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domenica 17 Marzo 2024

Il marchio collettivo per il Made in Italy enogastronomico arriva in Parlamento: corsa alla registrazione e acquisto di licenze del brand dopo la Conferenza Stampa del 19 gennaio 2017

Gli operatori del comparto enogastronomico  sono sempre più consapevoli che, scegliendo  un marchio collettivo,  l’insostituibile valore aggiunto che tale Brand celebra per la bandiera tricolore  sul mercato mondiale attraverso l’ ‘aggregazione di un panel qualificato di produttori italiani del settore, è la chiave per un Business stratosferico di successo ed un intelligente rimedio contro  la contraffazione e l’ “Italian sounding”. E’ stato questo il tema centrale della conferenza Stampa svoltasi lo scorso 19 gennaio alla Camera dei Deputati che ha svelato la strategia vincente per valorizzare il Made in Italy nel settore agroalimentare, vitivinicolo ed enogastronomico. Vediamo più da vicino  come e perchè.

Il successo del marchio collettivo nel comparto enogastronomico

Gli operatori del comparto enogastronomico sono sempre più consapevoli che, scegliendo  un marchio collettivo,  lo strategico valore aggiunto che tale brand celebra per la bandiera tricolore  sul mercato mondiale attraverso l’ ‘aggregazione di un panel qualificato di produttori italiani del settore, è la chiave per  un Business stratosferico di successo ed un intelligente rimedio contro  la contraffazione e l’ “Italian sounding”.

E stato questo il tema centrale della Conferenza Stampa intitolata  “I Marchi e il Vino  – Creazione e tutela dei marchi del settore agroalimentare, in particolare per il vino, alla luce della nuova normativa europea” svoltasi a Roma il 19 gennaio 2017 presso la Camera dei Deputati, in occasione della quale  è stato affermato che  “per una tutela davvero efficace dei vini italiani, la strategia vincente è quella di unire la tutela di regime “pubblicistico” delle denominazioni, a quella di stampo “privatistico” che passa dalla registrazione dei marchi collettivi. ” 
Il ragionamento è semplice: un marchio registrato, e in particolare il marchio collettivo oltre a presentare diversi vantaggi a livello legale, come appunto la tutela in mercati che non riconoscono le denominazioni di origine, è valida anche nei confronti di altri settori merceologici che, in qualche modo, utilizzando un certo nome, possono danneggiare la denominazione del vino.  

Il limite delle denominazioni di Origine rispetto al “collective trademark” è quello per il quale   le denominazioni di origine, del vino in primis, ma anche di tanti prodotti gastronomici, la cui tutela opera entro l’U. E. , spesso, sono prive di una  protezione legale a livello internazionale, perchè non sono riconosciute dalle regole del commercio di molti Paesi in cui l’Italia esporta. Questo è il motivo per il quale, è stato sottolineato in questo dibattito, è sempre più importante, nel mercato globale, investire in uno strumento come il marchio collettivo.

Cos’è e come funziona il marchio collettivo

E’ un marchio che non ha la funzione di contraddistinguere i prodotti di un singolo imprenditore , ma ha una funzione di garanzia qualitativa e assicura che il prodotto o il servizio abbia determinate caratteristiche in relazione all’origine, che sia rilevante per la qualità del prodotto, natura, intesa come qualità che un prodotto deve avere in base alle materie prime utilizzate, e qualità, espressa nel regolamento d’uso e presuppone  un sistema di controllo strutturato e organizzato.

In base al combinato disposto degli arttt 2570 c. C. E 11 CPI , il titolare di un marchio collettivo è un soggetto che non necessariamente svolge attività imprenditoriale lucrativa e che, generalmente coincide con un consorzio o un’associazione. Restando proprietario del brand e conservandone il controllo, tale soggetto lo concede in uso al concessionario – utilizzatore che si impegni a rispettare gli obblighi circa provenienza, natura o qualità del prodotto, come precisati nel regolamento d’uso (che deve essere allegato alla domanda di registrazione ai sensi del comma 2 CPI).

E’ dunque evidente la particolarità che contraddistingue il marchio collettivo rispetto ai marchi d’impresa: il “licensing” ( “l’acquisizione dall’esterno di tecnologie”) cioè l’accordo di concessione in licenza è ad esso strutturale e forma un connubio indissolubile con il “funzionamento” del brand.

Perchè registrare il marchio collettivo nel settore enogastronomico

Essere titolare di un marchio collettivo significa automaticamente ottenere una fonte addizionale di reddito rappresentata dalle royalty corrisposte dal partner licenziatario e quindi anche tutti i vantaggi relativi a:

monetizzazione efficace del proprio diritto di proprietà intellettuale;

acquisizione di quote sempre maggiori di mercato attraverso l’ espansione geografica e settoriale del brand;

bonus fiscali in relazione alla detassazione delle royalties con il Patent Box ex art 1 L. 190/2014  e quindi il dimezzamento delle imposte fiscali applicabili in regime ordinario, investendo in ricerca e innovazione del Brand   ;

Dall’altro lato, l’utilizzatore licenziatario godrà dei seguenti benefits:

sfruttamento economico di un marchio pronto a generare liquidità, usufruendo di un know how già sviluppato;

implementazione dell’immagine imprenditoriale collocando la propria offerta nella fascia “alta” di mercato ;

godere di un trampolino di lancio in caso di piccola e media impresa che singolarmente non riuscirebbe con le proprie risorse ad ottenere una visibilità ottimale sul mercato;

ottenere la detassazione dei redditi derivanti dall’utilizzo diretto del brand attivando l’opzione Patent Box che in tal caso farebbe operare lo sgravio fiscale sul contributo economico.

Attenzione: per la  tutela del marchio collettivo, come sottolineato in Conferenza Stampa,  non servono accordi tra Stati, come avviene per le denominazioni, ma è “sufficiente” la registrazione del marchio, che consente una protezione anche in quei Paesi non riconoscono le denominazioni di origine.

Per giungere ad una legislazione omogenea sul punto   l’Italia che dovrà adeguarsi a quanto previsto dal Regolamento UE 2015/2424.

Se desiderate:

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