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domenica 27 Luglio 2025
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Ravvedimento omessa dichiarazione IVA 2025: scadenza 29 luglio, sanzioni ridotte e regole operative

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Nel 2025 le dichiarazioni IVA omesse o errate sono sempre più facili da individuare per l’Agenzia delle Entrate. Grazie all’incrocio dei dati provenienti da fatturazione elettronica, corrispettivi telematici e altri archivi digitali, il Fisco è in grado di segnalare in tempo reale eventuali anomalie e inviare comunicazioni mirate ai contribuenti.

Proprio in questo contesto si inserisce il provvedimento del 3 luglio 2025, con cui le Entrate hanno ufficializzato l’avvio della procedura di ravvedimento operoso per l’omessa dichiarazione IVA relativa al periodo d’imposta 2024. I soggetti interessati hanno tempo fino al 29 luglio 2025 per sanare spontaneamente la propria posizione fiscale, evitando sanzioni pesanti e accertamenti futuri.

Il provvedimento si basa sull’art. 1, comma 636, della Legge 190/2014, che promuove una collaborazione attiva tra contribuente e Fisco, mettendo a disposizione anche della Guardia di Finanza i dati utili per evidenziare possibili omissioni o errori. Tra le irregolarità più comuni: assenza del quadro VE, dichiarazione con importi inferiori a quelli risultanti dalle fatture elettroniche, oppure mancata indicazione del quadro VJ in presenza di acquisti soggetti a reverse charge.

Questo articolo ti spiega tutto quello che devi sapere: chi deve ravvedersi, come farlo, quali sanzioni si applicano e quali vantaggi si ottengono agendo in tempo. Un’occasione da non perdere per chi vuole regolarizzare la propria posizione fiscale senza rischi.

Ravvedimento omessa dichiarazione IVA 2025

Negli ultimi anni, grazie all’integrazione tra fatturazione elettronica, corrispettivi telematici e controlli incrociati dei dati, l’Agenzia delle Entrate ha potenziato in modo significativo la capacità di individuare omissioni e incongruenze nelle dichiarazioni IVA. Il contribuente che spera di “sfuggire” a errori formali o alla mancata presentazione dell’IVA annuale ora deve fare i conti con un sistema di incrocio dati praticamente automatizzato.

Con il provvedimento del 3 luglio 2025, l’Agenzia delle Entrate ha ufficialmente aperto la finestra per l’adempimento spontaneo in relazione alla dichiarazione IVA 2025 riferita al periodo d’imposta 2024. L’obiettivo? Offrire al contribuente un’ultima possibilità per rimediare volontariamente a errori o omissioni, sfruttando il ravvedimento operoso, entro il 29 luglio 2025.

Le nuove regole applicano il principio di collaborazione preventiva tra Fisco e contribuente, previsto dall’art. 1, comma 636, della Legge n. 190/2014, che consente alle Entrate di rendere disponibili tutti gli elementi che evidenziano possibili irregolarità: dall’omessa presentazione della dichiarazione IVA, alla dichiarazione priva del quadro VE (in presenza di operazioni attive), fino all’assenza del quadro VJ nonostante l’acquisto di beni o servizi in reverse charge.

Questa apertura alla collaborazione, tuttavia, non è solo un gesto di trasparenza: rappresenta anche un ultimatum fiscale. Chi non regolarizza entro il 29 luglio potrebbe trovarsi esposto a verifiche, accertamenti e sanzioni piene. Ecco perché è fondamentale capire come funziona il ravvedimento, chi può beneficiarne, e quali sono le modalità operative previste.

Come l’ADE individua l’omissione

Con l’obiettivo di potenziare il dialogo tra Fisco e contribuente, il provvedimento del 3 luglio 2025 ha introdotto criteri chiari e trasparenti con cui l’Agenzia delle Entrate rileva l’omissione o l’infedeltà dichiarativa IVA. Grazie all’integrazione dei dati derivanti dalla fatturazione elettronica, dai corrispettivi telematici e da altre banche dati fiscali, è ora possibile incrociare in modo automatico le informazioni a disposizione dell’Amministrazione con quanto dichiarato dal contribuente.

Le situazioni che fanno scattare un’anomala segnalazione sono ben definite:

  • Mancata presentazione della dichiarazione IVA 2025 (relativa all’anno d’imposta 2024);

  • Presentazione della dichiarazione priva del quadro VE, oppure con un importo di operazioni attive inferiore a 1.000 euro, anche se dai dati delle fatture elettroniche risulta un volume d’affari ben superiore;

  • Assenza del quadro VJ, nonostante risultino fatture passive ricevute in reverse charge, come nel caso di acquisti da soggetti esteri o da fornitori italiani in ambiti soggetti a inversione contabile.

Queste segnalazioni vengono messe a disposizione non solo del contribuente, ma anche della Guardia di Finanza, attraverso strumenti informatici. Lo scopo è promuovere un ravvedimento tempestivo, che consenta di evitare conseguenze peggiori: controlli fiscali, recuperi d’imposta e sanzioni molto più elevate.

Il messaggio è chiaro: chi non ha presentato la dichiarazione o lo ha fatto in modo incompleto, ha oggi tutti gli strumenti per sapere che il Fisco se n’è accorto e per rimediare, prima che sia troppo tardi.

Procedura operativa

Per regolarizzare l’omessa dichiarazione IVA entro il termine del 29 luglio 2025, il contribuente deve seguire una procedura ben precisa, che si articola in due passaggi fondamentali: la presentazione della dichiarazione IVA e il versamento della sanzione ridotta tramite modello F24.

In primo luogo, è necessario trasmettere la dichiarazione IVA 2025 tramite i canali telematici dell’Agenzia delle Entrate (Entratel o Fisconline), indicando correttamente tutti i quadri, in particolare quelli VE (operazioni attive) e VJ (reverse charge), se applicabili. Nel caso in cui la dichiarazione sia stata già trasmessa in forma incompleta, è possibile presentare una dichiarazione integrativa.

Il secondo step consiste nel pagamento della sanzione ridotta per omessa dichiarazione, che — in base all’articolo 13 del D.Lgs. n. 472/1997 — può essere abbattuta fino a un decimo del minimo, se il ravvedimento viene effettuato entro 90 giorni. La sanzione minima ordinaria prevista è 250 euro, riducibile dunque a 25 euro, qualora non vi siano imposte dovute. Se invece sono dovute imposte, si applica il 75% dell’imposta non versata (in luogo del 120%), come previsto dal D.Lgs. 471/97.

Il versamento avviene con modello F24, utilizzando i codici tributo relativi alla dichiarazione IVA (ad esempio, 8911 per le sanzioni). È fondamentale indicare nella sezione “Erario” l’anno d’imposta di riferimento, ovvero 2024, e la causale corretta, specificando che si tratta di ravvedimento per dichiarazione omessa.

Completata la procedura, il contribuente conserva una posizione regolare e riduce il rischio di accertamenti futuri. Inoltre, dimostra un comportamento collaborativo e conforme alla normativa, elemento oggi sempre più rilevante anche in ottica di compliance fiscale.

Vantaggi fiscali

Effettuare il ravvedimento operoso entro il 29 luglio 2025 comporta vantaggi significativi sotto il profilo fiscale, economico e procedurale. La scelta di regolarizzarsi spontaneamente, infatti, permette non solo di evitare accertamenti e contenziosi, ma soprattutto di ridurre sensibilmente le sanzioni dovute in caso di omessa dichiarazione.

Il primo vantaggio è economico: la sanzione minima per omessa dichiarazione, pari a 250 euro, può essere ridotta fino a 25 euro se si presenta la dichiarazione entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria e si versa tempestivamente quanto dovuto. Se invece la dichiarazione omessa riguarda anche imposte IVA non versate, la riduzione prevista dal D.Lgs. 471/1997 passa dal 120% dell’imposta al 75%, ma solo se il ravvedimento avviene prima di qualsiasi attività ispettiva da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Un secondo vantaggio è procedurale: chi si ravvede evita la notifica di processi verbali di constatazione, avvisi bonari o accertamenti con adesione, che spesso comportano non solo aggravio sanzionatorio, ma anche spese accessorie come interessi e sanzioni supplementari. Inoltre, il contribuente che si ravvede dimostra un atteggiamento collaborativo, oggi particolarmente apprezzato in ottica di compliance fiscale e che può influenzare positivamente anche valutazioni future, come i punteggi ISA (Indici sintetici di affidabilità).

Infine, vi è anche un vantaggio reputazionale: le irregolarità IVA possono comportare responsabilità anche penali in caso di frode, e mantenere una posizione regolare con il Fisco tutela non solo la propria attività ma anche la credibilità commerciale dell’impresa nei confronti di clienti, fornitori e istituti di credito.

Cosa accade se non ci si ravvede

Ignorare la scadenza del 29 luglio 2025 e non procedere con il ravvedimento operoso per l’omessa dichiarazione IVA può avere conseguenze molto gravi sia dal punto di vista economico che legale. La dichiarazione IVA, se non presentata entro 90 giorni dal termine ordinario del 30 aprile 2025, viene considerata definitivamente omessa. Anche una eventuale trasmissione successiva non rimuove lo status di irregolarità, ma al massimo può mitigare in parte le sanzioni.

Nel dettaglio, la mancata presentazione della dichiarazione comporta:

  • Sanzione amministrativa dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di 250 euro, come previsto dall’articolo 5, comma 1, del D.Lgs. 471/1997;

  • Esclusione dalla possibilità di beneficiare del ravvedimento operoso con sanzioni ridotte;

  • Elevato rischio di ricevere un avviso di accertamento con recupero dell’imposta, sanzioni piene e interessi;

  • Possibile applicazione di accertamento induttivo o analitico-induttivo, con ricostruzione presuntiva del volume d’affari;

  • In casi più gravi, qualora l’omissione venga qualificata come fraudolenta, si può sconfinare anche nel penale tributario, con responsabilità penale a carico dell’amministratore (ai sensi del D.Lgs. 74/2000).

Inoltre, le Entrate hanno ormai accesso a una mole di dati estremamente precisa grazie a fatture elettroniche, corrispettivi giornalieri e strumenti di intelligenza artificiale. Questo rende quasi certo l’intercettamento delle omissioni, e riduce drasticamente il margine d’errore.

In conclusione, ignorare la scadenza del 29 luglio è un rischio concreto e costoso, che può compromettere la posizione fiscale dell’impresa per molti anni a venire. Il ravvedimento non è solo un’opzione: è spesso l’unica via per contenere i danni.

Lettera di compliance

Nel caso in cui il contribuente riceva una lettera di compliance dall’Agenzia delle Entrate, è fondamentale non ignorarla.

Queste comunicazioni, previste dal provvedimento del 3 luglio 2025, non sono accertamenti veri e propri, ma inviti alla regolarizzazione: segnalano la presenza di anomalie tra i dati dichiarati (o non dichiarati) e quelli in possesso del Fisco,

come ad esempio:

  • Presenza di fatture elettroniche emesse ma assenza di quadro VE nella dichiarazione;

  • Operazioni effettuate in reverse charge ma mancato inserimento del quadro VJ;

  • Volume d’affari anomalo rispetto alle informazioni acquisite da corrispettivi telematici.

La ricezione della lettera non comporta sanzioni immediate, ma è un segnale d’allarme che può essere sfruttato per procedere al ravvedimento operoso.

In questo caso, il contribuente dovrà:

  1. Analizzare i dati contenuti nella comunicazione e confrontarli con la propria contabilità;

  2. Se l’anomalia è reale, procedere con:

    • Presentazione della dichiarazione omessa o integrativa;

    • Versamento della sanzione ridotta tramite modello F24;

  3. Conservare copia della lettera e della documentazione relativa alla regolarizzazione per eventuali controlli futuri.

In alcuni casi, la comunicazione può contenere anche un link personalizzato per accedere al proprio cassetto fiscale, dove sono disponibili i dettagli puntuali delle irregolarità riscontrate. È consigliabile farsi assistere da un commercialista esperto in IVA per evitare errori e garantire una corretta gestione della pratica.

Rispondere in modo proattivo a queste comunicazioni consente non solo di evitare l’accertamento, ma anche di gestire in anticipo possibili problemi futuri, inserendosi nel percorso virtuoso di collaborazione tra contribuente e Fisco.

Esempi pratici 

Per comprendere meglio come applicare il ravvedimento operoso in caso di dichiarazione IVA omessa o incompleta, vediamo tre casi reali, tratti dalla prassi professionale e coerenti con quanto previsto dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate.

Caso 1 – Omessa dichiarazione con IVA dovuta

Una ditta individuale ha omesso la presentazione della dichiarazione IVA 2025 (anno d’imposta 2024), entro il 30 aprile. Dopo aver ricevuto una comunicazione di anomalia con riferimento a fatture elettroniche emesse per oltre 75.000 euro, il titolare decide di ravvedersi entro il 29 luglio 2025.

La ditta presenta la dichiarazione e versa l’IVA dovuta (ad esempio 9.000 euro) e la sanzione ridotta al 75%, cioè 6.750 euro, più interessi legali e sanzioni minori ridotte secondo quanto previsto dall’art. 13 del D.Lgs. 472/97.

Caso 2 – Dichiarazione presentata senza quadro VE

Una società ha regolarmente presentato la dichiarazione IVA, ma ha omesso di compilare il quadro VE, nonostante risultino emesse fatture elettroniche per oltre 50.000 euro. La comunicazione delle Entrate evidenzia la discrepanza.

Il contribuente, accorgendosi dell’errore, presenta una dichiarazione integrativa entro il 29 luglio, compilando correttamente il quadro VE e versando la sanzione per dichiarazione infedele ridotta a 1/9 del minimo: ad esempio, 27,78 euro in luogo dei 250 euro ordinari.

Caso 3 – Reverse charge non dichiarato (mancanza quadro VJ)

Un libero professionista ha acquistato servizi da una società estera nel 2024, ricevendo regolari fatture soggette a reverse charge. Tuttavia, nella dichiarazione IVA 2025 ha dimenticato di compilare il quadro VJ. Anche in questo caso arriva la lettera di compliance.

Il contribuente può correggere l’errore presentando una dichiarazione integrativa entro il 29 luglio e versando la sanzione ridotta, normalmente tra 25 e 50 euro, a seconda dell’imposta coinvolta e del tipo di errore.

Questi esempi dimostrano come un piccolo errore o una dimenticanza formale possa generare gravi conseguenze se ignorata, ma anche come il ravvedimento operoso consenta di rimediare con costi sostenibili, se agito per tempo.

Conclusione

Il ravvedimento operoso per omessa dichiarazione IVA 2025 rappresenta una delle ultime e più efficaci opportunità per evitare pesanti conseguenze fiscali, economiche e — nei casi più gravi — anche penali. L’Agenzia delle Entrate ha messo nero su bianco, con il provvedimento del 3 luglio 2025, tutti gli strumenti che il contribuente ha a disposizione per verificare la propria posizione e sanare tempestivamente eventuali omissioni o errori.

La scadenza del 29 luglio 2025 è il termine ultimo entro cui è ancora possibile beneficiare della massima riduzione delle sanzioni e presentare la dichiarazione (o l’integrativa) prima che vengano attivati accertamenti e controlli. Chi riceve una lettera di compliance o ha il dubbio di non aver correttamente compilato i quadri VE o VJ, deve intervenire subito.

Ignorare questa possibilità significa esporsi a sanzioni fino al 240% dell’IVA dovuta, oltre a interessi, accertamenti e verifiche invasive, mentre un ravvedimento tempestivo mette al riparo da futuri problemi con il Fisco e permette di gestire tutto in modo autonomo o con l’aiuto di un consulente.

Se non sei sicuro della tua situazione fiscale o vuoi procedere con il ravvedimento operoso in modo corretto e senza rischi, rivolgiti subito a un commercialista esperto in fiscalità IVA.

Un intervento rapido oggi può evitare una lunga e costosa vertenza domani.

Bonus Edicole 2025: contributi fino a 4.000 euro – Domande online entro il 30 luglio

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Il Bonus Edicole 2025 è ormai ai blocchi di partenza e rappresenta una misura economica concreta per sostenere uno dei settori più colpiti dalla crisi editoriale e dal calo della carta stampata. Introdotto con il Decreto del 5 giugno 2025 a firma del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, questo contributo economico offre un aiuto fino a 4.000 euro per le attività che vendono quotidiani e periodici, con l’obiettivo di preservare la rete distributiva dell’informazione sul territorio nazionale.

La finestra temporale per accedere al beneficio è breve: dal 1° al 30 luglio 2025 sarà possibile inviare la domanda tramite la piattaforma telematica dedicata. Ma chi può presentare domanda? Quali sono i requisiti richiesti e quali spese sono ammissibili? In questo articolo, ti guidiamo passo dopo passo nella lettura delle regole ufficiali, aiutandoti a capire se la tua attività rientra tra i beneficiari e come procedere correttamente con l’invio della richiesta.

Un’occasione da non perdere per chi gestisce un’edicola o una rivendita di giornali, soprattutto in un momento storico in cui la transizione digitale e la crisi del settore impongono nuove strategie di sostegno.

Quadro normativo e le spese ammesse

Il Bonus Edicole 2025 trova il suo fondamento giuridico nell’articolo 1 del DPCM del 17 aprile 2025, attuato con il Decreto del 5 giugno 2025 emanato dal Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria. Questa misura ha l’obiettivo di fornire un sostegno economico concreto alle imprese che gestiscono punti vendita esclusivi di giornali e riviste, contribuendo a coprire i costi operativi e tecnologici che gravano sulle piccole attività commerciali del settore.

