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Rating di legalità 2017 : come aderire, vantaggi e nuovi requisiti

Avv. Giorgia Ardia - Data di Pubblicazione: 21/02/2017 - 31548 visualizzazioni.
Rating di legalità 2017 : come aderire, vantaggi e nuovi requisiti

Trend progressivamente in rialzo per le richieste di attribuzione del Rating di legalità, “bollino di qualità, garanzia di legalità e trasparenza”, attribuito dall’Antitrust alle imprese con fatturato di almeno 2 milioni “virtuose” ex lege 2012 che consente di ottenere vantaggi in sede di concessione di finanziamenti pubblici e agevolazioni per l’accesso al credito bancario. Con questa guida illustriamo come funziona il rating, come richiederlo e i requisiti aggiuntivi introdotti dalla “nuova edizione” del rating di legalità.

Trend progressivamente in rialzo per le richieste di attribuzione del Rating di legalità, “bollino di qualità, garanzia di legalità e trasparenza”, attribuito dall’Antitrust alle imprese con fatturato di almeno 2 milioni “virtuose” ex lege 2012. Nello scorso 2016, la richiesta di questo gettonato riconoscimento ha toccato quasi 3000 istanze con un incremento di circa il 50% rispetto all’anno precedente. Al rating di legalità sono ricollegati vantaggi in sede di concessione di finanziamenti pubblici e agevolazioni per l’accesso al credito bancario. Con la Delib. 13/07/2016, n. 26166 (Gazzetta Ufficiale n. 213 del 12/09/2016), l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (“Antitrust”), in attuazione dell’articolo 5-ter del D. L. 1/2012 (convertito in legge dalla L. 27/2012) ha modificato il Regolamento introducendo requisiti aggiuntivi volti all’implementazione dell’efficacia del sistema di premialità previsto.

Vantaggi del Rating di legalità

Il rating di legalità, è un nuovo strumento introdotto nel 2012 per le imprese italiane, volto alla promozione e all’introduzione di principi di comportamento etico in ambito aziendale anche in rapporto alla tutela dei consumatori: consiste nell’assegnazione da parte dell’AGCM ( Autorità garante della concorrenza e del mercato) di un punteggio convenzionalmente misurato in “stellette” alle imprese richiedenti che soddisfino determinati requisiti.

Il rating ha un range tra un minimo di una ‘stelletta’ e un massimo di tre ‘stellette’ ed è attribuito sulla base delle dichiarazioni delle aziende che saranno oggetto di verificazione tramite controlli incrociati con i dati in possesso delle pubbliche amministrazioni interessate.

Il rating di legalità rappresenta un indice positivo secondo quanto stabilito dal citato art. 5-ter del D. L. 1/2012, in sede di accesso al credito bancario e di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, secondo i criteri stabiliti dal D. Min. Economia e Finanze 20/02/2014, n. 57

Chi può richiederlo?

Possono richiederlo le imprese, in forma individuale o collettiva che:

  • abbiano sede operativa nel territorio nazionale;
  • abbiano raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’ultimo esercizio chiuso nell’anno precedente alla richiesta di rating, riferito alla singola impresa o al gruppo di appartenenza e risultante da un bilancio regolarmente approvato dall’organo aziendale competente e pubblicato ai sensi di legge;
  • risultino iscritte, alla data della richiesta di rating, nel registro delle imprese da almeno due anni.

Procedura di Rating

Spetta all’Antitrust attribuire tale rating, a seguito della domanda sottoscritta dal legale rappresentante presentata direttamente, dalle aziende interessate, sulla base del formulario da inoltrare per via telematica seguendo le istruzioni fornite dalla stessa Authority. I requisiti alla base della valutazione saranno comunicati direttamente dalle imprese e successivamente verificati tramite una serie di controlli incrociati con i dati in possesso delle pubbliche amministrazioni interessate.

NB Il regolamento riporta l’iter per il rilascio del rating di legalità ponendo particolare attenzione alla corretta valutazione dei requisiti.

Durata e rinnovo

Una volta ottenuto, il rating di legalità, dura due anni dal rilascio ed è rinnovabile su richiesta.

Novità introdotte dalla delibera 13/07/2016, n. 26166 (Gazzetta Ufficiale n. 213 del 12/09/2016)

Le novità della “nuova edizione “ del rating di legalità consistono in requisiti più stringenti al fine di ottimizzare e rendere più efficace il controllo che l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato è chiamata a esercitare per l’assegnazione delle “stellette”. Le più importanti modifiche sono le seguenti:

il rating non potrà essere rilasciato ad imprese collettive controllate da società o enti esteri per i quali non sia possibile identificare i soggetti che detengono le quote di proprietà del capitale o comunque il controllo.

possibilità per l’impresa di dimostrare la completa dissociazione dalla condotta posta in essere rispetto ai reati ostativi al rilascio del rating tenuta dai soggetti (es. Titolare, direttore tecnico, direttore generale, procuratore speciale, ecc. ) cessati dalle cariche nell’anno precedente la richiesta del rating.

possibilità di ridurre il punteggio di un segno + nel caso in cui nel Casellario informatico tenuto dall’ANAC ( Autorità Nazionale Anticorruzione) di cui all’art. 8 del D. P. R. 207/2010, risultino annotazioni divenute inoppugnabili o confermate con sentenza passata in giudicato nel biennio precedente concernenti episodi di grave negligenza o errore grave nell’esecuzione dei contratti ovvero gravi inadempienze contrattuali, anche in riferimento all’osservanza delle norme in materia di sicurezza e di rapporto di lavoro (in ogni caso l’accertamento non potrà comunque determinare una riduzione del punteggio base, pari ad una stelletta).

obbligo per l’Antitrust di individuare ogni anno un campione rappresentativo (pari al 10% delle imprese in possesso del rating, uniformemente distribuito sul territorio nazionale) e di inviare tale elenco alla Guardia di Finanza al fine di verificare i singoli profili di rilevanza fiscale e contributiva.

