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venerdì 5 Dicembre 2025
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Fondo perduto impianti rinnovabili 2025: incentivi per le imprese del Sud per l’autoconsumo energetico

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Dal 3 dicembre 2025 è ufficialmente aperto lo sportello per richiedere i contributi a fondo perduto destinati alla realizzazione di impianti a fonti rinnovabili per l’autoconsumo. Si tratta di una straordinaria opportunità per le imprese del Sud Italia che intendono ridurre i costi energetici, aumentare la propria competitività e contribuire alla transizione ecologica.

Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ha infatti stanziato una dotazione finanziaria di 320 milioni di euro, destinati alle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Questo nuovo incentivo rientra nel programma europeo REPowerEU, inserito come capitolo nel PNRR, e ha un obiettivo chiaro: favorire l’autoproduzione e l’autoconsumo di energia rinnovabile nel tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno, promuovendo un modello energetico più efficiente, economico e sostenibile.

Oltre al contributo a fondo perduto, che può coprire fino al 65% dell’investimento e arrivare al 75% per le PMI, sono previsti ulteriori vantaggi per le imprese che realizzano interventi in tempi brevi, o che integrano sistemi di accumulo e ricarica elettrica.

Il click day è iniziato il 3 dicembre 2025, e le risorse sono limitate. Le domande si accettano fino a esaurimento fondi e comunque entro il 31 marzo 2026.

Vediamo nel dettaglio chi può beneficiare del fondo, come accedere agli incentivi, quali investimenti sono ammissibili e quali sono i vantaggi fiscali, energetici e finanziari per chi aderisce oggi.

Autoproduzione da fonti rinnovabili

L’obiettivo principale di questo nuovo incentivo promosso dal MASE è quello di potenziare la capacità produttiva di energia da fonti rinnovabili nel Mezzogiorno, riducendo al contempo i costi energetici per le imprese e promuovendo l’indipendenza energetica del tessuto produttivo locale. L’iniziativa è pienamente allineata con quanto stabilito dalla Direttiva (UE) 2018/2001, che mira a favorire la produzione e l’autoconsumo da fonti energetiche rinnovabili (FER)come leva per la transizione ecologica, la sostenibilità ambientale e l’innovazione industriale.

Attraverso questi contributi a fondo perduto, lo Stato punta a rendere le imprese non solo consumatrici, ma produttrici di energia, rafforzando così la loro resilienza economica e competitività sui mercati, in un periodo in cui il costo dell’energia rappresenta una delle principali voci di spesa.

La dotazione finanziaria complessiva per il bando ammonta a 262 milioni di euro, destinati a coprire gli investimenti in:

  • impianti fotovoltaici e termo-fotovoltaici;

  • sistemi di accumulo per ottimizzare l’autoconsumo;

  • eventuali colonnine di ricarica elettrica legate all’infrastruttura aziendale.

In questo modo si stimola non solo l’adozione di tecnologie green, ma anche una diversa cultura energetica, centrata sull’autosufficienza, l’efficienza e il rispetto ambientale. Un modello virtuoso che punta anche al rilancio economico e occupazionale del Sud Italia, storicamente penalizzato da maggiori costi energetici e da un minore accesso a risorse tecnologiche.

Requisiti e beneficiari ammessi

Il nuovo incentivo del MASE è rivolto a un’ampia platea di imprese, con l’obiettivo di garantire una diffusione capillare dell’autoproduzione energetica nel Sud Italia. Possono beneficiare del contributo a fondo perduto tutte le imprese, di qualsiasi dimensione, comprese anche le reti di imprese dotate di soggettività giuridica. Un aspetto interessante è l’apertura sia alle grandi aziende che alle PMI, offrendo pari opportunità di investimento in tecnologie energetiche avanzate.

Per accedere al bando, è necessario che l’unità produttiva oggetto dell’investimento sia localizzata in aree industriali, produttive o artigianali, all’interno di Comuni con più di 5.000 abitanti situati nelle regioni cosiddette “meno sviluppate” secondo la classificazione europea: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Ogni domanda deve fare riferimento a una sola unità produttiva, ma è consentito a una stessa impresa presentare fino a tre domande distinte, purché riferite a siti produttivi diversi. Questo consente alle aziende con più sedi operative di beneficiare del contributo su più fronti, amplificando il risparmio energetico complessivo e la riduzione dei costi fissi.

Questa misura rappresenta un’opportunità strategica per modernizzare gli impianti, ridurre le spese ricorrenti e aumentare la sostenibilità delle attività produttive, soprattutto in contesti territoriali dove il costo dell’energia ha sempre rappresentato un ostacolo alla competitività.

Impianti finanziabili

Il fondo perduto per l’autoproduzione energetica si rivolge a imprese intenzionate a realizzare impianti moderni, sostenibili e perfettamente integrati nei propri cicli produttivi.

In particolare, sono ammissibili al contributo gli investimenti finalizzati alla realizzazione di impianti per la produzione e gestione dell’energia rinnovabile in ottica di autoconsumo.

Rientrano tra gli interventi finanziabili:

  • impianti fotovoltaici destinati all’autoconsumo aziendale;

  • impianti termo-fotovoltaici, che combinano la produzione di elettricità e calore da energia solare;

  • sistemi di accumulo elettrochimico con tecnologia “behind-the-meter”, ossia installati a valle del contatore, per consentire l’autoconsumo anche in assenza di produzione immediata.

Le spese ammissibili includono:

  • l’acquisto e trasporto dei componenti necessari alla costruzione degli impianti;

  • i costi di installazione, messa in esercizio e connessione alla rete elettrica;

  • tutte le opere civili strettamente necessarie alla realizzazione e messa in funzione degli impianti.

È importante sapere che non sono agevolabili:

  • le spese sostenute tramite leasing (locazione finanziaria);

  • l’acquisto di beni usati, in quanto la misura punta a incentivare solo tecnologie nuove e innovative.

Questa distinzione è fondamentale per pianificare correttamente l’investimento e presentare una domanda in linea con i requisiti richiesti. La precisione nella selezione delle spese potrà fare la differenza tra una domanda accettata e una respinta.

Percentuali, criteri e premialità

Il contributo concesso nell’ambito del fondo MASE 2025 è un contributo in conto impianti, cioè un’erogazione diretta a fondo perduto, che non deve essere restituita, finalizzata a ridurre il costo effettivo dell’investimento sostenuto per l’installazione di impianti rinnovabili destinati all’autoconsumo.

L’intensità dell’aiuto varia in base a due fattori principali:

  1. La dimensione dell’impresa: micro, piccola, media o grande.

  2. La tipologia di impianto installato, tenendo conto delle caratteristiche tecniche, dell’innovatività e della capacità di accumulo.

In generale, il contributo può coprire fino al 65% dei costi ammissibili, con una maggiorazione fino al 75% per le micro e piccole imprese, rendendo l’agevolazione particolarmente vantaggiosa per chi ha meno risorse finanziarie ma vuole avviare un processo di transizione energetica concreta e sostenibile.

Sono inoltre previste premialità aggiuntive, che permettono di incrementare l’importo riconosciuto:

  • per l’utilizzo di moduli fotovoltaici certificati secondo criteri ambientali minimi (CAM);

  • per il possesso di certificazioni in ambito energetico, come la ISO 50001, che attesta la gestione efficiente dell’energia a livello aziendale.

Questo meccanismo premiante incentiva le imprese non solo a produrre energia rinnovabile, ma anche a farlo nel rispetto di standard qualitativi e ambientali elevati, premiando chi investe in innovazione, efficienza e sostenibilità.

Come presentare la domanda

Le imprese interessate ad accedere al fondo perduto per impianti rinnovabili destinati all’autoconsumo devono presentare la richiesta esclusivamente online, tramite la piattaforma informatica del GSE (Gestore dei Servizi Energetici). Le domande sono aperte a partire dalle ore 10:00 del 3 dicembre 2025 e potranno essere inviate fino alle ore 10:00 del 3 marzo 2026, salvo esaurimento anticipato dei fondi disponibili.

L’intero processo di selezione si svolge in modalità valutativa a sportello, con la formazione di una graduatoria decrescente sulla base dei punteggi attribuiti ai singoli progetti. Questo significa che, oltre alla qualità del progetto, sarà fondamentale presentare la domanda il prima possibile, perché anche l’ordine cronologico di arrivo incide sulla posizione in graduatoria.

I progetti saranno valutati secondo i criteri stabiliti nell’Allegato 3 dell’Avviso pubblico, tra cui:

  • qualità tecnica della proposta, incluse le soluzioni impiantistiche e le tecnologie adottate;

  • sostenibilità ambientale ed economica dell’intervento;

  • impatti attesi in termini di efficienza energetica e riduzione delle emissioni;

  • tempistiche di realizzazione, che premiano progetti pronti a partire.

Una strategia efficace, quindi, prevede non solo la pronta predisposizione della documentazione tecnica ed economica, ma anche una tempestiva presentazione della domanda, per aumentare le possibilità di ottenere il contributo prima dell’esaurimento dei fondi.

Vantaggi fiscali

Investire oggi in impianti rinnovabili destinati all’autoconsumo rappresenta una scelta strategica per le imprese, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche e soprattutto per i vantaggi fiscali, economici ed energetici che se ne possono trarre.

Il contributo a fondo perduto permette infatti di ridurre in modo significativo il capitale iniziale necessario per l’investimento, abbattendo la barriera economica che spesso impedisce alle imprese di adottare soluzioni energetiche innovative.

Dal punto di vista economico, l’autoproduzione consente di abbattere i costi dell’energia elettrica, che oggi rappresentano una delle voci più impattanti nei bilanci aziendali. Con un impianto fotovoltaico o termo-fotovoltaico, i consumi energetici vengono coperti in parte o totalmente con energia autoprodotta, stabilizzando la spesa nel lungo termine e proteggendosi dalle oscillazioni dei prezzi del mercato elettrico.

A questo si aggiungono importanti vantaggi fiscali, come:

  • l’ammortamento accelerato per i beni strumentali legati alla transizione ecologica (nei limiti previsti dal piano Transizione 5.0, se compatibile);

  • la deducibilità integrale dei costi non coperti dal contributo;

  • la possibile cumulabilità con altre agevolazioni regionali o nazionali, previa verifica di compatibilità.

Dal punto di vista energetico, infine, l’impresa guadagna in autonomia e sicurezza energetica, riducendo la dipendenza da fornitori esterni e migliorando il proprio impatto ambientale. Un vantaggio competitivo che oggi, nel contesto della transizione green, può fare la differenza anche in termini di immagine e di accesso a nuovi mercati.

Pianificazione strategica 

Per accedere con successo al fondo perduto per impianti rinnovabili destinati all’autoconsumo, non basta avere un buon progetto: è essenziale presentare una domanda completa, corretta e altamente competitiva, rispettando i criteri tecnici e temporali indicati dal MASE. Il rischio di esclusione per errori formali o per una valutazione insufficiente è concreto, considerando l’elevata concorrenza prevista e la selezione a sportello.

In questa fase, è fondamentale per le imprese affidarsi a consulenti esperti in materia di agevolazioni pubbliche, transizione energetica e progettazione tecnica. Una consulenza qualificata può:

  • redigere uno studio di fattibilità tecnico-economica solido e ben documentato;

  • garantire il rispetto dei requisiti previsti dall’avviso pubblico;

  • elaborare un progetto che massimizzi i punteggi di valutazione, valorizzando aspetti come la sostenibilità, la qualità tecnica dell’impianto e la rapidità di esecuzione;

  • predisporre tutta la documentazione necessaria in modo conforme e nei tempi richiesti.

Un altro elemento strategico è la tempestività: con il criterio dell’ordine cronologico nella graduatoria, arrivare per primi può fare la differenza, soprattutto se le risorse si esauriscono rapidamente.

Infine, valutare fin da subito eventuali sinergie con altri strumenti di finanziamento (come bandi regionali, crediti d’imposta o fondi europei) può aumentare ulteriormente la sostenibilità economica dell’investimento e ridurre il fabbisogno finanziario complessivo.

Conclusioni

Il fondo perduto per la realizzazione di impianti rinnovabili destinati all’autoconsumo rappresenta una straordinaria opportunità per le imprese del Sud Italia. In un contesto economico segnato da volatilità energetica e transizione green, ottenere un contributo che copre fino al 75% dell’investimento significa riposizionarsi strategicamente sul mercato, riducendo i costi fissi, aumentando l’efficienza e migliorando il proprio impatto ambientale.

Con 262 milioni di euro stanziati, un processo di selezione competitivo e scadenze ben definite, è fondamentale agire tempestivamente. Preparare la domanda con il supporto di professionisti esperti, sviluppare un progetto di qualità e presentarlo nei primi giorni di apertura dello sportello sono le mosse vincenti per garantirsi l’accesso a questo importante incentivo.

L’autoproduzione da fonti rinnovabili non è più solo una scelta etica, ma una leva economica e strategica per affrontare le sfide del presente e costruire un futuro più sostenibile, autonomo ed efficiente.

Contributo Autoimpiego 2025: 500 euro al mese per giovani disoccupati che avviano nuove imprese nei settori strategici

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Nel 2025 arriva una misura concreta per affrontare una delle sfide più urgenti del Paese: la disoccupazione giovanile. Con il DL Coesione 60/2024, il Governo ha introdotto un contributo mensile di 500 euro, destinato ai giovani under 35 disoccupati che decidono di mettersi in proprio avviando un’attività in uno dei settori strategici per l’economia italiana.

Grazie alla recente circolare INPS n. 148/2025, sono state definite le regole operative, i requisiti e le modalità per presentare domanda. La misura, finanziata con 63 milioni di euro dal Programma Nazionale “Giovani, donne e lavoro”, ha l’obiettivo di sostenere l’autoimprenditorialità, in particolare nel Mezzogiorno, nelle aree in transizione e in quei comparti chiave come tecnologia, green economy, sanità, trasporti e servizi avanzati.

In questo articolo scoprirai come funziona il contributo, chi può richiederlo, quali sono le attività ammesse, come presentare correttamente la domanda e quali vantaggi fiscali offre. Un’occasione concreta per trasformare un’idea in impresa, con un supporto economico reale e senza tassazione.

Soggetti ammessi 

Il contributo per l’autoimpiego previsto dal DL Coesione 60/2024, regolato dall’art. 21, comma 3, è destinato esclusivamente ai giovani disoccupati under 35 che decidono di avviare un’attività imprenditoriale in settori ritenuti strategici per la transizione digitale, ecologica o tecnologica del Paese. Il sostegno economico consiste in 500 euro al mese, erogati per un massimo di 36 mesi, e comunque non oltre il 31 dicembre 2028.

La misura rientra nel Programma Nazionale “Giovani, donne e lavoro 2021-2027” (FSE+), finanziata con un fondo complessivo di 63 milioni di euro. Questo fondo rappresenta una leva importante per stimolare l’imprenditorialità giovanile in un momento in cui l’innovazione e la sostenibilità sono priorità sia per l’Italia che per l’Unione Europea.

Il decreto attuativo del 3 aprile 2025 ha chiarito i criteri di ammissibilità. Alla data di inizio dell’attività, il richiedente deve:

  • avere meno di 35 anni (34 anni e 364 giorni);

  • risultare disoccupato, ai sensi del D.Lgs. 150/2015 e del DL 4/2019.

Nel caso di imprese costituite in forma societaria, il contributo viene riconosciuto a un solo socio, purché in possesso dei suddetti requisiti.

Settori strategici 

Per beneficiare del contributo di 500 euro mensili, le nuove imprese devono operare in specifici settori strategici, definiti dal decreto attuativo del 3 ottobre 2025, sulla base della classificazione ATECO 2025. Si tratta di comparti fondamentali per la transizione digitale, ecologica e tecnologica del Paese, con un focus su manifattura avanzata, energia, ambiente, comunicazione, ricerca, sanità e servizi professionali. Le attività devono rientrare nei codici ATECO elencati nella Tabella 1 allegata alla circolare INPS n. 148/2025.

Tra i principali settori ammissibili troviamo:

  • Attività manifatturiere (sezione C): industrie alimentari, tessili, chimiche, farmaceutiche, meccaniche, elettroniche, automotive;

  • Fornitura di energia e gestione ambientale (sezioni D ed E): elettricità, vapore, acqua, rifiuti, risanamento;

  • Costruzioni (sezione F): edilizia, ingegneria civile, lavori specializzati;

  • Trasporti e comunicazioni (sezioni H e J): logistica, trasporto terrestre e aereo, telecomunicazioni, software, editoria;

  • Servizi alle imprese (sezioni M, N, Q, R): consulenza, contabilità, ingegneria, ricerca scientifica, attività culturali e sanitarie.

Limiti dimensionali: l’impresa beneficiaria deve qualificarsi come piccola impresa, ai sensi del Regolamento UE n. 651/2014, ovvero avere:

  • meno di 50 dipendenti;

  • fatturato annuo o totale di bilancio non superiore a 10 milioni di euro.

Il contributo è un aiuto di Stato e viene riconosciuto solo se le spese di avvio e mantenimento dell’attività vengono effettivamente sostenute e documentate annualmente all’Autorità di Gestione.

Come fare domanda 

La domanda per ottenere il contributo autoimpiego previsto dal DL Coesione deve essere presentata esclusivamente in modalità telematica, come specificato nella circolare INPS n. 148/2025. La procedura è attiva sul portale INPS, all’interno della sezione:
“Punto d’accesso alle prestazioni non pensionistiche” > Incentivo Decreto Coesione.
In alternativa, è possibile rivolgersi ai patronati o utilizzare il Contact Center INPS.

