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Cass., sez. lav., 10 aprile 2012, n. 5677

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Rapporto a tempo determinato e impugnazione del termine apposto illegittimamente: Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un terminale finale, per aversi tacito mutuo consenso, inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro, non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente appoosto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumerein maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro, ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso.  

Rapporto a tempo determinato e impugnazione del termine apposto illegittimamente

Cass. , sez. Lav. , 10 aprile 2012, n. 5677

Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un terminale finale, per aversi tacito mutuo consenso, inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro, non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente appoosto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumerein maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro, ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso. (Nella specie la S. C. Ha riformato la sentenza di primo grado che aveva ritenuto sussistente il tacito mutuo consenso delle parti alla risoluzione del contratto sul mero decorso del tempo, più di sei anni, tra la cessazione del contratto e l’impugnazione dello stesso. )

Nota – Nella fattispecie in esame, la Corte di Appello di Catania ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stata rigettata la domanda diretta all’accertamento della nullità del termine apposto ad un contratto di lavoro a tempo determinato prorogato per due volte, in ragione del mutuo consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro intervenuto fra le parti, desumibile dal fatto che il lavoratore avevalasciato decorrere più di sei anni dalla scadenza dell’ultimo rapporto a termine prima di attivare il tentativo di conciliazione e, quindi di agire in giudizio contro la società.

Il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione lamentando che il mutuo consenso alla risoluzione del contratto di lavoro non può essere desunto dal mero decorso del tempo intercorrente tra la scadenza del contratto a tempo determinato e l’esperimento dell’azione in giudizio per l’impugnazione della clausola del termine.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato detto motivo di impugnazione e richiamando alcune decisioni in materia ( Cass. 15 novembre 2010, n. 23057; Cass. 19 novembre 2010, n. 23501; Cass. 1° febbraio 2010, n. 2279; Cass. 29 aprile 2011, n. 9583), ha confermato che: “per aversi tacito mutuo consenso, inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro, non basta il mero decorso del tempofra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro, ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso”.

In applicazione di detti principi, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto insufficiente la motivazione resa dall Corte territoriale, in quanto fondata su un fatto ( il mero decorso del tempo – più di sei anni – tra la cessazione del secondo ed ultimo contratto a termine e l’esercizio dell’azione giudiziaria) di per sé giuridicamente non rilevante e non accompagnato dalla valorizzazione di circostanze diversamente significative ed idonee ad essere interpretate come sintomatiche di una chiara e certa comune volontà di considerare definitivamente chiuso il rapporto di lavorativo.

La Suprema Corte ha, pertanto, accolto il ricorso rinviando il giudizio alla Corte di Appello di Palermo per l’applicazione del principio enunciato.

 

Sentenza della Corte di Cassazione Penale numero 18139 del 14 maggio 2012

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Infortunio del lavoratore: risponde il venditore del macchinario: La Corte d’appello di Lecce confermava la condanna inflitta in primo grado a un commerciante per il reato di lesione personali colpose in danno di una donna, cameriera in un hotel, che aveva riportato l’amputazione di una mano, a causa dell’utilizzo di una macchina stiratrice professionale venduta e installata dall’imputato.

Infortunio del lavoratore: risponde il venditore del macchinario

Sentenza della Corte di Cassazione Penale del 14 maggio 2012

Il venditore del macchinario privo dei necessari requisiti di sicurezza risponde penalmente dell’infortunio occorso al lavoratore.

La sentenza. E’ quanto si evince dalla sentenza 18139, pubblicata ieri, 14 maggio 2012, dalla Quarta Sezione Penale della Cassazione.

Il caso. La Corte d’appello di Lecce confermava la condanna inflitta in primo grado a un commerciante per il reato di lesione personali colpose in danno di una donna, cameriera in un hotel, che aveva riportato l’amputazione di una mano, a causa dell’utilizzo di una macchina stiratrice professionale venduta e installata dall’imputato.
L’obbligo. A sostegno della decisione, i giudici del merito avevano invocato l’art. 6, D. L. Vo 626/94, che vieta, tra l’atro, la vendita di attrezzature da lavoro e di impianti non rispondenti alle norme sulla sicurezza e impone agli installatori di attenersi alle norme di sicurezza. Di qui, il riconoscimento di un preciso obbligo in capo all’imputato, in qualità di venditore e installatore, di assicurare la conformità del macchinario alle norme antinfortunistiche, eventualmente anche sollecitando ed operando modifiche, laddove i difetti, come nel caso di specie, fossero evidenti.

