti in occasione della verifica effettuata nei confronti della XXXXX s. R. L. ; – in ordine alla denunciata illegittimità dell’avviso di accertamento per mancanza di motivazione dell’atto di autorizzazione, in violazione della L. N. 212 del 2000, art. 7; – in ordine all’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione della L. N. 212 del 2000, art. 12, comma 5, relativo alla durata della verifica; – in ordine all’illegittimità dell’accertamento per la mancata instaurazione del preventivo contraddittorio tra ufficio e contribuente. I motivi così congiuntamente riassunti sono infondati oltre che inammissibili perchè privi di rilevanza. Li giudice tributario, infatti, dopo aver nella parte narrativa in più punti fatto riferimento ai vari profili di illegittimità della procedura di acquisizione dei dati seguita dai verificatori, dedotti dal contribuente (“Il ricorrente eccepiva. L’illegittima acquisizione dei dati. Eccepisce inoltre l’acquisizione illegittima dei dati bancari stante che la verifica si era protratta oltre i termini di legge. “), ha argomentato la sua decisione esordendo con l’affermazione: “. Correttamente i primi giudici, con sufficiente motivazione, hanno rigettato il ricorso non rinvenendo segni di illegittimità nella procedura posta in esser dall’Ufficio”, successivamente ancora aggiungendo sul versante della legittimità dell’attività di verifica che: “. Per quanto riguarda l’indagine bancaria la stessa era stata avviata in forza del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7”. Alla luce di tali espressioni è da ritenersi che la C. T. R. Abbia inteso pronunciarsi, quanto meno implicitamente, in senso sfavorevole al contribuente su tutte le questioni sollevate relativamente alla legittimità dell’avviso di accertamento, così come con i singoli motivi di doglianza in questa sede ribaditi, di talchè ogni ulteriore censura al riguardo da parte del contribuente, avrebbe dovuto far eventualmente riferimento alla violazione o falsa applicazione delle distinte norme di volta in volta richiamate, ma giammai può ritenersi fondata sotto il profilo dell’omessa pronuncia. E ciò tanto più che almeno tre delle questioni alle quale il contribuente fa riferimento con i quattro motivi in esame risultano palesemente infondate, onde per questo aspetto, oltre che ulteriore argomento a sostegno del convincimento della decisione implicita del giudice di appello, anche l’irrilevanza dei relativi motivi di doglianza. Ed infatti: – L’acquisizione dei dati bancari relativi al contribuente risulta dalla sentenza essersi realizzata mediante richiesta alla Banca (“. L’indagine bancaria. Era stata avviata in forza del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32 comma 1, n. 7”), e non al contribuente direttamente, e comunque nessuna sanzione di nullità prevede l’art. 6 cit. Al riguardo; – Il termine di cui alla L. N. 212 del 2000, art. 12, comma 5, si riferisce alla “permanenza” dei verificatori nei locali del contribuente, e non alla durata della procedura di verifica; – Il preventivo contraddittorio tra l’Ufficio e il contribuente costituisce oggetto di una facoltà per il primo, e non di un diritto per il secondo (Cass. 23. 6. 2006, n. 14675), e in ogni caso nella fattispecie risulta dallo stesso ricorso (pag. 13) “rifiutato” dal T. Quanto alla ulteriore censura relativa alla mancanza di motivazione dell’autorizzazione alle indagini bancarie, la sua irrilevanza in questa sede consegue alla omessa trascrizione integrale del documento, che non consente al Collegio il preliminare vaglio di decisività del vizio dedotto (cfr. V. Cass. 31. 1. 2006, n. 2140; 17. 1. 2007, n. 978).

3. Conclusivamente il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, per il principio di soccombenza, ai rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro. 8. 000,00 oltre spese prenotate a debito.   D. P. R. 29/09/1973 n. 600, art. 32

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