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lunedì 19 Maggio 2025
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Speciale 5 notti al prezzo di 3 al Castello di Montignano Relais & Spa – Umbria

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Diritto Cinese: la Giurisdizione nel Contratto Stipulato con una Parte Straniera

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APS,asd,ssd,Diritti degli associati

Sig. Liu: Avv. Dong, buongiorno! Sono direttore di una società commerciale cinese e leggo spesso i suoi utili articoli.

In virtù della natura del mio business, infatti, mi trovo spesso a concludere vari tipi di contratti commerciali e di servizi con clientela straniera.

A tal proposito, potrebbe darmi un piccola spiegazione della legge cinese applicabile ai contratti stipulati con una parte straniera?

Rubrica Legale dell’Avv. Lifang Dong: la Giurisdizione nel Contratto Stipulato con una Parte Straniera

Avv. Dong: Sig. Liu, buongiorno! Innanzitutto, la stipula di un contratto è fondamentale nell’attività commerciale con clientela straniera.

Per questo è importante che adotti opportune cautele nel concludere tale tipo di contratto al fine di tutelare adeguatamente il Suo interesse.

Il contratto stipulato con una parte straniera è caratterizzato da un criterio di collegamento con almeno un fattore “straniero”, determinante la legge applicabile al contratto. Per fattore straniero s’intende che una delle parti del contratto, l’oggetto, la stipulazione, la modificazione o l’estinzione del contratto è legata ad un fattore straniero.

Se insorge una controversia tra le parti, la giurisdizione sarà determinata, in assenza di clausole contrattuali, dai principi di legge applicabile.

Diversamente, se le parti hanno inserito convenzionalmente le clausole per la determinazione della giurisdizione, allora, saranno tali clausole a determinare il foro competente alla risoluzione della controversia insorta.

La clausola sulla giurisdizione è incisiva, perché, come spesso accade, le sentenze sono molto differenti da corte a corte, persino per lo stesso caso.

Dunque, sarà necessario capire la natura del contratto per determinare la legge applicabile e analizzare attentamente la clausola della giurisdizione contrattuale sia nella fase di redazione sia nella fase di stipula di un contratto con una parte straniera.

Giurisdizione nel contratto stipulato con una parte straniera

Per quanto riguarda la giurisdizione nel contratto stipulato con una parte straniera, la legge cinese ha distinto sei criteri di attribuzione della competenza:

1. Principio di territorialità, per il quale la giurisdizione è determinata in virtù del domicilio, della residenza della parte o del luogo dell’oggetto contrattuale;

2. Principio di personalità, per il quale la giurisdizione dipende dalla nazionalità della parte. Tuttavia, dal momento che la maggior parte dei paesi nel mondo applica il principio di territorialità, il principio di personalità è considerato come criterio supplementare rispetto al principio della territorialità al fine di tutelare gli interessi dei propri cittadini.

3. Principio del foro del convenuto, per cui, secondo l’articolo 243 del Codice di Procedura Civile Cinese, se il convenuto non eccepisce il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo, la competenza è della Corte di fronte al quale il convenuto è comparso;4. Principio di competenza, per cui, secondo la legge cinese, i casi ordinari spettano al Tribunale di livello Base; i casi più importanti spettano al Tribunale di livello Intermedio; mentre il Tribunale di livello Superiore ha la competenza per quei casi aventi rilevanza territoriale; infine, la Corte Popolare Suprema ha la competenza per quei casi aventi rilevanza nazionale e quelli in virtù della sua discrezione;

5. Principio di esclusività, per cui la legge impone che una serie di casi spettino al tribunale cinese in maniera determinata ed esclusiva;

6. Principio convenzionale, per cui, secondo l’articolo 242 del Codice di Procedura Civile, le parti possono con accordo scritto scegliere, tra le corti possibili, quella adatta alla risoluzione della controversia contrattuale o patrimoniale insorta e caratterizzata da fattore straniero. Se le parti scelgono la corte cinese, sarà allora necessario osservare il principio di esclusione e competenza.

Nota: il contenuto di questo articolo non costituisce un parere del nostro studio legale, ma ha funzione informativa. Se Lei ha altri dubbi, ci può contattare per ulteriori informazioni ed assistenza legale.

Circolare n. 9 Indennità una tantum in favore dei lavoratori somministrati.

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Roma, 23/01/2012 Circolare n. 9

OGGETTO: Indennità una tantum in favore dei lavoratori somministrati.

Modifiche all’Accordo del 13 maggio 2009. Prosecuzione dell’intervento. Istruzioni procedurali e contabili.

Premessa

L’Accordo del 13 maggio 2009, sottoscritto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da Assolavoro e dalle Organizzazioni  indacali, ha previsto – per i lavoratori in somministrazione in possesso dei requisiti contenuti nello stesso Accordo – una misura di sostegno al reddito, c. D. Una tantum, pari a euro 1300,00 al lordo delle ritenute di legge. L’erogazione di questa prestazione ha riguardato i sottoscrittori dei Patti di attivazione stipulati, presso le Agenzie per il lavoro, entro il 31 dicembre 2009. A seguito della conclusione della procedura relativa all’annualità 2009, in data 16 dicembre 2011, le stesse Parti firmatarie del suddetto Accordo, insieme con l’Istituto, hanno convenuto di riaprire, nel periodo compreso tra il 1 febbraio e il 30 marzo 2012, i termini di presentazione delle domande relativamente ai lavoratori in somministrazione negli anni 2010 e 2011, con le modalità e a favore dei soggetti individuati secondo quanto previsto nel Verbale di accordo.

Roma, 23/01/2012 Circolare n. 9

OGGETTO: Indennità una tantum in favore dei lavoratori somministrati.

Modifiche all’Accordo del 13 maggio 2009. Prosecuzione dell’intervento. Istruzioni procedurali e contabili.

Premessa

L’Accordo del 13 maggio 2009, sottoscritto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da Assolavoro e dalle Organizzazioni  indacali, ha previsto – per i lavoratori in somministrazione in possesso dei requisiti contenuti nello stesso Accordo – una misura di sostegno al reddito, c. D. Una tantum, pari a euro 1300,00 al lordo delle ritenute di legge. L’erogazione di questa prestazione ha riguardato i sottoscrittori dei Patti di attivazione stipulati, presso le Agenzie per il lavoro, entro il 31 dicembre 2009. A seguito della conclusione della procedura relativa all’annualità 2009, in data 16 dicembre 2011, le stesse Parti firmatarie del suddetto Accordo, insieme con l’Istituto, hanno convenuto di riaprire, nel periodo compreso tra il 1 febbraio e il 30 marzo 2012, i termini di presentazione delle domande relativamente ai lavoratori in somministrazione negli anni 2010 e 2011, con le modalità e a favore dei soggetti individuati secondo quanto previsto nel Verbale di accordo.

1. Prosecuzione dell’intervento

a) Beneficiari

I destinatari dell’indennità  una tantum di sostegno al reddito sono i lavoratori in somministrazione che, nel periodo dal 1 gennaio 2010 al 31 dicembre 2011, possiedono, alla data dichiarata nella domanda di ammissione al beneficio, i requisiti di cui al punto successivo.

b) Requisiti e condizioni

Il verbale del 16 dicembre2011 harichiamato quanto stabilito nell’accordo del 27 ottobre 2010. Pertanto, i lavoratori somministrati devono:

– avere maturato un’ anzianità di lavoro di almeno 78 giornate in somministrazione a partire dal 1 gennaio 2008 e, successivamente, almeno 45 giorni continuativi di disoccupazione precedenti la data dichiarata nella domanda;

– non aver già beneficiato della stessa misura una tantum di sostegno al reddito;

– non avere percepito, nei sei mesi precedenti la maturazione del requisito, prestazioni pubbliche di sostegno al reddito di importo pari o superiore a euro 1300,00.

c) Domanda

La domanda, composta dalla Richiesta di incentivo e dal Patto di attivazione, è  presentata esclusivamente alle Agenzie per il lavoro e sarà dalle stesse inserita nella piattaforma informatica PLUS dedicata da Italia Lavoro S. P. A. A questo tipo di intervento. Al momento della presentazione delle istanze, le Agenzie verificheranno, in tempo reale, il possesso in capo al richiedente dei requisiti necessari, attraverso le funzionalità messe appositamente a disposizione da parte dell’Istituto e, ove riscontrabili, in base ai dati presenti negli archivi dell’Inps e nell’archivio delle comunicazioni obbligatorie. Poiché la prestazione è legata ad un fondo a capienza, le istanze presentate, per le quali è verificato il possesso dei requisiti, verranno accettate con “riserva di capienza”. In caso di esito negativo, la Richiesta di incentivo sarà comunque inserita nel sistema ma con “riserva di verifica e di capienza”. Il lavoratore potrà quindi presentare la documentazione cartacea idonea (CUD e certificazione del competente Centro per l’impiego) presso l’Agenzia per il lavoro che dovrà verificare il possesso dei requisiti e successivamente trasmettere detta documentazione via posta elettronica ad Italia Lavoro entro il trentesimo giorno successivo alla data di sottoscrizione della domanda. Italia Lavoro, verificata la conformità della documentazione ricevuta, inserirà il nominativo del potenziale beneficiario nell’elenco finale da trasmettere all’INPS. Nel caso in cui la documentazione non pervenga nei tempi indicati, ovvero non sia ritenuta idonea, la richiesta di incentivo sarà definitivamente respinta. Terminata questa fase istruttoria, l’elenco dei potenziali beneficiari, insieme con la documentazione a corredo, sarà trasmesso all’Istituto che, a seguito di decisione concordata con le Parti sociali sottoscrittrici del verbale del 16 dicembre 2011, provvederà – entro il 5 maggio 2012 – alla creazione di una graduatoria dei beneficiari. Questa graduatoria, con elaborazione accentrata, sarà formata tenendo conto della data di maturazione dei requisiti richiesti e fino ad esaurimento delle risorse disponibili.

d) Prestazione

Formata la graduatoria, saranno inviate le apposite liste nominative alle Strutture territorialmente competenti per l’erogazione della prestazione. Al termine dei pagamenti, che dovranno essere effettuati entro il 31 maggio 2012, le Direzioni regionali procederanno alla comunicazione, con relativo invio dei file nominativi, alla Direzione centrale Prestazioni a sostegno del reddito, per l’aggiornamento della piattaforma PLUS da parte di Italia Lavoro.

2. Istruzioni procedurali

L’Istituto ha predisposto un servizio mediante il quale le Agenzie del Lavoro hanno la possibilità di verificare, in tempo reale, il possesso dei requisiti necessari, ove riscontrabili, in capo al richiedente la prestazione, in base ai dati presenti negli archivi dell’Inps e nell’archivio delle comunicazioni obbligatorie, come indicato nel precedente paragrafo. La gestione e il pagamento della prestazione devono essere eseguiti  utilizzando la procedura DsWeb disponibile in Intranet – processi – prestazioni a Sostegno del reddito – sezione Disoccupazione non agricola. Per l’acquisizione occorre selezionare il tipo domanda ‘E-Sussidio straordinario’ e, in seguito il codice sussidio ‘SOMM-IND. SOST. REDDITO LAV. SOMMINISTRATI’. Per i pagamenti della prestazione, dal menù principale occorre selezionare il link Pagamenti – Pagamento diretto interventi per l’occupazione; dalla lista di opzioni presentate è possibile selezionare i pagamenti per i LAV. SOMMINISTRATI.

3. Istruzioni contabili

Per la rilevazione contabile dei pagamenti sopra descritti si rimanda alle istruzioni contenute nella circolare n. 100 del 07 agosto 2009, aggiornate con la circolare n. 121 del 04 dicembre 2009 per l’accentramento dei pagamenti delle prestazioni a sostegno del reddito. Con quest’ultima circolare sono state fornite le istruzioni operative e contabili relative al processo di riforma dei sistemi di pagamento delle prestazioni a sostegno del reddito che prevede l’automatismo completo delle attività contabili ed il pagamento delle prestazioni esclusivamente da parte della Direzione centrale bilanci e servizi fiscali. Per la complessità del procedimento e la necessità di assicurare la migliore tutela nei confronti dei possibili beneficiari, si invitano le Sedi ad assicurare la più ampia e corretta informazione sulle modalità e i flussi procedurali descritti. Le Direzioni centrali interessate provvederanno ad un attento monitoraggio dei flussi quantitativi di domande immessi in procedura Plus e alla verifica della capienza finanziaria dei fondi disponibili.

董丽芳律师信箱 强制调解的程序

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张先生来访:董丽芳律师,您好!我是一家贸易公司的经理。我们公司租了一套写字楼用于办公,租期为6年加6年的商业租赁,2012年3月31日第一个6年到期。到期前12个月,我们没有提出解除合同,房东也没有提出解约和增加房租的要求,所以合同应当按照原来的条件自动延续6年。可是2011年9月份,房东(提前6个月)书面通知我们从明年3月开始要提高租金。我担心将来双方因此会产生纠纷,听说对于这种情况,除了走诉讼途径,法律还规定了新的解决途径?       

董丽芳律师信箱:强制调解的程序

张先生来访:董丽芳律师,您好!我是一家贸易公司的经理。我们公司租了一套写字楼用于办公,租期为6年加6年的商业租赁,2012年3月31日第一个6年到期。到期前12个月,我们没有提出解除合同,房东也没有提出解约和增加房租的要求,所以合同应当按照原来的条件自动延续6年。可是2011年9月份,房东(提前6个月)书面通知我们从明年3月开始要提高租金。我担心将来双方因此会产生纠纷,听说对于这种情况,除了走诉讼途径,法律还规定了新的解决途径?