La Corte. Gli Ermellini, investiti dell’esame della controversia, hanno osservato che, nel caso di specie, l’accertata “inadeguatezza dei sistemi di protezione del macchinario era percepibile palesemente e ictu oculi”, a maggior ragione da un soggetto come l’imputato certamente esperto nel settore, per la sua attività di venditore di tali macchinari. Prendendo le mosse da una simile considerazione, il Collegio di Piazza Cavour ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’esercente (sia pure ai soli fini civili, stante l’intervenuta prescrizione del reato), anche alla luce del principio di diritto, secondo il quale: “nel caso di incidente derivato dall’uso di un macchinario, anche del venditore del macchinario stesso ove si tratti di infortunio riconducibile alla inadeguatezza dei congegni antinfortunistici di quel macchinario: ‘Il divieto di vendita di macchine non conformi alle norme antinfortunistiche, di cui all’articolo 6 del D. Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, come sostituito dall’articolo 4 del D. Lgs. 19 marzo 1996 n. 242, non può ritenersi limitato agli industriali o commercianti che abitualmente forniscono le macchine, attrezzature e impianti, bensì va esteso a qualsiasi soggetto che esegua anche una sola vendita o rivendita’”. Peraltro, “in tema di lesioni personali a seguito di infortunio sul lavoro, la condotta di colui che, in violazione del divieto sancito dallo articolo 7 del D. P. R. 547/1955, venda una macchina non conforme alle prescrizioni dell’articolo 68 dello stesso D. P. R. , è di per sé sufficiente a integrare l’elemento di colpa specifica del delitto di cui all’articolo 590 C. P. , ed è legata da nesso concausale con l’evento lesivo, stante la normalità e la conseguenzialità dell’impiego della macchina nel ciclo produttivo della ditta acquirente”.

La prescrizione. In conclusione, la Quarta Sezione Penale ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, per intervenuta prescrizione del reato, “ferme restando le disposizioni della sentenza che concernono gli effetti civili”.

Licenziamento del dirigente

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La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente, per riconnettere alla mancanza di essa il diritto del dipendente licenziato ad un’indennità, si discosta, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, da quella di giustificato motivo di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 3. Sul piano soggettivo, tale asimmetria trova la sua ragion d’essere nel rapporto fiduciario che lega in maniera più o meno penetrante al datore di lavoro il dirigente in ragione delle mansioni a lui affidate per la realizzazione degli obiettivi aziendali, per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o un’importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro o un comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita dal dirigente possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e quindi giustificare il licenziamento sul piano della disciplina contrattuale dello stesso.  

Licenziamento del dirigente Cass. , sez. Lav. , 10 aprile 2012, n. 5671 La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente, per riconnettere alla mancanza di essa il diritto del dipendente licenziato ad un’indennità, si discosta, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, da quella di giustificato motivo di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 3. Sul piano soggettivo, tale asimmetria trova la sua ragion d’essere nel rapporto fiduciario che lega in maniera più o meno penetrante al datore di lavoro il dirigente in ragione delle mansioni a lui affidate per la realizzazione degli obiettivi aziendali, per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o un’importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro o un comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita dal dirigente possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e quindi giustificare il licenziamento sul piano della disciplina contrattuale dello stesso. Sul piano oggettivo, la concreta posizione assegnata al dirigente nell’articolazione della struttura direttiva dell’azienda può inoltre divenire nel tempo non pienamente adeguata nello sviluppo delle strategie di impresa del datore di lavoro nell’esercizio della sua iniziativa economica e quindi rendere, anche solo per questa minore utilità, giustificata la sua espulsione nel quadro di scelte orientate al miglior posizionamento dell’impresa sul mercato. Anche la nozione di giusta causa legale di licenziamento risente infine – sia pure in misura più contenuta in quanto legata ad una definizione precisa dettata dall’esigenza di tener conto della maggiore gravità delle conseguenze – dell’investimento di fiducia fatto dal datore di lavoro con l’attribuire al dirigente compiti, di volta in volta strategici o comunque di impulso, di direzione e di orientamento nella struttura organizzativa aziendale. In tema di assenza alla visita di controllo, il giustificato motivo di esonero del lavoratore in stato di malattia dall’obbligo di reperibilità a visita domiciliare di controllo ricorre oltre che nel caso di forza maggiore, in ogni situazione che, ancorché non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale del lavoratore, come la concomitanza di visite mediche, prestazioni sanitarie o accertamenti specialistici, purché sia dimostrata l’impossibilità di effettuare tali visite in orario diverso da quello corrispondente alla fasce orarie di reperibilità. Nota – Il giudizio riguarda un dirigente, licenziato per giusta causa (per assenza dal domicilio nelle fasce orarie di disponibilità per le visite di controllo durante la malattia), che ha impugnato il licenziamento anche per il risarcimento danni da mobbing e demansionamento. La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto in parte il ricorso del dirigente, riconoscendo al medesimo il diritto all’indennità di preavviso, avendo escluso la giusta causa di recesso ma non la giustificatezza dello stesso, poiché i fatti posti a base del provvedimento espulsivo, pur non essendo così gravi da impedire la prosecuzione del rapporto per il periodo del preavviso, integravano il giustificato motivo soggettivo di licenziamento. Il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione, censurando, in particolare, la motivazione della sentenza in merito alla ritenuta insussistenza della giusta causa di licenziamento. La Suprema Corte ha ritenuto infondato detto motivo di impugnazione e, richiamando un principio già espresso con la sentenza n. 11691/2005, ha precisato che: “La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente, per riconnettere alla mancanza di essa il diritto del dipendente licenziato ad un’indennità, si discosta, sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo, da quella di giustificato motivo di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 3. Sul piano soggettivo, tale asimmetria trova la sua ragion d’essere nel rapporto fiduciario che lega in maniera più o meno penetrante al datore di lavoro il dirigente in ragione delle mansioni a lui affidate per la realizzazione degli obiettivi aziendali, per cui anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o un’importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro o un comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita dal dirigente possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura di tale rapporto fiduciario e quindi giustificare il licenziamento sul piano delle disciplina contrattuale dello stesso. Sul piano oggettivo, la concreta posizione assegnata al dirigente nell’articolazione della struttura direttiva dell’azienda può inoltre divenire nel tempo non pienamente adeguata nello sviluppo delle strategie di impresa del datore di lavoro nell’esercizio della sua iniziativa economica e quindi rendere, anche solo per questa minore utilità, giustificata la sua espulsione nel quadro di scelte orientate al miglior posizionamento dell’impresa sul mercato. Anche la nozione di giusta causa legale di licenziamento risente infine sia pure in misura più contenuta in quanto legata ad una definizione precisa dettata dall’esigenza di tener conto della maggiore gravità delle conseguenze dell’investimento di fiducia fatto dal datore di lavoro con l’attribuire al dirigente compiti, di volta in volta strategici o comunque di impulso, direzione e di orientamento nella struttura organizzativa aziendale”. Posta la premessa di cui sopra, con riferimento al caso concreto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte di Appello di Roma avesse applicato correttamente i principi sopra esposti, avendo ritenuto che il comportamento contestato al dirigente (assenza dal domicilio nelle fasce orarie di disponibilità per le visite di controllo) pur essendo grave in relazione alla posizione apicale ricoperta dal lavoratore (“al quale è richiesto, con maggiore rigore, l’osservanza degli obblighi e dei doveri di condotta”) non fosse, però, tale da impedire la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto di lavoro. La Suprema Corte ha, altresì, precisato che la giustificatezza del licenziamento, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, era determinata dal fatto che il dirigente, pur avendo dimostrato che, in concomitanza delle visite di controllo domiciliari si trovava ad effettuare alcune visite ambulatoriali presso il medico curante, non aveva provato che dette visite ambulatoriali potevano essere programmate in orari diversi da quelli di reperibilità. A questo proposito, la Cassazione ha ricordato il principio (già espresso con la sentenza n. 14735/2004), secondo il quale: “In tema di assenza alla visita di controllo, il giustificato motivo di esonero del lavoratore in stato di malattia dall’obbligo di reperibilità a visita domiciliare di controllo ricorre oltre che nel caso di forza maggiore, in ogni situazione che, ancorché non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale del lavoratore, come la concomitanza di visite mediche, prestazioni sanitarie o accertamenti specialistici, purché sia dimostrata l’impossibilità di effettuare tali visite in orario diverso da quello corrispondente alla fasce orarie di reperibilità”.  

