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mercoledì 15 Maggio 2024
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I soldi ricevuti dal “partner” a titolo di elargizione liberale non costituiscono reddito (donna sospetta di insegnare privatamente)

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Trattasi di un caso davvero particolare, nel quale, peraltro, appare del tutto corretta la decisione di primo grado. La contribuente *****, signora del 1956, nubile e priva di attività lavorativa, abitante con i genitori in un alloggio in affitto a Torino, riceveva 3 avvisi di accertamento per gli anni 2000, 2001 e 2002, per IRPEF, IRAP ed IVA, relativi a redditi di lavoro autonomo non dichiarati

Accertamento Redditi di lavoro autonomo

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI TORINO QUINTA SEZIONE

avverso la sentenza n. 30/03/2009 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di TORINO. Proposto dall’ufficio: AG. ENTRATE DIR. PROVIN. I UFF. CONTROLLI TORINO. Atti impugnati: AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (. ) IVA + IRPEF + IRAP 2000 AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (. ) IVA + IRPEF + IRAP 2001 AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (. ) IVA + IRPEF + IRAP 2002

Svolgimento del processo – Motivi della decisione  Trattasi di un caso davvero particolare, nel quale, peraltro, appare del tutto corretta la decisione di primo grado. La contribuente *****, signora del 1956, nubile e priva di attività lavorativa, abitante con i genitori in un alloggio in affitto a Torino, riceveva 3 avvisi di accertamento per gli anni 2000, 2001 e 2002, per IRPEF, IRAP ed IVA, relativi a redditi di lavoro autonomo non dichiarati. L’Ufficio motivava i predetti atti, dopo avere attribuito d’ufficio alla signora una partita IVA, con un’attività d’iniziativa derivante da attività informativa autonoma; dava atto delle risposte fornite dalla signora al questionario inviatole (non possedere alcun autoveicolo, nessuna residenza né principale né secondaria di proprietà, ma solo una residenza in affitto intestata ai genitori conviventi che ne sostengono le spese; non avere alcun servizio di collaborazione familiare; non essere titolare di assicurazioni; né di imbarcazioni; né di cavalli da corsa, aerei, etc. ; non essere titolare di alcun reddito). Richiedeva copia dei c/c bancari e postali della signora relativamente alle tre annualità predette e riscontrava che dagli stessi emergevano rilevanti versamenti effettuati con continuità, sia in contanti che in assegni bancari, per cui il totale degli accreditamenti per l’anno 2000 era pari a Lire 90. 132. 000, per l’anno 2001 era pari a Lire 101. 791. 00, per l’anno 2002 era pari ad Euro 56. 443,00. In contraddittorio con l’Ufficio la signora spiegava che buona parte degli introiti versati sul suo c/c erano elargizioni provenienti da un uomo sposato con il quale ella intratteneva una relazione sentimentale da oltre diciassette anni e di cui per ragioni di riservatezza non poteva fare il nome, mentre per altri importi versati avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione agli interessati per rivelarne l’origine. L’Ufficio pertanto concludeva affermando che “i movimenti di danaro in accredito transitati sul suo c/c non sono stati giustificati”. Proseguiva poi asserendo che peraltro “da ulteriori elementi in possesso dell’Ufficio” era emerso che la signora nel corso di quegli anni aveva impartito lezioni private di matematica e fisica ad allievi di scuola media inferiore e superiore ed a studenti universitari. Procedeva dunque all’accertamento induttivo del reddito ex D. P. R. 600/73 e D. P. R. 633/72 deducendo, in assenza di adeguate giustificazioni, che gli importi transitati sul conto fossero riconducibili all’attività professionale di insegnamento svolta continuativamente dalla signora.

In primo grado, con la sentenza del 26. 01. 2009 la Commissione Tributaria Provinciale di Torino accoglieva il ricorso della contribuente annullando gli avvisi. Rimarcava come gli “ulteriori elementi in possesso dell’Ufficio” consistessero in una lettera anonima pervenutagli, in cui la donna veniva indicata da “un gruppo di contribuenti” come un evasore totale perché, appunto, avrebbe quotidianamente impartito parecchie di quelle lezioni per il prezzo di Euro 27 all’ora senza rilasciare ricevuta.

D’altra parte sottolineava come la stessa non potesse essere obbligata a violare il proprio obbligo di riservatezza, rilevando comunque che ella aveva prodotto un libretto universitario comprovante che era stata iscritta ed aveva superato diversi esami presso la facoltà di giurisprudenza, senza mai laurearsi; dunque aveva una formazione poco corrispondente alla natura dell’insegnamento di cui all’anonimo. In ogni caso, respingeva l’assunto dell’Ufficio circa l’inversione dell’onere della prova a carico del soggetto controllato, desunto dalle norme dei citati D. P. R. Secondo cui “se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine”, le risultanze dei conti sono poste a base dell’accertamento. L’Ufficio appellava sostanzialmente ribadendo le prime argomentazioni, insistendo sull’inversione dell’onere della prova, che farebbe venir meno la necessità dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, concernenti le presunzioni semplici, non già, come nel caso di specie, una presunzione legale relativa a favore dell’Erario. Orbene, i primi giudici hanno deciso correttamente.

Al di là della credibilità o meno delle giustificazioni date dalla signora in ordine alla provenienza dei propri introiti, vi è da osservare: 1) che il contenuto di un anonimo non può costituire elemento posto alla base di un accertamento induttivo, a meno che il suo contenuto non trovi, in tutto od in parte, riscontro aliunde. Ciò non è avvenuto perché l’Ufficio non si è nemmeno peritato di controllare la provenienza degli assegni bancari versati, cosa che poteva fare del tutto agevolmente. Né ha provato a fare un calcolo di quanto, seguendo le indicazioni dell’anonimo o prescindendo da questo, la signora avrebbe potuto introitare mese per mese, ed ogni anno, a titolo di lezioni private: operazione che invece, sia pure con l’approssimazione del caso, ha compiuto questa Commissione, con un risultato che indica come assolutamente impossibile che le sole lezioni private fornissero alla donna quegli introiti. Senza contare che effettivamente il corso di studi della signora  ****** non pare in sintonia con l’insegnamento delle materie indicate; 2) non è assolutamente possibile affermare che viga nel caso il principio dell’inversione dell’onere della prova: ciò sarebbe ammissibile se l’Ufficio avesse basato l’accertamento su elementi obiettivamente acquisiti, sia pure non sufficienti (quali non possono essere i dati ricavati da un anonimo). E’ invece l’Ufficio che non è stato assolutamente in grado, pur potendolo fare, di fornire elementi gravi precisi e concordanti, come deve essere nel caso di accertamento induttivo, sostanzialmente fondando sul nulla l’attribuzione alla  ****** di quegli introiti come reddito di  lavoro autonomo.

In realtà, l’Ufficio non è stato in grado di adeguatamente motivare che quei cespiti costituiscano reddito, soggetto dunque a tassazione, e non elargizioni svincolate da attività lavorativa. Può darsi che la signora facesse lezioni private, ma era l’Ufficio a doverlo dimostrare con una adeguata istruttoria, che non è stata compiuta, e che nemmeno ha permesso di dimensionare con attendibilità l’entità degli eventuali redditi da  lavoro autonomo dalla stessa percepiti, che, come si è detto, da un semplice calcolo si comprende non potere comunque in toto derivare dalle presunte lezioni. Pertanto, l’impugnata sentenza deve essere confermata e deve essere respinto l’appello dell’Ufficio, con conseguente compensazione delle spese, attesa la peculiarità del caso.  

Avviso accertamento da redditometro: nullatenente omessa dichiarazione ed auto di lusso

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L’Agenzia  delle Entrate constatata l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e l’intestazione di un auto benzina HP 26, anno 88, periodo 12, quota 100% e spese sostenute per incrementi patrimoniali aveva proceduto (con distinti avvisi di accertamento) alla rideterminazione del reddito sintetico sulla base del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38 in relazione ai D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992.

SENTENZA Cassazione Civile Sent. N. 11213 del 20-05-2011

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 25 settembre 2006 all’AGENZIA delle ENTRATE ed al suo Ufficio di Chivasso (depositato, con plico postale spedito il 3 ottobre 2006), G. M. A.- premesso che il 13 dicembre 2001 l’Ufficio, constatata l’omessa presentazione della dichiarazione IRPEF e l’intestazione di un'”auto benzina HP 26, anno 88, periodo 12, quota 100%” e “spese sostenute per incrementi patrimoniali: 150. 250 nel periodo 1994/1999”, aveva proceduto (con distinti avvisi di accertamento) “alla rideterminazione del reddito sintetico sulla base del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38 in relazione ai D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992” per gli anni d’imposta 1995 e 1995 -, in forza di sei motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 39/31/06 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (depositata il 5 luglio 2006) che aveva recepito l’appello dell’Ufficio avverso la decisioni (26/29/02) della Commissione Tributaria Provinciale di Torino (che aveva accolto il suo ricorso) e “determina(to) il reddito imponibile in L. 43. 045. 500”.

L’Agenzia delle Entrate depositava mero “atto di costituzione”.

L’Ufficio locale della stessa Agenzia non svolgeva attività difensiva. Motivi della decisione
1. La Commissione Tributaria Regionale – premesso che il “reddito sintetico” era stato determinato “sulla base dei seguenti beni e servizi” (“per i quali si sostenevano le relative spese”):
“autovettura (Jaguar Xj 6, anno 1988, a benzina” e “spese per incrementi patrimoniali”; rigettate le eccezioni (proposte dall’Ufficio) (a) di “inammissibilità del ricorso” (essendo stati impugnati “contemporaneamente due avvisi”) e (b) di “violazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 32” (“motivazioni” fondate su “atti prodotti solo nella fase contenziosa” e non “con la risposta al questionar”) -, come riportato, ha “determina(to) il reddito imponibile in L. 43. 045. 500” esponendo queste ragioni:
– “per quanto concerne i D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992 ed il loro utilizzo in riferimento alla controversia de qua, si ritengono condivisibili le argomentazioni addotte dai giudici di prime cure”: “l’impiego degli indici e dei coefficienti presuntivi di reddito collegati ad elementi di capacità contributiva dovrà in primo luogo essere utilizzato quale spunto di indagine, allo scopo di individuare, per quanto possibile, le effettive fonti reddituali eventualmente sottratte all’imposizione escludendo, però, automatismi puramente aritmetici e rimanendo nell’ambito del concetto di “indizio”; “in tal modo il risultato raggiunto attraverso i coefficienti diviene la spia li una possibile situazione a rischio di evasìone utile ad innescare e stimolare l’attività di accertamento dell’Amministrazione per stabilire e effettive condizioni economiche del contribuente onde giustificare recuperi mediante tassazione di redditi presunti”;

– “fatte queste debite premesse in ordine alla natura semplice, e non assoluta, delle presunzioni di reddito discendenti dagli indici e coefficienti presuntivi e pertanto suscettibili di poter essere confutate dal contribuente attraverso la possibilità di prova contraria, si ritiene che nella fattispecie di cui trattasi il contribuente, fornendo elementi generici ed incompleti, non ha provveduto a giustificare e, quindi, a controvertere completamente la presunzione semplice sulla base della quale sono scaturiti gli accertamenti de quo”: “dalla documentazione in atti risulta infatti che, a supporto ed a giustificazione della capacità di spesa da parte del contribuente, vi fosse unicamente la disponibilità di un patrimonio rappresentato da due titoli di stato (per complessivi L. 200. 000. 000), che non risultando disinvestiti, erano generanti reddito nella sola misura degli interessi percepiti il cui ammontare può però giustificare, solo parzialmente, la capacità di spesa accertata dall’Ufficio”.

In conclusione il giudice di appello ritiene, condividendo e facendo propri i conteggi effettuati dall’Ufficio nel terzo motivo di appello in ordine al reddito annuo possibile prodotto dai citati titoli, di determinare il reddito imponibile in L. 43. 045. 500″ (differenza tra il reddito di L. 61. 005. 000 accertato dall’Ufficio e la redditività dei titoli quantificata in L. 16. 959. 500)”. 2. La G. Censura la decisione per sei motivi. A. Con il primo la ricorrente denunzia “violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art 5 all. E affermando che la Commissione Tributaria Regionale ha determinato il reddito” a lei “imputabile.