La scadenza per la domanda varia a seconda della data di avvio dell’attività:

  • Entro 30 giorni dall’avvio dell’attività (se successiva al 15 maggio 2025, data del decreto attuativo);

  • Entro il 27 dicembre 2025, se l’attività è stata avviata prima della pubblicazione della circolare (28 novembre 2025).

Per “avvio attività” si fa riferimento alla Comunicazione Unica al Registro delle Imprese con le diciture:

  • “Nuova impresa con immediato inizio attività economica”;

  • “Inizio attività per impresa già iscritta”.

Attenzione: se è stata effettuata solo la costituzione dell’impresa senza avvio immediato, la scadenza decorre dalla successiva comunicazione di effettivo inizio attività.

Contenuto della domanda: il richiedente deve indicare:

  • Dati dell’impresa e codice ATECO del settore;

  • Dati anagrafici personali;

  • Stato di disoccupazione, autocertificabile ma verificato da INPS tramite le banche dati del Ministero del Lavoro.

Importi, decorrenza e regime fiscale

Una volta verificata la correttezza della domanda e il possesso dei requisiti da parte dell’INPS, il contributo autoimpiego decorre dal mese successivo alla presentazione della richiesta. Tuttavia, in fase transitoria, per le attività già avviate prima della pubblicazione della circolare INPS 148/2025, la decorrenza sarà dal mese successivo al 15 maggio 2025, a condizione che la domanda venga presentata entro i termini.

Il contributo è erogato in un’unica soluzione annuale e anticipata, ma solo dopo il controllo della regolarità contributiva dell’impresa. Questa modalità consente ai giovani imprenditori di pianificare con maggiore certezza la gestione dei primi anni di attività.

Importi e durata del beneficio:

  • Importo mensile: 500 euro;

  • Durata massima: 36 mesi;

  • Termine ultimo per il beneficio: 31 dicembre 2028.

Attenzione: il contributo è condizionato al mantenimento dei requisiti. In caso di perdita dello stato di disoccupazione, chiusura dell’attività, o nel caso di società, uscita del socio beneficiario, l’importo ricevuto dovrà essere restituito dalla data in cui il requisito è venuto meno. L’attività deve quindi restare attiva per l’intero periodo di fruizione.

Regime fiscale favorevole: il contributo non concorre alla formazione del reddito IRPEF, non è soggetto a ritenute e viene riportato nella Certificazione Unica tra i redditi esenti, offrendo un chiaro vantaggio fiscale per i beneficiari.

Ripartizione territoriale del fondo

Il DL Coesione 60/2024 ha stabilito un piano pluriennale di finanziamento del contributo autoimpiego, con una dotazione totale di 63 milioni di euro da erogare tra il 2024 e il 2028. Tuttavia, i fondi non sono distribuiti in modo uniforme: sia nel tempo sia sul territorio nazionale, esistono dei vincoli ben precisi che influenzano la disponibilità delle risorse.

Limiti annuali di spesa (in milioni di euro):

  • 2024: 1,8 mln (per le prime sperimentazioni);

  • 2025: 14,1 mln;

  • 2026: 21 mln;

  • 2027: 19,2 mln;

  • 2028: 6,9 mln.

INPS è tenuta a monitorare le domande e approvarle nel rispetto di questi tetti di spesa. Quindi, chi presenta la domanda prima ha maggiori probabilità di accedere ai fondi.

La ripartizione territoriale delle risorse segue i criteri del Programma Nazionale “Giovani, donne e lavoro”, con tre categorie di regioni:

La regione di riferimento è determinata dalla sede legale dell’impresa. Questo significa che un’impresa con sede al Sud ha accesso a una fetta più ampia dei fondi rispetto a chi apre nel Nord, incentivando così l’imprenditorialità nelle aree a maggiore criticità occupazionale.

Vantaggi strategici

Accedere al contributo autoimpiego 2025 può rappresentare un vantaggio competitivo significativo, soprattutto per chi si affaccia per la prima volta al mondo dell’impresa. Oltre al sostegno economico diretto (fino a 18.000 euro in 3 anni), il contributo permette di ridurre il rischio d’impresa nei primi anni, quelli statisticamente più critici per la sopravvivenza delle nuove attività. Inoltre, il regime fiscale esente rende il beneficio ancora più conveniente.

Ecco alcuni consigli per massimizzare le probabilità di accoglimento della domanda:

Agisci in fretta: il contributo è a scorrimento e soggetto a limiti annuali e territoriali di spesa. Prima si presenta la domanda, maggiori sono le probabilità di ottenere il beneficio.

Verifica con attenzione i requisiti: età, disoccupazione al momento dell’avvio e corretto codice ATECO. Un solo errore può comportare la decadenza dal beneficio.

Scegli con cura la sede legale: come visto, le regioni meno sviluppate hanno a disposizione il 63% delle risorse. Avviare un’attività in queste aree può aumentare le possibilità di finanziamento.

Documenta le spese annualmente: il pagamento anticipato è subordinato alla rendicontazione. È quindi fondamentale tenere traccia di tutte le spese aziendali legate all’avviamento e mantenimento dell’attività.

Mantieni i requisiti per tutta la durata: perdere lo stato di disoccupazione, chiudere l’attività o uscire dalla società (nel caso di società di persone) comporta l’obbligo di restituzione degli importi ricevuti.

Confronto con altri incentivi

Nel panorama 2025 delle misure per l’autoimpiego, il contributo da 500 euro mensili previsto dal DL Coesione si affianca ad altri incentivi pubblici, creando un sistema articolato di supporto per giovani imprenditori. Conoscere le alternative disponibili è fondamentale per scegliere il bonus più adatto alla propria situazione.

Tra le principali misure attive troviamo:

  • Resto al Sud: promosso da Invitalia, è rivolto ai giovani fino a 55 anni residenti nel Mezzogiorno. Prevede fino a 60.000 euro a fondo perduto e finanziamenti agevolati per avviare un’impresa. Può essere compatibile con il contributo DL Coesione, se riferito a spese diverse.

  • Nuove Imprese a Tasso Zero (NITO): dedicato a giovani e donne in tutta Italia. Offre finanziamenti fino al 90% delle spese ammissibili, con una parte a fondo perduto e il resto a tasso zero. Ottimo per investimenti medio-grandi.

  • Selfiemployment: fondo rotativo per disoccupati che vogliono mettersi in proprio. Finanziamenti fino a 50.000 euro, ma con tempi più lunghi e maggiore burocrazia.

  • Fondo impresa femminile: destinato alle imprese a prevalente partecipazione femminile. Ottimo per combinare gender equality e autoimpiego.

Rispetto a queste misure, il contributo autoimpiego DL Coesione è il più semplice da ottenere, non richiede un piano d’investimento dettagliato né la restituzione delle somme. È quindi ideale per chi inizia con risorse limitate, ma ha un’idea imprenditoriale concreta in uno dei settori strategici.

Esempi pratici 

Capire quali attività possono concretamente rientrare nel contributo autoimpiego 2025 è fondamentale per trasformare un’idea in un progetto sostenibile. I settori strategici individuati dal decreto sono numerosi, e offrono spazio a iniziative anche molto diverse tra loro.

Ecco alcuni esempi reali e ispirazionali di idee d’impresa che potrebbero beneficiare dei 500 euro mensili:

Start-up logistica green in area interna (codice ATECO 52)
Marco, 28 anni, disoccupato, apre una microimpresa di servizi di consegna con mezzi elettrici in un comune montano. L’attività rientra nel settore trasporti e sostenibilità, ed è avviata in un’area meno sviluppata: beneficia del contributo e di altri incentivi locali.

Studio freelance di consulenza digitale (ATECO 62)
Chiara, 31 anni, esperta di marketing, si mette in proprio con una partita IVA per offrire consulenza SEO e creazione siti web. Rientra nei servizi informatici e può accedere all’incentivo, essendo disoccupata al momento della comunicazione unica.

Produzione alimentare locale e sostenibile (ATECO 10)
Giuseppe e Laura, due amici under 35, fondano una piccola azienda agricola innovativa nel Sud Italia, specializzata in prodotti fermentati e packaging compostabile. L’impresa è nel settore alimentare, ed è perfettamente compatibile con la misura.

Servizi sanitari domiciliari (ATECO 86)
Elena, infermiera, avvia un’attività individuale per assistenza sanitaria a domicilio per anziani. Settore ammesso, domanda entro 30 giorni, e sede legale in area svantaggiata: ottiene il contributo in tempi rapidi.

Questi esempi dimostrano che non serve un progetto milionario per accedere al contributo: serve un’idea chiara, coerente con i codici ATECO ammessi e avviata nel modo corretto.

Conclusione

Il contributo autoimpiego 2025 rappresenta una misura concreta, accessibile e vantaggiosa per i giovani disoccupati under 35 che vogliono mettersi in proprio. Grazie al sostegno economico mensile di 500 euro per un massimo di 36 mesi, all’esenzione IRPEF e al finanziamento strutturato su base territoriale, questa iniziativa punta non solo a favorire la creazione di nuove imprese, ma anche a stimolare l’innovazione nei settori strategici dell’economia italiana.

Chi intende avviare un’attività nei settori previsti dal decreto (manifattura, energia, digitale, sanità, servizi professionali e altro), deve muoversi con rapidità e precisione: la domanda va presentata entro 30 giorni dall’avvio dell’attività e deve rispettare rigorosamente i requisiti di età, disoccupazione e settore ATECO.

Il consiglio è di preparare per tempo tutta la documentazione necessaria, scegliere con attenzione la sede legale (soprattutto se si opera nel Sud Italia) e monitorare il portale INPS per non perdere le finestre utili. Per molti giovani, questa può essere l’occasione per trasformare una buona idea in un’impresa sostenibile e autonoma.

Contributo Editoria 2025: domande entro il 18 dicembre per le copie vendute nel 2023

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Il mondo dell’editoria cartacea continua ad affrontare una fase complessa, tra trasformazione digitale, calo delle vendite e aumento dei costi produttivi. Proprio per sostenere economicamente le imprese editrici di quotidiani e periodici, anche per il 2025 torna l’appuntamento con i contributi pubblici per le copie vendute nel 2023.

Si tratta di un’importante opportunità prevista dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che permette di ottenere un sostegno economico diretto per le copie vendute, sia in abbonamento che in edicola.

La scadenza per la presentazione delle domande è fissata al 18 dicembre 2025, e riguarda tutte le imprese editoriali che intendono beneficiare del contributo previsto dall’art. 2 del D.P.C.M. 28 luglio 2017.

In questo articolo ti spieghiamo come funziona il contributo, quali sono i requisiti, come presentare la domanda correttamente e quali sono i documenti necessari, con un focus sulle strategie per non perdere un’occasione utile a ridurre i costi e garantire sostenibilità economica alla tua attività editoriale.

Come e quando presentare la domanda 

Il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria ha ufficializzato che le domande per accedere al contributo relativo alle copie vendute nel 2023 potranno essere presentate a partire dalle ore 10:00 del 26 novembre 2025 fino alle ore 17:00 del 18 dicembre 2025. Si tratta di una finestra temporale precisa e non prorogabile, durante la quale le imprese editoriali devono attivarsi per inoltrare la richiesta in modo conforme alle disposizioni contenute nel decreto del Capo Dipartimento del 16 ottobre 2025.

L’invio della domanda deve avvenire esclusivamente per via telematica attraverso la piattaforma digitale disponibile nell’area riservata del portale impresainungiorno.gov.it. L’accesso al portale richiede l’autenticazione tramite SPID, CNS o CIE, strumenti ormai obbligatori per le procedure amministrative digitali. Inoltre, la domanda dovrà essere firmata digitalmente dal legale rappresentante dell’impresa, utilizzando il formato CAdES (p7m).

È importante sottolineare che ogni impresa può inviare una sola domanda. Tuttavia, in caso di errori o necessità di modifiche, è possibile inviare una nuova istanza durante tutto il periodo di apertura dello sportello: l’ultima domanda inoltrata annullerà e sostituirà automaticamente la precedente.

Per eventuali difficoltà tecniche o dubbi procedurali, le imprese possono fare riferimento al manuale utente disponibile online, oppure contattare l’Help Desk telefonicamente al numero 0664892717, attivo dal lunedì al venerdì, dalle 9:00 alle 17:00. Per chiarimenti più specifici, è consigliabile consultare la sezione FAQ del sito ufficiale, o inviare un quesito via email a filieraeditoria@governo.it, specificando nell’oggetto “copie vendute nel 2023”.

Requisiti e soggetti ammessi

Il contributo per le copie vendute nel 2023 è riservato alle imprese editrici di quotidiani e periodici che rispettano determinati requisiti normativi e operano nel rispetto della disciplina prevista dal D.P.C.M. 28 luglio 2017, art. 2. L’obiettivo della misura è sostenere economicamente le realtà editoriali che, nonostante le difficoltà del mercato, continuano a produrre informazione su carta stampata e distribuiscono regolarmente i propri prodotti.

I beneficiari devono essere imprese editoriali regolarmente costituite in forma di società di capitali, cooperative o enti morali senza scopo di lucro. È fondamentale che le testate risultino regolarmente registrate al Tribunalecompetente e iscritte presso il Registro degli operatori di comunicazione (ROC) gestito dall’AGCOM. Inoltre, l’impresa deve avere sede legale in Italia e non deve trovarsi in stato di fallimento, liquidazione o sottoposta a procedure concorsuali.

Ulteriori requisiti essenziali includono:

  • la pubblicazione regolare della testata per tutto il periodo di riferimento (2023),

  • la distribuzione a pagamento delle copie oggetto di contributo, tramite edicola o abbonamento,

  • il rispetto degli obblighi previdenziali, contributivi e fiscali.

Sono escluse le pubblicazioni gratuite, i house organ aziendali, le riviste promozionali, così come le imprese che abbiano commesso gravi inadempimenti verso l’erario o risultino irregolari sotto il profilo contributivo.

Questi criteri sono stati ribaditi e aggiornati nel decreto del 16 ottobre 2025, che fornisce le indicazioni operative per la presentazione della domanda. Il rispetto dei requisiti è imprescindibile per l’ammissione al contributo, e ogni dichiarazione mendace può comportare l’esclusione dal beneficio o il recupero delle somme indebitamente percepite.

Documentazione da allegare

Per ottenere il contributo per le copie vendute nel 2023, la presentazione della domanda non è sufficiente: è necessario allegare una serie di documenti obbligatori, che attestino la regolarità dell’attività editoriale e la veridicità dei dati dichiarati. La mancata trasmissione anche di un solo documento richiesto può comportare l’inammissibilità della domanda, quindi è fondamentale preparare con attenzione tutta la documentazione prima dell’invio.

Ecco i principali allegati richiesti:

  • Dichiarazione sostitutiva di atto notorio, firmata digitalmente dal legale rappresentante, con cui l’impresa attesta il possesso dei requisiti previsti dalla normativa;

  • Elenco delle testate per cui si richiede il contributo, con indicazione del numero di copie vendute nel 2023, suddivise per mese e per canale (edicola, abbonamento cartaceo, ecc.);

  • Attestazione della tiratura e delle vendite, rilasciata da una delle società di certificazione riconosciute (es. ADS – Accertamenti Diffusione Stampa);

  • DURC in corso di validità, per dimostrare la regolarità contributiva dell’azienda;

  • Certificato camerale aggiornato;

  • Copia dello statuto e dell’atto costitutivo (in caso di prima domanda);

  • Bilancio approvato relativo all’anno 2023;

  • Eventuale documentazione integrativa richiesta nel decreto o successivamente dal Dipartimento.

Tutti i documenti devono essere caricati sulla piattaforma in formato PDF/A e firmati digitalmente ove richiesto. Una checklist accurata prima dell’invio può evitare errori o omissioni. Si consiglia di preparare tutto con anticipo, considerando i tempi tecnici di rilascio di alcuni documenti (es. DURC o certificazioni ADS).

Come viene calcolato il contributo

Il contributo per le copie vendute nel 2023 non è concesso in misura fissa, ma viene determinato in base a una ripartizione proporzionale del fondo disponibile tra tutte le imprese ammesse. Questo significa che l’importo effettivamente erogato a ciascun beneficiario dipende sia dal numero di copie vendute che dalle risorse complessivamente stanziate dallo Stato per questa misura.

Secondo quanto stabilito dal D.P.C.M. 28 luglio 2017, art. 2, il contributo è assegnato in funzione di:

  • Numero di copie effettivamente vendute nel 2023, dimostrate tramite certificazioni ADS o documentazione equipollente;

  • Tipo di diffusione (edicola o abbonamento cartaceo);

  • Periodicità della testata (quotidiana o periodica);

  • Percentuale complessiva di vendite rispetto al totale dichiarato da tutte le imprese ammesse.

Non è previsto un tetto massimo per singola impresa, ma viene rispettato il limite delle risorse disponibili, e quindi l’importo assegnato può variare sensibilmente in base al numero di richiedenti e alla loro quota di mercato. Le imprese con un maggior numero di copie vendute avranno, in proporzione, un contributo maggiore.

Il Dipartimento per l’Editoria effettua controlli sulla veridicità dei dati dichiarati, e in caso di discordanze o vendite non certificate, può procedere alla revoca parziale o totale del contributo. Proprio per questo, è essenziale trasmettere dati coerenti, trasparenti e verificabili, per non rischiare la perdita del beneficio o, peggio, il recupero delle somme erogate.