Proroga per associazione ed enti non profit per usufruire del 5 per mille

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Proroga per usufruire del contributo cinque per mille, per enti non profit, attraverso  il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 aprile 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 98  del 27 aprile 2012.

Proroga per usufruire del contributo cinque per mille per enti non profit

Attraverso  il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dello scorso 20 aprile 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 98  del 27 aprile 2012, reca  “Disposizioni in materia di cinque per mille a sostegno del volontariato e delle  organizzazioni non lucrative  di utilità sociale di cui all’articolo 10 del decreto  legislativo 4 dicembre 1997,  n. 460, delle associazioni di promozione sociale  iscritte nei registri nazionale, regionali e provinciali previsti dall’articolo 7 della  legge 7 dicembre 2000, n. 383, e delle associazioni e fondazioni riconosciute che  operano nei settori di cui all’articolo 10, comma 1, del citato decreto legislativo  n. 460 del 1997. Esercizi finanziari 2009, 2010 e 2011”.  

In particolare, il decreto prevede:  

·        la proroga al 31 maggio 2012 dei termini per l’integrazione documentale delle domande di iscrizione presentate dagli enti del volontariato per la  partecipazione al riparto del contributo del cinque per mille per gli esercizi  finanziari 2009, 2010 e 2011;

·        la validità delle domande di iscrizione presentate entro il 30 giugno 2010 relativamente all’esercizio finanziario 2010 ed entro il 30 giugno 2011 per  l’esercizio finanziario 2011  dagli enti del volontariato in possesso dei  requisiti per l’accesso al beneficio alla data rispettivamente del 7 maggio  2010 e del 7 maggio 2011;  

·        la proroga, a decorrere dall’esercizio finanziario 2011,  al primo giorno lavorativo successivo  dei termini per l’effettuazione degli adempimenti  connessi al contributo del cinque per mille  che scadono di sabato o di  giorno festivo.    

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Periodo di prova e interruzione del decorso per ferie

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Le ferie interrompono la decorrenza del periodo di prova, che si prolunga per i giorni fruiti dal lavoratore, a meno, naturalmente, che la loro fruizione non fosse stata prevista preventivamente all’interno del patto.  

Periodo di prova e interruzione del decorso per ferie Cass. , sez. Lav. , 22 marzo 2012, n. 4573

Le ferie interrompono la decorrenza del periodo di prova, che si prolunga per i giorni fruiti dal lavoratore, a meno, naturalmente, che la loro fruizione non fosse stata prevista preventivamente all’interno del patto. Nota – Il caso di specie è sorto in seguito al licenziamento per mancato superamento del periodo di prova di un lavoratore, assunto come apprendista montatore calzaturiero, con un periodo di prova di un mese. Il lavoratore impugnava il licenziamento affermando che, posto che l’assunzione era avvenuta il 25 novembre, il licenziamento, intimato il 3 gennaio, era stato assunto dopo il decorso del periodo di prova e chiedeva pertanto, previo accertamento dell’illegittimità del licenziamento, la condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno. Il Tribunale di Rimini respingeva il ricorso e la Corte d’Appello di Bologna confermava la decisione di primo grado, osservando che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il recesso, comunicato dalla società il 3 di gennaio e motivato dal mancato superamento della prova, non era tardivo e, come tale, nullo, tenuto conto della data di assunzione (25 novembre) e della data del recesso (3 gennaio) e del periodo di fruizione delle ferie natalizie (dal 23 dicembre al 1° gennaio), sicché il recesso risultava intimato non oltre il mese, tenuto conto del mancato espletamento dell’attività nei giorni 23 e 24 dicembre.