NB L’elenco completo delle aziende che finora hanno ottenuto il rating di legalità, con il relativo punteggio, è pubblicato sul sito dell’Autorità (http://www. Agcm. It/).

 

Per essere assistiti o collaborare serenamente con un nostro consulente , contattateci al numero verde 800. 19. 27. 52

Le operazioni di Merger and Acquisitions (M&A) Avv. PhD Roberto Pusceddu

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La simulazione: fenomeno giuridico nella disciplina del diritto privato e diritto societario

La simulazione si ha quando le parti, d’accordo, pongono in essere deliberatamente dichiarazioni difformi dall’interno volere. I motivi per cui le parti possono simulare una realtà diversa possono essere i più disparati: far apparire come altrui un bene che si vuole sottrarre ad azioni esecutive; motivi fiscali; stipulare una finta vendita per dissimulare una donazione onde evitare l’azione di riduzione.

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La simulazione: fenomeno giuridico nella disciplina del diritto privato e diritto societario
  Colorem habet, substantiam vero alteram Appare in un modo, ma la sostanza è un'altra Colorem habet, substantiam vero nullam Appare in un modo, ma la sostanza è nulla Non quod scriptum, sed quod gestum est, inspicitur Si guarda bene a ciò che sia stato effettivamente attuato, e non solo a ciò che sia stato scritto Premessa La simulazione si ha quando le parti, d’accordo, pongono in essere deliberatamente dichiarazioni difformi dall’interno volere. I motivi per cui le parti possono simulare una realtà diversa possono essere i più disparati: far apparire come altrui un bene che si vuole sottrarre ad azioni esecutive; motivi fiscali; stipulare una finta vendita per dissimulare una donazione onde evitare l’azione di riduzione. Non sempre comunque la simulazione è preordinata a frodare i terzi o perlomeno a raggiungere fini illeciti; si fa l’esempio del contratto simulato stipulato ad pompam, oppure per motivi di riservatezza, Il negozio simulato infatti presenta aspetti assai singolari: abbiamo una realtà giuridica finta, quindi un inganno, a cui però il legislatore attribuisce effetti. Abbiamo cioè un negozio, abilitato dalla stessa legge a non produrre effetto alcuno (o produrne diversi) rispetto a quelli tipici. Il che pone all’interprete il seguente dilemma: il negozio simulato è illecito, e dunque il legislatore lo ha disciplinato unicamente in vista di determinati effetti? Oppure le parti, n Nell’ambito della loro autonomia privata, possono concludere contratti simulati dato che, in effetti, la stessa legge mostra di ritenerli meritevoli di tutela e li considera ammissibili (come è dimostrato dagli articoli 1414 e ss.)? Simulazione assoluta o relativa La simulazione è assoluta quando le parti pongono in essere un negozio ma in realtà non ne vogliono nessuno. È relativa quando pongono in essere un negozio diverso (ad esempio stipulano una compravendita ma in realtà vogliono una donazione). Se la simulazione è assoluta, dice l’articolo 1414, il contratto simulato non produce effetto tra le parti. Se la simulazione è relativa, invece, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma. Simulazione totale o parziale A seconda che il negozio sia simulato per intero o parzialmente (cioè in un singolo elemento o solo in alcune parti, come la data il prezzo o i soggetti) la simulazione è totale o parziale. In realtà si è osservato che questa distinzione non ha pregio, perché la simulazione relativa è sempre, anche parziale; ad es. se io simulo una vendita, ma in realtà il negozio è una donazione, la simulazione attiene alla causa, cioè ad un elemento del contratto. Simulazione soggettiva e oggettiva La simulazione è oggettiva o soggettiva a seconda che sia simulato il soggetto del negozio o l’oggetto. La simulazione soggettiva prende il nome di interposizione di persona. Natura giuridica della simulazione La tesi del contrasto tra volontà e dichiarazione Secondo la tesi tradizionale il fenomeno della simulazione si spiega in termini di contrasto tra voluto e dichiarato. Le parti cioè pongono in essere un negozio diverso da quello apparente, valido per i terzi ma non tra di esse, al fine di ingannare, e quindi il nucleo del fenomeno simulatorio è ravvisabile in questa divergenza tra la volontà e la dichiarazione. Contro questa teoria si è detto che in realtà non c’è alcuna divergenza tra voluto e dichiarato; le parti pongono in essere una fattispecie complessa, ma che è realmente voluta, costituita due negozi aventi finalità differenti, ma comunque in linea con le finalità delle parti: il primo è il negozio dissimulato, voluto, e il secondo è il negozio volto a creare l’apparenza diversa. Si tratta di due negozi, ma non c’è alcun contrasto tra volontà e dichiarazione, perché ciascuno dei due negozi è voluto e ha una propria finalità ben precisa. Elementi essenziali e non essenziali La simulazione consta, quindi, di quattro elementi, di cui due essenziali e due eventuali. 1) il negozio simulato (cioè il negozio che appare all’esterno; 2) il negozio dissimulato (cioè quello interno, realmente voluto); 3) l’accordo simulatorio o la volontà di simulare; 4) una eventuale controdichiarazione. Per ciascuno di essi può darsi una ricostruzione differente, si che risulta poi impossibile spiegare in modo appagante tutto l’istituto, perché ciascuna di queste ricostruzioni si combina poi in modo differente con le altre, relative agli ulteriori elementi. In effetti le difficoltà teoriche nella ricostruzione dell’istituto sono tutte qui e i motivi per cui ancora non è stata trovata una sistemazione teorica all’istituto sono da rinvenire sono nella molteplicità degli elementi di cui si compone cui corrisponde una varietà di ricostruzioni dottrinali che numericamente sono elevate al quadrato. Inoltre, nel momento in cui si passa a spiegare il problema di fondo dell’istituto, e cioè come sia possibile che un contratto formalmente perfetto e completo in tutti i suoi elementi possa non avere effetto tra le parti, nascono visioni totalmente differenti, a seconda che si veda il fulcro dell’istituto nell’accordo, nella controdichiarazione o nel negozio simulato. Insomma, è solo per questo che molti autori sostengono che quello della natura giuridica e dell’essenza della simulazione è un problema ancora aperto, o, addirittura, rinunciano a prendere posizione. Non resta quindi che passare in rassegna i singoli elementi del negozio simulato e vedere per ognuno di essi lo stato del dibattito dottrinale. Il negozio simulato Il negozio simulato è quello apparente, cioè quello destinato ad avere effetti nei riguardi dei terzi. Secondo una prima teoria tale negozio sarebbe nullo tra le parti, ma produttivo di effetti nei riguardi del terzi. La nullità discenderebbe dalla mancanza di un elemento essenziale, salvo poi a discutere su quale sia questo elemento: la volontà, per alcuni autori, la causa, per altri. A tale teoria sono state mosse numerose obiezioni. Anzitutto si tratterebbe di una nullità anomala, perché non potrebbe pensarsi che un atto sia nullo tra le parti ma valido versi i terzi. In secondo luogo, al negozio simulato non manca alcun elemento essenziale, in quanto la volontà c’è, solo che è diretta a produrre effetti diversi; il