Il contributo può arrivare fino a 4.000 euro per ogni impresa richiedente, e corrisponde al 60% delle spese sostenute per specifiche voci, tra cui:

  • Tributi locali, come IMU, TASI, CUP e TARI;

  • Canoni di locazione del locale adibito alla rivendita;

  • Utenze di energia elettrica, telefonia e collegamento a Internet;

  • Acquisto o noleggio di registratori di cassa o registratori telematici;

  • Acquisto o noleggio di dispositivi POS;

  • Altre spese per la trasformazione digitale e l’ammodernamento tecnologico dell’attività.

Un elemento importante da sottolineare è che l’agevolazione è concessa al netto dell’IVA, dove applicabile, e che è soggetta a un tetto di spesa complessivo di 10 milioni di euro. Questo significa che, in caso di domande eccedenti il plafond previsto, il contributo sarà riparametrato in proporzione al numero delle richieste ammesse.

Il quadro normativo, dunque, è ben definito e punta a incentivare gli investimenti tecnologici e digitali, oltre a coprire i costi di gestione ordinaria: un supporto essenziale per garantire la sopravvivenza e l’evoluzione delle edicole italiane.

Requisiti di ammissione

Non tutte le attività commerciali possono accedere al Bonus Edicole 2025: il decreto stabilisce requisiti precisi e rigorosi per garantire che il contributo sia destinato esclusivamente a chi opera in modo diretto e strutturato nel settore della distribuzione di stampa. Vediamo quali sono le condizioni essenziali da soddisfare per ottenere il beneficio.

In primo luogo, il richiedente deve esercitare in via esclusiva l’attività di rivendita di giornali e riviste, come dimostrabile attraverso l’iscrizione al Registro delle Imprese. È indispensabile che venga indicato il codice ATECO 47.62.10 – relativo al commercio al dettaglio di giornali, periodici e riviste – come codice primario e/o prevalente. In mancanza di tale classificazione, la domanda non sarà considerata ammissibile.

Inoltre, l’impresa non deve essere soggetta a procedure concorsuali in corso, come la liquidazione volontaria, coatta amministrativa o giudiziale. Questo requisito serve a escludere le attività non più operative o in fase di cessazione.

Infine, per le imprese che impiegano dipendenti, è necessario essere in regola con gli obblighi contributivi e previdenziali. Ciò significa che devono risultare versati i contributi INPS e gli eventuali premi INAIL previsti per legge, pena l’esclusione dal contributo.

Questi tre criteri costituiscono la base per l’accesso al beneficio: verificare in anticipo la conformità della propria attività è essenziale per evitare errori in fase di domanda e non perdere un’opportunità concreta di sostegno.

 Il contributo

Il Bonus Edicole 2025 si concretizza come un contributo a fondo perduto pari al 60% delle spese sostenute nel corso dell’anno precedente, ossia dal 1° gennaio al 31 dicembre 2024, al netto dell’IVA ove prevista. L’importo massimo erogabile è fissato in 4.000 euro per ciascun beneficiario e copre una serie di costi ben definiti, prevalentemente legati alla gestione ordinaria e all’innovazione tecnologica delle attività.

In dettaglio, le voci di spesa ammesse al contributo sono:

  • Tributi locali: IMU, TASI, CUP (Canone Unico Patrimoniale) e TARI;

  • Canoni di locazione dell’immobile destinato all’attività;

  • Servizi essenziali: energia elettrica, telefonia e connessione a Internet;

  • Tecnologia di cassa: acquisto o noleggio di registratori di cassa, registratori telematici e dispositivi POS;

  • Spese per la trasformazione digitale e l’ammodernamento tecnologico, come ad esempio software gestionali o strumenti per la digitalizzazione dei servizi di vendita.

È prevista anche una maggiorazione del contributo pari al 10% (sempre nel limite massimo di 4.000 euro), per le edicole che abbiano garantito l’apertura domenicale per almeno il 50% delle domeniche dell’anno di riferimento. Questo incentivo mira a sostenere le attività che, con sforzo aggiuntivo, contribuiscono a garantire un servizio informativo continuativo anche nei giorni festivi.

L’obiettivo della misura, oltre al sostegno economico diretto, è quello di favorire l’ammodernamento del settore e la continuità del servizio nei territori, specie nelle zone meno servite.

Come presentare la domanda

Per ottenere il Bonus Edicole 2025 è necessario presentare un’apposita domanda in via telematica, esclusivamente attraverso l’area riservata del portale www.impresainungiorno.gov.it, gestito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria.

Le domande possono essere inviate a partire dalle ore 10:00 del 1° luglio 2025 e non oltre le ore 17:00 del 30 luglio 2025. Oltre tale termine non sarà possibile inoltrare la richiesta, e non sono previste proroghe.

Durante la compilazione online, i richiedenti dovranno sottoscrivere una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, in conformità agli articoli 38 e 47 del DPR n. 445/2000. Questa dichiarazione, da compilare direttamente sulla piattaforma, serve ad attestare:

  • Il possesso dei requisiti previsti dal decreto (incluso il codice ATECO corretto e la regolarità contributiva);

  • Le spese effettivamente sostenute nel periodo 1° gennaio – 31 dicembre 2024, riconducibili alle voci ammissibili;

  • L’apertura domenicale in almeno il 50% delle domeniche, per accedere alla maggiorazione del contributo;

  • Gli estremi del conto corrente intestato al beneficiario su cui ricevere l’accredito del bonus.

È importante sottolineare che tutta la documentazione relativa alle spese dichiarate dovrà essere conservata ed esibita in caso di controlli successivi da parte dell’Amministrazione, anche per evitare sanzioni o la revoca del contributo.

Presentare la domanda in modo accurato e completo è fondamentale per non rischiare l’esclusione da una misura che può fare la differenza per molte attività in difficoltà.

Impatto economico

Il Bonus Edicole 2025 non è solo un contributo economico, ma rappresenta un intervento strategico per la sopravvivenza e la modernizzazione del comparto editoriale locale. In un contesto segnato dal crollo delle vendite della carta stampata, dalla crescita dell’informazione digitale e dalla chiusura progressiva dei punti vendita fisici, il sostegno pubblico si presenta come un’azione mirata per salvare le edicole e, con esse, la distribuzione capillare dell’informazione sul territorio.

La possibilità di recuperare fino al 60% delle spese annuali legate a gestione e tecnologia, consente alle imprese di liberare liquidità, investire in strumenti digitali, migliorare la relazione con i clienti e affrontare con più resilienza il cambiamento del mercato. Il contributo è quindi un’opportunità per accelerare un processo di rinnovamento troppo spesso rinviato per mancanza di risorse.

Inoltre, il premio previsto per le edicole che garantiscono l’apertura domenicale ha un valore sociale rilevante: premia chi contribuisce a mantenere vivo un presidio informativo fondamentale anche nei giorni festivi, in particolare in piccoli centri urbani e zone periferiche, dove spesso le edicole restano l’unico punto d’accesso all’informazione non digitale.

Nel medio periodo, queste misure possono contribuire non solo alla sopravvivenza delle edicole, ma anche al loro ripensamento come hub di servizi al cittadino, in grado di offrire anche pagamenti digitali, ricariche, biglietti e altri servizi di utilità quotidiana.

Errori da evitare 

La richiesta del Bonus Edicole 2025, sebbene gestita attraverso una procedura telematica snella, non è esente da rischi di errore che possono portare all’inammissibilità della domanda o, peggio, alla revoca del contributo anche dopo la sua erogazione. Proprio per questo è fondamentale prestare attenzione ad alcuni aspetti critici durante la compilazione e l’invio dell’istanza.

Uno degli errori più comuni riguarda il mancato aggiornamento del codice ATECO nel Registro delle Imprese: per accedere al beneficio, il codice 47.62.10 deve essere indicato come attività primaria o prevalente. È consigliabile verificare in anticipo i propri dati camerali ed effettuare eventuali modifiche tramite la propria associazione di categoria o un intermediario abilitato.

Altro punto critico è la compilazione imprecisa o incompleta della dichiarazione sostitutiva: tutti i dati devono essere coerenti, veritieri e riscontrabili. È bene, ad esempio, dichiarare solo spese realmente sostenute nel periodo ammesso (1° gennaio – 31 dicembre 2024), evitando errori di data o inserimenti non supportati da documentazione.

Una dimenticanza frequente riguarda l’IBAN del conto corrente: esso deve essere intestato all’impresa beneficiaria e non a persone fisiche, nemmeno in caso di ditta individuale. Errori su questo campo possono bloccare l’erogazione anche in caso di ammissione.

Infine, è fondamentale rispettare rigorosamente i termini di presentazione (entro le ore 17:00 del 30 luglio 2025): invii oltre la scadenza non sono in alcun modo recuperabili.

Prepararsi per tempo e, se possibile, farsi assistere da un commercialista esperto o da un’associazione di categoria può fare la differenza tra ottenere il contributo o vederselo sfumare per una banale svista.

Vantaggi fiscali

Oltre al contributo economico diretto, il Bonus Edicole 2025 genera vantaggi fiscali e finanziari indiretti che possono avere un impatto positivo e duraturo sulla gestione dell’impresa. In primo luogo, il rimborso del 60% delle spese sostenute consente alle edicole di recuperare liquidità su costi già affrontati nel 2024, migliorando la gestione della cassa e riducendo la necessità di ricorrere a finanziamenti esterni o scoperti bancari.

Questa maggiore disponibilità di risorse può essere reinvestita in strumenti digitali, marketing di prossimità, arredi, ristrutturazioni o altri interventi che migliorano l’attrattività e la competitività del punto vendita. La parte relativa all’ammodernamento tecnologico, inoltre, consente di portare in detrazione anche l’IVA ove ammessa, rafforzando il risparmio fiscale in fase di bilancio.

Dal punto di vista strategico, il bonus agisce anche come leva per spingere verso una diversificazione dei servizi offerti: dotarsi di POS, connessioni efficienti e sistemi di cassa moderni può aprire la porta all’offerta di servizi integrati (bollettini, biglietti, ricariche, servizi postali o di pagamento), rendendo l’edicola un hub multifunzione di pubblica utilità.

Infine, l’accesso al contributo è un elemento favorevole anche per ottenere futuri finanziamenti, bandi regionali o comunali, poiché dimostra la capacità dell’impresa di partecipare a misure pubbliche e di mantenere la conformità formale e contabile.

Conclusione

Il Bonus Edicole 2025 rappresenta un’opportunità concreta e immediata per sostenere economicamente le rivendite di giornali e riviste, in un momento storico in cui il settore affronta profondi cambiamenti. Con un contributo fino a 4.000 euro, rimborsabile al 60% delle spese sostenute nel 2024, le edicole possono alleggerire il peso fiscale, investire in innovazione tecnologica e rilanciare la propria attività sul territorio.

La domanda va presentata entro le ore 17:00 del 30 luglio 2025, esclusivamente online sul portale online. Chi non rispetta i requisiti o commette errori formali rischia di perdere l’agevolazione, per cui è fondamentale agire con attenzione e tempestività.

Per le imprese del settore, il bonus non è solo un ristoro economico, ma anche uno strumento di rilancio, utile a trasformare le edicole in punti di servizio moderni, digitali e funzionali. Chi vuole restare competitivo nel mercato dell’informazione locale non può permettersi di trascurare questa occasione.

Affidati a un professionista per compilare la domanda correttamente e assicurati di avere tutta la documentazione necessaria.

Il tempo stringe, ma con una buona pianificazione il Bonus Edicole 2025 può diventare un alleato prezioso per il futuro della tua attività.

Ddl Agricoltura 2025 approvato: incentivi a giovani, filiere, innovazione e sovranità alimentare

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Ddl Agricoltura 2025, un pacchetto di misure strategiche per rilanciare il settore agricolo italiano.

In questo articolo analizziamo nel dettaglio tutti gli incentivi previsti: fondi per giovani agricoltori, filiere strategiche, innovazione tecnologica, accesso facilitato ai terreni pubblici, sostegno contro le emergenze fitosanitarie e nuove norme su vino, olio e uova. Un piano ambizioso che punta su sovranità alimentare, sostenibilità e coesione territoriale.

Ddl Agricoltura 2025 approvato

Il 24 luglio 2025 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge (Ddl) collegato alla manovra di bilancio 2025-2027, che punta a rilanciare il comparto agricolo italiano attraverso misure concrete e mirate. Il testo legislativo, denominato “Ddl Agricoltura 2025”, rappresenta un tassello chiave nella programmazione economico-finanziaria del Governo, ponendo il settore primario al centro della strategia nazionale per la sovranità alimentare, la coesione territoriale e la transizione ecologica.

L’agricoltura torna quindi ad avere un ruolo centrale nella crescita del Paese: non solo come comparto produttivo, ma anche come elemento strategico per affrontare le sfide legate alla sicurezza degli approvvigionamenti, all’equilibrio sociale delle aree interne e rurali, e alla riconversione ecologica. Il Ddl interviene su più fronti: incentivi fiscali e contributivi per i giovani agricoltori, semplificazione normativa per le imprese agricole, potenziamento delle filiere strategiche (agroalimentare, zootecnia, cerealicola, vitivinicola), digitalizzazione e innovazione tecnologica.

Si tratta di un disegno ambizioso che apre nuove opportunità per chi opera o intende investire in agricoltura, e allo stesso tempo offre risposte concrete ai problemi che da anni penalizzano la competitività del comparto: incertezza normativa, scarsa redditività, carenza di manodopera qualificata, eccessiva burocrazia. Questo intervento legislativo potrebbe davvero segnare un prima e un dopo per il sistema agricolo italiano.

Misure principali 

Il cuore del Ddl Agricoltura 2025 è rappresentato da un pacchetto strutturato di misure economiche e fiscali volte a sostenere la produzione agricola italiana, con un’attenzione specifica alla sovranità alimentare e al rafforzamento delle filiere locali. Tra le disposizioni più rilevanti figura l’incremento del Fondo per la Sovranità Alimentare, la cui dotazione sarà potenziata con 30 milioni di euro nel 2026 e 40 milioni nel 2027. Un segnale forte da parte del Governo, che punta ad accrescere la resilienza e l’autosufficienza dell’agricoltura nazionale, riducendo la dipendenza dall’estero.

In parallelo, è stato previsto un investimento triennale (2026-2028) pari a 300 milioni di euro, finalizzato al rilancio delle filiere agricole strategiche, alla valorizzazione delle produzioni locali, al contrasto allo spopolamento delle aree interne e al sostegno all’allevamento di vitelli autoctoni, risorsa fondamentale per il mantenimento della biodiversità zootecnica.

Queste misure mirano non solo a incentivare la produzione interna, ma anche a generare benefici a lungo termine per l’economia rurale e per la sicurezza degli approvvigionamenti. Il potenziamento delle filiere rappresenta una leva chiave per l’occupazione giovanile, la competitività delle imprese agricole e la coesione territoriale, rafforzando il legame tra agricoltura, territorio e comunità locali.

L’Italia può davvero tornare a essere una potenza agricola: vediamo ora nel dettaglio le agevolazioni pensate per le singole filiere produttive.

Contratti di filiera e rilancio della zootecnia

Tra gli strumenti più innovativi introdotti dal Ddl Agricoltura 2025 figura il credito d’imposta fino al 40% per gli investimenti nei contratti di filiera del frumento, destinato alle imprese di trasformazione agroalimentare che stipulano accordi triennali, quadriennali o quinquennali con produttori agricoli italiani. Lo scopo è rafforzare la produzione nazionale di frumento, migliorare la qualità dei prodotti trasformati e sostenere la filiera cerealicola nazionale, storicamente penalizzata dalla concorrenza estera e dall’andamento incerto dei mercati. Il bonus, valido per l’anno 2026, è pari a un plafond complessivo di 10 milioni di euro, e potrà essere utilizzato per l’acquisto di macchinari e per attività di ricerca e sviluppo.

Un altro intervento fondamentale è il piano straordinario di sostegno alla filiera vacca-vitello, che prevede 300 milioni di euro nel triennio 2026-2028. La misura nasce con l’obiettivo di contrastare l’eccessiva dipendenza dall’importazione di capi bovini e incentivare la produzione nazionale di carne attraverso:

  • l’acquisto e l’allevamento di manze selezionate;

  • l’utilizzo di incroci per la produzione di carne;

  • lo svezzamento e l’accrescimento dei vitelli nati in Italia.

I contributi saranno ripartiti in modo strategico: 70% destinato alla filiera carne e 30% alla filiera mista carne-latte. Una scelta coerente con la volontà di promuovere un’agricoltura sostenibile, più autonoma e radicata nei territori.

Si tratta di un’opportunità concreta per le aziende agricole italiane di investire in qualità, innovazione e stabilità contrattuale.

Imprenditoria agricola giovanile e femminile

Uno degli obiettivi dichiarati del Ddl Agricoltura 2025 è favorire il ricambio generazionale e promuovere l’accesso alla terra da parte delle nuove generazioni e delle donne, categorie ancora oggi sotto-rappresentate nel settore agricolo. A tal fine, il disegno di legge prevede un rifinanziamento da 150 milioni di euro in tre anni (2026-2028), destinato a sostenere l’imprenditoria giovanile e femminile, mediante l’intervento previsto dal D.lgs. 185/2000. Si tratta di un pacchetto di agevolazioni che include contributi a fondo perduto, finanziamenti agevolati e incentivi per l’acquisto di beni strumentali.

Ma il vero salto di qualità arriva con le misure sul riutilizzo produttivo dei terreni agricoli pubblici e incolti. L’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) sarà autorizzata a concedere in comodato gratuito i propri terreni agricoli a giovani tra i 18 e i 40 anni, con un diritto di opzione all’acquisto agevolato dopo 10 anni di attività agricola continuativa. Una misura che può rappresentare un vero punto di svolta, soprattutto nelle regioni del Sud e nelle aree interne.

In parallelo, i Comuni dovranno istituire una “banca comunale delle terre”, che permetterà di censire, recuperare e riassegnare in affitto i terreni abbandonati o non coltivati, favorendo l’insediamento di nuovi agricoltori e il recupero del patrimonio agricolo in disuso.