董丽芳律师:张先生,您好!对于贵公司的情况,2011年3月20日生效的意大利2010年3月4第28号法令有明确规定。但需要注意的是,法令对于因公寓和不动产物权、划分程序、继承、家庭协议、租赁、无偿保释、商业租赁、交通事故、医疗侵权损害、媒体或其他公众宣传的诽谤、保险协议、银行协议和资金协议引起的纠纷,应当先进行“强制调解”程序。调解不成的,才能走诉讼程序。

    调解程序由专业、独立的机构主持,这些调解机构应当在司法部登记。调解的程序如下:

1、向调解机构提出调解申请,由调解机构指派调解员并安排调解会议。

2、调解程序在4个月内结束,将出现两种结果:

1)达成调解协议,调解员起草会议备忘录,并由双方签字同意。备忘录经调解机构所在地法院批准后,协议生效,对于双方均具有约束力和强制执行力。获胜方可向当地权威部门申请,对失败方在判决金额范围内行使强制转移权和抵押权。

2)在双方协商不成的情况下,调解员起草会议备忘录,由双方签字。同时,调解员提供一个解决方案,如果一方或双方不同意此解决方案,则可以通过诉讼途径解决纠纷。

    值得注意的是,根据法令规定,如果法官的判决与调解员的方案一致,而获胜方之前拒绝调解员的方案的,法院可以不判给胜诉方诉讼成本和费用,并可责令其承担败诉方的诉讼成本和费用及向法院申请该案的备案费用。

    

    注:上述内容仅作为参考信息使用,不得视为本所对任何事项的法律意见。如果您对此事还有其他问题,请您与本所联系,我们会及时提供全方面的法律咨询和服务。

Indennità di mobilità: natura previdenziale

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Indennità di mobilità: natura previdenziale

Cass. Sez. Lav. 24 novembre 2011 n. 24828

L’indennità di mobilità ai lavoratori licenziati, di cui all’art. 7, legge 23 luglio 1991, n. 223, configura una prestazione previdenziale che trova inderogabile regolamentazione nella normativa legale; ne consegue che è invalido ogni patto che valga a modificare la normativa legale sulle forme di previdenza e di assistenza obbligatorie e sulle contribuzioni e prestazioni relative, o che sia suscettibile di eludere gli obblighi delle parti attinenti alle suddette materie.

Indennità di mobilità: natura previdenziale

Cass. , sez. Lav. , 24 novembre 2011, n. 24828

L’indennità di mobilità ai lavoratori licenziati, di cui all’art. 7, legge 23 luglio 1991, n. 223, configura una prestazione previdenziale che trova inderogabile regolamentazione nella normativa legale; ne consegue che è invalido ogni patto che valga a modificare la normativa legale sulle forme di previdenza e di assistenza obbligatorie e sulle contribuzioni e prestazioni relative, o che sia suscettibile di eludere gli obblighi delle parti attinenti alle suddette materie.

Nella vicenda in esame, un lavoratore si era rivolto al Tribunale per chiedere la condanna della società datrice di lavoro al pagamento in suo favore di una somma a titolo di risarcimento del danno per mancata esecuzione dell’accordo sottoscritto tra le parti in sede sindacale,avente ad oggetto il suo inserimento nelle liste di mobilità, per effetto del quale egli non aveva potuto più percepire la relativa indennità di legge.

Il Tribunale rigettava tale domanda.

La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado ritenendo che il vero motivo della nullità dell’accordo risiedesse nella illiceità della causa dello stesso, in quanto diretto ad eludere le norme imperative in materia di mobilità e a realizzare una frode alla legge, per cui lo stesso non poteva essere invocato dal lavoratore per conseguirne i benefici invocati. Il ricorrente era stato infatti licenziato nel dicembre 2001, mentre l’accordo sottoscritto nel maggio 2003 prevedeva che l’azienda avrebbe avviato la procedura di mobilità a partire dal luglio 2003,impegnandosi a reintegrarlo, ma con temporanea sospensione della prestazione lavorativa fino all’inserimento del suo nominativo nelle liste di mobilità, senza corrispondergli però alcuna retribuzione, fatto salvo il versamento dei contributi e la dazione di una somma di euro 1. 000,00 per le necessità della vita.

Il lavoratore proponeva quindi ricorso in Cassazione avverso tale decisione, deducendo che nel caso in esame non era in discussione l’assunzione, da parte della società, di un impegno transattivo destinato all’attivazione di una procedura di mobilità entro il mese di luglio del 2003, bensì di un impegno diretto ad inserire il suo nominativo nell’elenco dei lavoratori in esubero all’interno di una procedura di mobilità già decisa ed autonoma rispetto alla transazione oggetto di esame.

La società resisteva con controricorso obiettando che la procedura di mobilità non era stata affatto decisa precedentemente all’accordo transattivo, altrimenti di ciò si sarebbe dato atto nell’accordo stesso.

Di conseguenza, non poteva imputarsi alla società il mancato avvio di una tale procedura in mancanza dei relativi presupposti di legge e la valutazione sulla liceità dell’accordo, contenente l’impegno della società ad avviare una procedura siffatta nei riguardi di un solo lavoratore, non poteva che essere riferita ex ante al momento della conclusione dell’accordo, per cui era infondata la tesi del ricorrente diretta a sostenere, nell’intento di salvare la legittimità del negozio, che l’eventuale elusione delle disposizioni della legge n. 223/1991 avrebbe potuto essere accertata solo in un secondo momento.

A parere della Suprema Corte, tale motivo è infondato. Infatti, la Corte di merito aveva correttamente rilevato la nullità dell’accordo sottoscritto dalle parti, in quanto diretto ad eludere l’applicazione di norme imperative previste in materia di attivazione della procedura di mobilità che fissano in maniera inderogabile tempi, modalità e requisiti oggettivi che presiedono alla erogazione di una prestazione previdenziale qual è l’indennità di mobilità.

Ne consegue che lo stesso accordo si rendeva inutilizzabile ai fini del risarcimento preteso dal lavoratore per l’asserito inadempimento datoriale di una delle obbligazioni in esso previste.

Infatti l’indennità di mobilità, regolata dall’art. 7 della legge n. 223/1991, configura una prestazione previdenziale che come l’indennità di disoccupazione è sostitutiva del trattamento economico goduto dai lavoratori prima della messa in mobilità.

Tra l’altro l’inderogabilità della materia previdenziale osta alla validità di ogni patto che tenti di modificare la normativa legale sulle forme di previdenza e assistenza obbligatorie e sulle contribuzioni e prestazioni relative, o che sia suscettibile di eludere gli obblighi delle parti attinenti alle suddette materie.

Giova inoltre ricordare che sul tema della natura inderogabile della normativa in materia di indennità di mobilità la Corte di Cassazione ha già avuto modo di esprimersi statuendo che: “l’indennità di mobilità ai lavoratori licenziati, di cui all’art. 7, legge 23 luglio 1991, n. 223, configura una prestazione previdenziale che trova inderogabile regolamentazione nella normativa legale; ne consegue che è invalido ogni patto che valga a modificare la normativa legale sulle forme di previdenza e di assistenza obbligatorie e sulle contribuzioni e prestazioni relative, o che sia suscettibile di eludere gli obblighi delle parti attinenti alle suddette materie” (cfr. Cass. N. 5009 dell’11 marzo 2004).

Per tutti i motivi sopra richiamati, la Corte di Cassazione respinge quindi il ricorso del lavoratore con condanna dello stesso al pagamento delle spese di giudizio.

Mediazione Obbligatoria

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Mediazione Obbligatoria

Sig. Zhang: Buon giorno Avv. Dong! Sono direttore di una società commerciale.La mia società ha preso in affitto un appartamento ad uso ufficio. La durata del contratto di locazione commerciale è  di sei anni più 6 anni.

Il primo periodo contrattuale terminerà il 31 marzo 2012. Dodici mesi prima della scadenza del primo periodo contrattuale, né abbiamo proposto di risolvere detto contratto, né il locatore ha espresso l’intenzione di risolvere il contratto oppure di aumentare il canone di affitto, pertanto il contratto sarà rinnovato automaticamente per altri sei anni sulla base delle condizioni concordate in precedenza…

Rubrica legale dell’Avv. Dong: Mediazione Obbligatoria

Avv. Dong: Buon giorno Sig. Zhang! Per quando riguarda il caso della sua società, il Decreto Legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, entrato in vigore il 20 marzo 2011, ha disposto in materia. In primo luogo,  il Decreto prevede che la mediazione è obbligatoria per le cause aventi ad oggetto: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda; risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o altro mezzo di pubblicità; contratti assicurativi, bancari e finanziari. Insomma questo significa che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

La mediazione civile

L’attività di mediazione civile è svolta da un organismo di conciliazione terzo ed imparziale, che deve essere iscritto in un apposito registro tenuto dal Ministero della Giustizia. Il procedimento di mediazione  si svolge in questo modo:

1. Si presenta la domanda di mediazione ad un organismo di conciliazione, che designa un mediatore ed organizza un primo incontro tra le parti.

2.   La mediazione deve essere esperito entro quattro mesi dalla proposizione della domanda, di regola ci sono due possibili esiti della procedura:

(1) Se si raggiunge l’accordo (conciliazione), il mediatore redige processo verbale, sottoscritto dalle parti, che viene omologato con decreto dal Presidente del Tribunale, nel cui circondario ha sede l’organismo. Il verbale omologato è titolo esecutivo con cui la parte vittoriosa potrà richiedere all’autorità locale competente l’espropriazione forzata, l’esecuzione in forma specifica e l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.

(2) Se non si raggiunge l’accordo (conciliazione), il mediatore redige processo verbale, sottoscritto dalle parti. Il mediatore dà atto delle ragioni del mancato accordo e formula una propria proposta di conciliazione. Se una delle due parti oppure entrambe le parti non concordano con la proposta di conciliazione, allora le parti potranno adire l’autorità giudiziaria.

Il contenuto di questa proposta conciliativa gioca un ruolo fondamentale nel processo civile, infatti se la sentenza del giudice corrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta del mediatore, condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controparte e condanna al versamento di un’ulteriore somma, di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.

Nota: il contenuto di questo articolo non costituisce un parere legale del nostro studio legale, ma  ha funzione informativa. Se Lei ha altri dubbi, ci può contattare per ulteriori informazioni ed assistenza legale.

Tfr e fondo di garanzia Inps

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Tfr e fondo di garanzia Inps

Cass. , sez. Lav. , 1° dicembre 2011, n. 25685

La funzione previdenziale dell’intervento del Fondo di garanzia dell’Inps, di cui all’art. 2 del Dlgs n. 297/1982, non osta all’intervento del Fondo a favore del cessionario a titolo oneroso del credito relativo al trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore, in quanto l’intervento è previsto in favore degli “aventi diritto” e, con tale termine, che non può che essere inteso nel medesimo significato attribuito all’identica espressione contenuta nell’art. 2122 c. C. , si fa riferimento agli aventi causa in genere dal lavoratore, a prescindere dal titolo, universale o particolare, della successione nel diritto (Nella specie, la S. C. Ha ritenuto che la società committente che aveva effettuato i pagamenti dei crediti di lavoro per effetto della responsabilità solidale con l’appaltatore di cui all’art. 29, comma 2, Dlgs n. 276/2003, sia da ricomprendere nell’ambito degli “aventi diritto” che possono accedere alle prestazioni del Fondo di garanzia).

Tfr e fondo di garanzia Inps

Cass. , sez. Lav. , 1° dicembre 2011, n. 25685

La funzione previdenziale dell’intervento del Fondo di garanzia dell’Inps, di cui all’art. 2 del Dlgs n. 297/1982, non osta all’intervento del Fondo a favore del cessionario a titolo oneroso del credito relativo al trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore, in quanto l’intervento è previsto in favore degli “aventi diritto” e, con tale termine, che non può che essere inteso nel medesimo significato attribuito all’identica espressione contenuta nell’art. 2122 c. C. , si fa riferimento agli aventi causa in genere dal lavoratore, a prescindere dal titolo, universale o particolare, della successione nel diritto (Nella specie, la S. C. Ha ritenuto che la società committente che aveva effettuato i pagamenti dei crediti di lavoro per effetto della responsabilità solidale con l’appaltatore di cui all’art. 29, comma 2, Dlgs n. 276/2003, sia da ricomprendere nell’ambito degli “aventi diritto” che possono accedere alle prestazioni del Fondo di garanzia).

Nota – Nella fattispecie in esame, il Tribunale di Torino aveva accolto il ricorso di una società volto a far accertare il proprio diritto ad accedere al Fondo di garanzia per il recupero degli importi che aveva corrisposto, a titolo di Tfr e retribuzioni, ai lavoratori della società appaltatrice (in stato di fallimento) per effetto della responsabilità solidale della committente prevista dall’art. 29, comma 2, del Dlgs n.  276/2003.  La Corte di Appello di Torino aveva confermato la sentenza del Tribunale, ritenendo sussistente la legittimazione della società committente a richiedere al Fondo di garanzia il pagamento di quanto corrisposto ai lavoratori della società appaltatrice.  L’Istituto previdenziale soccombente ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo l’insussistenza del presupposto legittimante l’intervento del Fondo di Garanzia, ossia l’inadempimento dell’obbligazione retributiva e del trattamento di fine rapporto, in quanto la tutela offerta dal Fondo di Garanzia in favore del credito dei lavoratori non può essere ritenuta applicabile in favore di un obbligato in solido dello stesso datore di lavoro che non può quindi essere considerato alla stregua di un avente diritto dal lavoratore.

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di impugnazione formulato dall’Istituto ricorrente e, richiamando tre precedenti pronunce (Cass. N. 10208/2008, Cass. N. 11010/2008 e Cass. N. 25256/2010) con le quali è stato stabilito che: “La funzione previdenziale dell’intervento del Fondo di garanzia dell’Inps, di cui all’art. 2 del Dlgs n. 297/1982, non osta all’intervento del Fondo a favore del cessionario a titolo oneroso del credito relativo al trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore, in quanto l’intervento è previsto in favore degli “aventi diritto ” e, con tale termine, che non può che essere inteso nel medesimo significato attribuito all’identica espressione contenuta nell’art. 2122 c. C. , si fa riferimento agli aventi causa in genere dal lavoratore, a prescindere dal titolo, universale o particolare, della successione nel diritto”, ha precisato che la società committente che effettua i pagamenti dei crediti dei lavoratori della società appaltatrice, in forza dell’obbligo disposto dall’art. 29, comma 2, Dlgs n. 276/2003, acquista il diritto a subentrare nella posizione creditizia del datore di lavoro insolvente per surrogazione legale ex art. 1203, n. 3, c. C.

In applicazione di detti principi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Istituto previdenziale, ritenendo che la società controricorrente, per avere effettuato i pagamenti dei crediti di lavoro in favore dei dipendenti dell’appaltatrice, deve essere ricompresa nell’ambito degli “aventi diritto” che possono accedere alle prestazioni del Fondo di garanzia.  

Corsi di formazione finanziati dai fondi interprofessionali per dipendenti di aziende e studi

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Corsi di formazione finanziati dai fondi interprofessionali per dipendenti di aziende e studi

Si pubblica una informativa interessante in merito all’iniziativa dei fondi interprofessionali, da valutare per qualsiasi datore di lavoro, che dovrà sostenere costi per, la formazione del personale, hccp.