Il lavoratore ricorreva pertanto in Cassazione denunciando la falsa applicazione ed erronea interpretazione dell’art. 2109 c. C. E dell’art. 85 Ccnl di categoria in relazione al disposto dell’art. 41 Cost. Ed in particolare lamentava che la Corte del merito avesse ricondotto il periodo feriale a quegli eventi di norma non prevedibili e come tali, sempre di norma, interferenti sul periodo della prova, nel senso di richiederne il corrispondente prolungamento per i giorni della mancata erogazione della prestazione lavorativa.

Il ricorrente lamentava inoltre che la Corte territoriale avesse trascurato di considerare la peculiarità della fattispecie, erroneamente sostenendo che, anche nel caso in oggetto, non si fosse potuto avere previsione dell’incidenza di tale evento sul periodo stabilito per la prova.

Il ricorrente, pur dando atto che, ai sensi dell’art. 2109 c. C. Spetta al datore di lavoro determinare il periodo in cui far godere le ferie ai propri dipendenti nell’anno lavorativo, tenuto conto delle esigenze dell’impresa – e ciò nel rispetto del principio di libertà economica fissato dall’art. 41 della Costituzione della Repubblica ed anche degli interessi del prestatore di lavoro -, sostiene che tale determinazione, essendo, nella specie, avvenuta, di concerto e previa consultazione con le Rsu, ed essendo stata preventivamente resa nota ai prestatori di lavoro, non abbisognava di ulteriori “apposite conferme in relazione alle concrete esigenze aziendali”, delle quali il datore di lavoro aveva evidentemente già tenuto conto nella determinazione operata.

Con il secondo motivo il ricorrente lamentava che la Corte territoriale avesse ritenuto che i disposti calendari aziendali delle ferie sarebbero stati meri programmi di massima, e che richiedevano una conferma di volta in volta, senza dare ragione di come, a novembre (quando al periodo stabilito per le ferie mancavano ormai poco più di tre settimane e non vi era più tempo di utilmente procrastinarlo), si potesse ritenere quel programma una mera previsione di massima inidonea a fondare un diritto dei lavoratori a fruire delle ferie nel periodo indicato.

La Cassazione ha rigettato il ricorso richiamando il principio (Cass. N. 23061/2007), secondo il quale il decorso di un periodo di prova, determinato nella misura di un complessivo arco temporale, non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività. Devono, invece, ritenersi esclusi (considerata la funzione di consentire alle parti di verificare la convenienza della collaborazione reciproca del periodo di prova concordato tra le parti) i giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore di lavoro nonché il godimento delle ferie annuali, in quanto, queste ultime in particolare, hanno la funzione di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, che solitamente pertanto maturano dopo il periodo di prova. Pertanto, “come regola generale le ferie interrompono la decorrenza del periodo di prova, che si prolunga per i giorni fruiti dal lavoratore (a meno, naturalmente, che la loro fruizione non fosse stata prevista preventivamente all’interno del patto)”.

Nel caso di specie, la Corte di merito, dopo aver osservato che nessuna pattuizione di fruizione delle ferie era stata prevista preventivamente all’interno del patto di prova, ha preso in esame la disposizione del Ccnl, interpretandola, in ragione della sopraevidenziata caratteristica del contratto di lavoro con clausola di prova, in termini di adempimento, per il caso di mancato recesso al termine del periodo di prova, dell’onere di informazione, a carico dell’imprenditore, circa la durata o le modalità di determinazione e di fruizione delle ferie. A ciò si aggiunga che la contrattazione collettiva applicabile ha recepito il principio dell’effettività dell’esperimento della prova attraverso la previsione (implicita) ai fini della prova dei giorni di effettivo lavoro.

La Cassazione ha pertanto, per le ragioni sopraesposte, rigettato il ricorso.  

Proroga per la presentazione della denuncia dei redditi attraverso modello 730

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Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26. 04. 2012 ha stabilito che i contribuenti persone fisiche tenuti a presentare denuncia dei redditi per l’annualità 2011 attraverso il modello 730 godono di una proroga di  tempo fino al prossimo 16 maggio, se provvedono a darlo al sostituto d’imposta, oppure fino al 20 giugno, se utilizzano intermediari abilitati (Caf o commercialista).

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26. 04. 2012 ha stabilito che i contribuenti persone fisiche tenuti a presentare denuncia dei redditi per l’annualità 2011 attraverso il modello 730 godono di una proroga di  tempo fino al prossimo 16 maggio, se provvedono a darlo al sostituto d’imposta, oppure fino al 20 giugno, se utilizzano intermediari abilitati (Caf o commercialista).