negozio è in realtà perfetto e completo di tutti i suoi elementi ma, in virtù dell’accordo simulatorio che intercorre tra le parti, è destinato a non produrre alcun effetto. Si tratta di un fenomeno, cioè, che corrisponde in pieno alla volontà delle parti. In terzo luogo – ma si tratta di un’affermazione assolutamente discutibile – il fenomeno della simulazione non contrasterebbe con nessuno principio fondamentale dell’ordinamento, tale da giustificarne il vizio in termini di nullità. Infine il giudice non potrebbe rilevare d’ufficio la simulazione, essendo questo un compito che spetta alle parti. Il negozio dissimulato Il negozio dissimulato è quello reale, che le parti vogliono effettivamente. Ci si è chiesti quale forma debba rivestire il negozio dissimulato. la legge non è molto chiara al riguardo perché, nel momento in cui dice “ha effetto tra esse il negozio dissimulato purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma” non si capisce se tali requisiti vadano riferiti al negozio simulato o a quello dissimulato. I requisiti di forma, sono quelli che la legge prescrive per la validità del contratto. I requisiti di sostanza sono anzitutto gli effetti (reali o obbligatori, ad esempio) nonché quelli attinenti al contenuto, cioè i requisiti di possibilità, determinatezza, liceità. Altri autori hanno detto che la medesimezza dei requisiti di sostanza ricorrerebbe quando ci sia una “corrispondenza almeno parziale del precetto del negozio simulato col regolamento di interessi occultamente disposto” (Betti). Quindi, ad esempio, le parti non potrebbero concludere una vendita che dissimula una locazione, perché i requisiti di sostanza sono diversi, l’uno avendo effetti reali e l’altro effetti obbligatori. Né una vendita di cosa futura potrebbe dissimulare una donazione, dal momento che la donazione non può avere ad oggetto beni futuri. Anche se qualche autore, come Carresi, sostiene che tali requisiti debbano essere presenti nel negozio dissimulato, è preferibile l’opinione che ritiene che essi debbano riferirsi al negozio simulato anche perché, nell’esempio della donazione simulata mediante una finta vendita, sembra assurdo pretendere che il negozio occulto (cioè la donazione) debba essere redatta con una controdichiarazione nelle forme prescritte per legge, attesa la pubblicità che è richiesta per l’atto pubblico. I requisiti di forma e sostanza andrebbero quindi riferiti al negozio simulato, il quale contiene quello dissimulato. In realtà a noi sembra che questo sia un falso problema. Il negozio e il contronegozio, infatti, saranno di regola contenuti nello stessi documento e quindi i requisiti di forma e sostanza di cui parla la legge saranno sempre presenti in entrambi i negozi. L’accordo simulatorio L’accordo simulatorio consiste nell’intesa tra le parti mirante a far divergere la realtà dall’apparenza. L’accordo simulatorio non va confuso con il negozio dissimulato. Tra accordo simulatorio e negozio dissimulato passa la stessa differenza che c’è tra la nozione di contratto e quella di accordo tra le parti (articolo 1321). Come le parti di un contratto qualsiasi prima raggiungono un accordo e poi lo trasfondono nel documento contrattuale, si che risultano distinti l’accordo (antecedente) e il contratto (successivo), così le parti della simulazione devono in precedenza accordarsi su esso. L’accordo simulatorio cioè da origine al negozio dissimulato e si esternerà in quest’ultimo, senza però confondersi con esso. Effetti tra le parti In caso di simulazione assoluta il contratto non ha effetto tra le parti, e la situazione giuridica rimane immutata. In caso di simulazione relativa, invece, tra le parti produce effetto il contratto dissimulato. Ci si domanda se il contratto simulato, che, come abbiamo detto, è viziato, possa essere convalidato. La risposta, ovviamente, deriva dalla diversa ricostruzione che si accoglie in ordine al vizio da cui è affetto il negozio simulato; propendono per la tesi positiva coloro che vi ravvisano una forma di annullabilità, o di inefficacia mentre propendono per l’opinione negativa coloro che vi ravvisano una nullità o addirittura l’inesistenza. La giurisprudenza invece è sempre stata per l’opinione negativa. Tuttavia a noi sembra che la questione sia in questo modo mal impostata. A parte infatti il non secondario rilievo che, anche a voler accogliere la teoria della nullità, questa si atteggia in modo differente dagli altri casi di nullità previsti dal codice, e non trova il suo fondamento nell’interesse pubblico, c’è da dire che se la nullità discende dall’avere le parti stipulato un secondo contratto (quello dissimulato) che toglie efficacia al primo, allora per dare vita al negozio apparente è sufficiente porre nel nulla quello dissimulato. Il Bianca, infatti, sostiene che può rendersi efficace un negozio simulato revocando quello dissimulato. Effetti rispetto ai terzi Nei confronti dei terzi la regola è fissata dall’articolo 1415: La simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione. In altre parole: • i terzi che hanno acquistato diritti dal titolare apparente, cioè dal simulato acquirente, non possono essere pregiudicati dalla simulazione; nei loro confronti vale cioè l’apparenza rispetto alla realtà; • i terzi che acquistano in buona fede dal simulato alienante faranno valere la simulazione, che non può essere opposta loro; nei loro confronti vale quindi la realtà e non l’apparenza; • nel conflitto tra terzi che hanno acquistato diritti dal simulato acquirente e terzi che hanno acquistato dal simulato alienante, prevalgono i primi; vale a dire che in tal caso torna a prevalere l’apparenza, per l’esigenza di evitare che la simulazione possa pregiudicare la certezza nella circolazione del diritti; • se però la trascrizione dell’acquisto è effettuata dopo la trascrizione della domanda di simulazione, allora il terzo perde il diritto acquistato; prevale Terzi sono coloro che sono estranei all’accordo simulatorio. Saranno terzi quindi gli aventi causa a titolo particolare dal simulato acquirente ma non quelli a titolo universale. Rispetto a questi ultimi produce effetto il contratto simulato. Va ricordato però che il legittimario leso nella quota di legittima da un atto posto in essere dal de cuius non è considerato parte ma terzo. Effetti rispetto ai creditori Quanto ai creditori, una prima regola è quella valevole in generale per qualunque terzo, cioè che i creditori del titolare apparente non subiscono danni dalla simulazione. Nel conflitto tra un avente causa dal simulato alienante in buona fede e dal simulato acquirente prevale il primo. Il creditore privilegiato è parificato ad un avente causa. I conflitti si risolvono in base alla regola della trascrizione. Nel conflitto tra un creditore del simulato alienante e uno del simulato acquirente occorre vedere quando è sorto il credito; a) se è sorto prima della simulazione prevale il creditore del simulato alienante. b) Se il credito è sorto posteriormente alla stipula dell’atto prevale il creditore del simulato acquirente se questi ha trascritto la sua domanda prima della trascrizione del pignoramento da parte del creditore del simulato acquirente. c) Se il creditore del simulato acquirente ha un privilegio speciale prevale sul creditore del simulato alienante.