Lo Studio, con l’obiettivo di contribuire alla promozione  della “cultura d’impresa” attraverso la formazione e con la manifesta volontà di allargare  quest’opportunità ad un bacino d’utenza sempre più vasto, ovvero anche a quelle tipologie di attività economiche che – vuoi per dimensioni vuoi per vocazione – spesso si trovano escluse dal ventaglio di possibilità di approfondimento oggetto dell’offerta formativa nazionale, ha selezionato quale migliore opportunità quella offerta dalla società eDotto Srl in abbinamento al Fondo Fon. AR. Com.

Il fondo

Fon. AR. Com. è un  Fondo Paritetico Interprofessionale Nazionale per la formazione continua dei  dipendenti  (a  tempo  indeterminato, determinato  e  parziale)  di  studi  professionali  e aziende; pertanto gli studi professionali e le aziende aderenti al Fondo possono beneficiare di formazione gratuita.

I Fondi operano nel rispetto di quanto previsto dall’art. 118 della Legge 388/2000 e dall’art. 48 della Legge 289/2002, nonché nel rispetto della Circolare n. 36 del Ministero del Lavoro e delle  Politiche  Sociali  del  18  novembre  2003  e  dei  relativi  allegati.

I fondi interprofessionali sono dunque finanziati con le risorse derivanti dal gettito dell’apposito contributo integrativo (art. 25 – L. 845/78), nella misura dello 0,30%, che i datori di lavoro sceglieranno di canalizzare verso uno dei fondi costituiti.

Al  predetto contributo sono comunque obbligati tutti i datori di lavoro, mentre l’adesione al fondo è facoltativa.

In buona sostanza, per chi non aderirà ad alcun fondo, resterà fermo l’obbligo di versare all’INPS il contributo integrativo di ugual valore.

L’adesione  a  Fon. AR. Com.   è  facile, libera e gratuita;  la  comunicazione  all’INPS tramite il modello UNIEMENS  (compilato ad opera dello scrivente Studio) è la sola modalità richiesta per l’adesione al Fondo.

Non bisogna effettuare nessun versamento suppplementare. 

La convenienza a partecipare ai corsi di formazione – il cui calendario sarà reso disponibile appena  definito  –  potrà  essere  valutata  liberamente  poiché  la  sola  adesione  al  Fondo  non presuppone l’obbligo di prendere parte agli eventi formativi proposti.

Lo Studio, pertanto, ritenendo questa un’ottima opportunità per le sue aziende clienti, con il primo Uniemens utile comunicherà al Fondo l’adesione.

La invitiamo a contattarci qualora foste già iscritti ad altro Fondo Interprofessionale o preferiste aderire ad altro Fondo o non intendiate aderire ad alcuno.

Diversamente procederemo come sopra esposto.

Certi che l’iniziativa possa rappresentare una grande occasione di crescita, ringraziando, si porgono i migliori saluti.

Cordiali saluti.

Emiliano Ferretti

Contratto a tempo determinato e impugnazione del termine

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Contratto a tempo determinato e impugnazione del termine

Cass. , sez. Lav. , 28 novembre 2011, n. 25038

Per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro, ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso.  

Contratto a tempo determinato e impugnazione del termine

Cass. , sez. Lav. , 28 novembre 2011, n. 25038

Per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro, ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso.

Nota – Il caso di specie è sorto in seguito all’impugnazione del termine apposto ad un contratto di lavoro. Il Tribunale di Novara dichiarava la nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro affermando la vigenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e condannando la società a riammettere in servizio il lavoratore nonché al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate. La Corte d’Appello di Torino rigettava l’appello proposto dalla società che pertanto ricorreva in Cassazione per la riforma della sentenza.

La Cassazione, ribadendo il consolidato orientamento per il quale vige un onere di specificazione, e quindi di prova, a carico del datore di lavoro delle ragioni oggettive giustificatrici del termine finale, con indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali in ordine al contenuto e alla portata spazio temporale e circostanziale, ha ritenuto infondato il vizio di motivazione denunciato dalla società.

La Cassazione ha ritenuto infondato anche il motivo con il quale la società lamentava il fatto che la Corte Territoriale non avesse ravvisato il mutuo consenso a non riattivare il rapporto di lavoro in fatti incompatibili con la volontà di mantenerlo in vita, come la prolungata inerzia del lavoratore dopo la scadenza del termine, la percezione del Tfr senza riserva nonché il reperimento di una nuova stabile occupazione. La Cassazione, rigettando il ricorso ha infatti confermato che nel rapporto di lavoro a tempo determinato, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto “affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (Cass. N. 23057/2010) e che inoltre “grava sul datore di lavoro che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di voler porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (Cass. N. 9583/2011). Nel caso concreto, la Cassazione ha quindi confermato, ritenendola giuridicamente corretta e immune dai vizi logici, l’affermazione dei giudici di merito secondo cui la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto, anche se protratta per due o tre anni o più, non fosse sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso. Infatti afferma la Cassazione che “l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo indeterminato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex art. 1418 c. C. E art. 1419 c. C. , comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell’art. 1422 c. C. , è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale non può, di per sé solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in senso

psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso. Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati, o l’azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sé, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l’estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contra legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare “una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo”” (Cass. N. 23501/2010).

Focus del Fisco su Fusioni, cessioni del credito, svalutazione con riflessi nelle imposte dirette e reati tributari

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Focus del Fisco su Fusioni, cessioni del credito, svalutazione con riflessi nelle imposte dirette e reati tributari

Il processo

Fatto – Diritto P. Q. M.  Svolgimento del processo – Motivi della decisione  Con decreto di citazione diretta del 15. 12. 2009 –Omissis– quale legale rappresentante della società –Omissis–, è stato rinviato al giudizio della prima sezione del Tribunale di Milano per rispondere del reato di cui all’art.  4 D. Lgs. 74/2000, relativamente al periodo di imposta 2006, commesso in Milano il 31. 12. 2007. Alla prima udienza dibattimentale del 23. 6. 2010 il giudice ha dichiarato la contumacia dell’imputato, che tale è rimasto fino all’udienza del 4. 5. 2011, quando si è presentato a rendere l’esame.

Tribunale Milano Sez. I, Sentenza, 22-07-2011 IMPOSTA REDDITO PERSONE FISICHE E GIURIDICHE
Perdite, minusvalenze, sopravvenienze passive, Redditi d’impresa, Cessione di credito.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MILANO PRIMA SEZIONE PENALE

All’odierna udienza –Omissis– era assente. Alla medesima prima udienza il giudice ha ammesso le prove orali richieste dalle parti (l’esame dei testi e dei consulenti del P. M. E della difesa e l’esame dell’imputato richiesto da entrambe le parti). Le parti hanno chiesto di essere autorizzate alle produzioni documentali all’udienza successiva e il giudice ha accolto la richiesta.

All’udienza del 10. 11. 2010 il P. M. Ha prodotto la documentazione di cui ha chiesto l’acquisizione, mentre la difesa vi aveva già provveduto in cancelleria. Le parti si sono riservate di interloquire sulle produzioni dell’altra. è stato esaminato il teste del P. M. All’udienza del 9. 2. 2011 sono stati esaminati i testi della difesa

Il giudice ha disposto l’acquisizione della documentazione prodotta dalle parti. All’udienza del 4. 5. 2011 sono stati esaminati i consulenti della difesa In conclusione d’udienza è stato esaminato l’imputato. All’odierna udienza, dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale, le parti hanno concluso come riportato nell’intestazione e il giudice ha pronunciato sentenza con la lettura del dispositivo.

La contestazione

E’ accusato di avere presentato, quale legale rappresentante della –Omissis– la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2006 indicando elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, congiuntamente alla ricorrenza delle due condizioni previste dalla norma: – l’imposta evasa era pari a Euro 3. 069. 450,17 (per l’IRES), quindi superiori al limite di Euro 103. 291,38; – l’ammontare degli elementi attivi sottratti all’imposizione è superiore al limite di legge di Euro 2. 065,828 (pari a Euro 9. 301. 365,79). Nell’imputazione è contestato il dolo specifico del reato, essendo la condotta diretta a evadere le imposte. Il reato è contestato come commesso il 31. 12. 2007, cioè al momento della presentazione delle dichiarazioni dei redditi.

Le prove a carico dell’imputato

Si reputa opportuno descrivere in questi primi paragrafi le contestazioni formulate dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di, per procedere nella seconda parte della sentenza a valutare i tenti critici introdotti dalla difesa, che, lo si anticipa, non riguardano i tatti accertati nel corso della verifica, ma l’interpretazione delle norme applicabili.

I rilievi dell’Agenzia delle Entrate

La contestazione di dichiarazione infedele mossa al legale rappresentante di –Omissis– si fonda su 6 rilievi descritti dall’AdE, nel p. V. C. Del 23. 7. 2009. Prima di affrontare il contenuto degli stessi è opportuno rilevare che, a parte la prima, tutte le contestazioni si fondano su una diversa interpretazione da parte dell’ufficio della normativa applicata dalla società verificata. è probabile che tale circostanza abbia indotto l’ufficio tributario a non formulare ancora la contestazione nei confronti dell’imputato, perché, come precisato dal teste {*******} all’inizio del suo esame “.

Questa è una verifica, non è ancora un accertamento, perché il processo verbale di contestazione, che è poi il risultato della nostra attività, è prodromico ali accertamento, che è del protratto in positivo. Diciamo il processo verbale di constatazione fotografa quello che noi abbiamo visto e vengono riportate quelle che sono le contestazioni che poi verranno valutate dall’ufficio prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

(1) Sin dall’illustrazione del rilievo 2, –Omissis– ha definito l’ambito della contestazione, fondato, appunto su una contestata applicazione della normativa tributaria da parte della banca. Infatti, proprio con riferimento a quella contestazione, –Omissis– ha osservato che “. Veramente la parte non era d’accordo perché trattasi di questioni di diritto, a volte questioni interpretative, quindi si discute”(2), così sintetizzando la questione “.

In sostanza qui abbiamo notato che la parte ha effettuato il confronto, la comparazione tra i bilanci e dal confronto veniva fuori che la società era vitalizia. Però ci siamo accorti di un errore di fondo, perché in sostanza la società è andata a confrontare i bilanci redatti in base a principi contabili differenti. Perché nel 2005 –Omissis– la società incorporata, era passata dai principi contabili nazionali a principi contabili internazionali”(3). Il teste è stato ancora più esplicito rispondendo ad alcune domande del giudice, quando ha così definito l’ambito delle contestazioni: “GIUDICE – Scusate se intervengo, mi pare di aver capito che sia una valutazione diversa che voi avete fatto rispetto alla valutazione che aveva fatto la società? TESTE –Omissis– – Certo, si. GIUDICE – Questo è il punto. Il profilo era che voi avete valutato sulla certezza e precisione e sulla convenienza e quindi sulla base di questo.? TESTE –Omissis– Abbiamo fatto una valutazione diversa da loro. GIUDICE – Diversa da loro. TESTE –Omissis– – Però la documentazione ci è sempre stata data. GIUDICE – Ma su questo è stato chiaro. TESTE –Omissis– – C’è stata sempre la massima disponibilità. GIUDICE – Il problema è della valutazione diversa che hanno fatto su alcuni profili, anche sulla grati parte ha spiegato qual è la valutazione diversa che hanno fatto. “(4). Ancora, rispondendo al difensore dell’imputato, ha individuato nell’applicazione del D. Lvo 38/2005, la previsione normativa su cui si basa la contestazione, in quanto “. Il decreto 38 del 2005 ha introdotto la possibilità e la facoltà per altri soggetti di utilizzare i principi internazionali in luogo dei principi contabili nazionali. ” {******} ha soggiunto che lo stesso decreto introdusse per le banche l’obbligo di applicare i principi contabili internazionali IAS – IFRS e –Omissis– vi adempì nella redazione del bilancio di quell’anno(6). Infine, al termine dell’esame della difesa, –Omissis–, ha precisato i termini del contrasto interpretativo: “GIUDICE – Allora, siccome avevo capito un altra cosa, perché avete ritenuto violato il 109, lei la prima risposta che ha dato è perché questa inapplicabilità è a partire dal 2008, questa è la vostra valutazione? TESTE –Omissis– – A partire dal 2008, sì, e già dovrebbe chiudere la questione. GIUDICE – Questa è la vostra valutazione? TESTE. –Omissis– – certo. AVV. –Omissis– – Quindi, mi scusi, in base alla vostra valutazione non è corretto dire che la disciplina della legge finanziaria del 2008 e relativo decreto di attuazione si applicava per esplicita previsione di legge anche alla determinazione del reddito imponibile relativo al periodo di imposta 2006? TESTE –Omissis– – Per noi si applica va dal primo gennaio 2008. AVV. –Omissis– -Okay. TESTE –Omissis– – Cioè dal 2005 al 2008 cera il doppio binario, quindi Ias – fiscale. AVV. –Omissis– – E sulla base di questa considerazione poi si sono basati, tra le altre cose, anche i rilievi dove è prevista la violazione del 109? TESTE –Omissis– – Soprattutto il 3 che è impostato solo sul 109, mentre gli altri sono impostati sul 101, mancano i requisiti di certezza e precisione sugli altri; invece sul rilievo numero 3. GIUDICE – No, però non è chiaro. Lei ha detto c’era il doppio binario, cosa significa? TESTE –Omissis– – Il doppio binario significa che, in sostanza, la società doveva redigere il bilancio applicando i principi Ias e poi doveva adeguare le poste alle disposizioni fiscali. Ad esempio, se un ricavo e un costo. GIUDICE – Certo, no, questo io l’ho capito. TESTE –Omissis– -.

Di competenza del 2005, ma in base alle disposizioni fiscali la competenza non è 2005,, ma è 2006, in sede di dichiarazione doveva adeguarsi. GIUDICE – Quindi il doppio binario non significa che poteva applicare l’uno e l’altro? TESTE –Omissis– – No, no. GIUDICE – Doveva applicarli tutti e due? TESTE –Omissis– – Tutti e due, sì; come è sempre stato poi tra fiscale e civile sempre il doppio binario”(7).

La questione qui riassunta (su cui si sono soffermati in modo specifico i consulenti della difesa) è dirimente per la verifica della gran parte delle contestazioni formulate.

Il rilievo

1. Il primo rilievo è autonomo rispetto agli altri, perché ha per oggetto una contestazione estranea al terna appena introdotto.

L’ufficio contestò a –Omissis– una violazione determinata da un mero errore di valutazione compiuto dalla società verificata. Dopo avere richiamato la norma violata, l’art. 87 T. U. I. R. , –Omissis– ha precisato la violazione contestata “.

Nel senso che la società ha venduto, ha ceduto nel periodo di, imposta 2006 una partecipazione; da questa partecipazione ha realizzato una plusvalenza che è interamente esentati da tassazione ai sensi dell’art. 87.