Applicando i D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992 che sono illegittimi ed invalidi perchè emessi in violazione del disposto della L. N. 400 del 1988, art. 11”, “ovvero senza il parere del Consiglio di Stato”, quindi “regolamenti che ex art. 5” detto “il giudice non doveva nè utilizzare nè applicare al caso”. B. Con il secondo motivo la contribuente – assunto aver esibito, tra l’altro, “quietanze di assicurazione dell’auto. Per il periodo 93/94 e 94/95 intestate e pagate dal figlio F. P. G. ” – denunzia “omessa o insufficiente motivazione in relazione a documenti decisivi, in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Non ha spiegato (o, comunque, ha fornito una motivazione insufficiente) per imputare” a lei “l’intero reddito determinato induttivamente per essere intestataria di un’ auto”, “senza ridurlo” (“come stabilisce il D. M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 2”) “in presenza di prova documentale che attestava come l’assicurazione dell’auto fosse stata pagata dal figlio”. Secondo la ricorrente, quindi, la “Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto non solo decurtare dal reddito.

Determinato gli interessi da capitali percepiti. , ma anche ridurlo ulteriormente tenendo conto del fatto che ella sopportava solo in parte le spese del bene che aveva originato l’accertamento”. C. Con il terzo motivo la G. – esposto di aver prodotto in primo grado, tra l’altro, “dichiarazioni del Sindaco. Sulle sue condizioni personali” nonchè “stato di famiglia storico” (dal quale “emerge” che ella “è coniugata dall’undici maggio 1957 con F. M. In regime di comunione di beni, non essendovi diversa annotazione”) – denunzia “omessa o insufficiente motivazione in relazione a documenti decisivi, in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Non ha spiegato (o lo ha fatto in modo insufficiente) per quale motivo abbia ritenuto di imputare” a lei “l’intero reddito determinato sinteticamente ed induttivamente dal fatto di essere intestataria dell’auto e del bene acquistato nel 1997, e non solo in parte, in presenza della prova che questi beni erano stati acquistati in pendenza di matrimonio, retto dal regime patrimoniale della comunione dei beni, e che pertanto dovevano considerarsi per il 50% in proprietà e disponibilità del marito F. M. “, di tal che “l’accertamento. Non si fonda sull’uso reale ma sull’intestazione del bene e dell’acquisto”. D. Con il quarto motivo la contribuente denunzia “violazione e/o falsa applicazione del D. M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 2. E del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38, comma 5, perchè la Commissione Tributaria Regionale. Ha imputato” a lei “l’intero reddito determinato presuntivamente e sinteticamente accertato” nonostante (a) la “prova” (1) che “sopportava solo in parte le spese dell’auto” e (2) che “i beni (l’auto del 1988 e l’acquisto del 1997).

Erano, ex lege, suoi solo per il 50%” e (b) “la mancata prova che erano solo nella sua esclusiva disponibilità”: “la Commissione Tributaria Regionale”, pertanto, “doveva ridurre il reddito” perchè ella ha “dato prova in giudizio” che “sopportava solo in parte le spese dell’auto” e “ne aveva la disponibilità solo per il 50%. Cosi come aveva la disponibilità del 50% di quella acquistata nel 1997 (utilizzata per imputarle nelle annualità 1994 e 1995. Le quote di presunto reddito determinate D. P. R. N. 600 del 1973, ex art. 38, comma 5)”. E. Con il quinto motivo la G. Denunzia “falsa applicazione e/o violazione del D. P. R. N. 600 del 1973, art. 38 in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Ha assunto che le dette norme imponessero” ad essa “contribuente di dimostrare di aver comunque acquisito un reddito pari a quello derivante dall’applicazione dei parametri da esse previste, negandole la possibilità di dimostrare di aver percepito un reddito inferiore comunque utile a far fronte alle spese derivanti dalla cointestazione dei beni”: con la “motivazione” detta, però, secondo la ricorrente, il giudice di appello “non ha interpretato le norme nel senso indicato da questa. Corte” (sentenza 30 settembre 2005 n. 1952), “valutato cioè se la contribuente era in possesso delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni o per comprare quello da cui ha detto gli incrementi di reddito”, “ma le ha erroneamente interpretate nel senso che la contribuente dovesse dare la prova di aver percepito lo stesso reddito sinteticamente o induttivamente determinato in forma di redditi esenti o soggetti a tassazione separata come prova il fatto che contesti (ad essa ricorrente) di aver documentato di avere risparmi per L. 200. 000. 000, redditi annuali soggetti a tassazione separata per L. 19. 959. 99, ma di avere giustificato “solo parzialmente la capacità di spesa accertata dall’Ufficio” pur avendo ella offerto la prova. Che per l’auto. Doveva pagare solo tassa di circolazione. , ed essendo noto all’Ufficio che l’acquisto del 1557 era inferiore alle sue disponibilità”. F. Con il sesto (ultimo) motivo la ricorrente denunzia “insufficiente motivazione in quanto la Commissione Tributaria Regionale. Non ha spiegato la ragione per la quale abbia ritenuto generici ed incompleti i dati documentali forniti. Per dimostrare il suo minor reddito”. 3. Il ricorso è infondato. A. L’illegittimità ed invalidità dei D. M. 10 settembre 1992 e D. M. 19 novembre 1992 dedotte con il primo motivo di ricorso sono insussistenti: con l’ordinanza n. 297 depositata il 28 luglio 2004, infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato la “manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, secondo periodo,. Come sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 1. Sollevata, in riferimento agli artt. 70, 76, 3 e art. 100 Cost. , comma 1 e in relazione alla L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17”, specificamente osservando, in ordine a quest’ ultima disposizione, “che nessuna norma costituzionale o di legge stabilisce. Che in materia tributaria i regolamenti debbano essere adottati con regolamento governativo ai sensi della L. N. 400 del 1988, art. 17, con la conseguenza che nessun vulnus costituzionale può ravvisarsi nella scelta di un regolamento del Ministro delle finanze, senza considerare che la norma da ultimo citata, nel fare un elenco delle materie che devono essere disciplinate con il regolamento, non fa menzione della materia tributaria”. Sulla questione, di poi, questa sezione ha reiteratamente statuito (sentenze: 7 luglio 2010 n. 16055, da cui gli excerpta che seguono, nonchè 11 febbraio 2009 n. 3289, 30 giugno 2006 n. 15124, trib. , 19 aprile 2006 n. 9129, ex multis) che il provvedimento amministrativo di “elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta” emanato in forza delle conferenti norme (D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, come sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 1, comma 1, lett. B), e art. 1, comma 2, di quest’ ultima; L. N. 549 del 1995, art. 3, comma 184) “non è un atto di natura regolamentare” (“nè attuativo di legge, ai sensi del primo comma, nè delegificante, ai sensi del comma 2” della L. N. 400 del 1988, art. 17) per che, “non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all’amministrazione”, “non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili”. B. Le violazioni del D. M. 10 settembre 1992, art. 3, comma 2, denunziate con gli altri motivi di ricorso, sono insussistenti. La norma invocata, dopo aver stabilito che “si considerano gli importi relativi a ciascun bene o servizio disponibile, quali si ricavano dalla tabella” allegata al provvedimento ministeriale, dispone che “ciascuno di detti importi è proporzionalmente ridotto se il contribuente dimostra”:

(a) che “il bene o servizio è nella disponibilità anche di altri soggetti diversi da quelli indicati nel D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, art 2, comma 1, ultimo periodo”, oppure

(b) che “per detto bene o servizio sopporta solo in parte le spese”. B. 1. La “disponibilità” considerata dalla prima parte della disposizione, attesa la sua esclusiva valenza di significazione reddituale, prescinde del tutto dalla (ed è, quindi, indifferente alla) effettiva titolarità giuridica del bene (come pure al titolo giuridico fonte di essa “disponibilità”) perchè considera rilevante e sintomatico non già quella titolarità secondo la legge ma unicamente la concreta situazione fattuale data dal riscontro del potere del soggetto di trarre dallo stesso ed in proprio favore le utilità economiche che il bene, per sua natura, è in grado di fornire (in proposito la concreta vicenda può considerarsi emblematica del concetto in questione: nella sentenza impugnata, infatti, si legge, che la contribuente ha evidenziato, nel proprio ricorso di “essere casalinga” nonchè di avere acquistato “nel 1988, in occasione del pensionamento del marito” l'”autovettura Jaguar Xj8″ per “uso di entrambi” e, nelle “memorie illustrative”, di “aver acquistato nel 1994 BOT e CCT per 200 milioni e di aver incassato cedole nel 1996 per L. 9. 091. 250”, cioè operazioni economiche possibili solo per effetto ed in conseguenza di una corrispondente “disponibilità” economica, a meno che non si deduca e dimostri la natura meramente fittizia dell’intestazione). Peraltro, il regime di “comunione legale” tra coniugi, di per sè solo, non esclude che un acquisto (anche di bene immobile) intervenuto in costanza di matrimonio sia o debba considerarsi escluso (art. 179 cod. Civ. ) da detto regime perchè (ad esempio) l’operazione economica è stata effettuata “con il trasferimento di beni strettamente personali o con il loro scambio” (cfr. Cass. , 2^, 5 maggio 2010 n. 10855, secondo cui “l’acquisto di un bene, effettuato con lo scambio o con il prezzo ricavato dalla vendita di un bene personale, fa sì che si concreti un’ipotesi di surrogazione reale, con conseguente riconoscimento della natura personale del nuovo bene così acquistato”): di conseguenza, si rivela del tutto insufficiente la mera deduzione di detto regime ove non accompagnato (almeno) dalla allegazione dell’avvenuta esibizione al giudice del merito dell’atto di acquisito di quel bene e, ai fini della autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c. P. C. ), della riproduzione dei conferenti punti testuali dell’atto di acquisto. B. 2. Parimenti, considerata la identità di funzione, anche il disposto secondo cui “ciascuno di detti importi è proporzionalmente ridotto se il contribuente dimostra” che “per detto bene o servizio sopporta solo in parte le spese” deve essere inteso attribuendo valenza non alla situazione formale ma, giusta il pregante significato del verbo “sopporta”, come prova concreta (“se il contribuente dimostra”) dell’effettivo sostenimento solo parziale delle “spese” proprie del “bene o servizio disponibile” considerato ai fini della rideterminazione del reddito. Nel caso il giudice di appello afferma che “la contribuente, in data aprile 2002, depositava documenti aggiuntivi”, tra i quali “quietanze di pagamento assicurazione auto pagate dal marito anni 92/93, 96/97 e 97/98”, mentre la ricorrente deduce di aver “prodotto nel giudizio di primo grado copia delle quietanze di assicurazioni dell’auto per il periodo 93/94 e 94/95 intestate e pagate dal figlio”: la sola intestazione (quand’anche in corrispondenza con afferente titolarità del contratto) della quietanza di pagamento dell’assicurazione (tenuto conto, peraltro, degli stretti rapporti familiari dei soggetti e della mancata allegazione di ragioni giustificative della dissociazione soggettiva tra la mai contestata “disponibilità” esclusiva del bene da parte della ricorrente e la diversa intestazione del contratto assicurativo) prova solo il pagamento ma non la effettiva “sopportazione” (ovverosìa il finale carico economico) della spesa de qua da parte del marito e/o del figlio. 4. Nonostante l’integrale reiezione del ricorso nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese processuali di questo giudizio di legittimità perchè l’Agenzia non ha svolto nessuna attività difensiva

Circolare n. 173 30 dicembre 2011

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Con circolare n. 169 del 31. 12. 2010 sono state fornite le disposizioni attuative della determinazione del Presidente dell’Istituto n. 75 del 30 luglio 2010 “Estensione e potenziamento dei servizi telematici offerti dall’Inps ai cittadini”, la quale prevede, a decorrere dall’1/01/2011, l’utilizzo graduale del canale telematico per la presentazione delle principali domande di prestazioni/servizi. Le decorrenze per la presentazione telematica in via esclusiva sono state successivamente stabilite con la determinazione n. 277 del 24 giugno 2011 “Istanze e servizi Inps – Presentazione telematica in via esclusiva – Decorrenze”, cui si è data attuazione con circolare  n. 110 del 30. 08. 2011. Si dà quindi avvio alla telematizzazione esclusiva delle domande di disoccupazione e assegno per il nucleo  familiare ai lavoratori agricoli dipendenti, le quali a partire dal 1° gennaio 2012, salvo il periodo transitorio di cui al punto 4, dovranno pervenire attraverso uno dei seguenti canali:

Patronati – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi;

WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto;

Contact Center multicanale – n. 803164.