Vantaggi fiscali 

Accedere al contributo per le copie vendute rappresenta, per le imprese editoriali, un’opportunità concreta di rafforzamento economico, in un periodo storico in cui il settore della stampa cartacea soffre un calo costante di lettori e inserzionisti. Il contributo ha un impatto diretto sulla liquidità aziendale, contribuendo a coprire parte dei costi di produzione, distribuzione e gestione delle testate.

Tra i principali vantaggi:

  • Riduzione della pressione sui flussi di cassa: ricevere un contributo economico aiuta le imprese a sostenere le spese fisse, come stampa, logistica e retribuzione del personale;

  • Maggiore capacità di investimento: con risorse aggiuntive, le imprese possono destinare fondi all’innovazione digitale, alla promozione o all’ammodernamento delle strutture editoriali;

  • Miglioramento del rating bancario: avere contributi pubblici regolari e tracciabili può migliorare il profilo di affidabilità verso gli istituti di credito e agevolare l’accesso a finanziamenti;

  • Possibilità di stabilizzare l’occupazione: un sostegno pubblico può tradursi in minori tagli al personale o in assunzioni di risorse qualificate, garantendo continuità produttiva e qualitativa.

Da un punto di vista fiscale, il contributo va comunque trattato correttamente in bilancio. Si tratta infatti di un contributo in conto esercizio, che deve essere imputato come provento nel conto economico, secondo i principi civilistici e contabili applicabili. Non è tassato separatamente, ma concorre alla formazione del reddito imponibile dell’impresa.

In ogni caso, è consigliabile consultare il proprio commercialista per una corretta contabilizzazione e pianificazione fiscale, così da ottimizzare gli effetti positivi dell’agevolazione sul bilancio d’esercizio.

Errori da evitare

Presentare correttamente la domanda per il contributo editoria è fondamentale per non compromettere l’accesso al beneficio. Spesso, infatti, errori formali o documentali possono portare all’inammissibilità della domanda o ritardare i tempi di istruttoria. È quindi essenziale conoscere in anticipo le criticità più frequenti, per evitarle con una corretta pianificazione.

Uno degli errori più comuni è l’utilizzo di una firma digitale non conforme: la normativa richiede espressamente il formato CAdES (.p7m), e firme apposte in altri formati (es. PAdES) potrebbero essere rifiutate dal sistema o ritenute non valide in fase istruttoria. Altre criticità frequenti riguardano l’invio di documenti in formati errati (PDF non convertiti in PDF/A) o non firmati digitalmente dove richiesto.

Attenzione anche alla compilazione incompleta o imprecisa dei dati: ad esempio, indicare un numero errato di copie vendute, o non specificare correttamente i canali di distribuzione, può inficiare l’intera domanda. Tutti i dati devono essere supportati da documentazione certificata, e ogni discostamento tra quanto dichiarato e quanto allegato può dare luogo a contestazioni.

Infine, molte imprese sottovalutano l’importanza di consultare il manuale utente e la sezione FAQ ufficiale. Queste risorse contengono risposte aggiornate e dettagliate che aiutano a risolvere dubbi frequenti senza dover attendere risposte dal servizio di assistenza. Ricorda: la qualità della documentazione inviata è tanto importante quanto il rispetto delle tempistiche. Pianificare in anticipo è la chiave per ottenere il contributo senza ostacoli.

Conclusioni

Il contributo per le copie vendute nel 2023 rappresenta una delle misure più importanti di sostegno pubblico al settore editoriale, in un contesto economico ancora segnato da instabilità e trasformazione. Le imprese che operano nel mondo della stampa, spesso in prima linea nel garantire pluralismo e informazione locale, hanno oggi a disposizione uno strumento concreto per alleggerire i costi, migliorare la propria sostenibilità finanziaria e investire in innovazione.

Per ottenere il contributo è fondamentale agire tempestivamente, con una documentazione completa e corretta, e una strategia amministrativa ben organizzata. Non si tratta solo di presentare una domanda: è un’occasione per fare un check-up aziendale, verificare la conformità con gli obblighi normativi e predisporre una contabilità trasparente ed efficiente.

Lo studio attento della normativa, l’accesso puntuale alla piattaforma telematica e l’uso corretto della firma digitale sono elementi decisivi per non perdere questa occasione. E per le imprese più strutturate, l’accesso ai contributi può anche rappresentare una leva per pianificare con maggior solidità il futuro editoriale, riducendo la dipendenza dai ricavi pubblicitari o dalla sola vendita in edicola.

Se hai bisogno di supporto per la preparazione della domanda, per la verifica dei requisiti o per l’organizzazione dei documenti da allegare, il nostro studio è a disposizione per accompagnarti passo dopo passo in questo processo.

Acconto Iva 2025: scadenza del 29 dicembre, chi deve pagare e come si calcola

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Il calendario fiscale di fine anno si arricchisce di un appuntamento immancabile per imprese e professionisti: l’acconto IVA 2025, che quest’anno, per effetto del calendario, potrà essere versato entro lunedì 29 dicembre. Una scadenza apparentemente tecnica, ma che racchiude implicazioni importanti per chi gestisce un’attività o è titolare di partita IVA.

In questo articolo approfondiamo chi deve versare l’acconto, come si calcola, e soprattutto come evitare sanzioni o errori che potrebbero costare caro.

Capire il meccanismo dell’acconto IVA non è sempre semplice, soprattutto alla luce delle diverse modalità di calcolo previste (storico, previsionale e analitico), e delle norme che regolano le esenzioni o i casi particolari. Per questo motivo, forniremo esempi concreti, riferimenti normativi aggiornati e chiariremo i punti più critici, come l’impatto del versamento tardivo e le conseguenze fiscali.

Inoltre, è importante ricordare che la scadenza ordinaria del 27 dicembre, cadendo di sabato nel 2025, slitta automaticamente al 29 dicembre, secondo quanto previsto dallo Statuto del Contribuente (Legge 212/2000). Un aspetto che potrebbe trarre in inganno molti contribuenti non attenti alle sfumature del calendario.

Vediamo nel dettaglio tutto ciò che bisogna sapere sull’acconto IVA 2025, per risparmiare tempo, evitare errori e gestire con consapevolezza uno degli adempimenti fiscali più rilevanti dell’anno.

Acconto IVA 2025

Il versamento dell’acconto IVA 2025 deve essere effettuato entro il 29 dicembre utilizzando il modello F24, esclusivamente in modalità telematica. I contribuenti possono scegliere tra diverse opzioni operative: i servizi online messi a disposizione direttamente dall’Agenzia delle Entrate, come “F24 web” o “F24 online”, accessibili tramite i canali telematici Fisconline o Entratel, oppure avvalersi del servizio di home banking offerto da banche, Poste Italianeo Agenti della riscossione convenzionati.

Nel caso in cui il modello F24 abbia un saldo pari a zero, ad esempio per effetto di compensazioni con altri crediti tributari, è comunque obbligatorio trasmetterlo per via telematica. Tuttavia, in tali situazioni non è possibile utilizzare il canale dell’internet banking, ma è necessario passare attraverso i servizi dell’Agenzia delle Entrate o tramite un intermediario abilitato, come un commercialista o un consulente fiscale.

Per quanto riguarda la corretta compilazione del modello F24, è essenziale indicare i codici tributo specifici:

  • 6035 per i contribuenti con liquidazione trimestrale dell’IVA;

  • 6013 per quelli con liquidazione mensile.

Questi codici devono essere inseriti nella sezione “Erario” del modello F24, indicando l’anno di riferimento (2025), l’importo dovuto, e barrando la casella “acconto”.

Chi è obbligato al versamento 

Il pagamento dell’acconto IVA 2025, in scadenza lunedì 29 dicembre, riguarda una vasta platea di soggetti titolari di partita IVA. Sono tenuti al versamento tutti i contribuenti che esercitano attività d’impresa, arti o professioni, indipendentemente dalla forma giuridica adottata o dal regime contabile applicato (ordinario, semplificato e forfettario).

Ecco, nel dettaglio, i soggetti obbligati al pagamento:

  • Imprenditori artigiani e commercianti, inclusi gli agenti e rappresentanti di commercio;

  • Professionisti e lavoratori autonomi titolari di partita IVA, anche se non iscritti ad albi professionali;

  • Società di persone, come Snc, Sas, società semplici e studi associati;

  • Società di capitali ed enti commerciali, tra cui S.p.A., S.r.l., S.a.p.A., cooperative, nonché enti pubblici e privati che svolgono attività commerciale;

  • Intermediari finanziari, come banche, SIM, società fiduciarie e altri soggetti vigilati da Banca d’Italia o Consob.

Sono inoltre inclusi nel perimetro dell’obbligo anche i soggetti che effettuano operazioni rilevanti ai fini IVA pur non svolgendo attività d’impresa abituale (es. enti non commerciali con attività commerciale secondaria).

È fondamentale verificare attentamente la propria posizione fiscale per evitare omessi versamenti, che comportano sanzioni e interessi anche in caso di errore involontario.

Acconto IVA 2025

Il calcolo dell’acconto IVA 2025 può essere effettuato scegliendo uno tra tre metodi alternativi previsti dalla normativa: storico, previsionale e analitico (o “effettivo”). Ogni metodo presenta vantaggi e criticità, e la scelta dipende dalla posizione del contribuente e dalle proiezioni economiche di fine anno.

Vediamoli nel dettaglio:

  • Metodo Storico: è il più semplice da applicare. Si basa sull’importo dell’IVA a debito risultante dall’ultima liquidazione periodica del 2024 (mese di dicembre per i mensili, quarto trimestre per i trimestrali “naturali”, dichiarazione annuale per i trimestrali per opzione). L’acconto da versare sarà pari all’88% di quell’importo.

  • Metodo Previsionale: consente al contribuente di versare l’88% dell’IVA che prevede di dover versare nell’ultima liquidazione del 2025. In questo caso, è necessario stimare con attenzione le operazioni attive e passive fino al 31 dicembre, il che comporta un certo margine di rischio in caso di errore, ma può risultare vantaggioso in presenza di una riduzione dell’attività.

  • Metodo Analitico (o della liquidazione anticipata): prevede di effettuare una liquidazione straordinaria delle operazioni IVA registrate dal 1° al 20 dicembre 2025 (mensili) o dal 1° ottobre al 20 dicembre 2025 (trimestrali). In questo caso, si versa il 100% dell’IVA a debito risultante dalla liquidazione.

È importante sapere che l’acconto IVA 2025 non è dovuto se l’importo da versare è inferiore a 103,29 euro, e non è rateizzabile. Il pagamento, in ogni caso, dovrà avvenire esclusivamente per via telematica, con modello F24, entro il 29 dicembre.

Chi è esonerato

Non tutti i contribuenti titolari di partita IVA sono obbligati al versamento dell’acconto IVA. La normativa prevede, infatti, alcuni casi specifici di esonero, che riguardano determinate categorie di soggetti o particolari situazioni contabili e fiscali. Conoscere queste esenzioni è fondamentale per evitare versamenti non dovuti e ottimizzare la gestione della propria liquidità aziendale a fine anno.

Ecco i principali casi di esonero dall’acconto IVA 2025:

  • Contribuenti con IVA a credito: chi ha chiuso l’ultima liquidazione periodica (mensile, trimestrale o annuale) con un credito IVA, e non con un debito, non è tenuto a versare l’acconto;

  • Contribuenti che cessano l’attività entro il 30 novembre 2025 (per i mensili) o entro il 30 settembre 2025 (per i trimestrali): se l’attività cessa prima del periodo oggetto del calcolo dell’acconto, il versamento non è dovuto;

  • Contribuenti che effettuano solo operazioni esenti o fuori campo IVA: ad esempio, medici, dentisti o altri professionisti che rientrano in regimi esenti ai sensi dell’art. 10 del DPR 633/72;

  • Regime forfettario e regime dei minimi: chi aderisce al regime forfettario (art. 1, commi da 54 a 89, Legge 190/2014) o al regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile non è soggetto all’IVA e, quindi, non è tenuto al versamento dell’acconto;

  • Contribuenti che hanno effettuato esclusivamente operazioni non imponibili, come esportazioni, operazioni intracomunitarie o assimilate.

Infine, non è richiesto alcun acconto se, con qualunque metodo di calcolo, l’importo risultante è inferiore a 103,29 euro. In tutti gli altri casi, è obbligatorio il versamento, anche in presenza di sospensioni fiscali pregresse, salvo specifici provvedimenti normativi.

Sanzioni e rimedi

Il mancato o tardivo versamento dell’acconto IVA 2025 comporta l’applicazione automatica di sanzioni amministrativee interessi, secondo quanto previsto dallo Statuto del Contribuente e dal D.Lgs. n. 471/1997. È quindi fondamentale rispettare la scadenza del 29 dicembre 2025, tenendo conto che, anche un giorno di ritardo, fa scattare il meccanismo sanzionatorio.

Nel dettaglio, se il contribuente non versa l’acconto IVA entro i termini stabiliti, si applica una sanzione pari al 30% dell’importo non versato, ridotta al 15% se il pagamento avviene entro 90 giorni dalla scadenza, e ulteriormente riducibile con il ravvedimento operoso. A questo si aggiungono gli interessi legali calcolati giornalmente sull’importo dovuto.

Il contribuente ha comunque la possibilità di sanare spontaneamente l’irregolarità tramite il ravvedimento operoso, uno strumento che consente di regolarizzare la propria posizione pagando una sanzione ridotta proporzionalmente al tempo trascorso dalla scadenza.

Ad esempio:

  • entro 14 giorni: sanzione ridotta allo 0,1% per ogni giorno di ritardo;

  • dal 15° al 30° giorno: sanzione dell’1,5%;

  • dal 31° al 90° giorno: sanzione dell’1,67%;

  • oltre 90 giorni ma entro l’anno: sanzione del 3,75%.

Per utilizzare il ravvedimento è necessario compilare un modello F24 con gli appositi codici tributo relativi a sanzioni e interessi, oltre a quello per l’IVA. In caso di controlli, è importante conservare copia dei versamenti effettuati e della documentazione giustificativa del calcolo.

Consigli operativi

La scelta del metodo di calcolo dell’acconto IVA 2025 non è solo una questione tecnica, ma può avere un impatto significativo sulla liquidità aziendale e sulla pianificazione fiscale di fine anno. Per questo motivo è fondamentale valutare con attenzione quale criterio applicare tra storico, previsionale e analitico, in base alla situazione economica dell’impresa o del professionista.

Il metodo storico è il più semplice e sicuro: si basa su dati certi, già disponibili, e riduce il rischio di errori o contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. Tuttavia, può risultare svantaggioso per chi prevede un calo dell’attività rispetto all’anno precedente, in quanto potrebbe versare un acconto più alto del dovuto.

Il metodo previsionale offre maggiore flessibilità e può essere vantaggioso se, ad esempio, si stima una riduzione del fatturato nel mese di dicembre (per i mensili) o nel quarto trimestre (per i trimestrali). Tuttavia, richiede una stima molto precisa delle fatture attive e passive ancora da registrare e comporta un rischio sanzionatorio in caso di sottostima.

Il metodo analitico, invece, può essere particolarmente utile per le imprese strutturate con una contabilità aggiornata in tempo reale. Consente di calcolare esattamente l’IVA a debito maturata fino al 20 dicembre (mensili) o 20 dicembre sul trimestre (trimestrali), ma richiede maggiore precisione e rapidità operativa nel rilevare tutte le operazioni.

In conclusione, non esiste un metodo “migliore” in assoluto, ma è importante affidarsi al proprio commercialista per valutare quale sia il più conveniente in base ai flussi di cassa, alla stagionalità dell’attività e al regime IVA applicato.

Come organizzarsi 

Affrontare la scadenza dell’acconto IVA 2025 in modo organizzato è fondamentale per evitare errori di calcolo, dimenticanze o versamenti tardivi, che possono tradursi in sanzioni evitabili. Prepararsi in anticipo consente non solo di rispettare i termini, ma anche di scegliere con consapevolezza il metodo di calcolo più vantaggioso, gestendo correttamente la propria liquidità aziendale.

Ecco alcuni passaggi pratici e consigli operativi per affrontare correttamente questa scadenza:

  1. Verificare lo storico IVA del 2024: controlla la liquidazione IVA dell’ultimo periodo utile (dicembre o quarto trimestre 2024) per applicare eventualmente il metodo storico.

  2. Aggiornare la contabilità entro il 15 dicembre: un quadro contabile aggiornato consente di stimare correttamente l’IVA da versare usando il metodo previsionale o analitico.

  3. Simulare i tre metodi di calcolo: con l’aiuto del commercialista o del gestionale contabile, valuta l’impatto economico delle tre modalità previste dalla normativa per scegliere quella più conveniente.

  4. Controllare crediti IVA disponibili: verifica l’eventuale presenza di crediti compensabili che potrebbero abbattere l’importo da versare con F24.

  5. Predisporre il pagamento con anticipo: non aspettare il 29 dicembre! Meglio trasmettere l’F24 entro il 23-24 dicembre per evitare problemi tecnici (soprattutto se si usa il canale home banking).

  6. Verificare soglie e esenzioni: se l’importo dovuto è inferiore a 103,29 euro, il pagamento non è obbligatorio. È bene comunque documentare correttamente il motivo dell’esonero.

Seguire questi semplici ma fondamentali accorgimenti consente di affrontare l’obbligo dell’acconto IVA 2025 con efficienza e serenità, evitando errori che possono diventare costosi.

