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sabato 13 Dicembre 2025
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Trust americano con beneficiari italiani: chiarimenti ADE su trasparenza fiscale e tassazione

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In un contesto fiscale sempre più complesso e globale, il trattamento dei trust esteri con beneficiari residenti in Italia rappresenta uno degli argomenti più dibattuti e delicati tra i professionisti del settore. Con la Risposta all’interpello n. 239 del 2025, l’Agenzia delle Entrate torna a fare chiarezza su un caso specifico: un trust americano istituito con modalità proprie del sistema giuridico statunitense, in cui i beneficiari sono tutti residenti fiscalmente in Italia.

Questa risposta è destinata a diventare un punto di riferimento importante per chi si trova coinvolto in strutture estere simili, sia per ragioni familiari che di pianificazione patrimoniale. La questione centrale riguarda l’applicazione delle norme fiscali italiane a strumenti giuridici stranieri: quando un trust è considerato “interposto”? Quando diventa “trasparente” ai fini fiscali? E, soprattutto, quali sono le implicazioni fiscali alla morte del disponente?

Attraverso questo articolo analizzeremo in dettaglio le caratteristiche del trust americano oggetto dell’interpello, i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, le implicazioni pratiche e fiscali per i beneficiari residenti in Italia e infine, le opportunità e i rischi legati a questo tipo di pianificazione patrimoniale internazionale.

Risposta n. 239/2025

Nel caso analizzato dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 239/2025, i soggetti istanti sono persone fisiche residenti in Italia, beneficiari finali di un trust statunitense istituito in California da un disponente – cittadino americano – che ha rivestito, fino alla propria morte, anche il ruolo di trustee e primo beneficiario del trust stesso. Alla morte del disponente, il trust ha mutato natura: da Grantor Trust, considerato fiscalmente “interposto” secondo il diritto statunitense (e quindi attribuibile al disponente), è divenuto un Non-Grantor Trust, ossia un trust che gestisce e detiene i beni autonomamente, con opacità fiscale negli USA.

Gli istanti si sono rivolti all’Agenzia non per chiarimenti in merito alla fiscalità diretta o indiretta del trust, né per quanto riguarda gli obblighi di monitoraggio fiscale (quali IVIE, IVAFE o quadro RW), ma per ottenere un parere specifico sulla qualificazione del trust ai fini dell’imposizione diretta italiana.

In altri termini: il trust deve essere considerato opaco, trasparente o interposto ai sensi del diritto tributario italiano, dopo la morte del disponente?

La valutazione si è basata sull’art. 73 del TUIR (D.P.R. 917/1986), che distingue tra:

  • trust trasparenti, in cui il reddito è direttamente imputato ai beneficiari individuati;

  • trust opachi, in cui il reddito è imputato e tassato in capo al trust stesso;

  • trust interposti, cioè strutture fittizie usate per eludere l’imposizione fiscale.

L’Agenzia ha anche fatto riferimento alla Convenzione dell’Aja del 1985, ratificata in Italia con la Legge n. 364/1989, per valutare la validità della struttura secondo il diritto internazionale privato.

Trust non interposto e trasparente

Nella sua risposta, l’Agenzia delle Entrate ha effettuato una valutazione dettagliata della configurazione giuridica del trust post-mortem, basandosi sia sull’atto istitutivo, sia sulle condizioni operative del trustee subentrato. L’elemento chiave che ha portato all’esclusione della natura interposta del trust è stato l’accertamento dell’effettiva autonomia gestionale del nuovo trustee e della mancanza di legami personali o professionali con i beneficiari italiani.

Il trustee, secondo le clausole del trust, possiede ampi poteri gestori: può vendere, affittare, investire e perfino concedere prestiti sui beni in trust, agendo in piena indipendenza. Inoltre, le modalità di distribuzione dei redditi e del patrimonio sono già predeterminate nell’atto istitutivo, senza alcuna discrezionalità da parte del trustee sul “se” o “quanto” distribuire. Questo punto è centrale: secondo l’Agenzia, l’assenza di margine discrezionale sul diritto dei beneficiari alle distribuzioni rende la struttura fiscalmente trasparente.

Il trust è quindi trasparente, perché i beneficiari sono:

  • chiaramente individuati;

  • titolari di un diritto soggettivo alla percezione dei redditi e del patrimonio del trust;

  • dotati di una capacità contributiva attuale, in quanto il loro diritto non è potenziale né condizionato.

Ai sensi dell’art. 73, comma 2, del TUIR, in presenza di un trust trasparente, i redditi prodotti dal trust sono imputati e tassati direttamente in capo ai beneficiari, in proporzione alla quota loro spettante.

L’Agenzia ricorda che la trasparenza non si basa solo sull’individuazione anagrafica del beneficiario, ma sul fatto che esista un diritto esigibile alla percezione del reddito, condizione che nel caso specifico è pienamente soddisfatta.

Implicazioni fiscali 

La qualificazione del trust americano come trasparente comporta conseguenze fiscali dirette e significative per i beneficiari residenti in Italia. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 73, comma 2, del TUIR, in presenza di un trust trasparente i redditi non sono tassati in capo al trust, ma vengono imputati direttamente ai beneficiari individuati, in proporzione alla quota loro spettante.

Questo implica che:

  • ogni beneficiario italiano è tenuto a dichiarare nella propria dichiarazione dei redditi la quota di proventi (di qualsiasi natura) generati dal trust;

  • tali redditi sono soggetti alla tassazione ordinaria IRPEF, secondo gli scaglioni di reddito del beneficiario, senza alcun regime agevolato;

  • anche se i redditi non vengono effettivamente distribuiti dal trustee, essi sono comunque fiscalmente rilevanti, poiché il diritto a riceverli è certo e attuale.

Un aspetto fondamentale è che la capacità contributiva principio cardine del sistema tributario italiano, si ritiene realizzata non al momento della percezione materiale dei redditi, ma nel momento in cui il beneficiario acquisisce il diritto giuridico a riceverli. Da ciò deriva la tassazione “per trasparenza”, indipendentemente dall’effettiva distribuzione.

Per evitare contestazioni e sanzioni, i beneficiari devono quindi prestare particolare attenzione all’esatta determinazione delle quote di partecipazione, verificando attentamente i documenti del trust e le comunicazioni ricevute dal trustee.

Trust trasparente, opaco o interposto

Per determinare il corretto trattamento fiscale di un trust estero con beneficiari italiani, è fondamentale comprendere le differenze tra trust trasparente, opaco e interposto, sulla base della normativa italiana (art. 73 del TUIR) e della prassi consolidata dell’Agenzia delle Entrate.

  • Trust trasparente: si ha quando i beneficiari sono nominativamente individuati e hanno diritto attuale e certo a ricevere il reddito. In questo caso, il trust è considerato un mero strumento di gestione e i redditi prodotti vengono imputati direttamente ai beneficiari, indipendentemente dalla distribuzione materiale. Questo è il caso del trust analizzato nella Risposta 239/2025.

  • Trust opaco: si ha quando il trust produce redditi ma i beneficiari non sono identificati oppure non hanno un diritto attuale a riceverli. In tale situazione, il trust è soggetto passivo d’imposta e paga le tasse in autonomia in Italia, come se fosse un ente autonomo.

  • Trust interposto: è un’ipotesi patologica in cui il trust è solo formalmente esistente, ma in sostanza non svolge una reale funzione di separazione patrimoniale. Tipicamente si tratta di trust in cui il disponente o i beneficiari esercitano un controllo totale sui beni o sul trustee, rendendo la struttura inefficace e potenzialmente elusiva. In questi casi, i redditi si imputano direttamente al disponente o ai beneficiari, a seconda delle circostanze.

Nella risposta n. 239/2025, l’Agenzia ha chiarito che il trust americano in oggetto non è interposto, perché il trustee agisce con piena autonomia e i beneficiari non esercitano alcuna influenza sulla gestione. Di conseguenza, in presenza di beneficiari individuati e con diritto certo ai redditi, la struttura è trasparente ai fini fiscali italiani.

Queste distinzioni sono fondamentali per impostare correttamente strategie di pianificazione patrimoniale internazionale, evitando il rischio di riqualificazioni fiscali e relative sanzioni.

Obblighi dichiarativi e rischi fiscali 

La qualificazione di un trust estero come trasparente ai fini fiscali italiani impone ai beneficiari residenti in Italia una serie di obblighi dichiarativi e comportamentali da non sottovalutare. Come indicato dall’Agenzia delle Entrate, i redditi del trust devono essere inclusi nella dichiarazione dei redditi annuale (modello Redditi PF) dei beneficiari, anche se non ancora effettivamente percepiti.

Questo comporta che:

  • I beneficiari devono ottenere dal trustee una rendicontazione dettagliata dei redditi prodotti dal trust nel periodo d’imposta;

  • Devono conoscere la propria quota di partecipazione al reddito, per calcolare correttamente l’imposta dovuta;

  • Devono verificare l’eventuale presenza di redditi di fonte estera soggetti a regole particolari (come il credito d’imposta per imposte pagate all’estero, art. 165 TUIR).

In assenza di distribuzione effettiva, è frequente che i beneficiari italiani non siano nemmeno consapevoli dell’obbligo di dichiarazione, con il rischio di:

  • accertamenti fiscali retroattivi;

  • sanzioni per omessa dichiarazione di redditi esteri;

  • obblighi integrativi in caso di trust dotati di attività patrimoniali estere soggette a monitoraggio fiscale (quadro RW).

Per evitare questi rischi, è essenziale instaurare un rapporto chiaro con il trustee e farsi assistere da un consulente fiscale esperto in materia di fiscalità internazionale dei trust, in modo da:

  • identificare con precisione i flussi reddituali imputabili;

  • compilare correttamente il quadro RH e/o RW;

  • valutare eventuali operazioni di regolarizzazione fiscale spontanea, ove necessario.

Pianificazione patrimoniale

L’utilizzo di un trust estero, come nel caso del trust americano istituito in California, può rappresentare una valida soluzione di pianificazione patrimoniale, specialmente in contesti familiari internazionali, per proteggere beni, garantire la successione generazionale e mantenere il controllo su determinati asset. Tuttavia, la presenza di beneficiari residenti fiscalmente in Italia apre una serie di criticità che non possono essere trascurate, soprattutto sotto il profilo della trasparenza fiscale e del monitoraggio degli asset esteri.

Uno dei vantaggi principali del trust è la separazione giuridica tra i beni conferiti nel trust e il patrimonio personale del disponente, il che può offrire protezione contro rischi patrimoniali, successioni conflittuali o incapacità future. Inoltre, se correttamente strutturato, può assicurare continuità gestionale e fiscale anche in caso di decesso del disponente.

Tuttavia, dal punto di vista fiscale italiano, è essenziale che:

  • la struttura del trust sia chiara e ben documentata;

  • i poteri del trustee siano effettivamente esercitati in modo indipendente;

  • i beneficiari siano formalmente e sostanzialmente distinti dal trustee e dal disponente, per evitare contestazioni di interposizione.

Nel caso specifico analizzato dall’Agenzia, la presenza di beneficiari italiani con diritto certo ai redditi, insieme alla mancanza di poteri discrezionali del trustee, ha determinato la trasparenza fiscale del trust. Questa trasparenza, se ben gestita, consente ai contribuenti di operare in modo pienamente legale, ma richiede accurata attenzione agli obblighi dichiarativi e una pianificazione integrata tra le normative dei diversi Paesi coinvolti.

In sintesi, il trust può essere un ottimo strumento, ma solo se è gestito con rigore tecnico e legale, evitando improvvisazioni o strutture “di comodo” che possono esporre i beneficiari a verifiche e pesanti sanzioni.

Convenzione dell’Aja del 1985

Un elemento giuridico fondamentale nella valutazione dei trust esteri, come quello americano oggetto dell’interpello 239/2025 è rappresentato dalla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, relativa alla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento, ratificata dall’Italia con la Legge n. 364 del 16 ottobre 1989.

Questa convenzione ha reso possibile, anche per ordinamenti di tipo civil law come quello italiano (dove il trust non è una figura nativa), il riconoscimento formale dei trust costituiti secondo leggi straniere (common law). In particolare, l’articolo 6 della Convenzione stabilisce che il trust è regolato dalla legge scelta dal disponente, che ne determina effetti, struttura, poteri del trustee e diritti dei beneficiari.

Nel caso in esame, il trust è stato costituito in California, e quindi regolato dalla normativa statunitense. In virtù della Convenzione, l’Italia riconosce pienamente la validità giuridica del trust, purché la struttura sia documentata in modo adeguato e non contrasti con l’ordine pubblico.

Tuttavia, il riconoscimento giuridico non implica automaticamente l’equiparazione fiscale: spetta all’Agenzia delle Entrate interpretare la natura e gli effetti fiscali del trust, alla luce delle regole italiane. Ecco perché è essenziale, come nel caso dell’interpello 239/2025, valutare se il trust sia opaco, trasparente o interposto, indipendentemente dalla sua validità giuridica.

La Convenzione, quindi, apre la porta alla legittimità dei trust esteri in Italia, ma è la normativa fiscale interna in primis l’art. 73 del TUIR a stabilire come questi strumenti vengano tassati e quale sia il regime applicabile ai beneficiari italiani.

Vantaggi fiscali

Nonostante l’apparente rigidità del fisco italiano nei confronti dei trust esteri, è importante evidenziare che, se correttamente strutturato e gestito, un trust trasparente con beneficiari residenti in Italia può offrire vantaggi fiscali concreti e del tutto legittimi, soprattutto in un’ottica di pianificazione patrimoniale e successoria.

Uno dei primi vantaggi è la possibilità di evitare l’imposizione successoria immediata alla morte del disponente. Infatti, in molti ordinamenti esteri (tra cui gli USA), il passaggio dei beni dal disponente al trust alla sua morte non comporta l’apertura di una successione nel senso tradizionale italiano, poiché il patrimonio è già segregato.

Questo può significare:

  • nessuna applicazione immediata dell’imposta di successione in Italia, salvo che i beni siano situati in Italia o che il trust venga considerato fiscalmente rilevante;

  • possibilità di diluire nel tempo la distribuzione dei beni e dei redditi, permettendo una pianificazione più efficiente della tassazione IRPEF per i beneficiari.

Inoltre, nel caso di trust trasparenti, è possibile per i beneficiari italiani fruire del credito d’imposta per imposte eventualmente pagate all’estero sui redditi del trust, evitando la doppia imposizione (art. 165 TUIR). Questo è particolarmente utile per trust che generano redditi da fonti estere soggette a tassazione nel Paese di origine.

Altro vantaggio indiretto, ma strategico, è che il trust consente di:

  • centralizzare la gestione patrimoniale, evitando frammentazioni tra eredi;

  • proteggere gli asset da aggressioni di terzi, specie se il trustee è indipendente;

  • preservare la riservatezza rispetto al contenuto e alla destinazione del patrimonio, nei limiti consentiti dalla normativa sul monitoraggio fiscale (quadro RW).

Attenzione però: tutti questi vantaggi sono fruibili solo se la struttura è conforme alle regole italiane, fiscalmente trasparente e ben documentata. In caso contrario, il rischio di contestazioni e riqualificazioni è elevato.

Conclusione

Il caso trattato dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 239/2025 rappresenta un esempio concreto di come le autorità fiscali italiane stiano affrontando, con crescente attenzione e precisione, le complesse interazioni tra strumenti giuridici esteri e la normativa tributaria nazionale.

La qualificazione di un trust americano come “trasparente” ai fini dell’imposizione italiana, in presenza di beneficiari individuati residenti in Italia, ha un impatto rilevante non solo sotto il profilo fiscale ma anche nella gestione del patrimonio familiare.

