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giovedì 18 Dicembre 2025

Tassazione dividendi 2026: esclusione al 5%, cosa cambia e come risparmiare legalmente

Il tema della tassazione dei dividendi è sempre stato al centro dell’attenzione di professionisti, investitori e aziende. Con la bozza della Legge di Bilancio 2025, il Governo ha proposto una modifica molto rilevante: l’introduzione di una soglia minima del 5% di partecipazione per poter accedere al regime di esclusione parziale dei dividendi dal reddito imponibile. Una proposta che ha subito fatto discutere, al punto da essere immediatamente oggetto di un emendamento correttivo, proprio a causa delle forti criticità emerse da parte di imprese, commercialisti e operatori finanziari.

Questa modifica avrebbe avuto impatti profondi sul tessuto imprenditoriale italiano, in particolare per quelle società che oggi beneficiano della tassazione agevolata sui dividendi percepiti da partecipazioni qualificate e non qualificate. La norma mirava a ridefinire le condizioni per poter escludere parzialmente i dividendi dalla tassazione, prevedendo appunto una soglia di possesso minima, ma è stata subito vista come potenzialmente dannosa per migliaia di società.

Nell’articolo analizziamo passo dopo passo cosa prevedeva inizialmente il testo del DDL, quali sarebbero state le conseguenze pratiche per le imprese, come è intervenuto l’emendamento correttivo e  soprattutto, quali sono oggi i reali impatti di questa misura dopo la modifica.

Scopriremo anche se e come questa norma potrebbe essere ulteriormente ritoccata in fase di approvazione definitiva della Legge di Bilancio e quali strategie valutare per risparmiare sulle imposte in modo del tutto legale.

DDL Bilancio 2026

Nel cuore del Disegno di Legge di Bilancio 2026, l’articolo 18 ha introdotto una modifica strutturale e potenzialmente rivoluzionaria alla tassazione dei dividendi per le società. La bozza iniziale prevedeva l’abbandono del regime di esenzione parziale del 95%, oggi riconosciuto ai dividendi percepiti dalle società ai sensi dell’art. 89, comma 2, del TUIR. Secondo questa prima formulazione, il beneficio fiscale si sarebbe applicato solo se la società detentrice avesse posseduto una partecipazione diretta pari almeno al 10% nella società che distribuisce gli utili.

Un’ulteriore condizione riguardava la possibilità di considerare anche le partecipazioni indirette, ma con calcolo “demoltiplicato” secondo le regole previste dal Codice Civile (art. 2359). Le stesse regole sarebbero state estese anche ai dividendi di fonte estera. In pratica, il nuovo regime avrebbe drasticamente ristretto la platea delle partecipazioni fiscalmente agevolabili, escludendo tutte quelle sotto la soglia del 10%.

L’emendamento successivo ha ammorbidito la misura, riducendo la soglia minima dal 10% al 5%, con l’aggiunta di un ulteriore vincolo temporale: la partecipazione dovrà essere detenuta per almeno tre anni. Inoltre, l’agevolazione rimarrebbe applicabile anche nel caso in cui la quota posseduta sia inferiore al 5% ma il valore della partecipazione superi i 500.000 euro.

Queste modifiche si applicheranno solo a partire dal 1° gennaio 2026, senza alcun effetto retroattivo. Il cambio di rotta del Governo sembra voler evitare impatti troppo forti sul sistema imprenditoriale, pur mantenendo un certo rigore contro la doppia non imposizione dei dividendi.

Impatto della soglia al 5%

L’introduzione di una soglia minima del 5% per accedere al regime di esclusione parziale dei dividendi rappresenta un cambio di paradigma importante rispetto alla normativa attuale, che prevede un’esenzione del 95% senza alcuna soglia minima di partecipazione. Questa modifica avrà impatti immediati sia sulle società holding che su quelle operative, ma anche su tutte le imprese con partecipazioni minoritarie, finora fiscalmente efficienti.