Cassazione sezione lavoro 26 marzo 2012, n. 4797 Licenziamento di dirigente

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Non è applicabile al dirigente – non ha rilievo se si tratti di dirigente apicale ovvero di dirigenti medi o minori – la disciplina dettata dalla legge n. 604/1966 o quella della legge 300/1970 ed ai fini della legittimità (o meno) del licenziamento deve farsi riferimento alla nozione di giustificatezza, la quale, come è noto, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo, ex art. 1 della legge n. 604/1966, ma è molto più ampia e può fondarsi sia su ragioni soggettive ascrivibili al dirigente, sia su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non devono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale, tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.  

Licenziamento di dirigente

Cass. Sez. Lav. 26 marzo 2012, n. 4797

Non è applicabile al dirigente – non ha rilievo se si tratti di dirigente apicale ovvero di dirigenti medi o minori – la disciplina dettata dalla legge n. 604/1966 o quella della legge 300/1970 ed ai fini della legittimità (o meno) del licenziamento deve farsi riferimento alla nozione di giustificatezza, la quale, come è noto, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo, ex art. 1 della legge n. 604/1966, ma è molto più ampia e può fondarsi sia su ragioni soggettive ascrivibili al dirigente, sia su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non devono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale, tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.

Nota – Il caso di specie è sorto in seguito al licenziamento di un dirigente di un istituto di credito che aveva rifiutato il trasferimento ad altra sede. Questi agiva in giudizio dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Viterbo perché fosse dichiarata la nullità del licenziamento che sosteneva essere stato ritorsivo.

Il Tribunale e la Corte di Appello di Roma confermavano la legittimità del licenziamento posto che era stato intimato non – come sostenuto dal dirigente – a seguito del rifiuto del dirigente ad essere distaccato in altre città, ma piuttosto per le esigenze legate alla ristrutturazione della banca datrice di lavoro, da cui erano emerse considerevoli eccedenze di personale ad ogni livello, per far fronte alle quali, per mantenere i livelli occupazionali, la banca aveva adottato anche lo strumento del distacco di parte del personale.

Il dirigente proponeva pertanto ricorso per cassazione per molteplici motivi. In primo luogo denunciava il fatto che la sentenza impugnata non si fosse pronunciata in merito alla nullità del licenziamento che il dirigente asseriva essere stato intimato per ritorsione successivamente alla proposizione da parte dello stesso di un’azione giudiziaria avverso il provvedimento di distacco, posto che tale pronuncia aveva ritenuto il distacco illegittimo. La Cassazione ha ritenuto tale motivo infondato posto che la sentenza impugnata ha precisato che il licenziamento era stato intimato per le esigenze legate alla ristrutturazione della datrice di lavoro e non per il rifiuto del lavoratore ad accettare il distacco, che gli era stato offerto perché ritenuto l’unico strumento per mantenere invariati i livelli occupazionali. Il licenziamento non poteva pertanto ritenersi ritorsivo, posto che il preteso motivo ritorsivo deve, come richiesto da consolidata giurisprudenza, essere l’unico motivo alla base del recesso perché questo possa essere qualificato come tale (Cass. N. 17087/2011). Cosa che nel caso di specie non è avvenuta data la specificazione dell’esigenza di ristrutturazione aziendale che era stata posta a base del licenziamento.

Con ulteriore motivo il dirigente denunciava che non era stato preso in considerazione il fatto che il Tribunale, in sede di reclamo, aveva confermato l’illegittimità del distacco e ordinato la sospensione del distacco del dipendente e che successivamente il dirigente era stato licenziato. La Cassazione ha affermato che la dichiarata illegittimità del distacco non era un elemento che si poneva in contrasto con l’interpretazione letterale della motivazione indicata nella lettera di licenziamento che, dopo l’espresso richiamo alle esigenze di riorganizzazione della struttura della banca, specificava che “il criterio adottato dalla banca contemplava, fra gli altri, il ricorso all’istituto del distacco, che è stato adottato nei suoi riguardi avendo la riorganizzazione comportato la soppressione della sua posizione di lavoro”. La Cassazione rilevava inoltre che il ricorrente, limitandosi ad insistere nella propria valutazione del licenziamento come conseguenza del rifiuto al distacco nella sede di Brescia, non spiegava quale fosse l’errore di interpretazione compiuto dal giudice del merito nel pervenire alla conclusione che il recesso era stato motivato a causa delle esigenze di ristrutturazione aziendale che avevano comportato anche la soppressione della posizione lavorativa in precedenza occupata dal dirigente. Inoltre, dato che è consolidata giurisprudenza che “la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi n. 604/1966e n. 300/1970 non è applicabile, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 604/1966, ai dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudodirigenti, vale a dire di coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente” (Cass. N. 25145/2010) e che era stato accertato, con autorità di giudicato, che il ricorrente rivestisse la qualifica di dirigente, la Corte ha ritenuto la censura infondata.

In definitiva, la Corte ha rigettato il ricorso del dirigente e affermato che non è applicabile al dirigente la disciplina dettata dalla legge n. 604/1966o quella della legge n. 300/1970ed ai fini della legittimità del licenziamento deve farsi riferimento alla nozione di giustificatezza.