Conclusione

L’acconto IVA 2025, con scadenza fissata al 29 dicembre, rappresenta un adempimento cruciale per professionisti, imprese e società. Anche se può sembrare una scadenza di routine, in realtà comporta valutazioni tecniche e strategicheche non devono essere sottovalutate. Scegliere il metodo di calcolo più adatto, rispettare i termini di pagamento, e compilare correttamente il modello F24 sono passaggi fondamentali per evitare errori, sanzioni e sprechi di liquidità.

Come abbiamo visto, i contribuenti possono scegliere tra il metodo storico, previsionale o analitico, a seconda della situazione fiscale dell’anno in corso. Tuttavia, una scelta errata, ad esempio una stima troppo ottimistica con il metodo previsionale, può comportare rischi economici e sanzionatori.

Inoltre, conoscere chi è obbligato al versamento e chi è esonerato permette di agire in modo informato e consapevole. Anche l’eventuale credito IVA residuo, se presente, può essere un’opportunità per compensare l’importo da versare.

Per chi gestisce in autonomia la propria contabilità, il nostro consiglio è quello di affidarsi a un consulente fiscale esperto: solo un professionista è in grado di verificare la correttezza dei calcoli e individuare eventuali margini di ottimizzazione fiscale.

In conclusione, gestire correttamente l’acconto IVA non è solo un dovere, ma una scelta di efficienza che può avere effetti positivi anche sulla gestione finanziaria complessiva dell’attività.

Bonus libri scolastici 2026: arriva la deducibilità fiscale per la scuola dell’obbligo

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Book in library with open textbook,education learning concept

Nel 2026 potrebbe arrivare una svolta importante per le famiglie italiane con figli in età scolastica: i libri scolastici diventeranno deducibili fiscalmente. Un emendamento alla Legge di Bilancio 2025, attualmente in discussione parlamentare, prevede uno stanziamento di 20 milioni di euro destinato proprio a introdurre una nuova deducibilità fiscale per l’acquisto dei libri di testo obbligatori per la scuola dell’obbligo. L’obiettivo è quello di alleviare il carico economico delle famiglie, sempre più gravato da spese scolastiche in costante aumento, e allo stesso tempo incentivare l’adempimento scolastico.

Il provvedimento risponde a una richiesta concreta e reiterata da parte delle associazioni dei consumatori e delle famiglie italiane: attualmente, infatti, le spese per libri scolastici non rientrano tra le spese detraibili o deducibili nel 730, ad eccezione di alcuni casi legati all’istruzione secondaria superiore privata o universitaria. L’introduzione di questo bonus rappresenterebbe dunque una novità assoluta nel panorama fiscale italiano, destinata a incidere direttamente sul bilancio familiare, soprattutto per i nuclei con più figli a carico.

Il bonus, previsto a partire dal periodo d’imposta 2026, sarà disponibile per le famiglie con figli iscritti alla scuola primaria e secondaria di primo grado, ovvero la scuola dell’obbligo, come definita dalla normativa italiana. La misura, se confermata, si tradurrà in una riduzione concreta dell’IRPEF, grazie alla possibilità di dedurre parte della spesa sostenuta per i libri scolastici direttamente dal reddito imponibile.

Spese libri scolastici

Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM), oltre 7 milioni di studenti frequenteranno la scuola dell’obbligo nell’anno scolastico 2025/2026. Un numero enorme, che dà la misura dell’impatto potenziale dell’emendamento alla Legge di Bilancio 2025, se confermato. Attualmente, però, la situazione è ben diversa e molto frammentata: i libri scolastici sono gratuiti solo per la scuola primaria, grazie a un finanziamento pubblico pari a circa 103 milioni di euro l’anno, gestito a livello comunale attraverso la cedola libraria, come stabilito dalla normativa regionale.

Per le scuole secondarie di primo e secondo grado, invece, non esiste una gratuità generalizzata. Le famiglie devono far fronte da sole alla spesa per i testi, con un’eccezione parziale: interventi di fornitura gratuita o semigratuita, previsti dall’art. 27 della Legge 448/1998, destinati però solo ai nuclei con redditi bassi, tramite contributi comunali finanziati dalle Regioni.

A livello fiscale, la normativa attuale non prevede la possibilità di detrarre l’acquisto dei libri scolastici per queste scuole. L’Agenzia delle Entrate ha più volte chiarito che la detrazione IRPEF per spese d’istruzione (19%) non copre i testi scolastici, rendendo la spesa completamente a carico delle famiglie.

L’emendamento in arrivo cambierebbe le regole: la nuova misura introdurrebbe una deduzione fiscale dal reddito complessivo, ai sensi dell’art. 10 del TUIR, rendendo il beneficio automaticamente applicabile in dichiarazione dei redditi, seppure nei limiti e condizioni che saranno stabiliti con il testo definitivo.

Risparmio fiscale e giustizia sociale

L’introduzione della deducibilità fiscale per le spese relative ai libri scolastici rappresenta una potenziale rivoluzione fiscale e sociale, che potrebbe portare benefici tangibili a milioni di famiglie italiane. A differenza delle detrazioni, che si applicano sull’imposta da pagare, la deduzione agisce direttamente sul reddito imponibile, riducendo la base su cui viene calcolata l’IRPEF. Questo significa che, soprattutto per i contribuenti appartenenti a scaglioni di reddito medio-alti, il vantaggio economico sarà più significativo.

Ma non si tratta solo di un vantaggio fiscale. Questa misura ha anche una forte valenza sociale: interviene in un ambito, quello dell’istruzione obbligatoria, che rappresenta un diritto fondamentale e uno dei pilastri della crescita del Paese. L’attuale sistema, basato su interventi locali per le famiglie a basso reddito, rischia spesso di creare disparità territoriali e accesso diseguale ai benefici. La nuova deduzione, invece, sarebbe nazionale, strutturata e potenzialmente accessibile a tutti, garantendo maggiore equità e uniformità.

Inoltre, la deducibilità dei libri scolastici può contribuire indirettamente a combattere la dispersione scolastica e a incentivare la frequenza, soprattutto nelle aree meno sviluppate, dove anche il costo dei testi può rappresentare un ostacolo. In un contesto di inflazione ancora alta e di aumenti generalizzati del costo della vita, la possibilità di alleggerire questa voce di spesa può trasformarsi in un aiuto concreto per il bilancio familiare e un passo avanti nella promozione del diritto allo studio.

Requisiti e limiti attesi

Sebbene il testo definitivo dell’emendamento debba ancora essere approvato in via ufficiale, le prime indiscrezioni delineano i principi chiave del nuovo beneficio fiscale. La deduzione sarà applicabile alle spese sostenute per l’acquisto dei libri scolastici obbligatori, adottati dalle scuole statali e paritarie nell’ambito della scuola dell’obbligo. Il riferimento normativo sarà l’articolo 10 del TUIR, che disciplina le deduzioni dal reddito complessivo, ossia quelle spese che abbassano direttamente il reddito su cui calcolare l’imposta.

È importante distinguere la deduzione dalla detrazione: mentre quest’ultima riduce l’imposta da pagare, la deduzione riduce l’imponibile IRPEF, risultando particolarmente vantaggiosa nei confronti dei contribuenti con redditi medio-alti, che si trovano negli scaglioni fiscali più elevati. Se ad esempio una famiglia spende 400 euro per libri scolastici e ha un’aliquota marginale del 38%, potrebbe ottenere un risparmio effettivo di circa 150 euro.

La misura sarà probabilmente soggetta a limiti di spesa annuale, sia per evitare abusi che per mantenere l’equilibrio dei conti pubblici. Potrebbero essere previsti anche paletti ISEE, come già avviene per altri benefici fiscali e sociali, ma al momento non ci sono certezze in merito. Un altro aspetto fondamentale sarà la modalità di certificazione della spesa, che dovrà essere documentata con fatture o scontrini parlanti per essere ammessa in dichiarazione.

La deduzione sarà molto probabilmente precompilata nel 730, attraverso l’invio dei dati da parte degli esercizi commerciali accreditati, analogamente a quanto già avviene per le spese sanitarie. Questo garantirà semplificazione, tracciabilità e minore rischio di errori o contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Impatto economico 

Lo stanziamento previsto per introdurre la deducibilità fiscale dei libri scolastici ammonta, secondo l’emendamento, a 20 milioni di euro a partire dal 2026. Una cifra che, sebbene contenuta rispetto al totale della spesa pubblica, rappresenta un segnale politico chiaro: il Governo intende rafforzare il sostegno alle famiglie e incentivare l’investimento nell’istruzione, anche tramite leve fiscali. In un contesto in cui la Legge di Bilancio 2025 è fortemente condizionata dalle necessità di contenimento del deficit e dalle richieste dell’Unione Europea, l’inserimento di una misura a favore delle famiglie è stato accolto con interesse da parte dell’opinione pubblica.

Le reazioni delle associazioni familiari e dei consumatori sono state nel complesso positive. In particolare, si sottolinea come questa deduzione potrebbe ridurre le diseguaglianze tra i cittadini, colmando le attuali differenze tra chi risiede in Comuni virtuosi (che forniscono contributi per i libri scolastici) e chi invece si trova in territori con risorse limitate. Anche i Comuni e le Regioni potrebbero beneficiare indirettamente della misura, poiché una parte della spesa oggi sostenuta con fondi locali verrebbe alleggerita dal nuovo strumento fiscale a livello nazionale.

Tuttavia, resta da capire come sarà strutturata la deduzione e se basteranno i fondi stanziati. Alcuni esperti ritengono che il budget previsto sia sufficiente solo per una deduzione parziale o vincolata a specifiche fasce di reddito. Il Governo potrebbe dover affrontare un delicato equilibrio: garantire un beneficio diffuso, ma senza generare nuovi squilibri o iniquità. In ogni caso, l’inserimento della misura nel testo della manovra rappresenta un primo passo significativo verso una maggiore equità fiscale legata al diritto allo studio.

Come prepararsi

Anche se la deducibilità dei libri scolastici entrerà in vigore solo a partire dal 2026, è utile che le famiglie inizino fin da ora a prepararsi all’introduzione della misura, sia dal punto di vista organizzativo che documentale. La prima cosa da fare è abituarsi a conservare correttamente scontrini e fatture relativi all’acquisto dei testi scolastici, possibilmente richiedendo documenti fiscali “parlanti”, ovvero completi di codice fiscale dell’acquirente. Queste abitudini potranno rivelarsi fondamentali per beneficiare del bonus in modo corretto, soprattutto se la spesa verrà tracciata attraverso sistemi precompilati come avviene per le spese mediche.

Un altro aspetto da monitorare nei prossimi mesi riguarda le modalità operative che verranno definite dai decreti attuativi: limiti di spesa annuale, eventuali soglie ISEE per l’accesso al beneficio, tipologie di testi ammessi alla deduzione (ad esempio solo cartacei o anche digitali), e meccanismi di trasmissione dei dati agli enti fiscali. Tutti elementi che faranno la differenza sull’efficacia della misura e sul reale vantaggio economico per le famiglie.

In attesa dei dettagli definitivi, sarà anche importante che professionisti del settore fiscale si aggiornino tempestivamente, in modo da fornire supporto concreto alle famiglie nella compilazione del 730 o del modello Redditi quando la novità sarà effettivamente operativa.

Deduzione o detrazione

Quando si parla di agevolazioni fiscali, spesso si fa confusione tra deduzioni e detrazioni, ma la differenza è sostanziale, soprattutto in termini di impatto sul portafoglio delle famiglie. Con la nuova misura in arrivo dal 2026, il Governo ha scelto di puntare su una deduzione fiscale dal reddito complessivo (ex art. 10 del TUIR), anziché su una detrazione dall’imposta.

Ma cosa cambia nella pratica?

  • La detrazione si applica sull’imposta da pagare (IRPEF). Ad esempio, se una famiglia spende 300 euro in libri e ha diritto a una detrazione del 19%, risparmierà 57 euro.

  • La deduzione, invece, riduce il reddito imponibile su cui si calcola l’IRPEF. Se una famiglia con un’aliquota marginale del 38% deduce 300 euro, il risparmio fiscale sarà di 114 euro. Più che raddoppiato rispetto alla detrazione.

Questo significa che, a parità di spesa, la deduzione garantisce un risparmio maggiore, soprattutto per chi ha redditi medi o alti. Tuttavia, è importante sottolineare che questo tipo di agevolazione può risultare meno vantaggiosa per chi ha redditi bassi, o per chi non raggiunge la soglia minima di tassazione, poiché non sempre ci sarà un reale beneficio economico.

Il legislatore dovrà quindi valutare se introdurre correttivi, ad esempio un sistema misto deduzione/detrazione o un credito d’imposta per i redditi più bassi, in modo da garantire equità orizzontale tra i contribuenti e permettere a tutte le famiglie, indipendentemente dal reddito, di godere del beneficio.

Conclusione

La deducibilità dei libri scolastici prevista a partire dal 2026 rappresenta una novità fiscale di grande rilievo, destinata ad avere effetti positivi non solo sul bilancio familiare, ma anche sul sistema scolastico nel suo complesso. In un’Italia dove le spese legate all’istruzione gravano pesantemente sulle famiglie, soprattutto quelle con più figli, ogni intervento che alleggerisce il carico economico è un segnale importante di attenzione da parte delle istituzioni.

Il meccanismo della deduzione, se ben strutturato e accompagnato da un sistema chiaro di documentazione e limiti di spesa, può diventare un valido strumento di politica fiscale e sociale, promuovendo l’accesso equo alla scuola dell’obbligo e riducendo le diseguaglianze territoriali e reddituali. È fondamentale però che, nei prossimi mesi, il Governo definisca con precisione modalità, requisiti e beneficiari, evitando che la misura resti sulla carta o che favorisca solo una parte della popolazione.

Nel frattempo, è consigliabile che le famiglie inizino a organizzarsi nella gestione e conservazione della documentazione fiscale, e che seguano con attenzione l’evoluzione normativa. Se confermata e potenziata nel tempo, questa deduzione potrebbe rappresentare il primo passo verso un fisco più attento alle reali esigenze educative dei cittadini, contribuendo a costruire una società più istruita, equa e fiscalmente sostenibile.

IMU 2025: guida completa al saldo del 16 dicembre, esenzioni, novità e calcolo

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Dicembre è un mese cruciale per milioni di proprietari immobiliari in Italia. Entro il 16 dicembre 2025 scade infatti il termine per il versamento del saldo IMU (Imposta Municipale Propria), una delle scadenze fiscali più temute, ma anche tra le più fraintese. La corretta gestione del pagamento IMU è fondamentale per evitare sanzioni, calcolare correttamente quanto dovuto e, dove possibile, risparmiare legalmente.

In questo articolo faremo chiarezza su tutto ciò che riguarda il saldo IMU 2025: dalle modalità di calcolo, alle esenzioni previste, dalle novità normative, fino alle strategie per non sbagliare il versamento. Scopriremo anche quali sono i comuni che hanno deliberato aumenti o agevolazioni, come individuare la propria aliquota e cosa cambia per immobili affittati, seconde case, fabbricati inagibili o terreni agricoli.

Quando e cosa si paga

Il saldo IMU 2025 deve essere versato entro la scadenza fissata al 16 dicembre 2025, una data cruciale per tutti i proprietari di immobili non esenti. Questo versamento ha la funzione di completare quanto già versato in acconto a giugno e di conguagliare eventuali variazioni intervenute nel corso dell’anno. Tali variazioni possono riguardare delibere comunali, modifiche normative, oppure cambiamenti nelle caratteristiche dell’immobile (come cambio di destinazione d’uso, perdita del requisito di abitazione principale, ecc.).

Il saldo serve anche per applicare eventuali esenzioni o agevolazioni maturate nella seconda parte dell’anno, come nel caso di fabbricati divenuti inagibili o concessi in comodato gratuito a familiari secondo le condizioni stabilite dalla legge. Il contribuente deve quindi eseguire un riepilogo della posizione catastale dell’immobile, verificare la destinazione d’uso aggiornata e tener conto di agevolazioni specifiche eventualmente deliberate dal Comune di ubicazione.

È importante ricordare che il saldo IMU non è semplicemente la seconda metà del totale, ma un vero e proprio ricalcolo basato sulle aliquote definitive approvate dai Comuni, pubblicate entro il 28 ottobre 2025 sul sito del MEF. In assenza di nuove delibere, valgono le aliquote dell’anno precedente. La corretta individuazione dell’importo da versare richiede quindi attenzione, aggiornamento e  l’assistenza di un consulente esperto.

Esenzioni IMU 2025

Non tutti gli immobili sono soggetti al pagamento dell’IMU. Le esenzioni IMU 2025 possono derivare sia da disposizioni nazionali che da delibere comunali, ma è fondamentale distinguere tra quelle automatiche, previste per legge, e quelle facoltative, che richiedono specifica approvazione da parte del Comune.

Tra le esenzioni previste dalla legge, restano confermate anche per il 2025 alcune delle casistiche più rilevanti:

  • Terreni agricoli: esenti se posseduti e condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (IAP)iscritti alla previdenza agricola.

  • Immobili pubblici: quelli di proprietà di Stato, Regioni, Province, Comuni ed enti del SSN, se destinati a funzioni istituzionali.

  • Immobili con categoria catastale E/1 – E/9: come caserme, porti, aeroporti e infrastrutture portuali, anche se affidati in gestione a soggetti privati.

  • Immobili culturali: musei, archivi, biblioteche e cineteche, se aperti al pubblico e senza finalità commerciali.