La terra torna così un bene comune, generatore di opportunità economiche, occupazione e rigenerazione territoriale.

Emergenze agricole e sanitarie

Il Ddl Agricoltura 2025 affronta anche una delle questioni più urgenti e trascurate degli ultimi anni: le emergenze fitosanitarie e zootecniche che minacciano la sostenibilità del comparto agricolo. Per fronteggiare questi fenomeni, il disegno di legge prevede l’attivazione di un piano nazionale da 300 milioni di euro, finalizzato al contrasto della Xylella fastidiosa e di altre fitopatie che colpiscono l’olivicoltura, in particolare nel Sud Italia.

Questa misura è particolarmente attesa in regioni come Puglia, Calabria e Sicilia, dove la Xylella ha già compromesso migliaia di ettari di oliveti, con conseguenze economiche e ambientali devastanti. Il piano punterà al monitoraggio fitosanitario, alla sostituzione delle piante infette, alla ricerca di varietà resistenti e alla formazione degli operatori agricoli per la prevenzione e il contenimento della malattia.

Un ulteriore stanziamento è previsto per fronteggiare la peste suina africana (PSA), emergenza zootecnica che minaccia l’intera filiera suinicola italiana. A tal fine, il Ddl prevede 3 milioni di euro in contributi per le aziende di macellazione, destinati a coprire i costi di congelamento e stoccaggio dei suini provenienti da zone colpite.

Infine, per le imprese colpite da epizoozie nel corso del 2025, è prevista la sospensione per 12 mesi del rimborso dei finanziamenti bancari e agevolati, misura che offre un sollievo immediato in termini di liquidità, evitando il rischio di insolvenza e favorendo il proseguimento dell’attività produttiva.

Un approccio preventivo e reattivo che dimostra come la tutela fitosanitaria sia diventata una priorità strategica per la sicurezza alimentare nazionale.

Nuove regole per vino, olio e uova

Il Ddl Agricoltura 2025 interviene in modo puntuale anche su tre pilastri della produzione agroalimentare italiana: vino, olio e uova, introducendo norme che mirano a semplificare gli adempimenti burocratici, migliorare la trasparenza nei confronti dei consumatori e tutelare la qualità delle produzioni.

Per quanto riguarda il vino, viene introdotta una semplificazione per la gestione delle fecce di vino e si stabiliscono regole chiare per la produzione e la commercializzazione del vino dealcolizzato, un segmento in forte crescita, soprattutto nei mercati esteri. Queste norme rispondono a un’esigenza di chiarezza normativa, indispensabile per permettere alle aziende vinicole italiane di innovare senza inciampare in ambiguità regolatorie.

Sul fronte dell’olio extravergine di oliva, il provvedimento introduce nuovi obblighi di etichettatura per le miscele contenenti olio vergine d’oliva, con l’obiettivo di garantire maggiore trasparenza per i consumatori e contrastare le pratiche ingannevoli. Una scelta in linea con le richieste delle associazioni di categoria e dei produttori, che da anni chiedono una maggiore tutela del valore del prodotto italiano.

Infine, il Ddl stabilisce nuovi criteri per la stampigliatura delle uova, che dovrà avvenire nel luogo di produzione o nel primo centro di imballaggio, migliorando così la tracciabilità. Sono previste esenzioni per i piccoli allevamenti, per evitare che le nuove norme diventino un onere eccessivo per le microimprese agricole.

Semplificare e tutelare la qualità: è questo il binomio con cui il Ddl Agricoltura punta a valorizzare il vero made in Italy agricolo.

Ritorno alla terra

Uno degli ostacoli principali all’insediamento di nuove imprese agricole, soprattutto da parte di giovani e neo-imprenditori, è l’accesso alla terra coltivabile. Il Ddl Agricoltura 2025 affronta direttamente questo problema con due misure strategiche e di lungo respiro. La prima prevede che ISMEA possa concedere in comodato gratuito i propri terreni agricoli a giovani di età compresa tra 18 e 40 anni, per favorire l’avviamento di nuove attività agricole. Ma non è tutto: dopo 10 anni di utilizzo continuativo, i beneficiari avranno diritto di opzione per l’acquisto agevolato del terreno, a condizioni estremamente vantaggiose. Una misura che promuove non solo l’inserimento lavorativo giovanile, ma anche la stabilità d’impresa nel tempo.

In parallelo, il disegno di legge obbliga i Comuni a istituire una “banca comunale delle terre”, un registro pubblico che censirà i terreni agricoli abbandonati o inutilizzati nei rispettivi territori. Questi terreni potranno essere riassegnati in affitto a nuovi imprenditori agricoli, attraverso bandi trasparenti e accessibili, contribuendo così al recupero del paesaggio rurale e al contrasto dello spopolamento delle aree interne.

Queste iniziative vanno ben oltre il sostegno economico: rappresentano un cambio di paradigma, in cui la terra torna a essere una risorsa sociale ed economica da condividere, innescando processi di rigenerazione locale e creando valore anche in contesti marginali.

Rimettere in produzione le terre inutilizzate significa ridare vita a interi territori e creare nuove opportunità per l’agricoltura di domani.

Considerazioni finali 

Il Ddl Agricoltura 2025 si presenta come una delle riforme più ambiziose e organiche degli ultimi anni nel panorama agricolo italiano. Non si limita a introdurre incentivi economici, ma propone una visione complessiva che mette al centro la sovranità alimentare, la coesione territoriale e la transizione ecologica, come pilastri fondamentali per il rilancio del comparto primario.

Il rafforzamento delle filiere, il sostegno all’imprenditoria giovanile e femminile, l’accesso facilitato alla terra, gli interventi per le emergenze sanitarie, insieme alla digitalizzazione e alla semplificazione normativa, compongono un mosaico coerente di azioni che mirano a rendere l’agricoltura italiana più resiliente, competitiva e sostenibile.

L’obiettivo non è solo quello di tutelare le produzioni nazionali e contrastare le crisi attuali, ma anche di preparare il sistema agricolo alle sfide future: cambiamenti climatici, sicurezza alimentare, nuove abitudini di consumo, richiesta crescente di qualità e tracciabilità.

Per le imprese agricole, i giovani agricoltori e gli investitori, questo disegno di legge rappresenta una grande occasione per innovare, crescere e contribuire a un modello di sviluppo più giusto e duraturo. L’Italia, con le sue eccellenze e le sue aree interne da valorizzare, può e deve tornare a essere un punto di riferimento internazionale nel settore agroalimentare.

La vera sfida sarà ora l’attuazione efficace e tempestiva di queste misure, affinché non restino solo sulla carta ma diventino realtà per chi vive e lavora la terra.

Fiscalità green ed energie rinnovabili: le novità del Decreto Omnibus 2025

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Si parla sempre più insistentemente, giorno dopo giorno, della necessità per le imprese italiane di riconvertire la propria struttura operativa, strategica ed energetica in funzione di un modello sostenibile e orientato all’autoconsumo da fonti rinnovabili. Il tema è centrale, non solo per motivi ambientali, ma soprattutto economici e strategici: ridurre i costi energetici, garantire stabilità nel lungo periodo, e valorizzare investimenti innovativi sono oggi elementi imprescindibili per chi vuole rimanere competitivo sul mercato.

Ma per rendere questa transizione davvero possibile, è essenziale che il quadro normativo e fiscale sia chiaro, accessibile e incentivante. È in questo contesto che il Decreto Omnibus 2025, recentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale, rappresenta un tassello fondamentale. Con una serie di misure orientate alla semplificazione burocratica, all’agevolazione fiscale e alla valorizzazione dell’autoconsumo collettivo, il decreto promette di agevolare concretamente famiglie, imprese e professionisti che intendono puntare sulle energie rinnovabili.

Tra le novità più rilevanti: il rafforzamento del Superbonus 110% per l’installazione di pompe di calore, un nuovo credito d’imposta per l’installazione di colonnine di ricarica elettrica, e regole più favorevoli per le comunità energetiche. In questo articolo analizzeremo nel dettaglio tutte queste misure, spiegando come funzionano, a chi spettano, e  come possono aiutare a risparmiare sulle tasse in modo legale ed efficace.

Credito d’imposta fino al 50%

Tra le novità più significative introdotte dal Decreto Legge n. 95/2025 (Decreto Omnibus) spiccano le misure a favore dell’autoconsumo collettivo di energia da fonti rinnovabili. L’obiettivo è chiaro: incentivare gruppi di utenti – dai condomìni alle comunità energetiche rinnovabili (CER) fino alle aggregazioni territoriali – a produrre e consumare energia in maniera condivisa, riducendo la dipendenza dalla rete e favorendo la sostenibilità.

La norma prevede la possibilità di accedere a un nuovo credito d’imposta parametrato all’energia effettivamente autoprodotta e consumata all’interno del gruppo. Si tratta di un incentivo concreto che contribuisce a rimuovere le barriere economiche e strutturali per quei soggetti che, da soli, non avrebbero spazio o risorse per installare un impianto individuale.

Nel dettaglio, il credito d’imposta può arrivare a coprire fino al 50% delle spese sostenute, includendo voci fondamentali come la progettazione, l’installazione e la connessione degli impianti alla rete elettrica. Un intervento fiscale importante, che ha il merito di rendere più conveniente e meno rischioso l’investimento iniziale, favorendo così l’adesione a modelli energetici collaborativi e innovativi.

Questa misura, oltre ad avere un impatto ambientale positivo, si configura anche come una leva fiscale strategica, in grado di generare risparmi tangibili sulla bolletta energetica e di consolidare la sostenibilità economica dei soggetti coinvolti.

Superbonus 110% 

Il Decreto Omnibus 2025 ha confermato una delle agevolazioni più attese e strategiche in materia di riqualificazione energetica degli edifici: l’estensione del Superbonus 110% agli interventi trainanti relativi all’installazione di pompe di calore alimentate da fonti rinnovabili. Una misura che rafforza la competitività di questi impianti rispetto alle soluzioni tradizionali basate su combustibili fossili, ormai escluse dagli incentivi.

La detrazione al 110% è valida per interventi su parti comuni condominiali, a patto che si realizzi un miglioramento di almeno due classi energetiche. Il tetto massimo agevolabile è pari a 30.000 euro per unità immobiliare, includendo tutte le spese sostenute per l’installazione e l’adeguamento dell’impianto.

Accanto al Superbonus, resta attivo anche il Conto Termico GSE, che prevede contributi fino al 65% per l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. Possono beneficiarne privati, imprese e pubbliche amministrazioni. Le richieste vanno presentate attraverso il portale del GSE, con possibilità di pagamento in un’unica soluzione (se sotto i 5.000 euro) o in rate da 2 a 5 tranche.

Per accedere all’incentivo, l’impianto installato deve contribuire in modo concreto al miglioramento dell’efficienza energetica e rispettare criteri tecnici ben definiti: sono escluse le tecnologie a combustibili fossili, mentre sono ammesse le pompe di calore elettriche ad alta efficienza, quelle geotermiche e gli impianti ibridi preassemblati.

Le spese ammissibili comprendono una vasta gamma di interventi: smontaggio dell’impianto esistente, installazione della nuova pompa, opere murarie, adeguamenti tecnici e onorari professionali. Una struttura di incentivi che rende l’efficientamento energetico non solo sostenibile ma anche economicamente vantaggioso.

Colonnine di ricarica

Con l’aumento esponenziale della mobilità elettrica in Italia, il Decreto Omnibus 2025 introduce un nuovo e atteso incentivo fiscale dedicato all’installazione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici, sia in ambito privato che condominiale. Si tratta di un credito d’imposta pari al 50% delle spese sostenute, finalizzato a favorire una transizione energetica più capillare e accessibile.

L’agevolazione include anche le spese relative alla realizzazione delle reti elettriche interne, ampliando la portata dell’intervento e garantendo una maggiore flessibilità operativa. L’obiettivo è chiaro: accelerare la diffusione delle infrastrutture di ricarica, rendendo più conveniente l’investimento per cittadini, imprese e amministrazioni locali.

Un aspetto particolarmente interessante di questa misura riguarda la compatibilità con altri incentivi già in vigore, come quelli per impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo. Chi decide di realizzare un ecosistema energetico integrato – composto da impianto fotovoltaico, batterie di accumulo e colonnine di ricarica – potrà così beneficiare di una struttura di agevolazioni coordinate, in grado di massimizzare l’efficienza e ridurre i costi.

In pratica, il sistema premia chi investe in soluzioni complete e sostenibili, riconoscendo un vantaggio fiscale importante e strategico. L’approccio trasversale del decreto consente di trasformare l’intervento in un moltiplicatore di efficienza energetica, contribuendo in modo diretto alla decarbonizzazione del settore dei trasporti.

Comunità Energetiche Rinnovabili

Il Decreto Omnibus 2025 interviene in modo deciso sul fronte delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), riconoscendo il loro ruolo chiave nella transizione ecologica e nella promozione dell’autoconsumo diffuso. Uno degli ostacoli maggiori alla loro diffusione è sempre stato di natura burocratica. Per questo il decreto introduce un regime semplificato di comunicazione con l’Agenzia delle Entrate, che prevede un’unica istanza contenente dati essenziali come: numero di partecipanti, tipologia dell’impianto, localizzazione e capacità produttiva.

Una volta accolta la richiesta, la CER beneficia degli stessi incentivi fiscali previsti per l’autoconsumo collettivo, compreso il credito d’imposta fino al 50%. L’obiettivo è quello di favorire lo sviluppo rapido di progetti locali, rendendo più semplice la creazione di aggregazioni tra cittadini, imprese e amministrazioni, con vantaggi sia ambientali che economici.

Importanti anche le tempistiche operative previste dalla norma: gli impianti dovranno essere completati entro il 30 giugno 2026 ed entrare in piena operatività entro il 31 dicembre 2027. Per agevolare l’avvio dei progetti, è prevista la possibilità di ricevere un anticipo pari al 30% del contributo spettante, a condizione che sia presentato un piano finanziario strutturato.

Tra le novità più interessanti, spicca anche l’esclusione di riduzioni sul contributo in caso di cumulo con altri incentivi: questo rende l’investimento ancora più appetibile, in particolare per le persone fisiche, che ora possono accedere a forme di sostegno integrate e cumulative. Inoltre, il decreto estende i nuovi benefici anche a progetti già avviati prima dell’entrata in vigore, premiando così chi ha scelto in anticipo la via dell’energia condivisa.

Cumulabilità

Uno degli elementi di maggior interesse del Decreto Omnibus 2025 è la possibilità di combinare più forme di agevolazione fiscale per ottenere un ritorno economico ancora più vantaggioso. In un contesto normativo in cui spesso si è dovuto scegliere tra un bonus e l’altro, oggi la parola d’ordine diventa integrazione: fotovoltaico, accumulo, colonnine di ricarica e pompe di calore possono rientrare in un ecosistema energetico coordinato e fiscalmente incentivato.

Nel dettaglio, il credito d’imposta per l’autoconsumo collettivo (fino al 50%) è cumulabile con il Conto Termico GSE e con il Superbonus 110%, purché ciascuno venga applicato a spese diverse o in fasi differenti del progetto. Anche il credito per le colonnine di ricarica può essere associato agli altri benefici se il contribuente è in grado di documentare con precisione le spese sostenute e rispettare i limiti imposti dalle normative.

Fondamentale è la pianificazione fiscale preventiva, da realizzare con l’assistenza di un consulente esperto, in modo da evitare errori nella compilazione delle istanze o nel rispetto dei requisiti tecnici. Ricordiamo che gli incentivi per le pompe di calore, ad esempio, richiedono specifiche certificazioni energetiche e l’ottenimento del doppio salto di classe, mentre per le CER serve una struttura organizzativa formalizzata.

Un altro aspetto rilevante è che, a differenza di quanto accadeva in passato, il decreto non prevede una riduzione del contributo in caso di cumulo con altri incentivi, rendendo conveniente progettare interventi complessi, integrati e capaci di generare risparmio fiscale pluriennale.

Imprese green

Il Decreto Omnibus 2025 riserva grande attenzione anche al mondo produttivo, con l’introduzione di misure fiscali pensate per favorire la transizione energetica delle imprese, soprattutto piccole e medie, che decidono di investire in tecnologie pulite. Una delle novità più rilevanti riguarda l’ammortamento accelerato per impianti da fonti rinnovabili e sistemi di accumulo.

Questa misura consente di dedurre fiscalmente in tempi più rapidi i costi sostenuti per l’acquisto e l’installazione degli impianti, riducendo in modo significativo il carico fiscale nei primi anni successivi all’investimento. Il vantaggio è duplice: miglioramento del cash flow e recupero immediato di liquidità, elementi fondamentali per le imprese che operano in contesti altamente competitivi o che stanno affrontando la fase di transizione verso modelli di business più sostenibili.

Il decreto prevede inoltre la possibilità di cumulare queste agevolazioni con i crediti d’imposta derivanti dalla vendita dell’energia prodotta, rendendo il modello di autoconsumo non solo sostenibile ma anche economicamente redditizio. Questo rappresenta un’opportunità strategica per start-up, PMI e imprese innovative a vocazione green, che potranno così strutturare piani industriali energeticamente autonomi e fiscalmente ottimizzati.

L’obiettivo è chiaro: favorire la riconversione ecologica del tessuto produttivo italiano, semplificando l’accesso agli incentivi e riducendo i tempi di rientro degli investimenti. Il Fisco, in questo contesto, non è più solo regolatore, ma leva di sviluppo economico e ambientale.

Conclusione

Il Decreto Omnibus 2025 rappresenta un vero cambio di paradigma nel rapporto tra fisco, energia e investimenti. Mai come oggi il sistema fiscale italiano si mostra così apertamente favorevole a chi decide di orientare le proprie scelte verso l’autoconsumo energetico, la produzione da fonti rinnovabili e la creazione di modelli collettivi e sostenibili.