Però l’Art. 87 per l’esenzione richiede dei requisiti, tra cui l’ininterrotto passesso della partecipazione per diciotto mesi. In questo caso per cura parte, poiché la partecipazione era stata acquisita in due momenti differenti, per una parte la partecipazione non possedeva i requisiti e quindi è stato ricalcolato, diciamo l’importo della plusvalenza esente, la differenza che andava tassata è stata diciamo segnalata per il recupero a tassazione. “(8) A domanda del P. M. , –Omissis– ha poi spiegato che quella contestazione fu sostanzialmente ammessa dalla parte, perché “.

Si tratta di un errore, tua per chi ha conoscenza della materia si vede; cioè è un errore proprio nella determinazione. Tra l’altro su un importo di un milione e 600 della plusvalenza vi era una differenza di imponibile di 113 mila euro. Cioè il rilievo numero 1 effettivamente è un errore fatto. “(9) 3. 1. 2 – Il rilievo 2. La descrizione del rilievo è riportata dalla deposizione di –Omissis– che ne ha fornito una chiara definizione: “TESTE –Omissis– –

Il rilievo numero 2 riguarda un operazione di fusione per incorporazione. La società nel corso dell’esercizio 2006 ha incorporato una partecipata al 100 per cento, con effetti civilistici dal primo gennaio 2006, dal primo settembre 2006 retrodatazione degli effetti fiscali. Nel caso in esame abbiamo applicato il disposto del 172 comma 7, che è una norma antielusiva, che tratta. P. M. – Sempre del Tuir? TESTE –Omissis– – Del Tuir. Che tratta della deducibilità delle perdite delle imprese partecipanti, delle perdite pregresse relativamente alle imprese partecipanti ad un operazione di fusione. Cioè la ratio della nonna in sostanza è evitare che si possa fare il cosiddetto commercio delle bare fiscali, quindi società costantemente in perdita che vengono acquisite e incorporate con il fine esclusivo di poter utilizzare le perdite. “(10) –Omissis– contabilizzò in bilancio una perdita pregressa della società incorporata, la {****} s. P. A, per Euro 1. 066. 000. (11) Le questioni contestate sono due, tratte entrambe dalla previsione dell’art. 172, comma 70 del T. U. I. R. : – il mancato superamento del test di vitalità; – l’avvenuta svalutazione da parte di della partecipazione in relazione perdite pregresse. (12) Con riferimento al primo punto della contestazione, il rilievo svolto dalla GdF è semplice.

L’art. 172, comma 70 del T. U. I. R.  prevede che al test di vitalità si proceda attraverso la comparazione dei bilanci dell’anno in cui si attua la fusione e quello dell’anno precedente. Nel caso dell’operazione –Omissis– i due bilanci, quello relativo all’anno 2005 e quello relativo all’anno 2006, erano stati redatti con regole difformi, il primo secondo i principi contabili nazionali, il secondo in base a quelli internazionali, definiti principi contabili internazionali IAS – IFRS. Secondo –Omissis– è scorretta la comparazione tra bilanci redatti in base a principi contabili difformi, per cui gli stessi avrebbero dovuto essere omogeneizzati a quel fine. L’omogeneizzazione fu compiuta dai verificatori sulla base dei principi contabili nazionali, operazione che determinò il mancato superamento da parte di –Omissis– del test di vitalità. (13) –Omissis– ha ribadito che con riferimento a tale rilievo –Omissis– contestò la legittimità dell’operazione, rilevando che la norma impone la comparazione tra bilanci, senza indicare la necessità di omogeneizzazione(14). Con riferimento alla seconda violazione, ha –Omissis– riferito che “. Inoltre ad abundantiam abbiamo controllato anche se erano state effettuate svalutazioni. Perché il 172 comma 7 oltre al test di vitalità prevedeva la possibilità di utilizzare le perdite pregresse, però fino a concorrenza delle svalutazioni già dedotte. Se avevi già dedotto svalutazioni su quella partecipazione, non potevi dedurre fino a concorrenza delle svalutazioni la perdita pregressa. In sostanza, chiedendo sempre la documentazione alle parti, ci siamo accorti che erano state fatte svalutazioni pregresse delle partecipazioni superiori all’ammontare della perdita pregressa. Quindi c é la violazione. “(15)

Il rilievo 3

Il rilievo riguarda la gestione dei crediti in sofferenza e si articola in tre categorie: 1. I crediti relativi a clienti debitori soggetti a procedura fallimentare; 2. I crediti transatti; 3. I crediti in bonis; Per la prima categoria la contestazione è relativa al periodo di competenza nel quale fu compiuta la svalutazione.

Così –Omissis– ha sintetizzato la violazione: “la violazione nasce dal combinato disposto 101 comma 5 e 109 comma 1 che è la competenza.

Ci siamo accorti che pur sussistendo i requisiti di certezza e precisione, le perdite erano state dedotte in un’annualità che non era diciamo quella di competenza, in sostanza. “(16)

Nella valutazione dei crediti svalutati (17), i verificatori ritennero che non sussistessero, ai sensi dell’art. 109, comma 10 T. U. I. R. , i criteri di certezza e precisione che consentono di svalutare i crediti nei confronti di soggetti falliti qualora la svalutazione non fosse stata compiuta nell’annualità in cui era stato dichiarato il fallimento.

L’ufficio propose il recupero delle perdite per Euro 1. 842. 150, 28(18). Nel corso dell’esame dibattimentale –Omissis– ha richiamato quell’accertamento, precisando che “. L’art. 101 comma 5 in deroga alla dimostrazione dei requisiti di certezza e precisione semplice, in sostanza, di presenza dei requisiti di certezza e precisione quando c’è la procedura fallimentare del creditore.

Però non bisogna dimenticare che in ogni caso i componenti negativi di reddito devono sempre rigettare quelli che sono i criteri generali di deducibilità dei componenti negativi e cioè il criterio fissato dal legislatore nel 109, quindi rispettare l’anno di competenza.

Altrimenti si lascerebbe al contribuente la discrezionalità”. (19) Sulla base di questa premessa, l’operante ha soggiunto che esclusero la ricorrenza dei requisiti di certezza e precisione della perdita(20).

Quanto ai crediti transatti, la contestazione contenuta nel p. V. C. Consiste esclusivamente nella diversa valutazione d’inquadramento dell’operazione di transazione come perdita su crediti. L’ufficio propose il recupero dell’imponibile di Euro 45. 920,30, non ritenendo sussistenti gli elementi certi e precisi richiesti dal combinato disposto degli artt. 101, comma 5° e 109, comma 1 ° T. U. I. R. Nel corso dell’esame {Iervolino} non ha fornito elementi ulteriori, precisando solo che “.

La giustificazione è quella generica, che in sostanza la società non riteneva conveniente proseguire ad aprire un contenzioso per quell’importo”(21).

Per quanto concerne i crediti in bonis, i verificatori ritennero del tutto insufficiente la documentazione prodotta dalla parte per dimostrare gli elementi certi e precisi richiesti dal combinato disposto degli artt. 101, comma 5° e 109, comma 1° T. U. I. R(22).

Nel corso dell’esame –Omissis– ha precisato che “. No, la banca ha sempre fornito tutti gli elementi di fatto, cioè su questo. Cioè la banca ha fornito tutta la documentazione! Fin dal primo momento in cui abbiamo fatto la verifica c’è stata piena disponibilità della parte, e questo lo tengo a sottolineare! Cioè ha fornito tutta la documentazione di dettaglio, prospetti. E poi è ovvio che quella documentazione noi non l’abbiamo considerata sufficiente ai fini della dimostrazione dei requisiti di certezza e precisione, però la banca ha fornito la documentazione. “(23). Con riguardo ai crediti in bonis, l’ufficio propose il recupero di Euro 174. 500,87.

Nel p. V. C. Gli operanti fornirono la giustificazione della loro diversa valutazione, richiamando la giurisprudenza di legittimità in merito alle modalità di contabilizzazione delle perdite sulle diverse tipologie di crediti(24). 3. 1. 4 –

Il rilievo 4

Il rilievo concerne la svalutazione integrale di alcuni crediti in sofferenza. Quel tipo di perdite non è disciplinato dal T. U. I. R. , per cui, a parere dell’ufficio la loro svalutazione era assoggettata all’art. 101, comma 5°.

L’ufficio propose il recupero di Euro 628. 804,95 sulla base dell’analisi dei fascicoli prodotti dalla banca. Nel p. V. C. Sono elencate le singole operazioni, con la valutazione dell’ufficio che contesta la svalutazione integrale in relazione ad alcune posizioni.

Nello stesso p. V. C. I verificatori giustificarono le ragioni della contestazione, con richiamo alla giurisprudenza di legittimità(25). Nel corso dell’esame –Omissis– ha precisato che “Il punto 4 riguardava sempre l’applicazione del 101 comma erano in sostanza svalutazioni a zero. Qui bisognerebbe fare una premessa sulla disciplina fiscale, perché il legislatore distingue tra svalutazioni e perdite sii crediti; le svalutazioni vengono disciplinate dal 106 comma 3 e le perdite su crediti al 101 comma 5.

Noi abbiatelo fatto un controllo analitico, sul controllo a campione, mi scusi, delle svalutazioni effettuate dalla banca, per verificare se in questi componeteti di reddito si celassero delle perdite sul crediti.

In particolare abbiamo individuato delle svalutazioni a zero, svalutazioni a zero si intende lo stralcio del credito, l’azzeramento del valore nominale.

La barica le ha trattate ai sensi del 106 comma 3, quindi considerandole interamente deducibili, inviare noi riteniamo che la svalutazione a zero non sia altro che lo stralcio di lui credito, cioè la si fa quando mancano gli elementi per il recupero. “(26)

Il rilievo 5

Su questo profilo è opportuno riportare la sintetica ma chiara descrizione che del rilievo ha fatto –Omissis– nel suo esame: “Il punto 5 è il rilievo più significativo come importo e riguarda la cessione prosoluto di crediti.

Cioè nel corso dell’esercizio 2006 la banca ha effettuato una cessione avente ad oggetto più posizioni di credito nei confronti di altri istituti finanziari. Noi abbiamo analizzato diciamo la documentazione prodotta dalla parte e ci siamo accorti che su alcune posizioni cedute la banca realizzava alla perdita.

In sostanza la differenza tra il prezzo e il valore detto contabile del credito era negativa, quindi incassavamo meno del valore iscritto in bilancio”(27) Subito dopo il teste ha precisato che quelle cessioni riguardavano blocchi di crediti che –Omissis– alienò pro soluto ad altri istituti bancari e che i rilievi proposti dall’ufficio riguardavano singoli crediti all’interno dei blocchi.

I verificatori non fecero una valutazione di convenienza complessiva dei blocchi di cessione, perché, conte affermato dal teste, “il vantaggio delle operazioni noi (rectius non) l’abbiamo valutato, perché applicando rigorosamente diciamo la norma fiscale ogni singolo credito è soggetto ad ima autonoma valutazione.

Quindi noi siamo andati ad analizzare esclusivamente le posizioni che avevano generato delle perdite. “(28) Su quella parte di rilievo, per il quale l’ufficio propose il recupero di Euro 5. 226. 693,95, non fu svolta in concreto attività di verifica circa la certezza e precisione della perdita perché –Omissis– aveva ceduto tutta la documentazione al cessionario, ma la contestazione si fondò sul fatto che “la valutazione della parte poi comunque l’aveva considerata al di allori del 101 comma 5 cioè (se ricordo bene) il parere della parte era di considerarle come delle perdite certe, perché il fatto stesso che le cediamo ad lui, soggetto terzo ci dà la certezza della perdita.

Però l’orientamento della Cassazione è differente, dice che in ogni caso fissa un principio generale quando c’è una cessione prosoluto se si realizza una perdita deve essere assoggettata al sindacato, ai requisiti di certezza e precisione”(29). Nel p. V. C. è contenuta la descrizione delle operazioni di cessione in blocco dei crediti, distinte in tre, due in favore di {Deutsche Bank} per 54 milioni di euro e di 20,2 milioni di euro, una in favore di {Tolomeo Finance} per 22,8 milioni di Euro(30). Anche con riguardo a tale rilievo l’ufficio motivò nel p. V. C. Le proprie valutazioni difformi rispetto a quelle di –Omissis—

Il rilievo 6

Il punto è stato sintetizzato da –Omissis– in poche battute: “.

Da un esame sopravvenienze passive, quindi dei componenti di reddito indicate in bilancio tra le sopravvenienze passive, è emerso l’importo di 169 mila e 700 euro, che secondo noi andava qualificato come perdite su crediti e si trattava di. P. M. – Anche queste, e quindi soggette al 101? TESTE –Omissis– – Perché si trattava di rinunce fatte per crediti vantati nei confronti della clientela.

Ad esempio spessa di istruttoria sui finanziamenti che venivano diciamo (tra parentesi) non addebitati al cliente. “(32).

L’ufficio propose un recupero di perdite su crediti per Euro 149. 700(33) 3. 2 – Le contestazioni della difesa.

La valutazione delle contestazioni difensive, fondate essenzialmente sulle consulenze tecniche acquisite al fascicolo, deve essere svolta attraverso l’inquadramento della normativa primaria e secondaria succedutasi dal 2005 in avanti, a seguito dell’introduzione dei principi internazionali per la redazione dei bilanci.

Il punto centrale, se non decisivo, delle questioni oggetto di questo giudizio è proprio la rilevanza a fini fiscali dei principi contabili internazionali IAS – IFRS. Il contrasto tra la prospettazione accusatoria, fatta propria dal F. M. Sulla base delle valutazioni dell’ufficio tributario, e quella difensiva si incentra sulla diversa interpretazione della normativa introdotta con il d. L. Vo 38/2005 e sugli interventi, essenzialmente di normazione secondaria, diretti a fornire ai contribuenti regole interpretative e applicative certe in una materia che, tra il 2005 e la fine del 2007 era alquanto incerta.

Si sono individuati i due termini temporali dell’incertezza normativa più volte richiamata dai consulenti della difesa, quello iniziale individuato nell’introduzione dei principi contabili internazionali IAS – IFRS nel nostro ordinamento (d. L. Vo 38/2005), quello finale nellalegge 244/2007, che, modificando l’art.  83, comma 1° T. U. I. R.  “per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali. Valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi”(34).

Questo periodo d’incertezza cessò con l’introduzione della cosiddetta “derivazione rafforzata” per le società che redigevano i bilanci secondo i principi contabili internazionali IAS – IFRS.

