Molte imprese e professionisti, almeno una volta, si sono trovati a dover posticipare il pagamento di imposte e tributi per motivi di liquidità, gestione aziendale o semplice dimenticanza. Tuttavia, il ritardato pagamento non comporta soltanto sanzioni o interessi passivi da versare all’Erario: apre anche a una questione importante e spesso trascurata, ovvero la deducibilità fiscale di questi interessi.
Sommario
È possibile dedurre fiscalmente gli interessi di mora derivanti da imposte pagate in ritardo? In quali casi? E come si comporta la normativa italiana su questo tema, anche alla luce dei più recenti chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate e delle pronunce giurisprudenziali?
Questo articolo analizza nel dettaglio quando gli interessi da ritardato pagamento delle imposte possono essere dedotti dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo, distinguendo tra le diverse tipologie di imposte, la natura delle sanzioni, e il trattamento fiscale previsto dal TUIR.
La posizione dell’Agenzia delle Entrate
La questione della deducibilità degli interessi passivi derivanti dal ritardato pagamento delle imposte è stata oggetto di recente attenzione da parte dell’Agenzia delle Entrate, che nella risposta all’interpello n. 172/E del 2024 ha confermato un orientamento favorevole al contribuente. Il caso riguardava una società che, a seguito di un accertamento sul transfer pricing per gli anni 2014-2018, aveva sottoscritto un atto di adesione con il Fisco, versando le maggiori imposte accertate, le relative sanzioni e gli interessi di mora.
Tali interessi erano stati contabilizzati nel conto economico 2022, alla voce “interessi passivi e oneri assimilati”, con l’intento di portarli in deduzione dal reddito d’impresa. La società, richiamando l’art. 83 del TUIR, ha sostenuto che gli interessi rientrano tra i costi inerenti all’attività economica, in assenza di specifiche preclusioni normative. Infatti, l’art. 99, comma 1 del TUIR, pur vietando la deducibilità delle imposte sul reddito, non estende il divieto agli interessi ad esse correlati.
L’Agenzia ha accolto questa interpretazione, chiarendo che gli interessi di mora hanno una natura autonoma rispetto all’imposta da cui originano: non derivano da un obbligo tributario, ma da un inadempimento, e pertanto non possono essere considerati indeducibili per via accessoria. Inoltre, viene richiamata anche la relazione illustrativa all’art. 63 (ora art. 96) del TUIR, secondo cui rientrano a pieno titolo tra gli interessi passivi deducibili anche quelli dovuti ai sensi del D.P.R. 602/1973.
Interpello 541/E/2022 e giurisprudenza
La posizione dell’Agenzia delle Entrate in merito alla deducibilità degli interessi passivi per il ritardato pagamento delle imposte non è nuova. Già con la risposta a interpello n. 541/E/2022, il Fisco aveva chiarito che tali interessi sono, a tutti gli effetti, deducibili dal reddito d’impresa. In quel caso, una società chiedeva chiarimenti sulla deducibilità di interessi e IVA indetraibile a seguito di una conciliazione con l’Ufficio. L’Agenzia ha ribadito che la deducibilità degli interessi passivi deve essere valutata unicamente sulla base delle regole previste dal TUIR, a prescindere dalla natura del debito da cui originano.
Fondamentale anche il richiamo alla sentenza della Corte di Cassazione n. 12990/2007, che ha sottolineato come gli interessi passivi derivanti da accertamenti fiscali non si distinguano da quelli generati da altre obbligazioni per ritardo. Per la Suprema Corte, questi interessi hanno una funzione compensativa: servono cioè a riequilibrare il danno economico per lo Stato, che incassa le imposte oltre il termine previsto. E proprio per questa natura compensativa e non tributaria, devono essere considerati deducibili, secondo le ordinarie regole di deducibilità applicabili agli oneri finanziari.
Un dettaglio importante: sebbene gli interessi siano collegati alla disponibilità temporanea di liquidità da parte dell’impresa (che ha potuto contare su somme non versate nei termini), non si tratta di interessi di natura finanziaria, e quindi non rientrano tra quelli soggetti a particolari limitazioni legate a operazioni di finanziamento. Ne consegue che possono essere integralmente dedotti nel periodo d’imposta in cui vengono iscritti a bilancio, ovvero quando l’atto di accertamento o adesione viene formalmente definito.