  • Luoghi di culto e immobili della Santa Sede, in virtù del Concordato con la Chiesa.

  • Enti non commerciali: per immobili utilizzati esclusivamente per attività assistenziali, culturali, sportive, religiose o sanitarie.

A partire dal 2023, è stata inoltre estesa l’esenzione IMU a:

  • Immobili occupati abusivamente, se il proprietario ha sporto regolare denuncia penale. In tal senso si è espressa la Corte Costituzionale, riconoscendo l’effetto retroattivo dell’esenzione (sentenza n. 98/2023).

  • Immobili dell’Accademia dei Lincei, dichiarati esenti come ente culturale di rilevanza nazionale.

Le esenzioni locali, invece, devono essere previste da apposite delibere comunali.

Tra le più comuni:

  • Immobili concessi in comodato gratuito a ONLUS o enti pubblici.

  • Locali commerciali situati in zone penalizzate da cantieri pubblici protratti per oltre 6 mesi.

  • Attività economiche ubicate in aree montane o in Comuni con meno di 3.000 abitanti.

  • Esenzioni per imprese sociali, APS e ONLUS, se previste nei regolamenti comunali.

Prima di pagare, è sempre necessario consultare il regolamento IMU del proprio Comune per verificare l’effettiva applicazione di queste esenzioni.

Novità giurisprudenziali 

Il biennio 2024–2025 ha visto una notevole evoluzione sul fronte giurisprudenziale e interpretativo in materia di IMU. Diverse sentenze della Corte di Cassazione hanno contribuito a delineare meglio i contorni applicativi di alcune esenzioni e condizioni soggettive, imponendo ai contribuenti e agli enti interessati una maggiore attenzione ai requisiti sostanziali e documentali.

Ecco le principali pronunce e novità normative da tenere presenti per il saldo IMU 2025:

  • Cass. n. 118/2025: l’esenzione riconosciuta agli enti pubblici si applica solo se l’attività svolta è istituzionale, diretta e immediata. Non basta che l’immobile sia strumentale, ma serve un utilizzo attivo e concreto.

  • Cass. n. 23094/2024: per gli enti non commerciali, non è sufficiente avere una finalità statutaria non lucrativa. Occorre dimostrare l’effettiva natura non commerciale delle attività svolte, con documentazione adeguata.

  • Cass. n. 2364/2025: anche le aree edificabili possono beneficiare di esenzione se sono destinate concretamente ad attività istituzionali, indipendentemente dallo stato urbanistico.

  • Cass. n. 10390/2025: i cosiddetti beni merce – ossia i fabbricati costruiti dalle imprese per la vendita – sono esenti solo se non locati e se mantengono tale destinazione per tutto l’anno d’imposta.

  • Cass. n. 18938/2025: in caso di occupazione abusiva del terreno, l’IMU non è dovuta se il proprietario ha perso la disponibilità materiale del bene, a condizione che abbia presentato formale denuncia.

A livello normativo, si segnala anche l’introduzione dell’art. 6-bis del D.L. n. 84/2025, che rafforza l’esenzione IMU per le associazioni sportive dilettantistiche. Il nuovo sistema prevede una fase transitoria, durante la quale l’agevolazione è riconosciuta solo ai soggetti iscritti al RASD (Registro Nazionale delle Attività Sportive Dilettantistiche).

Queste interpretazioni e novità legislative impongono a professionisti e contribuenti di verificare con attenzione le condizioni soggettive e oggettive delle esenzioni IMU, anche alla luce di eventuali accertamenti futuri.

Dichiarazione IMU 2025

Uno degli errori più comuni commessi dai contribuenti riguarda la convinzione che le esenzioni IMU siano sempre automatiche. In realtà, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, per beneficiare delle agevolazioni o dell’esenzione totale è necessario rispettare precisi obblighi dichiarativi. Il mancato adempimento può comportare la perdita del diritto all’esenzione, anche qualora i requisiti sostanziali fossero soddisfatti.

Il contribuente deve quindi presentare la dichiarazione IMU entro i termini fissati (generalmente entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il fatto che dà diritto all’esenzione) utilizzando esclusivamente i canali telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate o dal Comune competente.

Nella dichiarazione devono essere indicati in modo chiaro:

  • Il motivo dell’esenzione (es. comodato gratuito a ente non commerciale, utilizzo per finalità istituzionali, immobile occupato abusivamente, esercizio di attività culturale o sportiva non commerciale, ecc.);

  • L’identificativo catastale dell’immobile;

  • Le eventuali variazioni intervenute, come la cessazione dell’attività che legittimava l’agevolazione o la modifica della destinazione d’uso.

Un caso emblematico è rappresentato dall’esenzione prevista per gli immobili occupati abusivamente (art. 1, comma 759, lett. g-bis, della Legge n. 160/2019): per poterla applicare è obbligatorio presentare denuncia penale e comunicare la situazione mediante dichiarazione IMU.

Attenzione: la mancata presentazione della dichiarazione comporta la decadenza automatica dal beneficio, con la conseguente emissione di accertamenti IMU e sanzioni per omesso pagamento.

Immobili occupati e immobili inagibili

Uno dei nodi più delicati e dibattuti in ambito IMU riguarda la tassazione degli immobili non utilizzabili a causa di occupazioni abusive o eventi straordinari, come terremoti e alluvioni. Per il 2025, la normativa e la giurisprudenza offrono chiarimenti e nuove esenzioni che il contribuente deve conoscere per evitare di pagare imposte non dovute.

IMU su immobili occupati abusivamente

In base all’art. 1, comma 759, lettera g-bis, della Legge n. 160/2019, e come confermato dalla Cassazione n. 18938/2025, l’IMU non è dovuta per immobili occupati da soggetti terzi senza titolo. Tuttavia, per ottenere l’esenzione, è indispensabile che il proprietario abbia sporto denuncia penale per reati come:

  • Art. 614 c.p. – Violazione di domicilio;

  • Art. 633 c.p. – Invasione di edifici o terreni.

In questi casi, il contribuente deve presentare dichiarazione IMU indicando la situazione e allegando copia della denuncia o della documentazione che attesti la perdita di disponibilità dell’immobile.

IMU su immobili inagibili per eventi calamitosi

Sono esenti dall’IMU fino al 31 dicembre 2025 i fabbricati dichiarati inagibili situati nelle zone colpite dal sisma del Centro Italia e in alcune aree dell’Abruzzo. Una novità del 2025 è l’estensione dell’esenzione fino al 31 dicembre 2026per immobili alluvionati in Emilia-Romagna e Toscana, se:

  • Dichiarati inagibili da apposite perizie o atti tecnici;

  • Soggetti a ordinanza di sgombero da parte delle autorità locali.

In entrambi i casi, è obbligatorio presentare dichiarazione IMU con documentazione allegata, come verbali di sopralluogo, ordinanze comunali o perizie asseverate.

Anche in presenza dei requisiti oggettivi (occupazione o inagibilità), l’assenza della dichiarazione può comportare la perdita dell’esenzione e l’obbligo di pagamento.

Come calcolare il saldo IMU 

Il calcolo del saldo IMU 2025 non è un semplice “secondo versamento” uguale a quello di giugno, ma un vero ricalcolo complessivo basato sulle aliquote definitive approvate dai Comuni entro il 28 ottobre 2025. Per questo motivo, il saldo può essere superiore o inferiore rispetto all’acconto, in base a eventuali variazioni deliberate nel frattempo.

I passaggi fondamentali per il calcolo:

  1. Verifica della rendita catastale: è il valore di base da cui partire. Va rivalutata del 5% e poi moltiplicata per i coefficienti catastali (che variano in base alla categoria dell’immobile: abitazioni, uffici, negozi, terreni, ecc.).

  2. Applicazione dell’aliquota comunale definitiva: i Comuni possono differenziare le aliquote per:

    • Prime case di lusso (cat. A1, A8, A9);

    • Seconde case;

    • Immobili locati;

    • Fabbricati produttivi (cat. D);

    • Terreni agricoli o edificabili.

  3. Sottrazione dell’acconto versato a giugno: il saldo da pagare entro il 16 dicembre è la differenza tra l’importo totale dovuto per l’intero anno e l’acconto già corrisposto.

  4. Verifica delle eventuali agevolazioni comunali: alcune amministrazioni prevedono riduzioni per immobili in comodato gratuito a parenti, per immobili locati a canone concordato, o per le imprese che rispettano determinati requisiti ambientali, sociali o di utilità pubblica.

Le aliquote definitive possono essere consultate nel Portale del Dipartimento delle Finanze del MEF, che le pubblica in forma ufficiale ogni anno. In caso di mancata delibera, si applicano le aliquote dell’anno precedente.

Suggerimento pratico: per evitare errori di calcolo, è utile utilizzare i software messi a disposizione da CAF, studi professionali o dallo stesso Comune. In alternativa, è possibile affidarsi a un commercialista per un controllo completo e personalizzato.

Modalità di pagamento

Il saldo IMU 2025 deve essere versato entro il 16 dicembre 2025, utilizzando esclusivamente i modelli F24 o, in alternativa, tramite il bollettino postale dedicato all’IMU, disponibile presso gli uffici postali. È importante seguire le modalità corrette per non incorrere in errori formali che potrebbero comportare l’invalidazione del versamento.

Modalità di pagamento:

  • Modello F24: il metodo più usato, anche per compensare eventuali crediti fiscali (IRPEF, IVA, ecc.). Va compilato indicando:

    • il codice catastale del Comune;

    • il codice tributo IMU specifico in base alla tipologia di immobile (es. 3918 per abitazioni diverse dalla principale, 3916 per aree fabbricabili, ecc.);

    • l’anno di riferimento (2025);

    • l’importo dovuto a saldo.

  • Bollettino postale IMU: da utilizzare in alternativa all’F24, solo se non si intende compensare con crediti.

Il versamento può essere effettuato:

  • tramite home banking o sportello bancario;

  • tramite intermediari abilitati (CAF, commercialisti, patronati);

  • direttamente online tramite il sito del proprio Comune, se previsto.

Sanzioni per omesso o tardivo versamento

Se il saldo IMU non viene versato nei termini o viene pagato in misura insufficiente, si applicano le sanzioni previste dal ravvedimento operoso, calcolate in base al tempo trascorso dalla scadenza:

  • Ravvedimento sprint (entro 14 giorni): sanzione dello 0,1% per ogni giorno di ritardo;

  • Ravvedimento breve (entro 30 giorni): sanzione dell’1,5%;

  • Ravvedimento medio (entro 90 giorni): sanzione dell’1,67%;

  • Ravvedimento lungo (entro 1 anno): sanzione del 3,75%.

In aggiunta alla sanzione, si applicano gli interessi legali maturati (allo 0,25% annuo nel 2025, salvo aggiornamenti).

La regolarizzazione è possibile solo prima della ricezione di un atto di accertamento. In caso contrario, le sanzioni possono arrivare fino al 30% dell’importo non versato.

Conclusione

Il saldo IMU 2025 rappresenta una delle scadenze fiscali più rilevanti dell’anno per milioni di contribuenti italiani. Come abbiamo visto, si tratta di un adempimento che va ben oltre il semplice pagamento: richiede attenzione alle delibere comunali, conoscenza delle esenzioni, aggiornamento sulle novità giurisprudenziali e consapevolezza delle responsabilità dichiarative.

Sottovalutare aspetti come la presentazione della dichiarazione IMU, la corretta applicazione delle aliquote, o la perdita di disponibilità di un immobile può comportare non solo errori di pagamento, ma anche accertamenti e sanzioni.

È quindi fondamentale:

  • Verificare con precisione la situazione catastale e fiscale del proprio immobile;

  • Consultare il sito del proprio Comune o del MEF per conoscere le aliquote definitive;

  • Presentare eventuali dichiarazioni in caso di esenzioni, cambi di uso o situazioni particolari (come inagibilità o occupazioni abusive);

  • Agire in tempo, sfruttando il ravvedimento operoso in caso di ritardi o dimenticanze.

Rivolgersi a un commercialista esperto in fiscalità immobiliare può fare la differenza tra un adempimento corretto e un potenziale contenzioso. Inoltre, conoscere i propri diritti, come nel caso delle esenzioni per eventi calamitosi o per determinate categorie di contribuenti, consente anche di risparmiare legalmente sulle tasse.

In un contesto normativo in continua evoluzione, affrontare l’IMU con competenza e tempestività è il miglior modo per proteggere il proprio patrimonio e rispettare le regole.

Legge di Bilancio 2026: tutte le novità su IRPEF, rottamazione, bonus famiglie e imprese

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Judge and documents on office desk Legislation

La Legge di Bilancio 2026 si presenta come uno dei provvedimenti più rilevanti degli ultimi anni, con una serie di interventi pensati per sostenere famiglie, imprese e lavoratori in un contesto economico ancora complesso. Approvata tra attese, dibattiti e trattative serrate, la nuova manovra economica punta a rafforzare il sistema fiscale italiano, proseguendo sulla strada della semplificazione e del risparmio fiscale. Tra le principali novità, spiccano la rimodulazione dell’IRPEF, la nuova rottamazione delle cartelle esattoriali, incentivi per le imprese e nuovi sostegni per i nuclei familiari a basso reddito.

Non si tratta solo di un documento contabile, ma di un piano strategico che può influenzare profondamente il modo in cui cittadini e imprenditori vivranno e gestiranno il proprio denaro nel 2026.

In questo articolo approfondiremo punto per punto le novità più importanti introdotte dalla Legge di Bilancio 2026, offrendo una guida chiara e aggiornata per capire cosa cambia realmente e come approfittare legalmente delle nuove misure fiscali.

Riduzione dell’IRPEF

Uno dei cambiamenti più significativi introdotti dalla Legge di Bilancio 2026 riguarda l’IRPEF, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. La manovra interviene sul secondo scaglione di reddito, quello compreso tra 28.000 e 50.000 euro, abbassando l’aliquota dal 35% al 33%. La misura, resa ufficiale nel comunicato stampa del Governo, è volta a ridurre il cuneo fiscale sui redditi medi, incentivando i consumi e alleggerendo il peso fiscale su una larga fascia di contribuenti.

Dal punto di vista normativo, la modifica è contenuta nell’articolo 2 della Legge di Bilancio, che interviene direttamente sull’articolo 11, comma 1, lettera b) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR)D.P.R. 917/1986 – sostituendo l’aliquota indicata del 35% con il nuovo valore del 33%.

Va però sottolineato che la riduzione dell’imposta viene “sterilizzata” per i contribuenti con redditi superiori a 200.000 euro. In questo caso, viene inserito un nuovo comma 5-bis all’articolo 16-ter del TUIR, che limita la detraibilità di una serie di oneri fiscali (tra cui quelli al 19% e le donazioni politiche) attraverso una diminuzione fissa di 440 euro, ad eccezione delle spese sanitarie. Questo meccanismo serve a evitare vantaggi fiscali eccessivi per i redditi più alti, mantenendo l’equità del sistema.

Rottamazione Quinquies 2026

La Legge di Bilancio 2026 introduce una nuova misura di pacificazione fiscale, ribattezzata dagli addetti ai lavori come “Rottamazione Quinquies”. A differenza delle precedenti edizioni, il provvedimento non prevede un condono generalizzato, ma si presenta come uno strumento mirato e selettivo, rivolto esclusivamente a specifiche categorie di contribuenti in difficoltà economica. L’obiettivo dichiarato è duplice: alleggerire il carico fiscale pregresso e, contemporaneamente, ridurre il contenzioso tributario, offrendo una via d’uscita sostenibile a chi ha pendenze con il Fisco.

Il provvedimento si applica ai carichi affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione fino al 31 dicembre 2023, e prevede due modalità di pagamento: in unica soluzione oppure in rateizzazione fino a 9 anni, suddivisa in 54 rate bimestrali di pari importo. Questo consente anche a chi si trova in temporanea difficoltà di aderire senza compromettere la propria liquidità.

Tra i beneficiari, rientrano in particolare coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi ma non hanno versato le imposte dovute, evitando così di essere esclusi per irregolarità formali. Inoltre, viene confermata la possibilità per gli enti locali di aderire alla misura, estendendo così l’impatto del provvedimento anche ai tributi comunali.

Va sottolineato che la rottamazione prevede anche un saldo e stralcio parziale: l’importo delle somme dovute potrebbe essere ridotto sotto una certa soglia, anche se i dettagli operativi saranno chiariti con i prossimi decreti attuativi.

Famiglie al centro

La Legge di Bilancio 2026 conferma una forte attenzione verso il sostegno alle famiglie italiane, stanziando circa 3,5 miliardi di euro nel triennio per misure di contrasto alla povertà, rafforzamento delle prestazioni sociali e rivisitazione dei criteri ISEE. Proprio su quest’ultimo punto si concentra una delle novità più incisive: la revisione del calcolo dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, che influenzerà l’accesso a molte prestazioni agevolate. Il nuovo sistema corregge il peso attribuito al valore della casa e modifica le scale di equivalenza per i nuclei familiari numerosi o con disabilità, con un impatto stimato in circa 500 milioni di euro l’anno.

Tra le misure confermate spicca il rifinanziamento della “Carta dedicata a te”, un bonus da 500 euro annuali per famiglie con ISEE fino a 15.000 euro, da spendere in beni alimentari di prima necessità. Viene inoltre reso permanente il finanziamento ai centri estivi, con uno stanziamento di 60 milioni di euro annui, per aiutare i genitori a conciliare tempi di lavoro e cura.