Le società che detengono partecipazioni frammentate, magari sotto forma di investimenti strategici inferiori al 5%, si vedranno negare il beneficio dell’esenzione, e saranno quindi soggette a tassazione ordinaria sull’intero importo dei dividendi ricevuti. Un cambiamento che può portare a un aumento della pressione fiscale in misura significativa, in particolare per le holding di partecipazione che operano con logiche di portafoglio diversificato.

Anche le operazioni di M&A e di pianificazione societaria potrebbero essere influenzate: sarà infatti necessario valutare attentamente il peso delle partecipazioni e l’orizzonte temporale del loro mantenimento. La norma prevede che la partecipazione debba essere mantenuta per almeno tre anni, il che implica una strategia di lungo periodo e potrebbe limitare la flessibilità operativa.

Non meno importante è l’impatto sulle plusvalenze: l’articolo 18, nella nuova formulazione, estende i criteri della soglia anche alle plusvalenze da cessione di partecipazioni acquisite dal 2026. Se la partecipazione è inferiore al 5% o ha un valore sotto i 500.000 euro, anche le eventuali plusvalenze non godranno dell’esclusione.

Questo scenario obbliga le imprese a ripensare le proprie strategie di gestione partecipativa per ottimizzare il carico fiscale.

Tassazione dividendi 2026:esclusione al 5%-Commercialista.it

Gli obiettivi del legislatore

La ratio della nuova disciplina sui dividendi si fonda su un’esigenza ben precisa: limitare i fenomeni di doppia non imposizione, che negli anni hanno favorito pianificazioni fiscali aggressive da parte di alcune strutture societarie, in particolare holding di diritto italiano con partecipazioni in società estere. Infatti, nel regime attuale, l’esclusione del 95% si applica in maniera automatica, anche a partecipazioni di modesto valore e senza alcun requisito temporale o gestionale.

Secondo la relazione tecnica allegata al DDL, la modifica normativa sarebbe volta a garantire un’applicazione più selettiva del beneficio fiscale, premiando le partecipazioni più rilevanti e stabili, in linea con le direttive europee in materia di fiscalità delle società (in particolare la Direttiva madre-figlia 2011/96/UE). Quest’ultima impone agli Stati membri di evitare la doppia imposizione economica, ma consente anche di adottare clausole anti-abuso che impediscano vantaggi fiscali ingiustificati.

Un altro aspetto non trascurabile è l’impatto sulle entrate fiscali: restringendo il campo delle partecipazioni fiscalmente agevolate, lo Stato punta a recuperare base imponibile, con un effetto potenzialmente positivo sul bilancio pubblico. Tuttavia, il rischio di effetti distorsivi sul mercato non è secondario, specie per le PMI che detengono partecipazioni minoritarie ma strategiche in altre realtà aziendali.

In sostanza, il legislatore sembra voler privilegiare un approccio più “qualitativo” alla fiscalità dei dividendi, riconoscendo l’esenzione solo in presenza di un effettivo coinvolgimento societario e imprenditoriale nel lungo termine.

Decorrenza e periodo transitorio

Una delle caratteristiche più rilevanti della nuova disciplina sulla tassazione dei dividendi è la sua applicazione solo a partire dal 1° gennaio 2026. Questo significa che tutte le distribuzioni deliberate fino al 31 dicembre 2025 continueranno a beneficiare del regime attuale, ovvero esclusione del 95% senza soglie minime di partecipazione. La norma non prevede effetti retroattivi, e questo offre alle imprese un margine operativo per adeguarsi.

Tuttavia, c’è un punto critico da non sottovalutare: ai fini della determinazione degli acconti d’imposta per il 2026, si dovranno considerare le nuove regole, come se fossero già in vigore. Questo comporta che le imprese dovranno rivedere i calcoli in base alle previsioni dell’art. 18 riformato, con possibili impatti sulla liquidità aziendale già nel 2025.