Roma, 30/12/2011 Circolare n. 173

OGGETTO: Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010. Determinazioni presidenziali n. 75 del 30 luglio 2010 e n. 277 del 24 giugno 2011. Modalità di presentazione telematica delle domande di indennità di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti.

Aspetti organizzativi e prime istruzioni operative.

SOMMARIO: Premessa

1.   Presentazione telematica della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti tramite Patronato

2.   Presentazione telematica della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti direttamente  da cittadino tramite Web

3.   Presentazione della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti tramite Contact Center

4.   Periodo transitorio. Esclusività del canale telematico

PREMESSA

Con circolare n. 169 del 31. 12. 2010 sono state fornite le disposizioni attuative della determinazione del Presidente dell’Istituto n. 75 del 30 luglio 2010 “Estensione e potenziamento dei servizi telematici offerti dall’Inps ai cittadini”, la quale prevede, a decorrere dall’1/01/2011, l’utilizzo graduale del canale telematico per la presentazione delle principali domande di prestazioni/servizi. Le decorrenze per la presentazione telematica in via esclusiva sono state successivamente stabilite con la determinazione n. 277 del 24 giugno 2011 “Istanze e servizi Inps – Presentazione telematica in via esclusiva – Decorrenze”, cui si è data attuazione con circolare  n. 110 del 30. 08. 2011. Si dà quindi avvio alla telematizzazione esclusiva delle domande di disoccupazione e assegno per il nucleo  familiare ai lavoratori agricoli dipendenti, le quali a partire dal 1° gennaio 2012, salvo il periodo transitorio di cui al punto 4, dovranno pervenire attraverso uno dei seguenti canali:

Patronati – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi;

WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto;

Contact Center multicanale – n. 803164.

1.    Presentazione telematica della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti tramite  patronato La presentazione della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti può essere effettuatra tramite Patronato, secondo le modalità già in uso.

2.    Presentazione telematica della domanda di disoccupazione agricola e assegno per il nucleo familiare direttamente da cittadino tramite Web. Il servizio è disponibile sul sito internet dell’Istituto (www. Inps. It) attraverso il seguente percorso: Al servizio del cittadino / Autenticazione con PIN / Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito / Cessazione rapporto di lavoro / Disoccupazione agricola. In automatico il servizio preleva e precompila l’anagrafica dell’utente autenticato con PIN consentendo al cittadino la verifica e l’eventuale modifica dei dati di residenza. Il pannello di acquisizione corrisponde al modello Prest. Agr. 21TP e l’utente provvede a compilare i campi proposti con le informazioni necessarie. La procedura effettua il controllo dei dati inseriti fornendo segnalazione degli eventuali erroriche dovranno essere rimossi per il completamento dell’acquisizione della domanda. Una volta completata l’acquisizione della domanda il cittadino può stampare la ricevuta di presentazione e il modello Prest. Agr. 21TP telematico che non dovrà essere presentato all’Istituto ma conservato dall’utente. Le domande che pervengono dallo Sportello del cittadino verranno gestite dalle Strutture territoriali INPS in analogia a quanto già previsto per le domande telematiche trasmesse dagli Enti di patronato. Se il cittadino non è munito di PIN dispositivo, la procedura, al termine della presentazione della domanda, rilascia il seguente messaggio di avvertenza:

“Nel confermarLe il corretto ricevimento della Sua domanda di indennità di disoccupazione agricola, la cui data di trasmissione via web con PIN online rimane valida ad ogni effetto, La informiamo che per consentirci la definizione della domanda è necessario che Lei richieda l’attivazione di un “PIN Dispositivo”. La richiesta di tale PIN può essere effettuata tramite la procedura online sul sito Internet dell’INPS, raggiungibile seguendo il percorso: Servizi Online à Richiedi il tuo Pin Online à CONVERTI IL TUO PIN. La informo che il Pin dispositivo, che garantisce maggiore sicurezza ai Suoi dati, potrà essere da Lei utilizzato per successive richieste di servizi/prestazioni”.

3.    Presentazione della domanda di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti tramite Contact Center Il servizio sarà disponibile telefonando al Contact Center multicanale – Numero Verde 803. 164. Le domande potranno essere acquisite con o senza PIN del cittadino. L’operatore della struttura INPS territorialmente competente dovrà gestire le domande degli utenti dotati di PIN dispositivo come domande da sportello virtuale del cittadino (vedi precedente paragrafo 2). Nel caso in cui l’utente non sia dotato di PIN o sia dotato solamente di PIN non dispositivo, verranno acquisiti dal Contact Center i dati essenziali della domanda. Successivamente copia di questa, con gli estremi identificativi, verrà inviata a stretto giro di posta all’utente che provvederà a firmarla, eventualmente integrarla, e a farla pervenire, corredata di copia del documento d’identità, a mezzo Fax al n. 800. 803. 164 o per posta alla Struttura INPS competente. L’utente dotato di PIN non dispositivo verrà invitato a convertire quest’ultimo in PIN dispositivo affinché, dalle volte successive, possa accedere più proficuamente a tutti i servizi INPS. La richiesta del PIN dispositivo potrà essere effettuata on line sul sito istituzionale www.inps.it oppure presentata direttamente presso le Strutture territoriali INPS, come già indicato nella circolare INPS n. 50 del 15 marzo 2011. Qualora  l’utente, senza PIN o con PIN non dispositivo, manifesti all’operatore di Contact Center  l’intenzione di richiedere le detrazioni d’imposta per familiari a carico, allo stesso dovrà essere inviata dall’operatore la necessaria modulistica (modello MV10) che l’utente dovrà debitamente compilare e inoltrare all’Istituto attraverso una delle due modalità sopra indicate (Fax al n. 800. 803. 164 o per posta alla Struttura INPS competente). Qualora l’utente sia invece dotato di PIN dispositivo e manifesti all’operatore di Contact Center  l’intenzione di richiedere le detrazioni d’imposta per familiari a carico, l’operatore del Contact Center provvederà ad acquisire anche i dati relativi a detta richiesta. Naturalmente il Contact Center fornirà supporto anche ai cittadini che utilizzano il canale webdi cui al paragrafo 2.

4.    Periodo transitorio. Esclusività del canale telematico A decorrere dal 1° gennaio 2012, tutte le domande di indennità di disoccupazione e assegno per il nucleo familiare ai lavoratori agricoli dipendenti dovranno essere inoltrate attraverso unodei tre  canali telematici indicati in premessa. Al fine di informare i potenziali beneficiari è previsto un periodo transitorio di tre mesi durante il quale saranno comunque garantite le consuete modalità di presentazione delle domande. Per consentire, in detto periodo, il caricamento in procedura delle domande presentate allo sportello della Struttura INPS territorialmente competente senza creare situazioni di criticità, la procedura “Presentazione domande di disoccupazione agricola” verrà aggiornata per consentire all’operatore di acquisire la domanda mediante l’inserimento del solo codice fiscale, in analogia con la modalità utilizzata dagli operatori di Contact Center. La procedura assegnerà alla domanda il numero di protocollo, consentirà la stampa della ricevuta di presentazione e memorizzerà in archivio la domanda come “incompleta”. L’operatore dovrà quindi successivamente richiamare la domanda e completarla. Al termine del periodo transitorio, ossia dal 1° aprile 2012, i tre canali telematici diventeranno esclusivi ai fini della presentazione delle istanze di prestazione. Si precisa, ad ogni buon fine, che il termine perentorio per la presentazione delle domande di indennità di disoccupazione agricola è stabilito al 31 marzo. Successivamente a tale data sarà possibile presentare solo la richiesta dell’assegno per il nucleo familiare (ANF) nell’ambito della prescrizione quinquennale. La richiesta andrà presentata telematicamente attraverso uno dei tre canali sopraindicati.

Conferimento di ramo d’azienda subentro nel c.d. plafond ed esenzione IVA

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OGGETTO: Interpello – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 – Subentro nel c. D. Plafond  a  seguito  di  operazione  straordinaria  di  conferimento  di ramo d’azienda. Articolo 8, primo comma, D. P. R. N. 633 del 1972 Con l’interpello specificato in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art.   8 del  Decreto  del  Presidente  della  Repubblica  26 ottobre  1972,  n. 633,  è stato esposto il seguente  

RISOLUZIONE N. 124/E  14 dicembre 2011  Direzione Centrale Normativa     

OGGETTO: Interpello – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 – Subentro nel c. D. Plafond  a  seguito  di  operazione  straordinaria  di  conferimento  di ramo d’azienda. Articolo 8, primo comma, D. P. R. N. 633 del 1972     Con l’interpello specificato in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art.   8 del  Decreto  del  Presidente  della  Repubblica  26 ottobre  1972,  n. 633,  è stato esposto il seguente  

QUESITO   

ALFA S. P. A. (di seguito, la “Società”) realizza macchinari ad alto contenuto tecnologico destinati alle industrie del petrolio, del gas e della produzione di energia elettrica. I macchinari sono realizzati sulla base di contratti di appalto e di vendita, per conto di clienti-soggetti  passivi IVA che agiscono in quanto tali, stabiliti in Italia, Stati dell’UE e Stati extra-UE. La Società, oltre alla realizzazione dei macchinari, fornisce ai propri clienti servizi di montaggio, supervisione al montaggio nell’ipotesi in cui il montaggio del bene non sia eseguito dalla società istante, manutenzione e riparazione. In virtù delle numerose cessioni intracomunitarie e cessioni all’esportazione poste in essere, la Società ha acquisito lo status di soggetto abilitato ad effettuare acquisti e importazioni di beni e servizi senza pagamento dell’Iva, ai sensi dell’articolo 8, primo comma, lett. C), e secondo comma, del DPR n. 633 del 1972, nei limiti dell’ammontare delle operazioni non imponibili effettuate nell’anno solare precedente o nei dodici mesi precedenti.     Tutto ciò premesso, la Società fa presente che intende separare l’attività di produzione da quella di prestazione di servizi. Ciò avverrebbe – con effetto dal 31 dicembre   2011  –  mediante   il  conferimento   del  ramo  aziendale  afferente  la produzione dei macchinari in una società a responsabilità limitata di nuova costituzione  (di seguito  “Newco”)  della quale  la Società  deterrà  la totalità  delle quote.  

Per  effetto  del  conferimento,  l’attività  di produzione  dei  macchinari  sarà svolta dalla Newco mentre la Società interpellante, oltre all’attività di prestazione di servizi, effettuerà la vendita, continuerà cioè ad essere la controparte contrattuale dei clienti, relativamente ai macchinari prodotti dalla Newco.

Conseguentemente, nella tipologia di operazioni poste in essere più frequentemente dalla Società interpellante, cessioni all’esportazione, si determinerà un’operazione triangolare, di cui all’articolo 8, primo comma, lettera a), del DPR n. 633 del 1972, nella quale Newco assumerà il ruolo di primo cedente nazionale e la  Società quello di promotore della triangolazione.   Tanto premesso, la Società chiede se la Newco conferitaria – dedita all’attività produttiva – possa subentrare alla Società (conferente) nella facoltà di acquistare senza Iva, ai sensi del citato art. 8, primo comma, lett. C), e secondo comma, del DPR n. 633 del 1972, i beni e servizi necessari alla produzione dei macchinari, in virtù del plafond maturato nell’anno 2011.   

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE   

La Società interpellante osserva che nella disciplina Iva nazionale manca una disposizione   che   regolamenti,   in   generale,   gli   effetti   delle   operazioni   di conferimento di ramo d’azienda.

Tali effetti, invece, sono disciplinati dall’articolo 19 della Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, secondo cui “In caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto    forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente”.

Tale disposizione prevede la possibilità, per gli Stati membri, di considerare irrilevante, agli effetti dell’Iva, l’operazione di conferimento di complesso aziendale e parimenti di riconoscere la successione del conferitario  nei rapporti tributari  Iva relativi  al complesso  aziendale  oggetto del conferimento. La Repubblica Italiana si è avvalsa della predetta facoltà di non attrarre nell’ambito impositivo l’operazione di conferimento di complesso aziendale con la previsione di cui all’articolo 2, terzo comma, lettera b) del DPR n. 633 del 1972 secondo cui non sono considerate cessioni di beni “…le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda”. Da ciò, ad avviso della Società interpellante, deriva automaticamente la successione del soggetto conferitario in tutti gli  obblighi  e  i  diritti  relativi  all’applicazione  dell’Iva  inerenti  il  complesso aziendale  oggetto  del trasferimento.  