Le misure introdotte non solo garantiscono detrazioni elevate, crediti d’imposta cumulabili e agevolazioni anticipate, ma semplificano anche l’iter burocratico, riducendo ostacoli che in passato avevano frenato molti potenziali investitori. Famiglie, imprese, condomìni e comunità energetiche hanno oggi a disposizione un pacchetto integrato di strumenti fiscali, che se utilizzato correttamente può portare a un risparmio significativo e duraturo.

Il 2025, con queste nuove regole, può e deve diventare l’anno della svolta green, anche dal punto di vista fiscale. In un momento in cui i costi dell’energia e l’impatto ambientale sono temi centrali, scegliere la sostenibilità non è solo una questione etica, ma anche una strategia economica intelligente. Il Fisco, finalmente, parla il linguaggio del futuro.

Regime Forfettario 2026 per ODV e APS: soglia IVA elevata a 85.000 euro e nuove semplificazioni fiscali

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Il 1° gennaio 2026 entreranno ufficialmente in vigore le nuove disposizioni fiscali previste per gli enti del Terzo settore, con un impatto diretto sul regime forfettario applicabile a Organizzazioni di Volontariato (ODV) e Associazioni di Promozione Sociale (APS). Il 22 luglio 2025, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare un nuovo Decreto Legislativo destinato a correggere e semplificare le norme fiscali attualmente in vigore, accogliendo le numerose segnalazioni giunte dagli operatori del settore.

Si tratta di una riforma attesa e strategica, che mira a risolvere diverse criticità applicative segnalate in questi anni. L’intervento legislativo non solo razionalizza il quadro normativo per gli enti del Terzo Settore, ma introduce anche importanti semplificazioni fiscali, agevolazioni amministrative e nuove soglie per l’accesso al regime forfettario, uno dei più utilizzati dalle piccole realtà associative per gestire in modo snello le proprie attività economiche.

Questa riforma rappresenta un passo fondamentale verso una maggiore inclusione fiscale degli enti no-profit, offrendo un terreno normativo più chiaro e sostenibile. Ma quali sono, nel concreto, le modifiche introdotte? Quali vantaggi ne derivano per ODV e APS? E cosa cambia per chi vuole usufruire del regime forfettario nel 2026?

In questo articolo analizzeremo in dettaglio tutte le novità previste, soffermandoci sulle soglie di accesso, le nuove regole operative e le implicazioni economico-fiscali per gli enti del Terzo settore.

Nuova soglia a 85.000 euro

Il cuore della riforma approvata dal Governo riguarda l’innalzamento della soglia di ricavi per l’accesso al regime forfettario da parte delle Organizzazioni di Volontariato (ODV) e delle Associazioni di Promozione Sociale (APS). In particolare, l’articolo 2 del nuovo Decreto Legislativo stabilisce una modifica significativa al comma 15-quinquies dell’articolo 5 del Decreto-Legge 146/2021: la precedente soglia di 65.000 euro viene innalzata a 85.000 euro annui.

Questa modifica va letta in parallelo con l’intervento sull’articolo 86 del Codice del Terzo Settore (D.lgs. 117/2017), dove si sostituisce il riferimento ai vecchi limiti di 130.000 euro – soggetti a deroghe comunitarie – con una nuova soglia uniforme di 85.000 euro, in linea con l’armonizzazione europea. Questo significa che, almeno per il momento, gli enti che non superano i 85.000 euro di entrate potranno continuare a operare con esclusione dall’applicazione dell’IVA e beneficiando del regime forfettario agevolato.

Come ha dichiarato il Vice Ministro dell’Economia Maurizio Leo in conferenza stampa, l’obiettivo è duplice: da un lato semplificare gli adempimenti fiscali, e dall’altro rendere più sostenibile la gestione contabile per le realtà associative di piccole e medie dimensioni, che costituiscono la maggioranza degli enti del Terzo Settore.

In pratica, oltre all’innalzamento della soglia, è previsto che ODV e APS siano esonerate dalla certificazione dei corrispettivi, dall’obbligo di registratori di cassa e da altre formalità tipiche delle attività commerciali. Si tratta di un pacchetto di misure che punta a snellire gli oneri amministrativi e a incentivare l’emersione e la formalizzazione delle attività associative sul territorio.

Semplificazioni fiscali 

L’innalzamento della soglia di ricavi per l’accesso al regime forfettario non è l’unico cambiamento rilevante. Il Decreto Legislativo approvato in via preliminare introduce anche ulteriori semplificazioni che riguardano direttamente le modalità di gestione contabile e fiscale delle Organizzazioni di Volontariato (ODV) e delle Associazioni di Promozione Sociale (APS).

In particolare, viene confermata l’esclusione dall’obbligo di utilizzo del registratore di cassa e dalla certificazione dei corrispettivi, due adempimenti spesso percepiti come onerosi e poco compatibili con le dinamiche operative delle piccole realtà associative. Questa misura è strategica perché riduce i costi di gestione e semplifica la rendicontazione, rendendo più accessibile la formalizzazione delle attività da parte di enti che operano a livello territoriale con scarse risorse amministrative.

Rispetto alla normativa precedente, che fissava un tetto più basso e richiedeva comunque una serie di adempimenti, oggi il messaggio è chiaro: lo Stato intende agevolare davvero le associazioni no-profit, valorizzandone il ruolo sociale e incentivando la loro regolarizzazione fiscale.

Tutto questo rappresenta un’opportunità concreta per il Terzo Settore, che potrà contare su una cornice normativa più semplice, sostenibile e coerente con le sue finalità solidaristiche. In un contesto in cui la riforma del Terzo Settore ha suscitato non poche incertezze negli anni precedenti, le nuove soglie e semplificazioni segnano un punto di svolta verso una fiscalità più giusta e proporzionata.

Tetto a 400.000 euro

Accanto alle modifiche destinate agli enti del Terzo Settore, il nuovo Decreto Legislativo chiarisce anche un aspetto rilevante per gli enti sportivi e le associazioni che applicano la Legge 398/1991, un regime fiscale agevolato particolarmente utilizzato nel mondo dell’associazionismo sportivo e culturale. Secondo quanto annunciato dal Viceministro Maurizio Leo, viene infatti elevato il tetto massimo di ricavi per accedere al regime agevolato a 400.000 euro annui.

Questo chiarimento è fondamentale per garantire continuità e certezza normativa a migliaia di associazioni che finora hanno beneficiato della semplificazione contabile e fiscale prevista dalla 398/91. Con questo aggiornamento, si consolida l’intenzione del legislatore di uniformare e rendere più coerente il panorama fiscale applicabile agli enti non commerciali, offrendo una maggiore flessibilità operativa a quelle realtà che, pur superando le soglie del regime forfettario del Terzo Settore, non intendono gestire contabilità complesse da regime ordinario.

La soglia di 400.000 euro rappresenta quindi un punto di equilibrio tra la necessità di monitorare l’attività economica degli enti e la volontà di non penalizzare la crescita delle realtà associative più dinamiche, soprattutto in ambito sportivo e culturale.

È interessante osservare come l’intervento normativo si muova in modo integrato: da un lato semplifica per i piccoli enti del Terzo Settore (ODV e APS), dall’altro tutela le esigenze delle associazioni più strutturate, riconoscendo l’importanza della loro funzione sociale ed economica nel tessuto italiano.

Implicazioni fiscali 

L’innalzamento della soglia a 85.000 euro per l’accesso al regime forfettario e le semplificazioni sugli adempimenti contabili rappresentano per gli enti del Terzo Settore un’opportunità concreta per operare con maggiore sostenibilità economica e minori carichi burocratici. Dal punto di vista fiscale, infatti, queste misure producono effetti immediati e tangibili per le piccole e medie realtà associative.

Innanzitutto, il risparmio sui costi amministrativi è considerevole: non sarà più necessario dotarsi di registratori telematici o sostenere i costi per la certificazione dei corrispettivi, semplificando così la gestione quotidiana. Inoltre, il regime forfettario consente di beneficiare di un’imposizione agevolata basata su una percentuale fissa di redditività, evitando la complessità della determinazione analitica del reddito.

Queste novità potrebbero anche stimolare la regolarizzazione fiscale di molte realtà ancora “invisibili”, che fino ad oggi evitavano la registrazione formale per timore dei costi e della complessità amministrativa. In questo senso, la riforma può diventare uno strumento di inclusione fiscale, contribuendo a portare alla luce una parte significativa del mondo associativo che finora operava informalmente.

Dal punto di vista economico, gli enti avranno più margine di manovra per raccogliere fondi, promuovere progetti e coinvolgere sponsor, potendo contare su un tetto più alto senza perdere le agevolazioni. Questo crea un circolo virtuoso in cui l’accessibilità fiscale diventa leva per lo sviluppo delle attività sociali e culturali, in linea con gli obiettivi generali della riforma del Terzo Settore.

Sostenibilità e trasparenza

Le nuove soglie e semplificazioni introdotte dal Decreto Legislativo del 22 luglio non vanno lette solo come un alleggerimento degli adempimenti burocratici, ma anche come un segnale forte verso una maggiore sostenibilità gestionale e trasparenza operativa degli enti del Terzo Settore. Grazie a queste modifiche, infatti, molte organizzazioni potranno gestire le proprie attività in modo più chiaro, tracciabile e responsabile, anche nei confronti della pubblica amministrazione e dei donatori.

L’eliminazione di alcuni obblighi strumentali – come il registratore di cassa – e l’uniformazione della soglia IVA con quella del regime forfettario, semplificano notevolmente la rendicontazione, evitando il rischio di errori formali o sanzioni derivanti da una normativa eccessivamente frammentata. In questo contesto, la chiarezza normativa diventa uno stimolo alla compliance, e consente agli enti di concentrare le risorse sulla missione sociale, anziché sugli adempimenti burocratici.

Inoltre, la stabilizzazione della soglia a 85.000 euro, in coerenza con quanto previsto a livello europeo, elimina l’incertezza legata alla deroga provvisoria concessa dall’Unione Europea fino al 2019. Questo rende il quadro normativo più prevedibile e stabile, elemento fondamentale per favorire la programmazione pluriennale delle attività e attirare finanziamenti pubblici o privati.

Infine, il nuovo assetto rappresenta un potente incentivo alla trasparenza nei rapporti con la base associativa e con i beneficiari dei progetti, rafforzando la fiducia e la credibilità delle ODV e delle APS sul territorio.

Applicazione del regime

Se da un lato l’innalzamento della soglia a 85.000 euro e le semplificazioni contabili rappresentano un’opportunità rilevante per migliaia di ODV e APS, dall’altro è fondamentale sottolineare che l’ampliamento della platea di enti ammessi al regime forfettario richiederà maggiore attenzione al rispetto delle condizioni previste dalla legge. Con più soggetti che potranno accedere a regimi agevolati, è infatti lecito attendersi un rafforzamento dell’attività di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, finalizzato a prevenire abusi o usi distorti della normativa.

Il regime forfettario, proprio per la sua semplicità, può essere talvolta percepito come un “rifugio fiscale”. Ma è bene ricordare che per beneficiarne è necessario rispettare precisi requisiti soggettivi e oggettivi, come l’iscrizione al Registro Unico del Terzo Settore (RUNTS), lo svolgimento effettivo di attività di interesse generale e l’assenza di finalità lucrative. Inoltre, anche se gli obblighi contabili sono ridotti, la documentazione relativa alle entrate e alle attività associative deve comunque essere conservata e tracciabile, in caso di accertamenti.

Sarà quindi importante che gli enti beneficiari di queste misure investano – anche con l’aiuto di consulenti esperti – in una corretta gestione interna e in un aggiornamento continuo sulla normativa, per evitare errori che potrebbero portare alla perdita delle agevolazioni fiscali o a sanzioni.

In questo scenario, trasparenza e rigore diventano condizioni essenziali per consolidare i benefici ottenuti e costruire un rapporto di fiducia duraturo con le istituzioni fiscali.

Vantaggi principali 

Le modifiche introdotte dal Governo con il nuovo Decreto Legislativo presentano un pacchetto di vantaggi concreti per le Organizzazioni di Volontariato (ODV) e le Associazioni di Promozione Sociale (APS), soprattutto per quelle di piccole e medie dimensioni che rappresentano la stragrande maggioranza del Terzo Settore italiano.

Il primo beneficio evidente è l’aumento della soglia di ricavi a 85.000 euro, che permette a più enti di accedere al regime forfettario, mantenendo l’esenzione IVA e un’imposizione fiscale semplificata. In un contesto in cui molte attività associative sono limitate da vincoli di bilancio, questo maggiore margine può fare la differenza tra continuità operativa e chiusura.

Il secondo vantaggio è la semplificazione degli obblighi contabili e fiscali: l’esonero dalla certificazione dei corrispettivi e dall’uso del registratore di cassa elimina una serie di costi fissi e riduce la necessità di personale amministrativo qualificato. Questo consente di reinvestire tempo e risorse direttamente nelle attività istituzionali, migliorando l’efficacia sul territorio.

Un altro aspetto positivo è la certezza normativa, data dall’allineamento delle soglie con i parametri europei. Questo offre agli enti una maggiore stabilità e la possibilità di programmare le attività a medio-lungo termine, senza il timore di improvvisi cambi normativi o restrizioni retroattive.

Infine, il coordinamento con il regime agevolato previsto dalla Legge 398/1991 e l’elevazione del relativo tetto a 400.000 euro creano un sistema più coerente e accessibile anche per le associazioni che crescono e sviluppano attività più articolate, senza dover subito affrontare il salto nel regime ordinario.

Conclusione

L’innalzamento della soglia a 85.000 euro per l’accesso al regime forfettario, unito alla semplificazione degli obblighi fiscali e contabili per le ODV e le APS, rappresenta un cambiamento sostanziale per il Terzo Settore italiano. Non si tratta solo di un adeguamento tecnico, ma di una scelta politica e strategica che riconosce il ruolo sociale, economico e culturale delle organizzazioni no-profit sul territorio.

Questa riforma, attesa da tempo e sollecitata da più parti, va nella direzione di favorire la legalità, l’inclusione e la trasparenza, senza penalizzare l’operatività di chi svolge attività di interesse generale. Semplificare non significa abbassare la guardia, ma creare condizioni più eque e sostenibili affinché le associazioni possano svilupparsi, pianificare progetti e offrire servizi alla comunità in modo strutturato.

Con il nuovo quadro normativo in vigore dal 1° gennaio 2026, il Terzo Settore avrà a disposizione strumenti più chiari e vantaggiosi per crescere, accedere a nuove fonti di finanziamento e interagire con la pubblica amministrazione in un contesto normativo più stabile.

Il passo successivo, ora, sarà monitorare l’attuazione concreta di queste disposizioni e garantire che gli enti siano messi nelle condizioni di comprenderle e applicarle correttamente, magari con l’aiuto di professionisti del settore. Solo così la riforma potrà raggiungere pienamente i suoi obiettivi: valorizzare il no-profit italiano e rafforzarne l’impatto sociale.

Comunità energetiche e autoconsumo: le nuove regole del decreto MASE n. 228/2025 per incentivi e vantaggi previsti dal PNRR

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In arrivo importanti novità per le comunità energetiche e l’autoconsumo diffuso. Con il Decreto Direttoriale n. 228 del 17 luglio 2025, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ha approvato una nuova versione delle Regole Operative per accedere agli incentivi previsti dal PNRR, aggiornando così il quadro normativo a sostegno della transizione energetica nel nostro Paese.

Il nuovo provvedimento rappresenta un punto di svolta importante: integra e modifica le disposizioni già contenute nel Decreto CACER (DM 7 dicembre 2023, n. 414) e recepisce le novità normative introdotte dal DL 19/2025, convertito nella Legge 60/2025, e dal Decreto MASE 127/2025. L’obiettivo è rendere più semplice, accessibile ed efficace la creazione e lo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili (CER), nonché delle configurazioni di autoconsumo collettivo.

Questo intervento normativo si inserisce nell’ambito dell’attuazione dell’Investimento 1.2 della Missione 2, Componente 2 del PNRR, volto a promuovere la produzione e il consumo condiviso di energia da fonti rinnovabili. Le nuove regole mirano a facilitare l’accesso ai fondi, ad ampliare la platea dei beneficiari e a semplificare le procedure, rendendo finalmente operativi gli incentivi in modo chiaro, efficace e trasparente.

Le comunità energetiche rappresentano una concreta opportunità di risparmio, sostenibilità ambientale e partecipazione attiva alla transizione ecologica. Ma come funzionano realmente questi incentivi e chi può beneficiarne? Scopriamolo nei prossimi paragrafi.

Decreto MASE n. 228/2025

Il Decreto Direttoriale 228/2025 introduce una serie di modifiche sostanziali alle Regole Operative per l’accesso agli incentivi PNRR, con l’intento di semplificare le procedure, facilitare la partecipazione dei beneficiari e ampliare l’accesso ai contributi pubblici. Si tratta di un aggiornamento cruciale per lo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili (CER) in Italia.

Estensione del perimetro soggettivo

Una delle novità più rilevanti riguarda l’estensione della platea dei beneficiari. Se in precedenza solo i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti potevano accedere ai contributi in conto capitale del PNRR, oggi il limite è stato alzato a 50.000 abitanti. Questo cambiamento è strategico: apre le porte anche ai comuni di dimensioni medie e alle realtà urbane più grandi, incentivando la creazione di comunità energetiche anche in contesti metropolitani, dove la produzione e il consumo condiviso di energia può generare impatti ambientali e sociali ancora più rilevanti.

Nuove scadenze e termini operativi

Il decreto chiarisce e ridefinisce i termini temporali per la realizzazione degli impianti incentivati. I lavori dovranno essere completati entro il 30 giugno 2026, ma gli impianti potranno entrare in esercizio entro 24 mesi dalla fine dei lavori, con un termine massimo fissato al 31 dicembre 2027. Questa proroga offre maggiore flessibilità ai soggetti realizzatori, riducendo il rischio di perdita del contributo per ritardi non prevedibili.

