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Reverse Charge e Regime Forfettario: guida completa per operazioni interne, intra-UE ed extra-UE

Mariana Maxwel - Data di Pubblicazione: 15/10/2025 - 1030 visualizzazioni.
Reverse Charge e Regime Forfettario - Commercialista.it

Nel panorama fiscale italiano, uno dei regimi più utilizzati dai professionisti e dalle piccole imprese è quello forfettario, scelto per la sua semplicità gestionale e per le agevolazioni fiscali. Tuttavia, nonostante la sua apparente facilità, il regime forfettario presenta alcune complessità, soprattutto quando entra in gioco il meccanismo del Reverse Charge, ovvero l’inversione contabile.

La questione si complica ulteriormente quando il contribuente forfettario effettua operazioni internazionali, sia intra-UE che extra-UE. È proprio in questi casi che si aprono dubbi importanti: come si applica il Reverse Charge? Deve essere emessa la fattura? Serve l’integrazione? Va compilato l’Esterometro? E l’IVA va versata?

In questo articolo andremo ad analizzare punto per punto come deve comportarsi un contribuente in regime forfettario quando si trova di fronte a operazioni soggette al meccanismo del Reverse Charge, sia sul piano interno che in ambito intra-UE e extra-UE.

Reverse Charge interno

Nel regime forfettario, i soggetti che effettuano cessioni di beni o prestazioni di servizi in Italia non applicano l’IVA nelle proprie fatture e non sono soggetti al meccanismo del Reverse Charge. Questo significa che, in caso di operazioni attive, il forfettario deve comunque emettere fattura, senza addebitare l’IVA, riportando l’annotazione obbligatoria “Operazione in franchigia da IVA ex art. 1, commi da 54 a 89, L. 190/2014”. L’operazione rimane, quindi, esclusa dal campo di applicazione dell’inversione contabile.

Il quadro cambia quando il contribuente in regime forfettario riceve una fattura soggetta a Reverse Charge, ad esempio da un fornitore che rientra nei settori in cui l’inversione contabile è obbligatoria (come edilizia o pulizie). In questo caso, il forfettario, pur essendo in un regime che lo esonera dal versamento e dalla detrazione dell’IVA, è comunque tenuto a integrare la fattura ricevuta con l’IVA dovuta e a versarla.

Il versamento non può essere compensato, poiché il forfettario non ha diritto alla detrazione, e va effettuato entro i termini previsti dalla normativa. Un’importante novità introdotta dal D.Lgs. n. 81/2025 stabilisce che, a partire dalla sua entrata in vigore, l’IVA dovuta in regime di Reverse Charge potrà essere versata entro il secondo mese successivo alla fine di ciascun trimestre solare, e non più entro il 16 del mese successivo alla ricezione della fattura. Questo rappresenta un alleggerimento temporale importante per i contribuenti forfettari.

Reverse Charge esterno intra-UE

Quando un contribuente in regime forfettario effettua operazioni con controparti stabilite in altri Paesi dell’Unione Europea, la gestione IVA diventa più articolata. Per quanto riguarda le cessioni di beni a soggetti passivi IVA comunitari, queste si considerano non intra-UE, bensì assimilate a cessioni interne, come chiarito dall’art. 41, comma 2-bis del D.L. n. 331/1993. Pertanto, la fattura va emessa senza IVA, includendo la dicitura: “Operazione non costituisce cessione intra-UE ai sensi dell’art. 41, comma 2-bis, D.L. n. 331/1993”, oltre all’annotazione relativa al regime forfettario.

Se invece la cessione avviene nei confronti di un consumatore finale comunitario, valgono le stesse regole: fattura senza IVA e menzione del regime agevolato.

Per le prestazioni di servizi rese a soggetti passivi IVA UE, il contribuente forfettario deve essere iscritto al VIES e fatturare in regime di Reverse Charge, indicando che l’operazione è “non soggetta ad IVA ex art. 7-ter, D.P.R. n. 633/1972”. Se il committente è un privato, la fattura resta priva di IVA, con sola indicazione del regime forfettario.