Sul fronte pensionistico, la manovra sterilizza l’aumento automatico dell’età pensionabile (previsto dal meccanismo di adeguamento alla speranza di vita) per i lavoratori in attività usuranti, mentre per gli altri l’incremento sarà più graduale. Introdotto anche un bonus di 260 euro l’anno per i pensionati in condizioni disagiate.

Infine, buone notizie per le lavoratrici madri: il bonus mamme passa da 40 a 60 euro al mese per le dipendenti con almeno due figli e reddito fino a 40.000 euro. Vengono anche rafforzati il congedo parentale e quello per malattia dei figli minori, segno di un’attenzione crescente verso la genitorialità attiva.

Agevolazioni per le imprese

La Legge di Bilancio 2026 introduce un pacchetto di misure fiscali e incentivi di forte impatto per le imprese italiane, con l’obiettivo di stimolare la crescita, la transizione ecologica e la competitività, soprattutto nei territori svantaggiati. Tra le novità più rilevanti figura la maggiorazione del costo di acquisizione dei beni strumentali nuovi, utile al calcolo degli ammortamenti fiscali e dei canoni di leasing: fino al 180% per investimenti fino a 2,5 milioni di euro, 100% tra 2,5 e 10 milioni, e 50% oltre i 10 e fino a 20 milioni. Ma per chi investe in tecnologie green, le percentuali salgono rispettivamente a 220%, 140% e 90%, premiando le imprese che puntano sulla sostenibilità.

Tra le altre misure, segnaliamo l’aumento della soglia esentasse dei buoni pasto elettronici, che passa da 8 a 10 euro, alleggerendo il carico fiscale per i datori di lavoro e offrendo un maggiore potere d’acquisto ai dipendenti.

Confermati anche il credito d’imposta per le imprese nelle Zone Economiche Speciali (ZES) e, con un budget triennale di 100 milioni di euro, gli incentivi per le Zone Logistiche Semplificate (ZLS). Sul fronte fiscale, viene prorogata al 31 dicembre 2026 la sospensione della plastic e sugar tax, evitando ulteriori oneri per l’industria alimentare e del packaging.

La manovra rifinanzia anche la Nuova Sabatini, fondamentale per sostenere gli investimenti delle PMI. Per il settore bancario e assicurativo, è confermato un contributo aggiuntivo, mentre si segnala la proroga del rinvio delle deduzioni su svalutazioni e perdite su crediti, oltre al posticipo della deduzione del costo dell’avviamento legato alle imposte differite attive (DTA).

Infine, viene introdotta un’imposta agevolata sulla distribuzione di utili accantonati a patrimonio, e si prevede una modifica dell’aliquota IRAP e il mantenimento della parziale deducibilità delle perdite e delle eccedenze ACE. Ulteriori modifiche potrebbero arrivare nel corso dell’iter parlamentare.

Le basi economiche della Manovra 2026

La Legge di Bilancio 2026 è stata costruita su un quadro macroeconomico ancora fragile, ma in progressivo consolidamento. Nonostante le incertezze legate all’inflazione, alla stretta monetaria della BCE e alle tensioni geopolitiche, il Governo ha scelto di mantenere una linea di rigore selettivo: contenere il disavanzo pubblico, senza rinunciare a misure di stimolo per famiglie e imprese. Il deficit tendenziale è previsto in calo, mentre l’obiettivo è di rientrare sotto la soglia del 3% entro il 2027, in linea con le nuove regole del Patto di Stabilità europeo, attualmente in fase di revisione.

A questo scopo, la manovra include misure strutturali ma anche coperture temporanee, tra cui l’uso di extra-gettito fiscale, tagli selettivi alla spesa pubblica e maggiori entrate derivanti dalla crescita del PIL nominale. Il Governo ha puntato su un riequilibrio graduale, evitando manovre drastiche ma assicurandosi la flessibilità necessaria per correggere eventuali scostamenti nel 2026 e 2027. Grande attenzione è stata posta nel contenimento delle spese correnti improduttive e nel rafforzamento degli investimenti pubblici ad alto moltiplicatore, in parte cofinanziati attraverso il PNRR.

Nel documento tecnico allegato alla manovra, viene evidenziato che oltre il 60% delle risorse sono destinate a misure permanenti, un elemento che rafforza la visione di lungo periodo del Governo. Tuttavia, le stime sono soggette a revisione e l’intero impianto della legge potrà essere ritoccato in fase emendativa durante l’approvazione definitiva in Parlamento.

Misure fiscali in evoluzione

Sebbene la Legge di Bilancio 2026 sia stata approvata dal Consiglio dei Ministri con un impianto ben definito, diverse misure fiscali e tributarie restano in attesa di definizione o soggette a possibili modifiche durante il passaggio parlamentare. In particolare, si discute su alcune proposte emendative che potrebbero incidere sull’equilibrio complessivo della manovra e sull’effettiva portata degli sgravi previsti per contribuenti e imprese.

Tra i temi più caldi figura il possibile ulteriore ampliamento della platea dei beneficiari delle misure di rottamazione, con proposte di estensione a contribuenti in difficoltà che non abbiano presentato dichiarazione dei redditi, ma abbiano comunque debiti pendenti. Anche sul fronte IRPEF, alcuni partiti spingono per una ulteriore riduzione delle aliquote per i redditi medio-bassi, eventualmente da finanziare attraverso una rimodulazione delle detrazioni per i redditi alti o l’introduzione di nuove forme di flat tax incrementale.

Si valuta inoltre la possibilità di introdurre nuovi incentivi per l’occupazione giovanile e femminile, attraverso crediti d’imposta alle aziende che assumono a tempo indeterminato under 35 o donne disoccupate da lungo periodo. Sul tavolo anche la revisione di alcuni bonus edilizi minori, come il bonus mobili ed elettrodomestici, che potrebbe essere rivisto nei tetti di spesa o nei requisiti ISEE.

Infine, c’è attesa per eventuali correzioni tecniche all’IRAP e per una più chiara definizione delle modalità di applicazione dell’imposta agevolata sulla distribuzione degli utili patrimonializzati, che potrebbe coinvolgere anche le imprese individuali e non solo le società di capitali.

Come risparmiare sulle tasse 

La Legge di Bilancio 2026, oltre a introdurre nuovi obblighi e modifiche normative, offre anche interessanti opportunità di risparmio fiscale legale per cittadini, famiglie e imprese. Per i lavoratori dipendenti con redditi tra 28.000 e 50.000 euro, ad esempio, la riduzione dell’aliquota IRPEF dal 35% al 33% comporta un risparmio immediato sul netto mensile. Una corretta pianificazione fiscale annuale, attraverso simulazioni e verifica delle detrazioni spettanti, può ottimizzare ulteriormente il beneficio.

Per le imprese, le nuove maggiorazioni sugli ammortamenti rappresentano una leva potente per abbattere l’imponibile e, di conseguenza, l’IRES o l’IRPEF da versare. Sfruttare le maggiorazioni del 180% o del 220% (per investimenti green) richiede però una gestione contabile attenta e conforme, motivo per cui è consigliabile rivolgersi al proprio commercialista per impostare correttamente il piano degli investimenti.

Le famiglie a basso reddito possono beneficiare di più strumenti cumulabili: dalla Carta “Dedicata a te” da 500 euro, al bonus mamme aumentato a 60 euro mensili, fino ai vantaggi indiretti derivanti dalla revisione dell’ISEE, che potrebbe permettere l’accesso a nuove soglie agevolate per bonus casa, mense scolastiche, università, ecc.

Anche le imprese localizzate nelle ZES o ZLS potranno godere di crediti d’imposta ad hoc, e conviene analizzare fin da ora l’eventuale ubicazione di stabilimenti o sedi operative in queste aree per pianificare future espansioni o aperture.

In ogni caso, è fondamentale agire per tempo: molte delle agevolazioni previste richiedono domande, autocertificazioni o documentazioni preventive, e in certi casi la tempistica fa la differenza tra beneficiare di un credito o restare esclusi.

Conclusioni

La Legge di Bilancio 2026 segna un nuovo capitolo nella gestione della politica economica italiana: tra tagli mirati delle imposte, incentivi selettivi, sostegni alle famiglie e interventi per la competitività delle imprese, si delinea una strategia che mira a coniugare crescita, equità e rigore fiscale. Il Governo punta a rafforzare il sistema produttivo, tutelare i soggetti più fragili e semplificare il carico fiscale, ma non mancano criticità, soprattutto per quanto riguarda la concreta applicabilità di alcune misure e la loro tenuta nel tempo.

Le opportunità di risparmio fiscale introdotte sono reali e rilevanti, ma richiedono conoscenza normativa, pianificazione attenta e spesso tempestività nell’adesione. Per questo è fondamentale non solo rimanere aggiornati sugli sviluppi parlamentari della manovra, ma anche affidarsi a un commercialista esperto, capace di analizzare la propria situazione fiscale e cogliere al meglio i vantaggi offerti dalla normativa.

Con le sue misure su IRPEF, rottamazione, bonus per le famiglie, incentivi per le imprese e proroghe strategiche, la manovra 2026 si candida a essere uno strumento complesso ma potenzialmente vantaggioso. In un contesto economico ancora incerto, agire in modo informato può fare la differenza tra subire il sistema fiscale e usarlo a proprio favore, in modo del tutto legale e strategico.

Codice Incentivi 2026: cosa cambia per imprese e autonomi con la riforma approvata dal Governo

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Con il Decreto legislativo approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 24 ottobre 2025, prende ufficialmente forma il “Nuovo Codice degli incentivi” destinato ad entrare in vigore dal 1° gennaio 2026. Si tratta di una riforma ambiziosa e strutturale, che punta a semplificare e razionalizzare il sistema degli aiuti pubblici alle imprese e ai lavoratori autonomi, promuovendo efficienza, trasparenza e un più facile accesso alle risorse pubbliche.

Il nuovo Codice si inserisce in un contesto normativo e strategico più ampio, che guarda al rilancio dell’economia italiana attraverso una maggiore digitalizzazione, semplificazione amministrativa e soprattutto una parità di trattamento tra imprese e lavoratori autonomi, categoria spesso esclusa o marginalizzata nei principali strumenti di sostegno economico.

La logica di fondo è quella della programmazione triennale, della trasparenza digitale, dell’efficacia della spesa pubblica e dell’eliminazione delle sovrapposizioni tra incentivi. Il testo è stato sviluppato in attuazione della legge delega 111/2023 e rappresenta uno snodo fondamentale per una gestione più moderna delle politiche industriali e occupazionali.

Ma quali sono, nello specifico, le principali novità introdotte dal Codice? Quali vantaggi concreti porterà per imprese, professionisti e lavoratori autonomi? In questo articolo analizziamo i punti salienti del decreto, le opportunità offerte e cosa cambia rispetto al sistema attuale.

La struttura del Codice degli incentivi 2026

Il Nuovo Codice degli incentivi approvato dal Governo si articola in 28 articoli suddivisi in cinque Capi, con l’obiettivo di riformare in modo radicale il sistema italiano delle agevolazioni pubbliche. L’intero impianto normativo si fonda su principi di semplificazione, standardizzazione e digitalizzazione, rendendo più accessibili e trasparenti gli strumenti di sostegno per imprese, professionisti e lavoratori autonomi.

Uno degli aspetti più innovativi è rappresentato dall’art. 3, che istituisce nuovi servizi digitali integrati tramite la piattaforma RNA (Registro Nazionale degli Aiuti) e Incentivi.gov.it. Qui sarà possibile consultare i bandi, verificare i requisiti di accesso, ottenere il CUP (Codice Unico di Progetto), monitorare l’iter della domanda e accedere ai risultati. Il tutto in un’ottica di efficienza amministrativa e riduzione della burocrazia.

L’art. 4 introduce il Programma degli incentivi, un documento strategico che ogni amministrazione dovrà redigere annualmente, specificando risorse, obiettivi, tempi e modalità. A garantire il coordinamento tra Stato e Regioni sarà invece il Tavolo permanente degli incentivi (art. 5), per evitare sovrapposizioni e rafforzare la coerenza delle politiche.

Molto atteso dagli operatori è l’art. 6, che istituisce il bando-tipo: una procedura standard che uniforma requisiti, modalità di accesso, controlli, revoche e rendicontazione. Una svolta importante, soprattutto per consulenti fiscali e commercialisti, che potranno operare su basi più certe e omogenee.

In chiave operativa, il Codice affronta anche aspetti cruciali come:

  • i criteri premianti (art. 8), che valorizzano imprese virtuose sotto il profilo della legalità, inclusione, giovani, donne e disabilità;

  • le cause di esclusione (art. 9), come mancanza di DURC, interdittive antimafia o irregolarità pregresse;

  • le spese ammissibili (art. 11) e le forme di agevolazione (art. 12);

  • le modalità di accesso (art. 13), basate su criteri cronologici, graduatorie o negoziazione.

Altre novità rilevanti riguardano il contrasto alla delocalizzazione (art. 16), un sistema rafforzato di controlli e revoche(artt. 17 e 18), e un monitoraggio continuo dell’efficacia delle misure (artt. 20 e 21), con valutazioni ex ante, in itinere ed ex post, basate sull’utilizzo obbligatorio del CUP.

Il Codice, inoltre, prevede l’adozione di numerosi decreti attuativi e direttoriali, tra cui uno particolarmente importante a firma congiunta del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e del MEF, che dovrà definire entro 120 giorni dalla sua entrata in vigore:

  • il modello di Programma degli incentivi,

  • i tempi di adozione e aggiornamento,

  • e il format per la ricognizione degli incentivi regionali.

Un passo fondamentale, dunque, per uniformare e rendere più leggibile il panorama nazionale delle agevolazioni economiche.

Digitalizzazione e premialità

Uno dei punti cardine del Codice degli incentivi 2026 è la trasformazione digitale del sistema di accesso e gestione delle agevolazioni pubbliche. Non si tratta solo di un restyling informatico, ma di una vera e propria rivoluzione operativa, che coinvolge tutti gli attori: amministrazioni, imprese, professionisti e lavoratori autonomi. Il nuovo modello punta su piattaforme interoperabili, procedure semplificate, automatismi nei controlli e un tracciamento completo di ogni incentivo.

Il Codice rende obbligatori tre pilastri operativi:

  1. Digitalizzazione completa: tutte le procedure dovranno svolgersi online, attraverso sistemi integrati come Incentivi.gov.it e il Registro Nazionale degli Aiuti (RNA).

  2. Semplificazione procedurale: viene ridotta la documentazione richiesta, adottato un bando tipo per tutte le misure e introdotti controlli automatici per velocizzare le istruttorie.

  3. Trasparenza assoluta: ogni incentivo sarà identificato con un CUP univoco, tracciato e pubblicato in tempo reale, dall’istanza iniziale fino all’erogazione finale.

Attraverso i portali dedicati, sarà possibile per tutti gli utenti:

  • consultare bandi e agevolazioni attive,

  • verificare i requisiti di accesso,

  • presentare le domande in modalità digitale,

  • monitorare l’avanzamento della pratica,

  • consultare i risultati delle valutazioni.

Particolare attenzione è riservata al tema della premialità, pensata per orientare le risorse pubbliche verso soggetti più fragili o virtuosi.

Nello specifico:

Queste riserve rappresentano un cambio di paradigma: per la prima volta i lavoratori autonomi e le microimprese vengono valorizzati alla pari delle PMI, con quote minime garantite di accesso ai fondi.

Parità di accesso agli incentivi 

Tra le riforme più significative introdotte dal nuovo Codice degli incentivi 2026, spicca l’equiparazione dei lavoratori autonomi alle PMI nell’accesso alle agevolazioni pubbliche. Una misura rivoluzionaria, attesa da anni e sostenuta con forza dal Ministro del Lavoro Marina Calderone, che da ex presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro aveva già promosso iniziative in tal senso.

L’articolo 10 del decreto stabilisce un principio chiaro e vincolante: i lavoratori autonomi potranno accedere agli incentivi pubblici alle stesse condizioni delle piccole e medie imprese, salvo per quei requisiti che siano chiaramente non applicabili alla natura della loro attività. In pratica, salvo casi specifici e motivati, non potranno essere esclusi solo perché non costituiti in forma societaria o non dotati di dipendenti.

Inoltre, il Codice impone che ogni bando debba prevedere disposizioni specifiche per garantire un accesso effettivo e non discriminatorio anche ai professionisti e alle partite IVA, superando così le distorsioni del passato in cui spesso i liberi professionisti erano esclusi per mancanza di requisiti strutturali pensati solo per le imprese.

Questa novità rappresenta il completamento di un percorso avviato con la Legge 81/2017 sul lavoro autonomo e più volte rilanciato nei tavoli di concertazione tra Ministeri e rappresentanze delle categorie professionali. Il risultato è un sistema più equo, che riconosce il ruolo economico e sociale del lavoro autonomo, allineandolo al resto del tessuto produttivo nazionale.

Si tratta di un passaggio fondamentale per i consulenti, i professionisti, le partite IVA e tutti quei soggetti che, pur non essendo imprese in senso stretto, contribuiscono attivamente allo sviluppo economico del Paese.

Monitoraggio e controllo

Un’altra innovazione fondamentale introdotta dal Codice degli incentivi 2026 è la costruzione di un sistema strutturato di monitoraggio e valutazione dell’efficacia delle agevolazioni. Non basta più erogare risorse: occorre sapere come vengono utilizzate, da chi, con quali risultati. Il tutto per garantire che ogni euro di denaro pubblico generi un impatto positivo sull’economia, sull’occupazione e sull’innovazione.