In particolare, conferma che:

  • non sempre i trust esteri sono visti con sospetto dall’amministrazione finanziaria;

  • il riconoscimento della struttura è possibile, purché essa rispetti i principi di autonomia gestionale, chiarezza nei diritti dei beneficiari e coerenza giuridica;

  • la trasparenza fiscale, se ben compresa e gestita, non è necessariamente un ostacolo, ma può essere uno strumento di pianificazione fiscale legittima e vantaggiosa.

Resta fondamentale il ruolo del professionista, sia in fase di strutturazione che di monitoraggio continuo, per evitare errori dichiarativi, omissioni o riqualificazioni dannose. Una gestione errata può comportare rilevanti conseguenze sanzionatorie, mentre una corretta impostazione garantisce compliance, protezione patrimoniale e ottimizzazione fiscale.

In un’epoca di crescente trasparenza e cooperazione tra amministrazioni fiscali internazionali, il trust estero non è più una zona grigia, ma uno strumento potente, a patto che sia utilizzato con competenza, documentazione adeguata e rispetto delle regole italiane.

Conto Termico 3.0: incentivi 2025 per reti di teleriscaldamento e teleraffreddamento

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Con l’entrata in vigore del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) del 4 agosto 2025, il Conto Termico si rinnova e diventa Conto Termico 3.0, segnando un importante passo avanti nella promozione dell’efficienza energetica e dell’uso delle fonti rinnovabili. Il nuovo decreto non è un semplice aggiornamento normativo: rappresenta una vera e propria strategia di decarbonizzazione e modernizzazione del sistema energetico nazionale, inserendosi pienamente nel quadro degli obiettivi europei al 2030 e 2050.

Tra le principali novità, spiccano l’allargamento dei soggetti ammessi agli incentivi, la semplificazione delle procedure di accesso e soprattutto la nuova attenzione dedicata alle reti di teleriscaldamento e teleraffreddamento, considerate infrastrutture strategiche per ridurre le emissioni e migliorare l’efficienza dei consumi energetici degli edifici pubblici e privati.

Il nuovo articolo 1 del decreto fissa con chiarezza gli obiettivi del Conto Termico 3.0: favorire l’efficienza energetica degli edifici, l’innovazione tecnologica, la valorizzazione delle fonti rinnovabili, nonché la diffusione di reti intelligenti in grado di gestire energia termica in modo sostenibile.

Incentivi mirati

Il Conto Termico 3.0 introduce importanti novità per le reti di teleriscaldamento e teleraffrescamento, potenziando gli incentivi per interventi che promuovono l’efficienza e l’utilizzo delle fonti rinnovabili. Il nuovo articolo 8 del decreto, in particolare ai commi 1 lett. c) e d), individua esplicitamente due categorie di interventi ammissibili: la sostituzione di impianti esistenti con generatori a biomassa ad alta efficienza, eventualmente combinati con pompe di calore, e l’installazione di impianti solari termici, anche integrati con sistemi di solar cooling, destinati sia a processi produttivi che all’alimentazione delle reti.

Una regola fondamentale introdotta per impianti con potenza superiore a 200 kW o per campi solari superiori a 100 m² è l’obbligo di contabilizzazione del calore, elemento essenziale per garantire trasparenza, tracciabilità e monitoraggio dei consumi energetici.

L’obiettivo di fondo è duplice: da un lato si vuole incentivare la decarbonizzazione delle reti, premiando soluzioni a basso impatto ambientale e basate su energie rinnovabili; dall’altro si punta a sostenere le imprese e i soggetti pubblici che investono in autonomia energetica, contribuendo alla resilienza dei territori.

Le sfide per i professionisti del settore non sono poche: oltre alla scelta delle tecnologie e alla gestione dei requisiti tecnici, si sommano le complessità amministrative, soprattutto nei casi in cui siano coinvolti più soggetti o forme aggregate (come consorzi e reti d’impresa).

Le disposizioni generali del decreto (artt. 4, 7, 10, 11, 14, 15 e 18) delineano con chiarezza i criteri di accesso, l’intensità dell’incentivo (fino al 65%, 100% per i piccoli Comuni), le modalità di accesso (diretto o prenotazione) e gli adempimenti documentali, come la diagnosi energetica e l’APE.

Soggetti ammessi, modalità e incentivi

Uno degli elementi di maggiore interesse del Conto Termico 3.0 è la semplificazione delle modalità di accesso e la possibilità estesa di partecipazione da parte di una vasta gamma di soggetti. Rispetto alla precedente versione del 2016, il nuovo decreto amplia il perimetro degli aventi diritto includendo, oltre alle amministrazioni pubbliche, anche privati operanti in ambito residenziale e terziario, imprese, ESCo (Energy Service Company) e enti del Terzo Settore. Particolare attenzione è rivolta alle forme aggregate, come reti di imprese e consorzi, che possono candidarsi per interventi complessi su scala territoriale.

Per essere considerati ammissibili, gli interventi devono rispettare le condizioni dell’art. 10: è indispensabile che gli edifici coinvolti siano già dotati di un impianto di climatizzazione preesistente e che i nuovi apparecchi installati siano certificati, nuovi o ricondizionati, e conformi alle norme tecniche previste.

Gli incentivi economici, secondo l’art. 11, possono coprire fino al 65% delle spese ammissibili, con un’estensione al 100% per i Comuni con meno di 15.000 abitanti, agevolando così i piccoli enti locali spesso in difficoltà con la finanza pubblica. I contributi vengono erogati in forma rateizzata, con durate di 2 o 5 anni in base alla tipologia dell’intervento.

L’accesso alla misura avviene tramite il Portaltermico del GSE, scegliendo tra accesso diretto (entro 90 giorni dalla fine dei lavori) e prenotazione preventiva, riservata principalmente alla Pubblica Amministrazione e ai soggetti che si avvalgono di ESCo. I soggetti beneficiari devono inoltre adempiere a precisi obblighi documentali: diagnosi energetica, APE, fatture, ricevute e report da conservare per tutta la durata dell’incentivo e per i cinque anni successivi.

Teleriscaldamento e teleraffreddamento

Nel contesto della transizione energetica, le reti di teleriscaldamento e teleraffreddamento si affermano come infrastrutture strategiche per ridurre l’impatto ambientale degli edifici e aumentare l’efficienza nella gestione dell’energia termica. Il Conto Termico 3.0, attraverso i nuovi incentivi, rafforza in modo deciso questa visione, sostenendo la diffusione di impianti capaci di distribuire calore o freddo da fonti rinnovabili o residui di processi industriali, evitando l’utilizzo diretto di combustibili fossili in ogni singolo edificio.

Il vantaggio principale di queste reti è la loro capacità di servire contemporaneamente più edifici o strutture, centralizzando la produzione e migliorando la gestione energetica, con minori perdite, costi più contenuti e un notevole taglio alle emissioni di CO₂. Inoltre, le reti possono essere alimentate da impianti a biomassa, pompe di calore geotermiche, solare termico o anche da recupero di calore da impianti industriali o da processi di cogenerazione.

L’investimento in una rete di teleriscaldamento, anche a livello comunale o intercomunale, può oggi contare su incentivi fino al 100%, rendendolo particolarmente vantaggioso per i piccoli Comuni e per le aree montane o rurali, spesso escluse dalle grandi infrastrutture energetiche.

Dal punto di vista fiscale, la realizzazione di una rete efficiente può inoltre rientrare in progetti di riqualificazione energetica edilizia e beneficiare di ulteriori detrazioni o agevolazioni locali, oltre che contribuire alla valorizzazione del patrimonio immobiliare.

Criticità operative e sfide 

Nonostante i numerosi vantaggi previsti dal Conto Termico 3.0, la sua attuazione pratica presenta ancora diverse criticità che coinvolgono tanto il settore pubblico quanto quello privato. In particolare, le difficoltà maggiori emergono nella gestione della documentazione tecnica, nella corretta redazione delle diagnosi energetiche e nella predisposizione delle richieste di incentivo secondo i rigidi criteri stabiliti dal decreto.

Per le Pubbliche Amministrazioni, soprattutto quelle di piccole dimensioni, l’accesso al portale GSE e la gestione delle prenotazioni preventive possono risultare complicati, anche a causa della carenza di personale tecnico interno o dell’assenza di una struttura dedicata all’efficienza energetica. In questi casi, il ricorso a ESCo o consulenti esterni diventa quasi obbligato, ma comporta costi aggiuntivi e la necessità di saper selezionare partner affidabili.

Le imprese e i privati, invece, devono confrontarsi con la complessità della normativa tecnica, la necessità di garantire certificazioni aggiornate degli impianti, e l’obbligo di tracciabilità delle spese per tutta la durata dell’incentivo, più i cinque anni successivi. Errori formali o documentazione incompleta possono portare alla revoca totale o parziale degli incentivi, con conseguenze economiche rilevanti.

Inoltre, in caso di progetti che coinvolgano reti di teleriscaldamento e più edifici, diventa fondamentale assicurare un coordinamento preciso tra tutti i soggetti coinvolti: progettisti, installatori, beneficiari, enti locali, GSE. Una mancanza di sinergia può causare ritardi o inammissibilità della domanda.

Conto Termico 3.0

Il nuovo Conto Termico 3.0 non è soltanto uno strumento di incentivazione energetica, ma può essere considerato a tutti gli effetti un motore di sviluppo economico territoriale, soprattutto per le aree più svantaggiate o periferiche. Gli interventi previsti dal decreto – in particolare quelli relativi a reti di teleriscaldamento alimentate da fonti rinnovabili – rappresentano un’opportunità concreta per rilanciare l’economia locale, valorizzare le risorse naturali e creare occupazione qualificata nel settore green.

Per i piccoli Comuni, i consorzi e le comunità energetiche, questa misura può tradursi in un investimento a costo zero grazie alla copertura fino al 100% delle spese. Un’occasione rara, che permette non solo di migliorare l’efficienza energetica del patrimonio edilizio, ma anche di ridurre drasticamente le bollette pubbliche e private, liberando risorse da reinvestire in altri ambiti.

In chiave fiscale, gli interventi finanziati dal Conto Termico 3.0 possono essere combinati con altre agevolazioni, come il Superbonus (se ancora applicabile in determinate circostanze), il Bonus Ristrutturazioni o incentivi regionali, in una logica di integrazione intelligente delle misure disponibili.

Infine, c’è un impatto non trascurabile in termini di aumento del valore degli immobili e di attrattività dei territori, elementi che possono fare la differenza anche dal punto di vista urbanistico e turistico. La sfida ora è saper cogliere queste opportunità, evitando che restino sulla carta.

Reti intelligenti, digitalizzazione e innovazione

Uno degli aspetti più innovativi introdotti dal Conto Termico 3.0 riguarda la valorizzazione delle reti intelligenti (“smart grids”) e delle tecnologie digitali applicate alla gestione dell’energia termica. Questa evoluzione segna un passaggio cruciale: da semplici impianti di riscaldamento o raffreddamento si passa a sistemi integrati, dinamici e interconnessi, capaci di ottimizzare consumi, ridurre sprechi e rispondere in tempo reale alla domanda energetica.

Le reti di teleriscaldamento e teleraffrescamento diventano così veri e propri nodi centrali di un ecosistema energetico intelligente, in cui la produzione e la distribuzione di calore sono regolate da algoritmi, sensori e strumenti di monitoraggio avanzati. Questo consente una maggiore efficienza operativa, ma anche una trasparenza assoluta nella contabilizzazione del calore, obbligatoria per gli impianti sopra le soglie stabilite dal decreto (200 kW o 100 m²).

L’integrazione con le comunità energetiche rinnovabili (CER) è un altro punto strategico. Il decreto non lo disciplina in modo diretto, ma apre scenari interessanti per lo sviluppo di modelli collaborativi di produzione e consumo termico, in cui cittadini, imprese e PA condividono benefici e investimenti.

Infine, la spinta all’innovazione tecnologica favorisce la diffusione di soluzioni avanzate come il solar cooling, la geotermia a bassa entalpia, i sistemi ibridi e le micro-reti locali, trasformando il settore energetico in un terreno fertile per startup, aziende tecnologiche e professionisti specializzati.

Conclusioni

Il Conto Termico 3.0, come definito dal Decreto MASE del 4 agosto 2025, rappresenta oggi una delle misure più complete e strategiche a disposizione di imprese, pubbliche amministrazioni e privati per contribuire attivamente alla decarbonizzazione e alla transizione energetica del nostro Paese. L’incentivazione degli interventi su reti di teleriscaldamento e teleraffreddamento non è solo una scelta ambientale, ma un’opportunità di efficienza economica, sviluppo locale e innovazione tecnologica.

L’ampliamento dei soggetti ammessi, l’aumento delle percentuali di incentivo, l’attenzione per i piccoli Comuni e la spinta alla digitalizzazione rendono il nuovo Conto Termico uno strumento concreto e accessibile. Tuttavia, per cogliere davvero i benefici previsti, è essenziale affrontare con competenza e visione sia gli aspetti tecnici che quelli amministrativi.

Consulenza fiscale e tecnica qualificata diventa quindi fondamentale per tradurre le disposizioni normative in progetti reali e sostenibili. I professionisti del settore hanno oggi l’opportunità di accompagnare i propri clienti in percorsi virtuosi, contribuendo non solo al risparmio energetico, ma anche alla valorizzazione del patrimonio immobiliare e alla crescita economica del territorio.

Il momento è adesso: con le risorse disponibili, le regole chiare e il supporto degli incentivi, chi investe in efficienza e rinnovabili investe anche nel futuro.

Rimborsi spese nel regime forfettario: sono davvero imponibili? Analisi critica dell’articolo 54 del TUIR

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Chi lavora come libero professionista sa bene quanto possa essere complicato districarsi nel labirinto delle norme fiscali italiane. Uno dei temi più dibattuti degli ultimi mesi riguarda la tassabilità dei rimborsi spese analitici percepiti dai lavoratori autonomi, in particolare da coloro che operano in regime forfettario. A seguito delle modifiche normative intervenute nel 2024 e ulteriormente aggiornate con il Decreto Legge 17 giugno 2025, n. 84, la disciplina sembrava finalmente orientata verso una maggiore equità fiscale. Tuttavia, rimangono aperti dubbi interpretativi rilevanti, in particolare per i professionisti forfettari che si trovano a dover riaddebitare spese vive al proprio cliente, senza però godere di un’esenzione chiara e definitiva sull’imponibilità di tali rimborsi.

La questione ha importanti implicazioni pratiche e teoriche: è corretto far pagare imposte su un rimborso che non rappresenta un reddito vero e proprio, ma solo una mera restituzione di una spesa sostenuta nell’interesse del committente? Oppure siamo davanti all’ennesimo vuoto normativo che colpisce ancora una volta i piccoli professionisti?

In questo articolo analizzeremo criticamente le argomentazioni pro e contro la tassabilità dei rimborsi, con un focus sui lavoratori in regime forfettario, esaminando la normativa, le prassi e i dubbi applicativi più rilevanti, per cercare di fare chiarezza su una delle questioni fiscali più controverse del 2025.

Cosa dice la normativa

Prima di addentrarci nella questione della tassabilità dei rimborsi spese analitici per i lavoratori autonomi in regime forfetario, è necessario chiarire un punto fondamentale: il regime forfetario non rappresenta una categoria reddituale autonoma. Chi aderisce a questo regime continua a produrre reddito d’impresa o di lavoro autonomo, così come definito dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.). L’articolo 1, comma 54 della Legge n. 190/2014, infatti, stabilisce che i contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni possono applicare il regime forfetario, ma non ne modifica la qualificazione reddituale.

Quello che cambia, semmai, è il metodo di calcolo dell’imponibile: si applica una percentuale di redditività sui ricavi o compensi, senza possibilità di dedurre le spese effettivamente sostenute. Tuttavia, ciò non influisce sulla natura del compenso, che continua a essere determinato secondo le regole generali, come stabilito dall’art. 54 del T.U.I.R. In questo senso, anche per i contribuenti in regime forfetario, non tutti gli importi ricevuti costituiscono reddito imponibile.