Sin dall’esame del teste dell’accusa – la difesa ha definito gli elementi di fatto su cui si fonda l’interpretazione proposta dai consulenti tecnici di parte e dagli stessi difensori: – l’introduzione con il d. L. Vo 38/2005 della possibilità di utilizzare i principi contabili internazionali IAS – IFRS nella redazione dei bilanci(35) – per le banche l’utilizzo dei principi IAS – IFRS era obbligatorio a partire dal 2006, tanto che il bilancio di –Omissis– relativo all’anno d’imposta 2006 fu redatto in base a quei principi contabili(36); – la previsione contenuta nel D. M. 48/2009, che, a partire dal 1 gennaio 2008, ha reso inapplicabili per i soggetti IAS adopter, i commi 1° e 2″ dell’art. 109 T. U. I. R. (37) – la contestazione delle violazioni nei confronti di –Omissis– fu determinata dal fatto che il D. M. Indicava il termine di inapplicabilità al 1. 1. 2008 e inoltre le violazioni contestate non riguardavano solo l’art. 109 T. U. I. R. (38). Su quest’ultimo punto la difesa ha formulato alcune contestazioni, ritenendo che prima la l. 244/2007 (la “finanziaria” del 2008), quindi il D. M. 48/2009, ancora la circolare dell’AdE n. 42/E del 3. 8. 2010 e, infine, la circolare dello stesso ente n. 7/E/201I del 28. 2. 2011, avevano affermato l’inapplicabilità non del solo art. 109 T. U. I. R. , ma più in generale di tutte le norme incompatibili con i principi contabili internazionali IAS – IFRS, e, quindi, imponesse per i soggetti IAS adopter il criterio di derivazione rafforzata. Sotto il profilo metodologico, ha ragione la difesa (impostazione che è stata sostanzialmente confermata anche dal teste d’accusa –Omissis–.

La questione dirimente nel processo, per valutare i rilievi contenuti nel p. V. C. , è se l’insieme dei principi IAS – IFRS fosse applicabile a fini fiscali, cioè se –Omissis–, soggetto IAS adopter, dovesse utilizzare il principio di derivazione rafforzata. Come rilevato nella descrizione degli addebiti mossi a –Omissis– ha dato atto alla società verificata di avere messo a disposizione, con spirito di collaborazione e trasparenza, tutta la documentazione fiscale, ribadendo che la gran parte delle contestazioni formulate derivavano esclusivamente da una diversità di interpretazione della normativa fiscale applicabile. Se così è, appare indispensabile, prima di procedere alla verifica degli specifici rilievi, valutare la questione qui prospettata, se cioè per l’anno d’imposta 2006 valesse per –Omissis–il principio di derivazione rafforzata, che consentiva (o imponeva) alla società di adottare anche ai fini fiscali i principi internazionali di redazione del bilancio stabiliti nello IAS – IFRS. La questione è stata affrontata per la prima volta nel processo dal consulente della difesa –Omissis–, incaricato da –Omissis– di fornire una valutazione dei termini di applicazione ai fini fiscali della normativa internazionale.

La risposta resa dal consulente in udienza è molto chiara nell’esprimere la tesi sostenuta nel processo (ma anche nell’ambito del contenzioso tributario) dalla società e può così essere riassunta: – l’obbligatorietà dell’applicazione dei principi IAS – IFRS per le società bancarie introdotta nel 2005 non era accompagnata da una chiara definizione delle regole applicabili a fini fiscali perché “le norme partivano da un concetto di derivazione dell’imponibile fiscale dal risultato economico, e quindi da un bilancio redatto secondo i criteri di IAS ben diversi dai principi contabili nazionali. Con una evidente contraddizione dicendo che, laddove un soggetto applichi i principi IAS, non deve avere un carico fiscale diverso dal soggetto che non applicasse i principi IAS”; – alla fine del 2007 il legislatore intervenne affermando “.

Testualmente che c’è una diretta derivazione fiscale, derivazione rafforzata della fiscalità dal risultato di bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali”‘; – i soggetti IAS adopter che si sono trovati “.

A redigere le dichiarazioni dei redditi in questo lasso temporale dal 2005 al 2007 lo ha fatto evidentemente in assenza di norme che specificassero dettagliatamente come andare a trattare in punto fiscale le poste che c’erano state oggetto dl modifiche con gli IAS; non ultimo i crediti che sono, come è noto, il cuore dell’attività bancaria”;

– la norma della fine del 2007 ha affermato testualmente che “di fronte alla palese difficoltà di tenere un doppio binario, si é ritenuto di sposare il cosiddetto principio della derivazione rafforzata”; – il punto fondamentale per il riconoscimento anche ai fini fiscali dei principi internazionali (cioè la derivazione rafforzata) è che la società doveva avere tenuto la contabilità correttamente da un punto di vista IAS;

– la normativa del 2007 valeva per le dichiarazioni fiscali dal 2008 in avanti, è stata integrata da un D. M. Del 2009 (il n. 48 dell’aprile 2009), in cui “viene espressamente indicato che i principi di competenza temporale, previsti dai criteri formali giuridici, vengono superati dai criteri di rilevazione temporale, certezza e determinabilità previsti per gli IAS. Quindi il Decreto Ministeriale 48 e la relazione di accompagno stabiliscono per i soggetti IAS questo principio: quanto viene fatto in principio di temporalità dell’iscrizione in bilancio, competenza, quanto vale ai fini IAS e un criterio di certezza che supera i criteri formali giuridici previsti in precedenza. “;

– il 28. 2. 2011 una circolare ministeriale ha interpretato quella situazione di incertezza normativa, confermando “che, laddove anche nel triennio 2005 – 2007 i contribuenti si siano comportati in punto IAS correttamente, grazie al cantina 61 della Legge 244 art. 1, ulteriormente corroborato dall’art. 6 del D. M 48/2009, valgono anche per i periodi pregressi.

A condizione, ribadisco, che il contribuente si sia comportato in punto bilancistico in modo corretto.

Quindi questo dà efficacia retroattiva ex lege ad un provvedimento altrimenti entrato in vigore il 1° gennaio 2008. Ribadisco sottolineando “se dal punto di vista contabile ti sei comportato correttamente”(39)

La consulenza scritta enuncia in modo più analitico le valutazioni del prof. –Omissis– in merito all’applicabilità della normativa internazionale sin dalla redazione del bilancio del 2006.

La valutazione delle norme riportate dal consulente –Omissis– (a cui l’accusa ha aderito al termine dell’istruttoria dibattimentale) consente di ritenere che –Omissis– abbia correttamente predisposto le dichiarazioni fiscali relative all’anno 2006, adottando, anche a fini fiscali, le regole contabili utilizzate per la redazione dei bilanci.

Si deve preliminarmente osservare che la consulenza di –Omissis– pur riguardando l’interpretazione di norme (attività che è tendenzialmente di competenza delle parti processuali e del giudice), non può essere ritenuta priva di indicazioni da parte di un professionista esperto nella materia.

Il tema delle consulenze “interpretative” è troppo articolato per essere valutato in una sentenza, ma è opportuno rilevare che non sempre l’applicazione di norme giuridiche è autonoma dalla valutazione delle tematiche specialistiche cui quelle norme si riferiscono.

Con particolare riferimento alle regole di redazione dei bilanci, i giuristi sono certamente in grado di valutare la normativa, ma un esperto come –Omissis– può fornire un contributo di conoscenza sui meccanismi sottostanti alla normativa, indispensabili per la sua interpretazione.

L’interpretazione è un’attività complessa, caratterizzata da una reciproca incidenza dei fatti oggetto delle norme rispetto alla loro definizione normativa, l’accertamento degli uni essendo indispensabili per la definizione delle altre e le norme rilevanti anche per la definizione dei fatti da qualificare giuridicamente.

Per questo in materie specialistiche, la valutazione delle norme richiede un contributo di conoscenza da parte dei tecnici della materia(41).

è indubbio che nel 2006, quando divenne obbligatorio per le banche l’adozione dei principi IAS, la situazione normativa era incerta.

Da un lato il d. L. Vo 38/2005 aveva affermato il principio, definito contraddittorio dal consulente, che l’adozione di quei parametri di redazione dei bilanci non potevano differenziare dal punto di vista fiscale il trattamento dei soggetti non IAS adopter.

Dall’altro i soggetti obbligati all’adozione di quei parametri, dovevano mantenere un doppio binario, avrebbe comportato difficoltà e incongruenze.

Il doppio binario era regola incongruente perché poco compatibile con il principio per cui la base di partenza della dichiarazione dei redditi è rappresentata dal risultato di bilancio.

Questa incongruenza appare ancora più evidente se si considerino i principi di fondo delle due normative: da un lato le regole nazionali fondate sulla rappresentazione giuridico – formale delle operazioni aziendali, dall’altro la valutazione degli effetti sostanziali delle operazioni che fondano i principi internazionali.

Secondo i verificatori fiscali, quelle società avrebbero dovuto adottare un bilancio proforma, redatto secondo i principi nazionali, al fine di determinare il reddito imponibile.

Ritiene il giudice che la valutazione proposta dal consulente –Omissis– sia del tutto condivisibile.

D’altronde, dal 2005 in avanti il legislatore prima e l’amministrazione tributaria hanno rilevato l’incongruenza del sistema del doppio binario, giungendo di recente a affermare in modo inequivoco l’applicazione anche al periodo precedente al 2008 la disciplina prevista dai principi contabili IAS – IFRS(42) è opportuno richiamare testualmente la parte di circolare relativa all’applicabilità dei principi IAS – IFRS, che lo stesso consulente –Omissis– ha indicato nella sua consulenza: “Al riguardo, si ricorda che il comma 61 della legge finanziaria per il 2008 ha disposto che “sono fati salvi gli effetti sulla determinazione dell’imposta prodotti dai comportamenti adottati sulla base della corretta applicazione dei principi contabili internazionali, purché coerenti con quelli che sarebbero derivati dalli applicazione delle disposizioni introdotte dal comma 58” (cosiddetta “clausola di salvaguardia”).

Pertanto, sono tatti salvi gli ottetti sulla determinazione dell’imposta per i soggetti che hanno dato rilievo, ai fini fiscali, ai componenti di reddito negativi imputati in bilancio nel rispetto delle regole di determinazione del reddito imponibile per i soggetti IAS adopter come definite dalla legge finanziaria per il 2008 (principio di “derivazione rafforzata”, di cui si dirà più approfonditamente al paragrafo 3. 1).

Resta fermo che, ai sensi delle disposizioni dell’articolo 6 del D. M. 1° aprile 2009, n. 48 (Regolamento IAS), “con riferimento alle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta 200,5, 2006 e 2007, la conformità (alle risultanze di bilancio, ndr) e la coerenza di cui al comma 61 “devono essersi realizzate in tutti i periodi d’imposta per i quali sono state applicate le regole IAS/IFRS, interessati dalla medesima “fattispecie”.

Per la definizione del concetto di fattispecie si rinvia a quanto chiarito nella circolare 10 luglio 2009, n. 33/E avente ad ometto la disciplina per il riallineamento dei valori contabili e fiscali per i soggetti IAS adopter di cui all’articolo 15, comuni da 1 a 9 e 12 bis, deldecreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 10 febbraio 2009, n. 2. (43); 3. 2. 1 –

Il rilievo 1. Su questo rilievo la difesa non ha formulato contestazioni, ammettendo essersi trattato di un errore materiale nella determinazione del reddito e aderendo alla valutazione dell’ufficio. 3. 2. 2

Il rilievo 2. Il secondo rilievo è stato oggetto di valutazione critica da parte del consulente –Omissis– che lo ha definito nei termini esposti da –Omissis– nella sua deposizione, così sintetizzato: “Quindi in sintesi, premesso che il dettato legislativo non prevede di fare dei bilanci proforma, ma dice espressamente bilancio, seconda cosa: anche laddove avessi forzato la norma, a questo punto il Bilancio 2004, scritto anch’esso in una logica IAS, avrebbe portato esattamente ad un valore che era quello, guarda caso, coincidente ai vecchi principi contabili nazionali.

Perché noi vediamo una norma seminai letta in questo senso? Se si può parlare di lettura.

Perché proprio applicando gli IAS come fanno i verificatori, nella fase di passaggio agli IAS l’X1 mi dice che lo devo riscrivere l’ultimo bilancio non IAS secondo i criteri IAS e non assolutamente al contrario. Però ribadisco: il punto centrale fiscalmente è la circostanza che l’art. 172 comma 7 non prevede assolutamente di utilizzare bilanci preferiva, quindi se noti lo dice la norma non vi è motivo per farlo diversamente. “(44) Nel controesame del P. M. , il consulente –Omissis– ha confermato la sua interpretazione dell’art.  172, comma 7° T. U. I. R. , ribadendo che, anche se si ritenesse procedere alla comparazione di bilanci redatti con gli stessi parametri, la voce avrebbe dovuto essere rivalutata anche nel bilancio 2005, se redatto secondo i parametri IAS(45).

Infine, a specifica domanda del giudice, –Omissis– ha precisato che il test di vitalità non sarebbe stato superato solo valutando i due bilanci comparati secondo parametri nazionali, circostanza che, oltre a essere non prevista dalla norma, è contraria alla logica di valutazione della società incorporata, che nel 2006 aveva redatto il bilancio secondo i parametri IAS(46).

Anche con riguardo al secondo requisito contestato dall’ufficio, il consulente ha fornito una risposta che, per la sua chiarezza, è opportuno riportare testualmente: “Il Comportamento è stato questo: nel momento in cui c’è stata la fusione, la società aveva in sé – stiamo parlando della società –Omissis– – delle perdite fiscali.

La norma mi impone di verificare se queste perdite fiscali, che avrei diritto a scomputare una volta entrati nella incorporante, avevo io incorporante Negli esercizi precedenti fatto delle svalutazioni deducibili fiscalmente.

In buona sostanza l’obiettivo è evitare che da un lato goda della svalutazione e da quell’altro della deduzione della perdita fiscale.

Quindi abbiano dovuto confrontare se intanto che l’incorporata faceva le perdite fiscali, noi svaluta valilo le partecipazioni.

