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martedì 16 Aprile 2024

Annullamento delle dimissioni e pretesa delle retribuzioni

Il lavoratore reintegrato nel posto di lavoro a seguito di annullamento delle dimissioni ha diritto alle retribuzioni maturate dalla sentenza e non anche dall’epoca delle dimissioni.

Annullamento delle dimissioni e pretesa delle retribuzioni

Avv. Almerindo Proietti Semproni

Cassazione, sez. Lav. , 17 ottobre 2014, n. 22063

MASSIMA

Il lavoratore reintegrato nel posto di lavoro a seguito di annullamento delle dimissioni ha diritto alle retribuzioni maturate dalla sentenza e non anche dall’epoca delle dimissioni.

Notizie

Il lavoratore reintegrato nel posto di lavoro a seguito di annullamento delle dimissioni ha diritto alle retribuzioni maturate dalla sentenza e non anche dall’epoca delle dimissioni.

Cosı` si e` espressa la Corte di Cassazione con la sentenza del 17 ottobre 2014, n. 22063, che ha escluso il diritto alla retribuzione per il periodo in cui la prestazione lavorativa non e` stata fornita.

Sul ricorso proposto da un lavoratore, i giudici di primo e secondo grado annullavano le dimissioni perchè rassegnate dal lavoratore in stato di incapacita` e riconoscevano il diritto alla continuita` del rapporto ed al risarcimento del danno, quantificato nelle retribuzioni maturate dalla data della sentenza a quella dell’effettivo ripristino del rapporto lavorativo.

Secondo la Corte d’Appello, peraltro, il ricorrente non aveva reiterato con il ricorso o in un momento successivo l’offerta della propria prestazione lavorativa, offerta avutasi solo prima della domanda giudiziale, per cui alla stessa non poteva connettersi l’efficacia della messa in mora del datore di lavoro.

Il lavoratore ricorreva per cassazione richiedendo che fosse riconosciuto il diritto alla retribuzione sin dall’origine, e non solamente a seguito della intervenuta sentenza.

Tanto pretendeva richiamando il precedente n. 8886 del 14 aprile 2010 della Suprema Corte che, contrariamente al diverso orientamento giurisprudenziale di legittimita` seguito dalla Corte territoriale, assumeva che la retrodatazione degli effetti patrimoniali della sentenza di annullamento delle sue dimissioni rappresenterebbe la logica conseguenza di una corretta applicazione del generale principio per il quale la durata del processo non deve andare mai a detrimento della parte vincitrice.

In merito, poi, all’efficacia della costituzione in mora del datore di lavoro, il ricorrente eccepiva che egli aveva offerto la sua prestazione lavorativa prima della proposizione della domanda giudiziale e che proprio tale iniziativa serviva a costituire in mora il datore di lavoro, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito. La Suprema Corte respinge il ricorso per infondatezza dei motivi.

Invero, osserva la Cassazione, il percorso motivazionale logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale si fonda su un preciso orientamento della giurisprudenza di legittimita` che non si deve disattendere in considerazione del fatto che e` stato ribadito con sentenza n. 18844 del 30 agosto 2010, successiva a quella n. 8886 del 14 aprile 2010 invocata dal ricorrente.

Per effetto di tale pronuncia, la conseguenza della continuita` del rapporto di lavoro, non interrotta da un licenziamento affetto da vizi che ne determinano l’annullamento, consiste nel fatto che il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, determinabile secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni, anche facendo eventualmente riferimento alle retribuzioni perdute, ma sempre considerando che la natura sinallagmatica del rapporto richiede ai fini dell’adempimento del- l’obbligazione retributiva che sia messa a disposizione la prestazione lavorativa.

Cio` in quanto il principio secondo il quale l’annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva che non comporta il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, atteso che la retribuzione presuppone la prestazione dell’attivita` lavorativa, onde il pagamento della prima in mancanza della seconda rappresenta un’eccezione che, come nelle ipotesi di malattia o licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo, deve essere espressamente prevista dalla legge, per cui nell’ipotesi di annullamento delle dimissioni le retribuzioni spettano dalla data della sentenza che dichiara la loro illegittimita` (in tal senso, Cass. N. 14438 del 6 novembre 2000, n. 13045 del 17 giugno 2005 e n. 2261 del 16 febbraio 2012).

Con la sentenza in rassegna la Cassazione conferma l’abbandono di quell’orientamento (pure citato, Cass. N. 8886/2010) che aveva trovato una soluzione al pro- blema dei riflessi dell’annullamento delle dimissioni per incapacita` naturale, riconoscendo il diritto alle retribuzio- ni a decorrere dalla domanda giudiziale (momento di impugnazione delle dimissioni e costituzione in mora credendi del datore di lavoro ex art. 1226 cod. Civ. ). Ora, sembra trovare maggior favore la diversa soluzione che fa decorrere le retribuzioni soltanto dalla sentenza di annullamento delle dimissioni, in applicazione del principio di corrispettivita` in senso stretto, per cui la retribuzione presuppone la prestazione lavorativa, salve le ipotesi in cui e` la legge ad imporre espressamente la corresponsione della retribuzione pur in assenza di una controprestazione (artt. 2108, 2109 e 2110 cod. Civ. ). Si tratta, tuttavia, di ipotesi in cui la corrispettivita` di pre- stazione sussiste comunque perche ́ , anche in mancanza di una prestazione lavorativa, la retribuzione e` collegata all’esistenza di un’obbligazione di lavoro nell’arco com- plessivo del rapporto.

Certo, l’orientamento in esame lascia «scoperto» il periodo intermedio (dalle dimissioni, o quantomeno dalla loro impugnativa in via stragiudiziale o giudiziale, alla sentenza di annullamento), per cui al lavoratore potrebbe spettare solo il risarcimento del danno qualora il comportamento del datore di lavoro costituisca un eventuale illecito penale (dimissioni estorte o frutto di raggiro).

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