Tra i diritti in cui il conferitario  succede  è quindi da ricomprendere anche la possibilità di effettuare acquisti e importazioni senza pagamento dell’imposta. Possibilità prevista dall’articolo 164 della Direttiva 2006/112 e recepita dal legislatore nazionale con il citato articolo 8 del DPR n. 633 del 1972. In  particolare,  sia  con  riferimento  alla  verifica  dello  status  di  soggetto abilitato a effettuare acquisti e importazioni senza pagamento dell’imposta, sia ai fini della determinazione del plafond all’uopo spendibile, il conferitario dovrebbe poter fare riferimento – in applicazione di tale principio – alle operazioni relative al complesso aziendale trasferito che hanno generato il plafond, poste in essere dalla conferente. Considerato che nella fattispecie in esame – a seguito dell’operazione di conferimento  del  ramo  aziendale  –  le  cessioni  all’esportazione  dei  macchinari    avverranno con operazioni triangolari (Newco cede all’istante che a sua volta cede al cliente estero con trasporto all’estero a cura della Newco), può ritenersi che alla Newco competa la maggior parte del plafond maturato nel 2011 in capo alla Società interpellante posto che l’attività di promotore della triangolazione da parte dell’interpellante origina un plafond limitato alla differenza tra il corrispettivo richiesto al cliente estero ed il corrispettivo addebitatogli da Newco.

Le prestazioni di servizi che la Società interpellante continuerà ad effettuare, infatti, non comporteranno l’effettuazione di operazioni che concorrono alla formazione del plafond. La società ritiene, quindi, che per determinare la quota di plafond disponibile al 1° gennaio 2012, da attribuire all’una o all’altra delle società, potrebbe procedersi in funzione delle operazioni non imponibili che si stima saranno rispettivamente poste in essere da ciascuno dei due soggetti nell’anno 2012. La Società espliciterebbe nell’atto di conferimento il passaggio del plafond e i criteri di attribuzione dello stesso in parte alla conferente e in parte alla conferitaria, provvedendo all’indicazione dell’operazione nella comunicazione di variazione dati da  presentare  ai  sensi  dell’art.   35,  comma  3,  DPR  n.   633/1972.   In  particolare, verrebbe compilato il modello AA7/10, quadro D, secondo le modalità previste dalle istruzioni, per evidenziare il passaggio del c. D. Plafond alla conferitaria. A parere dell’istante, tale soluzione sarebbe coerente con la “ratio” su cui si fonda l’art. 8, quarto comma, del DPR n. 633 del 1972 – sia pure relativo all’affitto dell’azienda – “ratio”  estensibile  anche  al caso  del  conferimento  in esame  – ravvisabile  nella finalità di evitare la duplice utilizzazione del plafond. Sulla base di tale “ratio” l’acquisizione del plafond dovrebbe ritenersi pienamente legittima non solo qualora, a  seguito  dell’operazione,  il  conferitario  sia  l’unico  soggetto  a  beneficiarne  ma anche,  come  nel  caso  di  specie,  qualora  sia  chiaro  quale  parte  compete  al conferitario stesso. Nella specie, il plafond spettante alla Newco dovrebbe essere individuato in funzione di un rapporto che vede al numeratore l’ammontare stimato    delle operazioni non imponibili che la stessa effettuerà nel 2012 e al denominatore la somma di tale ammontare e di quello relativo alle operazioni non imponibili che ALFA stima di effettuare nel 2012, rimanendo in capo alla Società istante la parte residua del plafond stesso.

Con nota prot. N. … di novembre 2011 la Società interpellante ha precisato che l’operazione di conferimento si perfezionerà il 31 dicembre 2011 e, pertanto, non sussisterà una fase transitoria in cui la Società continuerà ad effettuare cessioni dirette all’esportazione.   

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE   

L’art. 8, secondo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, consente a coloro che effettuano esportazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma del medesimo articolo 8, dietro presentazione di una lettera di intenti, di poter acquistare beni e servizi senza IVA, nei limiti dei corrispettivi  realizzati per l’effettuazione  di tali operazioni nell’anno solare precedente (ovvero nei dodici mesi precedenti, come consentito dall’art. 2, c. 2, della legge 18 febbraio 1997, n. 28), ammontare che rappresenta  il  c. D.   plafond  fisso  (ovvero  mobile,  se  riferito  ai  dodici  mesi precedenti). Ciò a condizione che – come stabilito dall’art. 1 del D. L. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17 – l’ammontare di tali corrispettivi sia superiore al dieci per cento del volume d’affari; l’art. 41, comma 4, del D. L. 30 agosto 1993, n. 331, stabilisce che i corrispettivi delle cessioni intracomunitarie concorrono alla determinazione del plafond ed alle relative percentuali necessarie per l’effettuazioni di acquisti senza IVA. L’art. 8, primo comma, lettera c), del DPR n. 633 del 1972, prevede che possano fruire di tale agevolazione anche le cessioni di beni, diversi dai fabbricati ed    aree fabbricabili, e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di coloro che effettuano cessioni all’esportazione ovvero cessioni intracomunitarie. Con riferimento alla possibilità di trasferimento del plafond nelle ipotesi di conferimento d’azienda o di ramo aziendale, con la risoluzione n. 165 del 2008 è stato chiarito che “Il conferimento d’azienda o di ramo aziendale determina il subentro nella posizione di esportatore abituale da parte del conferitario il quale può fruire del plafond maturato dalla conferente quando ricorrono due condizioni: 1) il conferitario continua, senza soluzione di continuità, l’attività relativa al complesso aziendale oggetto di trasferimento, in precedenza svolta dal conferente; 2)  il  conferitario  subentra  nei  rapporti  giuridici  (attivi  e  passivi)  relativi  ai complessi aziendali conferiti”. Le predette condizioni sono finalizzate ad assicurare la continuità nello svolgimento dell’attività di impresa – tesa all’esportazione – da parte della società conferitaria, tale da giustificare il trasferimento in capo alla stessa dello status di esportatore  abituale  e, conseguentemente,  il diritto  della conferitaria  a fruire (in luogo della conferente,  che ha maturato  il c. D. Plafond)  del beneficio  della non imponibilità dell’Iva per gli acquisti di beni e servizi e per l’importazione di beni, previsto dall’articolo 8, primo comma, lettera c), del DPR n. 633 del 1972. In particolare, per quanto riguarda la condizione che la conferitaria subentri al conferente nei rapporti giuridici in essere, con la predetta risoluzione n. 165/E del 2008 è stato richiamato l’orientamento della giurisprudenza tributaria di primo e secondo grado (cfr. CTR Piemonte 9 marzo 2007, n. 8) secondo cui nelle “trasformazioni   sostanziali   soggettive   il   trasferimento   del   plafond   a   favore dell’avente causa non deve ritenersi subordinato al trasferimento di tutti i debiti/crediti  dell’azienda  ma solo delle posizioni  attive e passive  necessarie  ad assicurare,  in  situazione  di  continuità,  la  prosecuzione  dell’attività  di  impresa rivolta ai clienti non residenti”.    

Tanto premesso,  si è dell’avviso  che il trasferimento  del plafond  non sia condizionato al trasferimento di tutti i rapporti con la clientela non residente o, più in generale, di tutte le posizioni creditorie e debitorie relative al ramo d’azienda conferito. Il diritto a fruire dello speciale trattamento fiscale previsto dalla norma nasce, infatti, dalla situazione obiettiva, ovverosia dall’essere esportatore abituale nei limiti  quantitativi   previsti  dalla  relativa  disciplina.   Situazione  nella  quale  il conferitario  subentra  per  effetto  del  conferimento  del  ramo  aziendale  dedito all’attività di esportazione. Nell’ipotesi prospettata dalla Società, a seguito dell’operazione straordinaria di conferimento di ramo aziendale, la conferitaria subentrerà alla conferente nell’attività di produzione dei macchinari mentre la conferente continuerà ad essere controparte contrattuale della clientela estera nonché ad esercitare l’attività di prestazione dei servizi (montaggio, supervisione al montaggio, manutenzione ecc. ) nei confronti della stessa clientela. In particolare, gli scambi con la clientela estera avverranno tramite operazioni triangolari (Newco cede alla Società istante – promotore della triangolazione – che a sua volta cede al cliente estero con trasporto all’estero a cura della Newco).

Ne  consegue  che entrambe  le società  (conferente  e conferitaria) continueranno  ad  effettuare  operazioni  che  attribuiscono  lo status  di esportatore abituale: la conferente nei limiti dell’attività di promotore della triangolazione, vale a dire per la differenza tra il corrispettivo richiesto al cliente estero ed il corrispettivo addebitatogli da Newco (articolo 8, secondo comma, DPR n. 633 del 1972) e la conferitaria nei limiti delle cessioni poste in essere nei confronti della società conferente. In relazione a tale situazione, si è dell’avviso che il plafond maturato dalla conferente possa essere suddiviso con la conferitaria, subentrante nell’attività dedita all’esportazione.    

Ai fini della determinazione del quantum di plafond maturato nell’anno 2011 dalla conferente, trasferibile alla conferitaria, si ritiene condivisibile la soluzione interpretativa  prospettata  dalla Società  interpellante  secondo  cui il plafond  potrà essere utilizzato da: – Newco, in funzione di un rapporto che vede al numeratore l’ammontare (stimato) delle operazioni non imponibili che si presume che la stessa porrà in essere nel 2012 e al denominatore la somma di tale ammontare e dell’ammontare (pure stimato) delle operazioni non imponibili che si presume che la Società interpellante porrà in essere nel 2012. Ai fini di tale calcolo, per le operazioni in cui la Società interpellante assumerà il ruolo di secondo cedente in una “operazione triangolare”, si considererà come ammontare delle operazioni la differenza tra i corrispettivi praticati da ALFA nei confronti dei clienti e i corrispettivi praticati da Newco alla Società interpellante; – dalla Società interpellante, per la restante parte.  

In altri termini, il predetto metodo consentirà di ripartire tra la conferente e la conferitaria il plafond maturato nell’anno 2011 dalla Società interpellante, in base all’entità dell’attività di esportazione che sarà effettuata rispettivamente da Newco e dalla Società interpellante nell’anno 2012. Sotto il profilo degli adempimenti connessi al trasferimento del plafond si ritiene che la procedura descritta dalla Società sia condivisibile. Pertanto, nell’atto di conferimento, ALFA indicherà il passaggio del plafond e i criteri di attribuzione dello stesso in parte alla stessa Società e in parte alla conferitaria.

La Società conferitaria, a sua volta, dovrà provvedere all’indicazione dell’operazione nella comunicazione di variazione dati da rendere ai sensi dell’articolo 35, comma 3, del DPR n. 633 del 1972, compilando il modello AA7/10, quadro D. In particolare, la società conferitaria dovrà barrare le caselle (2a e PL) relative al conferimento del ramo d’azienda ed al subentro nella facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta. Dovrà, altresì, essere indicato negli appositi spazi del predetto modello il codice fiscale del soggetto conferente.       

Esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per gli autoveicoli e i motoveicoli di “particolare interesse storico e collezionistico”

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OGGETTO: Interpello – interpello ordinario – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 –  Esenzione  dal  pagamento  delle  tasse  automobilistiche  per  gli autoveicoli  e   i   motoveicoli   di   “particolare   interesse   storico   e collezionistico”  –  articolo  63,  comma  2,  della  legge  21  novembre 2000, n. 342    

RISOLUZIONE N. 112/E, 29 NOVEMBRE 2011  Direzione Centrale Normativa      

OGGETTO: Interpello – interpello ordinario – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212 –  Esenzione  dal  pagamento  delle  tasse  automobilistiche  per  gli autoveicoli  e   i   motoveicoli   di   “particolare   interesse   storico   e collezionistico”  –  articolo  63,  comma  2,  della  legge  21  novembre 2000, n. 342    

Con   l’interpello   specificato   in   oggetto,   concernente   l’interpretazione dell’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342 è stato esposto il seguente 

QUESITO  

TIZIO,   titolare   di   un   motoveicolo   immatricolato   nell’anno   1986   ed individuato nell’elenco dei modelli dei motoveicoli di particolare interesse storico e collezionistico della Federazione Motociclistica Italiana (FMI) valido per il 2011, chiede di conoscere il corretto trattamento tributario applicabile, ai fini delle tasse automobilistiche, al proprio motoveicolo ultraventennale. L’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342 dispone l’esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per gli autoveicoli e i motoveicoli di “particolare interesse storico e collezionistico” costruiti da almeno 20 anni.   L’articolo 63, comma 3, dispone, inoltre, che i veicoli e i motoveicoli per i quali è possibile fruire dell’esenzione devono essere individuati dall’Automobilclub Storico Italiano (ASI) e dalla Federazione Motociclistica Italiana (FMI), con propria determinazione.   L’interpellante chiede di conoscere con quali modalità debba essere comprovata la sussistenza del requisito del “particolare interesse storico e collezionistico”. Il quesito proposto assume rilevanza in quanto l’articolo 60, comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Codice dalla Strada) stabilisce che “rientrano nella categoria dei motoveicoli e autoveicoli di interesse storico e collezionistico tutti quelli di cui risulti l’iscrizione in uno dei seguenti registri: ASI, Storico Lancia, Italiano FIAT, Italiano Alfa Romeo, Storico FMI”. Il contribuente istante chiede, quindi, di conoscere se per beneficiare dell’esenzione dal pagamento della tassa automobilistica di cui all’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342, per il proprio motoveicolo, sia necessaria l’iscrizione nei registri della Federazione Motociclistica Italiana.   

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE 

Il contribuente ritiene di poter usufruire dell’esenzione dal pagamento della tassa automobilistica, pur non essendo iscritto alla FMI. A parere dell’istante, infatti, qualora si ritenesse di subordinare il riconoscimento   del   predetto   beneficio   fiscale   all’obbligo   di   iscrizione   ad associazioni private come l’ASI o la FMI si realizzerebbe una “disparità di trattamento per situazioni uguali (motocicli ultraventennali iscritti e non)”.  

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE  

In via preliminare, occorre ricordare che la competenza nella gestione degli interpelli dell’Agenzia delle entrate è limitata alle tasse automobilistiche dovute dai soggetti residenti nelle Regioni a statuto speciale, nonché a quelle riguardanti i veicoli in temporanea importazione di cui all’articolo 23, comma 3, del decreto  legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (circolare 16 maggio 2005, n. 23 e circolare 5 ottobre 2005, n. 43). Tenuto  conto  che  il  contribuente  istante  è  residente  in  un  comune  della  Sardegna si rappresenta, quindi, quanto segue:  –     l’articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342, disciplinante le “tasse automobilistiche per particolari categorie di veicoli”, prevede, al comma 1, l’esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per i veicoli ed i motoveicoli  che  hanno  compiuto  trent’anni  dall’anno  di  prima immatricolazione, esclusi quelli adibiti ad uso professionale. A tal fine, viene predisposto, per gli autoveicoli dall’Automobilclub Storico Italiano (ASI) e per i motoveicoli anche dalla Federazione Motociclistica Italiana (FMI), un apposito elenco indicante i periodi di produzione dei veicoli; –   il comma 2 dell’articolo 63 estende l’esenzione anche agli autoveicoli e motoveicoli di “particolare interesse storico e collezionistico”, per i quali il termine predetto è ridotto a venti anni. Come ribadito dall’Agenzia delle entrate, con circolare 16 novembre 2000, n. 207, l’articolo 63, comma 2, definisce di “particolare interesse storico e collezionistico” i veicoli costruiti specificamente per le competizioni, i veicoli costruiti a scopo di ricerca tecnica o estetica, anche in  vista  di  partecipazione  ad  esposizioni  o  mostre  ed  infine  i  veicoli  che rivestono un particolare interesse storico o collezionistico in ragione del loro rilievo industriale, sportivo, estetico o di costume; –     il comma 3 dell’articolo 63 dispone, inoltre, che “I veicoli indicati al comma 2 sono  individuati,  con  propria  determinazione,  dall’ASI  e,  per  i  motoveicoli, anche dalla FMI. Tale determinazione è aggiornata annualmente”. La norma stabilisce, infine, che i veicoli di cui ai predetti commi 1 e 2 sono assoggettati,  in  caso  di  utilizzazione  sulla  pubblica  strada,  ad  una  tassa  di circolazione forfettaria annua.   Pertanto, l’articolo 63, comma 2, estende il trattamento di esenzione dalle tasse automobilistiche, previsto dal comma 1 per i veicoli ultratrentennali – non adibiti  ad  uso  professionale  –  ai  veicoli  ultraventennali  di  particolare  interesse storico e collezionistico, individuati dall’ASI o dalla FMI con propria determinazione. Si osserva che, per i veicoli ultraventennali, a differenza dei veicoli di cui al comma 1, l’esenzione non spetta in ragione del solo presupposto della vetustà, ma è subordinata alla preventiva determinazione annuale di enti associativi riconosciuti dalla legge, quali l’ASI e l’FMI. Al riguardo, si rileva che i commi 2 e 3 del citato articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342, non delineano alcuna procedura di tipo autorizzatorio, né viene prevista, per il riconoscimento del regime di favore, l’iscrizione nei registri tenuti dall’ASI o dalla FMI o in altro registro storico. In sostanza, per fruire del beneficio fiscale in commento non viene espressamente richiesta l’iscrizione del veicolo nei predetti registri, come è, invece, disposto dall’articolo  60, comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Codice dalla Strada) secondo cui “ rientrano nella categoria dei motoveicoli e autoveicoli di interesse storico e collezionistico tutti quelli di cui risulti l’iscrizione in  uno  dei  seguenti  registri:  ASI,  Storico  Lancia,  Italiano  FIAT,  Italiano  Alfa Romeo, Storico FMI”. A seguito di apposita richiesta di parere inviata dalla scrivente, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con nota R. U. 26300 del 19 settembre 2011 ha chiarito che “ l’iscrizione in uno dei sopra citati registri è condizione necessaria affinché un veicolo possa essere considerato e classificato, ai fini delle disposizioni contenute nel codice della strada, di interesse storico e collezionistico”.   A parere del  Ministero  delle  Infrastrutture,  quindi,  le  previsioni  dettate  dal  Codice  della Strada non esplicano effetti in ordine al regime fiscale applicabile ai veicoli in argomento.   Pertanto, i principi dettati dall’articolo 60 non esplicano effetti in ordine alla individuazione, sotto il profilo fiscale, dei veicoli di “particolare interesse storico e collezionistico” disciplinati dall’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342.   Quanto sopra trova conferma nella sentenza della Corte Costituzionale del 23 dicembre 2005, n. 455 che in relazione all’articolo 60, comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, afferma che tale “disposizione individua i veicoli di interesse storico collezionistico al solo fine di regolarne la circolazione stradale (…) e non può estendersi al diverso ambito settoriale dell’esenzione dalla tassa automobilistica sia perché tale esenzione trova una compiuta e specifica disciplina nel citato articolo 63, sia perché la norma agevolativa fa riferimento ai veicoli di “particolare”  interesse  storico  e  collezionistico  non  a  quelli  di  mero  interesse storico e collezionistico”. Come affermato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza “ la individuazione dei relativi requisiti soggettivi e oggettivi è rimessa, ai sensi del successivo comma 3, all’ASI (Automobilclub Storico Italiano) e alla FMI (Federazione Motociclistica Italiana)”. Ai fini dell’individuazione dei veicoli ultraventennali di particolare interesse storico, l’applicazione della disposizione fiscale recata dall’articolo 63 è, tuttavia, subordinata alla sussistenza di una determinazione dell’ASI o della FMI. In considerazione del disposto dell’articolo 63, si ritiene che possano beneficiare del regime agevolativo i veicoli di particolare interesse storico e collezionistico ultraventennali di proprietà di soggetti, associati o meno all’ASI o alla FMI, se compresi nelle determinazioni annuali predisposte da tali enti, in base alle caratteristiche precisate dal comma 2, lettere a), b), c) del citato articolo (veicoli costruiti per le competizioni; veicoli costruiti a scopo di ricerca tecnica o estetica, anche in vista di partecipazione ad esposizioni o mostre; veicoli che pur non appartenendo  alle  predette  categorie  rivestano  un  particolare  interesse  storico  o  collezionistico  in  ragione  del  loro  rilievo  industriale,  sportivo,  estetico  o  di costume). L’esenzione dalla tassa automobilistica trova, quindi, applicazione qualora il veicolo sia compreso nelle apposite determinazioni predisposte dai suddetti enti che individuano  in  maniera  definita  le  tipologie  di  veicoli  in  possesso  dei  requisiti previsti dall’articolo 63, comma 2, per beneficiare delle agevolazioni fiscali in commento. In assenza di specifica individuazione dei veicoli nelle suddette determinazioni, il contribuente potrà documentare con un’attestazione rilasciata dall’ASI o dalla FMI che il proprio veicolo ultraventennale è considerato di “particolare interesse storico e collezionistico” in quanto possiede i requisiti prescritti dalla norma agevolativa (articolo 63, comma 2, lettere a, b e c). Con riferimento al quesito in esame, tenuto conto che il contribuente rappresenta che il proprio motoveicolo risulta specificamente individuato nell’elenco dei modelli indicati nella determinazione della FMI per il 2011 dallo stesso prodotta, si ritiene che possa trovare applicazione il regime di esenzione disciplinato dall’articolo 63, comma 2, della legge 21 novembre 2000, n. 342 per i veicoli ultraventennali di “particolare interesse storico e collezionistico”. In caso di utilizzazione sulla pubblica strada, il contribuente sarà tenuto esclusivamente al versamento della tassa forfettaria di circolazione, come previsto dal comma 4 del citato articolo 63.   

Circolare n. 130 E, Roma, 04/10/2010

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La presente circolare sostituisce  la n. 107 del 5 agosto 2010 riproponendone integralmente il contenuto integrato con la precisazione, riportata nel paragrafo 6, punto6. 1, circa l’utilizzo della quota di contribuzione IVS contenuta nel valore nominale dei “buoni lavoro” nelle ipotesi in cui, per gli anni 2009 e 2010, la prestazione di lavoro accessorio sia compatibile e cumulabile con integrazioni salariali ed altre prestazioni a sostegno del reddito.  

Circolare n. 130 E, Roma, 04/10/2010

OGGETTO: Integrazioni salariali. Compatibilità con l’attività di lavoro autonomo o  subordinato e cumulabilità del relativo  reddito. Regime dell’accredito dei contributi figurativi. Disposizioni particolari per il personale del  settore trasporto aereo. Chiarimenti in materia di utilizzo della quota di contribuzione IVS contenuta nel valore nominale dei “buoni lavoro” nei casi di compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali e delle altre prestazioni a sostegno del reddito con le prestazioni di lavoro accessorio per gli anni 2009 e 2010.

SOMMARIO:

1. Premessa e quadro normativo.

2. Incompatibilità del nuovo rapporto di lavoro: cessazione del rapporto di lavoro che dava luogo all’integrazione salariale.

2. 1. Disposizioni particolari per i lavoratori dei vettori aerei (articolo 2, comma 5-quater, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134).

3. Compatibilità tra nuova attività  di lavoro e integrazione salariale: cumulabilità totale dell’indennità con la remunerazione.

4. Compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali con le prestazioni di lavoro accessorio nel limite massimo di 3000 euro per gli anni 2009 e 2010.

5. Cumulabilità parziale tra integrazione salariale e reddito derivante da una nuova attività.

5. 1 Integrazioni salariali e redditi da lavoro a tempo pieno (occasionale o saltuario) e da lavoro part-time.

5. 2 Integrazioni salariali e redditi da lavoro autonomo o simili.

6. Regime dell’accredito della contribuzione figurativa nelle ipotesi di   compatibilità/cumulabilità totale e parziale.

6. 1. Regime dell’accredito della contribuzione figurativa in caso di svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio negli anni 2009 e 2010. Chiarimenti.

7. Prestazioni integrative a carico del fondo speciale per il sostegno del reddito e dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo.