Dal lato acquisti, se il forfettario compra beni intra-UE, deve verificare se ha superato la soglia annua dei 10.000 euro. Se non la supera, l’operazione è trattata come interna e soggetta ad IVA nel Paese del fornitore. Se la soglia è superata (o se il forfettario ha optato per l’applicazione ordinaria dell’IVA), sarà necessario integrare la fattura con l’IVA italiana e versarla, senza possibilità di detrazione. Grazie al D.Lgs. n. 81/2025, il versamento può avvenire entro il secondo mese successivo al trimestre.

Infine, gli acquisti di servizi intra-UE richiedono sempre l’integrazione e il versamento dell’IVA, senza riferimento alla soglia. Se il fornitore UE è in regime speciale per piccole imprese, non si tratta di acquisto intra-UE, come da art. 38, comma 5, lett. d) D.L. 331/1993.

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Reverse Charge esterno extra-UE

Quando un contribuente in regime forfettario effettua operazioni con controparti extra-UE, le regole fiscali si allineano a quelle ordinarie previste per i soggetti passivi IVA, con alcune precisazioni specifiche per chi gode del regime agevolato.

Nel caso di esportazione di beni verso Paesi extra-UE, il contribuente forfettario non applica l’IVA in fattura e non è tenuto ad addebitarla a titolo di rivalsa. Si tratta di operazioni non imponibili, in quanto le esportazioni rientrano nel campo dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, ma il contribuente forfettario – non essendo un soggetto IVA “pieno” – non può esercitare il diritto alla detrazione, né beneficiare di rimborsi o plafond.

Diverso il caso delle importazioni di beni extra-UE, dove il forfettario agisce come qualsiasi altro soggetto passivo IVA e deve versare l’IVA direttamente in dogana al momento dello sdoganamento. Non è prevista l’inversione contabile per queste operazioni, e il tributo viene gestito tramite i canali doganali ordinari.

Per quanto riguarda le prestazioni di servizi rese verso clienti business (B2B) extra-UE, si applica la regola generale della territorialità di cui all’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972: la fattura è emessa senza IVA, con l’annotazione “operazione non soggetta”, poiché il luogo di tassazione si considera fuori dall’Italia.

In caso contrario, ovvero quando il forfettario acquista servizi da un fornitore extra-UE, egli è tenuto ad emettere autofattura, integrare con l’IVA dovuta e procedere al versamento entro i termini previsti, ovvero entro il secondo mese successivo al trimestre secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 81/2025.

Commissioni bancarie estere

Molti contribuenti in regime forfettario si trovano regolarmente a ricevere commissioni da parte di intermediari esteri come PayPal, SumUp, Satispay, Amazon Pay e altri strumenti di pagamento elettronico. Questi operatori, essendo istituti finanziari, rendono prestazioni di natura finanziaria, le quali sono considerate esenti da IVA in base all’art. 10, comma 1, n. 1 del D.P.R. n. 633/1972.

Dal punto di vista territoriale, secondo l’art. 7-ter del D.P.R. 633/1972, tali prestazioni sono rilevanti in Italia se il committente – cioè il contribuente forfettario – è stabilito nel territorio dello Stato. Di conseguenza, anche se il prestatore è stabilito in un altro Paese (UE o extra-UE), l’operazione va gestita con i meccanismi previsti per gli acquisti di servizi da soggetti non residenti.

Secondo l’art. 17, comma 2, se il prestatore è UE, il forfettario deve procedere con l’integrazione della fattura; se è extra-UE, deve emettere autofattura. Tuttavia, non trattandosi di operazioni imponibili ma esenti, non si applica IVA, ma va indicato il riferimento normativo corretto.

L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 12/E del 2010, ha chiarito che anche per le operazioni esenti rilevanti in Italia, il committente nazionale deve emettere documento integrativo o autofattura, annotandolo nei registri IVA (pur essendone formalmente esonerato) ma senza riportarlo nel quadro VJ della dichiarazione IVA.