L’art. 54, comma 2, lettera b) esclude espressamente dal reddito di lavoro autonomo i rimborsi analiticamente documentati e sostenuti per l’esecuzione di un incarico. Non vi è alcuna indicazione che tale norma si applichi solo ai soggetti in regime ordinario. Anzi, nella stessa disposizione si trovano altre esclusioni, come quelle relative ai contributi previdenziali addebitati al cliente, che nessuno ha mai messo in discussione in relazione alla loro validità per i contribuenti forfetari. Dunque, l’interpretazione letterale e sistematica della norma suggerisce che anche i lavoratori autonomi forfetari dovrebbero beneficiare della non imponibilità dei rimborsi analitici.

Interpello sul bollo

Una delle argomentazioni spesso richiamate per sostenere la tassabilità dei rimborsi spese analitici nel regime forfetario riguarda la risposta a interpello n. 428 del 2022. In tale occasione, l’Agenzia delle Entrate affermò che l’importo dell’imposta di bollo addebitata in fattura al cliente assume natura di ricavo o compenso, concorrendo così alla determinazione forfetaria del reddito.

Tuttavia, utilizzare questo orientamento per giustificare l’imponibilità dei rimborsi spese analitici documentati appare poco convincente e tecnicamente scorretto. La risposta dell’Agenzia, infatti, non si riferisce esclusivamente ai contribuenti forfetari, ma riguarda tutti coloro che emettono fatture non soggette a IVA (es. operazioni esenti ai sensi dell’art. 10 o escluse ex art. 15 del D.P.R. 633/1972). L’obbligo di applicare il bollo è quindi una regola generale, che prescinde dal regime fiscale adottato.

Ma il punto centrale è un altro: nel caso del bollo, si tratta di un costo proprio del prestatore del servizio, non di un onere sostenuto per conto del cliente. Lo chiarisce la stessa risposta n. 428: “l’obbligo di apporre il contrassegno sulle fatture è a carico del soggetto che le emette”. Si tratta quindi di un costo inerente all’attività del professionista, il quale, pur potendo riaddebitarlo in fattura, non cessa di esserne il soggetto passivo.

Al contrario, nei rimborsi spese analitici documentati, il professionista sostiene un costo in nome e per conto del cliente: si tratta di una spesa che non ha natura di compenso, e che, proprio per questo, è esclusa dal reddito secondo l’art. 54 del T.U.I.R. Pertanto, equiparare il bollo ai rimborsi analitici rappresenta un errore di inquadramento giuridico, che rischia di generare confusione e di giustificare, senza fondamento, una tassazione indebita a carico del professionista forfetario.

Disparità con gli imprenditori

Un’altra argomentazione avanzata per sostenere la tassabilità dei rimborsi analitici per i forfetari riguarda l’asserita disparità di trattamento che si verificherebbe tra lavoratori autonomi e imprenditori in regime forfetario. Secondo questa tesi, poiché la norma che esclude i rimborsi dal reddito è contenuta nella parte del T.U.I.R. riferita ai redditi di lavoro autonomo (art. 54), i soggetti che producono reddito d’impresa resterebbero esclusi da tale agevolazione. Pertanto, estenderne l’applicazione agli autonomi forfetari (e non agli imprenditori forfetari) creerebbe una disparità di trattamento non giustificata.

Tuttavia, questa osservazione non regge ad un’analisi più approfondita. L’ordinamento tributario italiano è pieno di differenze strutturali tra le due categorie reddituali. Le spese di rappresentanza, ad esempio, sono deducibili in misura diversa: fino all’1% dei compensi per i professionisti e fino all’1,5% dei ricavi (entro i 10 milioni di euro) per gli imprenditori. Anche la deducibilità degli immobili è trattata in modo differente: gli imprenditori possono ammortizzarli, mentre i lavoratori autonomi – salvo casi particolari – no.

Queste differenze, quindi, non sono una novità e non costituiscono di per sé una violazione del principio di equità fiscale. Al contrario, rispecchiano la diversità funzionale tra le due tipologie di reddito. Pretendere che una norma contenuta nel titolo del T.U.I.R. relativo al lavoro autonomo debba valere anche per gli imprenditori, o altrimenti essere disapplicata, sarebbe un errore interpretativo.

Dunque, l’argomento della presunta “disparità di trattamento” non è sufficiente a escludere l’applicabilità dell’art. 54 ai lavoratori autonomi in regime forfetario. Anzi, una corretta lettura sistematica e costituzionalmente orientata spinge nella direzione opposta: garantire la neutralità fiscale dei rimborsi analitici anche in presenza di regimi agevolati, quando questi non hanno natura reddituale.

Relazione tecnica e invarianza

Tra le argomentazioni più sottili ma spesso invocate per giustificare la tassabilità dei rimborsi analitici per i soli contribuenti forfetari, figura quella contenuta nella Relazione tecnica di accompagnamento al D. Lgs. 192/2024. Secondo questa lettura, poiché la relazione dichiara espressamente che la disposizione sull’esclusione dei rimborsi “non determina effetti rispetto a quanto già disposto a legislazione vigente”, se ne dovrebbe dedurre che la norma non può riguardare i forfetari, i quali invece avrebbero effettivamente un beneficio fiscale dalla sua applicazione. In effetti, per un contribuente forfetario, l’introduzione della norma comporterebbe un effetto concreto: l’eliminazione della tassazione su somme che non hanno natura di compenso, mentre precedentemente erano soggette a imposizione piena.

Tuttavia, se questo fosse stato davvero l’intento del legislatore – escludere i forfetari dall’ambito applicativo della norma – ci si aspetterebbe una esplicita previsione normativa o quantomeno una chiara precisazione nella Relazione stessa. Nulla di tutto ciò si trova nel testo legislativo o negli atti ufficiali. E, come ben insegna il principio “ubi lex voluit, dixit”, quando il legislatore ha voluto escludere esplicitamente qualcuno da una norma, lo ha fatto in modo chiaro.

Inoltre, la Relazione illustrativa alla legge delega n. 111/2023, che ha ispirato il decreto, chiarisce senza ambiguità che l’obiettivo del legislatore era superare la criticità per i lavoratori autonomi di dover considerare come compensi somme che in realtà sono spese sostenute per conto del committente. Tali spese sono descritte come “proprie del committente”, e la loro imposizione in capo al professionista viene vista come un’anomalia.

Un ulteriore aspetto da considerare è il contrasto di interessi tra professionista e committente, richiamato nella stessa Relazione. Questo meccanismo è considerato dal legislatore una garanzia contro possibili abusi: il committente non ha alcun interesse a rimborsare spese non realmente sostenute dal prestatore. Ed è evidente che tale contrasto non viene meno solo perché il lavoratore autonomo opera in regime forfetario. La ratio della norma, quindi, è valida anche per i forfetari, e anzi, sarebbe illogico escluderli proprio laddove la criticità da correggere si manifesta con maggiore forza, non potendo questi dedurre i costi.

In conclusione, l’argomento dell’invarianza finanziaria non appare sufficiente a negare l’applicazione della nuova disciplina ai lavoratori autonomi forfetari. La lettura sistematica della normativa, unita alla volontà espressa nella legge delega, porta invece a ritenere che l’esclusione dei rimborsi spese analitici dal reddito debba valere anche per loro.

Questione aperta e incertezza

Alla luce dell’analisi condotta finora, pare difficile sostenere in maniera convincente che l’art. 54, comma 2, lett. b) del T.U.I.R. non si applichi ai lavoratori autonomi forfetari. Le tre argomentazioni comunemente avanzate per escluderli – la risposta ad interpello sul bollo, la presunta disparità con gli imprenditori forfetari, e il principio di invarianza finanziaria – non reggono a un esame tecnico rigoroso.

L’unico elemento che potrebbe essere preso in seria considerazione è quello legato al possibile impatto, seppur limitato, sul gettito fiscale, che l’estensione dell’esclusione potrebbe comportare. Tuttavia, si tratta di un effetto numericamente contenuto: secondo le stime contenute nella Relazione tecnica, l’ammontare dei rimborsi spese documentati per i professionisti ordinari ammontava nel 2022 a circa 9,6 milioni di euro, e considerando che circa la metà delle partite IVA in Italia opera in regime forfetario, è evidente come l’eventuale perdita di gettito sia marginale, specie in relazione agli effetti positivi in termini di equità e neutralità fiscale.

D’altra parte, una lettura strettamente letterale dell’articolo 54 non offre alcuna base per escludere i forfetari. Non vi è traccia di un’esclusione esplicita, né elementi interpretativi sufficientemente solidi per affermarne una in via implicita. La stessa Relazione illustrativa alla legge delega n. 111/2023 evidenzia chiaramente che il legislatore ha inteso superare la criticità legata alla tassazione di spese che non rappresentano compensi, e non ha distinto, né in positivo né in negativo, tra forfetari e ordinari.

In questo scenario, l’assenza di un chiarimento ufficiale dell’Agenzia delle Entrate alimenta un clima di incertezza, che rischia di penalizzare ingiustamente i professionisti più piccoli. In attesa di tale intervento, non manca chi sostiene, legittimamente, che vi siano validi argomenti per escludere tali rimborsi dal reddito imponibile, anche nel regime forfetario. E laddove si dovesse aprire un contenzioso, non è da escludere che le Commissioni Tributarie possano riconoscere la fondatezza di tale impostazione, sulla base del principio di capacità contributiva e della corretta qualificazione del reddito.

Guida operativa 

In attesa di un chiarimento formale da parte dell’Agenzia delle Entrate, i lavoratori autonomi in regime forfetario si trovano davanti a un dilemma operativo di non poco conto: come trattare i rimborsi spese analitici documentati nelle proprie fatture? Includerli nel calcolo del reddito imponibile soggetto a imposta sostitutiva, oppure escluderli, ritenendo applicabile la nuova formulazione dell’art. 54, comma 2, lett. b), anche in ambito forfetario?

Dal punto di vista contabile, il forfetario non ha l’obbligo di distinguere tra costi deducibili e non deducibili, poiché il reddito imponibile viene determinato applicando il coefficiente di redditività ai compensi percepiti. Tuttavia, la questione diventa centrale quando nella fattura emessa dal professionista compare un importo per “spese anticipate” (es. viaggi, alloggio, trasferte), supportato da documentazione analitica ma intestata al prestatore e non al committente.

L’inserimento di tali importi nel totale fattura, come avviene di norma, determina un aumento del “compenso complessivo” che viene poi sottoposto a tassazione secondo le regole del regime forfetario. In assenza di una norma di esclusione specifica (come avviene invece per i contributi previdenziali addebitati in fattura), il rischio fiscale rimane aperto.

Alcuni professionisti adottano un’impostazione prudenziale: includono tutto nel reddito imponibile, rinunciando all’esclusione dei rimborsi, per evitare potenziali rilievi in sede di controllo. Altri, invece, sostengono anche con il supporto del proprio consulente fiscale che vi siano fondati motivi giuridici per escludere tali rimborsi, stante il tenore letterale della norma e i principi sistematici sopra analizzati. In questi casi, il documento fiscale viene integrato da una annotazione esplicita (“rimborso spese analitiche escluse dal reddito ai sensi dell’art. 54, c. 2, lett. b, T.U.I.R.”), accompagnata da un fascicolo documentale a supporto delle spese sostenute.

In mancanza di un orientamento uniforme, si impone la necessità di valutazioni caso per caso, in base al tipo di attività, all’entità delle spese rimborsate, e al rischio fiscale percepito dal contribuente. Ma è evidente che una situazione normativa così ambigua non è degna di un sistema fiscale moderno e orientato alla compliance.

Conclusioni

La questione della tassabilità dei rimborsi spese analitici per i lavoratori autonomi in regime forfetario si inserisce in un più ampio scenario di riforma fiscale che, seppur ambizioso nei principi, lascia ancora zone d’ombra operative di non poco conto. L’intervento normativo introdotto con l’art. 54, comma 2, lett. b) del T.U.I.R., così come riformulato dal D. Lgs. 192/2024 e integrato dal D.L. 84/2025, sembra chiaramente orientato a eliminare una distorsione impositiva storica, eppure l’Agenzia delle Entrate non ha ancora espresso una posizione ufficiale sulla sua applicabilità ai contribuenti forfetari.

L’analisi condotta dimostra che le principali argomentazioni avanzate per escludere i forfetari dal beneficio della non imponibilità non reggono ad un esame tecnico e sistematico. Tanto più che la legge delega sottolinea la necessità di superare la criticità fiscale legata all’assimilazione a compensi di somme che, nei fatti, sono meri rimborsi per spese sostenute nell’interesse del cliente.

In questo quadro, appare sempre più urgente un intervento chiarificatore dell’Amministrazione finanziaria, che possa uniformare le prassi applicative ed evitare contenziosi inutili. Fino ad allora, il professionista in regime forfetario dovrà valutare con attenzione il proprio comportamento, potendo però contare su solide basi normative per escludere i rimborsi documentati dal proprio reddito imponibile, adottando nel contempo cautele documentali e formali idonee a difendere la propria posizione in caso di accertamento.

Come spesso accade nel nostro sistema fiscale, in attesa della chiarezza normativa, a guidare l’azione quotidiana resta solo il buonsenso professionale.

Bonus Enasarco 2025: come ottenere contributi per asilo nido e scuola fino a 1.700 euro

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Dal 1° settembre al 31 dicembre 2025, gli iscritti attivi alla Fondazione Enasarco potranno presentare domanda per accedere a due importanti misure di welfare: il contributo per le spese di asilo nido e il bonus scolastico. Un’opportunità concreta per agenti e rappresentanti di commercio che intendono alleggerire le spese legate all’istruzione dei figli, in un momento economico in cui il supporto al reddito familiare è sempre più importante.

La misura rientra nel piano annuale di prestazioni assistenziali promosse da Enasarco e rappresenta una risposta concreta alle esigenze delle famiglie iscritte all’ente, soprattutto in vista della ripresa delle attività scolastiche. Si tratta di prestazioni a fondo perduto, concesse fino ad esaurimento del budget stanziato, per cui è fondamentale presentare la domanda nei tempi previsti.

Vedremo nel dettaglio chi può richiederlo, quali sono gli importi previsti, come fare domanda e quali documenti allegare, oltre ad analizzare i requisiti di reddito, le scadenze, e alcuni consigli pratici per aumentare le possibilità di ottenere il bonus.

Bonus Asilo Nido Enasarco 2025

Il Bonus Asilo Nido Enasarco 2025 è una misura di sostegno economico rivolta alle famiglie degli agenti di commercio iscritti alla Fondazione, che abbiano sostenuto spese per la frequenza all’asilo nido dei figli nel periodo compreso tra il 1° settembre 2024 e il 31 luglio 2025. L’iniziativa rientra nelle prestazioni assistenziali integrative offerte dall’ente, con un budget complessivo di 750.000 euro, destinato fino a esaurimento fondi.

La prestazione può essere richiesta esclusivamente per i figli fino a 3 anni di età, che abbiano frequentato scuole dell’infanzia pubbliche o private (purché parificate o legalmente riconosciute). Nel caso in cui entrambi i genitori siano iscritti Enasarco, il contributo viene riconosciuto una sola volta.

Requisiti per l’accesso

Alla data di presentazione della domanda è necessario:

  • essere agenti in attività con almeno un mandato di agenzia attivo;

  • avere un’anzianità contributiva di almeno 1 anno nel biennio 2023–2024, con contributi obbligatori non inferiori al minimale.

Inoltre, verrà data priorità alle domande corredate da modello ISEE con valore non superiore a 40.000 euro. Le domande senza ISEE o con redditi superiori verranno comunque prese in considerazione, ma solo dal 45° giorno dopo la chiusura del bando, in base alla disponibilità residua del budget.