La presente circolare sostituisce  la n. 107 del 5 agosto 2010 riproponendone integralmente il contenuto integrato con la precisazione, riportata nel paragrafo 6, punto6. 1, circa l’utilizzo della quota di contribuzione IVS contenuta nel valore nominale dei “buoni lavoro” nelle ipotesi in cui, per gli anni 2009 e 2010, la prestazione di lavoro accessorio sia compatibile e cumulabile con integrazioni salariali ed altre prestazioni a sostegno del reddito.

1.    Premessa e quadro normativo.

Il caso in cui il lavoratore in cassa integrazione svolga altra attività di lavoro (subordinato o autonomo) remunerata, è regolato dal combinato disposto dell’articolo 3 del Decreto Legislativo Luogotenenziale 9 novembre 1945, n. 788 e dall’articolo 8, comma 4, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (convertito con legge 20 maggio 1988 n. 160). La prima norma stabilisce che l’integrazione salariale «non sarà (…) corrisposta a quei lavoratori che durante le giornate di riduzione del lavoro si dedichino ad altre attività remunerate»; l’articolo 8, comma 4, del D. L. N. 86/1988 precisa che «il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate». Come già chiarito con circolare n. 179 del  12 dicembre 2002 (le cui disposizioni devono ritenersi superate dalla presente circolare), il combinato disposto delle norme citate non sancisce tuttavia una incompatibilità assoluta delle prestazioni integrative del salario con il reddito derivante dallo  svolgimento di una attività lavorativa sia essa autonoma oppure subordinata.

Per un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, l’articolo 3 del D. Lgs. Lgt. 788/1945 si interpreta «nel senso che lo svolgimento di attività lavorativa remunerata, sia essa subordinata od autonoma, durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale comporta non la perdita del diritto all’integrazione per l’intero periodo predetto ma solo una riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai proventi di quell’altra attività lavorativa. Ai fini dell’applicazione di tale principio  – mentre in caso di attività lavorativa subordinata può presumersi l’equivalenza della retribuzione alla corrispondente quota d’integrazione salariale  – in ipotesi, invece, di attività lavorativa autonoma grava sul lavoratore (al fine del riconoscimento del suo diritto a mantenere l’integrazione salariale per la differenza) l’onere di dimostrare che il compenso percepito per la detta attività è inferiore all’integrazione salariale stessa» (Cass. N. 12487 del 23/11/1992). Resta comunque necessaria la comunicazione preventiva resa dal lavoratore alla sede provinciale dell’Istituto circa lo svolgimento dell’attività secondaria, come previsto al comma 5°, dell’art. 8 della L. 160/88, al fine di evitare la decadenza dal diritto alle prestazioni per tutto il periodo della concessione.

Allo scopo di chiarire ulteriormente il quadro, si riepilogano di seguito le circostanze in cui si può dar luogo:

–       all’incompatibilità tra la nuova attività lavorativa e l’integrazione salariale e alla conseguente cessazione del rapporto di lavoro su cui è fondata;

–       alla totale cumulabilità della remunerazione collegata alla nuova attività con l’integrazione salariale;

–       ad una parziale cumulabilità dei redditi da lavoro con l’integrazione salariale.

2.    Incompatibilità del nuovo rapporto di lavoro: cessazione del rapporto di lavoro che dava luogo all’integrazione salariale.

Si ha incompatibilità nel caso in cui il lavoratore beneficiario dell’integrazione salariale abbia iniziato un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato. In questo caso, come affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 195 del 1995), «il nuovo impiego a tempo pieno e senza prefissione di termine, alle dipendenze di un diverso datore di lavoro, comporta la risoluzione del rapporto precedente e, quindi, (…) la perdita del diritto al trattamento di integrazione salariale per cessazione del rapporto di lavoro che ne costituiva il fondamento». 2. 1 Disposizioni particolari per i lavoratori dei vettori aerei (articolo 2, comma 5-quater, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134). Rispetto alla regola generale del venir meno del precedente rapporto di lavoro (e quindi del diritto all’integrazione salariale) in caso di stipula di un nuovo rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, la norma contenuta nell’articolo 2, comma 5-quater, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134 (convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166) pone una parziale deroga, con esclusivo riguardo alle ipotesi di cassa integrazione guadagni straordinaria concessa al personale, anche navigante, dei vettori aerei e delle società da questi derivate a seguito di processi di riorganizzazione o trasformazioni societarie (ai sensi dell’articolo 1-bis del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291). In questi casi la norma prevede eccezionalmente che «i lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria assunti a tempo indeterminato, licenziati per giustificato motivo oggettivo o a seguito delle procedure di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, hanno diritto a rientrare nel programma di cassa integrazione guadagni straordinaria e ad usufruire della relativa indennità per il periodo residuo del quadriennio». Va rilevato che, anche in questo caso il rapporto di lavoro da cui trae origine l’integrazione salariale cessa, anche se, in via eccezionale e nelle sole ipotesi previste dalla normativa, viene ripristinato al fine di consentire la fruizione dell’integrazione salariale nel residuo periodo inizialmente previsto. Di conseguenza, nel corso del nuovo rapporto di lavoro non potrà darsi luogo a cumulabilità, neppure parziale, dell’integrazione salariale con relativo reddito.

A questa conclusione conducono due ordini di motivi: da una parte l’osservazione che la reviviscenza del vecchio rapporto di lavoro avvenga solo in alcuni casi di cessazione dal nuovo contratto (licenziamento per giustificato motivo oggettivo e procedure di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223); dall’altra il dato letterale riguardante l’effetto, che è quello di «rientrare nel programma di cassa integrazione guadagni straordinaria ed usufruire della relativa indennità» e non già quello di rientrare nel rapporto di lavoro precedente.

3. Compatibilità tra nuova attività di lavoro e integrazione salariale:

cumulabilità totale dell’indennità con la remunerazione.

Si ha piena compatibilità tra attività di lavoro ed integrazione salariale, laddove la nuova attività di lavoro dipendente intrapresa, per la collocazione temporale in altre ore della giornata o in periodi diversi dell’anno, sarebbe stata comunque compatibile con l’attività lavorativa sospesa che ha dato luogo all’integrazione salariale. In tali casi l’integrazione salariale è pienamente cumulabile con la remunerazione derivante dalla nuova attività lavorativa. Quest’ipotesi ricorre nel caso in cui i due rapporti di lavoro siano part-time, sia orizzontale (con riduzione dell’orario ordinario giornaliero) e sia verticale (con prestazione del lavoro per intere giornate in periodi predeterminati). Del resto nell’ipotesi di part-time verticale l’integrazione salariale è dovuta soltanto nei periodi in cui sarebbe stata espletata l’attività lavorativa. Da ultimo si segnala che si può avere compatibilità anche tra un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e uno part-time, purché le due attività siano tra loro comunque compatibili nel limite dell’orario massimo settimanale di lavoro.

4. Compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali con le prestazioni di lavoro accessorio. Come già illustrato dalla circolare n. 75 del 26 maggio 2009, l’art. 7-ter, comma 12, lettera b) del decreto legge n. 5/2009 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33/2009), nel modificare l’art. 70 del D. Lgs. 10. 9. 2003 n. 276 sul lavoro accessorio, aggiunge il comma 1-bis, che recita: «in via sperimentale per il 2009, prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese, in tutti i settori produttivi e nel limite massimo di 3. 000 euro per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o con sostegno al reddito compatibilmente con quanto stabilito dall’articolo 19, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. L’INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio».                                                                                                    L’art. 2, comma 148, lett. G), L. 23. 12. 2009 n. 191 ha esteso la portata di tale disposizione anche all’anno 2010. La suddetta norma – con efficacia quindi limitata agli anni 2009 e 2010 – consente ai lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per sospensione o riduzione dell’attività lavorativa di effettuare lavoro accessorio in tutti i settori produttivi e per tutte le attività con il limite massimo di 3. 000 euro per anno solare. Il limite dei 3. 000 euro (da intendersi al netto dei contributi previdenziali) è riferito al singolo lavoratore; pertanto va computato in relazione alle remunerazioni da lavoro accessorio che lo stesso percepisce nel corso dell’anno solare, sebbene legate a prestazioni effettuate nei confronti di diversi datori di lavoro.                                                                                                                                                            Conseguentemente, per il solo caso di emolumenti da lavoro accessorio che rientrano nel limite dei 3. 000 euro annui, l’interessato non sarà obbligato a dare alcuna comunicazione all’Istituto.

Le remunerazioni da lavoro accessorio che superino il limite dei 3. 000 euro non sono integralmente cumulabili; ad esse dovrà essere applicata la disciplina ordinaria sulla compatibilità ed eventuale cumulabilità parziale della retribuzione          Il lavoratore ha inoltre l’obbligo di presentare preventiva comunicazione all’Istituto.                                                                     Nel caso di più contratti di lavoro accessorio stipulati nel corso dell’anno e retribuiti singolarmente per meno di 3. 000 euro per anno solare, la comunicazione andrà resa prima che il compenso determini il superamento del predetto limite dei 3. 000 euro se sommato agli altri redditi per lavoro accessorio.

5. Cumulabilità parziale tra integrazione salariale e reddito derivante da una nuova attività lavorativa

Al di fuori dai casi descritti ai punti da 2 a 4 potrà darsi luogo a cumulabilità parziale tra la remunerazione derivante da attività lavorativa e le integrazioni salariali. In via generale l’integrazione salariale non è dovuta per le giornate nelle quali il lavoratore beneficiario si dedichi ad altre attività remunerate, di conseguenza il reddito derivante dalla nuova attività di lavoro non è normalmente cumulabile con l’integrazione salariale. In tali casi il trattamento di integrazione salariale verrà sospeso per le giornate nella quali è stata effettuata la nuova attività lavorativa. Tuttavia, per consolidato orientamento giurisprudenziale, qualora il lavoratore dimostri che il compenso (o provento) per tale attività è inferiore all’integrazione stessa, avrà diritto ad una quota pari alla differenza tra l’intero importo dell’integrazione salariale spettante e il reddito percepito.

5. 1 Cumulabilità parziale tra le integrazioni salariali ed il reddito da lavoro subordinato: rapporto di lavoro  a tempo determinato e contratto di lavoro part-time.

Nel caso in cui il beneficiario della integrazione salariale stipuli un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, tale contratto risulta compatibile con il diritto all’integrazione salariale. Se il reddito derivante dalla nuova attività lavorativa è inferiore all’integrazione, sarà possibile il cumulo parziale della stessa con il reddito, a concorrenza dell’importo totale della integrazione spettante. Analogamente nel caso in cui il lavoratore  – beneficiario di integrazione salariale rispetto ad un rapporto di lavoro a tempo pieno  – stipuli un nuovo contratto di lavoro subordinato a tempo parziale (sia esso a tempo determinato o indeterminato), sarà possibile il cumulo parziale dell’integrazione salariale con il reddito derivante da tale attività anche se, tale attività  – a differenza del caso contemplato al punto 3 – non sarebbe compatibile con il contratto di lavoro che ha dato luogo all’integrazione salariale, in quanto parzialmente sovrapponibile.

5. 2 Cumulabilità parziale tra le integrazioni salariali ed il reddito da lavoro autonomo o simili.

Se il lavoratore beneficiario del trattamento di integrazione salariale intraprende una nuova attività di lavoro autonomo, non rileva il fatto che il lavoro sospeso sia a tempo parziale o a tempo pieno, né il tempo dedicato alla prestazione di lavoro autonomo e neanche il fatto che tale nuova attività non comporti una contestuale tutela previdenziale di natura obbligatoria: non sussiste alcuna presunzione circa la possibile equivalenza tra il provento di tale attività e la misura dell’integrazione salariale cui il lavoratore avrebbe avuto diritto. Spetterà pertanto al lavoratore interessato dimostrare e documentare l’effettivo ammontare dei guadagni e la loro collocazione temporale al fine di consentire all’Istituto l’erogazione dell’eventuale quota differenziale di integrazione salariale.

Nel caso in cui l’ammontare dei redditi non sia agevolmente quantificabile o collocabile temporalmente, l’Istituto deve comunque sospendere l’erogazione delle integrazioni salariali al momento della comunicazione preventiva. Si segnala che rientrano in tale ipotesi anche le somme percepite per incarichi pubblici elettivi o in virtù di un rapporto di servizio  onorario con la Pubblica Amministrazione.