Infine, ai fini dell’esterometro, il forfettario deve trasmettere entro il 15 del mese successivo un documento elettronico TD17 tramite SDI, con aliquota IVA 0%, natura IVA “N4”, e indicazione normativa: art. 10, comma 1, n. 1, D.P.R. 633/1972.

Riepilogo operativo

La corretta gestione del Reverse Charge da parte dei contribuenti in regime forfettario richiede attenzione a diversi aspetti tecnici e pratici.

Ecco un quadro sintetico ma esaustivo delle azioni da compiere nelle diverse casistiche operative:

Operazioni interne ricevute con Reverse Charge:

  • Integrare la fattura ricevuta con l’aliquota IVA dovuta;

  • Versare l’IVA entro il secondo mese successivo al trimestre di riferimento (D.Lgs. n. 81/2025);

  • Nessun diritto alla detrazione, quindi l’IVA è un costo effettivo.

Acquisti di beni intra-UE:

  • Se non superata la soglia dei 10.000 €: IVA applicata nel Paese del fornitore;

  • Se superata la soglia o se si è optato per l’IVA ordinaria:

    • Integrare la fattura e versare l’IVA in Italia;

    • Trasmettere l’esterometro con documento TD18.

Acquisti di servizi intra-UE:

  • Sempre territorialmente rilevanti in Italia, indipendentemente dalla soglia;

  • Iscrizione obbligatoria al VIES;

  • Integrare la fattura ricevuta con l’IVA e versarla;

  • Inviare esterometro TD17.

Acquisti di servizi extra-UE:

  • Emissione autofattura con indicazione dell’IVA o dell’esenzione, se prevista;

  • Versamento IVA se dovuta;

  • Invio esterometro TD17.

Commissioni bancarie estere (es. PayPal, Stripe, ecc.):

  • Trattandosi di operazioni esenti, si emette autofattura senza IVA;

  • Inserire la natura IVA N4 e riferimento a art. 10, c. 1, n. 1, DPR 633/72;

  • Invio TD17 entro il 15 del mese successivo.

Strumenti consigliati:

  • Software di fatturazione elettronica aggiornato ai codici TD17, TD18, TD19;

  • Pianificazione trimestrale per il versamento IVA dovuta;

  • Monitoraggio della soglia dei 10.000 € negli acquisti UE.

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Sanzioni e rischi 

Anche se il regime forfettario è concepito per semplificare la vita dei contribuenti, non li esonera da responsabilità importanti nei confronti del Fisco, soprattutto quando entrano in gioco le operazioni soggette a Reverse Charge. Un errore nella gestione di questi adempimenti – spesso percepiti come marginali – può portare a sanzioni economiche rilevanti, anche per importi modesti di IVA non correttamente trattata.

Ad esempio, se un contribuente forfettario non integra o non autofattura correttamente una prestazione di servizi ricevuta da un fornitore estero (UE o extra-UE), o omette l’invio del documento elettronico TD17/TD18/TD19, può incorrere in una sanzione prevista dall’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997, che va da 500 a 2.000 euro per ogni operazione omessa o irregolare.

Inoltre, in caso di mancato versamento dell’IVA dovuta (quando applicabile), la sanzione è pari al 30% dell’imposta non versata, oltre agli interessi legali. Per i contribuenti forfettari, che non possono detrarre l’IVA, questo comporta un costo diretto e non recuperabile.

È bene ricordare che l’obbligo di trasmettere l’Esterometro (nei termini previsti) è stato esteso anche ai forfettari, e la sua omissione o trasmissione fuori termine comporta sanzioni fisse: 2 euro per ogni fattura, fino a un massimo di 400 euro mensili, riducibili del 50% se la trasmissione avviene entro 15 giorni dalla scadenza.

Questi rischi evidenziano l’importanza di conoscere le regole e di adottare strumenti adeguati per una gestione corretta, anche in un regime semplificato come quello forfettario.