Cass., sez. lav., 28 febbraio 2012, n. 3033

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Risarcimento dei danni per infortunio sul lavoro: posta la natura contrattuale della responsabilità incombente sul datore di lavoro in relazione al disposto dell’articolo 2087 del codice civile, sul piano della ripartizione dell’onere probatorio, al lavoratore spetta lo specifico onere di riscontrare il fatto costituente inadempimento dell’obbligo di sicurezza nonché il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre – in parziale deroga al principio generale stabilito dall’articolo 2697 del codice civile – non è gravato dall’onere della prova relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento, onere che, invece, incombe sul datore di lavoro e che si concreta nel provare la non imputabilità dell’inadempimento.

Risarcimento dei danni per infortunio sul lavoro

Cass. , sez. Lav. , 28 febbraio 2012, n. 3033

Posta la natura contrattuale della responsabilità incombente sul datore di lavoro in relazione al disposto dell’articolo 2087 del codice civile, sul piano della ripartizione dell’onere probatorio, al lavoratore spetta lo specifico onere di riscontrare il fatto costituente inadempimento dell’obbligo di sicurezza nonché il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre – in parziale deroga al principio generale stabilito dall’articolo 2697 del codice civile – non è gravato dall’onere della prova relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento, onere che, invece, incombe sul datore di lavoro e che si concreta nel provare la non imputabilità dell’inadempimento.

Diversamente, invece, si atteggia il contenuto dei rispettivi oneri probatori a seconda che le misure di sicurezza – asseritamente omesse – siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso articolo 2087 del codice civile, che impone l’osservanza del generico obbligo di sicurezza.

Nel primo caso – riferibile alle misure di sicurezza cosiddette “nominate” – il lavoratore ha l’onere di provare soltanto la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte impositiva della misura stessa – ovvero il rischio specifico che si intende prevenire o contenere – nonché, ovviamente, il nesso di causalità materiale tra l’inosservanza della misura ed il danno subito. La prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro dell’insussistenza dell’inadempimento e del nesso eziologico tra quest’ultimo e il danno.

Nel secondo caso – in cui si discorre di misure di sicurezza cosiddette “innominate” – la prova liberatoria a carico del datore di lavoro (fermo restando il suddetto onere probatorio spettante al lavoratore) risulta invece generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli “standard” di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe.

Nota – La fattispecie in esame riguarda il caso di un dipendente di una banca che si era rivolto al Tribunale di Foggia per domandare il risarcimento dei danni per infortunio sul lavoro asseritamente subiti in occasione di una rapina avvenuta nell’agenzia della banca dove prestava servizio.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso.

Anche la Corte di Appello di Bari ha respinto il ricorso del lavoratore ritenendo che la banca avesse adempiuto all’obbligazione di cui all’articolo 2087 del codice civile essendo stata accertata, nell’agenzia dove era avvenuta la rapina, l’osservanza degli standard di sicurezza presenti in tutte le altre filiali del medesimo istituto bancario. Inoltre, il lavoratore non aveva indicato ulteriori sistemi di sicurezza che la banca avrebbe potuto o dovuto osservare per evitare la rapina.

Il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando che la sentenza impugnata fosse errata nella parte in cui aveva gravato il lavoratore dell’onere della prova in merito all’adempimento dell’obbligo di sicurezza che sarebbe, invece, spettato alla banca.

La Suprema Corte, richiamando una precedente decisione in materia (Cass. 25 maggio 2006, n. 12445), ha ritenuto infondato detto motivo di impugnazione.

Dopo avere premesso che: “Posta la natura contrattuale della responsabilità incombente sul datore di lavoro in relazione al disposto dell’articolo 2087 del codice civile, sul piano della ripartizione dell’onere probatorio, al lavoratore spetta lo specifico onere di riscontrare il fatto costituente inadempimento dell’obbligo di sicurezza nonché il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre in parziale deroga al principio generale stabilito dall’articolo 2697 del codice civile non è gravato dall’onere della prova relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento, onere che, invece, incombe sul datore di lavoro e che si concreta nel provare la non imputabilità dell’inadempimento “, la Suprema Corte di Cassazione ha precisato che “Diversamente, invece, si atteggia il contenuto dei rispettivi oneri probatori a seconda che le misure di sicurezza asseritamente omesse siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso articolo 2087 c. C. , che impone l’osservanza del generico obbligo di sicurezza.

Nel primo caso riferibile alle misure di sicurezza cosiddette “nominate” il lavoratore ha l’onere di provare soltanto la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte impositiva della misura stessa ovvero il rischio specifico che si intende prevenire o contenere nonché, ovviamente, il nesso di causalità materiale tra l’inosservanza della misura ed il danno subito.

La prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro dell’insussistenza dell’inadempimento e del nesso eziologico tra quest’ultimo e il danno.

Nel secondo caso in cui si discorre di misure di sicurezza cosiddette “innominate” la prova liberatoria a carico del datore di lavoro (fermo restando il suddetto onere probatorio spettante al lavoratore) risulta invece generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli “standard” di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe”.

La Cassazione ha, pertanto, stabilito che nel caso in esame la Corte territoriale aveva correttamente individuato gli standard di sicurezza idonei ad adempiere l’obbligo di sicurezza in quelli utilizzati nelle altre filiali dello stesso istituto bancario e, posto che dette misure di sicurezza erano risultate presenti nell’agenzia che aveva subito la rapina, l’obbligo di sicurezza della banca era da ritenersi adempiuto.

La Suprema Corte ha, altresì, rilevato che il lavoratore ricorrente non aveva indicato le misure che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare.

