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Cassazione, sezione lavoro, 20 agosto 2012, n. 14573

In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro con continuità regolare, anche negli orari, la qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo….

In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro con continuità regolare, anche negli orari, la qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, deve essere effettuata secondo il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro.

L’esistenza di tale parametro deve essere accertata o esclusa mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto – con accertamento di fatto incensurabile in cassazione se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato – dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, senza che il nomen juris utilizzato dalle parti possa assumere carattere assorbente. In relazione alla inquadrabilità come autonome o subordinate delle prestazioni rese da un esercente la professione medica, ove le prestazioni necessarie per il perseguimento dei fini aziendali siano organizzate in maniera tale da non richiedere l’esercizio da parte del datore di lavoro di un potere gerarchico concretizzantesi in ordini e direttive e nell’esercizio del potere disciplinare, non può farsi ricorso ai criteri distintivi costituiti dall’esercizio dei poteri direttivo e disciplinare, né possono considerarsi indicativi della natura subordinata dal rapporto elementi come la fissazione di un orario per le visite, o eventuali controlli nell’adempimento della prestazione, se non si traducono nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione proprio del datore di lavoro, dovendo, in tali ipotesi, la sussistenza o meno della subordinazione essere verificata in relazione alla intensità della etero-organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del medico con quella dell’impresa, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dell’impresa, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui.

Nota – Con ricorso al Pretore del lavoro di Napoli un lavoratore chiedeva l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo 1962-1990, in cui aveva lavorato presso un istituto medico quale medico addetto al reparto neurologia, con conseguente condanna del datore di lavoro alle differenze retributive ed al trattamento di fine rapporto. La domanda del lavoratore veniva accolta in primo grado, con condanna della società convenuta al pagamento delle differenze retributive ed alla regolarizzazione contributiva.

La società soccombente proponeva appello, deducendo la nullità del ricorso introduttivo, l’insussistenza dei requisiti del lavoro subordinato e l’omesso esame dell’eccezione di prescrizione.

Il Tribunale del lavoro di Napoli, pronunziando in grado di appello, con sentenza del 2006 accoglieva parzialmente l’impugnazione, ritenendo: – l’insussistenza della nullità del ricorso introduttivo; – l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, essendo emerso che, nel reparto cui era addetto, il medico svolgeva le sue mansioni seguendo esclusivamente le indicazioni del primario; – la fondatezza dell’eccezione di prescrizione quinquennale non esaminata dal primo giudice, atteso che il rapporto di lavoro de quo godeva di tutela reale, risultando dai libri paga e matricola che all’epoca l’azienda occupava un numero di dipendenti superiore a quindici.

Il lavoratore ricorreva per Cassazione impugnando alcuni capi della sentenza di secondo grado e la società rispondeva con controricorso e ricorso incidentale. In particolare, tra i vari motivi di impugnazione, la società deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c. C. Nonché dell’art. 409 c. P. C. , art. 414 c. P. C. , e segg. , sostenendo che la declaratoria del rapporto subordinato, in relazione alla fattispecie di un medico che eseguiva meccanicamente le istruzioni ricevute dal primario, sarebbe stata adottata sulla base di un’insufficiente analisi, non essendo precisato se il lavoratore, oltre a ricevere indicazioni di carattere eminentemente professionale, fosse sottoposto anche al potere direttivo, disciplinare ed organizzatorio del datore, attraverso gli organi a tanto delegati, atteso che le semplici direttive di natura tecnico-sanitaria non implicavano il vincolo di subordinazione, ma erano compatibili anche con il rapporto di lavoro autonomo.

La Suprema Corte, conformandosi ad un orientamento giurisprudenziale consolidato, ha evidenziato che: “In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro con continuità regolare, anche negli orari, la qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, deve essere effettuata secondo il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro. L’esistenza di tale parametro deve essere accertata o esclusa mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto – con accertamento di fatto incensurabile in cassazione se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato – dando prevalenza ai dati attuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, senza che il nomen juris utilizzato dalle parti possa assumere carattere assorbente”.

La Corte di cassazione ha, inoltre, osservato che, con particolare riferimento a coloro che esercitano la professione medica, la stessa giurisprudenza, proprio per la necessità di considerare la specificità dei casi concreti, in alcune ipotesi ha fatto riferimento agli “ordinari parametri della sottoposizione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore”, ritenendo correttamente motivate le pronunzie di merito che hanno ritenuto subordinato il rapporto dei medici svolto all’interno di una clinica privata sulla base di indici quali il loro inserimento in turni lavorativi predisposti dalla clinica, la sottoposizione a direttive circa lo svolgimento dell’attività, l’obbligo di rimettersi alla pianificazione dell’amministrazione della clinica in ordine alla fruizione delle ferie, oppure l’adempimento esclusivo delle direttive sanitarie emanate dal responsabile sanitario della casa di cura.

In altri casi, continua la Corte, per la peculiarità della professione medica, la stessa giurisprudenza ha, tuttavia, ritenuto insufficiente il ricorso esclusivo ai parametri dell’esercizio da parte del datore di lavoro del potere gerarchico (concretizzantesi in ordini e direttive) e del potere disciplinare, o ad elementi come la fissazione di un orario per le visite, o eventuali controlli nell’adempimento della prestazione, ove gli stessi non si siano tradotti nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione proprio del datore di lavoro.

In tali ipotesi “la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della eteroorganizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del medico con quella dell’impresa, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dell’impresa, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui”.

La Suprema Corte ha rigettato il suddetto motivo di impugnazione, ritenendo, quindi, che il giudice di merito si fosse correttamente attenuto ai suddetti criteri, rilevando che le mansioni assegnate al medico all’interno della casa di cura non avessero autonomo contenuto professionale, in quanto si riducevano all’esecuzione di operazioni riconducibili alla professione medica per il loro intrinseco contenuto (assistenza nell’espletamento delle pratiche di accettazione dei pazienti del reparto neurologia per i quali il medico di guardia riteneva necessario il ricovero e loro visita secondo le direttive formulate dal primario del reparto e dal suo aiuto, aggiornamento della cartella clinica dei pazienti con la trascrizione delle terapie prescritte e dell’esito delle analisi di laboratorio, nonché delle periodiche misurazioni della pressione), ma erano interamente predeterminate dagli altri sanitari sopraordinati, i quali avevano la responsabilità esclusiva del servizio.

Tale accertamento, secondo la Suprema Corte, dà luogo ad una figura professionale caratterizzata dall’esercizio di attività proprie della professione medica, ma giuridicamente articolata secondo la figura della subordinazione prevista dall’art. 2094 c. C.  

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