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Cassazione sezione lavoro 26 marzo 2012, n. 4797 Licenziamento di dirigente

Non è applicabile al dirigente – non ha rilievo se si tratti di dirigente apicale ovvero di dirigenti medi o minori – la disciplina dettata dalla legge n. 604/1966 o quella della legge 300/1970 ed ai fini della legittimità (o meno) del licenziamento deve farsi riferimento alla nozione di giustificatezza, la quale, come è noto, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo, ex art. 1 della legge n. 604/1966, ma è molto più ampia e può fondarsi sia su ragioni soggettive ascrivibili al dirigente, sia su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non devono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale, tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.  

Licenziamento di dirigente

Cass. Sez. Lav. 26 marzo 2012, n. 4797

Non è applicabile al dirigente – non ha rilievo se si tratti di dirigente apicale ovvero di dirigenti medi o minori – la disciplina dettata dalla legge n. 604/1966 o quella della legge 300/1970 ed ai fini della legittimità (o meno) del licenziamento deve farsi riferimento alla nozione di giustificatezza, la quale, come è noto, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo, ex art. 1 della legge n. 604/1966, ma è molto più ampia e può fondarsi sia su ragioni soggettive ascrivibili al dirigente, sia su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non devono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale, tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost.

Nota – Il caso di specie è sorto in seguito al licenziamento di un dirigente di un istituto di credito che aveva rifiutato il trasferimento ad altra sede. Questi agiva in giudizio dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Viterbo perché fosse dichiarata la nullità del licenziamento che sosteneva essere stato ritorsivo.

Il Tribunale e la Corte di Appello di Roma confermavano la legittimità del licenziamento posto che era stato intimato non – come sostenuto dal dirigente – a seguito del rifiuto del dirigente ad essere distaccato in altre città, ma piuttosto per le esigenze legate alla ristrutturazione della banca datrice di lavoro, da cui erano emerse considerevoli eccedenze di personale ad ogni livello, per far fronte alle quali, per mantenere i livelli occupazionali, la banca aveva adottato anche lo strumento del distacco di parte del personale.

Il dirigente proponeva pertanto ricorso per cassazione per molteplici motivi. In primo luogo denunciava il fatto che la sentenza impugnata non si fosse pronunciata in merito alla nullità del licenziamento che il dirigente asseriva essere stato intimato per ritorsione successivamente alla proposizione da parte dello stesso di un’azione giudiziaria avverso il provvedimento di distacco, posto che tale pronuncia aveva ritenuto il distacco illegittimo. La Cassazione ha ritenuto tale motivo infondato posto che la sentenza impugnata ha precisato che il licenziamento era stato intimato per le esigenze legate alla ristrutturazione della datrice di lavoro e non per il rifiuto del lavoratore ad accettare il distacco, che gli era stato offerto perché ritenuto l’unico strumento per mantenere invariati i livelli occupazionali. Il licenziamento non poteva pertanto ritenersi ritorsivo, posto che il preteso motivo ritorsivo deve, come richiesto da consolidata giurisprudenza, essere l’unico motivo alla base del recesso perché questo possa essere qualificato come tale (Cass. N. 17087/2011). Cosa che nel caso di specie non è avvenuta data la specificazione dell’esigenza di ristrutturazione aziendale che era stata posta a base del licenziamento.

Con ulteriore motivo il dirigente denunciava che non era stato preso in considerazione il fatto che il Tribunale, in sede di reclamo, aveva confermato l’illegittimità del distacco e ordinato la sospensione del distacco del dipendente e che successivamente il dirigente era stato licenziato. La Cassazione ha affermato che la dichiarata illegittimità del distacco non era un elemento che si poneva in contrasto con l’interpretazione letterale della motivazione indicata nella lettera di licenziamento che, dopo l’espresso richiamo alle esigenze di riorganizzazione della struttura della banca, specificava che “il criterio adottato dalla banca contemplava, fra gli altri, il ricorso all’istituto del distacco, che è stato adottato nei suoi riguardi avendo la riorganizzazione comportato la soppressione della sua posizione di lavoro”. La Cassazione rilevava inoltre che il ricorrente, limitandosi ad insistere nella propria valutazione del licenziamento come conseguenza del rifiuto al distacco nella sede di Brescia, non spiegava quale fosse l’errore di interpretazione compiuto dal giudice del merito nel pervenire alla conclusione che il recesso era stato motivato a causa delle esigenze di ristrutturazione aziendale che avevano comportato anche la soppressione della posizione lavorativa in precedenza occupata dal dirigente. Inoltre, dato che è consolidata giurisprudenza che “la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi n. 604/1966e n. 300/1970 non è applicabile, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 604/1966, ai dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudodirigenti, vale a dire di coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente” (Cass. N. 25145/2010) e che era stato accertato, con autorità di giudicato, che il ricorrente rivestisse la qualifica di dirigente, la Corte ha ritenuto la censura infondata.

In definitiva, la Corte ha rigettato il ricorso del dirigente e affermato che non è applicabile al dirigente la disciplina dettata dalla legge n. 604/1966o quella della legge n. 300/1970ed ai fini della legittimità del licenziamento deve farsi riferimento alla nozione di giustificatezza.

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