SCARL e RETE D’IMPRESA: figura giuridica, vicende modificative e profili giuridico-fiscali

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SCARL e RETE D’IMPRESA: figura giuridica, vicende modificative e profili giuridico-fiscali - Commercialista.it Scarl e rete d'impresa: figura giuridica, vicende modificative e profili giuridico-fiscali.

Premessa

Nell’ambito della consulenza alle imprese, lo scrivente Avvocato si soffermerà su specifiche vicende modificative che danno luogo a fenomeni di trasformazione nell’ambito societario.

Il fenomeno ‘Scarl’: di che cosa si occupa e come funzionano le attività consortili

Tra le diverse formule di società previste dall’ordinamento nel nostro paese, esistono anche le Scarl. Una sigla che ricorre spesso e che indica le società di tipo consortile. Lo scopo principale di questo tipo di attività economica non è di raggiungere un utile che possa essere diviso tra i vari soggetti appartenenti al consorzio, ma di conseguire una serie di vantaggi per la propria impresa. In pratica, coloro che fanno parte della Scarl possono ottenere, attraverso la loro attività, un margine significativo di risparmio sui costi di produzione o di aumento dei prezzi dei prodotti venduti. Insomma, le società consortili rappresentano un insieme di aziende che intendono accordarsi sulla realizzazione e l’offerta dei prodotti o servizi delle rispettive aziende tracciando delle precise linee guida per gli operatori del settore. Nessuna delle aziende presenti nella Scarl può avere, come unica attività, la partecipazione al consorzio. Si tratta di un tema delicato che merita un dovuto approfondimento.

Scarl: come funzionano?

Un funzionamento molto semplice caratterizza le società consortili. A regolarne l’attività è l’ex articolo 2602 del Codice Civile che prevede che uno o più imprenditori possano mettere in piedi, in comune accordo, un’organizzazione che regoli la realizzazione di particolari fasi di produzione. Insomma un tipo di entità che si discosta radicalmente dalle “classiche società” per la mancanza di un’attività di impresa. Tutti gli utili che vengono prodotti dai singoli consorziati rientrano esclusivamente nelle loro attività. Ed è proprio questa una delle caratteristiche principali delle Scarl: la mancata produzione di utili. E’ la realizzazione di significativi vantaggi a chi opera in un determinato settore a rappresentare, infatti, la prerogativa degli enti consortili. Ma in alcuni casi l’attività, fino ad ora descritta, può anche assumere le caratteristiche di una vera e propria società commerciale. Non è vietato, infatti, per le società consortili operare a scopo di lucro. C’è da dire, riguardo quest’ultimo aspetto, che la distribuzione degli utili può avvenire in maniera esclusivamente eccezionale e marginale. Si tratta di un aspetto regolato dall’articolo 2615 del Codice Civile mentre il 2602 prevede che le società consortili possano anche svolgere attività con i terzi, anche non finalizzato all’ottenimento di lucro, ma, come detto, a raggiungere vantaggi per i singoli imprenditori del consorzio attraverso, ad esempio, il contenimento dei costi di produzione. 