Aspetti fiscali 

Dal punto di vista fiscale, l’applicazione del Reverse Charge ha implicazioni particolari per chi opera nel regime forfettario, poiché quest’ultimo è caratterizzato da una forte semplificazione contabile e da regole fiscali “a forfait”, cioè con un’imposizione calcolata su una base ridotta e una tassazione sostitutiva. Tuttavia, quando il contribuente forfettario è coinvolto in operazioni soggette a inversione contabile, viene chiamato ad adempiere obblighi tipici del regime ordinario IVA, ma senza godere dei relativi benefici.

Il primo aspetto critico è che il forfettario non può detrarre l’IVA, nemmeno se sostenuta in operazioni soggette a Reverse Charge. Di conseguenza, l’imposta che egli versa all’Erario in questi casi rappresenta un costo reale, non recuperabile in alcun modo.

Questo vale, ad esempio, per:

  • l’acquisto di servizi intra-UE o extra-UE,

  • l’acquisto di beni intra-UE sopra la soglia dei 10.000 euro,

  • le fatture soggette a Reverse Charge interno (es. da settori come edilizia, pulizie, etc.).

Il secondo elemento rilevante è il momento del versamento. A partire dal D.Lgs. n. 81/2025, il legislatore ha introdotto una misura favorevole: il versamento dell’IVA in Reverse Charge può avvenire entro il secondo mese successivo al trimestre di riferimento, allineandolo così al regime dei versamenti periodici per le operazioni IVA.

Infine, sotto il profilo delle deduzioni fiscali, l’IVA versata tramite Reverse Charge non è deducibile nemmeno ai fini delle imposte dirette, poiché i forfettari determinano il reddito imponibile applicando un coefficiente di redditività al volume d’affari, senza possibilità di dedurre costi analitici, salvo i contributi previdenziali.

In sintesi, pur in un regime agevolato, il Reverse Charge espone il forfettario a oneri fiscali concreti, che vanno gestiti con attenzione per evitare impatti negativi sulla marginalità.

Conclusione

Il regime forfettario, pur essendo uno strumento fiscale pensato per semplificare la gestione contabile e alleggerire il carico amministrativo delle partite IVA di minori dimensioni, non esonera il contribuente da obblighi complessi quando si entra nel campo delle operazioni soggette a Reverse Charge.

Come abbiamo visto, la corretta applicazione dell’inversione contabile richiede:

  • la conoscenza delle regole territoriali IVA,

  • la capacità di distinguere tra prestazioni e cessioni,

  • l’utilizzo corretto dei codici TD17, TD18 e TD19 per l’Esterometro,

  • il rispetto dei nuovi termini di versamento IVA trimestrali introdotti dal D.Lgs. n. 81/2025,

  • e un’attenta gestione delle commissioni e dei servizi digitali ricevuti dall’estero, anche quando si tratta di operatori noti come PayPal o Amazon.

Inoltre, il fatto che i forfettari non possano detrarre l’IVA li espone a costi reali in caso di errori o omissioni, senza alcuna possibilità di recupero. Per questo è fondamentale adottare strumenti adeguati di fatturazione elettronica, pianificare i controlli periodici e, se necessario, affidarsi a un commercialista esperto per evitare sanzioni e perdite economiche.

Il consiglio finale è quindi semplice ma cruciale: non sottovalutare l’impatto del Reverse Charge, anche in un regime che promette semplificazione. Per non trasformare un’opportunità fiscale in un rischio concreto, serve attenzione, competenza e aggiornamento costante.

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La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18326 del 4 luglio 2024, ha chiarito che il meccanismo del reverse charge nel commercio di metalli preziosi può essere applicato solo quando la rivendita dell'oro è destinata a processi industriali, come la fusione. In tutti gli altri casi, come la vendita a consumatori finali, si applica il regime del margine.  

Reverse Charge vs. Regime del Margine

Nel settore del commercio di oro, il reverse charge può essere utilizzato esclusivamente quando la cessione è finalizzata alla fusione o a ulteriori trasformazioni del metallo. Se l'oro è venduto direttamente a consumatori finali, il regime del margine è quello appropriato. Questo regime speciale, disciplinato dall'articolo 36 del Decreto Legge n. 41/1995, si applica alla tassazione della differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita del bene, anziché sull'intero valore del bene stesso.  