Alla luce di ciò, diventa fondamentale valutare azioni strategiche entro la fine del 2025, tra cui:

  • Deliberare distribuzioni di utili prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, specialmente se si detengono partecipazioni inferiori al 5%;

  • Rivedere la struttura delle partecipazioni per valutare eventuali accorpamenti, fusioni o riallocazioni che permettano di raggiungere la soglia del 5%;

  • Analizzare le partecipazioni estere, per verificare coerenza con i nuovi requisiti, anche in caso di catene di controllo indirette.

Il periodo transitorio, se ben sfruttato, può rappresentare un’occasione per riorganizzare in modo più efficiente la struttura societaria e ottimizzare il carico fiscale futuro. La consulenza di un commercialista esperto in fiscalità societaria sarà, in questa fase, uno strumento fondamentale per evitare errori e cogliere opportunità.

Soggetti penalizzati

Non tutte le imprese saranno colpite allo stesso modo dalla riforma introdotta con il DDL di Bilancio 2026. L’introduzione della soglia del 5% e del requisito di detenzione triennale per beneficiare del regime di esclusione parziale dei dividendi penalizzerà in modo particolare alcune categorie di soggetti.

Tra i principali “danneggiati” troviamo:

  • Società con partecipazioni inferiori al 5%, soprattutto quelle che detengono piccole quote in società strategiche, magari per motivi commerciali, industriali o di alleanze territoriali. In questi casi, il mancato accesso all’esenzione rischia di azzerare la convenienza dell’investimento.

  • Holding di partecipazioni diversificate, tipiche nel settore finanziario o immobiliare, che operano con logiche di portafoglio e non con partecipazioni di controllo. La riforma impone una riflessione profonda sulla composizione degli asset.

  • Start-up e PMI innovative, spesso partecipate da più investitori con piccole quote, che rischiano di perdere l’attrattività fiscale per soci finanziatori e business angel, con possibili effetti negativi sull’ecosistema dell’innovazione.

  • Società estere controllate da realtà italiane tramite più livelli di partecipazione (holding estere, sub-holding): in questi casi, la catena partecipativa potrebbe ridurre l’effettiva quota di controllo al di sotto del 5%, rendendo inapplicabile l’agevolazione.

Anche il vincolo dei tre anni di detenzione continuativa rischia di penalizzare operazioni tipiche del private equity o delle joint venture temporanee, limitando la flessibilità strategica in fase di ingresso o dismissione.

In conclusione, le imprese dovranno effettuare una mappatura completa delle proprie partecipazioni, per capire dove intervenire e come strutturare al meglio gli investimenti futuri in ottica fiscale.

Tassazione dividendi 2026:esclusione al 5%-Commercialista.it

Strategie di risparmio fiscale legale

Con l’entrata in vigore della nuova soglia del 5% e del vincolo triennale a partire dal 2026, le imprese devono iniziare sin da ora a ripensare la propria struttura societaria per evitare un aggravio fiscale.

Esistono diverse strategie legali e pienamente conformi alla normativa che consentono di ridurre l’impatto delle nuove regole, agendo con anticipo.

1. Riorganizzazione delle partecipazioni societarie
Se un’impresa detiene più partecipazioni frazionate (ad esempio inferiori al 5%), è possibile valutare operazioni come fusione, conferimento o acquisto di quote per superare la soglia minima e accedere all’esenzione parziale. Naturalmente, tali operazioni devono avere valenza economica e non solo fiscale, per evitare problemi con l’Agenzia delle Entrate.

2. Pianificazione delle distribuzioni entro il 2025
Poiché la nuova disciplina si applica solo ai dividendi deliberati dal 1° gennaio 2026, una delle strategie più efficaci è anticipare le distribuzioni. Le società possono deliberare, anche senza distribuirli subito, utili accantonati in esercizi precedenti, evitando così la nuova imposizione piena su partecipazioni “piccole”.

3. Consolidamento o rivalutazione delle partecipazioni
Per le partecipazioni che non raggiungono la soglia del 5% ma hanno un elevato valore di bilancio (oltre 500.000 euro), si potrebbe valutare una rivalutazione civilistica e fiscale per rientrare nella seconda soglia prevista dalla norma. In alternativa, si può considerare un aumento di capitale o operazioni societarie per raggiungere la soglia.