L’articolo 18 introduce un sistema rafforzato di controlli, finalizzato a evitare abusi, frodi e utilizzi impropri delle risorse pubbliche. I controlli saranno centralizzati, digitali e automatizzati dove possibile, e includeranno anche verifiche ex post, per accertare la reale esecuzione dei progetti finanziati.

L’articolo 20 prevede invece l’obbligo di monitoraggio attraverso il Codice Unico di Progetto (CUP), che diventa lo strumento principale per il tracciamento di ogni incentivo, dalla pubblicazione del bando fino alla fase di rendicontazione finale. Ogni progetto finanziato dovrà essere associato a un CUP univoco, garantendo trasparenza totale e possibilità di accesso ai dati anche da parte dei cittadini.

Infine, l’articolo 21 istituisce una valutazione continua dell’efficacia degli incentivi, articolata su tre livelli:

  • ex ante, per valutare la coerenza della misura con gli obiettivi strategici;

  • in itinere, per monitorare l’attuazione durante l’erogazione;

  • ex post, per analizzare i risultati ottenuti rispetto agli obiettivi dichiarati.

Questo sistema integrato permetterà di identificare le misure realmente efficaci, ottimizzare la spesa pubblica e dismettere gli strumenti meno utili o obsoleti. Un passo decisivo verso un uso più intelligente e misurabile delle politiche di sostegno economico.

Opportunità per imprese

Il nuovo Codice degli incentivi 2026 non è solo una riforma normativa, ma un’occasione concreta per semplificare l’accesso ai fondi pubblici, ottimizzare la pianificazione fiscale e massimizzare le opportunità di sviluppo. Per le imprese, i lavoratori autonomi e i consulenti fiscali che li assistono, le novità introdotte rappresentano un cambio di passo strategico.

In primo luogo, la standardizzazione dei bandi, la riduzione della documentazione richiesta e la digitalizzazione integrata permetteranno di ridurre i tempi e i costi burocratici. Un processo più snello significa poter partecipare a più bandi, con maggiore consapevolezza dei requisiti e delle tempistiche, e con una minor incidenza di errori e rigetti.

Il fatto che le microimprese e i lavoratori autonomi abbiano riserve minime di risorse (≥25%) rappresenta una garanzia di accesso reale anche per chi, fino a oggi, era spesso penalizzato nei grandi programmi di finanziamento. Questo apre a nuove possibilità di investimento, digitalizzazione, formazione e crescita anche per professionisti, freelance, artigiani e consulenti.

Inoltre, il sistema di premialità,  basato su rating di legalità, parità di genere, giovani, disabilità e natalità, premia chi adotta pratiche virtuose. Le imprese attente all’etica, alla sostenibilità sociale e alla governance trasparente potranno ottenere punteggi aggiuntivi, maggiorazioni del contributo o priorità in graduatoria.

Per i commercialisti, consulenti del lavoro e fiscalisti, la presenza di un bando tipo uniforme, strumenti digitali centralizzati e criteri standardizzati offre maggiori certezze operative, facilitando l’assistenza ai clienti nella scelta, partecipazione e rendicontazione delle misure.

Il Codice, infine, si inserisce in un contesto in cui sarà possibile pianificare in modo triennale le opportunità, grazie al nuovo Programma degli incentivi, che ogni amministrazione dovrà redigere in anticipo. Questo consentirà anche di integrare la strategia fiscale con la progettazione aziendale, trasformando gli incentivi in strumenti concreti di crescita e risparmio.

Cosa succede dal 1° gennaio 2026

Il Codice degli incentivi entrerà ufficialmente in vigore il 1° gennaio 2026, come stabilito dall’articolo 28 del decreto legislativo approvato il 24 ottobre 2025. Tuttavia, per diventare pienamente operativo e per far partire il nuovo sistema, sarà necessario attendere una serie di decreti attuativi e direttoriali che tradurranno i principi generali in norme concrete e procedure applicabili.

In particolare, entro 120 giorni dall’entrata in vigore (quindi entro fine aprile 2026), dovrà essere adottato un decreto del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, di concerto con il MEF e previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Questo decreto dovrà definire:

  • il modello standard del Programma degli incentivi;

  • le tempistiche per la sua adozione da parte delle singole amministrazioni;

  • le modalità di aggiornamento periodico;

  • e il format per la ricognizione e la pubblicazione degli incentivi regionali.

Fino a quel momento, il rischio è che alcuni bandi subiscano un rallentamento o che si crei un breve vuoto normativo nella transizione tra il vecchio e il nuovo sistema. Sarà quindi fondamentale per le imprese e i consulenti monitorare attentamente le fonti ufficiali (Incentivi.gov.it e RNA) e i portali regionali, per non perdere bandi temporanei o transitori.

Inoltre, nei primi mesi del 2026 si assisterà a una fase di rodaggio tecnico e amministrativo, durante la quale le piattaforme digitali verranno aggiornate, i bandi uniformati secondo il nuovo bando-tipo (art. 6) e le nuove regole di premialità e accesso testate sul campo. Per questo motivo, la collaborazione tra amministrazioni, professionisti e associazioni di categoria sarà cruciale per garantire una piena operatività senza ritardi.

Conclusione

Il Codice degli incentivi 2026 rappresenta molto più di una riforma tecnica. È una risposta concreta all’esigenza di semplificare, rendere accessibili e più efficaci le politiche pubbliche a sostegno della produttività, dell’innovazione e dell’inclusione economica. Digitalizzazione, trasparenza, uniformità e accesso paritario non sono slogan, ma strumenti reali che potranno fare la differenza, soprattutto per chi ha spesso subito la complessità del sistema precedente.

L’introduzione del bando tipo, la tracciabilità tramite CUP, la riserva di risorse per PMI e lavoratori autonomi, e il monitoraggio costante dei risultati sono elementi che puntano non solo a distribuire meglio le risorse, ma anche a misurare e valorizzare l’impatto degli investimenti pubblici. In questo contesto, i professionisti della consulenza fiscale e aziendale avranno un ruolo fondamentale: saranno i veri facilitatori dell’accesso agli incentivi, accompagnando imprese e partite IVA nel cogliere ogni opportunità.

Ma la vera sfida sarà l’attuazione: servono decreti chiari, tempistiche rispettate e piattaforme funzionanti sin dal primo trimestre 2026. Solo così il nuovo Codice potrà esprimere tutto il suo potenziale e diventare il motore di un nuovo rapporto di fiducia tra Stato e sistema produttivo.

Chi saprà muoversi per tempo, anticipare le modifiche e preparare le strategie di investimento e di risparmio fiscale già nei prossimi mesi, potrà beneficiare al massimo di questo cambiamento storico.

Cedolare secca affitti brevi 2026: nuova tassazione, regole e obblighi fiscali

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Il 2026 segna un punto di svolta per chi affitta immobili a uso turistico: la Legge di Bilancio 2026 introduce importanti novità sulla cedolare secca per gli affitti brevi, una misura fiscale che ha rappresentato, fino a oggi, uno dei regimi agevolati più vantaggiosi per i piccoli proprietari. Ma cosa cambierà davvero? Quali sono le modifiche proposte nella bozza della legge e quali invece gli emendamenti già sul tavolo?

Le nuove disposizioni puntano a rendere più rigido e selettivo l’accesso alla cedolare secca per i locatori non professionali, cercando di arginare fenomeni di evasione e allinearsi alle direttive europee e alle pressioni del mercato immobiliare. L’intento del Governo è quello di rafforzare i controlli e limitare gli abusi, introducendo modifiche sostanziali alla disciplina oggi in vigore.

Questo articolo approfondisce in modo chiaro e aggiornato la bozza della norma contenuta nella Legge di Bilancio 2026, gli emendamenti proposti e il dibattito politico in corso, l’impatto delle novità su chi affitta case per brevi periodi e le strategie legali per risparmiare sulle tasse nel nuovo scenario normativo.

Legge di Bilancio 2026 

Il Disegno di Legge di Bilancio 2026 introduce una modifica sostanziale alla disciplina fiscale degli affitti brevi, intervenendo direttamente sull’articolo 4 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017, n. 96). In base alla versione attualmente in bozza dell’articolo 7 del DDL, la tassazione sui redditi da locazione breve subirebbe un aumento generalizzato al 26%, sia per i privati locatori che per gli intermediari e i portali online che facilitano l’affitto degli immobili.

Nello specifico, il nuovo testo eliminerebbe la riduzione al 21% introdotta nel 2024, la quale permetteva di applicare l’aliquota agevolata almeno su un immobile per ciascun contribuente. Inoltre, anche la ritenuta operata dagli intermediari, attualmente al 21%, verrebbe innalzata al 26%, diventando un acconto d’imposta per chi non opta per la cedolare secca.

Questa impostazione, se confermata, comporterebbe un aggravio fiscale considerevole per i piccoli proprietari che gestiscono affitti turistici occasionali. Tuttavia, è già stato presentato un emendamento correttivo allo stesso articolo 7, che introduce un sistema di tassazione progressivo basato sul numero di immobili affittati, distinguendo chiaramente tra locazioni occasionali e attività d’impresa.

L’intento del legislatore è chiaro: limitare l’utilizzo della cedolare secca da parte di chi opera nel settore in modo sistematico e professionale, e al tempo stesso evitare penalizzazioni eccessive per chi mette in locazione solo una singola unità immobiliare a fini turistici.

Cedolare secca

Prima di analizzare le modifiche proposte per il 2026, è utile riepilogare brevemente le regole generali della cedolare secca, un regime fiscale facoltativo pensato per semplificare e alleggerire il carico fiscale sui redditi derivanti dagli immobili dati in locazione.

La cedolare secca si configura come una imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali (regionale e comunale), applicabile alla parte di reddito derivante dalla locazione. Aderendo a questo regime, il contribuente beneficia inoltre dell’esonero dal pagamento dell’imposta di registro e di bollo che normalmente sarebbero dovute per la registrazione, la risoluzione o la proroga del contratto di locazione.

Tuttavia, tale agevolazione comporta alcune rinunce. In particolare, non è possibile chiedere aggiornamenti del canone di locazione, nemmeno se previsti contrattualmente. Questo include anche l’adeguamento annuale all’indice ISTAT, una voce spesso presente nei contratti standard di affitto.

L’opzione per la cedolare secca può essere esercitata al momento della registrazione del contratto, ma anche negli anni successivi, in caso di contratti pluriennali. Se l’opzione non viene esercitata fin dall’inizio, la registrazione segue il regime ordinario e le imposte già versate (registro e bollo) non sono rimborsabili.

In sintesi, la cedolare secca rappresenta una forma di tassazione più snella e conveniente, soprattutto per i piccoli locatori. Tuttavia, con la Legge di Bilancio 2026, il suo impiego rischia di essere fortemente ridimensionato, soprattutto per chi possiede più immobili destinati alla locazione breve.

Nuove aliquote 

Alla bozza iniziale della Legge di Bilancio 2026, che prevedeva un aumento generalizzato al 26% per tutti gli affitti brevi, è stato proposto un emendamento correttivo volto a introdurre una tassazione differenziata e più equa, in base al numero di immobili locati dal contribuente. L’obiettivo è quello di evitare di penalizzare chi affitta una sola abitazione a fini turistici, distinguendolo da chi esercita un’attività con caratteristiche più imprenditoriali.

Secondo il nuovo testo emendativo dell’articolo 7, i redditi da contratti di locazione breve saranno tassati con aliquote progressive, nel seguente modo:

  • 21% per i redditi derivanti dalla locazione di una sola unità immobiliare, individuata dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi;

  • 26% per la seconda unità immobiliare destinata ad affitti brevi;

  • 30% per la terza e quarta unità immobiliare oltre alla seconda.

A partire dalla terza unità in poi, inoltre, l’attività sarà considerata di tipo industriale o imprenditoriale, comportando l’obbligo di apertura della partita IVA e l’applicazione della disciplina fiscale ordinaria per le imprese.

Questa proposta sembra aver trovato un ampio consenso politico, anche grazie all’intervento del Governo che, tramite una nota ministeriale, ha confermato l’intenzione di non penalizzare chi affitta una sola casa. Infatti, si legge: “Siamo tutti d’accordo sulla necessità di cancellare l’aumento dal 21 al 26% per chi affitta una sola casa.”

Se approvato, l’emendamento rappresenterebbe un compromesso tra esigenze fiscali e tutela dei piccoli proprietari, mantenendo l’agevolazione più bassa solo per chi affitta in modo saltuario e senza finalità imprenditoriali.

Affitti brevi 2026

Le modifiche previste dalla Legge di Bilancio 2026 avranno un impatto rilevante su migliaia di contribuenti che fino a oggi hanno scelto di affittare in modo occasionale uno o più immobili con finalità turistiche. Con l’introduzione delle aliquote progressive del 21%, 26% e 30%, la convenienza della cedolare secca si ridurrà sensibilmente per chi possiede più di un’abitazione destinata agli affitti brevi.

Chi dispone di una sola casa continuerà a beneficiare della tassazione agevolata al 21%, mentre per i multiproprietarisarà essenziale valutare attentamente la sostenibilità fiscale dell’attività. In particolare, chi arriverà a gestire tre o più unità immobiliari dovrà aprire partita IVA, affrontando obblighi contabili più complessi (fatturazione elettronica, liquidazioni IVA, tenuta registri) e rientrando nel regime fiscale ordinario delle imprese.

Per chi si troverà in questa situazione, sarà strategico valutare:

  • Il regime fiscale più adatto tra forfettario e ordinario;

  • La possibilità di trasformare l’attività in impresa familiare o costituire una società per ottimizzare il carico fiscale;

  • L’opportunità di affidarsi a property manager o intermediari che possano gestire l’attività nel rispetto delle nuove norme.

È inoltre consigliabile, già dal 2025, monitorare attentamente la propria posizione fiscale, simulando diversi scenari per capire quale sarà l’incidenza delle nuove aliquote sul proprio reddito.

Infine, ricordiamo che le novità impatteranno anche sugli intermediari e portali telematici, che dovranno applicare la ritenuta al 26% come acconto in caso di mancata opzione per la cedolare secca, un ulteriore elemento da considerare nella pianificazione fiscale.

Rischi da evitare

Uno degli aspetti più delicati della normativa sugli affitti brevi è il confine tra attività occasionale e attività imprenditoriale. Le nuove regole introdotte dalla bozza della Legge di Bilancio 2026, in particolare con la tassazione al 30% dalla terza unità immobiliare e l’obbligo di partita IVA, mirano a chiarire questo confine, ma anche ad aumentare i controlli per evitare abusi.

Fino a oggi, molti contribuenti sono riusciti a operare senza partita IVA anche con più immobili in affitto, appellandosi al concetto di attività non abituale.

Tuttavia, con l’introduzione del nuovo regime, sarà molto più facile per l’Agenzia delle Entrate qualificare l’attività come commerciale o imprenditoriale, soprattutto quando si:

  • gestiscono più immobili;

  • utilizzano portali online o agenzie per la promozione;

  • offrono servizi accessori come pulizia, check-in/check-out o noleggio;

  • svolge l’attività in modo continuativo e organizzato.

In questi casi, anche in assenza di apertura formale della partita IVA, il contribuente può essere sottoposto a verifiche fiscali e, se l’attività viene qualificata come impresa, può incorrere in accertamenti, sanzioni e recupero delle imposte non versate, oltre agli interessi.

Per evitare problemi, è importante conoscere le soglie di legge e la giurisprudenza, che sempre più spesso conferma la linea dell’Agenzia delle Entrate: la sistematicità e l’organizzazione dell’attività contano più del numero degli immobili. Da qui l’importanza di un corretto inquadramento fiscale già nel 2025, per arrivare preparati ai cambiamenti del 2026.

Cedolare secca o partita IVA

Con le nuove soglie introdotte dalla Legge di Bilancio 2026, sarà sempre più frequente che i proprietari si trovino di fronte a una scelta obbligata: continuare con la cedolare secca (possibilmente solo per un immobile) o passare a un regime d’impresa con apertura della partita IVA. La decisione non è solo fiscale, ma anche strategica, e può avere conseguenze rilevanti sul lungo termine.

Il regime della cedolare secca, con aliquota al 21% per il primo immobile (26% per il secondo e 30% dalla terza unità in poi), è certamente più semplice da gestire: non richiede obblighi contabili, niente fatturazione elettronica, e soprattutto esonera dal pagamento di IRPEF ordinaria, addizionali, imposta di registro e di bollo. Tuttavia, diventa molto meno conveniente man mano che aumentano gli immobili o l’organizzazione dell’attività.

Dall’altra parte, aprire partita IVA comporta l’assoggettamento al regime ordinario o al regime forfettario (se ne sussistono i requisiti), ma offre anche maggiori strumenti di deduzione e detrazione dei costi (utenze, manutenzioni, servizi di pulizia, commissioni agenziali, spese pubblicitarie, ecc.). Questo può essere vantaggioso soprattutto per chi ha spese importanti legate alla gestione degli immobili e punta a strutturare l’attività in modo professionale.

Inoltre, con la partita IVA è possibile offrire servizi accessori, gestire più immobili legalmente e aumentare la propria presenza online attraverso OTA (Online Travel Agencies) come Airbnb e Booking, senza il rischio di essere contestati come evasori.

Il consiglio, in vista del 2026, è di analizzare caso per caso, simulare il carico fiscale totale nei due regimi e affidarsi a un consulente per trovare la soluzione più efficiente e sostenibile.