Incremento dell’anticipazione PNRR

Un’altra modifica significativa riguarda la quota anticipabile del contributo PNRR in conto capitale: si passa dal 10% al 30%. Questa misura mira a favorire l’avvio dei progetti, in particolare per enti pubblici, cooperative e piccoli soggetti economici, spesso penalizzati dalla mancanza di liquidità nella fase iniziale degli investimenti.

Regole del GSE

Uno degli interventi più rilevanti del Decreto MASE n. 228/2025 riguarda l’aggiornamento formale delle Regole Operative del GSE, allegato tecnico essenziale per la gestione e l’accesso agli incentivi dedicati alle comunità energetiche rinnovabili e all’autoconsumo collettivo. L’obiettivo è rendere l’intero processo più trasparente, coerente e accessibile, in linea con le più recenti evoluzioni normative.

Riconoscimento degli impianti preesistenti

Una modifica molto attesa riguarda la possibilità di includere negli incentivi anche gli impianti entrati in esercizio prima della costituzione ufficiale della comunità energetica, purché l’intento costitutivo sia documentato entro 150 giorni dall’entrata in vigore del Decreto CACER (DM 414/2023). Questo riconoscimento evita l’esclusione di progetti già avviati ma non ancora formalizzati, garantendo continuità e inclusione.

Ampliamento dei soggetti ammessi alla CER

L’estensione dei soggetti abilitati a partecipare alle CER è un altro punto chiave. Possono ora accedere agli incentivi anche:

  • PMI partecipate da enti pubblici

  • Aziende territoriali per l’edilizia residenziale

  • IPAB – Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza

  • Enti di formazione e ricerca, soggetti religiosi e del Terzo Settore

Questo ampliamento riflette una visione più inclusiva e favorisce l’adesione anche di realtà ad alto impatto sociale e territoriale.

Nuove regole su governance e controlli

Viene precisato che solo i soci geograficamente prossimi agli impianti possono esercitare poteri di controllo nella governance della comunità, rafforzando il legame tra partecipazione e localizzazione.

Infine, il GSE aggiorna:

  • Le verifiche preliminari di ammissibilità dei progetti

  • I criteri per modificare progetti già in corso

  • Le regole per distribuire il cosiddetto “premio eccedentario” per finalità sociali, così da premiare concretamente i progetti più virtuosi.

Chiarimenti e cumulabilità

Il Decreto MASE n. 228/2025 introduce anche chiarimenti tecnici fondamentali per risolvere alcune incertezze interpretative che avevano rallentato la piena operatività del meccanismo incentivante. Questi chiarimenti riguardano in particolare la determinazione della tariffa incentivante e la cumulabilità con altri contributi, due aspetti centrali nella pianificazione finanziaria di qualsiasi progetto legato alle comunità energetiche rinnovabili (CER).

Esenzione dal “fattore di riduzione F” per le persone fisiche

Una delle novità più significative riguarda l’applicazione del cosiddetto “fattore di riduzione F”, un coefficiente penalizzante nella determinazione della tariffa incentivante per l’energia condivisa. Il decreto chiarisce che anche le persone fisiche – oltre agli altri soggetti precedentemente esentati – non saranno più soggette a tale riduzione, rendendo così più conveniente e accessibile la partecipazione dei cittadini alle configurazioni di autoconsumo collettivo. Questo rappresenta un passo decisivo verso la democratizzazione dell’energia rinnovabile.

Regole sulla cumulabilità degli incentivi

In tema di cumulabilità, il decreto conferma che:

  • La tariffa incentivante è cumulabile con il contributo in conto capitale del PNRR, ma l’importo sarà decurtato in proporzione al contributo ricevuto, per evitare sovra-compensazioni.

  • È possibile cumulare la tariffa incentivante con altri contributi pubblici, purché il totale dei contributi in conto capitale non superi il 40% dei costi di investimento ammissibili.

Queste disposizioni garantiscono maggiore trasparenza e aiutano i soggetti beneficiari a pianificare correttamente il budget e la sostenibilità economica dei propri impianti, evitando violazioni della normativa sugli aiuti di Stato.

Opportunità fiscali 

Le novità introdotte dal Decreto MASE n. 228/2025 non si limitano a modificare aspetti tecnici e procedurali, ma aprono la strada a concrete opportunità economiche e fiscali per cittadini, imprese, enti pubblici e soggetti del Terzo Settore. Il nuovo assetto normativo e operativo delle comunità energetiche rinnovabili (CER) rappresenta infatti uno strumento chiave per ridurre i costi energetici, generare valore condiviso e accelerare la transizione ecologica.

Risparmio energetico e vantaggi economici

Attraverso l’autoconsumo collettivo e la condivisione dell’energia prodotta localmente da fonti rinnovabili, i membri di una CER possono ridurre sensibilmente la bolletta elettrica.

I beneficiari ricevono infatti:

  • Un incentivo economico diretto per ogni kWh condiviso, erogato dal GSE per 20 anni,

  • Un contributo a fondo perduto fino al 40% dei costi di investimento, se finanziato tramite il PNRR o altri strumenti pubblici compatibili.

Queste agevolazioni permettono di accelerare il rientro dell’investimento iniziale e di rendere sostenibili anche impianti realizzati da piccoli soggetti, come famiglie, cooperative, condomìni e piccole imprese.

Benefici fiscali e sociali

A livello fiscale, le CER possono godere – a seconda della loro forma giuridica – di regimi agevolati (es. per cooperative o associazioni senza scopo di lucro) e esenzioni IVA per lo scambio interno di energia. Inoltre, gli incentivi possono essere dedotti o detassati, contribuendo a migliorare la posizione fiscale complessiva dei partecipanti.

A livello sociale, la partecipazione a una comunità energetica può essere integrata con finalità solidali, grazie anche al “premio eccedentario” destinato a iniziative di inclusione, formazione o riduzione della povertà energetica, come previsto dalle nuove regole operative.

Come accedere agli incentivi 

Con l’entrata in vigore delle nuove Regole Operative, accedere agli incentivi per le comunità energetiche è oggi più semplice e strutturato. Tuttavia, è fondamentale seguire attentamente i passaggi previsti dal GSE per ottenere i benefici economici e fiscali disponibili.

Costituzione della CER e scelta della configurazione

Il primo passo è la costituzione formale della Comunità Energetica Rinnovabile (CER) o della configurazione di autoconsumo collettivo. I soggetti partecipanti devono sottoscrivere un accordo di regolazione interna, definendo diritti e doveri, modalità di condivisione dei benefici, governance e criteri di adesione.

Le CER possono essere costituite come:

  • Associazioni o fondazioni,

  • Cooperative,

  • Consorzi o società a responsabilità limitata senza scopo di lucro.

Una volta costituita, la CER deve essere iscritta all’elenco gestito dal GSE.

Richiesta di incentivo e verifica di ammissibilità

La richiesta per accedere agli incentivi si articola in due fasi principali:

  1. Verifica preliminare di ammissibilità del progetto, che consente di avere un riscontro anticipato prima dell’inizio lavori.

  2. Domanda di accesso agli incentivi, presentata online attraverso il portale GSE, con tutta la documentazione tecnica, amministrativa e finanziaria.

Per ottenere il contributo in conto capitale del PNRR, è necessario completare i lavori entro il 30 giugno 2026 e mettere in esercizio l’impianto entro il 31 dicembre 2027, come indicato dalle nuove scadenze operative.

Gestione e rendicontazione

Una volta avviato il progetto, il soggetto referente della CER dovrà occuparsi della gestione amministrativa, della rendicontazione e del monitoraggio dei flussi energetici, in collaborazione con il GSE. Questo garantisce trasparenza e continuità nell’erogazione degli incentivi.

Pubbliche Amministrazioni

Il nuovo quadro normativo definito dal Decreto MASE n. 228/2025 valorizza il ruolo centrale delle Pubbliche Amministrazioni nella promozione delle comunità energetiche rinnovabili. Grazie all’estensione del perimetro soggettivo, i Comuni con popolazione fino a 50.000 abitanti possono ora accedere direttamente agli incentivi PNRR, aprendo la strada a iniziative energetiche locali su larga scala.

Comuni e territori protagonisti della transizione

La partecipazione degli enti locali consente di:

  • favorire l’attivazione delle comunità energetiche nei centri urbani e periferici,

  • utilizzare edifici pubblici (scuole, municipi, impianti sportivi) come hub di produzione fotovoltaica,

  • stimolare la partecipazione attiva dei cittadini e delle imprese locali nella produzione e condivisione dell’energia.

In questo modo, la PA diventa non solo promotrice ma anche beneficiaria diretta dei risparmi energetici e degli incentivi economici, con la possibilità di reinvestire tali risorse in servizi pubblici e progetti sociali.

Opportunità per enti di edilizia pubblica e servizi sociali

Le modifiche alle Regole Operative del GSE hanno inoltre aperto la partecipazione a aziende territoriali per l’edilizia residenziale pubblica (ex IACP) e a istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB). Questo consente di integrare le CER nei progetti di housing sociale, contrastando la povertà energetica e promuovendo l’inclusione.

Vantaggi a lungo termine

La realizzazione di una CER offre benefici che vanno oltre l’ambito energetico: stimola la coesione sociale, valorizza gli immobili pubblici, attrae investimenti sostenibili e migliora la resilienza del territorio agli shock energetici e climatici. La possibilità di accumulare energia e programmare la produzione rappresenta un’opportunità strategica per le amministrazioni più lungimiranti.

Conclusioni

Il Decreto MASE n. 228/2025 segna un passaggio decisivo nella piena operatività degli incentivi previsti dal PNRR per le comunità energetiche e l’autoconsumo diffuso. L’aggiornamento delle Regole Operative, l’ampliamento dei beneficiari e le nuove semplificazioni rappresentano un’opportunità unica per partecipare attivamente alla transizione energetica del Paese, abbattendo i costi, promuovendo l’autonomia locale e generando valore condiviso.

Oggi, grazie a un sistema normativo più chiaro e accessibile, anche cittadini, condomìni, PMI, enti pubblici e soggetti del Terzo Settore possono diventare protagonisti della produzione e condivisione di energia da fonti rinnovabili. La possibilità di ottenere contributi a fondo perduto, incentivi ventennali e vantaggi fiscali rende finalmente possibile trasformare un’idea sostenibile in un progetto concreto e vantaggioso.

Per chi desidera aderire o costituire una CER, il consiglio è di affidarsi a consulenti esperti in materia fiscale, normativa e tecnica, capaci di seguire ogni fase: dalla progettazione dell’impianto alla gestione degli adempimenti richiesti dal GSE. La buona riuscita di una CER dipende non solo dai fondi disponibili, ma dalla corretta pianificazione giuridico-economica dell’intero percorso.

Il momento di agire è adesso. Con le nuove regole e il supporto degli incentivi pubblici, le comunità energetiche non sono più un esperimento, ma una realtà accessibile, replicabile e conveniente per chiunque voglia contribuire a un futuro più equo, sostenibile e decentralizzato.

Concordato Preventivo Biennale 2025: guida completa ai requisiti, vantaggi e chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

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Image of business partners handshaking over business objects on workplace

Il Concordato Preventivo Biennale (CPB) rappresenta una delle più significative innovazioni fiscali degli ultimi anni, un patto tra contribuente e Amministrazione finanziaria destinato a modificare radicalmente il rapporto tra fisco e partite IVA. Introdotto dal D. Lgs. 12 febbraio 2024, n. 13 e successivamente aggiornato dal D. Lgs. 12 giugno 2025, n. 81 (il cosiddetto “Decreto correttivo”), il CPB si propone come strumento di semplificazione, certezza e pianificazione fiscale.

A differenza dei tradizionali meccanismi di accertamento, qui è l’Agenzia delle Entrate a prendere l’iniziativa: sulla base dei dati raccolti tramite gli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità), formula una proposta di reddito imponibile su base biennale che il contribuente può accettare o meno. In sostanza, si tratta di una sorta di “patto fiscale” che blocca accertamenti futuri in cambio dell’accettazione di un reddito prestabilito per due anni consecutivi.

Con la Circolare n. 9/E del 24 giugno 2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti importanti sulle regole applicative del CPB, affrontando in particolare due nodi cruciali: la revoca dell’adesione precedentemente comunicata e la corretta determinazione degli acconti nei periodi coperti dal concordato.

In questa articolo analizziamo le novità, i vantaggi e i punti critici del nuovo regime, con un focus pratico su come affrontare le recenti interpretazioni dell’Agenzia e quali strategie adottare per trarne il massimo beneficio fiscale.

Requisiti di accesso

Per poter accedere al Concordato Preventivo Biennale, non basta semplicemente volerlo. Il legislatore ha infatti fissato dei requisiti stringenti che selezionano in modo netto la platea dei contribuenti ammessi a questa nuova forma di accordo con il Fisco. Il primo filtro riguarda la platea soggettiva: possono aderire solo i soggetti per i quali è obbligatoria l’applicazione degli ISA (Indici sintetici di affidabilità fiscale), ossia imprese e professionisti che svolgono attività ordinariamente soggette a tali indicatori.

Ma non è tutto. Occorre anche valutare con attenzione la situazione debitoria pregressa del contribuente. L’accesso è infatti precluso in presenza di debiti fiscali o contributivi derivanti da atti impositivi divenuti definitivi entro il 31 dicembre 2024, come:

  • Avvisi di accertamento;

  • Avvisi di contestazione o irrogazione di sanzioni;

  • Atti di recupero crediti d’imposta;

  • Avvisi di liquidazione legati ad imposte indirette, ad eccezione dell’IVA;

  • Cartelle esattoriali derivanti da controlli automatizzati o formali (ex artt. 36-bis e 36-ter del TUIR, art. 54-bis del T.U. IVA).

Solo se tali debiti non sono ancora definitivi (perché ancora impugnabili o oggetto di contenzioso), il contribuente mantiene il diritto di accedere al concordato.

Inoltre, se al 31 dicembre 2024 il contribuente ha ridotto tali debiti a meno di 5.000 euro (sommando tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate e debiti contributivi, comprensivi di sanzioni e interessi), può comunque aderire al CPB. Sono esclusi dal computo i debiti sospesi o oggetto di rateizzazione.

Revoca del Concordato

Una delle domande più frequenti tra i contribuenti che valutano l’adesione al Concordato Preventivo Biennale (CPB) riguarda la possibilità di revocare l’assenso una volta prestato. A questa questione ha risposto in modo esplicito l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 9/E del 24 giugno 2025, introducendo una procedura chiara ma valida solo per il biennio 2025/2026. Per le annualità precedenti, infatti, i termini per la revoca sono ormai decaduti.

In particolare, l’adesione al CPB può essere comunicata entro il 30 settembre 2025, termine prorogato dal D. Lgs. n. 81/2025 (inizialmente previsto per il 31 luglio). Per i soggetti con esercizio non coincidente con l’anno solare, il termine è fissato all’ultimo giorno del nono mese successivo alla chiusura dell’esercizio.

L’Agenzia prevede due modalità alternative per comunicare l’adesione:

  1. Invio congiunto del modello CPB e del modello ISA in allegato alla dichiarazione dei redditi, accettando un invio anticipato rispetto al termine del 31 ottobre ma evitando difformità tra modelli.

  2. Invio autonomo del solo modello CPB unitamente al frontespizio del modello Redditi 2025, con il codice “1” nella casella “Comunicazione CPB”.

Nel caso in cui si desideri revocare l’adesione già inviata, il contribuente dovrà trasmettere entro il 30 settembre 2025 un nuovo invio del modello CPB con codice “2” nella stessa casella del frontespizio del modello Redditi. Anche in questo caso, il frontespizio deve contenere solo i dati anagrafici, i dati del firmatario e l’impegno alla presentazione.

Questa possibilità non è concessa ai soggetti che avevano aderito al CPB per il biennio 2024/2025. Per loro, l’unico modo per ritirare l’adesione era tramite la presentazione di una dichiarazione correttiva nei termini entro il 31 ottobre 2024, con rimozione del modello CPB o mancata accettazione nel rigo P10.

CPB e determinazione delle imposte

L’adesione al Concordato Preventivo Biennale comporta effetti significativi anche sul piano del calcolo degli acconti, e per questo è essenziale comprendere le regole specifiche previste dalla normativa e chiarite dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 9/E del 24 giugno 2025. Il punto di partenza normativo è l’articolo 20 del D. Lgs. 13/2024, che stabilisce che, nei periodi oggetto di concordato, gli acconti sulle imposte dirette e sull’Irap si determinano con le regole ordinarie, ma facendo riferimento al reddito o valore della produzione concordato.

Per chi ha aderito al CPB 2024/2025, il 21 luglio 2025 ha rappresentato una scadenza importante, poiché è stato necessario versare:

  • Il saldo per il 2024, calcolato sul reddito concordato indicato nel quadro CP del modello Redditi 2025;

  • L’imposta sostitutiva sul maggior reddito concordato (facoltativa);

  • Il primo acconto 2025, determinato con uno dei due metodi disponibili.

Nel caso del metodo storico, come chiarito anche in una FAQ del 28 maggio 2025, si deve far riferimento alle imposte (Irpef/Ires e Irap) dovute per il 2024, utilizzando il valore indicato al rigo “Differenza” del modello Redditi, che riflette già il reddito concordato al netto della parte assoggettata all’imposta sostitutiva. Con il metodo previsionale, invece, la seconda rata sarà calcolata come differenza tra l’importo complessivo dovuto (basato sul reddito 2025 concordato) e quanto già versato con la prima rata.