La risoluzione n. 178/E/2001
Un’ulteriore conferma della deducibilità degli interessi passivi legati a ritardati pagamenti di natura tributaria arriva dalla risoluzione n. 178/E/2001 dell’Agenzia delle Entrate. In quel caso, l’intervento riguardava la possibilità di dedurre gli interessi pagati a seguito della dilazione concessa per il pagamento delle sanzioni inflitte dalla Commissione europea. Nonostante il tema sembri marginale rispetto all’ambito fiscale classico, la posizione dell’Amministrazione Finanziaria è risultata perfettamente coerente con quanto espresso in successivi interpelli.
L’Agenzia sottolinea infatti come gli interessi passivi corrisposti a fronte di un finanziamento, indipendentemente dalla sua destinazione specifica, rappresentino un costo generale d’impresa. In un contesto di impresa, dove il denaro è fungibile, non è quasi mai possibile stabilire con precisione a quale utilizzo sia stato destinato un prestito o una disponibilità finanziaria. Questo principio, applicato al caso fiscale, implica che gli interessi passivi devono essere considerati deducibili, anche quando sono “accessori” a costi di altra natura (come imposte o sanzioni).
Tale interpretazione trova fondamento normativo anche nell’attuale art. 96 del TUIR, che ha sostituito il previgente art. 63, ma ha mantenuto immutato il principio di fondo: gli interessi passivi sono deducibili in quanto tali, senza considerare l’origine dell’obbligazione a cui si riferiscono.
La stessa risoluzione richiama la relazione ministeriale illustrativa del TUIR, nella quale si afferma che rientrano tra gli interessi passivi anche quelli corrisposti per la rateazione delle imposte iscritte a ruolo, dato che la loro natura di onere finanziario è fuori discussione, anche se tecnicamente accessori all’imposta stessa.
Interessi passivi e IRAP
Diversamente da quanto accade per la determinazione del reddito ai fini IRES, il trattamento degli interessi passivi in ambito IRAP è soggetto a regole più stringenti e selettive. A chiarire la posizione dell’Agenzia delle Entrate è la risoluzione n. 228/E/2007, un documento di prassi fondamentale per comprendere se e quando sia possibile dedurre interessi moratori legati a ritardati pagamenti di imposte nell’ambito della base imponibile IRAP.
Nel caso analizzato dalla risoluzione, si trattava di interessi moratori versati da un’impresa per il pagamento tardivo di obbligazioni doganali. L’Amministrazione Finanziaria ha escluso la possibilità di dedurre tali interessi dal valore della produzione netta, argomentando che si tratta di oneri finanziari contabilizzati in voci del Conto Economico non rilevanti ai fini IRAP, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997.
In sostanza, poiché per le imprese commerciali e industriali la base imponibile IRAP si fonda sulle risultanze del conto economico secondo le classificazioni del codice civile, solo alcune componenti rilevano ai fini della deduzione. Gli interessi passivi rientrano tra le componenti escluse, a meno che non si tratti di soggetti per i quali si applicano regole differenti (come le banche o le assicurazioni).
Pertanto, anche se fiscalmente deducibili ai fini IRES, gli interessi per ritardato pagamento delle imposte non sono deducibili ai fini IRAP per la generalità delle imprese industriali e commerciali. Una distinzione importante da considerare quando si effettuano le scritture contabili e le dichiarazioni fiscali.
L’orientamento altalenante della giurisprudenza
Nonostante l’orientamento favorevole dell’Agenzia delle Entrate in tema di deducibilità degli interessi per ritardato pagamento delle imposte, la giurisprudenza di legittimità si è mostrata meno univoca, generando incertezze interpretative tra i contribuenti. Una posizione restrittiva è stata recentemente espressa nella ordinanza della Corte di Cassazione n. 28740/2022, che ha negato la deducibilità degli interessi moratori corrisposti da una società per il mancato pagamento di tributi.
Secondo la Suprema Corte, gli interessi moratori rappresentano un onere risarcitorio e accessorio all’imposta, e in quanto tali dovrebbero seguire lo stesso regime fiscale del tributo da cui originano. Dato che le imposte sul reddito non sono deducibili dal reddito d’impresa (ai sensi dell’art. 99 del TUIR), nemmeno gli interessi che ne derivano possono esserlo, a meno che non siano collegati ad operazioni finanziarie effettivamente inerenti all’attività produttiva dell’impresa.
