Un cambiamento significativo potrebbe presto interessare uno dei benefit aziendali più diffusi in Italia: i buoni pasto. Con la Legge di Bilancio 2026, il Governo starebbe valutando un aumento della soglia di esenzione fiscale per i buoni pasto, portandola dagli attuali 8 euro (per i buoni elettronici) a 10 euro giornalieri. Una misura che potrebbe rappresentare un’opportunità sia per le imprese che per i dipendenti, soprattutto in un contesto economico dove il potere d’acquisto è sotto pressione a causa dell’inflazione e del caro vita.
Sommario
Questa possibile riforma, anticipata in fase di stesura della nuova manovra finanziaria, si inserisce in un più ampio contesto di revisione delle politiche retributive e di welfare aziendale, con l’obiettivo di stimolare i consumi, migliorare il benessere dei lavoratori e offrire un vantaggio fiscale concreto alle imprese.
Ma cosa comporta davvero questo aumento dell’esenzione fiscale? Quali saranno i vantaggi per le aziende e per i lavoratori dipendenti? E soprattutto: quali implicazioni fiscali e contributive comporta questa misura, se sarà confermata nella versione definitiva della Legge di Bilancio?
In questo articolo analizziamo nel dettaglio le novità previste, i riferimenti normativi, i potenziali benefici fiscali e gli impatti reali di questo provvedimento.
Introduzione
Il Governo è già al lavoro sulla nuova Legge di Bilancio 2026, e tra le misure al centro del dibattito politico ed economico c’è l’intenzione di rafforzare il potere d’acquisto dei lavoratori italiani. Un obiettivo ribadito anche dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante il suo recente intervento al Meeting di Rimini, dove ha sottolineato la volontà dell’Esecutivo di adottare strumenti concreti di sostegno alle famiglie e ai lavoratori, senza aumentare il carico fiscale.
Tra le proposte attualmente in discussione vi è l’innalzamento della soglia di esenzione fiscale per i buoni pasto elettronici, che potrebbe passare dagli attuali 8 euro a 10 euro giornalieri. L’iniziativa è stata avanzata dalla senatrice Paola Mancini (Fratelli d’Italia) e ha come obiettivo principale quello di adeguare il valore del buono pasto al reale costo medio di un pranzo fuori casa, aumentato sensibilmente negli ultimi anni a causa dell’inflazione.
Secondo le prime valutazioni, la misura potrebbe essere inserita in una logica più ampia di rafforzamento del welfare aziendale, offrendo un duplice vantaggio: da un lato, un supporto concreto per i lavoratori in un momento di rincari generalizzati; dall’altro, uno strumento defiscalizzato per le imprese, che possono così offrire benefit più consistenti senza aggravi fiscali e contributivi.
Il provvedimento è attualmente al vaglio dei tecnici del Ministero dell’Economia, che stanno valutando la sostenibilità finanziaria della misura, anche in relazione al costo per le casse pubbliche e al potenziale impatto in termini di gettito.
Welfare aziendale
L’aumento dell’esenzione fiscale per i buoni pasto si inserisce in un più ampio pacchetto di misure orientate al rafforzamento del welfare aziendale e al miglioramento del trattamento economico dei lavoratori. Infatti, la Legge di Bilancio 2026 potrebbe includere anche nuove forme di esenzione fiscale e aggiornamenti normativi attesi da tempo, sempre con l’obiettivo di contrastare l’erosione del potere d’acquisto e incentivare forme di retribuzione alternative al salario diretto.
Una delle proposte più interessanti riguarda l’esenzione fiscale per i rimborsi spese di affitto sostenuti dagli studenti universitari e dagli iscritti agli ITS (Istituti Tecnici Superiori – Academy). La misura si applicherebbe ai casi in cui l’istituto frequentato si trovi a oltre 50 km dalla residenza dello studente oppure richieda oltre 60 minuti di tragitto con i mezzi pubblici. Si tratterebbe di un provvedimento di particolare rilievo per le famiglie con figli fuori sede, che attualmente sostengono costi elevatissimi per l’affitto, soprattutto nelle grandi città universitarie.
Un’altra misura attesa riguarda l’aggiornamento delle indennità di trasferta, ferme addirittura dal 1986 e ancora espresse in lire. Con la riforma, si punta a introdurre un meccanismo di rivalutazione annuale automatica basata sugli indici ISTAT, che porterebbe l’importo giornaliero dagli attuali 50 euro circa fino a 131 euro al giorno, con un impatto diretto sulla capacità di copertura reale delle spese sostenute dai lavoratori in trasferta.
Queste misure, se approvate, costituirebbero un passo avanti significativo nel rendere il welfare aziendale più moderno, equo e coerente con il contesto socioeconomico attuale.