Per chi aderisce al CPB 2025/2026, il primo acconto viene invece calcolato:

  • Con il metodo storico, facendo riferimento al reddito 2024 (non concordato). In questo caso, si applica una maggiorazione del 10% (3% per l’Irap), calcolata sulla differenza tra il reddito concordato e quello dichiarato;

  • Con il metodo previsionale, senza alcuna maggiorazione, con il secondo acconto calcolato come differenza rispetto alla stima basata sul reddito concordato 2025.

La scelta tra i due metodi va valutata con attenzione: utilizzare il metodo storico potrebbe portare a un acconto troppo basso o troppo alto, con impatti significativi sul saldo finale, specie considerando che il reddito concordato 2025 sarà, per norma, superiore a quello del 2024, ai sensi dell’art. 7 del DM 14 giugno 2024.

Vantaggi e criticità

Il Concordato Preventivo Biennale rappresenta uno strumento di grande portata, pensato per offrire certezza fiscale, semplificazione negli adempimenti e prevedibilità nella gestione del reddito imponibile. Ma come ogni meccanismo fiscale innovativo, porta con sé vantaggi concreti, ma anche criticità operative che meritano un’attenta valutazione caso per caso.

Tra i benefici più evidenti, spicca la possibilità per il contribuente di cristallizzare per due anni consecutivi il reddito imponibile, sottraendosi al rischio di accertamenti da parte del Fisco, purché rispetti le condizioni di regolarità. Questo consente una pianificazione fiscale più efficiente, specialmente per le imprese e i professionisti con redditività stabile o in crescita. Inoltre, il contribuente può beneficiare, in alcuni casi, della sostituzione dell’imposta ordinaria con un’imposta sostitutiva su parte del reddito, con effetti positivi in termini di riduzione del carico fiscale effettivo.

Tuttavia, non mancano le criticità. In primo luogo, l’adesione comporta l’accettazione di un reddito fiscale potenzialmente superiore a quello realmente prodotto, con il rischio di pagare imposte su base teorica anche in anni in cui il reddito effettivo dovesse risultare più basso. Va inoltre considerata la rigidità dei termini di adesione e revoca, che richiede un’attenta pianificazione e un tempestivo monitoraggio delle scadenze. Anche la gestione degli acconti, soprattutto per chi utilizza il metodo storico, può rivelarsi complessa, con il rischio di sovrastimare o sottostimare l’imposta da versare.

Infine, è cruciale valutare l’impatto del CPB in presenza di debiti fiscali o contributivi: se non rientrano nei limiti previsti (5.000 euro complessivi), l’adesione sarà automaticamente preclusa, costringendo il contribuente a rivedere l’intera strategia fiscale.

In sintesi, il CPB può rivelarsi una scelta vantaggiosa, ma solo se accompagnata da un’attenta analisi preventiva e da una valutazione personalizzata delle condizioni economico-fiscali del contribuente.

CPB, ISA e dichiarazione dei redditi

Uno degli aspetti più tecnici, ma anche più delicati, del Concordato Preventivo Biennale riguarda il coordinamento tra i diversi modelli dichiarativi che il contribuente deve presentare: modello CPB, modello Redditi e modello ISA. L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 9/E, ha chiarito che eventuali difformità tra i dati contenuti in questi tre modelli possono generare incompatibilità, rendendo inefficace l’adesione al concordato.

Per evitare questo rischio, è stata prevista la possibilità di effettuare l’adesione in due modalità alternative:

  1. Adesione con invio congiunto: il contribuente presenta contemporaneamente il modello CPB e il modello ISA, allegandoli al modello Redditi. Questa modalità consente di garantire la coerenza automatica tra i dati dichiarati, ma implica l’obbligo di anticipare la trasmissione della dichiarazione dei redditi, entro il 30 settembre 2025.

  2. Adesione con invio autonomo del modello CPB: in questo caso, il contribuente trasmette il solo modello CPB, allegato al frontespizio del modello Redditi, compilando esclusivamente i dati anagrafici e il codice “1” nella casella “Comunicazione CPB”. Gli altri dati del modello Redditi potranno essere trasmessi successivamente, entro la scadenza ordinaria del 31 ottobre 2025.

Nel secondo caso, è essenziale che i dati contenuti nel modello CPB siano perfettamente coerenti con quelli che verranno successivamente riportati nei quadri reddituali (RE, RF, RG) e nel modello ISA. Qualora emergano discrepanze tra il reddito concordato e quanto indicato nei modelli Redditi e ISA, l’adesione potrebbe risultare non valida, con la conseguente perdita dei benefici legati al concordato.

Si comprende quindi quanto sia importante, in fase di compilazione, affidarsi a professionisti esperti per verificare la congruità e la coerenza dei dati, e per evitare errori formali che potrebbero vanificare un’opportunità fiscale rilevante.

Imposta sostitutiva

Una delle novità più interessanti introdotte dal Concordato Preventivo Biennale è la possibilità, facoltativa, di assoggettare a imposta sostitutiva il maggior reddito concordato rispetto a quello effettivamente dichiarato. Si tratta di una misura introdotta per attenuare l’impatto fiscale nei casi in cui l’adesione al CPB comporti l’accettazione di un reddito superiore a quello che il contribuente avrebbe normalmente dichiarato sulla base dei risultati effettivi.

La scelta può essere esercitata in sede di dichiarazione dei redditi, per il primo anno di applicazione del concordato, e si applica alla sola parte di reddito “aggiuntiva”, ossia alla differenza tra il reddito concordato e quello effettivo. L’imposta sostitutiva ha una aliquota ridotta rispetto a quelle ordinarie (Irpef o Ires), rendendola potenzialmente conveniente per chi ha una redditività effettiva inferiore a quella proposta dal Fisco.

Tuttavia, non si tratta di una scelta da prendere alla leggera. Innanzitutto, la convenienza effettiva dipende dal livello di scostamento tra reddito effettivo e reddito concordato. Se il differenziale è elevato, l’imposta sostitutiva può consentire un risparmio fiscale netto, rispetto all’aliquota marginale Irpef. Ma se i due redditi sono vicini, potrebbe risultare più conveniente accettare il reddito concordato integralmente, senza esercitare l’opzione, semplificando anche la gestione contabile.

Dal punto di vista operativo, l’opzione si esercita mediante la compilazione dell’apposito rigo del quadro CP nel modello Redditi, ed è vincolante per il periodo d’imposta considerato. È importante sottolineare che tale scelta non incide sulla determinazione degli acconti per l’anno successivo, i quali si baseranno comunque sul reddito concordato lordo, come chiarito nella già citata FAQ dell’Agenzia delle Entrate del 28 maggio 2025.

In definitiva, l’opzione per l’imposta sostitutiva rappresenta una leva di ottimizzazione fiscale, ma deve essere valutata attentamente in relazione al profilo reddituale del contribuente, al carico fiscale complessivo e agli effetti sulle liquidità disponibili.

Adesione al CPB

Uno dei principali punti di forza del Concordato Preventivo Biennale è la protezione dagli accertamenti. Ma in che misura questa tutela è reale e cosa significa concretamente per il contribuente che aderisce? La risposta arriva dalla normativa di riferimento (D. Lgs. 13/2024 e D. Lgs. 81/2025) e dai chiarimenti operativi contenuti nella Circolare 9/E/2025: aderire al CPB blinda il reddito per due anni, ma con alcune importanti eccezioni.

L’adesione al concordato comporta l’accettazione di un reddito fiscalmente rilevante predefinito, e proprio per questo motivo, per i periodi oggetto di concordato, non sono esperibili accertamenti analitici o induttivi sul reddito d’impresa o di lavoro autonomo, né rettifiche IRAP, salvo casi eccezionali. Il contribuente si pone in una sorta di “zona protetta”, dove il reddito concordato è immodificabile da parte dell’Amministrazione, con evidenti vantaggi in termini di serenità gestionale e pianificazione economica.

Tuttavia, questa immunità non è assoluta.

Restano infatti fuori dal perimetro della tutela:

  • Le attività di controllo formale e automatizzato (36-bis e 36-ter del TUIR);

  • I controlli in materia di IVA e altre imposte indirette;

  • I redditi diversi da quelli d’impresa o di lavoro autonomo (es. redditi fondiari, da capitale o di partecipazione);

  • Le situazioni di frodi, comportamenti elusivi o simulati, per cui l’Agenzia mantiene pieno potere d’intervento.

Inoltre, la protezione vale solo per i periodi espressamente coperti dal concordato. Se il contribuente non aderisce nuovamente per il biennio successivo, tornerà esposto ai controlli ordinari, e dovrà gestire le dichiarazioni secondo le regole tradizionali.

Questa previsione evidenzia come il CPB sia pensato anche come strumento di compliance e incentivo alla trasparenza: accettare il reddito concordato significa sì pagare di più in alcuni casi, ma significa anche mettersi al riparo da rettifiche fiscali, spesso onerose, lunghe e imprevedibili.

Conclusione

Il Concordato Preventivo Biennale rappresenta una delle più importanti novità fiscali degli ultimi anni, offrendo un’opportunità concreta per imprese e professionisti di pianificare in anticipo la propria fiscalità, ridurre l’incertezza e proteggersi da accertamenti indesiderati. Tuttavia, come abbiamo visto, non è una scelta da prendere alla leggera.

La normativa è articolata, le condizioni di accesso sono selettive, le implicazioni fiscali complesse. Dalla determinazione degli acconti alla corretta compilazione dei modelli, passando per l’opzione dell’imposta sostitutiva e la possibilità di revoca, ogni decisione comporta effetti concreti sulla liquidità, sul carico fiscale e sulla gestione contabile.

In un contesto normativo in continua evoluzione, e alla luce dei chiarimenti più recenti dell’Agenzia delle Entrate (Circolare n. 9/E del 24 giugno 2025), è fondamentale affidarsi a un commercialista esperto in grado di guidare il contribuente tra obblighi, scadenze e opportunità.

Il CPB non è solo uno strumento di compliance, ma anche un mezzo per ottimizzare legalmente il proprio carico fiscale, a patto di comprendere fino in fondo vantaggi e limiti.

Il nostro studio è a disposizione per analizzare la tua posizione, valutare la convenienza dell’adesione e predisporre tutti gli adempimenti in modo preciso e puntuale. Per trasformare il Concordato da un semplice adempimento a un vantaggio competitivo reale.

Decreto Infrastrutture 2025: tutte le novità su trasporti, appalti, energia e incentivi alle imprese

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Hand of engineer using notebook on rooftop photovoltaic power station for analyze electric data, Green energy and world sustainable concept.

Il Decreto-Legge n. 73 del 21 maggio 2025, pubblicato il giorno successivo in Gazzetta Ufficiale, e successivamente convertito nella Legge n. 105/2025 del 19 luglio, rappresenta una delle principali novità normative dell’anno per il settore delle infrastrutture, dei trasporti e degli appalti pubblici. Il provvedimento, ribattezzato come “Decreto Infrastrutture 2025”, introduce misure urgenti e strategiche con l’obiettivo di rilanciare la modernizzazione dei trasporti, semplificare le procedure nei lavori pubblici e sostenere la transizione energetica.

Tra gli aspetti più rilevanti, si segnalano nuovi fondi per il rinnovo del parco veicoli delle imprese di autotrasporto, con un focus particolare sulla sostenibilità ambientale, grazie a incentivi per la rottamazione e l’acquisto di mezzi meno inquinanti. Per quanto riguarda gli appalti pubblici, la legge prevede importanti deroghe in caso di eventi eccezionali, come calamità naturali o situazioni di emergenza, allo scopo di accelerare la realizzazione di infrastrutture strategiche.

Non mancano interventi anche nei settori della logistica e delle fonti rinnovabili, con misure pensate per semplificare l’accesso ai finanziamenti e velocizzare i procedimenti autorizzativi. La legge di conversione ha inoltre apportato correzioni tecniche e introdotto nuove disposizioni innovative, rendendo il quadro normativo più articolato ma anche più favorevole per imprese e operatori del settore.

In questo articolo analizzeremo tutte le novità principali introdotte dal DL 73/2025 e dalla sua legge di conversione, con particolare attenzione agli incentivi fiscali, alle opportunità per le imprese e alle semplificazioni procedurali previste.

Autotrasporto

Il Decreto Infrastrutture 2025, con la sua legge di conversione n. 105/2025, introduce due importanti novità a favore delle imprese di autotrasporto, un settore chiave per l’economia nazionale, spesso penalizzato da ritardi operativi e da un parco mezzi obsoleto.

La prima misura riguarda l’introduzione di un indennizzo automatico in caso di ritardi nei tempi di carico e scarico delle merci. L’articolo 4 del decreto stabilisce che, superata una franchigia di 90 minuti, il vettore ha diritto a 100 euro per ogni ora o frazione di ora di ritardo, somma che dovrà essere corrisposta in solido dal committente e dal caricatore. Questo indennizzo rappresenta un meccanismo innovativo e automatico, destinato a responsabilizzare l’intera filiera logistica e a ridurre inefficienze operative. L’importo sarà rivalutato ogni anno sulla base dell’indice ISTAT FOI, garantendo l’adeguamento al costo della vita.

A ciò si aggiunge una modifica all’articolo 83-bis del DL 112/2008, con l’introduzione del comma 15-bis: in caso di ritardi nei pagamenti contrattuali, il creditore o il Comitato centrale per l’Albo degli autotrasportatori potranno richiedere l’intervento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza. Un chiaro segnale contro le prassi scorrette nei rapporti tra committenti e trasportatori.

Sul fronte ambientale e dell’efficienza, il decreto stanzia 6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, destinati al rinnovo del parco veicolare. I criteri di accesso al fondo saranno definiti da un decreto attuativo del MIT, in collaborazione con il MEF, con l’obiettivo di incentivare l’acquisto di mezzi più sicuri e meno inquinanti.

Appalti pubblici

Un’altra importante novità contenuta nel Decreto Infrastrutture 2025 riguarda le semplificazioni nei contratti pubblici, introdotte in via eccezionale e temporanea per fronteggiare situazioni di emergenza, come eventi sismici, alluvionali o altre calamità. L’art. 2 del decreto prevede deroghe mirate al Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023), finalizzate ad accelerare i tempi di intervento e favorire una maggiore operatività delle imprese che lavorano con la Pubblica Amministrazione.

Tra le disposizioni più rilevanti, si segnala la possibilità di affidamento diretto sopra soglia, limitatamente a 30 giorni e solo per interventi urgenti e non differibili. Viene inoltre introdotta l’esclusione automatica delle offerte anomale nelle gare con meno di 5 partecipanti, riducendo tempi e rischi di contenziosi. Il criterio del prezzo più basso viene esteso come criterio prevalente di aggiudicazione, accompagnato da un’alleggerita disciplina delle comunicazioni formali.

Per gli appalti su infrastrutture strategiche o per strutture abitative, scolastiche o produttive temporanee, sarà più semplice ricorrere a Consip e centrali di committenza tramite procedura negoziata. L’ANAC avrà funzione di vigilanza, mentre le verifiche antimafia potranno basarsi inizialmente su un’informativa liberatoria provvisoria, che consente di procedere alla stipula dei contratti sotto condizione, con integrazioni da completare entro 60 giorni.

Inoltre, per potenziare la trasparenza e la tracciabilità nel settore della logistica, viene istituito CIGAL, un cruscotto telematico nazionale per il controllo dei contratti, alimentato da enti come INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate, Ispettorato del Lavoro e Unioncamere. La piattaforma fornirà in tempo reale informazioni su conformità contributiva, fiscale e lavorativa, e conterrà una sezione dedicata alle sanzioni comminate dagli organi di vigilanza.

Fonti rinnovabili

Il Decreto Infrastrutture 2025, convertito in legge n. 105/2025, interviene in modo deciso anche sul fronte della transizione energetica, puntando a snellire i tempi di realizzazione degli impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile (FER). L’articolo 13 del decreto modifica il D.lgs. 190/2024 e introduce il nuovo comma 7-bis dell’art. 12, con l’obiettivo di velocizzare la pianificazione e l’attivazione degli impianti, in linea con le scadenze del PNIEC 2030 e del PNRR.

La novità più rilevante è l’ampliamento del concetto di “zona di accelerazione”, che ora include espressamente anche le aree industriali, come definite dagli strumenti urbanistici comunali, sovracomunali e regionali. Ciò significa che le aree produttive già destinate ad attività industriali possono, a tutti gli effetti, essere considerate idonee alla realizzazione semplificata di impianti FER, senza la necessità di ulteriori atti regionali.

Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ha avuto l’incarico di effettuare una mappatura nazionale di queste zone, da completare entro il 31 maggio 2025, ovvero dieci giorni dopo la pubblicazione del decreto. Il risultato sarà una rappresentazione cartografica ufficiale, disponibile online, che permetterà a operatori e investitori di individuare immediatamente le aree dove è possibile installare impianti con iter autorizzativo semplificato.

Questa misura rappresenta un passo concreto verso la semplificazione normativa e la certezza degli investimenti nel settore energetico, contribuendo a superare i frequenti blocchi burocratici legati all’individuazione delle aree idonee. Un incentivo forte, dunque, per accelerare la realizzazione di nuovi impianti e sostenere il raggiungimento degli obiettivi ambientali europei e nazionali.

Novità 

La legge n. 105/2025 di conversione del Decreto Infrastrutture 2025 non si è limitata ad apportare correzioni tecniche, ma ha introdotto numerose misure innovative, ampliando il raggio d’azione del provvedimento. Tra le principali novità, spiccano nuovi investimenti strategici, strumenti di vigilanza potenziati e misure per il settore autostradale e ferroviario.

In ambito infrastrutturale, l’art. 1-bis autorizza una spesa pluriennale per aumentare la capacità di stoccaggio e rigassificazione del GNL in ambito marittimo, con 35 milioni complessivi fino al 2029. L’art. 1-ter, invece, permette ad ANAS di progettare nuovi tratti prioritari, come la SS 700 a Caserta, la Galleria della Guinza e la variante Armo-Cantarana.