4. Holding di partecipazione come strumento fiscale
In alcuni casi, la costituzione di una holding italiana può permettere il consolidamento di partecipazioni, migliorando il controllo e l’efficienza fiscale. Tuttavia, è necessario valutarne attentamente i costi, la governance e l’impatto successorio.

5. Monitoraggio costante e consulenza specialistica
Le nuove regole non saranno semplici da applicare, soprattutto in presenza di partecipazioni indirette o catene societarie complesse. Un’attenta analisi preventiva, accompagnata da simulazioni fiscali e supporto di professionisti, sarà fondamentale per pianificare con razionalità.

Esempio pratico

Immaginiamo il caso di Alfa Srl, una PMI italiana che detiene il 3% del capitale di Beta Spa, società operativa di maggiori dimensioni. Nel 2024, Beta Spa ha accantonato utili importanti, e sta valutando se distribuirli nel corso del 2025 o attendere il 2026.

Situazione:

  • Quota di partecipazione: 3% (inferiore al 5%)

  • Utili destinati a distribuzione: €200.000

  • Alfa Srl è una società residente, soggetta a IRES (24%)

  • Nessun vincolo di partecipazione triennale (poiché posseduta da meno di 2 anni)

  • La partecipazione non supera i 500.000 euro di valore contabile

Scenario 1: Distribuzione entro il 2025 (regime attuale)

In base alla normativa vigente (art. 89, comma 2, TUIR), Alfa Srl esclude il 95% del dividendo dalla base imponibile. Solo il 5% (€10.000) sarà tassato con l’IRES al 24%.

Tassazione totale = 10.000 × 24% = €2.400

Scenario 2: Distribuzione dal 2026 in poi (nuovo regime)

Poiché la quota è inferiore al 5% e non supera i 500.000 euro, l’esenzione non si applica. L’intero dividendo sarà incluso nella base imponibile.

Tassazione totale = 200.000 × 24% = €48.000

Differenza di carico fiscale:

€48.000 – €2.400 = €45.600 in più di imposte da pagare, semplicemente per effetto della nuova norma.

Conclusione dell’esempio: in casi come questo, è evidente che una distribuzione entro il 2025 è fiscalmente più vantaggiosa. Rimandare può comportare una tassazione venti volte più alta, senza che cambi nulla nella natura dell’investimento. Per questo motivo, le imprese devono valutare con urgenza la tempistica delle distribuzioni.

Considerazioni finali 

La modifica alla disciplina fiscale dei dividendi, introdotta dal DDL di Bilancio 2026, rappresenta un cambio significativo per la fiscalità delle società italiane. L’introduzione della soglia minima del 5% e del requisito di detenzione per almeno tre anni segna un passaggio da un sistema generalizzato di agevolazione a un modello più selettivo, che mira a limitare fenomeni di doppia non imposizione e a favorire partecipazioni più stabili e rilevanti.

Le implicazioni sono concrete: molte società che oggi beneficiano dell’esclusione del 95% si troveranno, dal 2026, a dover assoggettare interamente i dividendi a tassazione, con un impatto economico non trascurabile, in particolare per le partecipazioni minoritarie o di natura meramente finanziaria.

In attesa dell’approvazione definitiva della norma e dell’eventuale conferma dell’emendamento che abbassa la soglia dal 10% al 5%, sarà fondamentale per le imprese effettuare valutazioni tempestive. La possibilità di distribuire utili entro la fine del 2025 o di ristrutturare le partecipazioni nei mesi a venire potrebbe rivelarsi decisiva per mitigare gli effetti della riforma.

Resta infine da comprendere se, nei prossimi passaggi parlamentari, la norma subirà ulteriori modifiche o se verranno introdotte clausole di salvaguardia per le partecipazioni storiche o strategiche. Il contesto fiscale, ancora una volta, impone alle imprese un’attenta pianificazione e un costante aggiornamento sulle evoluzioni normative.

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