Buoni pasto oggi
Per comprendere appieno l’impatto di un eventuale aumento dell’esenzione fiscale dei buoni pasto nel 2026, è utile fare un rapido riepilogo della normativa attualmente in vigore. Fiscalmente parlando, i buoni pasto rientrano tra i benefit aziendali concessi dal datore di lavoro ai dipendenti. Tuttavia, il loro trattamento fiscale varia a seconda del formato con cui vengono erogati.
Attualmente, i buoni pasto non concorrono alla formazione del reddito imponibile IRPEF del dipendente, a condizione che siano erogati alla generalità o a categorie omogenee di lavoratori e nel rispetto di precisi limiti giornalieri:
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4 euro al giorno per i buoni pasto in formato cartaceo
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8 euro al giorno per i buoni pasto in formato elettronico
Tali limiti rappresentano la soglia massima oltre la quale il valore eccedente è da considerarsi reddito imponibile e, di conseguenza, soggetto anche a contribuzione INPS. È importante sottolineare che, secondo la Risoluzione n. 26/E del 2010, i buoni pasto sono assimilati a compensi in denaro, e non in natura. Pertanto, l’eccedenza rispetto ai limiti previsti non può beneficiare dell’ulteriore soglia di esenzione di 258,23 euro prevista per i fringe benefit generici.
Dal punto di vista dell’azienda, invece, i buoni pasto rappresentano una spesa totalmente deducibile dal reddito d’impresa, senza essere soggetta al limite del 75% previsto per le ordinarie spese di vitto e alloggio. Ciò li rende uno strumento fiscale molto conveniente, poiché permettono di riconoscere un benefit ai dipendenti con un carico fiscale praticamente nullo, entro i limiti stabiliti.
Da 8 a 10 euro
Se la proposta in discussione dovesse essere approvata nella Legge di Bilancio 2026, il limite di esenzione fiscale giornaliera per i buoni pasto elettronici salirebbe da 8 a 10 euro. Questo semplice incremento comporterebbe vantaggi fiscali e retributivi rilevanti per milioni di lavoratori e per le imprese che adottano questo strumento.
Per il lavoratore dipendente, l’aumento della soglia significa poter ricevere fino a 2 euro in più al giorno di buoni pasto esentasse, pari a circa 44 euro netti in più al mese (considerando una media di 22 giornate lavorative). Si tratta di un beneficio netto, non soggetto né a IRPEF né a contributi previdenziali, che si traduce in un incremento reale del potere d’acquisto, senza costi aggiuntivi per il dipendente stesso.
Per l’impresa, il vantaggio è duplice: da un lato, può riconoscere un benefit più sostanzioso ai propri dipendenti mantenendo l’esenzione da imposte e contributi; dall’altro, continua a godere della piena deducibilità del costo sostenuto. Inoltre, rispetto a un aumento salariale equivalente, il buono pasto ha un impatto fiscale molto più efficiente, e ciò lo rende uno strumento sempre più apprezzato nella costruzione di piani di welfare aziendale sostenibili.
Infine, l’incremento della soglia sarebbe anche coerente con il mutato contesto economico: secondo recenti indagini, il costo medio di un pasto fuori casa in Italia ha superato da tempo gli 11-12 euro, rendendo i buoni attuali non più del tutto sufficienti a coprire la spesa.

Buoni pasto e welfare aziendale
Nel panorama attuale, i buoni pasto non rappresentano soltanto un benefit accessorio, ma sempre più spesso costituiscono una vera e propria leva strategica per le politiche di welfare aziendale. In un mercato del lavoro competitivo e in continua evoluzione, strumenti come questi diventano centrali per attrarre talenti, ridurre il turnover e incentivare la produttività, senza incidere in maniera significativa sul costo del lavoro.
Dal punto di vista aziendale, il buono pasto è uno dei benefit più apprezzati dai lavoratori: consente di sostenere le spese quotidiane legate all’alimentazione, con un impatto diretto sul benessere personale e familiare. Rispetto ad altre forme di compenso, ha il vantaggio di essere esente da tassazione fino a una soglia prefissata, garantendo quindi un valore “pieno” in busta paga.
Inoltre, a differenza di altre misure di welfare, non richiede complesse strutture organizzative o gestionali: le aziende possono facilmente attivare convenzioni con provider di buoni pasto elettronici, che gestiscono l’intero processo in modalità digitale, garantendo tracciabilità, sicurezza e semplicità operativa.
Anche in termini di fidelizzazione e clima aziendale, i buoni pasto hanno un ruolo importante: aumentano la soddisfazione dei dipendenti e rafforzano il senso di appartenenza all’azienda. Con l’innalzamento della soglia di esenzione a 10 euro, questo strumento diventerebbe ancora più attrattivo e conveniente, inserendosi perfettamente in una strategia di welfare moderna e orientata al lungo termine.