I giudici di legittimità hanno inoltre richiamato l’art. 109 del TUIR, che subordina la deducibilità dei componenti negativi del reddito al principio di inerenza, salvo per gli interessi passivi che rientrano sotto il regime specifico dell’art. 96. Tuttavia, la Corte ha affermato che gli interessi moratori versati per tributi non rientrano nella tipologia di interessi finanziari deducibili, perché non derivano da operazioni produttive, ma da violazioni di obblighi fiscali.
Questa posizione, sebbene giustificata da un’interpretazione formalistica, è stata oggetto di critiche da parte della dottrina, tra cui Assonime, che nella Circolare n. 18/2012 ha osservato come sia improprio assimilare gli interessi moratori a sanzioni tributarie. A differenza delle sanzioni, infatti, gli interessi non puniscono una condotta illecita, ma rappresentano un meccanismo di compensazione economica per il danno subito dal creditore (in questo caso lo Stato) a causa del ritardato pagamento.

Deducibilità
La coesistenza di due orientamenti, quello favorevole dell’Amministrazione Finanziaria e quello restrittivo della giurisprudenza, crea un evidente conflitto interpretativo che alimenta l’incertezza tra i contribuenti. Da un lato, l’Agenzia delle Entrate adotta una linea coerente e costante, fondata sull’autonomia giuridica e contabile degli interessi passivi rispetto ai tributi, legittimandone la deduzione nei limiti previsti dall’art. 96 del TUIR.
Dall’altro, la Cassazione, specie nelle più recenti pronunce, lega rigidamente la sorte fiscale degli interessi a quella dell’imposta principale, giungendo spesso a escluderne la deducibilità.
Questa contrapposizione solleva interrogativi concreti: come deve comportarsi l’impresa in sede di bilancio e dichiarazione dei redditi? È più prudente seguire l’interpretazione dell’Agenzia o attenersi al più restrittivo orientamento giurisprudenziale? In mancanza di un intervento normativo chiarificatore o di una pronuncia a sezioni unite della Corte, il rischio è quello di trovarsi esposti a contestazioni in sede di accertamento, anche qualora si sia agito in conformità a circolari e interpelli dell’Agenzia.
Sul piano tecnico, è importante sottolineare che la posizione dell’Agenzia poggia su una solida lettura sistematica del TUIR, valorizzando l’autonomia funzionale degli interessi rispetto ai tributi, la loro natura di costo d’impresa e la ratio dell’art. 96, che non introduce distinzioni in base alla causa dell’obbligazione. La giurisprudenza, invece, tende a interpretare restrittivamente il concetto di inerenza, talvolta sovrapponendolo anche agli interessi passivi, in contrasto con il principio secondo cui questi ultimi sono deducibili nei limiti quantitativi, ma senza limiti qualitativi.
Questa situazione di incertezza normativa rende cruciale una corretta documentazione delle motivazioni contabili e fiscali adottate, nonché l’eventuale presentazione di un interpello preventivo nei casi più complessi o rilevanti.
Conclusioni
La questione della deducibilità degli interessi moratori versati per il ritardato pagamento delle imposte si conferma complessa e ancora oggi oggetto di letture differenti. Se da un lato l’Agenzia delle Entrate ha più volte ribadito la possibilità di portare in deduzione tali oneri, trattandoli come interessi passivi ordinari rientranti nel perimetro dell’art. 96 del TUIR, la giurisprudenza di legittimità, in particolare la Cassazione, mostra un atteggiamento più restrittivo, spesso fondato sulla presunta accessorietà e natura risarcitoria di tali interessi.
In questo contesto, è fondamentale che imprese e professionisti valutino attentamente la strategia fiscale da adottare: mentre una deduzione conforme alla prassi amministrativa può portare a un risparmio fiscale concreto, va comunque considerato il rischio potenziale di contestazione in sede di accertamento, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale più rigido.
Dal punto di vista operativo, si consiglia:
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di documentare con attenzione la natura degli interessi passivi iscritti a bilancio, specificando la loro funzione compensativa e non sanzionatoria;
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di verificare il rispetto dei limiti previsti dall’art. 96 del TUIR;
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di considerare l’opportunità di interpelli preventivi, soprattutto in presenza di importi significativi o contenziosi pregressi;
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di distinguere con precisione il trattamento IRES (che consente la deduzione) da quello IRAP (che nella maggior parte dei casi la esclude).
In definitiva, la deduzione degli interessi per ritardato pagamento delle imposte può rappresentare un’opportunità fiscale concreta e legittima, purché affrontata con metodo, prudenza e una solida consulenza tributaria.