Importo del contributo

Il bonus corrisponde al 30% della spesa sostenuta, fino a un massimo di 1.700 euro per ciascun figlio.

Modalità di richiesta

La domanda deve essere presentata esclusivamente online, attraverso l’area riservata “inEnasarco”, allegando:

  • giustificativo della spesa sostenuta (intestato al richiedente e su carta intestata dell’asilo);

  • facoltativamente, modello ISEE valido.

Scadenze: l’invio è possibile dal 1° settembre al 31 dicembre 2025.

Bonus Scolastico Enasarco

Oltre al bonus asilo nido, la Fondazione Enasarco offre anche il Bonus Scolastico 2025, una misura di welfare pensata per supportare le famiglie degli iscritti con figli che frequentano le scuole primarie, secondarie o l’università. Il contributo si riferisce all’anno scolastico 2025/2026 e viene erogato fino a esaurimento di un budget totale di 2,5 milioni di euro.

A chi spetta il bonus scolastico

Il beneficio è destinato agli agenti in attività iscritti alla Fondazione, con almeno un rapporto di agenzia attivo e anzianità contributiva di almeno un anno nel biennio 2023–2024. I figli per cui si richiede il bonus devono:

  • frequentare scuole primarie, medie, superiori o l’università;

  • essere fiscalmente a carico dell’agente (al 50% o al 100%);

  • risultare iscritti e frequentanti per l’anno 2025/2026.

Nel caso di genitori entrambi iscritti, la prestazione sarà comunque unica per nucleo familiare.

Importo del contributo

Il bonus varia in base al numero di figli frequentanti:

  • 400 euro per un solo figlio;

  • 600 euro per due figli;

  • 800 euro per tre o più figli.

Il contributo massimo erogabile è quindi di 800 euro per nucleo familiare.

Documentazione da allegare

La domanda va presentata esclusivamente online nell’area riservata inEnasarco, allegando:

  • autocertificazione (su modello generato dal portale) che attesti: iscrizione scolastica/universitaria, tipo di corso, classe/anno, istituto e carico fiscale;

  • modello Unico PF2024 (redditi 2023) con ricevuta di invio;

  • in assenza di reddito, autocertificazione di esonero, con dettaglio dei redditi percepiti.

Le domande vanno inviate dal 1° settembre al 31 dicembre 2025. Saranno evase prioritariamente quelle con reddito non superiore a 50.000 euro. Le altre verranno esaminate dal 45° giorno successivo alla scadenza, in base ai fondi residui.

Come ottenere il bonus

Richiedere i contributi Enasarco per l’anno 2025 può sembrare un processo semplice, ma una domanda incompleta o presentata in modo scorretto può compromettere l’erogazione del bonus. Ecco alcuni consigli pratici per aumentare le probabilità di ottenere il contributo e non perdere questa opportunità di risparmio:

1. Prepara tutta la documentazione in anticipo

Molti utenti iniziano a raccogliere i documenti all’ultimo momento. Il portale inEnasarco potrebbe subire rallentamenti nei giorni vicini alla scadenza, quindi è consigliabile:

  • richiedere subito il modello ISEE o l’Unico PF2024;

  • verificare che le spese siano intestate correttamente;

  • preparare le autocertificazioni seguendo i modelli forniti da Enasarco.

2. Presenta la domanda il prima possibile

Essendo prestazioni con fondo limitato, è importante non attendere l’ultimo giorno utile. Le domande vengono accolte in ordine cronologico, con priorità a quelle con redditi sotto i limiti previsti.

3. Attenzione agli errori più comuni

Alcuni motivi frequenti di esclusione o ritardo dell’istruttoria includono:

  • spese non intestate al richiedente;

  • ISEE scaduto o mancante (per il bonus asilo nido);

  • dichiarazione dei redditi incompleta o non allegata (per il bonus scolastico);

  • assenza dell’autocertificazione generata dal sistema.

4. Controlla l’anzianità contributiva

Molti agenti sottovalutano questo aspetto: se i contributi obbligatori non sono stati versati regolarmente o risultano inferiori al minimale, si rischia di non avere diritto al bonus.

Investire qualche ora nella preparazione accurata della domanda può fare la differenza tra ottenere fino a 1.700 € per l’asilo nido o 800 € per la scuola, oppure perdere completamente la prestazione.

Il welfare Enasarco

Le prestazioni assistenziali come il bonus asilo nido e il bonus scolastico sono solo due esempi delle numerose misure di welfare integrativo previste ogni anno dalla Fondazione Enasarco a favore degli iscritti in attività. Questi strumenti hanno l’obiettivo di offrire un sostegno concreto al reddito, compensando, almeno in parte, l’assenza di ammortizzatori sociali strutturati per gli agenti di commercio, una categoria spesso trascurata nel panorama delle politiche sociali italiane.

La programmazione delle prestazioni è definita annualmente dal Consiglio di Amministrazione della Fondazione, con un preciso piano di ripartizione dei fondi. Il budget complessivo destinato al welfare per il 2025 è significativo e dimostra l’attenzione crescente verso il benessere familiare, sanitario e professionale degli iscritti.

Oltre ai bonus legati all’istruzione, Enasarco finanzia:

  • contributi per spese sanitarie e dentistiche;

  • indennità per ricovero ospedaliero;

  • sostegni in caso di eventi gravi (come calamità naturali);

  • programmi di formazione e aggiornamento professionale.

In un contesto economico complesso, in cui molti lavoratori autonomi si trovano a far fronte da soli alle spese per la famiglia, il welfare Enasarco assume un ruolo centrale nella strategia di protezione del reddito e valorizzazione della professione.

Le misure 2025, quindi, non sono semplici bonus, ma segnali concreti di un welfare che cambia, che si adatta alle nuove esigenze degli iscritti e che potrebbe evolversi ulteriormente nei prossimi anni, magari introducendo nuove prestazioni dedicate a sostenibilità, digitalizzazione e parità di genere.

Bonus Enasarco e fisco

Una domanda che molti iscritti si pongono riguarda la natura fiscale dei contributi erogati da Enasarco: “Devo dichiararli nel modello 730 o nel modello Redditi?” oppure “Incidono sul calcolo dell’ISEE per il prossimo anno?”. La risposta, come spesso accade in ambito tributario, dipende dal tipo di prestazione e dalla sua finalità.

I bonus scolastici e per l’asilo nido Enasarco rientrano nelle prestazioni assistenziali a carattere non continuativo e, in linea generale, non sono imponibili ai fini IRPEF, a meno che non abbiano carattere sostitutivo di reddito. In questo caso specifico, trattandosi di contributi parziali a sostegno di spese documentate, non costituiscono reddito imponibile per il beneficiario.

Tuttavia, bisogna fare attenzione a un altro aspetto: le somme ricevute da Enasarco possono influire sull’ISEE, seppur in modo marginale, solo se compaiono nei dati precompilati forniti dall’Agenzia delle Entrate (es. se Enasarco le comunica come prestazione assistenziale percepita). È comunque buona prassi, in fase di elaborazione del modello ISEE, verificare i dati già caricati dal sistema e correggere eventuali imprecisioni con l’aiuto di un CAF o professionista.

Per quanto riguarda le altre agevolazioni fiscali o bonus statali, i contributi Enasarco non concorrono a formare il reddito complessivo ai fini delle soglie, ma è sempre consigliabile conservare la documentazione per eventuali verifiche.

In sintesi:

  • Non vanno dichiarati nel 730 o nel modello Redditi;

  • Non sono soggetti a tassazione IRPEF;

  • Potrebbero incidere sull’ISEE, ma solo in alcuni casi e in misura marginale;

  • Non precludono l’accesso ad altri bonus statali o regionali.

Bonus Enasarco e altre agevolazioni

Molti iscritti Enasarco si chiedono se le prestazioni erogate dalla Fondazione siano alternative o cumulabili con altri bonus statali come il Bonus Nido INPS, le detrazioni fiscali per le spese scolastiche o il Bonus libri e trasporto scolastico previsto da alcune regioni.

La risposta è positiva: i bonus Enasarco sono cumulabili con altri benefici statali o locali, a patto che ci siano spese reali e documentate da giustificativi validi. In altre parole, non puoi “duplicare” lo stesso giustificativo per due contributi diversi, ma puoi ottenere entrambe le prestazioni se, ad esempio, hai più figli o più fatture distinte.

Esempio pratico:

  • Un genitore può ricevere il Bonus Nido INPS (che può arrivare fino a 3.600 € annui) e il Bonus Asilo Enasarco (fino a 1.700 €), purché le spese presentate per ciascuna richiesta non siano le stesse.

  • Allo stesso modo, le spese per la retta scolastica universitaria o per la mensa possono essere detraibili al 19% nel modello 730 e contemporaneamente copribili dal Bonus Scolastico Enasarco, sempre in presenza di documentazione separata e coerente.

Qual è più vantaggioso?

Dal punto di vista economico:

  • Le prestazioni Enasarco sono a fondo perduto, non soggette a tassazione, e più rapide nei tempi di erogazione (se la documentazione è corretta);

  • Le detrazioni fiscali consentono un recupero solo parziale (19%) della spesa e solo se hai capienza IRPEF.

Strategia ideale

Il modo migliore per massimizzare il risparmio è:

  1. Richiedere prima le prestazioni Enasarco, presentando giustificativi separati;

  2. Utilizzare le spese residue per ottenere detrazioni fiscali o bonus INPS;

  3. Tenere una gestione ordinata delle ricevute e distinguere sempre a quale contributo si riferiscono.

In questo modo, una famiglia può arrivare a ottenere oltre 2.500 € di sostegno per l’asilo nido e ulteriori 800 € per le spese scolastiche, senza violare alcuna norma e risparmiando in modo completamente legale.

Conclusione

I bonus Enasarco 2025 rappresentano una delle forme più concrete ed efficaci di welfare integrativo per agenti di commercio e rappresentanti. In un contesto economico in cui le spese familiari, soprattutto quelle legate all’istruzione e alla prima infanzia, pesano sempre di più sui bilanci domestici, queste misure possono davvero fare la differenza.

Con contributi fino a 1.700 euro per l’asilo nido e fino a 800 euro per le scuole e università, il sostegno di Enasarco non solo è economicamente vantaggioso, ma anche facilmente accessibile, a condizione di rispettare requisiti e scadenze. A differenza di altri bonus statali, queste prestazioni non sono soggette a tassazione, non riducono la capienza fiscale e possono essere cumulate con altri benefici pubblici.

Il consiglio è quindi quello di:

  • preparare la documentazione con largo anticipo,

  • presentare la domanda nei primi giorni di apertura del bando (1° settembre 2025),

  • e seguire attentamente le istruzioni fornite dalla Fondazione.

Non aspettare l’ultimo momento: investi oggi qualche ora del tuo tempo per ottenere un vantaggio economico concreto per la tua famiglia domani.

Come cancellare i debiti aziendali con il Codice della Crisi d’Impresa

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Negli ultimi anni, la crisi economica e l’aumento del costo del credito hanno portato molte imprese italiane a trovarsi schiacciate da debiti fiscali, bancari e commerciali. Per lungo tempo l’unica prospettiva sembrava quella del fallimento, con la conseguente perdita dell’attività e dei posti di lavoro.

Oggi, però, grazie al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019, in vigore dal 15 luglio 2022 dopo diverse proroghe), le imprese hanno finalmente a disposizione strumenti concreti per ridurre o addirittura cancellare il proprio indebitamento.


Il quadro normativo

Il Codice della Crisi ha riordinato e aggiornato tutta la disciplina in materia di insolvenza, superando la vecchia legge fallimentare del 1942.

Tra le novità principali troviamo:

  • Gli strumenti di allerta e prevenzione, che servono a intercettare precocemente situazioni di squilibrio finanziario.

  • La composizione negoziata della crisi (artt. 12-25-septies C.C.I.I.), procedura volontaria che consente all’imprenditore di negoziare con creditori, banche e Fisco con l’aiuto di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio.

  • Le procedure di ristrutturazione e liquidazione del sovraindebitamento (artt. 65-83 C.C.I.I.), che permettono a imprenditori individuali, società e professionisti di ridurre i propri debiti in modo proporzionato e, in alcuni casi, di ottenerne la cancellazione totale.

  • L’accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 C.C.I.I.), che consente di abbattere l’esposizione verso i creditori attraverso un piano omologato dal tribunale.


Cosa significa in pratica per un’azienda

Grazie a queste procedure, oggi è possibile:

  • Cancellare i debiti erariali: il Codice consente, con determinate condizioni, di ottenere lo stralcio dei debiti fiscali.

  • Ridurre i debiti verso fornitori: è possibile proporre un pagamento parziale, concordato e proporzionato alle effettive possibilità dell’impresa.

  • Rinegoziare i debiti bancari: tramite la composizione negoziata si possono rivedere i piani di rientro con gli istituti di credito.

Tutte queste soluzioni sono legali, strutturate e già operative.


Perché è importante agire subito

Il Codice della Crisi non è solo una possibilità, ma anche un obbligo di responsabilità per l’imprenditore. Infatti, l’art. 3 C.C.I.I. prevede che l’imprenditore debba istituire assetti organizzativi e contabili adeguati per monitorare la continuità aziendale e segnalare tempestivamente situazioni di crisi.

Chi si muove in tempo:

  • ha maggiori possibilità di ottenere la cancellazione o riduzione del debito,

  • preserva la continuità aziendale,

  • tutela i posti di lavoro,

  • evita procedure più invasive come il fallimento o la liquidazione giudiziale.


Come funziona il percorso di ristrutturazione

  1. Analisi preliminare: valutazione della posizione aziendale e dei debiti accumulati.

  2. Studio di fattibilità: verifica delle procedure applicabili (composizione negoziata, accordo di ristrutturazione, concordato minore).

  3. Domanda e avvio della procedura: presentazione della proposta e confronto con i creditori.

  4. Omologa e attuazione: approvazione del piano e inizio della ristrutturazione o cancellazione dei debiti.


Conclusione

Il Codice della Crisi d’Impresa rappresenta una svolta epocale: le aziende non devono più subire il peso insostenibile dei debiti, ma possono sfruttare strumenti legali per liberarsene e tornare a competere sul mercato.

👉 Non rimandare: più passa il tempo, più la situazione si aggrava.

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La rottamazione quater: scadenze, regole e modalità di pagamento aggiornate al 2025

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Il 30 novembre 2025 rappresenta una data chiave per milioni di contribuenti italiani: è l’ultimo giorno utile per effettuare il secondo (o unico, se non è stato pagato in precedenza) versamento previsto dalla Rottamazione quater, la misura di definizione agevolata dei debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione prevista dalla Legge di Bilancio 2023.

Questa scadenza riguarda tutti coloro che hanno aderito entro il 30 giugno 2023 al piano di saldo agevolato dei carichi affidati all’agente della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 30 giugno 2022. Si tratta di una grande occasione per regolarizzare la propria posizione fiscale evitando sanzioni e interessi, usufruendo di uno sconto significativo sull’importo originario del debito.

Molti contribuenti, però, rischiano di perdere il beneficio per semplice disattenzione o per non conoscere le regole fondamentali della misura. Per questo motivo, in questo articolo analizzeremo tutte le regole della Rottamazione quater, le scadenze, i metodi di pagamento, cosa succede in caso di mancato versamento e le ultime novità.

Scadenze e tolleranza 

Per mantenere i benefici della Definizione agevolata dei carichi affidati alla riscossione, prevista dalla Legge n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023), è indispensabile rispettare rigorosamente le scadenze indicate nel proprio piano di pagamento. In particolare, la prossima rata è in scadenza il 30 novembre 2025, ma grazie ai 5 giorni di tolleranza previsti dalla legge (art. 3, comma 15-bis del DL n. 119/2018), saranno considerati validi i pagamenti effettuati entro martedì 9 dicembre 2025, anche in caso di festività.