Quando conviene la fondazione di una Scarl?

Sono diversi gli ambiti nei quali si applica questa formula rientra senza dubbio l’edilizia. In questo caso gli imprenditori si costituiscono in un unico consorzio partecipando agli appalti. L’aggiudicazione di un lavoro porta a significativi vantaggi per tutte le aziende poiché, i vari interventi da realizzare, vengono spartiti tra le imprese che compongono il consorzio.  Insomma si tratta di una formula che può rappresentare un significativo vantaggio soprattutto per le piccole imprese per la partecipazione ad appalti pubblici dai quali, altrimenti, verrebbero escluse. Ma quali sono le responsabilità che ricadono sulle varie aziende del consorzio?

Responsabilità per le aziende del Consorzio: cosa prevede la normativa?

Può accadere che, in un unico consorzio, siano presenti società a responsabilità limitata o attività di diversa natura. Cosa accade in questo caso? Le legge prevede che, per quanto riguarda le obbligazioni sociali, le attività che ricadono nella categoria Srl rispondono esclusivamente per il patrimonio aziendale. Una significativa eccezione è prevista, però, dall’articolo 2615  del Codice Civile, al comma 2. Nel caso di consorzi con attività esterna è prevista la responsabilità “solidale” dei singoli imprenditori attraverso il fondo consortile. I membri di una società a responsabilità limitata consortile, in sostanza, continuano a mantenere questo tipo di condizione, cioè limitata alle obbligazioni sociali. Non vengono assunte responsabilità proprie dei consorzi nemmeno se, alla costituzione della Scarl, siano stati versati dei contributi in denaro.

Reti di imprese: cosa sono, come funzionano e quali vantaggi offrono

Cosa sono le reti d’impresa e come funzionano reti contratto e reti soggetto, le due forme giuridiche tra cui è possibile scegliere.

In un periodo di costante crisi economica ed in certi settori di crescente crisi economica le reti di imprese possono rappresentare uno strumento giuridico economico di cooperazione tra imprese avente lo scopo: “di accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”.

Cosa sono le reti di impresa e quali vantaggi offrono?

La rete di impresa è un contratto che consente ai partecipanti di mettere in comune attività e risorse per migliorare il funzionamento aziendale e rafforzare conseguentemente la competitività delle aziende che ne fanno parte; è uno strumento attraverso il quale le imprese hanno l’opportunità di realizzare, attraverso la collaborazione con altri soggetti, obiettivi ambiziosi, ad esempio l’inserimento in aree di mercato a livello internazionale che da sole non potrebbero raggiungere a causa delle ridotte dimensioni aziendali, accrescendo quindi la propria competitività senza tuttavia rinunciare alla propria autonomia giuridica individuale. Inoltre, la rete d’impresa è una soluzione che aiuta a fronteggiare la crisi economica, come emerge dal 3° rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulle Reti d’Impresa. Elemento fondamentale che connota le diverse tipologie di rete è il “programma comune di rete” sulla base del quale i contraenti si obbligano: a collaborare in forme e ambiti predeterminati attinenti l’esercizio delle proprie imprese, come ad esempio la creazione di gruppo di acquisto o la creazione di un marchio comune; a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, come ad esempio lo scambio di informazioni commerciali o lo scambio di prodotti; ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa, come ad esempio l’attività di ricerca e sviluppo o la condivisione di piattaforme logistiche.

Come si costituiscono le reti di impresa?

Da un punto di vista normativo la rete è stata istituita dall’art. 3, co. 4-ter, del D.L. n. 5/2009; nel corso degli anni vi sono state poi importanti modifiche normative ad opera del D.L. n. 83/2012 e del D.L. n. 179/2012. Il contratto di rete di impresa deve essere redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata; può prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire in nome e per conto dei partecipanti l’esecuzione del contratto o di singole parti di esso. Affinché sia valido il contratto di rete deve contenere alcuni elementi essenziali quali:
  • il nome, la ditta, la ragione o denominazione sociale di ogni partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva;
  • gli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate tra gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi;
  • la definizione di un programma di rete che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune, se prevista l’istituzione di un fondo comune la misura ed i criteri di valutazione dei conferimenti inziali e degli eventuali conferimenti successivi che ciascun partecipante di obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del fondo medesimo;
  • la durata del contratto;
  • le modalità di adesione degli altri imprenditori;
  • se il contratto di rete prevede l’istituzione dell’organo comune, il nome, la ditta, la ragione sociale o la denominazione del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio;
  • le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune;
  • se pattuite le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo diritto.
Da un punto di vista procedurale una volta sottoscritto il contratto di rete di impresa è necessario iscriverlo nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante, tenendo presente che l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stato eseguito l’ultimo degli adempimenti a carico di tutti coloro che sono stati sottoscrittori originari. Ad oggi nell’attuale contesto normativo, per opera delle modifiche legislative che sono state introdotte, gli imprenditori che intendono costituire una rete possono sostanzialmente scegliere tra due diverse forme giuridiche:
  • la rete contratto;
  • la rete soggetto.
Le due tipologie di contratto presentano caratteristiche molto diverse tra di loro e la scelta tra l’una o l’altra comporta importanti conseguenze da un punto di vista organizzativo e fiscale.

La rete soggetto

La rete soggetto, nel caso in cui la rete di imprese sia dotata di un fondo patrimonialepuò decidere di acquisire soggettività giuridica; a tal fine si dovrà iscrivere il contratto di rete nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede. Acquisendo soggettività giuridica la rete diventa un nuovo soggetto di diritto, distinto dalle imprese partecipanti, capace quindi di porre in essere autonomamente rapporti giuridici che acquisiscono rilevanza anche da un punto di vista fiscale (la rete – soggetto sarà pertanto obbligata alla tenuta delle scritture contabili, dovrà dotarsi di partita iva nel caso in cui eserciti attività commerciale e sarà soggetta a tassazione ai fini delle imposte dirette).

