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martedì 16 Aprile 2024

LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

Un lavoratore licenziato per giusta causa, ricorreva al giudice per ottenere il reintegro a seguito del licenziamento intimatogli dalla società, per aver rifiutato di svolgere delle mansioni assegnategli senza alcuna plausibile giustificazione. Il Tribunale rigettava il ricorso proposto dal lavoratore. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado evidenziando che il licenziamento fosse valido e le censure relative alla mancata affissione del codice disciplinare, fossero infondate in quanto si trattava di una violazione degli obblighi contrattuali e derivanti dal legislatore. Inoltre era accertato che, rifiutando la mansione assegnata, il lavoratore non avesse rispettato il vincolo della subordinazione.

Un lavoratore licenziato per giusta causa, ricorreva al giudice per ottenere il reintegro a seguito del licenziamento intimatogli dalla società, per aver rifiutato di svolgere delle mansioni assegnategli senza alcuna plausibile giustificazione. Il Tribunale rigettava il ricorso proposto dal lavoratore. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado evidenziando che il licenziamento fosse valido e le censure relative alla mancata affissione del codice disciplinare, fossero infondate in quanto si trattava di una violazione degli obblighi contrattuali e derivanti dal legislatore. Inoltre era accertato che, rifiutando la mansione assegnata, il lavoratore non avesse rispettato il vincolo della subordinazione.

La giustificazione presentata dal lavoratore era pretestuosa perché causata da un rifiuto di seguire le lezione del corso qualificante la mansione assegnata. A fronte di tale comportamento protratto per più giorni, anche senza sanzioni disciplinari, il recesso per giusta causa era apparso idoneo.

Il lavoratore ricorreva alla Cassazione lamentando la
mancata affissione del codice disciplinare come previsto dall’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori.

La Cassazione rigettava il ricorso sostenendo che: 
– in presenza di violazioni legislative e contrattuali e comunque di mancanza di doveri fondamentali nel rapporto di lavoro, in caso di licenziamento intimato per ragioni disciplinari, non è prevista l’affissione del codice disciplinare (Cassazione 7 aprile 2003 n. 5434, Cassazione 14 settembre 2009 n. 19770, Cassazione 18 settembre n. 20270);
– nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, il principio di tassatività degli illeciti, non può essere inteso in un senso rigoroso come previsto per gli illeciti penali.  
Trattandosi di illeciti relativi alla violazione dell’organizzazione aziendale chiaramente ignota alla collettività, nonché di comportamento manifestante contrario agli interessi dell’impresa, non è prevista l’affissione del codice disciplinare e legittima il datore di lavoro al recesso dalla subordinazione per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
Il potere sanzionatorio in questi casi deriva direttamente dalla legge. Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello, motivando in base a questi principi la sentenza, aveva inquadrato la condotta del dipendente nei casi esclusi dall’affissione del
codice disciplinare. Il lavoratore lamentava la proporzionalità della sanzione rispetto al comportamento, sottolineando la mancanza di sanzioni disciplinari nei quindici anni di lavoro presso la società e che la condotta assegnatagli, aveva avuto una durata di soli tre giorni successivi a tre anni di cassa integrazione a zero ore. La Suprema Corte rigettava l’ulteriore motivazione adeguandosi ai precedenti principi sottolineando che:  
– l’esistenza di un recesso per giusta causa, deve essere motivata da elementi essenziali nel rapporto di lavoro ed in particolare da quello fiduciario. Occorre valutare ed esaminare da un lato la gravità del comportamento del lavoratore in base alle circostanza esistenti ed all’intensità dell’intenzionalità; dall’altra parte la proporzionalità tra i fatti
accaduti e la sanzione massima inflitta, stabilendo se il rapporto di fiducia sia venuto a mancare;
– in caso di licenziamento per giusta causa, occorre verificare che la mancanza del lavoratore sia tanto grave da giustificare il recesso, non solo nel senso oggettivo (quindi la mancanza di sanzioni disciplinari nel corso dei 15 anni di lavoro), ma anche nel senso soggettivo e quindi con particolare riferimento alle circostanze, alle condizioni, ai modi ed agli effetti provocati.
La Corte Suprema affermava la correttezza della Corte d’Appello nel mantenimento dei principi, ponendo particolare rilevanza sull’atteggiamento provocatorio del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro, rifiutandosi immotivatamente di seguire un corso di aggiornamento professionale. La Corte Suprema faceva inoltre notare come il
lavoratore avesse giustificato il suo rifiuto di eseguire la prestazione per tre giornate, non esauritosi quindi in un gesto isolato, sostenendo la sua mancanza di preparazione specifica al corso di aggiornamento. In base a questi principi secondo la Corte di Cassazione, non può essere posta alcuna incertezza sul fatto che la condotta del dipendente con un’anzianità significativa all’interno dell’azienda, sia tale da “ledere il principio fiduciario che deve intercorrere tra le parti del rapporto di lavoro, facendo venir meno la possibilità di ipotizzare un comportamento improntato a regole di correttezza nel prosieguo”.  

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