Bene, questa svalutazione delle partecipazioni è avvenuta prima che la società incorporata facesse le perdite fiscali e la norma, il 172 comma 7, norma che i verificatori non hanno evidentemente valorizzato, è avvenuta la svalutazione in –Omissis– nell’anno 2003. Mentre le perdite fiscali, come è allegato nel mio parere redatto sul PVC, sono avvenute nell’anno 2004 e 2005. Quindi temporalmente in un periodo anteriore rispetto a quello che è il termine di paragone. “(47). Il giudice ritiene la valutazione di –Omissis– del tutto corretta. Con riguardo al primo profilo, la tesi dell’ufficio secondo la quale –Omissis– avrebbe dovuto procedere alla predisposizione di un bilancio pro – forma secondo i parametri nazionali è smentita dalla norma e dalla logica. L’art.  172, comma 7° T. U. I. R.  prevede esclusivamente il raffronto tra i bilanci e l’obbligatorietà dei principi IAS – IFRS imponeva di considerare il termine di comparazione nel documento contabile redatto dalla società, non prevedendo l’obbligo di bilanci pro – forma. Ma anche a voler ammettere che fosse indispensabile per la società una comparazione tra bilanci redatti secondo principi contabili uniformi, non si comprende le ragioni per cui il test di vitalità avrebbe dovuto essere compiuto sulla base delle regole nazionali, ormai non applicate dalla società verificata. Con riguardo al secondo profilo –Omissis– ha correttamente rilevato che l’art. 172, comma 7° prevedeva il divieto di cumulare perdite fiscali e svalutazioni nello stesso anno, mentre –Omissis– contabilizzò le svalutazioni della partecipazioni a {Ipi} nell’annO 2003, prima che quest’ultima subisse le perdite (avvenute nel 2004 e nel 2005). 3. 2. 3 –

Il rilievo 6

Il rilievo 6 è stato sinteticamente affrontato dal consulente –Omissis– che, dopo avere rilevato l’esiguità della contestazione (Euro 149. 000 di minusvalenze ritenute non deducibili) ha descritto il contenuto dei crediti che ne sono oggetto, sorti in funzione di istruttoria per l’erogazione di finanziamenti.

La banca, per diverse motivazioni di tipo economico ritenne di non proseguire nella riscossione in ragione dell’esiguità dei singoli importi e delle esigenze di marketing che giustificavano la rinuncia(71). Il consulente –Omissis– ha ritenuto non corretta la qualificazione operata dall’ufficio, rilevando che “.

Ad avviso di chi scrive, la collocazione contabile corretta delle rinunce ai crediti in questione è proprio nella voce “sopravvenienze passive” (confluita nella voce 190 dello schema di conto economico previsto per le banche, intestata “altri oneri/proventi di gestione”). Non si tratta, in vero, di una perdita per inesigibilità del credito, ma di una “sopravvenienza passiva” conseguente alla decisione, autonomamente assunta dalla Banca, per ragioni di convenienza economica, di rinunciare alla riscossione del credito. “(72) Al di là della rilevanza del rilievo in relazione alla contestazione formulata, le ragioni addotte dal consulente della difesa appaiono del tutto condivisibili e legittimano, nella logica dei principi IAS – IFRS la deduzione di quelle svalutazioni di credito. 4 – Conclusioni. –Omissis– deve in conclusione essere mandato assolto per insussistenza del fatto. Con riferimento all’unico rilievo sicuramente accertato, la sua entità esclude il superamento dei limiti indicati all’art. 4. Le conclusioni cui questo giudice è pervenuto consentono di non valutare le altre questioni prospettate dalla difesa, che, lo si osserva solo per completezza, avrebbero comunque escluso la responsabilità di –Omissis– in relazione al reato ascrittogli.

Ritiene il giudice che, anche ad aderire all’interpretazione adottata dall’ufficio tributario, è indubbia “l’obiettiva incertezza interpretativa delle norme tributarie analizzate”.

La portata e l’ambito di applicazione dei principi IAS più volte richiamati è stata dalla stessa autorità tributaria ritenuta incerta, al punto da richiedere una pluralità di interventi normativi di vario livello.

Per questo sarebbe comunque applicabile la previsione di non punibilità prevista all’art. 15 d. L. Vo 74/2000. Infine, sotto il profilo soggettivo dovrebbe escludersi la responsabilità dell’imputato in relazione all’adozione di regole di bilancio determinanti la dichiarazione infedele.  P. Q. M.  Visto l’art. 530 c. P. P. assolve –Omissis– dall’imputazione a lui ascritta perché il fatto non sussiste. Visto l’art. 544, 3° comma c. P. P. Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della motivazione. (1) –Omissis– (^) 10. 11. 2010, p. 4 (2) –Omissis– p. 12 (3) –Omissis– p. 11 (4) –Omissis– p. 24 (5) –Omissis– p. 34 (6) –Omissis– p. 35 (7) –Omissis– pp. 36-37. (8) –Omissis– p. 7 (9) –Omissis– p. 9 (10) –Omissis– p. 10 (11) –Omissis– p. 12 (12) –Omissis– pp. 14 – 15 (13) –Omissis– pp. 11 – 12 ha descritto il rilievo: “. Ai fini della deducibilità l’art. 172 chiede che ricorrono determinati requisiti proprio per evitare il commercio delle bare fiscali, innanzitutto che si superi il cosiddetto test di vitalità, che è un test che viene fissato dalla norma per verificare, per l’appunto, se la società che si sta incorporando nella società redditizia è vitale o se è una bara fiscale, ed è un test che si fa sulla base di dati di bilancio. P. M. – si mettono a confronto i vari bilanci dei vari anni? TESTE –Omissis– – Dei vari anni. In sostanza qui abbiamo notato che la parte ha effettuato il confronto, la –Omissis– comparazione tra i bilanci e dal confronto veniva fuori che la società era vitalizia. Però ci siamo accorti di un errore di fondo, perché in sostanza la società à ~ andata a confrontare i bilanci redatti in base a principi contabili differenti. Perché nel 2005 –Omissis–, la società incorporata, era passata dai principi contabili nazionali a principi contabili internazionali e quindi secondo noi occorreva. P. M. – Rivalutare anche tutte le poste? TESTE –Omissis– Prima di fare una comparizione, omogeneizzazione i valori, quindi andare a confrontare i bilanci che fossero redatti con gli stessi principi contabili. Noi abbiamo fatto una sorta di omogeneizzazione dei valori omogeneizzando i valori, diciamo, e confrontando i bilanci il test di vitalità ci risultava non superato. Proprio par questo motivo recuperiamo un milione e 66 di perdite pregresse, che secondo noi sono indeducibili” (14) –Omissis– p. 13 – 14, (15) –Omissis– p. 14 – 15. (16) –Omissis– p. 15 (17) Elencati nel p. V. C al fg. 26. (18) La ricostruzione della valutazione dei crediti è contenuta alle fg. 27 – 3 f del p. V. C. (19) –Omissis– p. 16 – 17 (20) –Omissis– pp. 18 – 19 (21) –Omissis– p. 21 (22) –Omissis– p. V. C. Al fg. 32 (23) Così nel p. V. C. Ai fg. 32 – 34 (24) Così nel p. V. C. Ai fg. 38 – 41 (25) –Omissis– p. 23 – 26 (26) –Omissis– p. 28 (27) p. 28 – 29 (28) p. 30 (29) l p. V. C. (^) 11 – 13 (30) l p. V. C. (^) 13 – 43 (32) –Omissis– pp. 30 – 31 (33) Così nel p. V. C. Al fg. 45 (34) Così l’art. 1 commi 58 – 60 l. 244/2007 (35) –Omissis– p. 34 (36) –Omissis– p. 35 (37) –Omissis– p. 36 (38) –Omissis– p. 36 – 37 (39) –Omissis– u. 4. 5. 2011, pp. 6 – 10. (40) –Omissis– pp. 4 – 5, ha così descritto le sue competenze: “Ho svolto la mia attività in ambito fiscale e bilancistico nell’ambito del settore finanziario; sono laureato in Scienze bancarie e dal 1978 faccio part della commissione tecnica tributaria dell’Associazione Bancaria Italiana. Sono stato componente della Commissione ****** per la riforma del diritto societario e successivamente, in sede Associazione Bancaria Italiana ed anche Ministero dell’Economia, ho contribuito all’introduzione, illustrazione dei principi contabili internazionali con i relativi adempimenti sia di carattere civilistico che fiscale.

E questo in seno all’Associazione Bancaria Italiana che ha partecipato più volte, appunto, all’introduzione e chiarimenti in materia di principi contabili internazionali, bilanci bancari, Banca D’Italia ed amministrazione finanziaria.

Ulteriormente tengo corsi di formazione presso il Ministero dell’Economia e presso l’Università italiana” (41) D’altronde, all’inizio della loro relazione, i consulenti –Omissis– hanno definito l’incarico conferito proprio facendo riferimento al contributo che un tecnico può fornire all’attività interpretativa delle norme giuridiche: “il fondamento tecnico – economico delle contestazioni contenute nel PVC, unitamente al relativo corredo probatorio, al fine di verificare, per rapporto ai principi contabili vigenti e alle prassi operative del settore, la correttezza, trasparenza e completezza delle rilevazioni contabili e del bilancio di –Omissis– con riguardo alle operazioni oggetto dei rilievi dell’Agenzia delle Entrate. ” (Consulenza –Omissis– p. 5).

(42) La lettura della circolare, pur complessa nell’individuazione dei profili di applicazione, definisce quantomeno il limite temporale indicato nel testo. (43) Circolare 28. 2. 2011, pp. 39 – 40. (44) –Omissis– pp. 11 – 14 “In estrema sintesi il rilievo numero 2 concerne una operazione di fusione che –Omissis– effettuò nell’anno 2006. Questa operazione di fusione riguardava una partecipata IPI.

Il Fisco per i motivi di cautela penalizza la fusione delle cosiddette “bare fiscali”, vale a dire soggetti che hanno delle perdite fiscali e che, in assenza di questa norma, di queste perdite fiscali ne potrebbe godere la società incorporante.

Il legislatore pone come test di vitalità che la società incorporata debba avere avuto una entità di ricavi e di spese per il personale che non siano superiore al 40% di quello che è accaduto nell’anno precedente la incorporazione.

Nel caso di specie. –Omissis– ha dovuto considerare le voci di spese per il personale e ricavi dell’anno 2005 la fusione è avvenuta nell’anno 2006 e confrontare le analoghe voci del biennio 2003 – 2004.

Quindi posto pari a 100 la media del 2003 – 2004, nel 2005, queste voci non dovevano essere singolarmente inferiori al 40%, perché questo avrebbe significato altrimenti secondo questa normativa che la società si è impoverita e ho incorporato un soggetto di fatto non esistente.

Aggiunto per completezza che, siccome la fusione è intervenuta nel corso del 2006 leggasi settembre, ma con effetto retroattivo 1 gennaio 2006 questo test di efficacia sul biennio precedente lo si deve fare anche con riguardo a questo limitato periodo di 9 mesi.

Quindi non si doveva prendere solo il confronto 2003/2004, ma anche 2004/2005; questo per cautela. Il punto sta che: nell’anno 2004 la società incorporata ha redatto il bilancio secondo i principi contabili nazionali; nel 2005 la società ha redatto il bilancio secondo i principi contabili internazionali.

La differenza tra questi due principi sta sul fatto che una voce di bilancio della –Omissis– che riguarda le partecipazioni, nel bilancio non IAS lo si deve iscrivere quello che è il costo storico o al minor valore di bilancio corrente al 31 dicembre. In un bilancio IAS lo si deve iscrivere al fari value.

Questo ha fatto si che i ricavi tipici dell’anno 2005 della società incorporata, per effetto di una rilevante rilevazione per adeguamento al fair value ha fatto si che si siano superati i test di vitalità.

I verificatori dicono: “In quanto il 2004 era in bilancio non IAS ai fini di questo test il Bilancio 2005 nonostante la Legge dicesse di redigerlo a quei bilanci IAS, lo dovevi preformare, cioè quindi redigerlo ancora con i vecchi criteri. Se lo avessi ancora portato con i vecchi criteri, non avresti superato il test di efficacia”.

Tutta la contestazione muove questo. Dal mio punto di vista ritengo che, in quanto il testo dell’art. 172 del T. U. I. R.  in particolare il comma 7, parla di bilancia e il legislatore nel passaggio agli IAS ha nominato tutte quelle che erano le norme transitorie, in questo caso il legislatore non è intervenuto e quindi non aveva motivo la società di andare a riscrivere in un modo diverso da quello che è esposto in bilancio queste voci.

Ma vi è di più. Laddove avessi voluto applicare gli IAS anche per l’anno 2004 in sostituzione dei principi contabili nazionali, quella voce a che valore sarebbe stata imposta? Cioè quale sarebbe stato il fari value di quella voce?

Quella voce avrebbe riportato come fari value, come è stato dimostrato, l’esatto valore che è stato iscritto in bilancio, seconda cosa: anche laddove avessi forzato la norma, a questo punto il Bilancio 2004, scritto anch’esso in una logica IAS, avrebbe portato esattamente ad un valore che era quello, guarda caso, coincidente ai vecchi principi contabili nazionali. Perché noi vediamo una norma semmai letta in questo senso?

Se si può parlare di lettura. Perché proprio applicandogli IAS come fanno i verificatori, nella fase di passaggio agli IAS l’X1 mi dice che io devo riscrivere l’ultimo bilancio non IAS secondo i criteri IAS e non assolutamente al contrario. Però ribadisce il punto centrale fiscalmente è la circostanza che l’art. 172 comma 7 non prevede assolutamente di utilizzare bilanci proforma, quindi se non lo dice la norma non vi è motivo per farlo diversamente.

Aggiungiamo un particolare: che poi i verificatori ritengono che la società avrebbe dovuto recuperare le svalutazioni delle partecipazioni che essa stessa aveva fatto, peccato che la norma appunto sostenga che questo recupero deve essere fatto per svalutazioni delle partecipazioni che avesse fatto, –Omissis– riferibili a periodi anteriori al formarsi della perdita fiscale presso la società fusa.

Nel caso di specie –Omissis– ha incominciato ad andare in perdita fiscale nell’ano 2004; la svalutazione in punto civilistico e fiscale fatta da –Omissis– si riferisce all’anno 2003, la legge dice: se fosse stato al contrario (^) in questo caso anche la stessa cronologia degli eventi dice che –Omissis– ha rispettato il dettato normativo. (45) –Omissis– p. 15 (46) –Omissis– p. 17 (47) –Omissis– P. 16 (48) Così –Omissis– u. 4. 5. 2011. P. 23 (49) –Omissis– p. 24 (50) (^) 4. 5. 2011 p. 42 (51) –Omissis– p. 44 – 45, ove ha citato la parte di relazione allegata al bilancio 2006 del collegio sindacale che sul punto affermò che “la struttura organizzativa, il sistema dei controlli interni risultano adeguati alle dimensioni e alle caratteristiche dell’attività sociale e mostrano una costante evoluzione diretta ad un continuo affinamento proprio per tenere conto dell’aggiornamento degli IAS” (52) –Omissis– p. 53. (53) –Omissis–, p. 54, che ha descritto anche un esempio di irrazionalità dell’obbligo di svalutazione: “faccio un banale esempio, se oggi nell’anno 2011, un cliente va in concordato preventivo, è una procedura concorsuale: fiscalmente potrei svalutare il 100%. Ma se oggi noi riteniamo di poter recuperare il 30%, in funzione della previsione concordataria, a livello di bilancio non possiamo svalutare il 100%, ma dobbiamo svalutare in funzione di un regolamento di valutazione, in funzione del disposto dello IAS solo il 70% e quindi stimare il valore recuperabile.