La rete contratto

La rete contratto diversamente dalla “rete soggetto”, che è titolare delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dall’attuazione del programma di rete, nella “rete contratto” gli atti posti in essere in esecuzione del programma di rete producono i loro effetti direttamente nelle sfere giuridiche dei partecipanti; pertanto la stipula di una rete – contratto non comporta l’estinzione, né la modificazione della soggettività tributaria delle imprese che aderiscono all’accordo, né l’attribuzione di soggettività tributaria alla rete risultante dal contratto stesso.

Il diritto di recesso del socio: fondamento, disciplina ed effetti

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Il diritto di recesso del socio: fondamento, disciplina ed effetti - Commercialista.it Il diritto di recesso: fondamento, disciplina ed effetti
Premessa normativa Il recesso è il mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali apportati alle pattuizioni originarie dell’atto costitutivo. L’articolo 2473 c.c. recita: “L’atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all’estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’articolo 2468, quarto comma.” Le cause di recesso La nuova disciplina del recesso distingue tra due diversi ordini di cause di recesso: • cause di recesso legali; • cause di recesso statutarie. Le cause di recesso legali possono essere classificate in due tipi: • derogabili; • inderogabili Cause di recesso legali inderogabili Le cause di recesso legali inderogabili, cioè non eliminabili per clausola statutaria, stante la sanzione di nullità dei patti diretti ad escluderle o renderne più gravoso l’esercizio ai soci, sono tassativamente previste (art. 2437, commi 1 e 5, c.c.). Modifica della clausola dell’oggetto sociale se consente cambiamento significativo attività sociale Il cambiamento dell’oggetto sociale costituisce il primo dei casi di recesso legale inderogabile. Si tratta di una causa di recesso già prevista dal regime ante riforma, ora meglio qualificata dall’utilizzo dell’aggettivo “significativo” (art. 2437, comma 1, lett. a, c.c.). Vale a dire che, per essere rilevante agli effetti del recesso, l’oggetto sociale originario deve essere sostituito da uno nuovo del tutto diverso, tale da modificare radicalmente le condizioni di rischio in presenza delle quali l’azionista aveva aderito alla società, ad esempio cessione di azienda o di un ramo d’azienda. In ogni caso il diritto di recesso sorge a seguito di una formale delibera di modifica dell’oggetto sociale, ancorché la modifica sia deliberata e non attuata; mentre non è sufficiente il cambiamento di fatto cui potrà porsi rimedio con le ordinarie azioni di responsabilità contro gli amministratori. Le modificazioni secondarie, come ampliamento o restrizione degli originali settori di intervento sono ininfluenti, salvo siano tanto rilevanti da preludere ad un mutamento dell’oggetto. Società a tempo indeterminato Se la società è a tempo indeterminato (e non è quotata) il socio può recedere in qualsiasi momento (ad nutum) dando un preavviso di 180 giorni che può essere prolungato sino ad un anno dall’atto costitutivo. In pratica la previsione, per legge inderogabile, del diritto di recesso (non collegato ad alcuna specifica delibera e senza alcuna apprezzabile ragione) elimina la possibilità di costituire una società a tempo indeterminato, che darebbe luogo ad uscite indiscriminate e ad una continua minaccia per l’integrità del patrimonio aziendale (art. 2437, comma 3, c.c.). Trasformazione della società La trasformazione comprende, oltre a tutti i tipi di società lucrative, anche il passaggio da società di capitali in società cooperative, ecc. In passato il passaggio da società lucrativa in società cooperativa, comportando la diversità della causa del contratto sociale, pareva ammesso solo con il consenso unanime di tutti i soci, mentre oggi è possibile la trasformazione deliberata con una maggioranza qualificata, oltre il consenso dei soci che assumono una responsabilità illimitata (art. 2500, comma 2-septies, c.c.) Trasferimento della sede sociale all’estero La fattispecie giustifica il recesso in considerazione dell’assoggettamento ad un diverso regime giuridico (art. 2437, comma 1, lett. c, c.c.). Revoca dello stato di liquidazione È una causa di recesso giustificata dalla decisione di eliminare la causa di scioglimento riportando la società nella situazione anteriore (art. 2437, comma 1, lett. d, c.c.). Introduzione o soppressione nello statuto di clausole compromissorie Limitatamente alle società chiuse, cioè alle società che non ricorrono al mercato del capitale di rischio, l’atto costitutivo può comprendere clausole compromissorie, cioè clausole dirette a devolvere ad arbitri la decisione di controversie (art. 34, D.Lgs. n. 5/2003). In tal ipotesi la loro introduzione o soppressione attribuisce ai soci il diritto di recesso. Esclusione dalla quotazione Nelle società quotate la delibera che comporta esclusione dalla quotazione, attribuisce ai soci che non hanno concorso alla deliberazione il diritto di recesso (art. 2437-quinquies c.c.) Delibere relative all’eliminazione di clausole di proroga e su vincoli alla circolazione delle azioni e di clausole previste dallo statuto Hanno diritto di recesso i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti l’eliminazione, anche di una sola, delle seguenti cause che a loro volta legittimano il recesso (art. 2437, comma 1, lett. e, c.c.). Si tratta di cause di recesso legali (ma derogabili) o convenzionali: • clausole di proroga dei termini di durata della società; • clausole che introducono o rimuovono vincoli alla circolazione delle azioni (ad esempio clausole di gradimento, clausole di prelazione, diritti di riscatto); • altre clausole di recesso convenzionali, cioè previste dall’autonomia statutaria e non dalla legge Modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso Si tratta di mutamenti dei criteri della liquidazione della partecipazione in caso di recesso che comportano un’alterazione (sia in aumento che in diminuzione) del “costo” della partecipazione del socio recedente a carico della società (art. 2437, comma 1, lett. f, c.c.). In buona sostanza la legge consente di modificare diritti acquisiti dai soci (alla