La Corte di Cassazione, ha, per questi motivi, rigettato il ricorso.

 

Circolare n. 56 del 18/04/2012

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INPS, Circolare n. 56 del 18/04/2012: Nuove modalità di presentazione della domanda di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti. Utilizzo del canale telematico.

Circolare n. 56 del 18/04/2012

D. L. N. 78 del 2010 convertito in Legge n. 122 del 2010. Determinazioni presidenziali n. 75 del 30 luglio 2010 e n. 277 del 24 giugno 2011. Circolare n. 110 del 30 agosto 2011. Circolare n. 172 del 30 dicembre 2011. Nuove modalità di presentazione della domanda di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti. Utilizzo del canale telematico.

1. Premessa.

Il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, ha previsto il potenziamento dei servizi telematici.

In relazione alla citata disposizione, il Presidente dell’Istituto ha adottato la determinazione n. 75 del 30 luglio 2010 “Estensione e potenziamento dei servizi telematici offerti dall’INPS ai cittadini” la quale ha previsto dal 1 gennaio 2011 – pur con la necessaria gradualità in ragione della complessità del processo – l’utilizzo esclusivo del canale telematico per la presentazione delle principali domande di prestazioni/servizi. Le disposizioni attuative delle determina di cui

sopra sono state adottate con circolare n. 169 del 31 dicembre 2010.

Successivamente, con determinazione presidenziale n. 277 del 24 giugno 2011 “Istanze e servizi Inps – Presentazione telematica in via esclusiva – Decorrenze”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 227 del 29 settembre 2011, sono state stabilite le decorrenze per la presentazione telematica in via esclusiva delle domande di prestazioni. Le relative disposizioni applicative sono state impartite con circolare n. 110 del 30 agosto 2011.

In relazione a quanto sopra, a partire dal 1° aprile 2012, la presentazione delle domande di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti, dovrà avvenire esclusivamente in via telematica attraverso uno dei seguenti canali:

WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto;

Patronati/Intermediari dell’Istituto – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi;

Contact Center multicanale – numero verde 803. 164;

Tenuto conto che il periodo obbligatorio legislativamente previsto per la presentazione delle domande di indennità di disoccupazione non agricola a requisiti ridotti va dal 1° gennaio al 31 marzo dell’anno successivo a quello di competenza, conseguentemente la presentazione telematica in via esclusiva della richiesta di prestazione secondo le tre modalità suesposte riguarderà in concreto le domande relative all’anno di competenza 2012 che saranno pertanto presentate nel 2013.

Di seguito si forniscono le istruzioni per l’accesso ai servizi telematizzati da parte del cittadino per la presentazione delle domande di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti.

2. Presentazione della domanda di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridottidirettamente dal cittadino tramite WEB.

Il servizio è disponibile sul sito internet dell’Istituto (www. Inps. It), sezione Servizi On-line, attraverso il seguente percorso: Servizi per il cittadino – Entra nel servizio – Autenticazione Utente – Autenticazione con PIN – Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito – Disoccupazione e mobilità – Disoccupazione non agricola – Ordinaria requisiti ridotti.

Per l’accesso al servizio è sempre richiesta l’autenticazione tramite PIN rilasciato dall’Istituto (Cfr. Circolare n. 50 del 15 marzo 2011) oppure tramite CNS (Carta Nazionale dei Servizi) rilasciata da una Pubblica Amministrazione ai sensi del DPR 117/04 o da altro ente certificatore autorizzato.

Il servizio è strutturato in diverse sezioni che dovranno essere compilate a cura del cittadino richiedente.

Si precisa che, al termine della compilazione di ogni sezione, la procedura provvede a salvare la domanda negli archivi di sistema, in modo da consentire al richiedente la possibilità di intervenire sulla domanda stessa in momenti successivi e di inviarla all’INPS soltanto al momento della conferma finale. Fino a detta conferma, difatti, la domanda viene considerata “in bozza”.

Di seguito si riportano i principali contenuti delle diverse sezioni informative previste nell’iter di compilazione della domanda in esame.

Sezione Anagrafica

Questa sezione visualizza in automatico i dati anagrafici in possesso dell’Istituto. Il cittadino, in caso di dati anagrafici incompleti e/o errati, può intervenire per la loro correzione; ha inoltre la possibilità di variare la residenza e/o il domicilio ove ricevere comunicazioni.

Sezione Situazione lavorativa dell’anno di riferimento

Questa sezione offre all’interessato la possibilità di inserire i rapporti di lavoro svolti nel corso dell’anno di riferimento e cioè dell’anno solare precedente a quello di presentazione della domanda e non presenti in estratto conto.

Sezione Lista Eventi dell’anno di riferimento

Questa sezione dovrà essere compilata a cura dell’interessato nel caso in cui si siano verificati eventi che influiscono sulla liquidazione della indennità di disoccupazione (malattia, maternità o altro).

Sezione Compilazione domanda

Questa sezione consente di completare l’acquisizione della domanda e di procedere all’invio della stessa.

Inoltre è possibile acquisire i dati relativi alla composizione del nucleo familiare e al reddito da esso prodotto al fine di chiedere, contestualmente alla prestazione di disoccupazione, la corresponsione degli ANF (Assegni al Nucleo Familiare).