Questa scadenza vale sia per i contribuenti ordinari sia per coloro che sono stati riammessi alla definizione agevolata dopo aver perso il diritto per mancato pagamento della prima o seconda rata, come previsto dal Decreto-legge n. 69/2024. I soggetti riammessi dovranno comunque seguire il nuovo piano di pagamento indicato nella Comunicazione delle somme dovute.

È fondamentale sapere che il mancato pagamento, un pagamento parziale, o il pagamento oltre i termini fa decadere automaticamente i benefici della rottamazione. In tal caso, l’intero debito residuo torna esigibile nella sua forma originaria, comprensivo di sanzioni, interessi di mora e aggi di riscossione, e le somme eventualmente già versate saranno considerate acconti sul totale dovuto, senza possibilità di recuperare la definizione agevolata.

Per verificare le scadenze e scaricare i moduli di pagamento, è possibile accedere alla propria area riservata sul sito dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, dove è sempre disponibile una copia della Comunicazione delle somme dovute.

Cos’è 

La Rottamazione quater è una misura di definizione agevolata introdotta dalla Legge di Bilancio 2023 (Legge n. 197/2022) che consente ai contribuenti di regolarizzare i debiti fiscali affidati all’Agente della riscossione nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 e il 30 giugno 2022, beneficiando di una significativa riduzione dell’importo complessivo dovuto. La misura consente di versare solo il capitale residuo, escludendo interessi di mora, sanzioni, aggio e interessi iscritti a ruolo, rendendo quindi il pagamento molto più sostenibile rispetto alle somme originarie.

Rientrano nella rottamazione anche i debiti relativi a cartelle non ancora notificate, quelli in corso di rateizzazione o sospesi, nonché quelli già oggetto di precedenti rottamazioni o Saldo e Stralcio, anche se decadute. Per i debiti relativi a violazioni del Codice della strada o altre sanzioni amministrative non tributarie, lo sconto è più limitato: vengono esclusi solo gli interessi e le maggiorazioni previste da specifiche norme.

La misura riguarda anche i carichi affidati da alcune casse previdenziali private, ma solo se queste hanno deliberato l’adesione alla rottamazione entro il 31 gennaio 2023, pubblicando il provvedimento sui propri siti. Tra le casse aderenti figurano la Cassa Forense, ENPAB, CNPR, ENPAV e INPGI.

Questo strumento offre quindi un’opportunità concreta per azzerare le pendenze fiscali in modo sostenibile, evitando l’aggravio dei costi accessori e delle procedure esecutive. Per i contribuenti in difficoltà o con carichi arretrati, può rappresentare una vera e propria via d’uscita dal debito fiscale, in modo legale e conveniente.

Modalità di pagamento disponibili

Una volta ricevuta la Comunicazione delle somme dovute dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, contenente il dettaglio del piano rateale e i relativi moduli di pagamento, il contribuente può scegliere tra diverse modalità per effettuare i versamenti previsti dalla Rottamazione quater. Le opzioni sono pensate per offrire massima flessibilità, sia per chi preferisce operare online, sia per chi desidera recarsi fisicamente presso uno sportello.

1. Pagamento online

Il metodo più rapido e sicuro è attraverso il servizio “Paga online” disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Questo consente di saldare le rate usando carte di credito, debito o altri strumenti digitali abilitati.

2. Canali bancari e PagoPA

È possibile effettuare il pagamento anche tramite i canali telematici delle banche, Poste Italiane o attraverso tutti gli altri Prestatori di Servizi di Pagamento (PSP) aderenti al circuito pagoPA. L’elenco completo dei PSP abilitati e le istruzioni sono disponibili sul sito ufficiale di pagoPA.it.

3. Domiciliazione bancaria (SDD)

Un’importante novità è il servizio di domiciliazione bancaria attivabile tramite l’area riservata online. Questa opzione consente l’addebito diretto sul conto corrente – anche se intestato a un’altra persona (purché autorizzata). Per attivarla, è necessario inserire l’IBAN, fornire il consenso al trattamento dei dati e attendere la conferma da parte dell’Agenzia, che invierà una mail di presa in carico e successivamente l’esito della richiesta.

4. Sportelli e canali fisici

Infine, i moduli di pagamento allegati possono essere utilizzati anche presso banche, uffici postali, tabaccai, ricevitorie e altri punti autorizzati. Inoltre, gli sportelli fisici dell’Agenzia restano attivi per l’assistenza, previa prenotazione online di un appuntamento.

Grazie a questa varietà di soluzioni, il contribuente ha la possibilità di scegliere la modalità più comoda e adatta alle proprie esigenze, semplificando l’adempimento e riducendo il rischio di dimenticanze o ritardi.

Servizio “ContiTu”

Una delle novità più rilevanti della Rottamazione quater è la possibilità per i contribuenti di scegliere quali debiti saldare, anche nel caso in cui si sia ricevuto un piano di pagamento completo (accoglimento totale) o parziale. Grazie al servizio telematico “ContiTu”, disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, è infatti possibile personalizzare il piano di pagamento, decidendo di versare solo alcune delle cartelle esattoriali incluse nella Comunicazione delle somme dovute.

Il funzionamento è semplice: il contribuente accede al servizio e seleziona manualmente le cartelle o gli avvisi che intende pagare, inserendo il numero identificativo di ciascun documento. Il sistema calcola automaticamente l’importo aggiornato, le relative rate da versare, e consente di stampare nuovi moduli di pagamento personalizzati, che verranno anche inviati via e-mail. L’unica condizione è che, anche nel nuovo piano parziale, ogni rata selezionata venga pagata per intero e nei tempi stabiliti dalla normativa, altrimenti si decade dai benefici della definizione agevolata.

È importante ricordare che eventuali pagamenti tardivi o incompleti verranno comunque acquisiti a titolo di acconto sul carico originario, ma non estingueranno il debito e riattiveranno le azioni di recupero forzato. Il servizio “ContiTu” può essere utilizzato fino a un massimo di 3 volte per ciascuna Comunicazione, offrendo così una certa flessibilità a chi si trova in difficoltà economiche ma non vuole rinunciare del tutto alla rottamazione.

Domiciliazione bancaria

Per semplificare ulteriormente il pagamento delle rate previste dalla Rottamazione quater, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione consente ai contribuenti di attivare l’addebito diretto sul conto corrente bancario (SDD). Si tratta di una modalità altamente consigliata, soprattutto per chi ha scelto il pagamento rateale, poiché riduce il rischio di dimenticare una scadenza e, di conseguenza, decadere dai benefici della definizione agevolata.

L’attivazione dell’addebito può avvenire in due modi:

  1. Presso gli sportelli fisici dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (su appuntamento);

  2. Online, tramite l’area riservata del sito ufficiale agenziaentrateriscossione.gov.it, utilizzando il servizio digitale “Attiva/revoca mandato SDD piani di Definizione agevolata”.

Una volta selezionato il piano di pagamento su cui si intende attivare la domiciliazione bancaria, sarà necessario compilare i campi richiesti, inclusi i dati del conto corrente (IBAN), e autorizzare il mandato SDD. Al termine della procedura, il sistema invierà al contribuente una prima e-mail di presa in carico della richiesta e, in seguito, una seconda e-mail di conferma, contenente anche l’indicazione della prima rata che verrà addebitata.

Attenzione: se la conferma dell’attivazione non viene ricevuta almeno 10 giorni lavorativi prima della scadenza della rata, il contribuente dovrà provvedere autonomamente al pagamento con le altre modalità disponibili (moduli, sportelli, pagoPA, ecc.), per non perdere i benefici della Rottamazione.

Attivare l’addebito è quindi un modo intelligente e sicuro per rispettare le scadenze, soprattutto in caso di piani lunghi o complessi.

Calendario completo

Il rispetto puntuale delle scadenze è essenziale per non decadere dai benefici della Rottamazione quater. Il piano di pagamento, stabilito in fase di adesione, può essere in un’unica soluzione oppure rateale, con la possibilità di suddividere l’importo dovuto fino a 18 rate (in 5 anni). Di seguito riepiloghiamo le principali date da segnare in calendario, compresi i termini di tolleranza previsti dalla legge.

Scadenze originarie (per chi ha aderito entro il 30 giugno 2023):

  • 31 ottobre 2023 → Prima o unica rata

  • 30 novembre 2023 → Seconda rata

Scadenze successive per i piani rateali:

Dal 2024 in poi, le rate sono state fissate con cadenza trimestrale (febbraio, maggio, luglio e novembre). Ecco il calendario completo:

  • 28 febbraio 2024 → Terza rata

  • 31 maggio 2024 → Quarta rata

  • 31 luglio 2024 → Quinta rata

  • 30 novembre 2024 → Sesta rata

  • 28 febbraio 2025 → Settima rata

  • 31 maggio 2025 → Ottava rata

  • 31 luglio 2025 → Nona rata

  • 30 novembre 2025 → Decima rata (Prossimo appuntamento importante!)

  • 28 febbraio 2026 → Undicesima rata

  • 31 maggio 2026 → Dodicesima rata

  • 31 luglio 2026 → Tredicesima rata

  • 30 novembre 2026 → Quattordicesima rata

  • 28 febbraio 2027 → Quindicesima rata

  • 31 maggio 2027 → Sedicesima rata

  • 31 luglio 2027 → Diciassettesima rata

  • 30 novembre 2027 → Diciottesima e ultima rata

Tolleranza di 5 giorni

È importante sapere che la normativa prevede una tolleranza di 5 giorni rispetto alla data di scadenza ufficiale. Questo significa che, ad esempio, la rata in scadenza il 30 novembre 2025 potrà essere considerata regolare se versata entro il 5 dicembre 2025 (o entro il 9 dicembre, considerando il fine settimana e i giorni festivi, come indicato dalla Riscossione).

Attenzione: anche con la tolleranza, il pagamento deve essere completo, altrimenti si decade dalla definizione agevolata, perdendo tutti i vantaggi fiscali e agevolativi.

Conclusione

La Rottamazione quater rappresenta un’opportunità concreta per regolarizzare i propri debiti fiscali in modo agevolato, riducendo drasticamente gli importi da pagare e alleggerendo la pressione economica su famiglie, professionisti e imprese. Tuttavia, si tratta di una misura che impone scadenze precise e regole rigide: anche un piccolo errore può costare la decadenza dal piano, con la conseguente riattivazione dell’intero debito originario.

Chi ha aderito entro i termini e intende proseguire, deve monitorare attentamente le prossime rate (la prossima in scadenza è il 30 novembre 2025), valutare se è il caso di ridurre il piano con il servizio ContiTu, oppure di attivare la domiciliazione bancaria per evitare dimenticanze. È inoltre fondamentale consultare la propria area riservata sul sito dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione per scaricare i moduli di pagamento aggiornati e tenere sotto controllo la propria situazione debitoria.

In caso di dubbi o difficoltà, è sempre consigliabile rivolgersi a un commercialista esperto in fiscalità e contenzioso tributario, che possa valutare la strategia più conveniente e supportarti nella gestione corretta del piano.

Non perdere questa occasione: pagare meno è possibile, ma solo rispettando le regole fino all’ultima rata.

Bonus edilizi e Forze Armate: quando spetta la detrazione maggiorata e cosa sapere per non perdere il beneficio fiscale

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Con la Risposta n. 244/2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito un dubbio molto comune: chi ristruttura un immobile può accedere alla detrazione maggiorata del 50% anche senza avervi trasferito la residenza?

Il caso riguarda un appartenente alle Forze Armate che ha acquistato e ristrutturato un’abitazione, chiedendo l’agevolazione prima casa e il bonus ristrutturazione, ma senza ancora trasferirvisi.

In questo articolo analizzeremo quando spetta la detrazione maggiorata, cosa si intende per abitazione principale, quali sono i requisiti da rispettare secondo la Legge di Bilancio 2025 e perché valgono le stesse regole anche per i militari e le forze dell’ordine.

Bonus edilizi e Forze Armate

Con l’emanazione della Circolare n. 8/E del 19 giugno 2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito in modo definitivo che anche per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia, sia a ordinamento militare che civile, valgono le stesse regole generali previste per tutti i contribuenti in materia di bonus edilizi. Non sono previste deroghe o facilitazioni specifiche.

Nello specifico, per poter accedere all’aliquota di detrazione maggiorata, ad esempio quella del 50% prevista dall’art. 16-bis del TUIR (da suddividere in dieci rate annuali di pari importo), è necessario che due condizioni fondamentali siano rispettate:

  1. Il contribuente deve essere titolare di un diritto reale sull’immobile oggetto degli interventi, come la proprietà, la nuda proprietà, l’usufrutto, l’uso, l’abitazione o anche la proprietà superficiaria;

  2. L’unità immobiliare deve essere adibita ad abitazione principale.

Il concetto di abitazione principale è chiarito nel comma 3-bis dell’art. 10 del TUIR, secondo cui si intende quella nella quale la persona fisica (o i suoi familiari) dimorano abitualmente. Non è quindi necessario il trasferimento della residenza anagrafica, ma è invece fondamentale la dimora abituale. In caso di ricovero permanente in istituti sanitari, il requisito si considera comunque rispettato se l’immobile non è locato.

Inoltre, la detrazione maggiorata spetta anche se i lavori riguardano solo le pertinenze (garage, cantine, ecc.) purché vincolate giuridicamente all’abitazione principale.

Infine, anche se l’immobile non è abitazione principale all’inizio dei lavori, la maggiorazione spetta se lo diventa al termine degli interventi. E se nei successivi anni l’immobile cambia destinazione, la detrazione maggiorata resta valida.

Quando si ha diritto alla detrazione maggiorata

Il nodo centrale che spesso crea confusione è quando effettivamente spetta la detrazione maggiorata per gli interventi edilizi. Come chiarito dalla Circolare n. 8/E del 2025, il diritto alla percentuale più elevata non dipende dal profilo professionale del contribuente, nemmeno se si tratta di appartenenti alle Forze armate o forze di polizia, ma esclusivamente dal rispetto di due requisiti sostanziali: la titolarità dell’immobile e la sua destinazione a dimora abituale.

Facciamo alcuni esempi concreti:

  • Se un militare è proprietario (o nudo proprietario, o usufruttuario) di un’abitazione in cui non vive, ma in cui dimora stabilmente un familiare (coniuge, figli, genitori, ecc. fino al terzo grado), ha diritto alla detrazione maggiorata.

  • Se lo stesso contribuente è proprietario di due immobili, uno dove vive e uno dove vive un familiare, solo l’immobile dove lui stesso dimora abitualmente può beneficiare dell’aliquota maggiorata.

  • Se la casa è ancora in fase di ristrutturazione, ma al termine dei lavori il contribuente vi trasferisce la propria dimora abituale, la maggiorazione spetta anche per le spese già sostenute durante i lavori.

  • Anche un ricovero permanente in una struttura sanitaria non fa perdere il diritto alla detrazione, purché l’immobile non sia stato locato a terzi.

Questi chiarimenti sono fondamentali per evitare errori in fase di dichiarazione dei redditi o durante l’accesso ai bonus. Sbagliare sulla destinazione d’uso può significare perdere migliaia di euro in detrazioni.

Ruolo delle pertinenze

Un altro punto chiarito dalla Circolare 8/E del 2025 riguarda un aspetto spesso trascurato: le pertinenze. La normativa, infatti, riconosce la possibilità di accedere alla detrazione maggiorata anche se gli interventi edilizi riguardano esclusivamente le pertinenze dell’immobile, come ad esempio un box auto, una cantina o un solaio.

Il presupposto fondamentale è che tali pertinenze siano giuridicamente vincolate all’abitazione principale. In altre parole, devono essere formalmente accatastate come pertinenze dell’unità immobiliare adibita a dimora abituale del contribuente. È irrilevante che i lavori vengano eseguiti solo sulla pertinenza e non sull’abitazione principale: l’agevolazione maggiorata si applica comunque.