Intermediari e portali digitali

Oltre ai proprietari di immobili, le nuove disposizioni contenute nella Legge di Bilancio 2026 coinvolgeranno in modo diretto anche gli intermediari immobiliari e i portali online che operano nel settore delle locazioni brevi. Le piattaforme digitali che facilitano l’incontro tra domanda e offerta di alloggi turistici, infatti, saranno chiamate a svolgere un ruolo fiscale attivo ancora più incisivo.

In base alla bozza della norma, i soggetti che intervengono nella riscossione dei canoni di locazione dovranno applicare una ritenuta d’acconto del 26% sull’importo versato al locatore, in linea con l’aliquota della cedolare secca prevista per la locazione breve. Attualmente, questa ritenuta è del 21%, ma il DDL prevede l’adeguamento automatico al nuovo livello di tassazione.

La ritenuta sarà effettuata anche in assenza di opzione per la cedolare secca, e rappresenterà in tal caso un acconto IRPEF. Questo comporta un ulteriore aggravio gestionale per i portali, che dovranno aggiornare i propri sistemi informatici e fiscali per garantire il corretto versamento delle imposte, il rilascio delle certificazioni ai locatori e l’invio delle comunicazioni all’Agenzia delle Entrate.

Le piattaforme, inoltre, potranno essere soggette a controlli più stringenti, con responsabilità dirette in caso di errori, omissioni o mancata trasparenza nei flussi di pagamento. L’inasprimento delle regole rappresenta una risposta del legislatore al crescente utilizzo delle locazioni turistiche online, con l’obiettivo di ridurre l’evasione e garantire equità fiscale tra operatori professionali e non.

In questo nuovo contesto, sarà fondamentale che anche i proprietari che utilizzano portali digitali siano informati sul funzionamento delle ritenute e sul corretto trattamento dei redditi percepiti.

Coperture finanziarie e incognite politiche

Nonostante il testo emendativo dell’articolo 7 abbia trovato un ampio consenso tecnico e politico, rimangono ancora alcune incognite legate alle coperture finanziarie necessarie per sostenere la riforma della cedolare secca. In particolare, il ritorno all’aliquota del 21% per la prima unità immobiliare rappresenta, per lo Stato, un mancato introito fiscale rispetto all’aumento generalizzato al 26% previsto inizialmente nella bozza.

Nel corso del vertice sulla Manovra 2026, i rappresentanti del Governo hanno confermato l’intenzione di non penalizzare chi affitta una sola casa, ma allo stesso tempo hanno sottolineato come le coperture per questa agevolazione restino un punto critico. Il Ministero dell’Economia sta lavorando a diverse ipotesi, tra cui:

  • Un maggiore gettito derivante dall’emersione dell’attività imprenditoriale occulta;

  • Una stretta sui controlli e sull’attività dei portali digitali;

  • L’introduzione di tetti massimi per il beneficio della cedolare secca nei Comuni ad alta tensione abitativa.

Finché non verrà approvato il testo definitivo, il rischio è che l’accordo politico raggiunto venga rimodulato, o che vengano introdotti criteri ulteriori per l’accesso all’aliquota del 21%, come limiti reddituali, geografici o temporali. Inoltre, le pressioni da parte delle associazioni del settore turistico e dei Comuni, che chiedono una regolamentazione più stringente degli affitti brevi per tutelare il mercato della locazione residenziale, potrebbero influenzare la stesura finale della norma.

Per questo motivo è fondamentale monitorare l’iter parlamentare della Legge di Bilancio 2026 e valutare già da ora strategie alternative per proteggere la propria posizione fiscale, in caso di modifiche dell’ultimo minuto.

Conclusione

Le modifiche introdotte dal DDL di Bilancio 2026 segnano un cambio di paradigma nella fiscalità degli affitti brevi in Italia. L’epoca della cedolare secca al 21% indistintamente per tutti sembra avviarsi verso una fine, lasciando spazio a un sistema più articolato e selettivo, con aliquote progressive che riflettono il grado di professionalizzazione dell’attività.

Se l’emendamento verrà approvato così com’è, il nuovo quadro normativo prevede:

  • Cedolare secca al 21% per un solo immobile destinato ad affitti brevi;

  • Aliquota al 26% per il secondo immobile;

  • Tassazione al 30% dalla terza unità in poi, con obbligo di apertura della partita IVA.

L’intento del legislatore è duplice: da un lato tutelare il gettito fiscale, dall’altro disincentivare la speculazione immobiliare nei centri urbani e turistici, dove gli affitti brevi hanno contribuito all’aumento dei canoni a lungo termine e alla carenza di alloggi per residenti.

Per i proprietari, il 2025 sarà un anno cruciale per ripensare la propria strategia fiscale e immobiliare. È consigliabile analizzare con attenzione:

  • La redditività reale dell’attività;

  • I costi di gestione e i margini di risparmio legale;

  • L’eventuale convenienza di aprire una partita IVA, magari scegliendo il regime forfettario.

In ogni caso, la pianificazione fiscale preventiva sarà essenziale per evitare errori, accertamenti o aggravi imprevisti. Rivolgersi a un professionista può fare la differenza tra un’attività redditizia e un’attività fiscalmente penalizzante.

Sport Bonus 2025 seconda finestra: elenco ammessi, scadenze e come ottenere il credito d’imposta del 65%

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Il Dipartimento per lo Sport ha pubblicato l’elenco dei soggetti ammessi alla seconda finestra dello Sport Bonus 2025, una misura fiscale che consente alle imprese di ottenere un credito d’imposta del 65% sulle erogazioni liberali effettuate per interventi su impianti sportivi pubblici o per la realizzazione di nuove strutture.

Le imprese selezionate dovranno effettuare i versamenti entro il 9 dicembre 2025, seguendo modalità precise e tracciabili, e trasmettere la documentazione richiesta attraverso la piattaforma online del Dipartimento.

La misura, rifinanziata con la Legge di Bilancio 2025 (art. 1, comma 246, L. n. 207/2024), si conferma come uno strumento di supporto alla riqualificazione dello sport pubblico, ma anche come opportunità di pianificazione fiscale per le aziende.

In questo articolo analizziamo cos’è lo Sport Bonus e a chi è rivolto, l’elenco degli ammessi nella seconda finestra 2025, come effettuare correttamente le erogazioni liberali, i benefici fiscali riconosciuti e soprattutto, come non perdere questa opportunità di risparmio legale e supporto al mondo sportivo.

Cos’è lo Sport Bonus

Lo Sport Bonus è un’agevolazione fiscale pensata per incentivare le erogazioni liberali a favore dell’impiantistica sportiva pubblica. Introdotto con l’art. 1, comma 621, della Legge di Bilancio 2018 (L. 205/2017), viene rifinanziato e aggiornato ogni anno per favorire la partecipazione di imprese e cittadini.

Nella sua forma attuale, lo Sport Bonus consente a:

  • Imprese (società di capitali e di persone);

  • Lavoratori autonomi;

  • Enti non commerciali

di ottenere un credito d’imposta pari al 65% delle somme donate, utilizzabile in compensazione tramite F24. Questo significa che, su 10.000 euro donati, ben 6.500 euro saranno recuperati tramite sconto fiscale.

Le donazioni devono essere finalizzate alla manutenzione, al restauro o alla realizzazione di impianti sportivi pubblici, anche gestiti da soggetti concessionari pubblici. Si tratta, dunque, di un’opportunità concreta per chi desidera coniugare responsabilità sociale d’impresa e ottimizzazione fiscale.

Elenco ammessi 

Il Dipartimento per lo Sport ha ufficialmente pubblicato l’elenco dei soggetti ammessi allo Sport Bonus 2025 – seconda finestra, ovvero coloro che possono effettuare donazioni in denaro per la manutenzione, riqualificazione o costruzione di impianti sportivi pubblici. Si tratta di un passaggio fondamentale del processo, che consente ai soggetti selezionati di proseguire con l’erogazione e ottenere il credito d’imposta del 65% previsto dalla normativa.

Scadenza cruciale: tutti gli ammessi dovranno effettuare le donazioni entro martedì 9 dicembre 2025. Il mancato rispetto della scadenza comporta la decadenza dal beneficio fiscale.

Le modalità di versamento ammesse sono rigorose e devono garantire la tracciabilità del pagamento. Ecco gli strumenti autorizzati:

  • Bonifico bancario;

  • Bollettino postale;

  • Carte di debito;

  • Carte di credito o prepagate;

  • Assegni bancari e circolari.

Dopo aver effettuato il pagamento, ogni beneficiario dovrà inviare un file unico tramite la piattaforma telematica del Dipartimento dello Sport, contenente:

  1. La quietanza di pagamento con causale “Sport Bonus 2025 seconda finestra”, completa di CRO o TRN;

  2. Il modulo che attesta la ricezione dell’erogazione da parte del soggetto destinatario.

Questa documentazione sarà poi trasmessa all’Agenzia delle Entrate, che provvederà a inserire il credito d’imposta nel cassetto fiscale del soggetto erogante.

Ricordiamo che l’estensione del beneficio allo Sport Bonus per l’anno 2025 è stata prevista dall’art. 1, comma 246, della Legge di Bilancio n. 207 del 30 dicembre 2024.

Il bonus è riservato esclusivamente alle imprese, che potranno godere del credito d’imposta in tre quote annuali di pari importo.

Sport Bonus 2025

Con la pubblicazione dell’avviso di apertura della seconda finestra il 15 ottobre 2025, prende ufficialmente il via la nuova fase dello Sport Bonus 2025, misura confermata e rifinanziata dalla Legge di Bilancio 2025 (art. 1, comma 246, L. n. 207/2024). La norma ricalca quanto previsto dalla precedente legge di bilancio 2019 (art. 1, commi da 621 a 626, L. 145/2018), consolidando una misura volta a favorire le erogazioni liberali da parte delle imprese italiane verso impianti sportivi pubblici.

Anche per il 2025, l’agevolazione è riservata esclusivamente alle imprese, che possono beneficiare di un credito d’imposta pari al 65% dell’importo erogato, da ripartire in tre quote annuali di pari valore.

Tuttavia, l’accesso al beneficio è subordinato al rispetto di alcune condizioni ben precise:

  • L’importo massimo che ciascuna impresa può destinare al bonus è pari al 10 per mille dei ricavi 2024;

  • L’ammontare complessivo dei crediti d’imposta concessi non può superare i 10 milioni di euro su base nazionale.

Come stabilito dal DPCM 30 aprile 2019, anche quest’anno il procedimento si articola in due finestre temporali, ciascuna della durata di 120 giorni:

  1. Prima finestra: aperta il 30 maggio 2025 (già conclusa);

  2. Seconda finestra: apertura il 15 ottobre 2025.

Le imprese interessate hanno 30 giorni di tempo dalla data di apertura (quindi fino al 14 novembre 2025) per presentare la domanda di ammissione tramite l’apposita piattaforma telematica del Dipartimento per lo Sport. Solo dopo l’approvazione sarà possibile procedere all’erogazione.

Una volta effettuata e certificata la donazione, il Dipartimento autorizzerà le imprese a fruire del credito d’imposta, trasmettendo i dati all’Agenzia delle Entrate per l’inserimento nel cassetto fiscale.

Procedura pratica

Una volta ammessi alla seconda finestra dello Sport Bonus 2025, le imprese beneficiarie devono prestare massima attenzione a rispettare le modalità e le scadenze previste per completare correttamente la procedura.

In particolare, le donazioni in denaro devono essere effettuate entro il 9 dicembre 2025 utilizzando strumenti di pagamento tracciabili e idonei secondo la normativa vigente.

Le forme di pagamento ammesse includono:

  • Bonifico bancario;

  • Bollettino postale;

  • Carte di debito, credito o prepagate;

  • Assegni bancari o circolari.

È obbligatorio inserire nella causale del versamento la dicitura: “Sport Bonus 2025 seconda finestra”, assicurandosi che siano visibili il CRO (Codice Riferimento Operazione) o il TRN (Transaction Reference Number).

Dopo il versamento, l’impresa dovrà caricare sulla piattaforma telematica del Dipartimento per lo Sport un file unico in formato PDF, contenente:

  1. La quietanza del pagamento effettuato;

  2. Il modulo di attestazione della ricezione della liberalità rilasciato dal soggetto destinatario della donazione.

Una volta completato l’invio, il Dipartimento per lo Sport trasmetterà i dati all’Agenzia delle Entrate, che provvederà a inserire nel cassetto fiscale dell’impresa il credito d’imposta spettante. Quest’ultimo potrà essere utilizzato in compensazione tramite modello F24, a partire dal periodo d’imposta successivo.

Attenzione: in assenza di uno dei documenti richiesti o di un errore nella causale del pagamento, il credito d’imposta potrebbe non essere riconosciuto. È quindi fondamentale farsi assistere da un professionista o da un consulente fiscale.

Vantaggi fiscali 

Aderire allo Sport Bonus 2025 non rappresenta solo un gesto di solidarietà verso il mondo dello sport pubblico, ma si traduce in un’importante opportunità di ottimizzazione fiscale per le imprese. Il principale beneficio è rappresentato dal credito d’imposta del 65%, che riduce significativamente l’onere fiscale in capo all’azienda.

Questo credito:

  • Non concorre alla formazione del reddito d’impresa né della base imponibile IRAP;

  • Può essere utilizzato in compensazione in tre quote annuali di pari importo;

  • È immediatamente visibile nel cassetto fiscale una volta completata la procedura con il Dipartimento per lo Sport e l’Agenzia delle Entrate.

Un aspetto particolarmente vantaggioso è la possibilità per le imprese di utilizzare questo strumento in un’ottica di pianificazione fiscale, specialmente in anni di utile elevato o di pressione fiscale significativa. Lo Sport Bonus, infatti, consente di trasformare una spesa in una leva fiscale, con un impatto positivo sul cash flow dell’azienda nei tre anni successivi.

Inoltre, c’è un importante ritorno in termini di responsabilità sociale d’impresa (CSR). Sostenere impianti sportivi pubblici significa contribuire attivamente al miglioramento del tessuto sociale e urbano, con riflessi positivi anche in termini di reputazione aziendale, marketing e posizionamento.

Infine, va sottolineato che lo Sport Bonus è un incentivo a capienza limitata: essendo il plafond nazionale pari a 10 milioni di euro, le imprese interessate farebbero bene a muoversi tempestivamente, per non rischiare di rimanere escluse una volta esaurite le risorse disponibili.

Guida operativa

Per ottenere correttamente il beneficio previsto dallo Sport Bonus 2025 – seconda finestra, ogni impresa deve seguire con precisione una serie di passaggi operativi, evitando errori formali che potrebbero compromettere il riconoscimento del credito d’imposta. Ecco una guida pratica in sei fasi fondamentali:

1. Verifica dei requisiti e dei limiti

L’impresa deve accertarsi di poter rientrare nel beneficio:

  • È riservato esclusivamente alle imprese;

  • L’importo massimo erogabile è pari al 10 per mille dei ricavi dell’anno 2024;

  • Il plafond complessivo nazionale è di 10 milioni di euro.

2. Domanda di ammissione

Dal 15 ottobre 2025 l’impresa ha 30 giorni di tempo (fino al 14 novembre 2025) per presentare la domanda di ammissione attraverso la piattaforma del Dipartimento per lo Sport.

3. Attesa dell’autorizzazione

Solo dopo la pubblicazione dell’elenco degli ammessi, sarà possibile effettuare la donazione. La procedura è selettiva e a graduatoria, quindi non tutte le domande potrebbero essere accolte.

4. Erogazione della liberalità

Effettuare il versamento entro il 9 dicembre 2025, con uno dei metodi ammessi (bonifico, bollettino, carte o assegni), inserendo correttamente la causale e conservando la ricevuta.

5. Invio documentazione

Caricare sulla piattaforma un file PDF unico contenente:

  • Quietanza di pagamento con CRO/TRN;

  • Attestazione della ricezione della liberalità da parte dell’ente beneficiario.

6. Fruizione del credito

Il Dipartimento trasmette i dati all’Agenzia delle Entrate, che inserisce l’importo nel cassetto fiscale dell’impresa. Il credito potrà essere compensato in tre rate annuali, utilizzando il modello F24.

È consigliato l’affiancamento da parte di un commercialista o consulente fiscale esperto, per evitare errori che possano causare l’inammissibilità del beneficio.

Conclusioni 

Lo Sport Bonus 2025, seconda finestra rappresenta una delle più interessanti agevolazioni fiscali attualmente a disposizione delle imprese italiane. Con un credito d’imposta del 65%, la possibilità di contribuire alla riqualificazione dello sport pubblico e un meccanismo di accesso definito e regolamentato, questa misura consente di trasformare un’erogazione liberale in un risparmio fiscale concreto e tracciabile.

Tuttavia, per beneficiare di questo incentivo è essenziale:

  • Effettuare la donazione entro e non oltre il 9 dicembre 2025;

  • Rispettare rigorosamente le modalità di pagamento e di invio della documentazione.

In un contesto economico dove ogni leva fiscale può fare la differenza, lo Sport Bonus offre vantaggi tangibili sia in termini finanziari che reputazionali. Partecipare significa supportare il sistema sportivo nazionale, ma anche fare una scelta fiscalmente intelligente.

Il consiglio, quindi, è quello di attivarsi subito, magari con l’assistenza del proprio consulente fiscale di fiducia, per non perdere una finestra temporale limitata e a capienza nazionale. Ricorda: i fondi si esauriscono e l’ordine cronologico conta.

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