Sul piano del controllo della spesa pubblica, l’art. 2-bis rafforza il sistema SIMOI per il monitoraggio finanziario delle grandi opere, con un budget dedicato fino al 2027. L’art. 3-quinquies istituisce invece un tavolo tecnico al MIT per censire e completare le opere pubbliche incompiute, coinvolgendo MEF e Regioni.

Nel settore autotrasporti, viene confermato nel nuovo art. 6-bis del D.lgs. 286/2005 l’indennizzo automatico di 100 euro l’ora per ritardi nei carichi/scarichi. Inoltre, l’art. 4 comma 3-bis potenzia AINOP, che diventa il riferimento digitale nazionale per la pianificazione dei trasporti eccezionali.

Novità anche sul fronte autostradale, con l’art. 11-ter che avvia le attività della nuova società pubblica Autostrade dello Stato S.p.A., destinataria di finanziamenti crescenti per gestire concessioni e garantire sicurezza stradale.

Infine, attenzione alla memoria storica e alla sicurezza ferroviaria: l’art. 13-bis finanzia un collegamento stradale nel Parco della Pace di Sant’Anna di Stazzema, mentre gli artt. 10-bis e 10-ter aggiornano la disciplina dei passaggi a livello e aumentano le sanzioni per infrazioni in ambito ferroviario.

Vantaggi fiscali

Il Decreto Infrastrutture 2025, come modificato dalla legge di conversione n. 105/2025, non è soltanto un pacchetto di norme per la Pubblica Amministrazione, ma rappresenta un’opportunità concreta per le imprese private – in particolare quelle dei settori costruzioni, trasporti, energia e logistica – grazie all’introduzione di incentivi economici, deroghe normative e semplificazioni procedurali.

Un primo aspetto da evidenziare è la semplificazione dei procedimenti autorizzativi, che si traduce in un risparmio di tempo e costi amministrativi. Pensiamo, ad esempio, alla realizzazione di impianti FER nelle nuove zone di accelerazione, dove la mappatura del GSE sostituisce le lunghe attese delle delibere regionali. Un vantaggio competitivo importante per investitori e sviluppatori nel settore delle rinnovabili.

Per le imprese di autotrasporto, oltre al fondo da 12 milioni di euro per il rinnovo dei veicoli, sono previste sanzioni ai ritardatari nei pagamenti e indennizzi automatici in caso di tempi d’attesa eccessivi, misure che contribuiscono a una maggiore tutela finanziaria e contrattuale del comparto.

Le imprese che operano nel settore degli appalti pubblici potranno beneficiare di deroghe al Codice dei Contratti, come l’affidamento diretto temporaneo e l’esclusione automatica delle offerte anomale. Ciò significa gare più snelle, minor contenzioso e maggiori possibilità di aggiudicazione per operatori affidabili.

Infine, il nuovo cruscotto CIGAL, alimentato da enti fiscali e previdenziali, migliorerà la reputazione digitale delle imprese regolari, favorendo l’accesso ai bandi e riducendo i tempi di verifica. In un contesto competitivo e complesso, queste misure rappresentano un vantaggio operativo e fiscale di rilievo per molte aziende.

Effetti delle nuove misure

L’attuazione delle misure previste dal Decreto Infrastrutture 2025 e dalla relativa legge di conversione non porterà benefici solo in termini di semplificazione normativa, ma produrrà ricadute economiche e occupazionali significative in diversi settori strategici del Paese. Gli interventi infrastrutturali autorizzati, come i nuovi tratti stradali progettati da ANAS o il potenziamento dei depositi di GNL, rappresentano investimenti pubblici in grado di generare nuova occupazione diretta e indiretta, attivando filiere locali e professionisti specializzati.

Il potenziamento delle piattaforme digitali (come AINOP e CIGAL) e l’introduzione di strumenti di monitoraggio integrato porteranno a un aumento della domanda di competenze tecniche e informatiche, contribuendo alla modernizzazione della pubblica amministrazione e dei suoi interlocutori. Allo stesso tempo, la valorizzazione delle imprese in regola con gli adempimenti fiscali, contributivi e lavoristici spingerà verso un miglioramento della qualità degli operatori economici coinvolti in appalti e forniture.

Il rinnovamento del parco mezzi delle imprese di trasporto, favorito dai nuovi fondi e dalla pressione normativa sull’efficienza ambientale, potrà attivare una crescente domanda nel settore automotive, con ricadute positive sull’industria nazionale dei veicoli industriali e sull’indotto dei servizi di manutenzione.

In sintesi, il decreto non si limita a risolvere problemi tecnici o normativi: è un moltiplicatore economico che, se attuato con efficienza, può contribuire a stimolare crescita, innovazione e occupazione in settori chiave per lo sviluppo sostenibile dell’Italia.

Conclusioni

Il Decreto Infrastrutture 2025, come modificato e integrato dalla legge di conversione n. 105/2025, si configura come un provvedimento ad alto impatto sistemico, capace di intervenire su settori nevralgici come trasporti, infrastrutture, energia e appalti pubblici. Le imprese trovano nuove opportunità economiche, grazie a incentivi mirati, semplificazioni procedurali e un ambiente normativo più favorevole.

Le misure per l’autotrasporto, come gli indennizzi automatici per i ritardi e i fondi per il rinnovo veicoli, rappresentano un passo importante verso un settore più moderno ed equo. Le deroghe agli appalti in caso di emergenza e il potenziamento di strumenti digitali come CIGAL e AINOP mostrano un cambio di passo nella gestione pubblica, orientata a efficienza e trasparenza.

Particolarmente strategica è la parte dedicata alle fonti rinnovabili, dove la definizione delle zone di accelerazione consentirà un rapido sviluppo di impianti FER, con meno burocrazia e maggiore certezza per gli investimenti.

Per le aziende, questo decreto non è solo un insieme di norme: è una vera e propria occasione di crescita e di posizionamento competitivo, a patto di conoscere bene le regole e di adeguarsi tempestivamente.

Rivolgiti a professionisti qualificati per cogliere tutti i benefici fiscali, operativi e finanziari che queste nuove disposizioni possono offrire. Una strategia fiscale e amministrativa ben costruita oggi può fare la differenza nel medio-lungo periodo.

Terzo Settore, Sport e IVA: tutte le novità fiscali dal 2026 con il nuovo decreto legislativo

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, un nuovo decreto legislativo di attuazione della legge delega per la riforma fiscale (legge 9 agosto 2023, n. 111), che introduce importanti novità in materia di Terzo Settore, sport dilettantistico, crisi d’impresa e IVA. Il provvedimento, promosso dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, mira a semplificare e razionalizzare la disciplina tributaria per migliaia di enti e società che operano in ambiti strategici per la coesione sociale, il benessere collettivo e la ripresa economica.

Tra le novità più rilevanti troviamo l’estensione del regime forfettario 398/1991 anche alle SSD con tetto a 400.000 euro, l’introduzione di un forfait fiscale a 85.000 euro per ODV e APS, l’allineamento della normativa IVA agli orientamenti europei e una nuova disciplina sulle plusvalenze “congelate” per beni destinati a finalità istituzionali. Il testo interviene anche sulla tassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, ampliando i casi di esenzione nelle procedure concorsuali e di liquidazione.

L’entrata in vigore delle nuove disposizioni è prevista per il 1° gennaio 2026, ma il testo dovrà prima superare l’iter parlamentare e il vaglio della Conferenza Unificata. Intanto, enti, associazioni, società e professionisti devono iniziare a prepararsi per tempo, per cogliere le opportunità di risparmio fiscale e adeguarsi ai nuovi obblighi in arrivo.

Terzo Settore, Sport e IVA

Dal 1° gennaio 2026 il panorama fiscale per enti del Terzo Settore, società sportive dilettantistiche e professionisti che operano nell’ambito dell’IVA subirà un’importante trasformazione. Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, ha approvato in esame preliminare un nuovo decreto legislativo che rappresenta un passaggio chiave nell’attuazione della riforma fiscale prevista dalla legge delega n. 111 del 9 agosto 2023.

Il provvedimento mira a semplificare e razionalizzare una serie di norme oggi frammentarie, complesse e spesso penalizzanti per i soggetti coinvolti.

In particolare, si interviene su quattro fronti principali:

  • Enti del Terzo Settore (ETS)

  • Procedure di crisi d’impresa

  • Enti e società dello sport dilettantistico

  • Imposta sul valore aggiunto (IVA)

La riforma è attualmente in fase di discussione parlamentare: il testo, dopo il passaggio alle Commissioni competenti e il parere della Conferenza Unificata, tornerà al Consiglio dei Ministri per l’adozione definitiva. Tuttavia, fin da ora emergono novità rilevanti, come il regime forfettario per ODV e APS fino a 85.000 euro, l’estensione del regime 398/1991 alle SSD, la detrazione dell’IVA per attività istituzionali e il trattamento delle sopravvenienze attive.

Questi cambiamenti puntano a ridurre il carico burocratico e fiscale su settori fondamentali per il tessuto sociale ed economico del Paese, fornendo certezze interpretative e vantaggi concreti in termini fiscali e finanziari.

Sport dilettantistico

Una delle novità più rilevanti introdotte dal nuovo decreto legislativo riguarda il mondo dello sport dilettantistico, con un intervento diretto sull’applicazione del regime forfetario previsto dalla legge n. 398/1991. L’articolo 4 del testo in esame estende l’accesso a questo regime agevolato anche alle Società Sportive Dilettantistiche (SSD), che finora erano escluse dalla possibilità di usufruire della semplificazione contabile e fiscale riservata alle Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD).

Inoltre, viene alzato il limite massimo di proventi annui a 400.000 euro, segnando un importante passo in avanti per l’intero settore. Questa misura garantisce maggiore flessibilità e sostenibilità economica per le società sportive, equiparando finalmente il trattamento fiscale tra ASD e SSD. Le nuove regole mirano a favorire l’emersione, la semplificazione contabile e l’accesso a una fiscalità più leggera per realtà che svolgono un ruolo cruciale nella promozione dell’attività fisica, dell’educazione sportiva e della coesione sociale.

Il regime 398 prevede un’imposizione forfettaria con obblighi contabili ridotti e versamento semplificato dell’IVA e dell’IRES, rendendo la gestione economica molto più accessibile, soprattutto per enti di dimensioni medio-piccole. L’estensione anche alle SSD rappresenta quindi un importante riconoscimento dell’evoluzione strutturale del mondo sportivo dilettantistico, sempre più organizzato e professionale.

Forfait da 85.000 euro 

Una delle misure più attese contenute nel decreto legislativo è l’introduzione di un regime forfettario semplificato per le ODV (Organizzazioni di Volontariato) e le APS (Associazioni di Promozione Sociale). A partire dal 1° gennaio 2026, questi enti potranno optare per una gestione fiscale agevolata se i proventi annui non superano gli 85.000 euro, soglia superiore rispetto ai regimi attualmente previsti.

L’obiettivo della norma è duplice: alleggerire gli obblighi amministrativi e fiscali per gli enti non commerciali che operano a stretto contatto con la società civile, e incentivare la regolarizzazione delle attività oggi svolte in forma talvolta informale o non pienamente tracciata. Questo forfait rappresenta una vera e propria semplificazione operativa, con riduzione degli adempimenti contabili, aliquota forfettaria per le imposte dirette e regole più snelle per l’IVA.

Il nuovo regime vuole anche evitare la sovrapposizione con il regime previsto per gli ETS nel Codice del Terzo Settore (d.lgs. 117/2017), mantenendo però la coerenza con la normativa europea in materia di aiuti di Stato. Inoltre, si punta a contrastare il fenomeno delle false associazioni, tutelando chi realmente opera a fini solidaristici e promuovendo un ambiente più trasparente per donatori, enti pubblici e cittadini.

Per molte realtà di piccole dimensioni sarà finalmente possibile operare in modo pienamente conforme alle norme fiscali, beneficiando di un quadro chiaro, stabile e accessibile.

IVA

Il nuovo decreto legislativo interviene in modo deciso anche sull’IVA, introducendo una serie di misure che semplificano la gestione fiscale e rendono la normativa nazionale più coerente con i principi e le direttive dell’Unione Europea. Si tratta di quattro interventi chiave che riguardano soprattutto gli enti non commerciali, ma con effetti positivi per un ampio spettro di soggetti.

La prima novità è la soppressione del comma 3 dell’art. 19-bis.2 del DPR 633/1972, che oggi impone complesse rettifiche “pro-rata” per i beni utilizzati promiscuamente tra attività commerciale e istituzionale. Questa modifica riduce drasticamente gli oneri burocratici e rende più lineare la gestione dell’imposta.

La seconda misura riguarda l’introduzione del nuovo art. 19-ter, che disciplina il diritto alla detrazione dell’IVA per gli enti non commerciali: l’imposta sarà detraibile solo in proporzione alle attività economiche svolte, rendendo obbligatoria la contabilità separata tra area istituzionale (non rilevante ai fini IVA) e area commerciale.

Terzo, si interviene sugli articoli 40-bis e 9 del DPR 633/1972 per chiarire il trattamento delle operazioni non imponibili e aggiornare la disciplina dei pagamenti elettronici, in linea con la prassi e la giurisprudenza dell’Unione Europea.

Infine, viene abrogato l’art. 1, comma 151 della legge 197/2022, eliminando un vincolo che limitava la detrazione in determinate condizioni, a vantaggio della semplificazione e della certezza del diritto per tutti i soggetti coinvolti.

Queste modifiche, operative dal 2026, rappresentano un’importante evoluzione del sistema IVA, favorendo trasparenza, efficienza e conformità normativa.

Terzo Settore

Un altro elemento di grande rilievo della riforma fiscale in arrivo è l’introduzione del nuovo art. 79-bis nel Codice del Terzo Settore, pensato per risolvere una criticità spesso sottovalutata ma molto concreta: quella delle cosiddette plusvalenze figurative. Quando un bene, ad esempio un immobile o un’attrezzatura, viene trasferito dall’ambito commerciale a quello non commerciale (ovvero destinato ad attività istituzionali e non lucrative), fino a oggi si generava un’imposta immediata, anche se il bene restava all’interno dell’ente.

Con il nuovo sistema, l’imposta è sospesa (“congelata”) finché il bene rimane destinato alle finalità statutarie. Solo in caso di cessione o cambio di destinazione tornerà a essere dovuta, secondo i criteri normativi. Questo rappresenta un importante principio di neutralità fiscale, che evita penalizzazioni ingiuste per enti che operano in buona fede nel rispetto delle loro finalità istituzionali.

Contestualmente, il decreto potenzia le soglie di accesso ai regimi forfettari, portando a 85.000 euro il limite di ricavi annui sia per le ODV che per le APS. La stessa soglia diventa anche il nuovo limite unico per il regime speciale ex art. 86 del d.lgs. 117/2017. Questo allineamento permette di semplificare il sistema fiscale e di adattarlo agli standard comunitari, offrendo maggiore prevedibilità e minori obblighi contabili agli enti con minore capacità organizzativa.

Il risultato è un contesto normativo più equo, sostenibile e incentivante per il Terzo Settore, oggi sempre più chiamato a svolgere un ruolo chiave nella coesione sociale e nel welfare di prossimità.

Opportunità e sfide 

Le misure introdotte dal decreto legislativo in esame rappresentano un’occasione importante per modernizzare e rendere più sostenibile la gestione fiscale degli enti del Terzo Settore e delle società sportive dilettantistiche, ma allo stesso tempo pongono nuove sfide operative che non vanno sottovalutate. La maggiore semplificazione fiscale, infatti, non significa “assenza di regole”, ma richiede un adattamento delle procedure interne, una maggiore tracciabilità e una consapevolezza più approfondita delle normative.

Per gli enti sportivi dilettantistici, l’estensione del regime 398/1991 e l’innalzamento del tetto a 400.000 euro rappresentano un’opportunità concreta per ridurre il carico fiscale e razionalizzare la gestione contabile. Tuttavia, per accedere a questi benefici sarà fondamentale documentare correttamente l’attività sportiva, rispettare i vincoli statutari e gestire in modo separato le attività istituzionali da quelle eventualmente commerciali.

Anche per ODV e APS, il nuovo forfait fino a 85.000 euro offre notevoli vantaggi, ma impone una maggiore attenzione nella tracciabilità dei proventi, nel rispetto dei requisiti soggettivi e nella corretta tenuta della contabilità, anche in forma semplificata.

Infine, la nuova disciplina IVA e il congelamento delle plusvalenze richiedono un aggiornamento delle politiche interne e del bilancio patrimoniale, soprattutto per enti che possiedono beni strumentali o immobili destinati ad attività istituzionali. Sarà quindi necessario un adeguato supporto professionale, sia per evitare errori che per sfruttare appieno i nuovi margini di ottimizzazione fiscale.

Crisi d’impresa

Una delle novità più significative del decreto legislativo riguarda la disciplina fiscale applicabile nelle situazioni di crisi d’impresa, con l’obiettivo dichiarato di non penalizzare fiscalmente le imprese che ristrutturano il proprio debito nell’ambito di procedure concorsuali o strumenti di risanamento. In questo senso, viene riscritto l’art. 88, comma 4-ter del TUIR, ampliando il campo di applicazione della non imposizione delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti.

Finora l’agevolazione era limitata alle ipotesi di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione, ma con la nuova norma si estende anche a:

  • Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

  • Concordato minore (rivolto a microimprese e lavoratori autonomi)

  • Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

  • Procedure estere equivalenti, in linea con i principi del diritto dell’Unione Europea

L’esclusione da imposizione riguarda, tuttavia, solo la parte di sopravvenienza attiva che eccede le perdite fiscali, la deduzione ACE (Aiuto alla Crescita Economica) e gli interessi passivi riportati a nuovo. In altre parole, la neutralità fiscale si applica solo dopo aver compensato le posizioni fiscali pregresse, in un’ottica di equilibrio tra esigenza di rilancio e tutela dell’erario.