Questo principio è estremamente utile, ad esempio:

  • Nel caso di interventi per efficientamento energetico del garage (isolamento, sostituzione di infissi, ecc.);

  • In presenza di lavori strutturali come il rifacimento della copertura della cantina o il consolidamento statico del box;

  • Quando si installano impianti (es. pannelli solari) sulle pertinenze che ricadono nella medesima particella catastale dell’abitazione principale.

Per il contribuente, questo significa poter massimizzare il beneficio fiscale anche su spese che, a prima vista, sembrerebbero escluse dal bonus maggiore. Tuttavia, è fondamentale avere la documentazione catastale in regola, che attesti il vincolo di pertinenzialità, onde evitare contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Questo dettaglio tecnico può fare la differenza tra una detrazione standard e una maggiorata del 50%, spalmabile in dieci anni.

Abitazione principale 

Una delle novità più rilevanti chiarite nella circolare n. 8/E del 2025 riguarda il momento in cui deve sussistere la destinazione dell’immobile ad “abitazione principale” per poter accedere alla detrazione maggiorata. La norma, in questo senso, è più flessibile di quanto si pensi.

Infatti, è stato esplicitamente chiarito che non è necessario che l’immobile sia adibito ad abitazione principale all’inizio dei lavori, purché lo diventi al termine degli interventi. Questo principio consente a molti contribuenti – inclusi i dipendenti delle Forze armate e delle Forze di polizia – di non perdere il diritto alla percentuale più alta di detrazione solo perché al momento dell’avvio dei lavori non avevano ancora trasferito la loro dimora abituale.

Questo aspetto è fondamentale in casi come:

  • Acquisto di un immobile da ristrutturare e successivo trasferimento della dimora abituale al termine dei lavori;

  • Situazioni in cui il contribuente attende la fine dei lavori per motivi pratici (ad esempio, cantiere non abitabile o vincoli familiari temporanei);

  • Casi in cui il contribuente ha in programma di trasferirsi entro pochi mesi, ma le spese edilizie sono già state sostenute.

La normativa, dunque, premia la finalità residenziale reale dell’intervento piuttosto che il semplice dato anagrafico o catastale al momento dell’avvio lavori.

Importante sottolineare che, una volta acquisito il diritto alla detrazione maggiorata, questo non viene perso nemmeno se, nei successivi anni, l’immobile cessa di essere abitazione principale (ad esempio per vendita, trasferimento o altro). La detrazione prosegue regolarmente per tutte le dieci annualità previste.

Forze Armate e Polizia

Una delle domande più frequenti tra gli appartenenti alle Forze Armate, alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza e ad altri corpi a ordinamento militare o civile è se, in virtù del loro status particolare di servizio, possano beneficiare di deroghe o trattamenti fiscali più favorevoli nell’ambito dei bonus edilizi.

La risposta è chiara e definitiva: no, non sono previste deroghe né agevolazioni aggiuntive per queste categorie. La Legge di Bilancio 2025, pur introducendo modifiche e chiarimenti al sistema delle detrazioni, non ha previsto alcun regime speciale a favore del personale in servizio permanente delle Forze Armate o delle Forze di Polizia.

Questo significa che, per accedere alla detrazione maggiorata (es. 50%) prevista per gli interventi edilizi sull’abitazione principale, valgono esattamente le stesse regole previste per tutti i contribuenti. In particolare:

  • Il militare o agente deve essere titolare di un diritto reale sull’immobile;

  • L’immobile deve essere adibito a dimora abituale, propria o di un familiare rientrante nei limiti del TUIR (fino al terzo grado).

Non basta dunque essere assegnatari di una casa di servizio, né è sufficiente il solo fatto di essere domiciliati in un’abitazione per motivi lavorativi. È fondamentale che vi sia una dimora abituale e non solo una presenza saltuaria o legata al servizio.

Tuttavia, nel rispetto di questi requisiti, anche il personale delle forze dell’ordine può usufruire a pieno delle detrazioni maggiorate, con gli stessi diritti (e doveri) degli altri cittadini.

Errori da evitare

Sebbene la normativa sia stata chiarita, molti contribuenti continuano a commettere errori che rischiano di compromettere l’accesso alla detrazione maggiorata. In alcuni casi, si tratta di disattenzioni formali, in altri di interpretazioni errate dei concetti chiave come “abitazione principale” o “titolarità dell’immobile”.

Ecco i principali errori da evitare:

  1. Confondere residenza anagrafica con dimora abituale: come chiarito dalle circolari dell’Agenzia delle Entrate, non è necessario trasferire la residenza, ma è fondamentale che il contribuente (o un suo familiare) dimori abitualmente nell’immobile. Tuttavia, è buona prassi documentare la dimora con elementi concreti (utenze, contratti, ecc.).

  2. Dimenticare l’intestazione dell’immobile: la detrazione maggiorata spetta solo se il contribuente è titolare di un diritto reale (proprietà, usufrutto, ecc.). Lavori eseguiti su immobili intestati ad altri, anche se familiari stretti, non danno diritto alla detrazione maggiorata.

  3. Iniziare i lavori senza avere i requisiti: se l’immobile non è abitazione principale all’inizio dei lavori, è comunque necessario che lo diventi al termine. Chi non rispetta questo passaggio perde il diritto alla maggiorazione, anche se ha sostenuto regolarmente tutte le spese.

  4. Trascurare le pertinenze: molti non sanno che le pertinenze vincolate all’abitazione principale (es. garage, cantine) possono beneficiare della detrazione maggiorata anche se i lavori riguardano solo quelle. Ma il vincolo deve risultare da documentazione ufficiale.

  5. Cedere o locare l’immobile prima del termine dei lavori: in questo caso si perde il requisito dell’abitazione principale, e quindi l’intera agevolazione fiscale può decadere.

Essere consapevoli di questi aspetti è fondamentale per non perdere un’agevolazione che può valere migliaia di euro.

Detrazioni applicabili

La detrazione maggiorata rappresenta uno dei principali strumenti di risparmio fiscale messi a disposizione dal legislatore per incentivare la riqualificazione del patrimonio immobiliare. In base alla normativa attualmente in vigore, aggiornata con la Legge di Bilancio 2025, la maggiorazione dell’aliquota può arrivare fino al 50% delle spese sostenute, da ripartire in 10 rate annuali di pari importo, ai sensi dell’articolo 16-bis del TUIR.

Questa agevolazione riguarda in particolare:

  • Interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo;

  • Ristrutturazioni edilizie su immobili residenziali;

  • Interventi su pertinenze legate all’abitazione principale;

  • Spese sostenute per la messa in sicurezza antisismica (se rientrano nei limiti previsti);

  • Interventi per il risparmio energetico, se non già agevolati da altri bonus (come Ecobonus o Superbonus).

Per ottenere la detrazione al 50%, è però necessario che l’immobile oggetto dei lavori sia:

  • Posseduto a titolo di proprietà o altro diritto reale (nuda proprietà, usufrutto, ecc.);

  • Adibito ad abitazione principale, ossia luogo di dimora abituale, anche se non coincidente con la residenza anagrafica.

Non rientrano, invece, nella maggiorazione:

  • Gli immobili non residenziali;

  • Le seconde case o immobili locati;

  • Le spese sostenute da soggetti non titolari di un diritto reale sull’immobile.

È importante, infine, distinguere la detrazione maggiorata standard (50%) da quelle ancora più elevate previste da bonus speciali come il Superbonus (attualmente ridotto), che seguono regole diverse e in parte più restrittive.

Conoscere con precisione le percentuali e le condizioni consente al contribuente di pianificare meglio l’intervento e ottimizzare il proprio beneficio fiscale.

Conclusione

In un contesto fiscale sempre più complesso, conoscere esattamente i requisiti per accedere alla detrazione maggiorata dei bonus edilizi è essenziale per evitare errori, perdite economiche e contenziosi con l’Agenzia delle Entrate.

La normativa è chiara: non esistono scorciatoie o agevolazioni speciali per categorie particolari, nemmeno per il personale delle Forze armate o della Polizia di Stato. Tutti i contribuenti sono tenuti a rispettare le stesse regole: titolarità dell’immobile e destinazione a dimora abituale.

Le pertinenze rientrano nel perimetro agevolabile, così come gli immobili che, pur non essendo abitazione principale all’inizio dei lavori, lo diventano al termine. È possibile ottenere la detrazione al 50% per una vasta gamma di interventi, dalle ristrutturazioni interne alla messa in sicurezza, purché sia rispettata la condizione dell’abitazione principale.

In definitiva, la detrazione maggiorata non è solo una possibilità, ma un vero e proprio strumento di risparmio fiscale, che può alleggerire il carico tributario in modo legale e pianificato. Affidarsi a un commercialista esperto in materia edilizia e fiscale è il modo migliore per sfruttare al massimo questi strumenti, evitando errori costosi e ottimizzando le risorse investite.

Bonus nascita 1000 euro 2025: requisiti, scadenza del 22 settembre e guida INPS per fare domanda

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Hai avuto un figlio nel 2025 o nei mesi finali del 2024? Allora potresti avere diritto a un contributo economico di 1000 euro erogato dalla tua Regione, nell’ambito del cosiddetto “Bonus nascita 2025”, previsto dal Decreto attuativo del Ministero dell’Agricoltura (MASAF) per incentivare la natalità nelle famiglie italiane.

Ma attenzione: la prima scadenza utile è il 22 settembre 2025, e riguarda i bambini nati prima del 24 maggio 2025, a seguito della modifica del termine di presentazione delle domande, passato da 60 a 120 giorni dalla nascita.

Il provvedimento ha suscitato grande interesse (e qualche confusione) tra i neogenitori: quando scade davvero? Chi ne ha diritto? Come si fa domanda?

In questo articolo analizziamo tutte le istruzioni operative e i dettagli ufficiali pubblicati sul sito dell’INPS e sul portale dedicato del MASAF, con riferimenti alle normative di legge aggiornate al 2025. Vedremo anche come non perdere il bonus, i casi particolari, e quali documenti servono per ottenere i mille euro spettanti.

Bonus nascita e sostegno alla genitorialità

La Legge di Bilancio 2025 (Legge n. 207/2024, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2024) ha posto un’attenzione particolare alle politiche per la famiglia, introducendo misure finalizzate a incentivare la natalità e ad aiutare i nuclei familiari con basso reddito. Come già anticipato dalla Premier Meloni e dai ministri competenti nei mesi precedenti, le novità più rilevanti riguardano due strumenti centrali: il Bonus nuovi nati 2025 e il rafforzamento del Bonus asilo nido.

Nello specifico, il Bonus nascita da 1000 euro – anche conosciuto come “Carta nuovi nati” – è destinato alle famiglie con ISEE inferiore a 40.000 euro, che accolgono un figlio nato o adottato nel corso del 2025. Questo contributo economico è una tantum e mira a coprire le spese iniziali legate alla nascita di un bambino.

Accanto a questo incentivo, viene potenziato anche il Bonus asilo nido. Due sono le modifiche strutturali introdotte:

  • l’esclusione dell’Assegno Unico dal calcolo ISEE per l’accesso al bonus;

  • l’eliminazione del vincolo del secondo figlio sotto i 10 anni, che rappresentava una barriera per molte famiglie.

Il quadro normativo viene completato dalla circolare INPS n. 76 del 14 aprile 2025, che fornisce le istruzioni operative per la richiesta della Carta nuovi nati, e dal messaggio INPS n. 2345 del 24 luglio 2025, che modifica una delle condizioni più importanti per ottenere il bonus: il termine per la presentazione della domanda, esteso da 60 a 120 giorni dalla nascita o ingresso in famiglia del minore.

Una modifica sostanziale che interessa in particolare chi ha avuto un figlio tra il 1° gennaio e il 24 maggio 2025: per questi eventi, il nuovo termine per inviare la domanda è fissato al 22 settembre 2025.

Cos’è 

Il cosiddetto Bonus nascita 2025, tecnicamente definito come “Carta nuovi nati”, è un contributo una tantum dell’importo di 1000 euro, introdotto dalla Legge di Bilancio 2025 (art. 1, commi 206-208). La misura è destinata a sostenere economicamente le famiglie con figli nati o adottati nel 2025, ed è riservata ai nuclei con un ISEE inferiore a 40.000 euro, calcolato escludendo l’importo dell’Assegno Unico e Universale per i figli a carico. Questa precisazione è fondamentale, perché permette a molte famiglie di rientrare nella soglia prevista.

Secondo la relazione illustrativa al disegno di legge, il bonus:

  • sarà erogato nel mese successivo a quello della nascita o dell’ingresso in famiglia del minore (in caso di adozione o affidamento);

  • sarà escluso dal reddito imponibile ai fini fiscali, quindi non incide su IRPEF, detrazioni o altre prestazioni collegate al reddito.

I beneficiari del bonus sono:

  • cittadini italiani o di uno Stato membro dell’UE;

  • familiari di cittadini UE titolari di diritto di soggiorno o di soggiorno permanente;

  • cittadini di Paesi extra-UE con permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, permesso unico di lavoro, oppure permesso per motivi di ricerca;

  • tutti devono essere residenti in Italia al momento della domanda.

Il Governo ha stanziato 330 milioni di euro per il 2025 e 360 milioni di euro all’anno a partire dal 2026, segno che la misura potrebbe diventare strutturale nei prossimi anni.

Bonus asilo nido 

Oltre al Bonus nascita, la Legge di Bilancio 2025 ha potenziato in modo significativo anche il Bonus asilo nido, rendendolo più generoso e accessibile. Le modifiche, contenute nei commi 208-211 dell’art. 1, puntano a semplificare l’accesso al contributo e ad ampliare la platea dei beneficiari, in particolare per le famiglie con redditi medio-bassi.

La prima novità riguarda il calcolo dell’ISEE: da quest’anno, l’ISEE utilizzato per determinare l’importo del bonus non considera più le somme ricevute a titolo di Assegno Unico Universale. Questa esclusione, già introdotta per la “Carta nuovi nati”, permette a molte famiglie di abbassare la soglia ISEE e ottenere importi più elevati.

La seconda modifica riguarda la maggiorazione da 2.100 euro, prevista dal 2024 per i nuovi nati con almeno un fratello sotto i 10 anni: dal 2025 questo requisito è stato eliminato, e la maggiorazione potrà essere riconosciuta a prescindere dalla composizione familiare. In altre parole, anche i primogeniti potranno accedere all’importo massimo.

Per sostenere la riforma, il Governo ha previsto un incremento progressivo della spesa pubblica, che parte da 97 milioni di euro per il 2025 e raggiungerà i 200 milioni annui a partire dal 2029.

Rimangono confermati i parametri di riferimento del bonus nido:

  • fino a 3.000 euro annui per famiglie con ISEE minorenni fino a 25.000,99 euro;

  • 2.500 euro annui per ISEE tra 25.001 e 40.000 euro;

  • 1.500 euro annui oltre tale soglia o in assenza di ISEE regolare.

Grazie alle nuove regole, il Bonus asilo nido 2025 si conferma come uno degli strumenti più efficaci di sostegno alla genitorialità in Italia.

Congedi, detrazioni e social card

Oltre al Bonus nascita e al Bonus asilo nido, la Legge di Bilancio 2025 riconferma e potenzia alcune misure strutturali di sostegno economico alle famiglie, con l’obiettivo di alleggerire il carico fiscale e sociale, soprattutto per i nuclei più numerosi o con reddito basso. Queste misure si affiancano ai principali bonus per la genitorialità e rappresentano un vero e proprio pacchetto di welfare familiare.

1. Social Card “Dedicata a te”

Rifinanziata con 500 milioni di euro, la Social Card “Dedicata a te” sarà disponibile anche per il 2025. Si tratta di una carta prepagata destinata ai nuclei familiari di almeno tre persone con ISEE fino a 15.000 euro. Può essere utilizzata per l’acquisto di beni alimentari di prima necessità e, in alcuni casi, anche per bonus trasporti e carburante. È gestita dai Comuni, in collaborazione con Poste Italiane.