liquidazione della partecipazione secondo certi criteri), senza il consenso di tutti gli interessati, ma con una maggioranza qualificata e concedendo, a chi non è d’accordo, di uscire dalla società usufruendo delle condizioni di recesso originariamente previste. Modifica delle clausole relative al diritto di voto o di partecipazione Lo statuto può disporre che certe categorie di azioni siano prive del diritto di voto ovvero siano a voto limitato (art. 2351 c.c.). Ogni introduzione ex novo o modifica di simili clausole attribuisce il diritto di recesso ai soci che non hanno concorso alle relative delibere (art. 2437, comma 1, lett. g, c.c.). Egualmente dà diritto al recesso l’introduzione di clausole che influenzano i diritti di partecipazione e, quindi, innanzitutto la partecipazione agli utili. Revisione di stima Se risulta che il valore dei conferimenti diversi dal denaro è inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, il socio conferente ha facoltà di recedere dalla società (art. 2343, comma 4, c.c.) Recesso nei gruppi di società Ogni socio ha diritto di recedere quando siano modificate le condizioni, originariamente previste, della società cui partecipa in conseguenza di decisioni della società controllante o dal comportamento dei suoi amministratori (art. 2497-quater c.c.) Clausole di limitazione alla circolazione delle azioni Ai sensi dell’art. 2355-bis, commi 2 e 3, c.c., le clausole statutarie che condizionano il trasferimento inter vivos delle azioni nominative al mero gradimento (cioè immotivato ed insindacabile) di organi sociali o altri soci devono prevedere, a pena di inefficacia, il diritto di recesso dell’alienante (ovvero, in alternativa, un obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci con l’avvertenza che opera sempre il limite all’acquisto di azioni proprie da parte della società ex art. 2357 c.c.). Le stesse esigenze che giustificano un controllo sulla circolazione delle azioni per atto tra vivi, sussistono anche rispetto alla successione mortis causa. Clausole di recesso statutarie La norma concede all’autonomia statutaria di influenzare notevolmente il diritto di recesso, sia escludendone l’operatività che prevedendo ulteriori cause di recesso per le società c.d. chiuse (cioè le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio), nelle quali è meno agevole (rispetto alle società quotate) cedere la partecipazione ed uscire dalla società (art. 2347, comma 4, c.c.). Tuttavia, le delibere che sopprimono cause di recesso convenzionali, attribuiscono un diritto di recesso inderogabile ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni (art. 2437, comma 1, lett. e, c.c.). Esercizio del diritto di recesso La legge riconosce il diritto di recesso a tutti i soci che non hanno concorso alle delibere di cui all’art. 2347 c.c., vale a dire ai soci, comunque non consenzienti (direttamente o indirettamente) e cioè: contrari, assenti, astenuti. Vale a dire che, agli effetti della legittimazione ad esercitare il recesso, conta non tanto la manifestazione contraria alla deliberazione, quanto piuttosto la circostanza negativa della mancata adesione alle deliberazioni stesse. Recesso parziale La legge ammette espressamente la possibilità di un recesso parziale, relativo cioè solo ad alcune delle azioni possedute dal socio. l recesso parziale dipende ed è connesso all’ammissibilità introdotta dalla riforma societaria del 2003 del voto divergente, vale a dire del voto espresso, per la stessa delibera, con alcune azioni a favore e con altre contro. Trasferimento delle azioni Il diritto di recesso non spetta al nuovo socio che acquista le azioni successivamente alla data della delibera (art. 2437-bis, comma 2, c.c.). La legge dispone espressamente che le azioni per le quali è esercitato il recesso siano incedibili e debbano essere depositate presso la sede sociale. Ne consegue che il diritto di recesso può spettare esclusivamente al titolare delle azioni alla data della delibera. Qualora, a seguito della comunicazione di recesso, il socio alienasse le azioni ed omettesse il deposito delle stesse presso la sede sociale, tale comportamento potrebbe essere considerato come una revoca tacita della dichiarazione di recesso. Termini e modalità del recesso La legge detta una analitica regolamentazione delle modalità e dei termini per l’esercizio del recesso (art. 2347-bis c.c.). Si tratta di norme inderogabili, salvo per le società non quotate a tempo indeterminato per le quali lo statuto può prevedere un termine di preavviso maggiore a quello legale di 180 giorni, ma comunque non superiore ad un anno (art. 2347, comma 3, c.c.). Il recesso deve essere esercitato mediante lettera raccomandata che va spedita entro 15 giorni dall’iscrizione della delibera che lo legittima nel registro delle imprese con l’indicazione: • delle generalità del socio recedente, • del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, • del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato (giacché è ammesso il recesso parziale). Le azioni per le quali è esercitato il recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale. Per le cause di recesso convenzionali e collegate a fatti diversi da una delibera, il recesso deve essere esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio (art. 2437-bis, comma 1, c.c.). In tal caso è assai incerto il termine a quo di decorrenza per l’esercizio del diritto di recesso, ed è facile prevedere che la questione sarà causa di un numeroso contenzioso tra soci e società. È, quindi, opportuno che lo statuto precisi quale sia il momento di decorrenza per l’esercizio del recesso. In tutti i casi la dichiarazione di recesso non comporta, di per sé, la cessazione del rapporto sociale, anzi per impedire l’uscita del socio la riforma prevede che il recesso sia inefficace se la delibera che lo ha legittimato è revocata ovvero se è deliberato lo scioglimento della società Cessazione dello stato di socio La cessazione dello stato di socio fa venir meno tutti i diritti sociali (partecipazione alle assemblee, voto, impugnativa, ecc.), ma in contropartita attribuisce al recedente il conseguente diritto di credito al rimborso della partecipazione. La legge, anche a protezione del patrimonio sociale, prevede espressamente che se la causa di