Infine in questa sezione l’utente può allegare alla domanda l’eventuale documentazione ritenuta utile, precedentemente digitalizzata tramite scanner (es. Copia buste paga, contratti di lavoro etc. ).

Terminata la fase di acquisizione e dopo aver inviato telematicamente la domanda il cittadino ha la possibilità di stampare:

– la ricevuta di presentazione della domanda protocollata;

– il modello DS21/Req. Rid. Telematico, che andrà conservato a cura dell’utente ma non presentato all’Istituto.

La domanda trasmessa telematicamente viene inserita negli archivi in stato “P” per consentire la verifica sia dei requisiti soggettivi che di quelli oggettivi da parte della Struttura INPS di competenza.

 

3. Presentazione della domanda di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti tramite Patronato.

La presentazione della domanda di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti può essere effettuata tramite Patronato secondo le modalità già in uso.

 

4. Presentazione della domanda di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti tramite Contact Center.

Il servizio è disponibile da Contact Center multicanale telefonando al Numero Verde 803. 164.

Per la presentazione della domanda di prestazione attraverso questa modalità è necessario che il cittadino sia munito di PIN dispositivo. Ciò gli permette di richiedere anche l’ANF e/o le detrazioni d’imposta per familiari a carico. L’operatore del Contact Center provvederà quindi ad acquisire anche i dati relativi a detta richiesta.

Nel caso in cui il cittadino non sia dotato di PIN dispositivo la domanda sarà considerata valida ai fini del rispetto del termine di presentazione. Contestualmente il cittadino verrà invitato a convertire il PIN in PIN dispositivo secondo le indicazioni fornite nella Circ. N. 50 del 15 marzo 2011. All’esito positivo di detta conversione, verificata mediante apposito batch automatico, la domanda verrà acquisita negli archivi di pagamento.

Per la richiesta degli eventuali ANF e/o delle detrazioni d’imposta per i familiari a carico l’operatore del Contact Center fornirà tutte le istruzioni necessarie.

Nel caso in cui il cittadino sia totalmente sprovvisto di PIN, l’operatore del Contact Center fornirà tutte le istruzioni necessarie per il completamento della domanda di prestazione, nonché per la richiesta degli eventuali ANF e/o delle detrazioni d’imposta per i familiari a carico.

 

5. Istruzioni procedurali.

L’operatore di sede provvederà al caricamento delle domande dalla procedura DSWEB prelevandole dal link “Domande via Internet” posto sulla barra delle applicazioni.

Le domande telematiche di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti saranno evidenziate nella procedura con la seguente numerazione:

– dal 980001 al 989999 quelle direttamente da Cittadino;

– dal 891000 al 894999 quelle da Contact Center senza PIN (numerazione utilizzata anche per gli altri tipi di domanda di prestazione inoltrati con questa modalità);

– dal 990000 al 999999 quelle da Contact Center con PIN;

– dal 900000 al 979999 quelle da Patronato.

L’operatore della struttura INPS territorialmente competente dovrà gestire le domande degli utenti, trasmesse tramite Contact Center, come domande da sportello virtuale del cittadino.

La consultazione degli allegati alla domanda è a disposizione degli operatori di sede al link intranet Sistema Unico (nella pagina Processi – Prestazioni a sostegno del reddito), nella sezione “Domande PSR”.

La consultazione della richiesta di ANF è a disposizione degli operatori di Sede al link intranet Gestione dei Modelli ANF – PREST (nella pagina Processi – Prestazioni a sostegno del reddito).

 

6. Monitoraggio delle domande.

Nel portale Intranet, nella pagina Processi – Prestazioni a sostegno del reddito – Statistiche, analogamente a quanto disponibile per l’indennità di disoccupazione ordinaria con requisiti normali, è in corso di sviluppo la funzione di monitoraggio, che permetterà di effettuare sia analisi statistiche che verifiche sulla funzionalità del sistema relativamente alle domande di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti pervenute per via telematica.

 

IMU 2012: CODICI TRIBUTO IN F24

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Modalità e termini di versamento per la nuova imposta municipale propria sugli immobili introdotta in via sperimentale dall’art. 13 del c. D. Decreto Monti (DL n. 201/2011).

L’Agenzia delle Entrate ha individuato le modalità di versamento dell’IMU, mediante il modello F24, e le informazioni che dovranno essere trasmesse telematicamente ai comuni per la gestione dell’imposta.

A tal fine sono stati aggiornati, con due provvedimenti, i modelli F24 e F24 Accise (il cui utilizzo sarà obbligatorio dal 1° giugno 2013) mentre la risoluzione n. 35/E ha istituito i codici tributo necessari per il versamento.

Modalità e termini di versamento per la nuova imposta municipale propria sugli immobili introdotta in via sperimentale dall’art. 13 del c. D. Decreto Monti (DL n. 201/2011).

L’Agenzia delle Entrate ha individuato le modalità di versamento dell’IMU, mediante il modello F24, e le informazioni che dovranno essere trasmesse telematicamente ai comuni per la gestione dell’imposta.

A tal fine sono stati aggiornati, con due provvedimenti, i modelli F24 e F24 Accise (il cui utilizzo sarà obbligatorio dal 1° giugno 2013) mentre la risoluzione n. 35/E ha istituito i codici tributo necessari per il versamento dell’imposta, inclusi gli interessi e le sanzioni in caso di ravvedimento.

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