Vantaggi fiscali
L’eventuale aumento della soglia di esenzione fiscale dei buoni pasto elettronici da 8 a 10 euro rappresenterebbe una misura win-win sia per le imprese che per i lavoratori, grazie a una combinazione di vantaggi fiscali, economici e organizzativi difficilmente ottenibili con altre forme di compensazione.
Dal punto di vista aziendale, i buoni pasto sono interamente deducibili ai fini IRES, senza essere soggetti al limite del 75% previsto per le spese di vitto e alloggio. Questo significa che ogni euro erogato sotto forma di buono pasto non grava sull’utile tassabile dell’impresa, generando un risparmio fiscale immediato. Inoltre, poiché entro la soglia prevista non generano imponibile contributivo, non comportano oneri previdenziali aggiuntivi per il datore di lavoro.
Sul piano economico, questo strumento consente all’impresa di aumentare il valore della retribuzione netta percepita dal dipendente con una spesa effettiva inferiore rispetto a un equivalente aumento salariale. Un euro netto in più tramite buono pasto costa infatti molto meno all’azienda rispetto a un euro netto in busta paga, che comporterebbe anche il pagamento di IRPEF, INPS e altre trattenute.
Per il lavoratore, invece, il vantaggio è duplice: beneficia di un aumento del potere d’acquisto reale, e lo fa senza subire alcuna decurtazione per tasse o contributi. In termini pratici, con il nuovo limite a 10 euro, un dipendente potrebbe ottenere fino a 220 euro mensili esentasse, spendibili in esercizi convenzionati per l’acquisto di cibo e bevande.
In un contesto inflazionistico, dove i salari faticano a crescere e il carico fiscale resta elevato, i buoni pasto rappresentano quindi uno degli strumenti più efficaci per sostenere il reddito disponibile e allo stesso tempo ottimizzare la fiscalità aziendale.
Buoni pasto vs aumento salariale
In un momento in cui il costo della vita cresce rapidamente e i margini delle imprese si assottigliano, scegliere come premiare i dipendenti diventa una questione strategica. Tra le opzioni più discusse c’è il confronto tra l’erogazione di buoni pasto e un classico aumento salariale. Anche se entrambe le soluzioni puntano a migliorare il potere d’acquisto del lavoratore, le implicazioni fiscali e contributive sono profondamente diverse.
Un aumento in busta paga è soggetto a tassazione IRPEF, addizionali regionali e comunali, oltre ai contributi INPS a carico sia del lavoratore che dell’azienda. Per fare un esempio pratico: per garantire 100 euro netti al mese in più a un dipendente, un’azienda può arrivare a sostenere un costo lordo fino a 180 euro, a seconda del livello retributivo e dell’inquadramento.
Al contrario, i buoni pasto entro i limiti di esenzione fiscale (attualmente 8 euro al giorno per quelli elettronici, che potrebbero salire a 10 nel 2026) non concorrono a formare reddito da lavoro e non sono soggetti a contribuzione previdenziale. Questo significa che l’azienda può erogare un beneficio concreto, con un impatto economico minore, e il lavoratore riceve un valore pieno, privo di trattenute fiscali.
Inoltre, dal punto di vista percepito, un benefit “spendibile” quotidianamente per il pranzo può avere un effetto più tangibile sulla qualità della vita del dipendente rispetto a un piccolo aumento retributivo “assorbito” dalle tasse. Ecco perché i buoni pasto risultano molto più efficienti e sostenibili rispetto a un aumento salariale equivalente.
Conclusione
L’aumento dell’esenzione fiscale dei buoni pasto elettronici da 8 a 10 euro, previsto nella prossima Legge di Bilancio 2026, si inserisce in un contesto di riforma del welfare aziendale orientato a sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori senza gravare sui conti delle imprese. I vantaggi fiscali sono evidenti: da un lato, le imprese possono ottimizzare i costi del personale con uno strumento totalmente deducibile e privo di oneri contributivi; dall’altro, i lavoratori ottengono un beneficio netto immediato, esente da tasse e utilizzabile per spese quotidiane.
Ma i buoni pasto non sono solo un vantaggio economico: rappresentano anche una leva strategica per il benessere aziendale, migliorando il clima interno, la fidelizzazione e la produttività. In un mercato del lavoro sempre più competitivo, offrire benefit concreti e intelligenti può fare la differenza nella retention dei talenti.
Sarà ora compito del legislatore finalizzare la proposta e garantirne la sostenibilità. Tuttavia, la direzione è chiara: favorire forme di retribuzione flessibili, moderne e fiscalmente vantaggiose è la chiave per sostenere imprese e lavoratori in modo equo e duraturo.
Restare aggiornati su queste novità è fondamentale per chiunque voglia gestire correttamente la fiscalità d’impresa o ottimizzare la propria posizione retributiva.