recesso è collegata ad una delibera, il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato è inefficace se entro 90 giorni la società revoca la delibera che vi ha dato luogo (ovvero delibera lo scioglimento). Vale a dire che la dichiarazione di recesso non comporta immediatamente la cessazione del rapporto sociale, ma il recedente resta socio dando alla società la possibilità di paralizzare l’intento del socio revocando la delibera. Invalidità della delibera che ha causato il recesso La legge non detta una specifica disciplina per l’ipotesi di invalidità (nullità o annullamento) della delibera che ha generato la dichiarazione di recesso. Orbene nel caso di nullità può ritenersi che, in ragione dell’inefficacia originaria (ex tunc) della delibera, la sentenza che ne accerta la nullità comporta l’ inefficacia della dichiarazione di recesso. Tanto dovrebbe valere anche nel caso di sentenza di annullamento della delibera stante la sua efficacia retroattiva che ha effetto per tutti i soci. Recesso ad nutum e recesso collegato a fatti diversi da una delibera A differenza dell’ipotesi ordinaria del recesso legittimato da una delibera, il recesso senza causa (ad nutum) e quello collegato a fatti diversi da una delibera, non consente certo alla società di impedirlo ricorrendo al rimedio della revoca della delibera, ma può essere paralizzato solo ricorrendo allo scioglimento (art. 2437-bis, commi 1 e 3, c.c.). In questi casi la protezione del patrimonio sociale resta affidata solo all’acquisto da parte di altri soci o di terzi delle azioni del socio recedente (art. 2437-quater, commi 1, 2, 3 e 4, c.c.). Purtuttavia anche in queste ipotesi pare certo che dalla dichiarazione di recesso non derivi l’immediata cessazione dello stato di socio, ma una situazione di aspettativa decorsa la quale nasce il diritto all’estromissione dalla società ed il conseguente diritto di credito al rimborso delle azioni. Revocabilità del recesso Dibattuta è la questione se il socio possa revocare (o solo modificare, ad esempio riducendo il numero delle azioni per le quali esercita il recesso) la dichiarazione di recesso. L’orientamento espresso dai primi commentatori della riforma societaria del 2003 era nel senso di ammettere la revoca sino a quando la società non avesse liquidato le azioni; per altri la revoca del recesso è possibile sino al termine fissato per la spedizione della dichiarazione (15 giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese). Pare, tuttavia, preferibile la tesi che, pur riconoscendo l’efficacia differita e non immediata del recesso, in ragione della sua natura di negozio unilaterale recettizio, ne esclude la revocabilità dal momento in cui la società partecipata ne sia venuta a conoscenza. Liquidazione della partecipazione a seguito del recesso Di regola il recesso comporta il rimborso al socio delle azioni, con la conseguenza che la società, per evitare il depauperamento del patrimonio sociale, evita, di fatto, di adeguare lo statuto alle mutate esigenze dell’impresa. Orbene, proprio a protezione dell’integrità del patrimonio sociale, la legge prevede determinati rimedi sia per paralizzare il recesso, sia per impedire l’impoverimento del patrimonio sociale e precisamente: • inefficacia del recesso qualora la società revochi la delibera che ha dato causa al recesso (art. 2437-bis, comma 3, c.c.); • offerta in opzione delle azioni del recedente ad altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute ovvero, in concorso con i soci, ai possessori di obbligazioni convertibili in base al rap- porto di cambio, con prelazione per l’acquisto delle azioni non optate (art. 2437-quater, commi 1, 2 e 3, c.c.). L’offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro quindici giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione. Per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell’offerta. Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni che siano rimaste non optate; • collocamento presso terzi ad opera degli amministratori delle azioni non optate e non acquistate dai soci (art. 2437-quater, comma 4, c.c.); Se risultano inefficaci tutti suddetti rimedi, entro 180 giorni dalla comunicazione del recesso la società dovrà necessariamente fare ricorso al patrimonio sociale e rimborsare il socio recedente con utili e riserve disponibili. In mancanza dovrà essere convocata l’assemblea straordinaria e deliberata la riduzione del capitale sociale per liberare risorse da destinare al rimborso delle azioni del socio recedente (art. 2437-quater, comma 5, modificato ex art. 5, D.Lgs. 06/02/2004, n. 37). Extrema ratio, se non è possibile ridurre il capitale sociale dovrà essere deliberato lo scioglimento della società (art. 2437-quater, commi 6 e 7, c.c.). Criteri di liquidazione Ai sensi dell’art. 2437-ter c.c., competenti a determinare il valore delle azioni sono gli amministratori, sentito il parere dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti. Gli amministratori devono tener conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni. In alternativa ai criteri dettati dalla legge lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, tuttavia indicando espressamente gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione (art. 2437-ter, comma 4, c.c.). Per le società quotate il valore di liquidazione è determinato facendo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti la pubblicazione ovvero la ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso. Per le ipotesi in cui il recesso sia causato non da una delibera ma da un evento (ad esempio cessazione dalla carica degli amministratori, art. 2347-bis, comma 1, c.c.) il semestre decorre dall’avvenimento che ha provocato il recesso. Ogni socio ha diritto di conoscere la determinazione del valore delle azioni nei quindici giorni precedenti la data fissata per l’assemblea; ciascun socio ha diritto di prenderne visione e di ottenerne copia a proprie spese. In caso di contestazione, da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso, il valore della liquidazione è determinato entro novanta giorni dall’esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; per le modalità di svolgimento dell’incarico si applica l’art. 1349, comma 1, c.c.

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