2. Detrazioni fiscali per famiglie numerose

Viene introdotto un meccanismo di maggiorazione delle detrazioni IRPEF in base al numero di familiari a carico. Questo vuol dire che le famiglie con più figli o persone fiscalmente a carico potranno beneficiare di una riduzione maggiore delle imposte. Una misura che punta a rendere il sistema fiscale più equo e coerente con la composizione del nucleo familiare.

3. Congedo parentale: indennità all’80%

Importante anche la modifica strutturale al congedo parentale retribuito: l’indennità viene elevata all’80% dello stipendio (rispetto al precedente 30%), per tre mesi complessivi, da usufruire entro i primi sei anni di vita del bambino. A differenza degli anni precedenti, questa misura non è più sperimentale, ma strutturale. Spetta a uno solo dei due genitori ed è pensata per agevolare una reale conciliazione tra lavoro e genitorialità, riducendo l’impatto economico di periodi di assenza dal lavoro.

Con queste misure, la manovra 2025 conferma un chiaro orientamento a favore della natalità e del sostegno alla famiglia, affrontando il tema non solo sul piano fiscale, ma anche sociale e lavorativo.

Guida completa 

Dal 17 aprile 2025 è attiva la piattaforma online dell’INPS per presentare domanda per il Bonus nascita da 1000 euro, chiamato ufficialmente “Carta nuovi nati”. L’avvio del servizio è stato annunciato dal messaggio INPS n. 1303 del 16 aprile, a seguito della pubblicazione della circolare n. 76 del 14 aprile 2025, che contiene tutte le istruzioni operative per accedere al contributo.

Dove presentare la domanda

Il servizio è disponibile online sul portale ufficiale www.inps.it, accedendo con una delle seguenti identità digitali valide:

  • SPID Livello 2 o superiore

  • CIE 3.0 (Carta d’Identità Elettronica)

  • CNS (Carta Nazionale dei Servizi)

  • eIDAS (per utenti europei)

Per trovare la sezione corretta, bisogna seguire questo percorso:

  • Vai su “Sostegni, Sussidi e Indennità”

  • Clicca su “Esplora Sostegni, Sussidi e Indennità”

  • Scegli “Vedi tutti” nella sezione “Strumenti”

  • Seleziona la prestazione: “Bonus nuovi nati”

Altre modalità di invio

In alternativa, la domanda può essere trasmessa anche:

  • tramite il Contact Center Multicanale INPS (803 164 da fisso, 06 164 164 da cellulare)

  • oppure con l’assistenza di un patronato, che può gestire l’intera procedura gratuitamente per conto del richiedente.

L’INPS ha anche comunicato che con un successivo messaggio sarà annunciata l’attivazione del servizio anche sull’app mobile INPS, per rendere la procedura ancora più accessibile.

Presentare la domanda nei termini previsti (120 giorni dalla nascita o ingresso in famiglia del minore) è fondamentale per non perdere il diritto al bonus. Ricorda: per i bambini nati prima del 24 maggio 2025, il termine ultimo per fare richiesta è il 22 settembre 2025.

Requisiti, documenti e scadenze

A completamento del quadro normativo, la Circolare INPS n. 76 del 14 aprile 2025 fornisce tutte le istruzioni ufficiali per richiedere correttamente il Bonus nascita da 1000 euro, anche noto come Carta nuovi nati. Ecco, punto per punto, tutto quello che c’è da sapere per non commettere errori e non perdere il beneficio.

Requisiti richiesti:

Scadenze

  • Termine ordinario: entro 120 giorni dalla nascita, adozione o affidamento.

  • Scadenza speciale per eventi tra 1° gennaio e 24 maggio 2025: 22 settembre 2025 (per effetto della proroga INPS del 24 luglio 2025).

Chi può fare domanda

  • Uno dei genitori;

  • Il genitore convivente (se i genitori non convivono);

  • Il tutore o il genitore del genitore minorenne/incapace.

L’ISEE deve essere in corso di validità alla data della domanda o accompagnato da DSU aggiornata.

Canali per l’invio

  • Portale INPS (inps.it) con SPID/CIE/CNS/eIDAS;

  • App mobile INPS (attivazione in fase di rilascio);

  • Contact Center INPS (803.164 da fisso, 06.164.164 da mobile);

  • Patronato (gratuito).

Documentazione necessaria

  • Dati anagrafici;

  • Dichiarazione requisiti;

  • Modalità di pagamento: IBAN (anche estero area SEPA, con modulo MV70) o bonifico domiciliato.

Tempi e limiti di pagamento

Il bonus viene pagato in ordine cronologico di presentazione, nei limiti delle risorse disponibili:

  • 330 milioni di euro per il 2025;

  • 360 milioni annui dal 2026.

L’INPS effettua un monitoraggio mensile e potrà, se necessario, modificare soglia ISEE o importo per garantire la sostenibilità della misura.

Regime fiscale

Il Bonus non concorre alla formazione del reddito imponibile IRPEF: è esente da tassazione.

Conclusione

Il Bonus nascita 2025 da 1000 euro, insieme al potenziamento del Bonus asilo nido e alle altre misure introdotte dalla Legge di Bilancio, rappresenta un concreto passo avanti nella direzione del sostegno alla natalità e alla genitorialità in Italia. In un contesto economico ancora incerto, questo contributo può fare la differenza per molte famiglie, soprattutto quelle con ISEE medio-basso.

È fondamentale non perdere la scadenza del 22 settembre 2025 per chi ha avuto figli nei primi mesi dell’anno, e assicurarsi di avere un ISEE aggiornato e corretto per accedere al beneficio. Ricorda che il bonus non è tassato, è compatibile con altri sostegni e può essere richiesto in autonomia tramite SPID o con l’aiuto di un patronato.

Cogliere questa opportunità significa alleggerire le spese legate alla nascita o all’adozione di un figlio, in modo legale e sicuro, sfruttando le risorse messe a disposizione dallo Stato. Non aspettare l’ultimo momento: verifica i requisiti, prepara i documenti e presenta la domanda il prima possibile.

Fondo Transizione Industriale 2025: contributi a fondo perduto per imprese green – Domande entro il 10 dicembre

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Nel panorama attuale, dove la transizione ecologica e l’efficienza energetica sono al centro dell’agenda politica ed economica europea, arriva un’importante opportunità per le imprese italiane: il nuovo sportello del Fondo per la Transizione Industriale, attivo dal 17 settembre 2025, con domande aperte fino al 10 dicembre.

Si tratta di un contributo a fondo perduto destinato a sostenere gli investimenti delle aziende che intendono ridurre l’impatto ambientale dei propri processi produttivi e innovare in chiave green. Un’occasione concreta per rientrare nei meccanismi di incentivazione previsti dal PNRR e per posizionarsi in modo competitivo sul mercato, in vista dei target climatici europei al 2030 e 2050.

In questo articolo ti spieghiamo come funziona il Fondo, quali sono le spese ammissibili, quali imprese possono accedervi, come presentare la domanda entro i termini e, soprattutto, quali sono i requisiti per ottenere il massimo beneficio possibile. Vedremo anche le criticità da evitare e i consigli utili per non perdere questa importante agevolazione fiscale.

Regole, requisiti e priorità

Il Fondo per la Transizione Industriale nasce per supportare gli investimenti sostenibili delle imprese che vogliono ridurre l’impatto ambientale della propria produzione. Il nuovo sportello aperto dal 17 settembre 2025 prevede contributi a fondo perduto su progetti con costi ammissibili compresi tra 3 e 20 milioni di euro.

L’obiettivo è chiaro: favorire l’efficientamento energetico, la produzione di energia da fonti rinnovabili o cogenerazione, lo sviluppo di impianti per idrogeno verde e la riduzione dell’uso di acqua, materie prime e rifiuti.

L’intensità dell’aiuto dipenderà da vari fattori: la natura e localizzazione dell’investimento, e la tipologia dei costi sostenuti.

Per garantire un impatto più equo sul territorio, sono previste due riserve specifiche:

  • 40% delle risorse per progetti localizzati in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia;

  • 50% delle risorse per le imprese energivore, ovvero quelle ad alto consumo energetico.

Per accedere al fondo, è obbligatoria una relazione tecnica in forma di perizia asseverata, secondo lo schema pubblicato da Invitalia, che può essere redatta da tecnici abilitati: ingegneri, periti, EGE certificati UNI CEI 11339, ESCO certificate UNI CEI 11352, o anche dallo stesso legale rappresentante dell’impresa, purché sia in possesso della certificazione ISO 50001.

Al momento della domanda, l’impresa dovrà inoltre dichiarare la conformità al DL 31 marzo 2025, n. 39, relativo alla copertura assicurativa contro rischi catastrofali. Attenzione: rispetto al precedente bando, non è più possibile accedere tramite il Quadro Temporaneo Ucraina, in scadenza al 31 dicembre 2025.

Una volta chiuso lo sportello, Invitalia pubblicherà la graduatoria entro 120 giorni, distinguendo tra le domande:

  • ammissibili e finanziabili,

  • ammissibili ma non finanziabili per mancanza di fondi,

  • non ammissibili.

Guida pratica 

Il nuovo sportello del Fondo per la Transizione Industriale, gestito da Invitalia per conto del MIMIT, è destinato esclusivamente alle imprese di qualsiasi dimensione, purché attive nel settore manifatturiero (codice ATECO C). Questo significa che le aziende che operano in ambito industriale, e che intendono investire in processi produttivi più sostenibili, possono accedere al contributo a fondo perduto previsto dal bando.

Per risultare ammissibili, le imprese devono soddisfare una serie di requisiti fondamentali:

  • Essere regolarmente costituite, iscritte e attive nel Registro delle Imprese;

  • Non essere in stato di difficoltà economica, secondo quanto definito dalla normativa europea;

  • Essere in regola con gli obblighi contributivi (DURC) e fiscali;

  • Non avere ricevuto aiuti considerati illegittimi o incompatibili dall’UE, salvo che siano stati restituiti;

  • Essere in regola con le coperture assicurative obbligatorie previste dal DL 39/2025.

Come presentare la domanda

Le domande possono essere inviate esclusivamente in modalità telematica, attraverso la piattaforma online di Invitalia, attiva dal 17 settembre al 10 dicembre 2025, salvo esaurimento anticipato dei fondi.

Il processo si articola in diversi step:

  1. Registrazione dell’impresa sulla piattaforma di Invitalia;

  2. Compilazione del modulo di domanda, comprensivo di tutti i dati anagrafici, fiscali e tecnici;

  3. Allegazione della perizia asseverata, redatta secondo i criteri richiesti;

  4. Dichiarazioni di conformità alle normative vigenti;

  5. Invio definitivo della domanda, con rilascio della ricevuta elettronica.

Le domande saranno valutate secondo criteri di merito tecnico-economico e, solo successivamente, classificate in base alla graduatoria finale. È consigliabile preparare con largo anticipo la documentazione, vista la complessità tecnica del progetto e le tempistiche ristrette.

Spese ammissibili 

Uno dei punti cardine del Fondo per la Transizione Industriale riguarda le tipologie di spese ammissibili, che devono essere strettamente legate alla transizione ecologica e all’ottimizzazione delle risorse nei processi produttivi.

In particolare, il bando finanzia gli investimenti finalizzati a:

  • Efficientamento energetico degli impianti e degli edifici produttivi (es. sostituzione di macchinari obsoleti, impianti HVAC ad alta efficienza, isolamento termico, ecc.);

  • Produzione autonoma di energia da fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, biomasse, ecc.), anche tramite impianti di cogenerazione ad alto rendimento (CAR);

  • Sistemi di produzione e utilizzo di idrogeno verde, purché destinato ad autoconsumo aziendale;

  • Riduzione del consumo di acqua o della quantità di materie prime e semilavorati;

  • Diminuzione dei rifiuti conferiti in discarica, mediante riciclo, riuso o ottimizzazione delle scorte.

Strategia per massimizzare l’aiuto

L’entità del contributo non è fissa, ma varia in base a:

  • Tipologia e localizzazione del progetto;

  • Dimensione dell’impresa (le PMI possono avere percentuali più alte);

  • Tipologia delle spese presentate (alcune voci hanno un’intensità maggiore, es. fonti rinnovabili o idrogeno).

Per ottenere il massimo del contributo a fondo perduto, è fondamentale:

  • Predisporre un progetto solido, coerente con gli obiettivi ambientali dichiarati;

  • Concentrarsi su interventi innovativi e ad alto impatto energetico;

  • Se possibile, localizzare il progetto in una regione del Mezzogiorno, accedendo così alla riserva del 40%;

  • In caso di azienda energivora, presentare i dati richiesti per rientrare nella riserva del 50%.

Inoltre, ricordiamo che l’assenza di coerenza tra progetto e normativa tecnica (come quella sul risparmio energetico) può comportare l’esclusione dalla graduatoria: ecco perché è decisivo il ruolo della perizia asseverata, che deve essere chiara, dettagliata e redatta da professionisti abilitati.

Vantaggi fiscali

Accedere al Fondo per la Transizione Industriale rappresenta per molte imprese italiane non solo un’opportunità di finanziamento a fondo perduto, ma anche una leva strategica per accrescere la competitività, ridurre i costi strutturali e beneficiare di vantaggi fiscali indiretti.

1. Riduzione dei costi energetici

Gli interventi ammessi al finanziamento, in particolare quelli legati all’efficientamento energetico e alla produzione autonoma da fonti rinnovabili, consentono alle aziende di abbattere drasticamente la bolletta energetica. In un contesto di volatilità dei prezzi dell’energia, questo rappresenta un vantaggio economico immediato e strutturale.

2. Miglioramento dell’efficienza produttiva

L’adozione di tecnologie green e processi a basso impatto porta spesso a un miglioramento generale dell’organizzazione aziendale, con effetti su qualità, tracciabilità, digitalizzazione e ottimizzazione delle risorse. Questo si traduce in una maggiore produttività e competitività sui mercati.

3. Posizionamento sostenibile e accesso preferenziale a bandi e commesse

Le aziende che dimostrano di investire nella sostenibilità ambientale migliorano il proprio rating ESG e rafforzano la propria reputazione aziendale. Questo è sempre più decisivo per:

  • accedere a nuove commesse pubbliche e private (green procurement);

  • partecipare ad altri bandi regionali, nazionali o UE con premialità;

  • ottenere migliori condizioni di finanziamento da parte delle banche e degli investitori istituzionali.

4. Vantaggi fiscali indiretti

Pur non trattandosi di un credito d’imposta, il contributo ottenuto:

  • non concorre alla formazione della base imponibile IRES e IRAP;

  • non rileva ai fini del rapporto di deducibilità degli interessi passivi e delle spese generali;

  • è compatibile con altri incentivi, nei limiti del cumulo previsto dalla normativa europea (de minimis, GBER, ecc.).

In sintesi, partecipare al Fondo significa investire nel presente per guadagnare nel futuro, attraverso un percorso di crescita sostenibile, riconosciuto e misurabile.

Errori da evitare

Nonostante il Fondo per la Transizione Industriale rappresenti un’opportunità rilevante per le imprese italiane, la complessità delle regole e la competitività del bando richiedono massima attenzione. Bastano infatti piccoli errori formali o sostanziali per compromettere l’esito della domanda. Ecco quindi le principali criticità da evitare e i passaggi da curare con attenzione.

Errori più comuni da evitare

  1. Perizia asseverata non conforme: molte domande vengono scartate per perizie non redatte secondo il modello ufficiale di Invitalia, oppure firmate da soggetti non abilitati. La perizia tecnica è il cuore del progetto, e deve essere dettagliata, aggiornata e firmata da professionisti certificati (EGE, ESCO, ingegneri, ecc.).