Condizioni per l'Applicazione del Reverse Charge

Il meccanismo del reverse charge, previsto dall'articolo 17 del DPR n. 633/1972, trasferisce l'obbligo del pagamento dell'IVA dal venditore all'acquirente, ma solo in determinate operazioni, generalmente per prevenire l'evasione fiscale. Tuttavia, per poter applicare il reverse charge nel commercio dell'oro, devono essere soddisfatte specifiche condizioni: il venditore deve essere iscritto all'albo degli operatori professionali del mercato dell’oro e l'oro ceduto deve essere destinato a processi industriali di trasformazione.  

Il Caso Specifico: Controllo e Accertamento

Il caso oggetto della sentenza della Cassazione ha riguardato un'orefice che applicava il reverse charge alla vendita di oggetti d'oro. Dopo un controllo della Guardia di Finanza, l'Agenzia delle Entrate ha contestato l'applicazione errata del reverse charge, sostenendo che il corretto regime fiscale da applicare fosse quello del margine, poiché l'oro era venduto a consumatori finali e non destinato a fusione.  

Decisioni Giudiziarie e Conferme Normative

Sia la Commissione Tributaria Provinciale di Torino che la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte hanno confermato che il reverse charge non poteva essere applicato nel caso specifico, ribadendo l'obbligo di rispettare le condizioni normative previste. La Corte di Cassazione ha ulteriormente consolidato questo orientamento, sottolineando che il reverse charge si applica solo quando l'oro venduto è destinato a processi che avviano un nuovo ciclo economico, come la fusione.  

Conclusione: Legittimità dell'Accertamento

La Corte di Cassazione ha dunque confermato la legittimità dell’accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, in quanto la contribuente non aveva dimostrato che l’oro venduto fosse destinato a operatori industriali per la trasformazione. Questo chiarimento rafforza la necessità di applicare il corretto regime fiscale nel commercio dell'oro, in base alla destinazione finale dei beni.

Il reverse charge nel settore energetico: chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate

Il reverse charge nel settore energetico: chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate - Commercialista.it

L'Agenzia delle entrate ha fornito nuove indicazioni in merito all'applicazione del meccanismo del reverse charge (inversione contabile) nel settore delle cessioni di gas ed energia elettrica.

Proroga e ambito di applicazione

Il reverse charge, introdotto per contrastare l'evasione fiscale, è stato prorogato fino al 31 dicembre 2026. Esso si applica, tra le altre, alle cessioni di gas ed energia elettrica effettuate a soggetti passivi rivenditori o a soggetti che utilizzano i beni nel territorio italiano.

Aggiornamenti dei prezzi e reverse charge

Un punto cruciale chiarito dall'Agenzia riguarda i casi in cui, a seguito di un aggiornamento dei prezzi, si verifichi un aumento della base imponibile su cessioni di energia elettrica avvenute prima del 2015. In questi casi, i maggiori compensi ricevuti dovranno essere fatturati applicando l'Iva in modo ordinario, in quanto in origine non era stato applicato il reverse charge.

Principio di diritto e coerenza con la normativa

Questa interpretazione si basa sul principio di diritto n. 2/2024 e trova fondamento nella normativa vigente. L'Agenzia ribadisce che il reverse charge rappresenta una deroga alle regole ordinarie e che, in generale, l'obbligo di versare l'Iva grava sul cessionario o committente e non sul cedente o prestatore.

Esclusioni

Il regime del reverse charge non si applica alle note di credito emesse prima dell'entrata in vigore del meccanismo stesso.

In sintesi

L'Agenzia delle Entrate, con il suo ultimo principio di diritto, ha fornito ulteriori chiarimenti sull'applicazione del reverse charge nel settore energetico, garantendo una maggiore certezza giuridica per i contribuenti.

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