6. Regime dell’accredito della contribuzione figurativa nelle ipotesi di compatibilità/cumulabilità totale e parziale.

Si illustra il regime dell’accredito della contribuzione figurativa con riferimento alle diverse ipotesi di compatibilità e cumulabilità illustrate nella presente circolare. Si osserva in premessa che nelle ipotesi di compatibilità tra la nuova attività di lavoro e l’integrazione salariale (di cui al precedente punto 3), la contribuzione per cassa integrazione guadagni e quella obbligatoria per l’attività effettivamente prestata si riferiscono a periodi temporalmente non coincidenti o comunque non sovrapposti, pertanto non si pongono particolari questioni e l’accredito della contribuzione figurativa collegato al godimento della prestazione di cassa integrazione sarà effettuato in base ai criteri generali. Diversamente, qualora l’importo della prestazione di integrazione salariale stabilito debba essere proporzionalmente ridotto in conseguenza dello svolgimento di un’attività di lavoro, subordinato o autonomo (casi di incumulabilità relativa) l’accreditamento dei contributi figurativi dovrà essere effettuato in quota integrativa, in misura corrispondente alla quota retributiva pari alla differenza tra l’intera retribuzione presa a base per il calcolo dell’integrazione salariale e la retribuzione percepita in relazione all’attività svolta. In tale ipotesi la contribuzione obbligatoria relativa all’attività effettivamente svolta verrà accreditata nella gestione di competenza e darà luogo, laddove ne ricorrano le condizioni, alle prestazioni previste dall’ordinamento delle medesime gestioni.

6. 1 Regime dell’accredito della contribuzione figurativa in caso di svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio negli anni 2009 e 2010. Chiarimenti.

Per quanto riguarda, infine, le fattispecie di compatibilità e cumulabilità delle integrazioni salariali  con le prestazioni di lavoro accessorio (di cui al precedente punto 4) e, in genere, di compatibilità e cumulabilità delle altre prestazioni a sostegno del reddito con le prestazioni di lavoro accessorio per gli anni 2009 e 2010, trova applicazione un diverso meccanismo. In tali casi, ai fini della corretta applicazione della norma di cui al comma 1bis dell’articolo 70 del d. Lgs n. 276/2003, si rende necessario che la quota di contribuzione IVS (pari a 1,3 Euro per ogni buono lavoro del valore di 10 Euro) affluisca alla gestione a carico della quale è posto l’onere dell’accredito figurativo correlato alle prestazioni integrative o di sostegno al reddito, a parziale ristoro del relativo onere.   Ne consegue che in tali casi la quota IVS predetta non dovrà essere accreditata sulla posizione contributiva del singolo lavoratore, a conferma ulteriore di quanto illustrato nel messaggio 12082 del 4 maggio 2010, e a scioglimento definitivo della riserva formulata nella circolare 88 del 9 luglio 2009, punto 4.

7. Prestazioni integrative a carico del Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo.

II Fondo Speciale per il sostegno del reddito e dell’occupazione e per la riqualificazione del personale del trasporto aereo, di cui all’articolo 1-ter del decreto legge n. 249/2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 291/2004) provvede all’erogazione di un’integrazione delle prestazioni corrisposte per effetto degli ammortizzatori sociali (CIGS, solidarietà, mobilità), tale da garantire che il trattamento complessivo sia pari all’80% della retribuzione lorda di riferimento. Il Comitato Amministratore del Fondo, con delibera n. 22 del 16 marzo 2009, ha disciplinato i casi di prestazione di attività lavorativa da parte di lavoratori beneficiari delle prestazioni integrative del Fondo. In particolare ha previsto che:

a. La prestazione a carico del Fondo resti immutata nel caso in cui i proventi derivanti da una nuova attività lavorativa di tipo autonomo o la retribuzione derivante da un nuovo rapporto di lavoro dipendente, purché a tempo determinato, sia inferiore o pari al trattamento di integrazione salariale;

b. La prestazione a carico del Fondo venga ridotta in misura pari alla differenza tra i proventi/retribuzioni relativi alla nuova attività e l’integrazione salariale, nel caso in cui essi siano superiori al trattamento di integrazione salariale,  purché inferiori all’80% della retribuzione di riferimento.

Da ultimo si precisa che la contribuzione figurativa spetta esclusivamente nel caso in cui residui almeno una parte del trattamento di integrazione salariale. Pertanto le disposizioni di cui al punto 6 si applicano soltanto ai casi in cui la retribuzione/il provento relativo ad una nuova attività da lavoro dipendente o autonomo sia inferiore alla misura dell’integrazione salariale, a nulla rilevando che il beneficiario percepisca una prestazione residua a carico del Fondo per il sostegno del reddito e dell’occupazione e per la riqualificazione del personale del trasporto aereo.

Dimissioni per giusta causa e disponibilità a continuare l’attività per il periodo di preavviso Cass., sez. lav., 21 novembre 2011, n. 24477

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La configurabilità delle dimissioni per giusta causa, pur potendo sussistere anche quando il recesso non segua immediatamente i fatti che lo giustificano e quando il lavoratore receda e solo successivamente adduca l’esistenza di una giusta causa, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto.   

Lavoro subordinato – Estinzione del rapporto – Dimissioni – Dimissioni per giusta causa – Presupposti – Manifestazione della volontà di dimettersi con contestuale dichiarazione di disponibilità a continuare l’attività per il periodo di preavviso o per una parte di esso – Configurabilità – Esclusione

La configurabilità delle dimissioni per giusta causa, pur potendo sussistere anche quando il recesso non segua immediatamente i fatti che lo giustificano e quando il lavoratore receda e solo successivamente adduca l’esistenza di una giusta causa, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto.

Nota – Nella fattispecie in esame, la Corte di Appello di L’Aquila aveva confermato la decisione di primo grado con la quale era stata accolta la domanda di un dirigente, dimessosi per giusta causa, volta a far valere l’illegittimità della trattenuta operata dal datore di lavoro sulle competenze di fine rapporto a titolo di indennità sostitutiva del preavviso.  Il dirigente aveva dedotto, come giusta causa di recesso, l’omessa corresponsione di sei mesi di retribuzione durante il periodo in cui il suo datore di lavoro era in Amministrazione straordinaria per insolvenza.  La società soccombente (subentrata al precedente datore di lavoro del ricorrente dopo il provvedimento di ammissione all’Amministrazione straordinaria) ha proposto ricorso per Cassazione ritenendo erronea la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui ha ravvisato la giusta causa di dimissioni nonostante il fallimento dell’imprenditore non costituisca giusta causa di risoluzione del rapporto ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile e nonostante il recesso fosse tardivo rispetto all’inadempimento (omesso pagamento di sei mensilità) della società.

La Suprema Corte di Cassazione, dopo avere osservato che, avendo il dirigente continuato a prestare la propria opera a favore della società per altri quattro mesi successivi al mancato pagamento delle retribuzioni (con parziale espletamento di lavoro anche nel periodo di preavviso), queste circostanze inducono ad escludere che il pregresso inadempimento costituisca un effettivo impedimento alla prosecuzione, anche temporanea, del rapporto, ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione formulato dal datore di lavoro e, richiamando due precedenti pronunce (Cass. Sez. Lav. N. 2048/1985 e Cass. Sez. Lav. N. 2492/1997), ha ritenuto che: “Ancorché la sussistenza di dimissioni per giusta causa possa ammettersi anche quando il recesso non segue immediatamente i fatti che lo giustificano ed il lavoratore possa recedere e solo successivamente addurre l’esistenza di una giusta causa, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto”.  La Suprema Corte di Cassazione ha, altresì, precisato che la sentenza impugnata avrebbe dovuto tenere in considerazione il fatto che il datore di lavoro era in amministrazione straordinaria, per cui non poteva pagare direttamente (cioè senza l’autorizzazione del giudice delegato) le retribuzioni maturate anteriormente alla dichiarazione dello stato di insolvenza.  In applicazione di detti principi, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società ricorrente.

Finanziamenti alle imprese per 205 milioni di euro

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Finanziamenti alle imprese per 205 milioni di euro

Finanziamenti per 205 milioni di euro, ripartiti su base regionale: sono previsti nell’Avviso pubblico 2011 per incentivare la realizzazione di interventi per il miglioramento della salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro. Dalle ore 12 del 28 dicembre 2011 alle ore 18 del 7 marzo 2012 le domande potranno essere compilate e salvate mediante procedura informatica attiva sul portale INAIL, sezione Punto cliente. Le domande saranno successivamente inviate, tramite il codice identificativo assegnato, con inoltro telematico da effettuare nei giorni che verranno indicati dopo il 14 marzo 2012.

Finanziamenti alle imprese per la sicurezza sul lavoro

Avviso pubblico 2011  ISI INAIL 2011

in attuazione dell’art. 11, comma 5, D. Lgs. 81/2008 e s. M. I.

1. Obiettivo

Incentivare le imprese a realizzare interventi finalizzati al miglioramento dei livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.   Possono essere presentati progetti di investimento e per l’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale.

2. Ammontare del contributo

L’incentivo è costituito da un contributo in conto capitale nella misura del 50%  dei costi del progetto.
Il contributo massimo è pari a 100. 000 euro, il contributo minimo erogabile è pari a 5000 euro, previsto solo per i progetti di investimento.   Per i progetti che comportano contributi superiori a € 30. 000  è possibile richiedere un’anticipazione del 50%

3. Destinatari

Destinatari sono le imprese, anche individuali, iscritte alla Camera di Commercio Industria, Artigianato ed Agricoltura.

4. Risorse

Per l’anno 2011  l’INAIL ha stanziato 205 milioni di euro ripartiti in budget regionali.

5. Modalità e tempi

5. 1. Compilazione della domanda

Nel periodo dal 28 dicembre 2011 al 7 marzo 2012 sul sito www. Inail. It  – Punto Cliente,  le imprese, previa registrazione sul sito,  avranno a disposizione una procedura informatica che consentirà l’inserimento della domanda, con la possibilità di effettuare tutte le simulazioni e modifiche necessarie, allo scopo di verificare che i parametri associati alle caratteristiche dell’impresa e del progetto siano tali da determinare il raggiungimento del punteggio minimo di ammissibilità, pari a 105 (punteggio soglia).

I parametri da considerare per il raggiungimento del punteggio soglia attengono principalmente a: dimensione aziendale, rischiosità dell’attività di impresa, numero di destinatari, finalità, tipologia ed efficacia  dell’intervento, con la ulteriore previsione di un bonus nel caso di collaborazione con le Parti sociali nella realizzazione dell’intervento.

5. 2. Salvataggio della domanda on-line

Al termine dell’inserimento della domanda nella procedura informatica, le imprese, la cui domanda salvata abbia raggiunto il punteggio soglia, riceveranno un codice che identificherà in maniera univoca la domanda.

5. 3. Invio della domanda on-line Le domande inserite, alle quali è stato  attribuito il codice identificativo, ormai salvate e non più modificabili, potranno essere inoltrate on-line;  la data e l’ora di apertura e di chiusura dello sportello informatico per l’inoltro delle domande saranno pubblicate sul sito  www. Inail. It  a partire dal 14 marzo 2012.

L’elenco in ordine cronologico di tutte le domande inoltrate sarà pubblicato sul sito INAIL, con evidenza di quelle collocatesi in posizione utile per l’ammissibilità del contributo, ovvero fino alla capienza della dotazione finanziaria complessiva.

Entro  i 30 giorni successivi all’invio telematico l’impresa deve trasmettere alla Sede INAIL competente tutta la documentazione prevista, utilizzando la Posta Elettronica Certificata.
In caso di ammissione all’incentivo, l’impresa ha un termine massimo di 12 mesi per realizzare e rendicontare il progetto. Entro 90 giorni dal ricevimento della rendicontazione, in caso di esito positivo delle verifiche, viene predisposto quanto necessario all’erogazione del contributo.