  2. Spese non coerenti con gli obiettivi del bando: inserire costi non riconducibili direttamente a interventi green può portare alla decurtazione del contributo o alla non ammissibilità della domanda.

  3. Requisiti non aggiornati: è fondamentale essere in regola con DURC, normativa ambientale, normativa sulla sicurezza, e – novità importante – con le coperture previste dal DL 39/2025 sui rischi catastrofali.

  4. Documentazione incompleta o inviata fuori tempo massimo: la domanda va presentata solo in modalità telematica entro il 10 dicembre 2025, ma è consigliabile non aspettare gli ultimi giorni, per evitare congestioni della piattaforma e problemi tecnici.

Cosa fare per massimizzare le probabilità di successo

  • Preparare con largo anticipo il progetto tecnico, affidandosi a un team di consulenti specializzati;

  • Effettuare una verifica preventiva dell’ammissibilità dei costi, anche tramite un pre-audit tecnico;

  • Richiedere supporto a uno studio di commercialisti o fiscalisti esperti in finanza agevolata, per la parte documentale e fiscale;

  • Monitorare costantemente il sito di Invitalia per aggiornamenti e FAQ ufficiali, spesso fondamentali per interpretare correttamente i requisiti.

Inoltre, ricordiamo che Invitalia attribuirà punteggi anche in base al grado di innovazione, impatto ambientale e fattibilità del progetto: per questo motivo, un progetto ben scritto, sostenuto da dati e analisi, può fare la differenza tra essere finanziati o esclusi.

Conclusioni

Il Fondo per la Transizione Industriale si inserisce in un momento cruciale per l’industria italiana. La spinta verso la sostenibilità ambientale, la riduzione dei consumi e l’indipendenza energetica non è più un’opzione, ma una necessità competitiva. Gli obiettivi europei al 2030 e 2050 richiedono un adeguamento profondo dei processi produttivi, e questo fondo rappresenta uno strumento concreto per finanziare il cambiamento.

Grazie a contributi a fondo perduto fino al 65% (in funzione della localizzazione, della dimensione aziendale e delle tecnologie adottate), le imprese hanno l’opportunità di trasformare l’obbligo di innovazione in un vantaggio strategico, migliorando la propria efficienza, riducendo i costi e posizionandosi in modo più competitivo sul mercato nazionale e internazionale.

È importante però agire in modo tempestivo e consapevole: il termine ultimo per presentare la domanda è fissato al 10 dicembre 2025, ma le risorse sono limitate e assegnate tramite graduatoria.

Il consiglio per tutte le imprese interessate è di muoversi subito, coinvolgendo professionisti esperti in materia fiscale, tecnica e ambientale, così da non perdere questa occasione storica per fare un vero salto di qualità verso l’industria del futuro.

Compensazione IVA settore legno 2024-2025: aliquota al 6,4% per legna e legno squadrato

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Chi opera nel settore agricolo e, in particolare, nella produzione e commercializzazione di legname e prodotti affini, deve prestare particolare attenzione agli aggiornamenti normativi in materia di IVA. Il 16 settembre 2025 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze che stabilisce le nuove percentuali di compensazione IVA applicabili per l’anno 2024-2025 nel comparto legno, in conformità con il regime speciale per l’agricoltura previsto dall’art. 34 del DPR n. 633/1972.

Questa misura ha un impatto rilevante sia per i produttori agricoli che per i soggetti passivi d’imposta che operano in questo ambito: l’adeguamento delle percentuali di compensazione incide direttamente sul margine fiscale e sul flusso di liquidità dell’impresa agricola. Ma cosa cambia davvero con il nuovo decreto? Quali sono le nuove aliquote di compensazione IVA per il legname grezzo, per il legno da ardere o per la legna in tondelli, ceppi, ramaglie e fascine?
E soprattutto: quali opportunità fiscali si aprono per le imprese che sanno gestire correttamente la normativa?

In questo articolo analizziamo nel dettaglio le novità introdotte per il 2024-2025, illustrando i prodotti interessati, le nuove percentuali, i riferimenti normativi e i vantaggi fiscali per il settore.

Il Decreto 6 agosto 2025

Il 16 settembre 2025 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 215 il Decreto del Ministero dell’Agricoltura del 6 agosto 2025, che stabilisce le percentuali forfettarie di compensazione IVA applicabili per gli anni 2024 e 2025 alle cessioni di legno e legna da ardere effettuate dai produttori agricoli. Il provvedimento rientra nel quadro normativo delineato dall’articolo 34, comma 1, del DPR 633/1972, che regola il regime speciale IVA per l’agricoltura.

Secondo quanto previsto dalla norma, per le cessioni di prodotti agricoli inclusi nella Tabella A – parte I allegata al DPR 633/72, la detrazione dell’IVA a credito non avviene secondo il meccanismo ordinario previsto dall’art. 19, ma è sostituita da una compensazione forfettaria. In pratica, il produttore agricolo applica l’aliquota IVA ordinaria sulla vendita ma detrae un importo forfettario calcolato sulla base di una percentuale stabilita per decreto, che varia in base al gruppo merceologico.

Tale regime si applica in modo specifico anche alle cessioni verso altri soggetti che applicano il medesimo regime speciale (comma 2, lettera c) e ai soggetti di cui al comma 6, primo e secondo periodo, garantendo una semplificazione amministrativa e fiscale per gli operatori del settore. Il decreto 6 agosto conferma la validità di questo meccanismo anche per il biennio 2024-2025, andando a fissare con precisione le nuove percentuali applicabili per le diverse tipologie di legno e legna da ardere, di cui parleremo nei prossimi paragrafi.

IVA per il legno 6,4%

Il Decreto 6 agosto 2025, emanato dal Ministero dell’Agricoltura e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 settembre 2025, ha fissato le percentuali di compensazione IVA per due specifiche categorie di prodotti del settore legno. Una novità significativa, soprattutto considerando che nel 2023 non era stato adottato alcun decreto in materia. Il provvedimento nasce anche dall’esigenza di contenere il costo fiscale della misura, mantenendo un tetto massimo di spesa pari a 1 milione di euro annui derivante dall’innalzamento delle aliquote.

Nel dettaglio, per gli anni 2024 e 2025, le percentuali di compensazione IVA stabilite ai sensi dell’art. 34 del DPR 633/1972 sono le seguenti:

  • Punto 43 della Tabella A, parte prima: riguarda la legna da ardere in tondelli, ceppi, ramaglie o fascine e i cascami di legno compresa la segatura (voce doganale 44.01). La percentuale di compensazione è fissata al 6,4%.

  • Punto 45 della Tabella A, parte prima: si riferisce al legno semplicemente squadrato, escluso il legno tropicale (voce doganale 44.04), anch’esso con una percentuale di compensazione pari al 6,4%.

Queste misure permettono ai produttori agricoli che rientrano nel regime speciale IVA di applicare la forfettizzazione delle detrazioni in modo più vantaggioso rispetto al passato, incentivando la filiera forestale e semplificando al tempo stesso la gestione dell’IVA. Va ricordato che l’applicazione di queste percentuali è riservata ai produttori agricoli in regime speciale, con obbligo di indicazione corretta in fattura.

Vantaggi fiscali 

L’introduzione della percentuale di compensazione IVA al 6,4% rappresenta un’opportunità concreta per i produttori agricoli che operano nel comparto del legno. Questo meccanismo, previsto dal regime speciale IVA dell’art. 34 del DPR 633/72, consente infatti una semplificazione degli adempimenti fiscali e, allo stesso tempo, un recupero parziale dell’imposta assolta sugli acquisti attraverso un sistema forfettario.

A differenza del regime IVA ordinario, dove la detrazione dell’imposta avviene tramite il confronto tra IVA a credito e IVA a debito, il regime speciale consente ai produttori di non dover documentare ogni singolo acquisto, beneficiando invece di una compensazione fissa calcolata sul valore delle vendite. In questo caso, per ogni 100 euro di legno o legna venduta, il produttore agricolo può portare in detrazione 6,40 euro di IVA come importo forfettario, indipendentemente dall’IVA realmente sostenuta sugli acquisti.

Questo ha due implicazioni principali:

  1. Semplificazione amministrativa: il regime riduce gli oneri contabili e documentali, soprattutto per piccoli produttori o imprese a conduzione familiare.

  2. Vantaggio economico potenziale: se il produttore sostiene spese con un’IVA inferiore a quella compensata (cioè spende meno IVA rispetto a quanto riceve con la percentuale di compensazione), può ottenere un beneficio fiscale netto.

In un contesto di crescente attenzione alla gestione efficiente della fiscalità agricola, questa misura assume un valore strategico, anche perché può migliorare la liquidità aziendale e rafforzare la competitività sul mercato. Ovviamente, è fondamentale che il produttore rispetti i requisiti soggettivi e oggettivi per l’applicazione del regime speciale.

Requisiti soggettivi e condizioni 

L’agevolazione prevista dal Decreto 6 agosto 2025 non è automatica e non riguarda tutti gli operatori del settore legno. È infatti riservata esclusivamente ai produttori agricoli che operano in regime speciale IVA, secondo quanto stabilito dall’art. 34 del DPR 633/1972.

Ma chi rientra effettivamente in questa categoria?

Il produttore agricolo in regime speciale è colui che esercita attività agricola secondo l’art. 2135 del Codice Civile, comprese:

  • coltivazione del fondo;

  • selvicoltura;

  • allevamento di animali;

  • attività connesse (come trasformazione e vendita di prodotti agricoli propri).

Nel caso del settore legno, si fa specifico riferimento alla silvicoltura e alla cessione di prodotti come legna da ardere, cascami di legno e legno semplicemente squadrato, previsti ai punti 43 e 45 della Tabella A, parte prima.

Per poter beneficiare della compensazione al 6,4%, il soggetto deve:

  1. Essere un produttore agricolo in regime speciale IVA (non in regime ordinario);

  2. Effettuare la cessione dei prodotti elencati nel decreto;

  3. Emettere fattura o documento commerciale in cui sia indicata l’IVA ordinaria applicabile (es. 10% o 22% a seconda del prodotto), ma con diritto alla detrazione forfettaria pari al 6,4%;

  4. Non superare i limiti dimensionali previsti per restare nel regime speciale, ossia il volume d’affari massimo annuo previsto dalla normativa.

È importante anche ricordare che il regime speciale non consente la detrazione dell’IVA sugli acquisti, se non tramite la percentuale di compensazione. Perciò, ogni scelta va ponderata in base al profilo di costi aziendali, alla struttura dell’impresa e al tipo di clientela (consumatori finali o soggetti IVA).

In definitiva, il regime speciale con compensazione al 6,4% è vantaggioso per i piccoli e medi produttori agricoli, ma richiede valutazioni accurate per evitare errori nella fatturazione e nella gestione IVA.

Compensazione IVA

Per chi opera nel regime speciale per l’agricoltura, l’applicazione delle percentuali di compensazione IVA non è solo una questione di aliquote, ma richiede una corretta gestione contabile e fiscale. Infatti, nonostante la semplificazione introdotta dalla forfettizzazione, la normativa prevede obblighi ben precisi, che se non rispettati possono comportare errori nella liquidazione IVA e nella dichiarazione annuale.

In primo luogo, è fondamentale che, in fattura o nel documento commerciale, venga applicata l’aliquota IVA prevista per il prodotto ceduto (ad esempio il 10% o 22%), indicando che l’operazione rientra nel regime speciale di cui all’art. 34 DPR 633/72. La percentuale di compensazione (6,4%) va poi considerata in sede di liquidazione come IVA detraibile in modo forfettario.

Il produttore agricolo in regime speciale non è obbligato a registrare gli acquisti IVA né a conservarne la detraibilità, in quanto la percentuale di compensazione rappresenta un meccanismo sostitutivo della detrazione. Tuttavia, è buona prassi mantenere una corretta contabilità dei ricavi, perché il calcolo della compensazione si basa sul volume imponibile delle cessioni.

Un altro aspetto importante è la gestione della dichiarazione IVA annuale: chi adotta il regime speciale è tenuto a compilare in modo specifico il quadro VO per comunicare l’opzione o la revoca del regime, e indicare correttamente nel quadro VE le operazioni attive e l’ammontare della compensazione spettante. Una gestione imprecisa può comportare errori nel saldo IVA e quindi rischi di contestazioni o rettifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Infine, per chi effettua sia operazioni in regime speciale sia operazioni in regime ordinario (es. attività agricole connesse trasformate), è necessario tenere una contabilità separata o valutare la convenienza del regime ordinario, in particolare se si sostengono elevati costi con IVA detraibile.

Il settore legno in Italia

La decisione di fissare al 6,4% la percentuale di compensazione IVA per legna e legno non ha soltanto un impatto fiscale per i produttori agricoli: si inserisce in un contesto più ampio di valorizzazione della filiera forestale italiana, con implicazioni importanti anche sul piano economico, ambientale ed energetico. In Italia, infatti, il settore legno rappresenta una componente rilevante dell’agricoltura e delle attività collegate alla gestione sostenibile del patrimonio forestale, soprattutto nelle aree montane e rurali.

Secondo i dati del CREA e dell’ISTAT, l’Italia dispone di oltre 11 milioni di ettari di superfici forestali, pari a circa il 37% del territorio nazionale. Una risorsa preziosa, spesso sottoutilizzata, ma che può generare valore attraverso la produzione di:

  • Legna da ardere, impiegata nel riscaldamento domestico e nei processi produttivi;

  • Cascami di legno e segatura, utili per biomasse ed energia rinnovabile;

  • Legno squadrato, destinato all’edilizia e all’industria del mobile.

In questo scenario, l’adeguamento della compensazione IVA rappresenta un incentivo alla regolarizzazione delle attività, contrastando l’economia sommersa e favorendo la tracciabilità dei prodotti. Inoltre, può contribuire a migliorare la redditività delle aziende agricole e forestali, soprattutto in zone interne dove il legno costituisce una delle poche risorse economiche disponibili.

Non meno importante è l’aspetto ambientale: favorire una gestione attiva e controllata dei boschi attraverso misure fiscali vantaggiose aiuta anche a ridurre il rischio di incendi, favorire la biodiversità e stimolare un uso energetico più sostenibile delle risorse locali. In questo senso, la compensazione IVA può diventare uno strumento di politica agricola e forestale integrata, e non solo un mero beneficio fiscale.

Conclusioni 

L’entrata in vigore del Decreto 6 agosto 2025, con l’innalzamento al 6,4% delle percentuali di compensazione IVA per la legna da ardere, cascami e legno squadrato, rappresenta un passo concreto verso il sostegno fiscale e operativo delle imprese agricole e forestali italiane. Si tratta di una misura che, se gestita correttamente, può tradursi in vantaggi economici reali, soprattutto per i piccoli e medi produttori che operano in regime speciale IVA.

Per sfruttare al meglio questa opportunità, è importante che le aziende agricole:

  • Verifichino di possedere i requisiti per il regime speciale IVA, previsti dall’art. 34 DPR 633/72;

  • Applichino correttamente le aliquote IVA di vendita, distinguendo tra l’IVA ordinaria dovuta e la compensazione forfettaria spettante;

  • Mantengano una contabilità ordinata e separata in caso di attività miste (regime speciale e regime ordinario);

  • Inseriscano correttamente i dati in dichiarazione IVA, soprattutto nel quadro VO e VE;

  • Valutino con un commercialista la convenienza di restare nel regime speciale o optare per il regime ordinario in base alla struttura dei costi e alla tipologia di clientela.

In definitiva, la compensazione IVA non è solo un adempimento, ma può diventare una leva strategica di gestione fiscale. In un momento in cui la sostenibilità economica e ambientale sono al centro del dibattito, strumenti come questo aiutano a rilanciare la filiera del legno, garantendo al tempo stesso semplificazione e legalità.

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