Quindi ne consegue che se negli esercizi successivi, in funzione di un peggioramento delle ipotesi di recupero, io vado a svalutare il residuo importo, non si può considerare che avrei dovuto farlo negli esercizi precedenti altrimenti non ti concedo più la deduzione, perché quella norma agevolativa fiscale non può essere interpretata come un obbligo imperativo di svalutazione se questo obbligo è in contrasto con i principi di valutazione di bilancio.

Nella consulenza, il principio è espresso con maggiore precisione (pp. 73 – 75): “Da ultimo, si formulano talune considerazioni ulteriori in merito alla prima parte del rilievo n. 3, riguardante le pentite i su crediti vantati verso clienti soggetti a procedura concorsuale. Come già richiamato, la materia è regolata dall’art, 101, e 5 del TUIR, il quale statuisce che sono deducibili “(. ) le perdite su crediti se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali” (cfr. Par. Par. 2 e 4).

L’ammissione a procedure concorsuali costituisce, quindi, per la norma tributaria, una condizione di deducibilità della perdita. L’ammissione del debitore a tali procedure e infatti elemento sufficiente per riconoscere la ricorrenza degli “elementi certi e precisi” della perdita (di cui all’art.  101 c. 5 TUIR). Va peraltro considerato che gli amministratori sono tenuti a redigere il bilancio nel rispetto dei principi contabili IAS/IFRS che, dal 2005, sono norme di legge per i soggetti che li applicano (cfr. Par. 3). Tale circostanza ha conseguenze che sembra opportuno sottolineare.

Invero, il diritto del contribuente, ai sensi dell’art. 101, e. 5 del TUIR, di dedurre, anche integralmente, dal reddito imponibile le perdite su crediti verso debitori in procedura concorsuale non può ragionevolmente trasformarsi in un obbligo di svalutazione di tali crediti al tempo dell’ammissione del debitore alla procedura concorsuale.

Un obbligo siffatto sarebbe in verità incompatibile con il contestuale dovere, imperativamente +,statuito, di redigere il bilancia in modo veritiero e corretto.

Fare dunque evidente che la disciplina tributaria non può imporre, ne in realtà impone, agli amministratori di stimare le perdite in base a criteri di imputazione temporale in contrasto con quelli stabiliti dalla Legge civile e dai principi contrabili.

La ratio della norma tributaria sta verosimilmente nella volantà del Legislatore di agevolare il contribuente nella prova della ricorrenza delle condizioni atte a consentire la qualificazione e la deducibilità delle “perdite” su crediti vero soggetti ammessi caci a procedure concorsuali.

La norma tributaria non intende realizzare finalità ulteriori: In particolare, non intende, né può influire sulle scelte degli amministratori al riguardo. Gli amministratori sono pertanto tenuti a calcolare le rettifiche di valore dei crediti nei confronti di soggetti ammessi a procedure concorsuali nelle misure che appaiono tempo per tempo più congrue in funzione dei risultati conseguiti ed attesi dalle procedure medesime e in relazione alle variazioni del valore delle garanzie che assistono i loro crediti.

In altri termini, gli amministratori, rilevato l’accantonamento più appropriato al tempo di ammissione del debitore alla procedura concorsuale, devono obbligatoriamente affinare la stima di perdita nel corso dell’avanzamento della procedura.

Né è possibile immaginare che una disciplina tributaria che trova la sua ratio nella volontà del Legislatore di agevolare il contribuente nel fornire la prova dell’esistenza delle perdite, si “ritorca” nei confronti del contribuente che rilevi le peritile su crediti nei termini che gli sono imposti dalla disciplina civile (la cui inottemperanza ha pure ricadute penali).

Da ultimo, si richiama, che il reddito imponibile, salvo eccezioni normativamente regolate, è derivato dalle risultanze del bilancio di esercizio. Per tal motivo, la possibilità di dedurre la perdita su crediti nei confronti di debitori assoggettati a procedute concorsuali, per importi che l’art.  101 del TUIR potenzialmente consente, dipende, in concreto, dalla possibilità di iscrivere legittimamente, nella voce 130 A del conto economico, una rettifica di importo corrispondente. Poiché non è possibile ipotizzare che la disciplina tributaria possa imporre agli amministratori di iscrivere in bilancio perdite civilisticamente scorrette, al fine di ottenerne la deduzione dal reddito imponibile, non è nemmeno possibile immaginare che gli amministratori, che, come nel caso di specie, applicano correttamente la disciplina civilistica della valutazione dei crediti, possano essere sanzionati per aver dedotto, gli oneri quando la disciplina `vile lo richiede. ” (54) Consulenza –Omissis– p. 65 (55) Consulenza –Omissis– pp. 65-70: “A –Omissis– a (k Euro 486) Il credito verso la società –Omissis– r. L. “sorge, per un importo paria a kEuro 3. 906, a seguito di un finanziamento agrario, erogato dalla Società nel 1991, ed assistito da garanzia del “Fondo interbancario di garanzia” (FIG) e da ipoteca di secondo grado su un complesso industriale di proprietà del debitore L’ipoteca di primo grado sul medesimo complesso è vantata da un altra creditore: –Omissis– Nel 1996, il credito è classificato tra quelli “in sofferenza” e la sua gestione entra dunque nella sfera di competenza del Servizio, contestualmente alla dichiarazione di fallimento della società. Negli esercizi precedenti al 2006, in capo al credito in analisi, sulla base delle valutazioni svolte, dal Servizio, erano già state imputate rilevanti perdite. Infatti, al 31. 12. 2005 il valore recuperabile del credito era stimato pari a kEuro 486, importo corrispondente all’incasso atteso dall’escussione del FIG (“Fondo interbancario di garanzia”).

Tale valore derivava dalle valutazioni del Servizio circa le prospettive di incasso del credito nell’ambito della procedura fallimentare, alla luce della presenza di creditori di grado superiore rispetto a quello di –Omissis– e dell’andamento del procedimento fallimentare. La decisione (contestata dai Verificatori) di azzerare il recupero atteso dal credito nel 2006 trova va ragione nell’emersione di “nuove “circostanze nell’ambito della procedura che facevano ragionevolmente ritenere che la Banca non avrebbe potuto adire al fondo interbancario di garanzia, nemmeno per l’importo stimalo nel molo la descrizione delle vicende fallimentari sinteticamente riportate in nota consente di cogliere le ragioni che hanno portato il Servizio a valutare il credito al 31. 12. 2005 per un importo corrispondente all’incasso atteso dal FIG e di azzerarne, nel 2006, le prospettive di recupero.

Si segnala che l’atteggiamento di prudenza del servizio nella valutazione delle attese di ricupero legate all’escussione del FIG, che ha determinato la registrazione della perdita contestata, è coerente con le indicazioni fornite dal Regolamento di valutazione, il quale prevede che, nella valorizzazione delle garanzie connesse al Fondo Interbancario di Garanzia (FIG), “è sempre comunque consigliabile un approccio estremamente prudenziale”(cfr. Par. 6. 2).

B –Omissis– (kEuro 282) Il credito verso la società –Omissis– S. P. A. (la cui perdita è oggetto di contestazione) nel marzo del 2001, per un importo di kEuro 12. 395 a seguito di un’operazione di sale & lease back immobiliare.

In data 30. 7. 2003 la posizione è classificata dalla Banca tra quelle “in sofferenza” e la sua gestione entra dunque nella sfera di competenza del Servizio. In data 14. L0. 2004, la società –Omissis– è ammessa alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria. Al 21. 12. 2005, il valore recuperabile del credito era pari a kEuro 4. 120.

Tale valore rappresentava la misura più probabile del recupero stimata al Servizio della Banca a quella data. Tale stima apprezzava, in coerenza con le procedure della Banca, le prospettive di realizzo dei beni del debitore, sulla base delle valutazioni formulate da periti indipendenti o dagli elementi informativi provenienti dalla procedura fallimentare. Nel corso del 2006 il Servizio, nell’ambito del monitoraggio degli importi conseguibili dalla vendita in sede concorsuale del patrimonio di –Omissis– ha provveduto ad aggiornare la stima del valore recuperabile di uno degli immobili del debitore. L’ultimo valore di stima dell’immobile, invero, risaliva al 2001.

A tal fine, il Servizio ha definito il valore di mercato del bene sulla base delle risultanze di una nuova perizia redatta ad un tecnico della banca All. 8).

Il valore di perizia è stato poi ridotto delle spese stimate di vendita, quantificate in misura pari al 20% del valore peritato.

La misura della svalutazione operata nel 2006, pari a kEuro 282 deriva dall’aggiornamento del valore di mercato del bene del debitore, ed è stata proceduralmente definita sulla base delle previsioni del Regolamento di valutazione, il quale indica come riferimento valutativo significativo per la stima del valore di un bene ipotecato “il valore della perizia o stima interna aggiornata” specificando, con riguardo alla quantificazione delle spese di vendita, che “è lecito operare una forfetizazione dei costi (di regola dal 10 al 20 per cento dl valore del bene)” (cfr. Par. 6. 2. ). C –Omissis– (kEuro 426) Il credito verso la società “–Omissis–” sorge nel 1998, per un importo di kEuro 2. 810, al seguito di un finanziamento erogato in pool con la banca popolare del Materano. Nel corso del 2001, il credito è classificato tra quelli “in sofferenza” e la sua gestione entra nella sfera di competenza del Servizio. In data 15. 12. 2003. La società –Omissis– è dichiarata fallita.

Precedentemente alla perdita oggetto del PVC in capo al credito in analisi, sulla base delle valutazioni svolte dal Servizio, erano già state imputate perdite rilevanti.

Le perdite precedenti erano state imputate dal Servizio al fine di allineare, nella successione degli esercizi il valore del credito agli importi ottenibili dalla vendita dei beni del debitore in ambito fallimentare; e ciò sulla base degli elementi informativi proveniente dalla procedura – quali le perizie dei CTU, la presenza di creditori di grado precedente – e delle indicazioni di regolamenti e della regolamentazione civilistica pro tempore vigente.

La previsione di recupero del credito al 31. 12. 2005 pari a kEuro 1. 500, si basava, tra l’altro sulla stima del valore del valore degli immobili del debitore, redatta dal CTU nel 2005. Nel corso del 2006, la prima asta fallimentare per la vendita degli immobili del debitore, offerti ad un prezzo corrispondente al valore di perizia, va deserta. Il Servizio, in coerenza con il regolamento di valutazione, valutata tale circostanza come segnale del fatto che la precedente stima del CTU non fosse più rappresentativa del valore ottenibile dalla vendita degli immobili.

Alla luce di ciò, il Servizio formula una previsione di contrazione dei flussi ottenibili dal credito, proponendo la registrazione della perdita contestata. La misura della tale perdita corrispondente al 25% del valore degli immobili stimato dal CTU nel 2005. Tale perdita – registrata a seguito del verificarsi di un evento “nuovo” nel corso del fallimento, quale la mancata vendita dei beni nel corso dell’asta fallimentare – è stata quantificata coerentemente rispetto alle previsioni del Regolamento di valutazione, il quale indica come riferimento valutativo significativo per la stima del valore di un bene ipotecario “il prezzo base dell’ultima asta deserta ridotto del 25% (cfr. Par. 6. 2) D –Omissis– (kEuro 342) Il credito verso la società “–Omissis–” soge nel 2000 per un importo di kEuro 2. 582, a seguito di un finanziamento erogato in pool la –Omissis–.

Nel corso del 2004, il crdito è classificato dalla Banca tra quelli “in sofferenza” e la sua gestione entra dunque nella sfera di competenza del Servizio. In data 3. 3. 2005, la società Iniziativa –Omissis– è dichiarata fallita. Negli esercizi precedenti al 2006, in capo al credito in analisi, sulla base delle valutazioni svolte dal Servizio, erano già state imputate rettifiche per complessivi kEuro 995 pari a circa il 35% del credito originario.

Il valore del credito al 31. 12. 2005, al netto delle rettifiche precedentemente imputate, era pari a kEuro 1. 600. Il credito al 31. 12. 2005 era valorizzato sulla base degli importi ottenibili dalla vendita, nel corso della procedura di un impianto industriale e di una villa di proprietà del debitore. Nel corso del 2006, il Servizio, nell’ambito del monitoraggio dei flussi ritirabili dal credito, ha provveduto ad aggiornare la stima del valore recuperabile dai beni del debitore (l’impianto industrial e la villa).

A tal fine, coerentemente con le previsioni del Regolamento di valutazione, il Servizio ha assunto per la definizione del valore di mercato dell’impianto, il valore stimato per il cespite dai lavori peritali predisposti nell’ambito della procedura fallimentare 110 (la perizia è allegata sub 9 alla presente) e, per la definizione del valore della villa, il valore stimato da una perizia predisposta da un tecnico della Banca (La perizia è allegata sub 10 alla presente) 111.