Licenziamento collettivo e trasferimento d’impresa

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Lavoro – Rapporto di lavoro – Licenziamento collettivo per cessazione attività – Trasferimento imprese in amministrazione straordinaria – Violazione direttiva n. 2001/23/Ce del Consiglio dell’Unione europea del 12 marzo 2001 – Insussistenza

La violazione della direttiva n. 2001/23/Ce del Consiglio dell’Unione europea del 12 marzo 2001 è stata riconosciuta unicamente in relazione all’ipotesi di trasferimento riguardante “aziende o unità produttive delle quali il Cipi abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma della legge 12 agosto 1977, n. 675, articolo 2, comma 5, lettera c)” (come previsto dalla legge n. 428/1990, art. 47, comma 5, prima della modifica di cui al Dl n. 135/2009, articolo 19- quater, comma 1, lett. B), convertito in legge n. 166/2009) e non per l’ipotesi relativa al trasferimento di imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di sottoposizione all’amministrazione straordinaria.

Licenziamento collettivo e trasferimento d’impresa

Cass. , sez. Lav. , 10 novembre 2011, n. 23420

Lavoro – Rapporto di lavoro – Licenziamento collettivo per cessazione attività – Trasferimento imprese in amministrazione straordinaria – Violazione direttiva n. 2001/23/Ce del Consiglio dell’Unione europea del 12 marzo 2001 – Insussistenza

La violazione della direttiva n. 2001/23/Ce del Consiglio dell’Unione europea del 12 marzo 2001 è stata riconosciuta unicamente in relazione all’ipotesi di trasferimento riguardante “aziende o unità produttive delle quali il Cipi abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma della legge 12 agosto 1977, n. 675, articolo 2, comma 5, lettera c)” (come previsto dalla legge n. 428/1990, art. 47, comma 5, prima della modifica di cui al Dl n. 135/2009, articolo 19- quater, comma 1, lett. B), convertito in legge n. 166/2009) e non per l’ipotesi relativa al trasferimento di imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di sottoposizione all’amministrazione straordinaria.

Nota – Un lavoratore, già dipendente di un istituto di vigilanza e di una società in amministrazione straordinaria, conveniva in giudizio quest’ultima e l’istituto di vigilanza, cessionario dell’azienda, impugnando il licenziamento che gli era stato intimato nell’ambito di un licenziamento collettivo per cessazione di attività coinvolgente tutti i lavoratori ad eccezione di centotredici di loro che erano stati individuati, in base a proprie esigenze tecniche, organizzative e produttive, dall’Istituto cessionario. Il ricorrente assumeva, quindi, che il suo rapporto di lavoro sarebbe dovuto proseguire, ai sensi dell’art. 2112 c. C. , con l’istituto di vigilanza.

Il Giudice di primo grado respingeva il ricorso.

Anche la Corte d’Appello, successivamente adita dal dipendente, confermava la sentenza di primo grado, rilevando, in particolare, l’infondatezza del motivo di gravame fondato sul preteso obbligo della cessionaria di applicare i criteri di scelta previsti dalla legge n.  223/1991, art. 5, comma 1, nell’assunzione dei lavoratori della società cedente e sulla pretesa violazione di tali criteri, asseritamente derivata dal possesso di un’anzianità e di un carico familiare superiori a quelli dei centotredici dipendenti non licenziati.

La Corte Territoriale evidenziava, infatti, che nel caso di specie – i suddetti criteri non potessero trovare applicazione, atteso che il Dlgs n. 270/1999, art. 63, disciplinante la vendita di aziende delle imprese in amministrazione straordinaria, sanciva l’inapplicabilità dell’art. 2112 c. C. E consentiva il trasferimento da azienda ad azienda solo parziale dei lavoratori senza stabilire alcun criterio di scelta dei dipendenti trasferiti;

– non potessero trovare applicazione in via analogica neppure i criteri di cui all’ art. 5, comma 1 legge n. 223/1991, attesa l’assoluta diversità di ratio tra l’ipotesi di licenziamento collettivo, incentrato sul diritto del dipendente con maggiore anzianità e carico familiare, e quella della cessione delle aziende delle imprese in crisi, nel quale l’interesse preminente doveva considerarsi quello dell’impresa cessionaria, che si faceva carico di assorbire un’azienda in perdita;

– il criterio stabilito nel contratto di cessione di azienda tra cedente e cessionario (fondato sulle “esigenze tecniche organizzative e le prerogative imprenditoriali della parte acquirente”) dovesse ritenersi quindi legittimo e non sindacabile dal Giudice;

– nessun rilievo assumesse l’ulteriore circostanza, riferita dall’appellante, secondo cui la cessionaria aveva assunto, in epoca successiva alla cessione di azienda, altro personale con la sua stessa qualifica.

Il lavoratore ricorreva, pertanto, per Cassazione, lamentando, in particolare, che la Corte territoriale avesse erroneamente ritenuto l’insindacabilità in sede giudiziaria del criterio stabilito dal contratto di cessione di azienda per l’individuazione dei dipendenti da assumere presso la società cessionaria, ritenendo, per contro, la necessità del controllo in relazione al rispetto dei principi di buona fede e correttezza e deducendo la plurima violazione di tali principi, per esser stato esso ricorrente escluso dal passaggio alle dipendenze della cessionaria (“pur avendo egli la maggiore anzianità ed un gravoso carico familiare”), per non essere stato inserito tra i lavoratori, sempre svolgenti mansioni di vigilanza, successivamente assunti e per non averlo la cessionaria – “disattendendo ogni impegno assunto “) – preso alle proprie dipendenze allorché aveva terminato il periodo di mobilità senza avere maturato i requisiti pensionistici o trovato una nuova occupazione.

Il ricorrente denunciava, altresì, violazione di norme di diritto (legge n. 223/1991, art. 5, comma 1; legge n. 428/1990, art. 47), dolendosi che la Corte Territoriale non avesse ritenuto di dover applicare analogicamente i criteri di scelta stabiliti dalla legge n. 223/1991, art. 5, comma 1.

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibili entrambi i suddetti motivi di impugnazione per violazione del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stati ivi indicati i tempi e i modi di acquisizione né trascritto l’integrale contenuto delle ri sultanze processuali atte a comprovare gli elementi fattuali su cui le doglianze si fondavano (anzianità e carico familiare del ricorrente comparativamente maggiori rispetto a quelli dei dipendenti trasferiti; mansioni svolte dal ricorrente ed eventuale svolgimento di altre mansioni da parte dei lavoratori assunti in un secondo momento; atti negoziali comportanti l’impegno asseritamente preso dalla cessionaria di assunzione dei lavoratori che, al termine del periodo di mobilità, non avessero maturato i requisiti pensionistici e non avessero trovato altra occupazione; possesso dei requisiti di scelta secondo i criteri di cui all’invocata legge n. 223 del 1991, articolo 5, comma 1).

Con ulteriore motivo il ricorrente censurava la sentenza impugnata per violazione dell’art. 3 della direttiva n. 2001/23/Ce del Consiglio dell’Unione europea del 12 marzo 2001 nonché dell’art. 2112 c. C. , deducendo che, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte europea di Giustizia nella sentenza dell’11 giugno 2009 in causa C561/ 07, le disposizioni della legge n. 428/1990, art. 47, commi 5 e 6, non garantissero la tutela dei diritti riconosciuti ai lavoratori dalla citata direttiva, onde avrebbe dovuto trovare integrale applicazione l’art. 2112 c. C. , laddove prescrive che, in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con l’acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

La Corte di Cassazione ha rigettato anche tale motivo di impugnazione, osservando che le statuizioni dell’invocata sentenza della Corte di Giustizia fossero inconferenti rispetto alla fattispecie in esame.

La Suprema Corte ha, infatti, evidenziato che la Corte di Giustizia, nella sopra richiamata sentenza, in riferimento alla legge n. 428/1990, art. 47, commi 5 e 6 nel testo in allora vigente – e, perciò, anteriore alle modifiche introdotte al comma 5 art. 19-quater, comma 1, lett. B) Dl n. 135/2009 -, convertito in legge n. 166/2009 aveva dichiarato che “Mantenendo in vigore le disposizioni di cui alla legge 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, commi 5 e 6, in caso di “crisi aziendale” a norma della legge 12 agosto 1977, n. 675, art. 2, comma 5, lett. C), in modo tale che i diritti riconosciuti ai lavoratori dall’art. 3, nn. 1, 3 e 4, nonché dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/Ce, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, non sono garantiti nel caso di trasferimento di un’azienda il cui stato di crisi sia stato accertato, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva”. Pertanto, secondo la Suprema Corte: “la violazione della direttiva è stata quindi riconosciuta unicamente in relazione all’ipotesi di trasferimento riguardante “aziende o unità produttive delle quali il Cipi abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma della legge 12 agosto 1977, n. 675, art. 2, comma 5, lett. C)” (come previsto dalla legge n. 428/1990, art. 47, comma 5, prima della ricordata modifica di cui al Dl n. 135/2009, art. 19quater, comma 1, lett. B), convertito in legge n. 166/2009) e nient’affatto per l’ipotesi, ricorrente nella fattispecie, relativa al trasferimento di “imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione (. ) di sottoposizione all’amministrazione straordinaria””.

Cassazione, sezione lavoro, 11 novembre 2011, n. 23663

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Licenziamento per superamento del periodo di comporto

Cassazione, sezione lavoro, 11 novembre 2011, n. 23663

Pres. Vidiri; Rel. Curzio; P. M. Matera; Ric. C. S. D. ; Res. M. O.

Diritto alla conservazione del posto – Infortuni e malattie – Comporto – Superamento – Licenziamento – Limiti – Mancata previsione nel Ccnl applicato del comporto per sommatoria – Integrazione secondo equità – Applicazione del termine del comporto secco – Legittimità – Fattispecie

Licenziamento per superamento del periodo di comporto

Cassazione, sezione lavoro, 11 novembre 2011, n. 23663

Pres. Vidiri; Rel. Curzio; P. M. Matera; Ric. C. S. D. ; Res. M. O.

Diritto alla conservazione del posto – Infortuni e malattie – Comporto – Superamento – Licenziamento – Limiti – Mancata previsione nel Ccnl applicato del comporto per sommatoria – Integrazione secondo equità – Applicazione del termine del comporto secco – Legittimità – Fattispecie

Nell’ipotesi in cui la normativa contrattuale non regoli in maniera specifica il comporto per sommatoria di malattie, in assenza di una previsione dell’autonomia collettiva, deve procedersi all’integrazione secondo una valutazione equitativa. (Nella specie, la S. C. Ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto equo applicare lo stesso termine del comporto secco al comporto per sommatoria).

Nota – La sentenza in esame si riferisce al caso di un dipendente che aveva impugnato il licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia, intimato per avere cumulato, nel periodo dal 31 luglio 2000 al 29 gennaio 2003, un totale di 234 giorni di assenza per malattia. Il Ccnl del settore Commercio, applicato al rapporto di lavoro in oggetto, non prevede una disciplina specifica del comporto per sommatoria di malattie, ma stabilisce solo il termine di 180 giorni in un anno per il superamento del comporto secco (per un’unica ed interrotta malattia).

Il Tribunale di Messina aveva accolto il ricorso del lavoratore stabilendo che, in assenza di una disciplina specifica del comporto per sommatoria nel Ccnl applicato al rapporto di lavoro, doveva ritenersi applicabile il termine previsto dal medesimo contratto per il comporto secco. Applicando detto criterio, era emerso che il ricorrente, nel periodo di riferimento di un anno, non aveva mai superato i 180 giorni di assenza e che, pertanto, il licenziamento era illegittimo con conseguente diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro. La Corte di Appello di Catania aveva confermato la sentenza di primo grado.

Avverso detta sentenza, il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione per vari motivi e, in particolare, ha lamentato che il giudice del merito, in mancanza di una precisa disposizione nel Ccnl applicabile che regoli il comporto per sommatoria, avrebbe dovuto fare riferimento, in via analogica, alle disposizioni previste nei contratti collettivi di altri settori che disciplinano la medesima materia.

La Suprema Corte ha ritenuto pacifico che, in assenza di una previsione specifica dell’autonomia collettiva, la legge, al fine di stabilire il termine del comporto per sommatoria di malattie, debba rinviare ad una valutazione equitativa e ha affermato che, nel caso di specie, la decisione resa dai giudici del merito fosse sufficientemente motivata e priva di contraddizioni.

La Suprema Corte ha precisato, altresì, che non può essere effettuato il richiamo alla disciplina dei contratti collettivi di altri settori senza indicare le date di stipulazione di tali contratti e senza produrli, come impone l’art. 369, n. 4, c. P. C. Per effetto dei principi sopra enunciati, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del datore di lavoro.

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