Questa norma consente una maggiore certezza e trasparenza per le imprese e i professionisti che seguono i processi di risanamento, riducendo il rischio di contenziosi e facilitando i percorsi di uscita dalla crisi, senza il peso di imposizioni tributarie aggiuntive su operazioni che, per loro natura, non generano ricchezza reale.

Prossime tappe

Il decreto legislativo approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri il 22 luglio 2025 non è ancora definitivo, ma segna una tappa fondamentale nel percorso di attuazione della legge delega per la riforma fiscale (legge 9 agosto 2023, n. 111). Il testo, infatti, è ora atteso all’esame delle Commissioni parlamentari competenti, che potranno esprimere osservazioni e suggerimenti, anche in relazione al principio di equità fiscale e semplificazione amministrativa.

Successivamente, sarà acquisito il parere della Conferenza Unificata, che rappresenta le Regioni, le Province autonome e gli Enti locali. Questo passaggio è particolarmente importante, soprattutto per le norme che riguardano il Terzo Settore e lo sport dilettantistico, ambiti in cui le competenze sono spesso condivise tra Stato e autonomie territoriali.

Solo dopo queste fasi il testo tornerà in Consiglio dei Ministri per l’adozione definitiva, con l’eventuale recepimento delle modifiche proposte. La data di entrata in vigore è fissata al 1° gennaio 2026, salvo eventuali proroghe o revisioni che potrebbero emergere nel corso del dibattito parlamentare.

Per enti, società e operatori del settore sarà fondamentale monitorare l’evoluzione normativa nei prossimi mesi, al fine di pianificare per tempo gli adeguamenti organizzativi e fiscali. In molti casi, sarà opportuno valutare con professionisti esperti le strategie da adottare in vista della nuova normativa, sfruttando fin da subito i margini di risparmio e regolarizzazione messi a disposizione dal legislatore.

Vantaggi fiscali 

Le riforme fiscali introdotte dal decreto legislativo, in fase di approvazione definitiva, non rappresentano solo una revisione tecnica delle norme tributarie, ma configurano una vera e propria opportunità strategica di risparmio e di semplificazione per enti, associazioni e società. I vantaggi si riflettono su più livelli, dalla riduzione del carico burocratico alla possibilità di pianificare con maggiore certezza le attività economiche e istituzionali.

Per gli enti del Terzo Settore, la possibilità di accedere a regimi forfettari più ampi, uniti a una gestione più equa delle plusvalenze e a una detrazione IVA più razionale, significa minori costi amministrativi, meno rischio di sanzioni e maggiore sostenibilità economica nel medio-lungo periodo. In molti casi, questi cambiamenti favoriscono l’emersione di attività finora svolte in maniera non formalizzata, aumentando anche la trasparenza verso i donatori, gli enti pubblici e la comunità.

Le società sportive dilettantistiche potranno beneficiare di regimi semplificati fino a 400.000 euro annui, agevolazioni che, se ben gestite, potranno tradursi in una maggiore capacità di autofinanziamento e sviluppo. La chiarezza normativa garantisce inoltre un miglior dialogo con banche, sponsor e pubbliche amministrazioni, fondamentali per sostenere progetti a impatto sociale e sportivo.

Infine, la gestione della crisi d’impresa in chiave fiscale neutra rafforza il principio per cui il fisco non deve ostacolare il risanamento, ma deve accompagnarlo. Ciò consente alle realtà in difficoltà di rilanciarsi senza oneri fiscali paradossali, salvaguardando posti di lavoro e continuità operativa.

In sintesi, queste misure offrono una base più solida e sostenibile per operare legalmente, in modo efficiente e con vantaggi tangibili sul piano finanziario e organizzativo.

Conclusione

Il decreto legislativo in fase di approvazione rappresenta un cambio di passo concreto nella fiscalità applicata al Terzo Settore, allo sport dilettantistico e alla gestione della crisi d’impresa, oltre che un adeguamento importante alle direttive comunitarie in materia di IVA. Le misure previste non sono meri aggiustamenti tecnici: disegnano un nuovo scenario operativo in cui gli enti potranno contare su maggiore chiarezza normativa, meno burocrazia e più strumenti per una gestione sostenibile.

L’introduzione del regime forfettario a 85.000 euro per APS e ODV, l’estensione del regime 398/1991 alle SSD, la possibilità di detrarre l’IVA solo in proporzione all’attività economica e il congelamento delle plusvalenze rappresentano riforme strutturali in grado di semplificare la vita degli enti e, al contempo, rafforzare la compliance e la trasparenza.

Allo stesso tempo, la neutralità fiscale nelle procedure di risanamento aziendale apre a una visione più realistica e funzionale del rapporto tra fisco e impresa in crisi, finalmente allineata a una logica di recupero e rilancio.

Sarà ora compito degli operatori, consulenti, enti e istituzioni prepararsi al meglio all’entrata in vigore prevista per il 1° gennaio 2026, valutando fin d’ora le implicazioni operative e strategiche. La riforma, se ben applicata, non solo ridurrà il peso fiscale, ma premierà la trasparenza, l’efficienza e la regolarità, favorendo uno sviluppo più equilibrato e duraturo del settore non profit e sportivo.

CCNL Miniere e Metallurgia 2025-2028: aumenti, welfare e innovazione nel nuovo contratto

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Il nuovo CCNL per il settore Miniere e Metallurgia, firmato il 17 luglio 2025, rappresenta un’importante svolta contrattuale per migliaia di lavoratori del comparto minerario e metallurgico italiano. In vigore dal 1° aprile 2025 al 31 marzo 2028, il rinnovo introduce rilevanti novità retributive, normative e di welfare, puntando su una modernizzazione dei rapporti di lavoro e su un rafforzamento delle tutele per i lavoratori. L’accordo, siglato da Assomineraria e dalle organizzazioni sindacali Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil, interessa oltre 6.000 addetti impiegati nelle attività estrattive di risorse minerarie e nella lavorazione dei metalli.

Tra i punti di maggiore impatto del nuovo CCNL troviamo: incrementi salariali significativi, una rivisitazione della classificazione del personale, più diritti in materia di conciliazione vita-lavoro, sostegno alla genitorialità e misure specifiche per la formazione continua. Ma non solo: le parti sociali hanno anche concordato un nuovo sistema di relazioni industriali che punta su partecipazione, sostenibilità e sicurezza sul lavoro.

In questo articolo approfondiremo tutti i dettagli del rinnovo: dai nuovi minimi retributivi suddivisi per livelli, alle novità contrattuali, fino agli strumenti introdotti per favorire produttività e benessere aziendale, con un’attenzione particolare alle opportunità fiscali e contributive che il contratto potrebbe generare per aziende e lavoratori.

Rinnovo del CCNL

Firmato l’11 luglio 2025 a Roma presso il Centro Congressi del CNEL, l’accordo di rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per le Attività Minerarie è stato sottoscritto da Assorisorse (aderente a Confindustria) e dalle organizzazioni sindacali Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil. Questo CCNL interessa circa 1.050 lavoratori, attivi in 70 siti produttivi distribuiti in otto regioni italiane, ed è valido dal 1° aprile 2025 fino al 31 marzo 2028.

Il rinnovo giunge in un momento delicato per il comparto dei minerali industriali, che sta affrontando una fase di profonda crisi dovuta a tre fattori principali: la contrazione della domanda interna, l’aumento della concorrenza estera a basso costo e un quadro normativo incerto e frammentato. Questo scenario ha reso necessario un contratto innovativo, capace di dare risposte concrete sia sul piano retributivo che su quello organizzativo e di welfare.

Proprio per questo, l’intesa è il risultato di un percorso partecipato, in cui le parti sociali hanno posto al centro il valore del capitale umano, con particolare attenzione alla qualità del lavoro, al benessere organizzativo, all’innovazione tecnologica e alla formazione continua. Il contratto rinnova l’impegno verso una transizione sostenibile dell’industria estrattiva e metallurgica, rafforzando al tempo stesso diritti, salari e tutele per i lavoratori coinvolti.

Novità economiche e retributive

Uno degli elementi centrali del nuovo CCNL Attività Minerarie 2025-2028 è l’adeguamento economico previsto per tutti i livelli di inquadramento. Il contratto introduce infatti quattro tranche di aumenti salariali, con decorrenze fissate a dicembre 2025, marzo 2026, gennaio 2027 e gennaio 2028, che garantiranno un incremento complessivo mensile compreso tra 171 e 374 euro lordi, in base al livello.

Ecco alcuni esempi concreti: il livello 1S, che rappresenta il vertice delle qualifiche, passerà da un minimo di 3.037,90 euro (novembre 2025) a 3.412,16 euro (gennaio 2028). Anche i livelli più bassi, come il livello 8, beneficeranno di un aumento, salendo da 1.705,38 euro a 1.876,49 euro nell’arco del triennio.

Di seguito la tabella dei nuovi minimi retributivi mensili:

Sul fronte del welfare aziendale, il nuovo contratto prevede:

  • Previdenza complementare: il contributo aziendale sale al 4%, comprensivo dello 0,2% destinato alla copertura per premorienza;

  • Sanità integrativa: il costo del piano base sarà interamente a carico dell’azienda, ma limitatamente al solo lavoratore;

  • Contrattazione di secondo livello: viene rafforzata e confermata come strumento fondamentale per favorire la produttività;

  • Quadri: previsto un aumento mensile specifico di 20 euro lordi, in riconoscimento dell’evoluzione tecnologica e del ruolo professionale sempre più strategico.

Infine, per monitorare le evoluzioni del settore, viene istituito un Osservatorio di Settore permanente, utile anche in vista del prossimo rinnovo contrattuale.

Lavoro agile, IA e inclusione

Il nuovo CCNL Miniere e Metallurgia 2025-2028 si distingue anche per un forte orientamento al futuro e all’innovazione sociale e tecnologica. In risposta ai cambiamenti del mercato del lavoro e all’impatto crescente delle tecnologie digitali, le parti firmatarie hanno previsto l’istituzione di tavoli tecnici nazionali su temi strategici come l’Intelligenza Artificiale, il lavoro agile, la revisione della classificazione del personale e la parità di genere.

Nel dettaglio, per quanto riguarda l’IA, si è convenuto sulla necessità di avviare una profonda riflessione sull’organizzazione del lavoro alla luce delle trasformazioni introdotte da algoritmi, automazione e tecnologie predittive. Verrà quindi creata una Commissione nazionale con esperti del settore, incaricata di definire regole contrattuali condivise per governare in modo equo l’impatto dell’intelligenza artificiale sui processi aziendali e sulle mansioni.

Ampio spazio è dato anche al tema della digitalizzazione dei diritti sindacali, con il potenziamento delle tutele anche in modalità telematica.

Sono inoltre previste due Commissioni permanenti:

  • una per la revisione della classificazione del personale, in funzione delle nuove competenze richieste;

  • una per l’Osservatorio Pari Opportunità, che integrerà i principi ESG (ambientali, sociali e di governance) nei processi aziendali.

Particolare attenzione viene riservata anche alla gestione degli appalti: il contratto rafforza le tutele per i lavoratori delle ditte esterne, promuove politiche DE&I (Diversity, Equity & Inclusion) e si adegua ai modelli organizzativi inclusivi previsti dai D.Lgs. 81/2008 (tutela della salute e sicurezza sul lavoro) e 624/1996 (consultazione in ambito minerario).

Nuove priorità contrattuali

Un altro asse centrale del rinnovo del CCNL Miniere e Metallurgia 2025-2028 è rappresentato dalla formazione continua, dalla transizione digitale e dalla sostenibilità ambientale. Le parti sociali hanno riconosciuto che il futuro del comparto passa necessariamente per l’aggiornamento delle competenze, l’adozione di tecnologie innovative e l’integrazione dei principi ESG nei modelli organizzativi.

Il contratto prevede il potenziamento dei percorsi formativi aziendali, con focus su sicurezza sul lavoro, tecnologie 4.0, automazione, intelligenza artificiale, digitalizzazione dei processi industriali e competenze trasversali. L’obiettivo è quello di accompagnare i lavoratori nel processo di riqualificazione professionale, affinché possano affrontare le trasformazioni produttive senza subire ricadute occupazionali.

Inoltre, il CCNL incoraggia le imprese del settore a investire in progetti di sostenibilità ambientale, anche in linea con le politiche europee per la decarbonizzazione e le strategie di economia circolare. In quest’ottica, sono previsti incentivi alla contrattazione di secondo livello per promuovere accordi su temi come il risparmio energetico, la riduzione dell’impatto ambientale e l’utilizzo efficiente delle risorse naturali.

Infine, particolare attenzione è riservata al coinvolgimento attivo dei lavoratori nei processi di innovazione, con l’obiettivo di sviluppare una cultura industriale moderna, partecipativa e orientata alla responsabilità sociale d’impresa.

Vantaggi fiscali

Il rinnovo del CCNL Miniere e Metallurgia 2025-2028 non si limita a migliorare le condizioni contrattuali, ma apre anche interessanti opportunità in termini fiscali e contributivi sia per le aziende sia per i lavoratori. Le novità introdotte, infatti, possono essere pienamente valorizzate attraverso una gestione fiscale strategica dei nuovi istituti previsti, in particolare sul fronte del welfare aziendale, della previdenza complementare e della contrattazione di secondo livello.

Uno degli strumenti più vantaggiosi è la possibilità per le imprese di dedurre integralmente i contributi versati alla previdenza complementare (fino al limite di € 5.164,57 annui per ciascun dipendente), compresi gli aumenti previsti dal nuovo contratto, che portano la quota aziendale al 4%. Analogamente, i costi sostenuti per la sanità integrativa aziendale possono beneficiare di esoneri fiscali e contributivi, purché gestiti tramite fondi sanitari collettivi conformi alla normativa vigente (ex art. 51, comma 2, TUIR).

Un altro aspetto di rilievo è rappresentato dai premi di produttività erogati nell’ambito della contrattazione di secondo livello. Se strutturati correttamente, questi possono godere di un’imposizione agevolata al 5% di imposta sostitutiva, anziché l’ordinaria aliquota IRPEF, oltre a essere parzialmente esenti da contribuzione INPS, incentivando così accordi aziendali su obiettivi di efficienza, sostenibilità e innovazione.

Infine, per i lavoratori, l’accesso potenziato a strumenti di welfare contrattuale rappresenta un’opportunità per ottenere benefici non monetari esenti da tassazione, come buoni spesa, rimborsi scolastici, trasporti pubblici e servizi per la famiglia, in un’ottica di aumento del potere d’acquisto reale.

Obblighi e suggerimenti operativi 

Con l’entrata in vigore del nuovo CCNL per le Attività Minerarie e Metallurgiche dal 1° aprile 2025, le aziende interessate devono avviare una pianificazione operativa accurata per recepire tutte le novità contrattuali. Le implicazioni riguardano non solo gli aspetti retributivi, ma anche l’organizzazione del lavoro, la gestione documentale, i rapporti con le rappresentanze sindacali e la revisione dei sistemi gestionali interni.

Dal punto di vista amministrativo, sarà fondamentale aggiornare i software paghe e gestionali HR per adeguare i nuovi minimi retributivi, le quattro tranches di aumento, il contributo previdenziale al 4% e le modifiche legate a quadri e welfare contrattuale. L’aggiornamento delle buste paga e dei cedolini dovrà essere puntuale, con particolare attenzione ai nuovi criteri di classificazione del personale, su cui sono già attivi i tavoli tecnici.

Le aziende dovranno anche prevedere l’adeguamento dei regolamenti interni in relazione al lavoro agile, alla salute e sicurezza secondo i D.Lgs. 81/2008 e 624/1996, e alla gestione degli appalti, alla luce delle nuove tutele per i lavoratori esterni. In parallelo, sarà opportuno intensificare il dialogo con le RSU e i sindacati territoriali, anche per sfruttare le potenzialità della contrattazione di secondo livello e accedere ai benefici fiscali sui premi di risultato.

Infine, per garantire la conformità e prevenire errori o contenziosi, è altamente consigliabile affidarsi a un consulente del lavoro esperto del settore estrattivo e metallurgico, in grado di assistere l’azienda nel processo di implementazione integrata delle nuove disposizioni contrattuali.

Conclusione

Il rinnovo del CCNL Miniere e Metallurgia 2025-2028 rappresenta molto più di un semplice aggiornamento retributivo: è una risposta strutturata alle sfide economiche, tecnologiche e sociali che il comparto estrattivo italiano sta affrontando. In un contesto di forte incertezza e pressione competitiva, l’accordo siglato da Assorisorse e dalle sigle sindacali introduce misure concrete per valorizzare il lavoro, rafforzare il potere d’acquisto, sostenere l’innovazione tecnologica e promuovere una cultura aziendale più inclusiva, partecipativa e sostenibile.

Gli aumenti salariali articolati in quattro tranche, i nuovi minimi retributivi, le politiche di welfare estese, i diritti sindacali digitalizzati e la nascita di Commissioni tecniche e Osservatori permanenti sono tutti strumenti pensati per accompagnare la trasformazione del settore con equilibrio e lungimiranza. La presenza di temi chiave come intelligenza artificiale, transizione digitale, formazione continua e sostenibilità ambientale dimostra la volontà di costruire un contratto proiettato nel futuro, capace di rispondere ai bisogni di un mercato del lavoro sempre più dinamico.

Per aziende e professionisti del settore, conoscere a fondo le novità del CCNL significa prepararsi per tempo, sfruttare le opportunità fiscali e contributive e garantire un’applicazione coerente e vantaggiosa delle nuove norme. Per i lavoratori, invece, si apre una nuova fase in cui diritti, tutele e sviluppo professionale trovano finalmente un equilibrio moderno e concreto.

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