Entrambi i valori peritali sono stati ridotti, sempre coerentemente con le previsioni del –Omissis– Regolamento di valutazione, delle spese di vendità, qualificate in misura pari al 20% del valore di perizia (cfr. Par. 6. 2. )112″. (56) Consulenza –Omissis– pp. 71 – 73. (57) –Omissis– p. 54 – 55 (58) –Omissis– 54 – 57 (59) Consulenza –Omissis– pp. 77 – 80 (60) –Omissis– p. 46 (61) Consulenza –Omissis– p. 81 (62) Consulenza –Omissis– p. 83 (63) –Omissis– p. 26 – 27 (64) la ricostruzione è contenuta nel verbale d’udienza –Omissis– pp. 28 – 33 (65) –Omissis– u. 4. 5. 2011, p. 35 – 36, così ha testualmente descritto le due condizioni: “Lo IAS 39 prevede che la società debba stornare contabilmente i crediti se ricorrono due condizioni contestualmente: una ovviamente che ci sia il trasferimento del diritto giuridico a ricevere i flussi associati ai crediti; due, e questo è essenziale ed è l’elemento profondamente innovativo, se si vuole, sei principi contabili internazionali, che però ispira tutti i principi contabili internazionali, praticamente la sostanza sulla forma contrattuale. Nella fattispecie l’impresa, trasferendo il diritto, abbia contestualmente trasferito sostanzialmente tutti i benefici della proprietà del credito, ossia non risulti più esposta l’azienda che ha ceduto quei crediti alla variabilità dei flussi che derivano da quei crediti. Esposta in positivo o in negativo, in un senso o nell’altro. Se si manifestano contemporaneamente queste due condizioni, l’impresa – non “può” – deve toglierlo dall’attivo e rilevare l’effetto economico che può essere una plus o minus come abbiamo indicato poc’anzi. Nella fattispecie, ed esaminando il contratto – la slide è la 21 – noi abbiamo identificato che, effettivamente, il trasferimento del diritto a ricevere i flussi finanziari era previsto dal contratto, ed è stato condiviso dalle parti; trasferito da –Omissis– di ogni diritto o facoltà contrattuale relativo o connesso ai crediti. Poi i punti successivi possiamo vedere il contratto che qui ed è allegato, comunque poi lo possiamo trovare negli allegati è che la cessione dei crediti si intende effettuata pro soluto ossia senza garanzia della parte cedente. ” (66) –Omissis– pp. 38 – 39, ha così completato quell’affermazione “Talora nel passato, siccome i principi italiani non vincolavano esattamente nei termini i principi internazionali; alcune cessioni che apparivano formalmente eseguite in realtà non erano delle proprie cessioni perché il cedente mantenevi delle garanzie, dei diritti di PUT, dei diritti di CALL; poteva recupera e le plusvalenze o doveva pagare le minusvalenze successive. Quindi è chiaro che di fronte ad un quadro di incertezza di questo tipo un atteggiamento prudente ed attento anche della magistratura per evitare forme elusive era più che comprensibile.

Invece nel momento in cui i principi IAS stabiliscono che la possibilità di togliere dall’attivo del bilancio i crediti avviene solo nel momento in cui non ci sia più la possibilità, non ci siano garanzie né per i debiti ulteriori né per eventuali vantaggi, e che tutto ciò che é trasferito è trasferito nel bene o nel male all’acquirente, a questo punto, gli effetti sono definitivi. Quindi la certezza dell’effetto è acquisita con la cessione.

Io penso che questa possa essere la motivazione di alcuni orientamenti giurisprudenziali precedenti: l’intervento degli IAS.

Effettivamente la circolare del febbraio 2011, che è stata richiamata in precedenza, è molto chiara anche su questo tema della deducibilità e delle cessioni di questo punto. Vorrei solo brevemente richiamare. Non entro nel merito della fiscalità, perché ripeto non è la mia competenza specifica, però volevo solo richiamare quanto è scritto nella circolare.

A pagina 76 siamo sul tema che ci riguarda dice: Il medesimo art. 2 del Regolamento IAS, che è quel D. M 48 del 2009 – faceva riferimento prima dopo aver affermato la rilevanza fiscale del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, dispone conseguentemente che devono intendersi non applicabili a tali soggetti – cioè i soggetti IAS le disposizioni dell’art. 109 commi 1 e 2 del Testo Unico.

La disposizione, in commento introduce evidentemente una deroga alle disposizioni dell’art.  109 commi 1 e 2 del TUIR, che in ordine alla rilevanza fiscale dei costi e dei ricavi fanno riferimento ai requisiti di certezza e determinabilità dei componenti reddituali. Comma 1 “Poi un altro comma che non ci riguarda, ma questo è il punto che ci riguarda.

Poi aggiunge: “La disapplicazione delle disposizioni di cui al comma 1 e 2 del 109 si rende necessaria, come evidenziato nella relazione illustrativa di quel regolamento IAS, per superare le incertezze applicative generate dal riferimento ai criteri di certezza e di oggettiva determinabilità individuati in maniera difforme rispetto a quanto previsto nei principi IAS/IFRS”.

Quindi qui dà il quadro dei motivi per cui il 244/2007 è intervenuto e del quadro di incertezza in cui si trova il contribuente nella fase precedente questa legge 244/2007 e –Omissis– lo ha dichiarato” (67) –Omissis– pp. 38 – 41. Analoghe considerazioni sono espresse nella consulenza scritta –Omissis– pp. 39 – 41: “Sul piano del merito va infine segnalato che, ad avviso di chi scrive, la deducibilità delle minusvalenze di cui si discute non potrebbe essere messa in dubbio qualunque fosse la disciplina tributaria applicabile ai blanci redatti, nel 2006, in accordo con i principi contabili internazionali (ossia le discipline che si sono seguite nel tempo: il D. Lgs n. 38/2005 e la Legge n. 244/2007) (cfr. Par. 4).

Va infatti considerato che il fondamento della contestazione formulata dai Verificatori va ricercata nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui è stata negata la deducibilità delle minusvalenze derivanti da cessioni di crediti assumendo che, nelle fattispecie giudicate, la sostanza delle operazioni non corrispondeva alla forma contrattuale adottata dalle parti contraente.

Tale orientamento aveva la sua ratio nell’apprezzabile volontà di contrasto delle pratiche elusive.

Si trattava di pratiche con le quali, di norma, il cedente negoziava la cessione ad can prezzo simbolico, o comunque non rispettoso del valore dei crediti negoziati, al principale fine di dedurre minusvalenze indebite per entità e/o tempi di realizzazione.

I contratti che regolavano tali trasferimenti, con varie formule, attribuivano al cedente il diritto (o l’obbligo) a percepire (o a rimborsare) i maggiori (o minori) incassi al tempo in cui si manifesteranno.

Orbene, i principi contabili internazionali IAS/IFRS sono stati configurati, avuto riguardo alla cessione di crediti, proprio con l’intento di escludere che operazioni di tal fatta possano “albergare” con tale titolo nei bilanci d’impresa.

In ciò innovando rispetto ai principi contabili nazionali che, invero, non prevedevano regole restrittive per il riconoscimento dell’effettività del trasferimento.

Il tessuto dei principi contabili interni, infatti, dava preminente riferimento alla forma dei contratti, più che alla loro sostanza. Di qui il comprensibile atteggiamento della Suprema Corte. Nel profilo tributarlo, il contrasto della pratica elusiva sopra descritta, agevolato dalla “flessibilità” dei principi contabili tradizionali, è stato operato ammettendo in deduzione, all’atto della cessione dei crediti, la sola parte delle minusvalenze che corrispondono alle “perdite” che sarebbero state rilevate, in sede di valutazione dei crediti, in forza della presenza di elementi “certi e precisi” di perdita (art.  101 TUIR).

Nei bilanci redatti in pieno accordo con gli IAS/IFRS, invece, applicandosi in termini restrittivi il principio della “prevalenza della sostanza sulla forma”, tale effetto elusivo non può manifestarsi.

La “derecognition” (ossia l’eliminazione contabile) di un credito ceduto può rilevarsi in bilancio solo quando sono stati effettivamente trasferiti a terzi tutti i rischi ed i benefici direttamente o indirettamente connessi al credito stesso.

Solo dunque le cessioni “genuine” (cioè effettive e reali) di crediti sono idonee a determinare la cancellazione dal bilancio del rispettivo valore e a consentire la rilevazione della eventuale minusvalenza. Le cessioni “di comodo”, formalizzate ad un corrispettivo non corrispondente alla sostanza negoziata (fair value), ed accompagnate a clausole che attribuiscono al cedente il diritto di percepire, a vario titolo, in tempi diversi, una parte o tutti i maggiori incassi futuri rispetto al prezzo negoziato, non comportando il trasferimento al cessionario della parte prevalente dei rischi e benefici, non debbono essere contabilizzate come cessioni e pertanto non possono dar luogo alla derecognition del credito e alla conseguente rilevazione della minusvalenze.

Venuta così meno, nelle cessioni dei crediti regolate dai principi contabili internazionali correttamente applicati (come nel caso di specie), la finalità antielusiva che ha ispirato l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, non pare esservi più ragione per non adottare i criteri generali che sovrintendono alla rilevazione contabile e alla tassazione dei corrispettivi di cessione (e delle concesse plus e minusvalenze) di qualsiasi bene o diritto patrimoniale d impresa.

In altri termini, in vigenza di una corretta applicazione dei principi IAS IFRS (come nel caso di specie), non pare aver più senso la “forzatura” interpretativa implicita nell’orientamento giurisprudenziale sopra descritto. Si può, quindi, tornare a considerare deducibili le minusvalenze da cessione dei crediti secondo gli ordinari criteri che, per legge, regolano la deducibilità di tutte le minusvalenze, e cioè la “certezza “data dalla cono fusione del contratto e la “precisione” data dal prezzo pattuito.

” Anche nelle conclusioni, i consulenti hanno riportato l’insieme di elementi fondanti la loro valutazione; “In conclusione, sul rilievo n. 5, si può osservare quanto segue. – Le operazioni contestate rispondevano ad una ratio economica valida e razionale (riduzione dei costi legati all’attività di contenzioso e dell'”assorbimento” del “patrimonio di vigilanza”) che le rende pienamente giustificabili nel profilo economico (Par. 5. 1. ). – Le operazioni contestate erano dettagliatamente descritte nella relazione sulla gestione al bilancio d’esercizio 2006 della Banca. Inoltre, il bilancio e l’informativa che lo correda riportavano l’effetto economico delle cessioni concluse nel corso dell’esercizio, registrando, nella voce pertinente, la plusvalenza complessivamente realizzata (Euro/mln. 28,0, di cui Euro/mln. 26,2 relativi alle due operazioni con DB. ).

La rappresentazione aggregata della plusvalenza in bilancio era supportata dall’analitica rilevazione dell’operazione nelle scritture contabili, che riportavano evidenza delle plus e minusvalenze relative a ciascun credito trasferito.

Quindi, l’informativa di bilancio complessivamente intesa può essere giudicata esaustiva, chiara e corretta.

Tale informativa ha consentito ai Verificatori di trarre tutti i dati elementari alla base della loro contestazione (Par. 5. 2). – La rilevazione delle minusvalenze contestate (casi come delle plusvalenze), nel bilancio d’esercizio 2006 della Banca, è avvenuta in coerenza con il disposto dei principi IAS/IFRS. Sulla base delle previsioni contrattuali delle operazioni contestate, è, infatti, possibile affermare che, in tali operazioni, si sono realizzate le condizioni in presenza delle quali lo IAS 39 obbliga l’impresa cedente di un credito a procedere alla sua derecognition, registrando i pertinenti effetti economici (plusvalenze e minusvalenze) (Par. 5. 2).

Infine, si annota altresì che l’approccio dei Verificatori, che hanno eccepito la deducibilità di minusvalenze realizzate su singole posizioni non è condivisibile sul piano sostanziale, in quanto il prezzo di cessione è stato negoziato in modo unitario con riferimento ai “blocchi” Inoltre, nel contesto dei principi IAS/IFRS, la derecognition dei crediti può avvenire solo a seguito di operazioni effettive e reali, sicché non è più attuale l’orientamento giurisprudenziale, alla base della contestazione in analisi, che mirava a contrastare le pratiche elusive, possibili in vigenza dei principi contabili nazionali, consistenti nella deduzione di minusvalenze realizzate tramite operazioni di cessione “non genuine” che non comportavano l’effettività del trasferimento dei crediti (Par. 5. 3)” (consulenza –Omissis– pp. 42 – 43 (68) Si tratta delle pp. 13 – 21 della consulenza (69) Si fa riferimento alla consulenza –Omissis– a, pp. 40 – 42 e alle dichiarazioni rese in udienza da –Omissis– pp. 33 e ss. E pp. 66 – 68 (70)

Nella consulenza –Omissis– contestato la legittimità del procedimento utilizzato dai verificatori, affermando che “.

Tale approccio non pare condivisibile sul piano sostanziale poiché le negoziazioni tra le Parti, si sono svolte (e gli accordi si sono conclusi) con riferimento a “blocchi”, di crediti unitariamente considerati e “prezzati”.

Invero, la Banca ha negoziato con le controparti la cessione di portafogli complessivi e non, distintamente, le singole parti degli stessi.

Pertanto, nella fattispecie, l’elemento rilevante è costituito dalla plusvalenza complessivamente generata dall’operazione.

Il prezzo convenuto è invero unitario nella istanza e nella forma: esso remunera l’insieme dei crediti compravenduti.

Essenzialmente per esigenze contabili il prezzo è stato poi formalmente frazionalo dalla direzione amministrativa tra le partite compravendute, in funzione del fair value di ciascuna” (p. 41). (71) –Omissis– pp. 58 – 59, ha casi ricostruito la vicenda: “L’ultimissima voce sono le sopravvenienze passive, rilievo 6, che pesano 149 mila euro.

Qui la contestazione è di questo tipo: i verificatori ritengono che si tratti di perdite su crediti.

Di che cosa si trattava? Si trattava di crediti che erano nati in funzione di istruttorie iniziali per l’erogazione di finanziamenti.

In taluni casi evidentemente il cliente chiede alla Banca A, B, C, poi decide una banca e quindi l’attività che è svolta da –Omissis– in taluni casi non andava a buon fine con il finanziamento.

Al momento dell’attività iniziale viene esposta una commissione di istruttoria che aveva originato questi crediti. è chiaro che in talune situazioni, nel momento in cui il credito non si perfeziona, diventa difficile andare a recuperare per importi molto limitati le commissioni dell’istruttoria.

Quindi –Omissis– aveva nell’anno 2005 iscritto ricavi e crediti corrispondenti agli importi poi contestati, su cui ha pagato le imposte nell’anno 2005 perché sono entrate nella materia imponibile, nel reddito imponibile.

Nel 2006, verificalo che le operazioni non erano andate a buon fine, che era difficile per importi molto limitati si parla di oltre 20 operazioni che pesano in tutto 1491 mila cura, quindi veramente crediti unitari molto, molto piccoli ha ritenuto di non adire adire neanche alle vie legali per recuperare questi importi e di rinunciare ai crediti. è, come dire, un po’ una politica di marketing commerciale da un lato di risparmio di costi e dall’altro di carattere commerciale.

Va osservato che una parte rilevante di queste rinunce ai crediti era relativa a clienti con cui avevo altri rapporti commerciali.

Quindi il finanziamento X non era andato a buon fine, ma io magari avevo venduto un’altra operazione di finanziamento e quindi diventava commercialmente probabilmente difficile da giustificare il recupero di quel piccolo importo.

Quindi si tratta di rinunce ai crediti e quindi di sopravvivenze passive nell’ottica della banca e non di perdite su crediti.

Quindi, nel momento in cui si sono verificate le condizioni di rinuncia, la Banca ha in un profilo di bilancio correttamente rilevato.

Aveva rilevato (^) nell’anno precedente e come svalutazioni, rinunce e ricavi nell’anno in considerazione”. (72) Consulenza –Omissis– p. 85

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